TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 122 di Mercoledì 20 novembre 2013

 
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MOZIONE COLLETTI ED ALTRI N. 1-00230, PRESENTATA A NORMA DELL'ARTICOLO 115, COMMA 3, DEL REGOLAMENTO, NEI CONFRONTI DEL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, ANNAMARIA CANCELLIERI

   La Camera,
   premesso che:
    un Ministro, soprattutto di un dicastero chiave come quello della giustizia, rappresenta la figura più alta della gerarchia amministrativa, deve non solo essere, ma anche apparire terzo rispetto ai propri atti ed ai propri comportamenti;
    ogni Ministro, nell'espletamento della propria opera, dovrebbe spogliarsi da sentimenti di amicizia o restituzione di favori confliggenti con il proprio ruolo istituzionale, proprio perché ruolo preminentemente di garanzia verso i cittadini ed i propri dipendenti, nella piena attuazione dell'articolo 3 della Costituzione e del fondamentale principio della separazione dei poteri;
    da notizie di stampa de la Repubblica e de il Fatto Quotidiano del 31 ottobre 2013 risulta che la procura di Torino sia in possesso di tabulati telefonici che contengono diversi contatti tra la famiglia Ligresti ed il Ministro della giustizia Cancellieri, oltre al di lei figlio, fin dal giorno degli arresti della figlia Giulia;
    il 17 luglio del 2013 il tribunale di Torino ha disposto gli arresti per Salvatore Ligresti, per i suoi tre figli e per tre manager della compagnia Fonsai per falso in bilancio aggravato e aggiotaggio;
    per Salvatore Ligresti e i tre manager veniva disposto il giudizio immediato;
    lo stesso giorno degli arresti, risulta che il Ministro abbia telefonato alla compagna dell'arrestato Salvatore Ligresti per esprimere solidarietà e vicinanza alla famiglia, specificando che «qualsiasi cosa io possa fare, conta su di me» e che «proprio qualsiasi cosa adesso serva, non fate complimenti, guarda. Non è giusto, guarda, non è giusto»;
    dalle intercettazioni telefoniche risulta che, a metà agosto 2013, la compagna di Salvatore Ligresti, Gabriella Fragni, abbia suggerito al cognato Antonio Ligresti «di contattare il Ministro come ultimo tentativo, visto che la situazione della figlia Giulia non trovava soluzione»;
    risultano dai tabulati diverse telefonate del Ministro stesso con i fratelli della famiglia Ligresti e risultano chiamate telefoniche ai due vice capi del dipartimento per l'amministrazione penitenziaria, Francesco Cascini e Luigi Pagano, per «sensibilizzarli» sul fatto che la figlia dell'ingegnere, arrestata il 28 luglio 2013, soffrisse di anoressia;
    risulta, inoltre, intorno alla metà di agosto 2013, con inconsueto zelo e tempestività, «un referto inviato dalle psicologhe dell'istituto penitenziario di detenzione della Ligresti in cui si segnalava lo stato di depressione della donna e si certificava l'incompatibilità del regime carcerario con le condizioni di salute della stessa»;
    il 28 agosto 2013, undici giorni dopo la telefonata di Antonio Ligresti, fratello di Salvatore Ligresti, diretta al Ministro, venivano concessi gli arresti domiciliari a Giulia Maria Ligresti;
    risulta che l'interessamento del Ministro verso la situazione di Giulia Ligresti sia confermato anche nel verbale di interrogatorio del 22 agosto 2013, durante il quale il Ministro dichiarava al procuratore aggiunto Vittorio Nessi che: «si è trattato di un intervento umanitario assolutamente doveroso in considerazione del rischio connesso con la detenzione»;
    solo a metà settembre 2013, 20 giorni dopo la commutazione della custodia cautelare in carcere in arresti domiciliari, Giulia Ligresti, coinvolta nell'inchiesta Fonsai, risulta l'unica, al momento, ad aver patteggiato: infatti, il 19 settembre 2013 veniva condannata a due anni e otto mesi di reclusione;
    l'intervento del Ministro a favore della scarcerazione di Giulia Ligresti «per motivi legati all'anoressia» presenta aspetti molto discutibili e che devono essere chiariti sul piano politico e non solo su quello giudiziario, in quanto risulta grave che l'intervento in questione sia stato richiesto da una telefonata privata e che abbia riguardato una classica detenuta eccellente;
    il Ministro della giustizia, nel corso del citato interrogatorio, ha ammesso di avere ricevuto la telefonata di Antonino Ligresti in cui questi le rappresentava preoccupazione per lo stato di salute della nipote Giulia, sofferente di anoressia e che, pare, «rifiutasse il cibo in carcere», e ha ammesso di aver «sensibilizzato i due vice capi del dipartimento per l'amministrazione penitenziaria, perché facessero quanto di loro stretta competenza per la tutela della salute dei carcerati»;
    «Cascini era al corrente della situazione perché lo aveva già letto sui giornali e si era già posto il problema. Dopo di allora non li ho più sentiti e non so se siano intervenuti e, eventualmente, in che termini», conclude il Ministro con una excusatio non petita, chiarendo, dunque, che il suo interessamento era stato per un carcerato soltanto, Giulia Maria Ligresti;
    inoltre, la vicinanza tra il Ministro e la famiglia Ligresti, è di tutta evidenza in considerazioni del fatto che da notizie di stampa de Il Fatto Quotidiano del 2 novembre 2013 risulta che, quando Anna Maria Cancellieri ricopriva l'incarico di capo ufficio stampa della prefettura di Milano, Ligresti nel 1986 fu travolto dal suo primo scandalo, quello delle «aree d'oro». Mentre era indagato, la già amica in prefettura lo assisteva, tanto da fare gli onori di casa, nel 1987, a un incontro tra un cronista de Il Giornale e Antonino Ligresti, che protestava per come il quotidiano diretto da Indro Montanelli stava trattando lo scandalo. Alla luce dei recenti avvenimenti, risulta alquanto strano come una capo ufficio stampa della prefettura, a tempo perso, facesse le pubbliche relazioni di un costruttore sotto inchiesta per abusi edilizi;
    per completezza di informazioni, occorre, altresì, sottolineare che il figlio del Ministro, Piergiorgio Peluso, risulta aver lavorato in Fonsai dal maggio del 2011, dopo essere stato responsabile del Corporate & investment banking di Unicredit per l'Italia, posizione dalla quale aveva trattato l'esposizione delle società della famiglia siciliana;
    il Peluso risulta aver incassato nel 2012 una buonuscita di 3,6 milioni di euro dopo un solo anno di lavoro come direttore generale della compagnia assicurativa Fondiaria Sai, in virtù delle clausole contenute nel suo contratto che consentivano, in caso di cambio di controllo o di demansionamento, la possibilità di dimettersi con giusta causa e di incassare l'equivalente di tre annualità. Facoltà che Peluso ha deciso di esercitare dopo un anno, non rientrando una sua conferma nei programmi di Unipol, nel frattempo salita sulla plancia di comando dell'ex compagnia dei Ligresti;
    inoltre, secondo annotazioni della Guardia di finanza di Torino del 29 agosto 2013, il Peluso «continua a intrattenere rapporti con alcuni dirigenti del gruppo, interessandosi sia alle vicende giudiziarie che a quelle societarie»;
    è, inoltre, da ricordare che il signor Salvatore Ligresti negli anni ’90 era stato già condannato, in via definitiva, per corruzione nell'ambito dello scandalo della Metropolitana di Milano e delle Ferrovie Nord;
    alla luce di ciò il comportamento del Ministro appare ancora più grave;
    in carcere si soffre e si muore: ogni giorno è emergenza umanitaria nelle carceri italiane;
    purtroppo, agli appelli quotidiani lanciati dai garanti dei diritti dei detenuti, alle preoccupazioni dei parenti dei reclusi, ai casi conclamati di incompatibilità delle condizioni di salute con la penosa condizione degli istituti e dei servizi sanitari interni, al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria non sanno cosa rispondere, ma «si pongono il problema» – per usare le parole della Cancellieri riferite al vice capo Francesco Cascini – guarda caso solo per una detenuta eccellente, mentre altri 70.000 continuano a soffrire ed a morire;
    è particolarmente grave che il Ministro si serva di figure di garanzia come i magistrati, vice capi del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per adempiere ai suoi debiti privati, attraverso presunti atti di deviazione delle funzioni pubbliche. Ed è ancor più grave se, di fronte ad un'ingerenza interessata del Ministro, i magistrati che operano al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria possano essere stati servizievoli col potere Esecutivo e – anche a volere ritenere che non siano intervenuti (ma è difficile ritenerlo visto che «già si erano posti il problema») – comunque non abbiano preso le distanze da un simile comportamento; non abbiano riferito formalmente all'autorità giudiziaria dell'interessamento non ufficiale ricevuto da parte del Ministro, così venendo meno alla funzione di garanzia e di pari trattamento di tutti i detenuti;
    di fronte ad un'indagine ancora in corso, gli elementi a disposizione della magistratura richiedono un chiarimento su quanto sia davvero accaduto e il solo sospetto che un Ministro della giustizia possa aver ricevuto ed esercitato pressioni è un'ombra di cui un membro delle istituzioni non si può vestire;
    d'altra parte siamo memori di un caso, avvenuto nella XVI legislatura e riguardante un Presidente del Consiglio dei ministri e la questura di Milano, che può sembrare molto simile alla situazione in questione;
    un Ministro della giustizia che si sia lasciato condizionare nel suo operato dai suoi rapporti personali con la famiglia Ligresti – e dai rapporti economici poco chiari del figlio – agendo, oltretutto, con una marcata disparità di trattamento verso gli altri detenuti «non eccellenti» ed utilizzando i magistrati che operano all'interno del Ministero, è un'ombra indelebile sulla sua figura istituzionale da un punto di vista etico, morale e politico,
   per tutti i motivi esposti in premessa:
    visti gli articoli 94 della Costituzione e 115 del Regolamento della Camera dei deputati;
    esprime sfiducia al Ministro della giustizia Anna Maria Cancellieri e lo impegna a rassegnare le dimissioni.
(1-00230)
«Colletti, Businarolo, Sarti, Bonafede, Turco, Ferraresi, Micillo, Agostinelli, Villarosa, Nuti, D'Incà, Alberti, Artini, Barbanti, Basilio, Bechis, Massimiliano Bernini, Nicola Bianchi, Brugnerotto, Cancelleri, Carinelli, Castelli, Cecconi, Ciprini, Cominardi, Cozzolino, Currò, Dadone, Dall'Osso, De Lorenzis, Del Grosso, Dell'Orco, Di Benedetto, Manlio Di Stefano, Dieni, D'Uva, Fraccaro, Gagnarli, Luigi Gallo, Grande, Cristian Iannuzzi, Liuzzi, Lorefice, Baldassarre, Baroni, Battelli, Benedetti, Paolo Bernini, Brescia, Busto, Cariello, Caso, Catalano, Chimienti, Colonnese, Corda, Crippa, Da Villa, Daga, D'Ambrosio, De Rosa, Della Valle, Di Battista, Luigi Di Maio, Di Vita, Fantinati, Fico, Frusone, Gallinella, Silvia Giordano, Grillo, L'Abbate, Lombardi, Lupo, Mannino, Marzana, Nesci, Parentela, Petraroli, Prodani, Rizzo, Rostellato, Scagliusi, Sibilia, Spadoni, Tacconi, Tofalo, Tripiedi, Simone Valente, Vignaroli, Zolezzi, Mantero, Mucci, Pesco, Pisano, Rizzetto, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Segoni, Sorial, Spessotto, Terzoni, Toninelli, Vacca, Vallascas».
(4 novembre 2013)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   GALLINELLA, CARINELLI, LUPO, COLONNESE, BENEDETTI, NESCI, GAGNARLI PINNA L'ABBATE SPESSOTTO, MASSIMILIANO BERNINI, VIGNAROLI, PARENTELA, FICO e LUIGI DI MAIO. — Al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   la politica di coesione svolge un ruolo determinante nella promozione economica e sociale del territorio unionale, con l'obiettivo di ridurre gli squilibri macroeconomici delle diverse regioni e di perseguire una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva;
   al fine di ottimizzare l'efficacia degli interventi strutturali, il pacchetto legislativo di riforma degli strumenti della politica di coesione per il periodo 2014-2020, presentato dalla Commissione europea ed attualmente all'esame delle istituzioni competenti, ricomprendendo in un unico quadro strategico tutti i fondi strutturali, stabilisce disposizioni comuni al fondo europeo di sviluppo regionale, al fondo sociale europeo, al fondo di coesione, al fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e al fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca;
   con riferimento al nostro Paese, le criticità connesse all'utilizzazione dei fondi evidenziano una debolezza di sistema che va dalle difficoltà dei ministeri e delle regioni a programmare e gestire gli interventi, all'incapacità dei beneficiari di progettare ed accedere ai finanziamenti, passando per le note vicende di clientelismo territoriale con una frequente distribuzione di risorse «a pioggia», che, lungi dal conseguire un ottimale rapporto costi-benefici, risponde unicamente a logiche contingenti che vanificano qualsiasi obiettivo di sviluppo;
   in considerazione delle numerose problematiche che attengono alla gestione dei fondi in oggetto, che per l'Italia si traducono in un inutilizzo di risorse per circa 15 miliardi di euro da spendere entro il 2015, la riforma messa a punto dall'Esecutivo comunitario si basa su un'impostazione maggiormente orientata al risultato e alla valutazione, articolata in base ad un sistema, che, se da un lato privilegia una governance multilivello in un'ottica di maggior coinvolgimento e partecipazione, dall'altro introduce una politica di trasferimenti condizionati che rischia di complicare ulteriormente il quadro generale;
   sebbene l'introduzione di meccanismi finalizzati al miglioramento della qualità della spesa sia ritenuta assolutamente necessaria, il sistema delle prescrizioni delineato dalle proposte di riforma appare estremamente rigido e merita di essere analizzato con attenzione per evitare che le condizionalità si trasformino in ulteriori vincoli nella realizzazione dei progetti da parte dei potenziali beneficiari;
   in particolare, la condizionalità macroeconomica, totalmente inadeguata in un contesto di programmazione regionalizzata, legando l'erogazione dei contributi comunitari al rispetto dei parametri imposti dal coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, penalizza oltremodo le regioni, autorità di gestione dei programmi, per una responsabilità imputabile esclusivamente al Governo centrale che non abbia rispettato le regole in materia di deficit;
   la prevista riserva di performance, inoltre, prescrivendo l'accantonamento obbligatorio del 5 per cento della dotazione di ciascun fondo in una riserva da ripartire una volta conseguiti determinati obiettivi, potrebbe sacrificare la qualità degli interventi progettuali a vantaggio della necessità di evitare la perdita di risorse, con la definizione da parte delle regioni di traguardi piuttosto mediocri ma facilmente raggiungibili e senza alcun meccanismo premiante per le realtà più virtuose; non è chiaro, poi, se, a seguito dell'eventuale non assegnazione della riserva, la quota accantonata rimanga all'interno dello Stato membro o debba essere riassegnata al bilancio comunitario;
   nell'applicazione del regolamento sul quadro strategico comune desta particolare attenzione, come in verità in molti altri casi di applicazione della normativa comunitaria, l'esercizio della delega da parte della Commissione europea, posto che l'atto delegato, ancorché esercitato nel rispetto dei limiti previsti dall'articolo 290 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, può rappresentare, di fatto, una delega in bianco per l'Esecutivo comunitario, autorizzato a legiferare su questioni che, ancorché non riferiti ad elementi essenziali di un atto legislativo, dovrebbero poter essere modificate soltanto mediante procedura legislativa ordinaria –:
   quali azioni il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di garantire ai beneficiari l'erogazione dei contributi per la realizzazione dei progetti finanziati, nel caso in cui vengano sospesi i pagamenti relativi ai programmi interessati, in applicazione dell'articolo 21, paragrafo 5, della proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, recante disposizioni comuni sul fondo europeo di sviluppo regionale, sul fondo sociale europeo, sul fondo di coesione, sul fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca compresi nel quadro strategico comune e disposizioni generali sul fondo europeo di sviluppo regionale, sul fondo sociale europeo e sul fondo di coesione, e che abroga il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio - 2011/0276(COD), e se l'accantonamento a valere sulla riserva di efficacia ed efficienza, di cui all'articolo 18 della citata proposta di regolamento, sia destinato a restare nelle disponibilità dello Stato membro eventualmente inadempiente. (3-00456)
(19 novembre 2013)

