TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 108 di Mercoledì 30 ottobre 2013

 
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INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   SCHULLIAN, ALFREIDER, GEBHARD, PLANGGER e OTTOBRE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le borse di studio per la scuola primaria e secondaria e per la formazione professionale sono soggette all'imposta sul reddito;
   ai sensi dell'articolo 4 della legge n. 476 del 1984, «sono esenti dall'imposta locale sui redditi e da quelle sul reddito delle persone fisiche le borse di studio cui all'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, e gli assegni di studio corrisposti dallo Stato ai sensi della legge 14 febbraio 1963, n. 80, e successive modificazioni, dalle regioni a statuto ordinario, in dipendenza del trasferimento alle stesse della materia concernente l'assistenza scolastica nell'ambito universitario, nonché dalle regioni a statuto speciale e dalle province autonome di Trento e Bolzano allo stesso titolo»;
   le borse di studio per la frequenza dei corsi di perfezionamento e di specializzazione post laurea (master di primo e secondo livello) nel resto d'Italia vengono concesse dalle università e queste per legge, come indicato sopra, sono già escluse dalla tassazione; non sono, invece, esentate le borse di studio per la formazione post laurea concesse dalle pubbliche amministrazioni e nella provincia autonoma di Bolzano è l'amministrazione provinciale competente a erogare tutte le forme di borse di studio;
   ne deriva che gli studenti della provincia di Bolzano risultano penalizzati rispetto al resto d'Italia poiché possono godere di un importo ridotto della borsa di studio a causa della tassazione ad essi applicata –:
   se il Governo intenda equiparare il trattamento fiscale di tutte le borse di studio erogate dagli enti pubblici di qualsiasi natura e dagli organismi di ricerca, in modo da renderle esenti dall'imposta locale sui redditi e da quella sul reddito delle persone fisiche e consentire così agli studenti di poter usufruire dell'intero importo della borsa di studio. (3-00403)
(29 ottobre 2013)

   PICCOLI NARDELLI, GHIZZONI, COSCIA, CAROCCI, RAMPI, MANZI, NARDUOLO, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il dibattito sorto su un eventuale riordino degli Archivi di Stato – a causa del quale sono state già avviate sul web iniziative di petizione e interventi di illustri studiosi – sta generando nel settore grande preoccupazione, che rimanda alla paventata possibilità di un'ulteriore contrazione della capacità operativa degli istituti archivistici;
   gli istituti archivistici tutelano un ingentissimo patrimonio materiale di documentazione di interesse storico e ricoprono un ruolo, in termini non solo di conservazione ma di valorizzazione e promozione culturale, quanto mai rilevante, specialmente laddove essi sono i principali, se non unici, siti archivistici funzionanti – come veri e propri «poli» – che permettono la fruizione di un patrimonio inestimabile e unico al mondo;
   è indiscutibile il valore di tutti gli archivi, la loro articolazione, la vantata rete capillare – priva di doppioni – che deve essere considerata funzionalmente ed economicamente sostenibile;
   si ritiene utile l'avvio di un confronto che coinvolga le istituzioni e il settore per un processo di riforma che tuteli gli archivi nelle loro due principali specificità: sia quella del patrimonio culturale, archivi per la memoria storica, per la fruizione e valorizzazione della cultura del territorio, sia quella della governance, archivi come strumenti di democrazia e diritto –:
   se e come il Ministro interrogato intenda procedere al riordino del sistema archivistico e se, in tal caso, non ritenga ineludibile avviare un confronto che coinvolga le istituzioni e il settore e se sia altresì allo studio una riforma articolata che prenda in considerazione la documentazione amministrativa delle varie articolazioni della pubblica amministrazione, ormai prodotta quasi integralmente in formato digitale e bisognosa di adeguate infrastrutture, regolamentazione e professionalità per la sua gestione e conservazione. (3-00404)
(29 ottobre 2013)

   RONDINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sul presupposto dell'assenza di gravi effetti collaterali sui pazienti in cura presso gli Spedali civili di Brescia in base al trattamento a base di cellule staminali messo a punto dalla Stamina Foundation e al fine di accertare la validità della suddetta metodica, il Parlamento aveva approvato il decreto-legge 25 marzo 2013, n. 24, recante disposizioni urgenti in materia di sanità, successivamente convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2013, n. 57. Detta normativa, infatti, disciplina, tra l'altro, l'impiego di medicinali per terapie avanzate preparati su base non ripetitiva e l'impiego terapeutico dei medicinali sottoposti a sperimentazione clinica. In particolare, con il comma 2 dell'articolo 2 si autorizzano le strutture pubbliche in cui sono stati avviati, anteriormente alla data di entrata in vigore del medesimo decreto-legge, trattamenti su singoli pazienti con medicinali per terapie avanzate a base di cellule staminali mesenchimali, a completare i trattamenti medesimi, sotto la responsabilità del medico prescrittore;
   il comma 2-bis, invece, prevede che il Ministero della salute, avvalendosi dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e del Centro nazionale trapianti (Cnt), promuova lo svolgimento di una sperimentazione clinica, coordinata dall'Istituto superiore di sanità, da completarsi entro 18 mesi a decorrere dal 1o luglio 2013, concernente l'impiego di medicinali per terapie avanzate a base di cellule staminali mesenchimali;
   il 10 ottobre 2013 il Ministro interrogato ha comunicato la decisione di non proseguire la sperimentazione del «metodo Stamina» a seguito del parere negativo emesso dal comitato scientifico istituito dal decreto ministeriale del 18 giugno 2013. Tale blocco nasce, a detta del Ministro interrogato, nella non garanzia della replicabilità e sicurezza del metodo e dal fatto che mancherebbero i presupposti di scientificità e sicurezza per avviare la sperimentazione clinica;
   invero il decreto ministeriale del 18 giugno 2013 in nessun modo ha attribuito al comitato scientifico il potere di operare siffatte valutazioni. In base al suddetto decreto ministeriale, infatti, i compiti del comitato scientifico erano limitati:
    a) all'identificazione delle patologie da includere nella sperimentazione;
    b) alla definizione dei protocolli clinici per ciascuna delle patologie sottoposte a sperimentazione;
    c) all'identificazione delle officine di produzione da coinvolgere nella sperimentazione tra quelle autorizzate dell'Agenzia italiana del farmaco a produrre prodotti per terapie cellulari e degli sperimentatori e delle strutture ospedaliere pubbliche e private nelle quali trattare i pazienti;
   è evidente, dunque, il palese contrasto con il decreto-legge 25 marzo 2013, n. 24, che ha già previsto un preciso iter di avvio e conclusione della sperimentazione stessa; infatti, se mediante una legge è stato possibile autorizzare la sperimentazione, ogni modifica al riguardo deve essere apportata con una legge successiva e non a seguito di un parere non vincolante e nemmeno supportato da alcuna norma di legge;
   sempre in base al decreto-legge 25 marzo 2013, n. 24, inoltre, erano stati stanziati 3 milioni di euro per la sperimentazione; ebbene, appare chiaro all'interrogante che il Ministro interrogato non può decidere unilateralmente una diversa destinazione, ma deve essere sempre il Parlamento a doversi pronunciare in proposito;
   ci si chiede, quindi, se non sia opportuno proseguire e concludere l’iter della sperimentazione del «metodo Stamina», nel pieno rispetto di quanto previsto espressamente dal comma 2-bis dell'articolo 2 del decreto-legge 25 marzo 2013, n. 24;
   non è, inoltre, chiaro, a parere dell'interrogante, su che basi sia stata scelta l'associazione Eurordis come rappresentativa di pazienti in cura o in lista d'attesa a Brescia, visto che nessuno di loro è iscritto a tale associazione; mentre è risaputo che sono certamente rappresentative dei pazienti associazioni quali il Movimento Vite Sospese, Viva la Vita Onlus, Sicilia Risvegli, Orsa, Niemann Pick ed altre;