   SCHIRÒ, BUTTIGLIONE e GALGANO. — Al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   martedì 19 novembre 2013 si è votato a Strasburgo il bilancio pluriennale 2014-2020 che mette a disposizione dell'Italia, in termini di fondi strutturali, una dote di circa 31,8 miliardi di euro, cui si sommerà una quota di cofinanziamento nazionale pari a 24 miliardi di euro;
   tuttavia, si deve rilevare che, a pochi mesi dalla chiusura del ciclo 2007-2013 della programmazione dei fondi europei, l'Italia ha speso circa il 40 per cento delle risorse programmate, che ammontano oggi, a seguito delle ultime riprogrammazioni, a 49,5 miliardi di euro, compreso il relativo cofinanziamento nazionale;
   poiché per la realizzazione dei programmi europei vengono concessi due anni di tempo dalla fine del ciclo di programmazione, entro la fine del 2015 l'Italia dovrà spendere tutte le risorse non ancora utilizzate: più o meno 1 miliardo di euro al mese per ventisei mesi, da certificare a Bruxelles;
   mentre in Spagna ed in Germania esistono da tempo agenzie impegnate ad evitare ritardi nell'utilizzo dei fondi strutturali, in Italia la neonata Agenzia per la coesione territoriale, istituita per monitorare i programmi operativi e per assistere le amministrazioni centrali e regionali che gestiscono fondi europei, è ancora in attesa di una sua piena definizione normativa, compresa l'approvazione del suo statuto;
   vi è il fondato rischio che, con questo ritmo di spesa, il nostro Paese possa perdere una buona parte dei fondi dell'Unione europea a sua disposizione;
   l'impiego di fondi per la realizzazione di politiche per la coesione è, nell'attuale contesto economico, fondamentale per il rilancio del sistema produttivo italiano, l'incremento dell'occupazione e la tenuta sociale nel nostro Paese, in tutte le sue regioni –:
   quali iniziative urgenti intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, per uscire da questa impasse che rischia di danneggiare fortemente il nostro Paese in generale, soprattutto, quelle regioni che potrebbero avere da questi fondi le risorse necessarie per effettuare investimenti e produrre nuova occupazione. (3-00457)
(19 novembre 2013)

   PANNARALE, RICCIATTI e MIGLIORE. — Al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 9 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, prevede la «Accelerazione nell'utilizzazione dei fondi strutturali»;
   l'articolo 4 del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, prevede «Misure per la velocizzazione delle procedure in materia di riprogrammazione dei programmi nazionali cofinanziati dai fondi strutturali e di rimodulazione del piano di azione coesione»;
   i commi 1 e 2 dell'articolo 4 del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, disciplinano la disponibilità di spesa delle risorse derivanti dalla riprogrammazione dei programmi nazionali cofinanziati dai fondi strutturali 2007/2013 e le misure atte ad accelerare le procedure per la riprogrammazione dei programmi nazionali cofinanziati dai fondi strutturali europei e per la rimodulazione del piano d'azione coesione, al fine di rendere disponibili risorse necessarie per il finanziamento degli interventi a favore dell'occupazione giovanile e dell'inclusione sociale nel Mezzogiorno, disposti, rispettivamente, dall'articolo 1, comma 12, lettera a), e dall'articolo 3, commi 1 e 2, del decreto;
   l'operatività della riprogrammazione del piano d'azione coesione è operata dal gruppo d'azione coesione (di cui al decreto del Ministro per la coesione territoriale del 1o agosto 2012, ai sensi del punto 3 della delibera Cipe del 3 agosto 2012, n. 96), che provvede a determinare, anche sulla base degli esiti del monitoraggio sull'attuazione delle misure di spesa dei fondi strutturali, le occorrenti rimodulazioni delle risorse destinate alle misure del piano d'azione coesione. Dall'ammontare della rimodulazione si tiene conto nel riparto delle risorse da assegnare a valere sui fondi strutturali per il periodo di programmazione 2014-2020;
   l'operatività delle misure strutturali incentivanti decorre soltanto dalla data di perfezionamento dei rispettivi atti di riprogrammazione dei programmi nazionali cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013, che le amministrazioni titolari dei programmi operativi interessati (programma operativo nazionale e programmi operativi interregionali) dovevano avviare entro il 28 luglio 2013 le procedure necessarie atte a modificare i pertinenti programmi, sulla base della vigente normativa europea;
   le amministrazioni centrali e regionali hanno incontrato rilevanti difficoltà nell'utilizzare le risorse comunitarie secondo la tempistica definita dalle norme comunitarie e, specificatamente, la regola europea dell'N+2 prevede che per ogni annualità delle risorse impegnate per ciascun fondo sul bilancio comunitario (fondo sociale europeo, fondo europeo di sviluppo regionale, e programma operativo), la quota che non risulta effettivamente spesa e certificata alla Commissione europea, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello dell'impegno di bilancio, viene disimpegnata automaticamente. Il disimpegno delle risorse comunitarie comporta anche la parallela riduzione di disponibilità delle relative risorse di cofinanziamento nazionale;
   il Ministro interrogato, nel corso dell'audizione del 12 giugno 2013 tenutasi presso le Commissioni riunite V e XIV della Camera dei deputati, ha posto in rilievo il rischio di disimpegno di un'elevata percentuale dei fondi assegnati, sottolineando la necessità di un'ulteriore azione di riprogrammazione delle risorse a rischio, volta a concentrare i fondi resi disponibili su poche misure con effetto anticiclico: lotta alla disoccupazione giovanile e al progressivo impoverimento delle famiglie, soprattutto al Sud, e sostegno al sistema delle imprese attraverso la promozione degli investimenti in grado di stimolare le economie locali;
   il Ministro interrogato, sempre nel corso dell'audizione, ha fornito informazioni circa l'area ad alto rischio disimpegno riguardante, soprattutto, alcuni programmi nazionali e programmi regionali dell'obiettivo convergenza. Secondo una prima stima effettuata dal Ministero, il rischio disimpegno delle risorse comunitarie, per i programmi dell'obiettivo convergenza afferenti al fondo europeo di sviluppo regionale, sarebbe di almeno 3,6 miliardi di euro e riguarderebbe i programmi operativi regionali Campania, Calabria, Sicilia e i programmi operativi nazionali «reti e mobilità», «energie rinnovabili», «attrattori culturali» e «sicurezza», mentre le risorse a rischio per i programmi afferenti al fondo sociale europeo sarebbe di 0,5 miliardi di euro complessivi;
   con un comunicato stampa del 4 novembre 2013, il Ministro interrogato ha affermato che la spesa certificata presentata il 31 ottobre 2013 dall'Italia a Bruxelles, nell'attuazione dei fondi comunitari, ha raggiunto il 47,5 per cento per cento della dotazione totale, superando di 4 punti il target nazionale, pari a 22,693 miliardi di euro;
   sulla base dei dati forniti dalla Ragioneria generale dello Stato, Ispettorato generale rapporti con l'Unione europea, Igrue, aggiornati al 24 ottobre 2013, le risorse ancora da spendere entro il 31 dicembre 2015 (termine ultimo per effettuare pagamenti), come riprogrammate a seguito dei 3 aggiornamenti del piano di azione coesione, ammontano a circa 26,9 miliardi di euro –:
   quali iniziative urgenti e misure con effetto anticiclico il Governo intenda assumere al fine di evitare la perdita di una così consistente quota di risorse comunitarie, al fine di scongiurare il disimpegno dell'ingente somma ancora non spesa, anche con riferimento all'impegno preso durante l'audizione del 12 giugno 2013 per la lotta alla disoccupazione giovanile e al progressivo impoverimento delle famiglie, soprattutto al Sud Italia, e per il sostegno al sistema delle imprese attraverso la promozione degli investimenti in grado di stimolare le economie locali. (3-00458)
(19 novembre 2013)

   PISICCHIO. — Al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   le regioni del Mezzogiorno soffrono più delle altre la crisi economica per cause storiche e politiche che sarebbe troppo lungo e complesso enumerare in questo momento, ma che certamente hanno costituito un limite al pieno sviluppo del Sud Italia;
   la riduzione del divario Nord-Sud è un impegno strategico del Governo per il rilancio dell'economia nazionale nel suo complesso;
   i dati dicono che nel ciclo di programmazione dell'erogazione di fondi europei 2007-2013 l'Italia non è riuscita a spendere neanche la metà dei 100 miliardi di euro resi disponibili dall'Unione europea ed una cifra analoga sarà disponibile, secondo la bozza dell'accordo di partnerariato, sulla programmazione dei fondi strutturali dal 2014 al 2020;
   in questo quadro è evidente che riuscire a spendere la messe di risorse europee consentirebbe di avviare un percorso virtuoso per il risanamento economico, sociale e culturale dell'intera penisola. L'istituzione dell'Agenzia per la coesione territoriale rappresenta un primo importante passo in questa direzione, ma non si comprende ancora quali possano essere le misure specifiche per la riattivazione dei crediti d'imposta per gli investimenti produttivi e per la riattivazione di quelli relativi all'occupazione stabile. Investire almeno 2 miliardi di euro su questi capitoli determinerebbe, secondo la Ragioneria dello Stato, un incremento del 4 per cento degli investimenti nel Mezzogiorno, dando lavoro a non meno di 200.000 giovani –:
   quali urgenti iniziative il Governo intenda assumere per rendere possibile l'incentivazione dell'utilizzo dei fondi dell'Unione europea, anche attraverso un più efficace intervento da parte del Governo.
(3-00459)
(19 novembre 2013)

   BRUNETTA e POLIDORI.— Al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   la scorsa settimana, la Commissione sviluppo regionale del Parlamento europeo ha dato il via libera all'accordo con il Consiglio sulla riforma della politica di coesione, raggiungendo un'intesa relativa al nodo della «macrocondizionalità» nelle nuove regole per i fondi strutturali europei 2014-2020;
   si tratta di un passaggio cruciale per avviare i nuovi e sopra indicati principi, per la programmazione dei prossimi sette anni, che destineranno 325 miliardi di euro ai fondi strutturali, 30 dei quali nei confronti dell'Italia;
   la condizionalità macroeconomica nell'erogazione dei fondi strutturali 2014-2020, fortemente voluta dalla Germania, prevede, tuttavia, che l'Esecutivo comunitario possa sospendere i pagamenti dei fondi per quegli Stati che in presenza di squilibri macroeconomici o di deficit eccessivi che non adottano provvedimenti di riequilibrio, nonché il mancato rispetto del fiscal compact, i cui effetti di tali meccanismi rischiano di essere eccessivamente punitivi nei confronti dei Paesi più deboli, proprio mentre diventano sempre più evidenti le conseguenze drammatiche dell'eccessivo rigore sulla crescita –:
   se intenda confermare quanto esposto in premessa e, in caso affermativo, quali iniziative nell'ambito delle sue competenze intenda intraprendere in sede comunitaria, al fine di rivedere i dispositivi delle nuove regole dei fondi di coesione per gli anni 2014-2020, le cui risorse europee condizionate da un'eccessiva disciplina rischiano di provocare per il nostro Paese e le regioni gravi danni economici e finanziari, in particolare nei confronti delle imprese destinatarie finali degli aiuti. (3-00460)
(19 novembre 2013)

   INVERNIZZI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   nel quadro della straordinaria situazione di crisi economico-finanziaria, con il fine di contribuire al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica imposti dagli obblighi europei necessari per il raggiungimento del pareggio di bilancio, in un'azione complessiva di riduzione degli apparati amministrativi quali fonte di spesa pubblica, i Governi che si sono succeduti dalla XVI legislatura ad oggi hanno messo in atto, in modo, ad avviso degli interroganti, estemporaneo, confuso irrazionale e, soprattutto, di dubbia legittimità costituzionale, interventi legislativi mirati alla soppressione delle province;
   questo modo di agire ha creato una situazione paradossale, basti pensare che ad oggi in ben tre disegni di legge del Governo, di cui uno costituzionale, all'esame del Parlamento, si affronta il tema della soppressione delle province;
   la soppressione delle province, non accompagnata da una riforma costituzionale capace di riorganizzarne in modo organico competenze e funzioni, potrebbe causare anche danni irreparabili per il bene comune del Paese. Si immagini, ad esempio, a cosa potrebbe accadere in riferimento all'organizzazione dell'Expo 2015, che vede l'attuale provincia di Milano coinvolta a pieno titolo nella complessa organizzazione dell'evento;
   è stato dimostrato, inoltre, in modo inconfutabile come la soppressione delle province non comporterebbe per la spesa pubblica risparmi degni di nota;
   una soppressione delle province sic et simpliciter potrebbe paralizzare l'esercizio delle funzioni cosiddette di «area vasta», le quali rimarrebbero sospese fra il livello regionale e quello comunale;
   al fine di adempiere ad una riforma capace, da un lato, di razionalizzare la spesa pubblica e, dall'altro lato, di non paralizzare il Paese, è necessario attribuire alla responsabilità delle singole regioni il compito di disciplinare le modalità di esercizio delle funzioni di area vasta, tenendo conto dei connotati particolari del proprio territorio. Ad esempio, potranno essere considerati indici quali l'assetto istituzionale (numero dei comuni), la densità di popolazione, gli aspetti morfologici e fattori socio-economici;
   le riforme costituzionali in materia dovranno riguardare anche la semplificazione complessiva dell'amministrazione locale, regionale e statale, imponendo a tutti gli enti territoriali di sopprimere enti, agenzie ed organismi, comunque denominati, e proibendo di istituirne di nuovi al fine di svolgere funzioni di governo di area vasta;
   sul tema della soppressione delle province, la posizione dei partiti che sostengono l'attuale Governo non è affatto chiara. In data 6 novembre 2013, il presidente dell'Anci Piero Fassino, nonché esponente di spicco del Partito democratico, nel corso di un'audizione informale, presso la I Commissione della Camera dei deputati, durante l’iter d'esame dell'atto Camera n. 1542 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), ha dichiarato, senza del resto essere smentito dal Governo né dal suo stesso partito, che nessuno vuole sopprimere le province. È ovvio, quindi, che ad avviso degli interroganti anche questo Esecutivo sta lavorando in modo equivoco, da un lato, propagandando una linea dura di abolizione dell'ente locale territoriale e, dall'altro lato, intervenendo solo con modifiche formali e non sostanziali;
   in data 18 novembre 2013, in un convegno tenutosi a Roma, organizzato dal Financial Times, il Presidente del Consiglio dei ministri ha annunciato che prima dell'estate 2014 saranno approvate definitivamente le riforme costituzionali –:
   se il Governo non ritenga opportuno affrontare in modo razionale la riorganizzazione degli enti locali territoriali, inserendo il tema nelle già programmate riforme costituzionali, affidando direttamente alle competenze regionali la riorganizzazione di nuove forme associative per l'esercizio delle funzioni di governo di area vasta, nonché la relativa soppressione di tutti gli enti intermedi. (3-00461)
(19 novembre 2013)