   ci si chiede, altresì, se sia opportuno emettere un giudizio in astratto sull'efficacia della metodica Stamina senza aver mai valutato i pazienti che si sono sottoposti alle infusioni e se sia opportuno siffatto giudizio, alla luce del fatto che molti dei membri del comitato scientifico si erano espressi negativamente già precedentemente, dando prova di poca imparzialità;
   rimane invero il dato incontrovertibile che in nessun caso i pazienti sotto la cura con il «metodo Stamina» hanno avuto effetti collaterali, ma anzi molti di loro hanno riportato addirittura miglioramenti, benché affetti da malattie neurodegenerative;
   si ritiene, quindi, indispensabile garantire un'adeguata valutazione del quadro clinico dei pazienti in cura presso l'ospedale di Brescia, specie dopo le affermazioni rilasciate pubblicamente dal Ministro interrogato relative all'assenza di miglioramenti desumibile dalle cartelle cliniche dell'ospedale di Brescia, affermazioni peraltro sconfessate da una nota trasmissione televisiva –:
   ai fini di una valutazione corretta e completa del quadro clinico dei pazienti, se si ritenga opportuna l'acquisizione non solo delle cartelle cliniche in possesso degli Spedali Civili di Brescia, ma anche quelle raccolte da altri ospedali e specialisti che hanno avuto in cura i pazienti. (3-00405)
(29 ottobre 2013)

   CALABRÒ, COSTA, FUCCI, MARTI, ROCCELLA e DORINA BIANCHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 16 ottobre 2013 si è celebrata la Giornata mondiale dell'alimentazione e nella prestigiosa sede della Fao in Roma si è tenuto un convegno in cui sono stati affrontati i temi della disponibilità delle risorse alimentari tanto nei Paesi in via di sviluppo, quanto in quelli economicamente più avvantaggiati;
   in Italia, come nella maggior parte dei Paesi a più alto reddito pro capite, gli sprechi di alimenti sono aumentati e parimenti è aumentato anche il numero delle persone indigenti che non hanno le risorse economiche per poter accedere in maniera continuativa ed adeguata a cibo sufficiente;
   gli sprechi avvengono sia a livello familiare, come dimostra il fatto che ogni famiglia italiana spreca, in media, 49 chili di cibo ogni anno, sia a livello di ristorazione pubblica e privata;
   durante tutta la filiera agroalimentare numerose sono le perdite dovute a vari fattori, ma è sopratutto durante la fase della commercializzazione che una notevole quantità di prodotti invenduti, ancora idonei per il consumo umano, vengono destinati alla distruzione, provocando non solo lo spreco di alimenti, che potrebbero sostenere le necessità di persone indigenti, ma anche l'aggravamento delle problematiche relative al loro smaltimento;
   recenti ricerche dimostrano che nelle strutture ospedaliere pubbliche e private accreditate si realizza un enorme spreco di cibi e di pasti, pari a circa il 30 per cento, il che incide negativamente sia sulla qualità dei servizi di ristorazione che sui costi;
   nonostante l'approvazione della legge 25 giugno 2003, n. 155, che reca «Disciplina della distribuzione dei prodotti alimentari a fini di solidarietà sociale», non sembra che sia stato pienamente raggiunto lo scopo prefissato di permettere un efficace recupero di alimenti da operatori del settore alimentare e dalle strutture pubbliche e private in cui avviene la produzione, commercializzazione e distribuzione di alimenti, ai fini della distribuzione alle persone indigenti o alle associazioni che, senza fini di lucro, hanno finalità caritatevoli –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per consentire, eventualmente tramite una modifica della sopra citata legge n. 155 del 2003, da un lato, un'effettiva semplificazione delle procedure di cessione di alimenti da parte degli operatori del settore alimentare, in particolare nell'ambito della ristorazione svolta nelle strutture sanitarie pubbliche e private, e, dall'altro, la garanzia della sicurezza degli alimenti per i consumatori finali, approntando idonee misure relative allo stoccaggio temporaneo degli alimenti stessi e affidando alle competenti strutture del servizio sanitario nazionale le opportune verifiche affinché non sia messa in alcun modo a rischio la salute degli indigenti, consentendo loro di usufruire di un bene che, altrimenti, sarebbe destinato alla distruzione. (3-00406)