   FOSSATI, COCCIA, CAPOZZOLO, TULLO, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la gravissima vicenda svoltasi allo stadio di Salerno – dove la partita di calcio di Lega pro fra Salernitana e Nocerina è stata interrotta perché alcuni giocatori sono usciti dal campo per falso infortunio, fino a far mancare il numero minimo regolamentare di presenze sul campo – ripropone in maniera drammatica il tema della regolarità e della credibilità dello sport più popolare nel nostro Paese;
   i giocatori della squadra avrebbero ricevuto pressioni e minacce da tifosi della propria squadra se la partita si fosse svolta;
   il motivo che ha prodotto l'intimidazione sarebbe stato la decisione dell'Osservatorio del Ministero dell'interno, in base alla quale il prefetto aveva vietato la trasferta dei tifosi della Nocerina a Salerno per motivi di ordine pubblico;
   tale decisione, evidentemente inefficace, aveva prodotto un diffuso malcontento;
   questo episodio rappresenta l'ultimo esempio di interventi intimidatori delle tifoserie ultras teso a condizionare svolgimento e risultati delle partite;
   vi sono prove sempre più precise dell'inquinamento di società calcistiche e tifoserie da parte della criminalità organizzata, che trova nelle serie minori del calcio il terreno per riciclare denaro sporco e costruire consenso sociale;
   l'eco che l'episodio ha avuto sulla stampa nazionale e internazionale è stata di grande portata, mostrando un'immagine mortificante per il nostro calcio e per il nostro Paese;
   le strategie di contrasto all'illegalità nel calcio e, in generale, negli sport che muovono importanti fatturati e audience televisiva, hanno sostanzialmente finora fallito negli obiettivi attesi;
   restrizioni e divieti, impiego massiccio delle forze dell'ordine non hanno impedito che si riproponessero scontri e devastazioni attorno e dentro gli stadi e che si diffondessero l'intolleranza e il razzismo;
   altri Paesi europei, come la Germania, hanno scelto la strada della prevenzione attraverso il coinvolgimento trasparente ed organizzato dei supporter nell'attività della società sportiva e lo sviluppo di iniziative di interesse sociale sul territorio, ottenendo risultati brillanti, testimoniati dal ritorno degli spettatori negli stadi con presenze superiori del 50 per cento rispetto alla media italiana;
   gli stadi italiani continuano ad essere vuoti e il calcio viene sequestrato dalla criminalità organizzata e dai tifosi violenti. Crescono le frodi sportive, le partite truccate;
   anche di fronte alla gravità di episodi come quello di Salerno, dal mondo sportivo e pure dalle istituzioni locali continuano ad arrivare reazioni timide e, a volte, ambigue, tendendo a giustificare come isolati e sporadici gli episodi di violenza e sopraffazione –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di garantire, oltre alla sicurezza di atleti e spettatori, la dignità e la regolarità di un fenomeno come quello dello sport di alto livello e, in particolare, del calcio, che rappresenta un valore economico e sociale di assoluta rilevanza per il Paese.
(3-00462)
(19 novembre 2013)

   CORSARO. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 42 del 2009, di attuazione del federalismo fiscale, ha introdotto il principio del costo standard della spesa effettuata nelle amministrazioni periferiche dello Stato, che contribuirà a determinare, per ciascun ente, il fabbisogno ufficiale e, quindi, l'eventuale trasferimento perequativo cui avrà diritto in caso di insufficiente capacità fiscale;
   il settore nel quale più urgente appare la definizione e l'adozione dei costi standard è certamente quello della sanità, che rappresenta la voce di gran lunga più importante della spesa regionale e, al contempo, quella su cui più pregnante è il vincolo di assicurare i livelli essenziali di assistenza in tutto il Paese;
   allo stato attuale, infatti, si registrano differenze incredibili per l'acquisto degli stessi strumenti nell'ambito di diverse regioni, con costi che inevitabilmente si riversano sui cittadini;
   la definizione dei costi standard nella sanità, tuttavia, ha subito gravissimi ritardi e continua da anni ad essere oggetto di commissioni di studio copiosamente finanziate, senza essere addivenuta ad alcun risultato concreto;
   a fronte di queste incomprensibili lungaggini sempre più regioni si trovano costrette ad affrontare situazioni di criticità finanziarie, a causa proprio degli elevati costi dei servizi e delle prestazioni sanitarie –:
   a che punto sia la definizione dei costi standard con riferimento al comparto sanitario e se non ritenga di provvedere con urgenza alle opportune iniziative di sua competenza per velocizzarne l'adozione nella spesa per gli acquisti.
(3-00463)
(19 novembre 2013)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI FEDERALISMO FISCALE

   La Camera,
   premesso che:
    la gravità dell'attuale condizione economica e sociale impone di proseguire con determinazione l'azione di riequilibrio dei conti pubblici, accompagnandola con il perseguimento dell'equità e della crescita dell'economia nazionale che deve diventare, non solo sulla carta o negli annunci televisivi, la priorità dell'azione del Governo e del Parlamento;
    con le manovre economiche adottate con decreto-legge tra il luglio e il dicembre 2011 (decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011; decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011; decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011) si è intervenuti con tagli alle risorse di regioni ed enti locali, con inasprimenti del patto di stabilità interno e con modifiche strutturali all'assetto tributario, in particolare dei comuni, che hanno prodotto un aumento della pressione fiscale e un'ulteriore riduzione della spesa per investimenti, invece che una riduzione della spesa corrente e l'adozione di modelli più efficienti di produzione dei servizi locali;
    gli enti locali e territoriali, a causa dei tagli ai trasferimenti statali di competenza, si trovano ad operare con equilibri di bilancio sempre più precari, tanto che talvolta non riescono neanche più a coprire le funzioni fondamentali se non attraverso un aumento della pressione fiscale sia per le spese indistinte che per quelle a domanda individuale, come le rette degli asili o i costi delle mense e in particolare per quelle relative alla raccolta dei rifiuti;
    tutto ciò avviene a danno delle fasce più deboli della popolazione, che a causa della crisi economica devono affrontare disoccupazione, cassa integrazione e diminuzione dei salari e della qualità del lavoro; la crisi occupazionale si è trasformata in crisi sociale alla quale occorre rispondere mediante un aumento degli aiuti dei servizi sociali comunali con conseguente aumento della spesa per gli enti locali;
    l'approccio al risanamento dei conti pubblici che è stato attuato ha comportato un inasprimento senza precedenti della pressione fiscale, per cui è urgente avviare una sistematica attività di revisione della spesa pubblica (spending review), destinando prioritariamente le risorse ricavate, insieme a quelle derivanti dal contrasto all'evasione e all'elusione fiscale, alla riduzione della pressione fiscale, in particolare sui redditi da lavoro e da impresa, ridefinendo, nell'ambito della riforma fiscale, un nuovo patto tra fisco e contribuenti;
    in questo contesto, profondamente cambiato rispetto al momento in cui la riforma in tema di federalismo fiscale fu approvata, acquista ancor più importanza la piena e completa attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, recante «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione»; la responsabilità e l'autonomia dei governi locali e regionali in campo fiscale risultano ora ancora più fondamentali per attivare il circuito di controllo dei cittadini sulle prestazioni delle amministrazioni e per renderle, di conseguenza, più efficienti e più capaci anche di ridurre la spesa e gli sprechi;
    è indispensabile, ad esempio, superare rapidamente, attraverso l'approvazione della Carta delle autonomie locali, la separazione finora operata tra il federalismo fiscale e il processo di riallocazione e riorganizzazione delle funzioni tra i diversi livelli di governo, il quale, di per sé, potrebbe consentire una riduzione della spesa corrente e una conseguente riduzione della tassazione a livello sub statale;
    il meccanismo dei costi e dei fabbisogni standard per regioni ed enti locali, relativo ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali, rappresenta il modo per effettuare un'efficace spending review nel sistema delle autonomie territoriali e, come tale, può e deve procedere se possibile accelerando le scadenze previste, estendendone, comunque, principi e strumenti attuativi anche all'apparato centrale dello Stato, vero centro di spesa pubblica;
    vista l'urgenza imposta dalla crisi, si rende necessaria un'accelerazione nell'attuazione della legge delega attraverso il suo completamento entro la fine della legislatura XVII, nei termini espressi anche dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie, Delrio, che, più volte, ha ribadito che è necessario far ripartire il federalismo basato sui principi della perequazione e della responsabilità, in quanto il centralismo ha fallito e non ha risolto i problemi, come, invece, appare ineludibile un nuovo patto con le autonomie locali;
    è necessario, pertanto, adottare velocemente tutti i decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive che saranno ritenuti utili, consentendo così l'avvio della transizione verso il nuovo assetto in tutti i suoi aspetti, che sono complementari tra di loro e non possono essere affrontati in modo separato;
    si tratta di colmare i vuoti ancora esistenti rispetto alla legge delega, di verificare lo stato di attuazione degli atti amministrativi previsti dai decreti legislativi già approvati e di coordinare con appositi decreti legislativi le nuove norme legislative che sono nel frattempo entrate in vigore, come quelle relative all'assetto tributario dei comuni, con i meccanismi previsti dalla legge delega e dai relativi decreti legislativi,

impegna il Governo:

   a dare piena e completa attuazione alla legge delega sul federalismo fiscale n. 42 del 2009, adottando tutti i decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive che saranno ritenuti utili e prevedendo, in particolar modo, interventi diretti ad eliminare l'applicazione dell'imposta municipale unica sulla prima abitazione e a garantire che il gettito derivante dall'applicazione dell'imposta stessa sulle seconde abitazioni rimanga interamente in capo ai comuni, nonché introducendo, a favore dei comuni stessi, la compartecipazione all'imposta sul reddito delle persone fisiche;
   a garantire agli enti locali le risorse del 2012 e che non siano questi a dover sopportare la mancata adozione dell'Imu sulla prima casa;
   a garantire che la nuova service tax sia una vera tassa federale, meno onerosa della somma di imu e tares, creando così un'imposta leggera e più equa con aliquote modulabili da parte degli amministratori con l'obiettivo di creare un sistema fiscale federale;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché l'attività della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, prevista dall'articolo 5 della legge delega sul federalismo fiscale n. 42 del 2009, sia efficace ed incisiva, considerato che la citata Conferenza concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, anche in relazione ai livelli di pressione fiscale e di indebitamento, alla verifica periodica del nuovo ordinamento finanziario, proponendo eventuali modifiche o adeguamenti del sistema, e che è prevista l'istituzione di una banca dati condivisa, la quale risulta indispensabile per avviare efficacemente le nuove relazioni finanziarie tra i diversi livelli di governo;
   a verificare prioritariamente l'attuazione della procedura per l'individuazione dei costi e fabbisogni standard e degli obiettivi di servizio, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, e dall'articolo 13 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, e ad adottare, nel termine ineludibile di tre mesi dall'approvazione del presente atto di indirizzo, tutti gli atti conseguenti e necessari ai fini della loro compiuta determinazione, unico modo per avviare una vera ed efficace spending review delle amministrazioni statali, specie in campo sanitario, visti i dati contrastanti dei bilanci sanitari tra le diverse regioni relativamente ai costi per le forniture;
   nel percorso di completamento dell'attuazione del federalismo fiscale, ad agire con la massima urgenza per rendere operativo il criterio dei costi standard relativi al servizio sanitario e dei fabbisogni standard per comuni e province, affinché sia consentito agli enti territoriali di contenere le addizionali regionali e locali, inducendo tutti gli amministratori alla massima responsabilizzazione;
   a coordinare il tema della finanza locale, con le modifiche ordinamentali già contenute nell'articolo 23 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, e con quelle in corso di approvazione nell'ambito della Carta delle autonomie locali e della riforma costituzionale, con particolare riguardo alla forma di Governo, alla previsione del Senato federale, alla riduzione del numero dei membri delle Camere, all'eliminazione degli enti intermedi inutili e, in generale, alla revisione della parte seconda della Carta costituzionale;
   per quanto riguarda la riforma organica delle istituzioni di governo di area vasta, introdotta dal decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, a riconsiderare l'impatto che il trasferimento delle funzioni e delle risorse oggi gestite dalle province avrà sui bilanci e sull'organizzazione di regioni e comuni, già gravati dalle difficili condizioni di sostenibilità del loro patto di stabilità, posto che le nuove norme ingenerano confusione nel sistema delle autonomie e conseguenze pesanti per lo sviluppo dei territori, producendo notevoli costi aggiuntivi per lo Stato e per la pubblica amministrazione;
   ad adottare con gli strumenti di programmazione finanziaria tutti i provvedimenti per il coordinamento dinamico della finanza pubblica previsti dalla legge delega sul federalismo fiscale n. 42 del 2009 e dai decreti legislativi approvati, a partire dal percorso di convergenza degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettere m) e p) della Costituzione (articolo 13 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68) e dall'obiettivo programmato della pressione fiscale complessiva, nel rispetto dell'autonomia tributaria delle regioni e degli enti locali (articolo 18 della legge delega sul federalismo fiscale n. 42 del 2009);
   ad assumere iniziative per eliminare da subito tutte le norme che bloccano oggi l'autonomia dei comuni e che non hanno effetti sui saldi di finanza pubblica e, in generale, a rivedere le regole del patto di stabilità interno, introdotte dal decreto legislativo n. 149 del 2011, in materia di meccanismi sanzionatoti e premiali relativi a regioni, province e comuni;
   a pianificare una riforma strutturale e stabile nel tempo del patto di stabilità interno e che preveda l'equilibrio di bilancio come unico vincolo, l'esclusione dal computo delle spese senza debito e con risorse autonome per favorire gli enti virtuosi e l'adozione, anche tra più regioni, del patto di stabilità integrato al fine di migliorare il coordinamento della finanza territoriale;
   a completare il processo di riforma federalista superando definitivamente il sistema di finanza derivata in ragione di una piena autonomia finanziaria delle regioni e degli enti locali, senza aumentare la pressione fiscale complessiva, garantendo certezza di risorse e promuovendo lo sviluppo economico locale anche attraverso l'implementazione di nuovi ed appositi strumenti in grado di supportare le amministrazioni locali nel processo di acquisto dei beni e dei servizi al fine di attuare efficienti revisioni di spesa;
   a verificare il motivo della mancata emanazione dei decreti del presidente del Consiglio dei ministri che completano il percorso del federalismo demaniale previsto dal decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, relativo all'attribuzione alle autonomie territoriali di un proprio patrimonio, alla luce della priorità che va assegnata ad una decisa azione di riduzione del debito pubblico;
   a cambiare l'approccio allo strumento dell'addizionale irpef da parte di regioni e comuni, oggi troppo spesso usata forzatamente per compensare carenze di bilancio, laddove dovrebbe invece costituire uno strumento attraverso il quale gli enti locali e territoriali costruiscono in autonomia un sistema di detrazioni atte a favorire e sostenere le categorie sociali più deboli o meritevoli di tutela;
   ad assumere iniziative per ripristinare il dettato del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario), con particolare riferimento alla compartecipazione regionale all'iva, le cui modalità di attribuzione siano stabilite in conformità con il principio di territorialità;
   ad assumere iniziative per abrogare l'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» (cosiddetto decreto sulle liberalizzazioni), in quanto interviene, secondo i firmatari del presente atto, in contrasto con l'articolo 119 della Costituzione, accentrando la gestione delle tesorerie di regioni ed enti locali e riportando in vigore le norme degli anni Ottanta precedenti all'innovazione costituzionale citata;
   a verificare lo stato di attuazione di tutti i decreti legislativi approvati, comprensivi degli atti amministrativi previsti, al fine di definire un percorso per la loro reale definitiva entrata in vigore.
(1-00201)
«Guidesi, Giancarlo Giorgetti, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Marguerettaz».
(4 ottobre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    nella XVI legislatura, al termine di un ampio confronto tra Governo, Parlamento, regioni ed enti locali, è stata approvata la legge 5 maggio 2009, n. 42, (delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione), con la quale si è dato avvio ad un processo di ridefinizione degli assetti e delle potestà fiscali tra amministrazione centrale ed autonomie territoriali, al fine di dare attuazione al principio dell'autonomia finanziaria degli enti territoriali sancito nel Titolo V della Costituzione;
    in attuazione della citata legge delega, nel corso della XVI legislatura, sono stati emanati nove decreti legislativi che hanno realizzato la gran parte del progetto normativo delineato dalla legge n. 42 del 2009, senza che, tuttavia, possa al momento ritenersi completato il nuovo assetto del federalismo fiscale;
    al centro dell'intervento riformatore vi è il passaggio dai trasferimenti fondati sulla spesa storica a quello basato sull'individuazione dei fabbisogni standard al fine di garantire sull'intero Paese il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e delle funzioni fondamentali degli enti locali;
    alcuni aspetti fondamentali per la costruzione del nuovo assetto non sono ancora definiti, anche a causa dell'oggettiva complessità tecnica delle tematiche e degli innumerevoli interessi da regolare e a causa di un assetto normativo che ha subito svariate modificazioni producendo un quadro mutevole e, al momento, ancora non a regime;
    in campo sanitario, il 7 novembre 2013, la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha deliberato di procedere da subito all'introduzione dei costi standard nella sanità, in modo sperimentale per il 2013 e in via definitiva a partire dal 2014, superando le divergenze dei mesi scorsi. Le regioni si sono anche dette pronte ad individuare le regioni di riferimento per l'applicazione dei costi standard, indispensabili per aprire una nuova fase nella sanità regionale in ragione della quale non si potranno disperdere risorse;
    è innegabile che sulla piena attuazione del federalismo fiscale abbia inciso negativamente l'aggravarsi della situazione economica e sociale che ha imposto drastici interventi di riequilibrio dei conti pubblici, con la necessità di reperire ingenti risorse e di realizzare risparmi di spesa, che hanno comportato un considerevole inasprimento della pressione fiscale;
    va, tuttavia, rilevato che il federalismo fiscale, se attuato coerentemente, costituisce di per sé un imponente processo di razionalizzazione della spesa e di una parte importante del sistema fiscale. In particolare, il passaggio dalla spesa storica ai fabbisogni standard è la vera spending rewiew per il comparto degli enti territoriali (dove si colloca oltre un terzo della spesa pubblica italiana); è un intervento strutturale che modifica, nel lungo periodo, il sistema istituzionale, con un impatto su grandi temi quali: i comportamenti, la responsabilità, la trasparenza, la democraticità e il controllo elettorale. I costi e i fabbisogni standard permettono il risultato epocale del superamento dell'irrazionalità del finanziamento in base alla spesa storica;
    nella relazione finale del gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali, istituito il 30 marzo 2013 dal Presidente della Repubblica in tema di federalismo fiscale si legge: «La riforma della finanza locale e regionale avviata con la legge 42/2009 sul federalismo fiscale e con i successivi decreti legislativi è stata frenata dalla crisi economico-finanziaria. Il processo di consolidamento dei conti pubblici ha investito la finanza decentrata. In particolare la riduzione delle risorse riconosciute a Regioni e Comuni e i nuovi vincoli loro imposti hanno costretto gli enti locali a riduzioni di spesa, soprattutto di investimento, e a un aumento della pressione fiscale in un quadro di progressiva ricentralizzazione della finanza pubblica. La crisi potrebbe costituire, invece, una ragione per esaltare le ragioni del federalismo fiscale. Questa riforma, infatti, rafforza la responsabilità delle autonomie territoriali nella gestione dei propri bilanci a partire da una ripartizione delle risorse pubbliche tra tutti i livelli di governo e tra enti decentrati ispirata a criteri di equità e di efficienza. La riforma non va lasciata nel limbo; va invece ripresa come componente essenziale delle politiche per il rilancio del Paese»;
    il Presidente del Consiglio dei ministri, Enrico Letta, nel corso dell'intervento programmatico tenuto il 29 aprile 2013 alla Camera dei deputati, affermò: «Semplificazione e sussidiarietà debbono guidarci al fine di promuovere l'efficienza di tutti i livelli amministrativi e di ridurre i costi di funzionamento dello Stato. Questo non significa perseguire una politica di tagli indifferenziati, ma, al contrario, valorizzare comuni e regioni per rafforzare le loro responsabilità, in un'ottica di alleanza tra il Governo, i territori e le autonomie ordinarie e speciali. Bisogna altresì chiudere rapidamente la partita del federalismo fiscale rivedendo il rapporto fiscale tra centro e periferia, salvaguardando la centralità dei territori delle regioni e valorizzando le autonomie speciali»;
    i due processi riformatori avviati, quello del federalismo fiscale e quello istituzionale, pur seguendo ognuno con i propri tempi, devono, tuttavia, procedere lungo binari paralleli: non è possibile spingere sul federalismo fiscale se, contestualmente, non si vara la Carta delle autonomie locali. Così come non si possono applicare i principi di autonomia e responsabilità quando vi è ancora incertezza sulle funzioni che gli enti locali dovranno svolgere;
    l'approvazione della Carta delle autonomie locali consentirà di superare la separazione finora operata tra il federalismo fiscale e il processo di riallocazione e riorganizzazione delle funzioni tra i diversi livelli di governo, nonché di revisione della struttura organizzativa a più livelli di governo della Repubblica e di riduzione dei centri di spesa, il quale, di per sé, potrebbe consentire una riduzione della spesa corrente e, di conseguenza, della tassazione a livello substatale;
    la responsabilità e l'autonomia dei governi locali e regionali in campo fiscale, che sono tra i principi ispiratori della legge delega, risulterebbero utili per attivare il circuito di controllo dei cittadini sulle prestazioni delle amministrazioni e per renderle, di conseguenza, più efficienti e più capaci anche di ridurre la spesa e gli sprechi, secondo il concetto cardine del federalismo «vedo-pago-voto»;
    il meccanismo dei costi e dei fabbisogni standard per regioni ed enti locali, relativo ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali, può rappresentare un modo efficace per effettuare la spending review nel sistema delle autonomie territoriali, attraverso la determinazione di parametri che tengano conto di comportamenti di spesa virtuosi;
    il coordinamento dinamico della finanza pubblica e la collaborazione tra i vari livelli di governo della Repubblica, al fine di distribuire in modo equo il carico del necessario riequilibrio finanziario e anche di contenere la pressione tributaria, sono essenziali soprattutto in un momento di crisi come l'attuale;
    la perequazione verso i territori con minore capacità fiscale per abitante che la Costituzione affida allo Stato, al fine di garantire coesione e solidarietà tra aree forti e aree deboli del Paese, è uno dei pilastri della legge n. 42 del 2009. È perciò indispensabile dare priorità al tema della perequazione nel successivo percorso di attuazione del federalismo fiscale, per evitare che la funzione statale di riequilibrio venga progressivamente del tutto meno. Bisogna, peraltro, tenere conto che in assenza di un previo adeguamento del sistema finanziario e fiscale delle regioni a statuto speciale ai principi e alle regole dell'articolo 119 della Costituzione e alle relative leggi di attuazione, non sarà possibile attuare un equilibrato sistema a livello nazionale;
    è viva l'esigenza di pervenire alla definizione di un quadro normativo certo e stabile nei rapporti finanziari tra i diversi livelli di governo, atteso che i ripetuti interventi legislativi, anche a breve distanza di tempo, operati prevalentemente mediante la decretazione d'urgenza, hanno determinato situazioni di precarietà ed incertezza;
    risulta, quindi, necessario adottare i decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive che saranno ritenuti utili, consentendo l'avvio della transizione verso il nuovo assetto in tutti i suoi aspetti, che sono complementari tra loro e non possono essere affrontati in modo separato;
    si tratta di colmare i vuoti ancora esistenti rispetto alla legge delega, di verificare lo stato di attuazione degli atti amministrativi previsti dai decreti legislativi già approvati e di coordinare con appositi decreti legislativi le nuove norme che sono nel frattempo entrate in vigore, come quelle relative all'assetto tributario dei comuni, con i meccanismi previsti dalla legge delega e dai relativi decreti legislativi,