(29 ottobre 2013)

   TOTARO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'ottobre 2011 presso l'azienda ospedaliera Spedali civili di Brescia è stata avviato su alcuni pazienti il trattamento con terapia cellulare compassionevole prodotta da Stamina;
   il metodo proposto prevede la cura di soggetti malati attraverso la conversione di cellule staminali mesenchimali;
   la sperimentazione presso l'ospedale di Brescia, avviata sulla base di un accordo di collaborazione sottoscritto da Spedali Brescia e il presidente di Stamina Foundation onlus, professor Vannoni, è stata successivamente interrotta in seguito ad un'ispezione nella struttura dei nuclei antisofisticazione e sanità e dell'Agenzia italiana del farmaco, nella quale l'Aifa aveva accertato che le terapie, con medicinali a base di cellule staminali mesenchimali preparati secondo il metodo della Stamina Foundation, erano preparate in un laboratorio dello stesso ospedale non autorizzato alla produzione di tale tipologia di medicinali;
   in seguito a diversi provvedimenti giurisdizionali, in esito a ricorsi proposti dai pazienti per vedersi riconosciuto il diritto a proseguire con la cura secondo il cosiddetto metodo Stamina, e ad alcuni provvedimenti legislativi, che hanno fatto salvo il diritto degli stessi pazienti già in cura di terminare la stessa, da ultimo con il decreto-legge 25 marzo 2013, n. 24, è stato previsto che fosse avviata una sperimentazione clinica «coordinata dall'Istituto superiore di sanità (ISS), condotta anche in deroga alla normativa vigente e da completarsi entro 18 mesi a decorrere dal 1o luglio 2013, concernente l'impiego di medicinali per terapie avanzate a base di cellule staminali mesenchimali», anche vincolando, a tal fine, un milione di euro per l'anno 2013 e due milioni di euro per l'anno 2014 del fondo sanitario nazionale;
   con successivo decreto ministeriale del 18 giugno 2013 è stato istituito il comitato scientifico della sperimentazione del «metodo Stamina», incaricato di svolgere l'attività preparatoria alla stessa procedura di sperimentazione;
   tra i compiti del comitato scientifico vi era, quindi, anche quello dell'acquisizione delle modalità di preparazione, al fine di poter garantire la ripetibilità delle terapie, e il relativo documento è stato depositato dal presidente della Stamina Foundation onlus in data 1o agosto 2013;
   il 10 ottobre 2013 il dipartimento della programmazione e dell'ordinamento del servizio sanitario nazionale ha emesso una «presa d'atto su impossibilità prosecuzione sperimentazione metodo Stamina», basando la propria decisione su alcune criticità riscontrate nel citato documento e, in particolare, sulla «inadeguata descrizione del metodo», sulla «insufficiente definizione del prodotto» e su «potenziali rischi» per i pazienti;
   la decisione di sospendere la sperimentazione clinica del «metodo Stamina», ad avviso dell'interrogante, non solo contravviene ad un atto avente forza di legge approvato dal Parlamento, ma, soprattutto, desta forte preoccupazione nei malati che si stavano curando con tale metodo e nelle loro famiglie;
   il «metodo Stamina», infatti, seppur sinora non sottoposto ad una sperimentazione clinica, ha dato dei risultati in moltissimi casi, creando miglioramenti in soggetti affetti da patologie molto gravi se non addirittura malati terminali, consentendo, inoltre, agli stessi di ritrovare la speranza di guarire o, almeno, di riguadagnare una vita degna di essere definita tale –:
   se non ritenga di dover assumere con urgenza le iniziative necessarie a consentire la prosecuzione della sperimentazione del «metodo Stamina». (3-00407)
(29 ottobre 2013)