impegna il Governo:

   a dare piena e completa attuazione alla legge delega sul federalismo fiscale n. 42 del 2009, adottando tutti i decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive che saranno ritenuti utili e approvando tempestivamente tutti gli atti amministrativi previsti, in modo da garantire l'effettiva operatività del sistema di federalismo fiscale;
   a valorizzare, nelle more di una riforma costituzionale che ridisegni l'impalcatura dello Stato, introducendo un Senato federale o delle autonomie, e della piena attuazione della legge delega sul federalismo fiscale, il ruolo della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, la cui prima riunione si è tenuta il 10 ottobre 2013, posto che tale organo, che vede al suo interno Ministri e rappresentanti politici degli enti territoriali con competenze specifiche, può diventare un valido strumento per rendere partecipi gli enti territoriali delle scelte, anche difficili, che il nostro Paese è tenuto ad adottare;
   a rendere pienamente operativi i criteri dei costi standard e dei fabbisogni standard e degli obiettivi di servizio, adottando tutti gli atti necessari all'avvio di un'efficace revisione della spesa delle amministrazioni regionali e locali, specie in campo sanitario, considerato che l'operatività del criterio dei costi standard relativi al servizio sanitario e dei fabbisogni standard per i comuni e le province dovrebbe, altresì, consentire agli enti territoriali di contenere la pressione fiscale derivante dalle imposte di propria competenza, in particolare dalle addizionali, e indurre gli amministratori alla massima responsabilizzazione;
   ad assumere iniziative per rivedere in materia di meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, le regole del patto di stabilità interno, che non dovrà più essere sottoposto a continue variazioni e dovrà porre alle autonomie territoriali gli stessi vincoli complessivi a livello di singoli comparti che valgono per il bilancio dello Stato, agevolando l'esercizio dell'autonomia locale e lo sviluppo della spesa per investimenti;
   a completare il sistema di armonizzazione dei bilanci e della contabilità di regioni ed enti locali, tenuto conto che tale processo inciderà, modernizzandoli, sui bilanci degli enti stessi, accrescendone il livello di trasparenza e di ordine;
   a coordinare il tema della finanza locale con le modifiche già contenute nell'articolo 23 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, e con quelle in corso di approvazione nell'ambito della Carta delle autonomie locali e della riforma costituzionale;
   ad assumere iniziative per riconsiderare la disciplina in materia di tesoreria unica, introdotta dall'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, per verificare i reali effetti sui bilanci comunali, valutando la possibilità di diverse forme di compensazione delle eventuali minori disponibilità per i comuni;
   ad adottare i provvedimenti per il coordinamento dinamico della finanza pubblica previsti dalla legge delega sul federalismo fiscale n. 42 del 2009 e dai decreti legislativi approvati, con particolare riferimento al percorso di convergenza degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione (articolo 13 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68) e alla determinazione dell'obiettivo programmato della pressione fiscale complessiva, nel rispetto dell'autonomia tributaria delle regioni e degli enti locali.
(1-00235)
«Palese, Giammanco, Costa».
(11 novembre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    la finanza regionale e locale è stata caratterizzata, nel corso di questi ultimi anni, da un importante processo di riforma diretto a dare attuazione al principio dell'autonomia finanziaria degli enti territoriali sancito nel Titolo V della Costituzione;
    il nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie, incentrato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull'attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa a comuni, province, città metropolitane e regioni, nel rispetto dei principi di solidarietà e di coesione sociale, è stato individuato dalla legge 5 maggio 2009, n. 42, di attuazione del federalismo fiscale, e dai successivi decreti legislativi approvati nel corso della XVI Legislatura;
    il processo, tuttavia, è ancora lontano dall'essere compiuto: rimangono, infatti, indeterminati degli elementi essenziali per la ridefinizione degli assetti e delle potestà fiscali tra amministrazione centrale ed autonomie territoriali, come l'individuazione, con legge, dei livelli essenziali delle prestazioni nei settori diversi dalla sanità;
    la legislazione delegata, inoltre, non ha risolto alcune delle questioni normative poste dalla legge delega, ovvero presenta problemi di coordinamento sia tra i vari decreti (quali quello sul fisco municipale e sulla fiscalità regionale), sia tra i decreti e la legislazione generale in vigore nella materia (ad esempio, per il federalismo demaniale e per gli interventi speciali);
    i provvedimenti attuativi, ancora, prevedevano il rinvio a numerosi altri decreti e regolamenti, anche relativamente ad elementi cruciali per la funzionalità del nuovo assetto, che, in molti casi, non sono stati adottati;
    infine, l'intensificarsi dell'emergenza finanziaria ha fatto sì che, sul quadro definito dalla legge delega e dai relativi provvedimenti di attuazione, intervenissero con leggi ordinarie rilevanti modifiche, le quali, senza cambiare l'impianto complessivo, hanno dato luogo a un quadro normativo mutevole e, al momento, ancora non a regime, come dimostra la vicenda relativa alla tassazione immobiliare, che, ad oggi, non ha trovato una definitiva soluzione;
    in sostanza, la riforma del federalismo fiscale presenta un bilancio non soddisfacente sul piano della realizzazione: il 2013 sarebbe dovuto essere l'anno della completa attuazione normativa della riforma mentre, allo stato, nessun decreto correttivo e integrativo è stato emanato; mancano ancora 70 tra decreti ministeriali, regolamenti e convenzioni; i tagli delle risorse e la legislazione emergenziale del biennio 2011-2012 hanno drasticamente ridimensionato la consistenza finanziaria di alcuni dei meccanismi del federalismo e sono intervenuti direttamente e ripetutamente su alcune delle componenti fondamentali della riforma;
    solo nell'ottobre 2013, con un ritardo di due anni, è stata insediata la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, pensata come sede istituzionale di confronto tra Stato e autonomie territoriali per tutte le questioni finanziarie, quali il riparto delle manovre di aggiustamento, la verifica dei risultati raggiunti, il funzionamento della perequazione e la premialità;
    pesa sull'interruzione del processo anche il mancato insediamento, ad oggi, della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale;
    è in corso di esame alla Camera dei deputati una proposta di revisione dell'assetto istituzionale di comuni, province e città metropolitane e delle relative funzioni amministrative, che rende ancora più urgente una stabilizzazione del quadro normativo dei rapporti tra lo Stato e gli enti territoriali;
    l'attuale contesto economico-finanziario dovrebbe esaltare, e non indebolire, le ragioni del federalismo fiscale, ossia il rafforzamento della responsabilità delle autonomie territoriali nella gestione dei propri bilanci, a partire da una ripartizione delle risorse pubbliche tra livelli di governo e tra enti decentrati ispirata a criteri di equità;
    un più ordinato e razionale ridisegno delle relazioni finanziarie intergovernative costituisce il prerequisito per un governo della finanza pubblica coerente con gli obiettivi della disciplina fiscale e del sostegno alla crescita economica,

impegna il Governo:

   a dare piena e completa attuazione alla legge 5 maggio 2009, n. 42, adottando tutti i decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive utili e approvando, in modo tempestivo, tutti gli atti amministrativi previsti, in modo da garantire l'effettiva operatività del sistema di federalismo fiscale;
   a completare il processo di determinazione dei fabbisogni standard comunali, ad individuare i livelli essenziali delle prestazioni nei settori regionali che ne sono ancora privi, in particolare l'assistenza, e a definire le capacità fiscali standard a livello comunale e regionale;
   ad adottare iniziative per definire i sistemi perequativi regionali e comunali;
   ad adottare i provvedimenti per il coordinamento dinamico della finanza pubblica previsti dalla legge delega sul federalismo fiscale n. 42 del 2009 e dai decreti legislativi approvati, con particolare riferimento al percorso di convergenza degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione e alla determinazione dell'obiettivo programmato della pressione fiscale complessiva, nel rispetto dell'autonomia tributaria delle regioni e degli enti locali;
   a dare effettiva operatività alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica integrandola nel processo di bilancio, per dare contenuto concreto al processo di co-decisione multilivello della finanza pubblica e per introdurre quelle innovazioni istituzionali e procedurali che permettano l'effettiva considerazione degli obiettivi di servizio, dei livelli essenziali delle prestazioni e dei percorsi di convergenza ai costi e ai fabbisogni standard;
   ad adottare iniziative per prevedere una riforma del patto di stabilità interno maggiormente rispettoso dell'autonomia locale, funzionale alla crescita economica e coerente con il quadro delle regole di disciplina fiscale disegnato dalla legge 24 dicembre 2012, n. 243;
   a coordinare la facoltà di introdurre addizionali all'irpef da parte di regioni e comuni, in particolare modo per quanto riguarda la struttura delle addizionali per scaglioni e aliquote, nonché la facoltà di introdurre detrazioni, con l'obiettivo, da un lato, di non pregiudicare l'autonomia finanziaria di regioni e comuni e, dall'altro, di semplificare gli adempimenti da parte dei sostituti d'imposta, nonché di riportare le addizionali a funzioni allocative, riducendone l'impatto sulla progressività del sistema tributario, anche in relazione a quanto previsto dal disegno di legge delega per la riforma del sistema fiscale;
   a realizzare il sistema di finanziamento della spesa in conto capitale degli enti territoriali, in particolare per quanto riguarda la perequazione infrastrutturale, così da rispondere alla forte sperequazione delle dotazioni infrastrutturali tra le diverse aree del Paese;
   ad accelerare l'attuazione dei principi del federalismo fiscale nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome, assegnando priorità al completamento degli accordi in fase di discussione ai tavoli di confronto istituiti presso la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, in base all'articolo 27 della legge delega sul federalismo fiscale n. 42 del 2009.
(1-00236)
«Causi, Marchi, Martella, Lorenzo Guerini, Misiani, Bargero, Bonifazi, Capozzolo, Carbone, Colaninno, De Maria, De Menech, Marco Di Maio, Marco Di Stefano, Fragomeli, Fregolent, Ginato, Gutgeld, Lodolini, Pelillo, Petrini, Ribaudo, Rostan, Rughetti, Giovanni Sanga, Gebhard».
(11 novembre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    la legge delega 5 maggio 2009, n. 42, ha avviato un percorso di ridefinizione dell'assetto dei rapporti economici e finanziari tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, volto a completare, nell'arco di un quinquennio, il processo di valorizzazione del sistema delle autonomie territoriali, l'abbandono del sistema di finanza derivata ed il superamento del criterio della spesa storica in favore dei costi standard per il finanziamento delle funzioni fondamentali di regioni ed enti locali, anche al fine di realizzare un modello finanziario improntato al principio di responsabilità dei singoli livelli istituzionali e ad una maggiore autonomia di entrata e di spesa, nel rispetto dei principi di solidarietà e di coesione sociale;
    l'approvazione della sopra citata delega, che risponde a un più ampio e coerente disegno evolutivo in senso autonomistico e federalistico dell'ordinamento della Repubblica, rappresenta un momento istituzionale di grande rilevo nel processo di riforma iniziato nel 2001 con la riforma del Titolo V della Costituzione e l'occasione storica per una razionalizzazione del sistema finanziario pubblico, in cui il federalismo fiscale è considerato un fattore di responsabilizzazione delle amministrazioni;
    il nuovo sistema di ripartizione delle risorse verso gli enti territoriali che ne deriva è basato su principi che dovranno regolare l'assegnazione di risorse perequative agli enti dotati di minori capacità di autofinanziamento e predispone gli strumenti attraverso cui sarà garantito il coordinamento fra i diversi livelli di governo in materia di finanza pubblica, ma anche sull'individuazione dei fabbisogni standard necessari a garantire, sull'intero territorio nazionale, il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e delle funzioni fondamentali degli enti locali;
    molti ravvisano che le criticità che gli amministratori locali stanno vivendo in questa fase di transizione al federalismo siano da ricondurre alla mancata e contestuale approvazione della cosiddetta Carta delle autonomie locali, la sola in grado di dare la risposta necessaria per realizzare quel federalismo istituzionale che definisca le competenze e le funzioni dei diversi livelli istituzionali ed evitare in futuro sprechi e sovrapposizioni;
    infatti, il mancato avvio del parallelismo tra federalismo fiscale e federalismo istituzionale ha creato in alcuni casi una situazione ingestibile. L'entrata in vigore anticipata dell'imu ne ha costituito un esempio, rispondendo a logiche solo marginalmente legate alla finanza dei comuni, quali gli obiettivi generali di risanamento del bilancio statale e quelli di ridistribuzione del carico fiscale, imponendo anzi agli stessi comuni vincoli di bilancio più stringenti e minori risorse a fronte di una maggior pressione fiscale gravante sulla collettività locale, e prevedendo, inoltre, una sorta di «coabitazione» con lo Stato sul medesimo cespite, regole di gestione complicate e influenza su una buona parte del fondo di riequilibrio, il tutto lasciando, peraltro, in ombra temi prioritari, come la scelta dello schema di perequazione da adottare e delle modalità con le quali utilizzare i fabbisogni standard;
    il sopra citato avvio anticipato della norma ha impresso una notevole modificazione all'impianto dell'intera imposizione municipale, così come delineata dal decreto sul federalismo municipale, stabilendo la riserva allo Stato di una quota del tributo locale mirata non solo a far riappropriare l'erario dell'intero gettito dell'Irpef sui redditi fondiari dei beni non locati, ma anche ad incrementarne l'entità rispetto alla situazione preesistente, mantenendo tutte le principali leve di comando del tributo;
    le imposte sulla proprietà immobiliare costituiscono il perno della fiscalità locale nella maggiore parte dei Paesi europei, poiché esiste un evidente collegamento fra la base imponibile (dettata dal valore dell'abitazione) e l'attività svolta dall'ente che riscuote il gettito. Inoltre, la possibilità per il contribuente di commisurare l'onere fiscale al beneficio ricevuto in termini di servizi pubblici locali rappresenta un importante incentivo a scelte di bilancio responsabili da parte degli enti e solamente grazie al rapporto diretto del contribuente con il proprio territorio e con la propria amministrazione è possibile attuare un fisco più oggettivo per tutti, marginalizzando le aree di evasione e di elusione;
    quanto premesso dimostra che, negli ultimi anni, in controtendenza rispetto al progetto federalista, complice soprattutto la crisi economica che ha imposto a tutte le istituzioni di farsi carico dell'equilibrio dei conti pubblici e del rilancio della crescita del Paese, si è registrato un incessante deterioramento delle relazioni tra Stato centrale ed istituzioni territoriali, anche a causa di politiche di austerity, che, attraverso la decretazione d'urgenza, hanno imposto tagli alle loro risorse, amplificato lo spazio d'intervento e l'ingerenza dello Stato, affossando, nei fatti, il federalismo fiscale delineato nell'articolo 119 della Costituzione e, più in generale, tradendo il più ampio progetto federalistico ispiratore della riforma del Titolo V della Costituzione;
    le sopra citate politiche hanno prodotto un «evitamento» degli enti territoriali ed una crisi istituzionale che rischia di mettere in discussione i modelli di autonomia e favorisce un progressivo e pericoloso accentramento, affidato, peraltro, quasi esclusivamente al controllo finanziario attraverso la riduzione della spesa, atteggiamento questo che, invece di premiare il comportamento autonomo e responsabile, accentua l'ingessatura dei meccanismi burocratici e pretende di governare il pluralismo sociale ed economico del Paese con norme centralistiche, imposte dall'alto;
    l'incessante logica dei tagli statali ai trasferimenti locali ha fortemente penalizzato e compromesso l'intero assetto delle autonomie locali che non riescono, a fronte di esigue risorse, a rispondere, con l'erogazione dei servizi essenziali di propria competenza, alle istanze ed ai bisogni sempre più complessi dei cittadini; pertanto, qualsiasi processo di riordino istituzionale, seppure necessario, rischia di essere fallimentare se costruito in un'ottica di ulteriore riduzione delle risorse a disposizione dei soggetti istituzionali periferici;
    le manovre economiche approvate dai governi Berlusconi e Monti hanno determinato, anche grazie alla centralizzazione delle risorse, peraltro aggravata dalle norme sulla tesoreria unica, effetti devastanti sul sistema finanziario delle autonomie locali, che solo per le province, ad esempio, hanno determinato, nel solo biennio 2011/2012, una riduzione di risorse strutturali per 915 milioni di euro, nonché di obiettivi del patto di stabilità interno per 1,5 miliardi di euro;
    a dispetto del vero federalismo e del principio di sussidiarietà, oggi le autonomie locali sono diventate una sorta di presidi democratici svuotati di poteri che contrastano da soli e senza adeguate risorse gli effetti della crisi e dei tagli operati dalle sopra citate manovre economiche. Infatti, il combinato disposto dei tagli alle entrate e delle regole del patto di stabilità interno ha prodotto effetti perversi e irragionevoli, come l'impossibilità a svolgere alcun ruolo a sostegno dello sviluppo locale, ad accompagnare i processi sociali e di mutamento che si producono nelle realtà locali e ad assicurare la continuità e la qualità dei servizi erogati alla cittadinanza;
    la stessa Carta costituzionale prefigura un federalismo fiscale di alto profilo, autonomistico ma nel contempo solidale, che garantisce la perequazione delle diverse capacità fiscali dei territori e prevede fondi speciali per le aree in situazioni di particolare disagio socio-economico;
    il superamento del sistema di finanziamento delle funzioni e delle competenze comunali, basato sulla finanza derivata, sia statale che regionale, è il principale obiettivo del processo di attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, che prevede l'attribuzione ad ogni istituzione, «senza vincolo di destinazione», di risorse sufficienti a «finanziare integralmente le funzioni assegnate»;
    i Governi che si sono avvicendati all'indomani del varo della legge n. 42 del 2009, nell'attuare la relativa delega legislativa si sono discostasti dal solco tracciato loro dal Parlamento, disattendendo in tal modo le aspettative di quanti, credendo nello spirito riformatore della legge, guardano oggi ad essa come ad un'occasione mancata;
    il federalismo rischia di rivelarsi una gigantesca soluzione pasticciata, buona per tutti i gusti, dove tutti si riconoscono per quota a seconda di ciò che sono riusciti ad ottenere; un modello confuso di federalismo in parte «competitivo» (sul terreno del rapporto tra pressione fiscale e qualità dei servizi offerti), in parte «solidale e cooperativo» per far fronte ai divari persistenti in termini di reddito, servizi e infrastrutture e per garantire a tutti i territori uguali punti di partenza;
    dalla lettura dei decreti attuativi fino ad oggi varati dal Governo, emerge che il passaggio dalla finanza derivata alla finanza decentrata non sembra venire contestualmente supportato da una precisa ed attenta definizione delle cosiddette funzioni essenziali finanziabili. La stessa legge delega sul federalismo fiscale, infatti, sconta tale anomalia mal definendo i contorni del finanziamento delle funzioni degli enti locali, contorni, peraltro, non ben delineati neanche dal decreto di attuazione sul finanziamento delle funzioni di comuni, province e città metropolitane;
    fino ad oggi non si è voluto affrontare, come auspicato, né il tema delle diseguaglianze sociali né di quelle territoriali, queste ultime superabili solo grazie all'avvio di una reale perequazione infrastrutturale, versante, quest'ultimo, sul quale occorre agire se si vuole evitare che il federalismo diventi un'asticella che obbliga gli enti territoriali meno virtuosi a mettere tasse per raggiungere la soglia minima degli standard e dei servizi;
    è, inoltre, indispensabile rivedere il sistema fiscale definendo quale rapporto debba sussistere tra funzioni attribuite e risorse economiche necessarie al loro esercizio e prevedendo forme di autonomia impositiva per i diversi livelli che non ricadano, come oggi, soprattutto, sui redditi dei contribuenti;
    pur in presenza di un corpus normativo che ha sostanzialmente affrontato pressoché tutti gli aspetti indicati nella legge delega sul federalismo fiscale, essendo stati emanati circa nove decreti, il percorso attuativo del federalismo fiscale non può ritenersi completato, in quanto l'implementazione della nuova disciplina risulta particolarmente complessa come nel caso della mancata individuazione dei fabbisogni standard che, unita all'ancora non intervenuta definizione con legge dei livelli essenziali delle prestazioni, nei settori diversi dalla sanità, ove peraltro la vigente disciplina è risalente al 2001, rende fortemente incompiuto il nuovo assetto federalista;
    un altro rilevante tema concerne, infine, la mancata attuazione del meccanismo di coordinamento finanziario dinamico della finanza pubblica posto dal «patto di convergenza», di cui all'articolo 18 della legge n. 42 del 2009, che prefigura un complesso disegno concertativo multilivello tra Stato ed autonomie territoriali;
    la concreta realizzazione della finanza decentrata ha presentato in alcuni casi problemi tecnici di oggettiva complessità, che in molti casi hanno reso necessario, come nel caso dei fabbisogni standard, del funzionamento dei fondi perequativi per gli enti locali o dell'armonizzazione dei sistemi contabili la previsione di lunghi periodi transitori e di fasi di sperimentazione prima dell'entrata a regime;
    nella riformulazione dei parametri di virtuosità ai fini del patto di stabilità, la legge di stabilità per il 2013 prevede che, a partire dal 2014, si dovrà dare prioritaria considerazione alla convergenza tra spesa storica e fabbisogni standard;
    ad oltre dieci anni oramai dall'approvazione del nuovo Titolo V della Costituzione, è necessaria una riflessione sull'assetto della Repubblica che coniughi unità e decentramento istituzionale, in cui i differenti livelli di governo operino in sinergia e non in contrapposizione, nella definizione di un punto di equilibrio che può e deve essere raggiunto anche attraverso un'adeguata individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale;
    l'attuazione del Titolo V della Costituzione, tuttavia, potrà svilupparsi compiutamente se, contestualmente al processo di attuazione del federalismo fiscale avviato dalla legge n. 42 del 2009, si procederà, con altrettanta coerenza e ampio confronto, all'attuazione degli articoli 114, 117 e 118 della Costituzione, garantendo la necessaria armonia tra i due provvedimenti e tra questi e quelli ad essi collegati, riguardanti, in particolare, la legge di contabilità e finanza pubblica e l'attuazione della legge di ottimizzazione del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni;
    c’è necessità, innanzitutto, di garantire una forte governance complessiva al processo di attuazione del federalismo che coinvolga in modo paritario e leale le regioni e gli enti locali; di contro, senza una chiara sede di regia unitaria è forte il rischio di incagliare definitivamente la riforma del Titolo V della Costituzione;
    la questione cruciale è che il tema dell'autonomia non può essere declassato a semplice problema di risorse: l'attuazione del titolo V della Costituzione, avviato dalla recente legge sul federalismo fiscale, esige che si proceda tramite un ampio dibattito parlamentare e un confronto con gli enti locali che si coniughi con il dettato costituzionale di cui all'articolo 5 che recita: «La Repubblica, una e indivisibile, che riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento»,

impegna il Governo:

   nell'ambito di una razionalizzazione e riorganizzazione dell'assetto istituzionale del territorio e della distribuzione delle funzioni tra i diversi livelli di governo attraverso la compiuta riforma del Titolo V della Costituzione, ad ultimare il processo di riforma federalista, valorizzando le autonomie locali come istituzioni pubbliche in grado di garantire i diritti fondamentali dei cittadini, capaci di porsi come motore di sviluppo delle economie locali, salvaguardando e rilanciando il loro valore di prossimità territoriale rispetto alle domande espresse dalle comunità locali, anche in chiave di sussidiarietà;
   a respingere qualsiasi tentazione di arretramento rispetto al decentramento responsabile e partecipato delle scelte politiche da parte dei territori, garantendo loro non solo l'individuazione funzionale delle modalità di erogazione dei servizi, ma anche il controllo sociale sul modo di organizzarne e gestirne la spesa;
   a promuovere una revisione del sistema fiscale definendo, per gli enti locali, quale rapporto debba sussistere tra funzioni attribuite e risorse economiche necessarie al loro esercizio, prevedendo forme di autonomia impositiva per i diversi livelli, le cui storture non ricadano, come avviene oggi, sui redditi dei contribuenti;
   a ricondurre l'imposizione fiscale sugli immobili alla natura di tassazione municipale avente come finalità il finanziamento dei servizi comunali strettamente connessi al territorio su cui insistono i beni immobili che costituiscono la sua base imponibile;
   ad assumere le opportune iniziative anche normative, al fine di chiarire che l'intero ammontare del gettito in astratto riconducibile agli immobili di proprietà dei comuni e siti nei loro territori non concorre alla compensazione delle risorse comunali attraverso il fondo di riequilibrio di cui all'articolo 13, comma 17, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011;
   nell'ambito della definizione dei livelli minimi e la conseguente definizione dei costi standard, a perseguire l'obiettivo complessivo di non penalizzare più attraverso il ricorso ai tagli lineari le esperienze degli enti virtuosi, ma a fare di queste esperienze punti di riferimento da diffondere anche nelle realtà meno concorrenziali sul versante dei costi e della qualità dei servizi.
(1-00237)
«Paglia, Lavagno, Ragosta, Pilozzi, Kronbichler, Marcon, Melilla, Boccadutri, Di Salvo, Piazzoni».
(11 novembre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
   il processo di decentramento legislativo e amministrativo avviato sin dalla fine degli anni Novanta non si è tradotto affatto in un parallelo trasferimento di entrate e spesa dalla potestà e disponibilità delle amministrazioni centrali dello Stato a quelle periferiche (regioni ed enti locali), con effetti positivi in termini di razionalizzazione e riduzione tanto della spesa quanto della pressione fiscale, bensì si è tradotto, prima, nella stratificazione di una crescente disponibilità di spesa delle amministrazioni periferiche su quella già elevata delle amministrazioni centrali, e, successivamente, nella speculare stratificazione di una crescente potestà impositiva delle amministrazioni periferiche su quella già elevata delle amministrazioni centrali, con effetti negativi di esplosione tanto della spesa pubblica complessiva quanto della pressione fiscale complessivamente esercitata dai diversi livelli di governo statali e territoriali sui cittadini e sulle imprese;
    tre sono tra le principali ragioni di questo vero e proprio auto-goal, che tanto danno ha recato al Paese, contribuendo in misura determinante all'esplosione della spesa pubblica che si è registrata in particolare modo negli anni dal 2001 al 2006 e alla conseguente esplosione della pressione fiscale dal 2006 in avanti, quando sono cominciate, con intensità crescente di pari passo con l'aggravarsi del contesto di crisi, le inevitabili politiche restrittive di riequilibrio dei conti pubblici culminate, all'apice delle difficoltà e delle turbolenze finanziarie, con le manovre varate nella seconda metà del 2011 dal Governo Berlusconi prima e dal Governo Monti poi;
    una prima ragione va individuata in un'infelice ripartizione delle competenze legislative tra Stato e regioni e, in particolare modo, nell'enumerazione eccessivamente ampia delle materie di competenza concorrente, il cui radicale sfoltimento si palesa come uno dei presupposti imprescindibili per consentire che i processi di decentramento si traducano realmente in avvicinamenti dei livelli di governo ai cittadini, con possibili ricadute positive in termini di razionalizzazione e riduzione della spesa e della pressione fiscale su di essi esercitata, invece che in duplicazione di costi burocratici e, quindi, in stratificazioni di nuova spesa su spesa, con conseguente stratificazione di tasse su tasse quando il riequilibrio dei conti diviene condizione imprescindibile e non più rinviabile;
    una seconda ragione, che trova in parte le proprie premesse nella prima, va individuata nel fatto che le riforme degli anni Novanta (la cosiddetta riforma «Bassanini») e del 2001 (riforma del Titolo V della Costituzione) hanno sensibilmente decentrato la spesa, ma non hanno fatto altrettanto in termini di decentramento del personale pubblico e delle risorse finanziarie;
    una terza ragione, che trova in parte le proprie premesse nella seconda, va individuata nella persistente asimmetria quantitativa tra volumi di spesa sviluppati dai singoli livelli di governo statale e territoriale e potestà impositiva da essi direttamente esercitata sul cittadino, con quel che ne consegue in termini di opacità per quest'ultimo delle dinamiche finanziarie interne al bilancio dello Stato e sostanziale deresponsabilizzazione dei decisori politici per le scelte di competenza di ciascuno: ancora oggi, il 40 per cento delle entrate di regioni ed enti locali è rappresentato da trasferimenti invece che da entrate proprie;
    con la riforma del 2009 (legge n. 42 del 2009) si è inteso creare i presupposti per potere correggere queste storture e dare forma a un federalismo fiscale capace di stimolare un'effettiva responsabilità a livello locale, attraverso l'esercizio dell'autonomia fiscale, l'imposizione di una piena trasparenza nell'assegnazione delle risorse a ciascun ente locale e l'abbandono graduale del circolo vizioso della spesa storica;
    a tutt'oggi, e nonostante l'avvenuta emanazione di numerosi decreti attuativi, la trama complessiva della legge delega n. 42 del 2009 per l'attuazione del federalismo fiscale è ancora lungi dall'essere attuata nel suo complesso, mentre si avvicina anche il termine del 21 novembre 2014, entro cui è prevista la possibilità di emanare decreti legislativi integrativi e correttivi;
    in particolare, il passaggio dai criteri fondati sulla spesa storica ai concetti di costo e fabbisogno standard appare fondamentale, ai fini di un'apprezzabile riduzione quantitativa della spesa pubblica e, conseguentemente, della pressione fiscale, secondo logiche però qualitative e di efficienza, in contrapposizione alle logiche di tagli lineari, presenti soprattutto per quanto riguarda i trasferimenti agli enti locali, idonei a creare talvolta inefficienze addirittura maggiori dei risparmi che generano;
    è necessario, pertanto, adottare velocemente tutti i decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive che saranno ritenuti utili, consentendo così l'avvio della transizione verso il nuovo assetto in tutti i suoi aspetti che sono complementari tra di loro e non possono essere affrontati in modo separato, tenendo anche conto che la crisi dei conti pubblici, esplosa in tutta la sua evidenza nella seconda metà del 2011, ha portato all'adozione di una serie di misure emergenziali, finalizzate al loro riequilibro, che hanno pesantemente inciso sui bilanci di regioni ed enti locali, con tagli nelle disponibilità di spesa e interventi di natura tributaria non pienamente allineati agli obiettivi di fondo della riforma disegnata dalla legge n. 42 del 2009,

impegna il Governo:

   a dare piena e completa attuazione alla legge delega sul federalismo fiscale n. 42 del 2009, adottando tutti i decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive che saranno ritenuti utili;
   ad assumere iniziative per dare vita quanto prima ad una vera service tax federale, il cui gettito sia per intero destinato ai comuni e alla perequazione tra i medesimi e che non sia una mera sommatoria, ridenominazione o scomposizione per parti delle attuali imu e tares;
   a verificare prioritariamente l'attuazione della procedura per l'individuazione dei costi e dei fabbisogni standard e degli obiettivi di servizio, valutando anche l'opportunità di stabilire un principio di flessibilità per tipologia di prestazione e diversità territoriale, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, e dall'articolo 13 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, ed adottare, nel termine ineludibile di tre mesi dall'approvazione del presente atto di indirizzo, tutti gli atti conseguenti e necessari ai fini della loro compiuta determinazione;
   nel percorso di completamento dell'attuazione del federalismo fiscale, ad agire con la massima urgenza per rendere operativo il criterio dei costi standard relativi al servizio sanitario e dei fabbisogni standard per comuni e province, affinché sia consentito agli enti territoriali di contenere le addizionali regionali e locali, inducendo tutti gli amministratori alla massima responsabilizzazione;
   a coordinare il tema della finanza locale con le modifiche ordinamentali già contenute nell'articolo 23 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, e con quelle in corso di approvazione nell'ambito della Carta delle autonomie locali e della riforma costituzionale, con particolare riguardo alla forma di Governo, alla previsione del Senato federale, alla riduzione del numero dei membri delle Camere, all'eliminazione degli enti intermedi inutili e, in generale, alla revisione della parte seconda della Carta costituzionale;
   per quanto riguarda la riforma organica delle istituzioni di governo di area vasta, introdotta dal decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, a riconsiderare l'impatto che il trasferimento delle funzioni e delle risorse oggi gestite dalle province avrà sui bilanci e sull'organizzazione di regioni e comuni, già gravati dalle difficili condizioni di sostenibilità del loro patto di stabilità, posto che le nuove norme ingenerano confusione nel sistema delle autonomie e conseguenze pesanti per lo sviluppo dei territori, producendo notevoli costi aggiuntivi per lo Stato e per la pubblica amministrazione;
   ad adottare con gli strumenti di programmazione finanziaria tutti i provvedimenti per il coordinamento dinamico della finanza pubblica previsti dalla legge delega n. 42 del 2009 e dai decreti legislativi approvati, a partire dal percorso di convergenza degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettere m) e p) della Costituzione, (articolo 13 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68) e dall'obiettivo programmato della pressione fiscale complessiva, nel rispetto dell'autonomia tributaria delle regioni e degli enti locali (articolo 18 della legge delega n. 42 del 2009);
   a promuovere una revisione delle regole del patto di stabilità interno, introdotte dal decreto legislativo n. 149 del 2011, in materia di meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni;
   a completare il processo di riforma federalista superando definitivamente il sistema di finanza derivata in ragione di una piena autonomia finanziaria delle regioni e degli enti locali, senza aumentare la pressione fiscale complessiva, garantendo certezza di risorse e promuovendo lo sviluppo economico locale anche attraverso l'implementazione di nuovi ed appositi strumenti in grado di supportare le amministrazioni locali nel processo di acquisto dei beni e dei servizi al fine di attuare efficienti revisioni di spesa;
   ad adottare, nell'ambito delle riforme concernenti la disciplina di bilancio delle pubbliche amministrazioni, ogni utile iniziativa volta ad implementare le procedure telematiche di comunicazione annuale dei dati, finalizzate alla creazione di un'anagrafe telematica della spesa, dei debiti e dei contratti di ogni genere e tipo, ivi compresi quelli di consulenza e di lavoro subordinato;
   a cambiare l'approccio allo strumento dell'addizionale irpef da parte di regioni e comuni, oggi troppo spesso usata forzatamente per compensare carenze di bilancio, laddove dovrebbe, invece, costituire uno strumento attraverso il quale gli enti locali e territoriali costruiscono in autonomia un sistema di detrazioni atte a favorire e sostenere le categorie sociali più deboli o meritevoli di tutela;
   ad assumere iniziative per ripristinare il dettato del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, (disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario), con particolare riferimento alla compartecipazione regionale all'iva, le cui modalità di attribuzione siano stabilite in conformità con il principio di territorialità;
   a verificare lo stato di attuazione di tutti i decreti legislativi approvati, comprensivi degli atti amministrativi previsti, al fine di definire un percorso per la loro reale definitiva entrata in vigore.
(1-00238)
«Zanetti, Dellai, Balduzzi, Sottanelli, Andrea Romano, Sberna, Rossi, Librandi, De Mita, Fauttilli, Piepoli».
(11 novembre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    la revisione del Titolo V della Costituzione, in particolare l'articolo 119, ha rafforzato l'autonomia finanziaria delle regioni, prevedendo che sia le regioni che gli enti locali abbiano autonomia finanziaria di entrata e di spesa, mediante l'adozione di un modello costruito sul principio che ogni funzione attribuita da parte dei diversi livelli di governo sia finanziata integralmente. L'articolo 119 prevede, altresì, che gli enti territoriali e locali hanno un proprio patrimonio attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato;
    dalla sopra citata modifica costituzionale del 2001 il legislatore è stato inerte e non ha provveduto all'attuazione dell'autonomia delle regioni e degli enti locali;
    nella XVI legislatura, con l'approvazione della legge delega sul federalismo fiscale n. 42 nel 2009, è stato autorizzato il Governo ad attuare il federalismo fiscale mediante l'adozione di decreti delegati. Obiettivo prioritario del nuovo assetto federale è consentire il superamento del tradizionale criterio della spesa storica per il finanziamento di regioni ed enti locali, in favore di un sistema che preveda l'assegnazione delle risorse in base al parametro del «fabbisogno standard» e del «costo standard»;
    si rileva che l'approvazione della legge n. 42 del 2009, d'iniziativa del Governo Berlusconi, ha avuto un iter parlamentare caratterizzato dalla condivisione e dal confronto fra l'allora maggioranza e opposizione, per addivenire ad un testo condiviso;
    a distanza di tre anni il percorso legislativo non si è concluso. Oggi, con l'insediamento del Governo cosiddetto delle «larghe intese», sono coinvolte nell'attività esecutiva entrambe le forze politiche che si sono già confrontate nel 2009 sul tema dell'attuazione del federalismo fiscale. Pertanto, non si ravvedono particolari motivazioni per non procedere nella conclusione dell'attuazione della legge delega n. 42 del 2009, dopo il periodo di sospensione correlato al Governo tecnico Monti;
    il modello delineato dalla legge n. 42 del 2009 conferma la centralità del superamento dei criteri di spesa storica ed è finalizzato a creare un sistema in cui regioni ed enti locali possano attingere alle entrate provenienti dal proprio territorio per finanziare lo svolgimento delle funzioni essenziali a loro attribuite, ma con i limiti di spesa dettati dall'individuazione di livelli essenziali da garantire ai cittadini nel rispetto di costi e fabbisogni standard da rispettare nell'esercizio del potere di spesa;
    la responsabilizzazione di ciascun livello istituzionale nell'esercizio del potere di spesa abbinato all'autonomia impositiva, da cui si attende la razionalizzazione della spesa a livello territoriale e la riduzione dell'indebitamento degli enti, consentirebbe ai cittadini di poter valutare e giudicare l'operato e l'efficienza dei propri amministratori locali. La legge n. 42 del 2009 prevede, altresì, interventi perequativi per salvaguardare la solidarietà fra gli enti locali, compensando le differenze tra i territori con diversa capacità fiscale;
    un'aspettativa importante era riposta nell'attuazione della legge delega n. 42 del 2009, ossia nell'applicazione dei costi standard nel settore sanitario, come strumento di razionalizzazione della spesa sanitaria nelle regioni e strumento di contrasto alle inefficienze in un settore delicato, che deve garantire livelli essenziali di assistenza accettabili su tutto il territorio nazionale e superare gli sprechi, che hanno comportato il disavanzo sanitario di importanti regioni, a danno della tutela e della cura della salute dei cittadini;
    ad oggi, nonostante l'entrata in vigore del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, recante «Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario», ancora non c’è l'intesa fra il Governo e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome sull'individuazione dei «costi standard»;
    è auspicabile, in occasione dell'emanazione dei decreti mancanti e dei decreti correttivi, un monitoraggio degli effetti prodottisi in termini di una migliore ed efficiente gestione delle risorse finanziarie a livello territoriale, affinché le nuove forze politiche in Parlamento possano esprimere un giudizio di condivisione del nuovo assetto federale dello Stato;
    è necessario anche valutare le ripercussioni sull'efficacia del nuovo assetto federale nel contesto di grave crisi economica, che può incidere in modo rilevante sui risultati attesi, in quanto le riforme rilevanti sono di difficile realizzazione nei momenti in cui l'economia è in flessione. Si alterano gli equilibri e le decisioni sono condizionate da priorità più impellenti;
    si rileva, altresì, la necessità di attivare la Commissione parlamentare bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale, la cui composizione è stata già determinata, ma non è stato ancora nominato il presidente,

impegna il Governo:

   a proseguire l'attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, adottando tempestivamente tutti i provvedimenti attuativi mancanti, al fine di attivare il nuovo assetto istituzionale e verificare gli effetti in termini di migliore e controllata gestione delle risorse finanziarie a livello territoriale;
   a presentare al Parlamento una relazione sullo stato di attuazione della riforma federale per una ricognizione degli effetti economici e finanziari espletati dai provvedimenti già vigenti;
   a valutare l'opportunità, in sede di adozione dei decreti legislativi integrativi e correttivi, di individuare e correggere le problematiche attuative per armonizzare la normativa in ragione del mutato contesto economico e finanziario caratterizzato dalla fase recessiva dell'economia e per coordinare le nuove relazioni finanziarie fra i differenti livelli di governo, affinché il prelievo fiscale complessivo a carico dei contribuenti né aumenti né peggiori in termini di maggiori adempimenti;
   ad accelerare i tempi per conseguire l'intesa con le regioni sull'individuazione e sull'applicazione dei costi standard nel settore sanitario, aprendo un tavolo di confronto, al fine di consentire l'applicazione dei costi standard già a decorrere dall'anno 2014.
(1-00241)
«D'Incà, Villarosa, Nuti, Castelli, Sorial, Brugnerotto, Cecconi, Dadone, Spessotto, Cozzolino, Turco, Rostellato, Businarolo, Lorefice, L'Abbate, Manlio Di Stefano, Da Villa, Terzoni, Sibilia».
(13 novembre 2013)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MERITO ALLA DISMISSIONE DEL PATRIMONIO IMMOBILIARE DEGLI ENTI PREVIDENZIALI