   RIZZETTO, ROSTELLATO, BECHIS, CIPRINI, COMINARDI, TRIPIEDI e BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo le previsioni di Bloomberg new energy – il ramo «energia» della multinazionale specializzata in mass media finanziari – le fonti rinnovabili si starebbero adattando al periodo post incentivo, misurandosi con un mercato mondiale che ne vede la crescita continua;
   a livello globale, nel 2013 il fotovoltaico supererà per potenza installata l'eolico, trend confermato anche da un recente studio del Worldwatch Institute sui Paesi che sostengono le rinnovabili, passati dai 48 del 2005 a 127 nella metà del 2013;
   l'Italia nel 2011 è stato il più grande mercato mondiale di riferimento, con 18.500 occupati diretti, che arrivano a oltre 100.000 unità includendo l'indotto;
   il comparto ora è in difficoltà a causa della crisi economica e del credito, del crollo del prezzo di celle e moduli, oltre che per il raggiungimento in pochi mesi del limite finanziabile con le risorse previste dal quinto «conto energia» (6,7 miliardi di euro);
   la grave situazione in cui versa il settore è testimoniata dalle aziende Mx group di Villasanta (Monza) e Solarday di Mezzago (Milano) che realizzavano pannelli fotovoltaici, poi fallite e messe in liquidazione, come riportato il 7 ottobre 2013 dalla testata online de Il Fatto quotidiano;
   i 200 lavoratori – impiegati nelle due imprese del distretto brianzolo legato alla produzione di apparecchiature utili per sfruttare le energie rinnovabili – sono in cassa integrazione e molti di loro, principalmente quelli della Solarday, da marzo 2013 devono ancora ricevere gli assegni relativi;
   alle sopra menzionate aziende brianzole se ne aggiungono oltre 200 del distretto più importante per il settore, quello in provincia di Padova, il cui indotto coinvolge circa 5.000 persone;
   in questo contesto sarebbe opportuno sostenere il comparto garantendo la stabilità al sistema incentivante previsto dal cosiddetto «decreto ecobonus» (decreto-legge n. 63 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 90 del 2013), che proroga al 31 dicembre 2013 le detrazioni fiscali del 50 per cento per gli interventi di ristrutturazione degli edifici, inclusi gli impianti fotovoltaici, considerandone, inoltre, un eventuale innalzamento percentuale –:
   se il Ministro interrogato intenda attivare immediatamente un tavolo di concertazione, con la partecipazione delle parti sociali e delle imprese interessate, per individuare una soluzione che consenta di salvaguardare i poli produttivi sopra menzionati e il livello occupazionale, fondamentali per mantenere la competitività in un settore cruciale come quello fotovoltaico. (3-00408)
(29 ottobre 2013)

   DI SALVO, MIGLIORE, PAGLIA, LAVAGNO, RAGOSTA, BOCCADUTRI e MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   gli istituti di credito italiani, oltre ad avere venduto titoli tossici ai cittadini (si vedano i casi Parmalat e Cirio, tra gli altri) e negato il credito a famiglie e imprese, hanno remunerato con decine di milioni di euro i propri dirigenti, dopo che questi avevano realizzato truffe ed ingenti danni patrimoniali;
   i Governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno provveduto a spendere denaro pubblico in soccorso degli istituti in difficoltà (Banca popolare di Milano, Monte dei Paschi di Siena ed altri);
   la Banca centrale europea, con le due long term refinancing operation, ha prestato ad un tasso dell'1 per cento circa 230 miliardi di euro alle banche italiane;
   nella stessa legge di stabilità per il 2014, per favorire le banche, il Governo ha previsto la deducibilità sui crediti bancari, abbreviandone il periodo rispetto alla normativa precedente da 18 a 5 anni;
   è stato istituito un comitato di esperti per valutare la possibilità di rivalutare a prezzi di «mercato» le quote azionarie della Banca d'Italia possedute dalle banche, ipotizzando, inoltre, un'aliquota ridotta per l'imposta sulle plusvalenze che ne deriverebbero;
   di fronte a tali impegni finanziati con risorse pubbliche, ci si sarebbe aspettato un diverso atteggiamento da parte dei dirigenti degli istituti di credito in merito alla concessione di credito alle famiglie ed alle imprese, nonché verso i propri dipendenti;
   viceversa, malgrado tutte queste misure di favore, gli istituti di credito italiani, tramite la loro associazione di categoria, l'Abi, hanno disdetto il contratto nazionale di lavoro, proponendo per ogni istituto un contratto aziendale, ed hanno disdetto – pur in vista di piani di ristrutturazione delle principali banche – il fondo di solidarietà di categoria, attraverso il quale negli anni scorsi si sono gestiti senza eccessivi traumi più di 50 mila «esuberi»;
   i sindacati di categoria per protestare contro queste disdette hanno proclamato per giovedì 31 ottobre 2013 uno sciopero di tutta la categoria –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo per ricondurre gli istituti di credito ad un comportamento più consono al loro ruolo ed alle loro responsabilità economiche e sociali, nonché affinché siano ritirate le disdette del contratto nazionale di lavoro e del fondo di solidarietà della categoria. (3-00409)
(29 ottobre 2013)

   CERA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, ha stabilito i nuovi requisiti per il diritto alla pensione anticipata che, per l'anno 2012, si conseguivano alla maturazione del 42o anno ed un mese di anzianità contributiva per gli uomini e al 41o anno ed un mese per le donne;
   sono comunque rimasti soggetti al regime previgente l'entrata in vigore della legge citata i dipendenti che avevano maturato i requisiti per il pensionamento entro la data del 31 dicembre 2011, sia per età, sia per anzianità contributiva di 40 anni indipendentemente dall'età, sia per somma dei requisiti di età e di anzianità contributiva («quota 96»);
   l'articolo 1, comma 9, della legge 23 agosto 2004, n. 243, tuttora vigente, prevede, fino al 2015 in via sperimentale e solo per le donne, l'opzione per il trattamento pensionistico con il sistema contributivo se in possesso del requisito dei 57 anni compiuti e di almeno 35 anni di contributi;
   le lavoratrici del comparto scuola in possesso di tali requisiti anagrafici e contributivi, a decorrere dal 1o gennaio 2012, potevano usufruire della finestra di cui all'articolo 1, comma 21, del decreto-legge n. 138 del 2011 e accedere al pensionamento solo a decorrere dal 1o settembre 2013;
   in tale contesto il personale femminile del comparto scuola, pur avendo maturato i requisiti entro il 31 agosto 2012, è rimasto bloccato a seguito dell'entrata in vigore dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011 («legge Fornero») e per potere andare in pensione gran parte di tale personale ha optato per la cessazione del servizio ed il trattamento pensionistico con il sistema contributivo;
   questa scelta comporta una forte penalizzazione dal punto di vista dell'importo della pensione, basti pensare che un docente cessato dal servizio con 40 anni di contributi ma non in possesso dei requisiti anagrafici al 31 dicembre 2011, subisce una decurtazione di 6-700 euro rispetto a quanti sono andati in pensione con il sistema retributivo;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con la nota n. 2085 del 1o ottobre 2013, ha chiesto una quantificazione degli oneri per un'eventuale estensione dal 31 dicembre 2011 al 31 agosto 2012 del possesso dei requisiti pensionistici previgenti la «legge Fornero», per coloro che volessero cessare dal servizio dal 1o settembre 2014 usufruendo del sistema retributivo;
   questo produrrebbe un'ingiusta discriminazione nei confronti di coloro che hanno optato per il regime previsto dall'articolo 1, comma 9, della legge n. 243 del 23 agosto 2004 e che hanno subito una forte decurtazione dell'assegno pensionistico –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di adottare iniziative, anche di tipo normativo, volte a sanare una situazione che presenta evidenti disparità di trattamento e che sarebbe passibile di costosi ed inutili ricorsi che vedrebbero l'amministrazione soccombente. (3-00410)
(29 ottobre 2013)

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