   La Camera,
   premesso che:
    l'emergenza abitativa costituisce, nell'attuale crisi economica che colpisce il Paese, uno dei fattori di maggiore e crescente tensione sociale che interessa larghi strati della popolazione appartenenti, oltre che alle tradizionali categorie a rischio, anche a fasce di ceto medio, professionisti e famiglie con doppio reddito;
    tale situazione è resa particolarmente acuta dai caratteri del mercato immobiliare italiano dove l'offerta di abitazioni private – con costi molto alti ed inaccessibili per un numero sempre maggiore di famiglie e di giovani coppie – supera largamente l'offerta pubblica scesa progressivamente, negli ultimi anni, ad una quota pari a circa l'1 per cento della produzione edilizia totale;
    occorre prendere atto di un'assenza di iniziativa delle autorità pubbliche che, nonostante la crescita della crisi abitativa e la sollecitazione delle forze sociali e di vari organismi parlamentari, non sono state in grado, negli ultimi anni, di varare un'organica politica per la casa che, intrecciata con innovative politiche di governo del territorio, fosse in grado di rilanciare la produzione di edilizia a fini sociali o di carattere pubblico con il recupero urbano ed il contenimento del consumo di suolo nelle città;
    la Corte costituzionale e la Corte europea dei diritti dell'uomo hanno, in questo quadro, segnalato, l'inopportunità di provvedimenti «tampone» – soprattutto in materia di proroga delle ordinanze di sfratto – che ledono il libero dispiegarsi del diritto alla proprietà, in assenza di azioni organiche e complessive capaci di dare una risposta d'insieme ai vari aspetti che riguardano il problema dell'emergenza abitativa in Italia e, d'altro canto, si deve tenere presente che il diritto alla casa e l'accesso alla proprietà della stessa sono sancite dall'articolo 47 della Costituzione;
    parte essenziale della crisi abitativa è legata alla dismissione del patrimonio abitativo degli enti previdenziali pubblici e privatizzati; processo che ancora oggi – dopo le alienazioni concluse negli anni precedenti – riguarda circa 100 mila famiglie, in gran parte concentrate nella capitale d'Italia;
    in questo ambito gli affittuari degli immobili degli enti previdenziali privatizzati vivono una condizione di particolare disagio con aumenti consistenti dei canoni di affitto per il rinnovo dei contratti di locazione e con proposte di acquisto dell'alloggio da parte degli enti con prezzi a valore praticamente di mercato;
    la condotta degli enti privatizzati per i rinnovi contrattuali e le vendite è regolata da una serie di provvedimenti succedutisi nel tempo – il decreto legislativo n. 509 del 1994, la legge n. 104 del 1996, l'articolo 1, comma 38, della legge 243 del 2003, il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, la direttiva europea 2004/18/CE – che creano molte incertezze e dubbi normativi sulla piena legittimità, oltre che sostenibilità sociale, delle procedure in atto e che la stessa Corte di cassazione si è incaricata di segnalare con sentenza a sezioni unite 22 giugno del 2006, n. 20322, e da un'eterogeneità di situazioni tra ente ed ente che rischia di creare situazioni di iniquità di trattamento;
    l'ulteriore conferma è ravvisabile nel decreto-legge 3 febbraio 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, in cui è previsto, ai sensi dell'articolo 5, che, ai fini dell'applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono gli enti e i soggetti indicati ai fini statistici nell'elenco oggetto del comunicato dell'Istituto nazionale di statistica in data 24 luglio 2010;
    oltretutto, sempre a riscontro dell'intrinseca natura pubblicistica di queste casse, non può non essere preso in considerazione quanto sancito dal decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135;
    in particolare, tale normativa, al comma 11-bis dell'articolo 3, rubricato «razionalizzazione del patrimonio pubblico e riduzione dei costi per locazioni passive», disciplina specificatamente la nuova procedura che gli enti previdenziali inseriti nel conto economico della pubblica amministrazione devono seguire nella dismissione immobiliare. Appare, dunque, chiara e leggibile la natura giuridica degli enti previdenziali privatizzati, anche alla luce degli ultimi interventi normativi;
    la situazione dei conduttori degli immobili degli enti previdenziali pubblici non appare meno preoccupante alla luce dell'interruzione del processo di alienazione e della scadenza dei contratti che mette sia i conduttori con titolo che le tante famiglie di occupanti sine titulo in una condizione di angoscia e incertezza, tanto più assurda in presenza di una legge – la n. 410 del 2001 – che ha fissato con chiarezza le condizioni e le prerogative con cui agire per la vendita del patrimonio degli enti previdenziali pubblici;
    in questo specifico caso, va ricordato che già il 90 per cento del patrimonio abitativo è stato alienato ai conduttori con le prerogative della sopra citata legge e attraverso l'azione di specifici soggetti societari all'uopo costituiti – Scip 1 e Scip 2 – dopo lo scioglimento dei quali, il patrimonio residuo è entrato integralmente in possesso dell'Inps;
    l'Inps stesso, più volte sollecitato sul tema, ha inviato – anche con specifica lettera del presidente Mastrapasqua – ai Ministeri dell'economia e delle finanze e del lavoro e delle politiche sociali, vigilanti sull'Istituto – richiesta di chiarimento sul da farsi, in ragione anche della sopravvenuta norma sulla dismissione del patrimonio immobiliare pubblico presente all'articolo 27 del cosiddetto «decreto Salva Italia», decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011;
    appare, pertanto, urgente un pronunciamento degli organi parlamentari e del Governo sulle modalità con cui affrontare, in un quadro di sostenibilità economica dello Stato e degli enti sopra richiamati, ma anche e soprattutto di tutela e garanzia sociale delle famiglie interessate, il processo di alienazione degli immobili del patrimonio abitativo degli enti pubblici e privatizzati, evitando il rischio di accentuare l'emergenza abitativa, in particolare a Roma,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative, nel più breve tempo possibile, per chiarire il quadro normativo che regola il processo di alienazione del patrimonio immobiliare dei vari enti previdenziali privatizzati;
   ad intervenire per garantire, comunque, agli inquilini tutele e garanzie di controllo sui prezzi di vendita da parte degli enti e sull'entità dei canoni di affitto in rinnovo di locazione, traendo prioritario riferimento da quanto stabilito dalla legge n. 410 del 2001 e dagli accordi sindacali in materia, in modo che i diritti in essi stabiliti siano effettivamente praticabili;
   ad intervenire presso gli enti previdenziali pubblici ed in particolare presso l'Inps – come da esso stesso richiesto – affinché vengano adottate con chiarezza e celerità tutte le procedure necessarie per la ripresa del processo di alienazione degli immobili reimmessi in possesso dell'Inps stesso con le tutele, il prezzo e le garanzie stabilite dalla legge n. 410 del 2011;
   ad aprire, in ogni caso, da subito un tavolo di confronto tecnico e sindacale con le organizzazioni sindacali e dell'inquilinato e con gli enti locali interessati riguardante sia il patrimonio degli enti previdenziali pubblici che quello degli enti previdenziali privatizzati, per individuare le soluzioni più rapide e socialmente efficaci per raggiungere gli obbiettivi sopra richiamati e per la regolarizzazione degli occupanti sine titulo o delle assegnazioni irregolari negli alloggi degli enti previdenziali pubblici, anche al fine di prevenire situazioni esplosive di disagio sociale e per favorire l'accesso al credito delle famiglie con reddito medio basso, con mutui sostenibili e finalizzati all'acquisto;
   ad impartire, per quanto riguarda gli enti previdenziali pubblici, precise disposizioni affinché, nelle more dei provvedimenti da assumere, venga differita l'esecuzione degli sfratti o degli sgomberi pendenti nelle aree urbane e attuata la sospensione delle aste riguardanti le unità immobiliari ad uso residenziale che non risultino effettivamente libere;
   ad assumere un provvedimento che obblighi gli enti previdenziali pubblici e privatizzati e quelli partecipati, con controllo o vigilanza pubblica, a stipulare e rinnovare i contratti di locazione, tenendo conto della situazione di difficoltà economica delle famiglie, anche riconsiderando in forme socialmente più sostenibili gli accordi recentemente stipulati da diversi enti;
   a prevedere, in attesa di un rapido chiarimento sulle procedure da adottare derivanti dagli esiti del sopra citato tavolo tecnico, una moratoria delle procedure di alienazione degli immobili degli enti previdenziali privatizzati – ancorché deliberate ma ad oggi non avviate – e degli aumenti dei canoni connessi ai rinnovi contrattuali, nonché delle procedure di sfratto in corso per gli enti previdenziali privatizzati, tenuto conto che la Commissione VIII (Ambiente, territorio e lavori pubblici) della Camera dei deputati ha già approvato all'unanimità nel 2010 la risoluzione Alessandri, Piffari e Braga n. 8-00101, che dà mandato al Governo di convocare un tavolo tecnico e sindacale sui temi sopra citati;
   a prevedere per le procedure di alienazione in fase di attuazione, anche a causa della congiuntura economica e della difficoltà di accedere al credito, la possibilità, per chi non è in grado di procedere all'acquisto, di poterlo fare alle medesime condizioni per i successivi 5 anni;
   ad intervenire, anche con precise disposizioni normative, per risolvere l'annosa vicenda del contenzioso giudiziario dei cosiddetti immobili di pregio.
(1-00011)
«Morassut, Argentin, Braga, Villecco Calipari, Martella, Meta, Coscia, Realacci, Peluffo, Lenzi, Brandolin».
(27 marzo 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    all'interpellanza urgente n. 2-00062, presentata dalla firmataria del presente atto di indirizzo e discussa nella seduta n. 22 del 23 maggio 2013, alla quale ci si riporta integralmente, ha risposto in rappresentanza del Governo il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Carlo Dell'Aringa;
    la risposta non ha soddisfatto l'interpellante e, per tali motivi, è stata presentata la presente mozione ex articolo 138, comma 2, del regolamento della Camera dei deputati;
    sul corretto inquadramento normativo degli enti previdenziali trasformati in associazioni e fondazioni di diritto privato, ai sensi del decreto legislativo n. 509 del 1994, il Sottosegretario di Stato ha sostenuto che tali questioni: «coinvolgono profili decisionali che esulano dalle competenze del solo Ministero che rappresento, in quanto coinvolgono, talora perlomeno, scelte che spettano al Governo nella sua collegialità»; sarebbe opportuno avere notizie in merito alla posizione che il Governo assumerà in relazione ai profili di illegittimità costituzionale sollevati dalla prima firmataria del presente atto di indirizzo e, in particolare, sul comportamento normativo da far applicare a tali soggetti;
    il Sottosegretario di Stato, nel giustificare il comportamento degli enti e quella che alla firmataria del presente atto di indirizzo appare la negligenza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ha sostenuto in Aula che: «le disposizioni del decreto legislativo n. 509 del 1994 non hanno subito fino ad oggi alcuna modifica e sono tuttora pienamente operanti, nonostante nel tempo si siano moltiplicate le spinte del legislatore a incrementare il complesso dei vincoli finanziari e amministrativi imposti alle gestioni, attraendo nell'orbita della finanza pubblica anche le casse private di previdenza, sulla scorta della loro inclusione nell'elenco ISTAT di individuazione delle amministrazioni pubbliche (...). D'altra parte, (...) alcune iniziative hanno invece contribuito a rafforzare proprio l'autonomia riconosciuta agli enti previdenziali privatizzati, salvaguardando gli equilibri delle gestioni, in funzione – questo è importante – dell'autosostenibilità di lungo periodo (...)»;
    è vero che con il decreto legislativo n. 509 del 1994 gli enti previdenziali sono stati trasformati in associazioni o in fondazioni con deliberazione dei competenti organi, ma ad una precisa condizione: che non usufruissero più di finanziamenti o altri ausili pubblici di carattere finanziario (articolo 1 del decreto legislativo n. 509 del 1994), condizione che è stata a giudizio della prima firmataria del presente atto di indirizzo palesemente violata. È opportuno ricordare che tali enti non hanno rispettato le condizioni imposte dalla legge;
    sono enti che sussistono senza scopo di lucro, ma nella realtà quotidiana si comportano come qualsiasi società con l'unica finalità di monetizzare e speculare sul patrimonio immobiliare e sugli stessi inquilini, utilizzando quel patrimonio che negli anni era stato acquistato con danaro pubblico e che aveva una finalità ben precisa: quella di tutelare l'emergenza abitativa;
    la stessa Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nella segnalazione, approvata dal consiglio nella seduta del 26 gennaio 2011, e depositata il successivo 3 febbraio 2013, rafforza giuridicamente quanto illustrato, affermando che la contribuzione obbligatoria di tipo solidaristico, posta a carico degli iscritti, realizza una forma indiretta di concorso finanziario dello Stato; eppure, è lo stesso decreto legislativo n. 509 del 1994 che prevede che non sono consentiti finanziamenti pubblici diretti o indiretti;
    inoltre, è lo stesso allegato III della direttiva 2004/18/CE (modificabile solo seguendo la procedura all'uopo stabilita) ad elencare, in via non limitativa, gli organismi e le categorie di organismi di diritto pubblico, includendo espressamente in tale novero gli enti che gestiscono forme obbligatorie di previdenza e assistenza;
    quanto alla legge 23 agosto 2004, n. 243, articolo 1, comma 38, norma definita di interpretazione autentica, con cui il legislatore aveva escluso dalla dismissione di cui al decreto legislativo 16 febbraio 1996, n. 104, gli enti di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, la Corte di cassazione, in diverse occasioni, si è espressa affermando che tale norma, seppure formulata come norma di interpretazione autentica, ha carattere innovativo, quindi confermando l'esigenza di tutelare dei rapporti giuridici che, secondo le leggi previgenti, avevano previsto la prelazione o l'opzione legale a favore del conduttore qualificato;
    quindi, tale legge detta una nuova regolamentazione per le situazioni non esaurite escludendo, appunto, gli enti previdenziali successivamente «privatizzati» dalla speciale disciplina posta dal decreto legislativo n. 104 del 1996, operando il consueto limite delle situazioni giuridiche esaurite, dove la locuzione «limite consueto» esprime l'esigenza di tutela dei rapporti giuridici che, secondo le leggi previgenti, avevano previsto la prelazione o l'opzione legale a favore del conduttore qualificato; la trasformazione dell'ente in fondazione ha determinato un effetto giuridico di natura successoria per tutti i rapporti giuridici pendenti e per tutti i diritti di credito o gli obblighi assunti, in mancanza di una diversa e specifica disciplina legislativa. Questo dice la Corte di cassazione, queste sono le frasi utilizzate dai supremi giudici;
    allora, quelle case andavano vendute agli inquilini secondo i principi stabiliti nel decreto legislativo n. 104 del 1996, visto che le abitano, sin dall'inizio degli anni Settanta, le hanno continuate ad abitare anche quando la suindicata normativa obbligava gli enti a dismettere il patrimonio immobiliare, e, purtroppo, le vivono ancora oggi non potendole acquistare viste le gravose condizioni;
    infatti, il 90 per cento degli inquilini è affittuario delle case degli enti da prima del 1996 ed il legislatore, con decreto legislativo n. 104 del 1996 (modificato ed integrato dalla legge n. 410 del 2001), aveva deciso di disciplinare l'attività in campo immobiliare degli enti previdenziali – secondo una specifica tabella (allegata alla legge n. 70 del 1975) tra cui era ricompresa anche Enasarco, oltre a tutti gli enti di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994;
    alla luce di quanto detto nell'interpellanza urgente è grave che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ritenga: «difficile ipotizzare, come richiesto dall'interpellante, sistematici processi di omogeneizzazione di obiettivi e procedure (procedure, in particolare, al di fuori delle prescrizioni generali dirette ad imporre il conseguimento del risultato fondamentale che è quello della sostenibilità pluriennale per garantire agli assicurati che avranno una pensione), alla luce della normativa vigente che continua a tutelarne l'autonomia e la ricerca individuale delle soluzioni più rispondenti alle esigenze delle categorie (...)»;
    invero, non applicare una procedura omogenea comporterebbe una palese violazione dei principi costituzionali, in particolare quelli previsti dall'articolo 3; infatti, non si comprende come sia possibile legittimare comportamenti diversi sia nelle vendite che negli affitti da parte degli stessi enti sottoposti alla stessa normativa e con conseguente danno a carico degli inquilini/affittuari;
    a contrario, dimentichi degli obiettivi di natura sociale per cui sono stati istituiti e sostenuti, e che permangono a tutt'oggi, attraverso quella che alla firmataria del presente atto di indirizzo appare una falsa e distorta applicazione della normativa in materia, gli enti privatizzati hanno, con il tempo, gestito la res publica (perché frutto del danaro pubblico) come se fosse cosa privata amministrata da soggetto privato, in aperto contrasto con quanto dispone la normativa sovranazionale nella direttiva 2004/18/CE e con quanto stabilisce la Corte di giustizia dell'Unione europea. In ordine agli evidenziati profili, secondo la prima firmataria del presente atto di indirizzo emergono manifestamente dei profili di illegittimità costituzionale nell'affermare la disciplina privatistica nel caso de quo, per stridente contrasto non solo con i principi fondamentali della Carta costituzionale, ma anche con la normativa sovranazionale, laddove la diretta applicabilità delle direttive, che hanno i caratteri della chiarezza e della precisione, è stata, tra l'altro, ormai riconosciuta dalla costante giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea (fin dal lontano 1963, nella sentenza relativa al caso Van Gend en Loos, causa 26/62);
    sulla richiesta di un tavolo tecnico interistituzionale, il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, nel rispondere, affermava che, nella XVI legislatura la direzione generale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali aveva preso parte ad un tavolo tecnico unitamente al Ministero dell'economia e delle finanze; i lavori si sono conclusi con delle ipotesi normative da cui si potrebbe ripartire; si chiede di avere copia di tale lavoro e di poter sapere dai Ministeri competenti quando potrà ripartire tale tavolo e quali saranno i soggetti che vi faranno parte;
    sarebbe necessario, però, rispondere in tempi brevi a tali necessità, in primis con l'abrogazione dell'articolo 1, comma 38, della legge 23 agosto 2004, n. 243, e dell'articolo 168 della legge n. 228 del 2012, nella parte in cui prevede che: «le disposizioni di cui al comma 11-bis dell'articolo 3 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, non si applicano al piano di dismissioni immobiliari della Fondazione Enasarco»;
    nelle more dell'instaurazione del tavolo tecnico, prima che vengano stabilite le modalità ed i tempi per attuare tale tavolo interministeriale per le vendite, i rinnovi delle locazioni e le conseguenti problematiche legate al patrimonio degli enti, gli stessi comunque proseguono nella vendita, ragion per cui sarebbe auspicabile, anche alla luce dei quotidiani episodi di suicidio legati anche al problema casa, intervenire con un provvedimento urgente che possa in tempi brevi dirimere la controversia;
    oltre a ciò, non è dato comprendere il perché nessuna risposta è giunta dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali a giustificazione delle perdite di Enasarco, situazione che tocca quasi tutti gli altri enti, e cioè quelle relative agli investimenti finanziari per un ammontare di circa 1,5 miliardi di euro, di cui ben 780 milioni di euro investiti nel fondo Anthracite delle Isole Cayman;
    sono riconosciuti dalla stessa Enasarco, nel bilancio 2012, i problemi derivati dai titoli strutturati, poco efficienti, molto costosi, scarsamente liquidizzabili senza perdite e molto opachi;
    dallo stesso bilancio, infatti, emerge: «in virtù di una clausola contrattuale, della cui esistenza né l’advisor, né il direttore generale, né il dirigente del servizio finanza avevano dato conoscenza al consiglio d'amministrazione della Fondazione (...) la Fondazione, sulla base di verifica effettuata con i propri legali, in data 15 aprile 2013 si è vista costretta a corrispondere la somma di euro 14,7 milioni comprensiva di interessi ad Elliott management»;
    da un'indagine della Corte dei conti, pubblicata solo nel giugno 2013, sulla gestione finanziaria di Enasarco per gli esercizi 2010-2011 emerge: «questa Corte porrà la massima attenzione nella propria relazione al bilancio 2012, sul quale impatteranno gli effetti negativi in termini di sopravvenienza passiva, per la suddetta restituzione»;
    per quanto risulta ai firmatari del presente atto di indirizzo, il portafoglio degli investimenti immobiliari e mobiliari presenterebbe uno sbilanciamento anomalo dell’asset allocation, che vedrebbe la parte illiquida rappresentata dal 92 per cento circa del totale investito rispetto all'8 per cento della parte liquida;
    gli «investimenti alternativi» sarebbero concentrati in maniera anomala attorno a 3 fondi, che andrebbero a finanziare veicoli off shore basati all'estero e rappresenterebbero complessivamente 1.815 milioni di euro del valore di carico, quasi il 93 per cento del totale del valore di carico degli «investimenti alternativi», e cioè il 29 per cento circa del totale degli asset investiti (6.284 milioni di euro);
    i tre fondi, per quanto risulta ai firmatari del presente atto di indirizzo, registrerebbero minusvalenze significative in termini di differenza fra net asset value a valori di mercato e valore di carico dell'apporto di capitale investito, responsabili in maniera preponderante della perdita complessiva di valore del totale della minusvalenza del totale del patrimonio mobiliare, pari a circa 570 milioni di euro;
    tali investimenti, in tutti e tre i casi, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, violerebbero complessivamente i limiti 1, 2 e 3 dell'articolo 15 del regolamento per l'impiego delle risorse finanziarie della Fondazione Enasarco;
    l'operato apparentemente illecito è stato persino confermato dall'ex presidente di Enasarco. Infatti, lo stesso ex presidente di Enasarco Donato Porreca sulla rivista Il Mondo, rivista autorevole nell'informazione economica, in data 7 giugno 2013 pubblica una lettera aperta in cui attacca i vertici di Enasarco, attribuendo specifiche responsabilità circa la gestione del patrimonio immobiliare e mobiliare, muovendo delle accuse precise agli attuali vertici della fondazione Enasarco non solo sugli investimenti nei titoli tossici, ma anche sulla dismissione del patrimonio immobiliare. Lo stesso afferma che : «ma ora non posso tacere, visto come qualcuno si è esercitato nell'italica ed atavica virtù dello scaricabarile, vanamente tentando di mistificare sui propri fallimenti invocando gravose eredità del tutto inventate (Il Mondo 19, ma soprattutto nel notiziario Enasarco 10). Si tenta di spacciare iniziative improvvide come il famoso titolo Anthracite, come fossero state realizzate nel 2005, nel 2001-2004 o nel 2007, ma per ristrutturare titoli acquistati nel periodo 2001-2005. Detto prodotto è stato, invece, acquisito nel 2007 (...) al momento delle mie dimissioni (28 novembre 2006) provocate dalla vicenda giudiziaria che mi incombeva e che, si badi bene, non ha mai e dico mai riguardato la gestione della fondazione, né mobiliare, né immobiliare (...)». Continuano gli attacchi mirati del Porreca: «ho lasciato oltre un miliardo e 200 milioni di euro in contanti nelle casse della fondazione. Anzi, per maggior precisione in pronti contro termine a breve. Ho lasciato la fondazione con un bilancio tecnico perfetto e con la sostenibilità del sistema, così come prevista dalle leggi in vigore, un patrimonio immobiliare di oltre 3 miliardi in tutta sicurezza ed un piano per la dismissione degli immobili che, nel rispetto della più assoluta trasparenza, avrebbe portato nelle casse della fondazione 3 miliardi e 250 milioni, pari al valore stimato degli immobili e pari alla somma iscritta in bilancio a tale titolo. Il tutto cash e senza costi di due diligence e nel pieno rispetto dei diritti degli inquilini in ordine alla prelazione, al sostegno alle fasce sociali deboli e sotto l'egida del consiglio di amministrazione di Enasarco (...) si è frettolosamente accantonato il piano di dismissioni già predisposto ed approvato dagli organi di amministrazione e governativi per procedere al cosiddetto piano Mercurio, che dopo anni e anni e dopo costi gravosi è ancora lontanissimo dalla conclusione, con grave danno della fondazione, degli inquilini e degli stessi stabili privi di manutenzione ordinaria e straordinaria»;
    sulla richiesta dell'interpellante di una moratoria, alla luce delle difficili condizioni e gravose situazioni che moltissimi enti previdenziali utilizzano a danno degli inquilini, è sicuramente contraddittoria o di difficile comprensione la posizione assunta dal Governo attraverso il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali; infatti, lo stesso per tutelare le casse ha citato l'articolo 38 della Costituzione, pur dimenticando che i comportamenti attuati dagli enti a danno degli inquilini violano gli articoli 2, 3, 10 e 97;
    ma vi è di più: non è chiaro come possa sostenersi che Enasarco ha rivolto particolare attenzione ai risvolti socioeconomici di tale operazione di dismissione, se i diretti interessati, gli inquilini, non sono riusciti a poter acquistare l'agognata casa o, nei casi migliori, si sono visti costretti a firmare mutui con condizioni allucinanti, perché le banche (Monte dei Paschi di Siena e Bnl), a dispetto delle gare pubbliche cui erano obbligate, non hanno rispettato le condizioni prestabilite. Il tutto nell'assoluta inerzia delle istituzioni e degli enti preposti al controllo;
    nel mese di luglio 2013, la magistratura ha evidenziato forti infiltrazioni mafiose nella dismissione e/o assegnazione degli immobili Enasarco ad Ostia; l'ente sembra dichiararsi estraneo alla vicenda, dimostrando, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, una completa incompetenza e il mancato controllo degli immobili che gestisce;
    non si comprende come può essere giustificata la circostanza che, in data 11 settembre 2008, Enasarco, nella persona del presidente Brunetto Boco e del direttore generale Carlo Felice Maggi, ha firmato un accordo con le organizzazioni sindacali, a dispetto della circostanza che la delibera del consiglio di amministrazione, con la quale è stato approvato il piano di dismissione del patrimonio immobiliare, inteso a perseguire l'obiettivo di stabilità del bilancio tecnico ultratrentennale, è datata 18 settembre 2008;
    inoltre, non si può non far rilevare che, in data 12 novembre 2013, è stato pubblicato un articolo sul quotidiano La Stampa, che riguardava una maxitruffa di 80 milioni di euro con due arrestati avvenuta a Torino a seguito di un'indagine della Guardia di finanza; in tale articolo affiorava che: «i commercialisti potevano contare su consulenti legali (uno pure radiato dall'ordine degli avvocati), ma anche su colleghi. Come l'ex associato e docente universitario, nonché ex direttore dell'Enasarco di Roma, che proprio in quegli uffici aveva piazzato la sede di una società servita a fabbricare fatture fasulle. Lui e Boggi chiacchieravano al tavolo di un ristorante “in” del centro. A spese dei contribuenti onesti (...)», La descrizione sembrerebbe corrispondere a Carlo Felice Maggi ex direttore di Enasarco e massimo responsabile del «progetto Mercurio» ed ex consigliere del fondo immobiliare Idea Fimit sgr. Se fosse così sarebbe enormemente preoccupante quanto denunciato nell'articolo;
    che la nomina del presidente di Enasarco, Brunetto Boco, sia avvenuta in contrasto con l'articolo 17 dello statuto è, secondo la prima firmataria del presente atto di indirizzo, assolutamente pacifico e lo si può affermare senza impelagarsi in inutili e fantasiose esasperazioni di diritto. È sufficiente leggere l'articolo 17 dello statuto della fondazione, dove in modo chiaro – e non si tratta di una mera presunzione – è stabilito che per la nomina del presidente è richiesto il requisito della professionalità che, ai sensi dell'articolo 1, comma 4, lettera b), del decreto legislativo n. 509 del 1994, è ritenuto esistente solo nei soggetti appartenenti alla categoria degli agenti e rappresentanti di commercio, anche in stato di quiescenza. Il signor Brunetto Boco, non rivestendo la qualità di rappresentante di commercio né attivo né in pensione, non poteva essere eletto consigliere e conseguentemente presidente. Circostanze che a giudizio della firmataria del presente atto di indirizzo dovrebbero integrare i presupposti di cui all'articolo 2, comma 6, del decreto legislativo n. 509 del 1994 e, di conseguenza, comportare il commissariamento dell'ente e, se ciò non dovesse accadere, chi farà tale scelta se ne assumerà le conseguenze;
    ecco perché sarebbe adeguato fare confluire tutti gli enti privatizzati, di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994, con i relativi patrimoni immobiliari, anche se conferiti a fondi pensioni di società di gestione del risparmio, nell'Inps, così come avvenuto per Inpdap e Enpals, in modo da poter tutelare gli iscritti beneficiari dei trattamenti pensionistici, attuando le eventuali vendite anche attraverso fondi immobiliari completamente gestiti dal Ministero dell'economia e delle finanze. Tale possibilità porterebbe un duplice risultato: a) ridurre i costi sostenuti dalla casse; b) rendere più agevole il controllo e la vendita del patrimonio immobiliare, evitando così delle speculazioni a danno dei cittadini, cosa che invece sta accadendo,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative urgenti volte:
    a) ad abrogare sia l'articolo 1, comma 38, della legge 23 agosto 2004, n. 243, che l'articolo 1, comma 168, della legge n. 228 del 2012, nella parte in cui prevede che: «le disposizioni di cui al comma 11-bis dell'articolo 3 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, non si applicano al piano di dismissioni immobiliari della Fondazione Enasarco (...)», poiché trattasi di norme ad avviso della firmataria del presente atto di indirizzo non in linea con i principi costituzionali;
    b) a precisare che alle dismissioni degli enti previdenziali, di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994, si applica il decreto legislativo n. 104 del 1996;
    c) a stabilire, altresì, che il decreto legislativo n. 104 del 1996 trovi applicazione anche nei confronti delle dismissioni attuate attraverso i fondi immobiliari di società di gestione del risparmio che hanno avuto il conferimento del loro patrimonio da enti previdenziali di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994;
    d) a sospendere gli sfratti per finita locazione e morosità degli inquilini degli enti previdenziali, anche se attuati attraverso fondi immobiliari di società di gestione del risparmio o di altre società, per un tempo non inferiore ad un anno;
   a disporre, in relazione alle dismissioni degli enti previdenziali privatizzati, ai sensi del decreto legislativo n. 509 del 1994, un tavolo tecnico interistituzionale finalizzato a definire norme trasparenti per la stipula ed i rinnovi dei canoni di locazione nelle more della dismissione del patrimonio immobiliare;
   a verificare, attraverso gli uffici competenti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la legittimità della nomina del presidente di Enasarco Brunetto Boco;
   ad effettuare, attraverso gli uffici competenti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, l'immediata analisi della gestione finanziaria dell'ente e ad accertare le relative responsabilità del presidente e degli organi del consiglio di amministrazione;
   a verificare, attraverso gli uffici competenti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, quali siano state le azioni che l'ente ha intrapreso nei confronti dei responsabili delle perdite provocate sugli investimenti finanziari, come indicato nel bilancio consuntivo 2012;
   a verificare, attraverso gli uffici competenti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, quali siano state le azioni che l'ente ha intrapreso per accertare chi siano i responsabili di quanto ha denunciato la magistratura sulla gestione delle assegnazioni/dismissioni degli immobili ad Ostia;
   ad accertare e a verificare tramite ispezione dell'Agenzia delle entrate la reale rispondenza delle categorie catastali degli immobili di proprietà di Enasarco a quelle denunciate dallo stesso ente;
   a porre rimedio, con un'adeguata iniziativa normativa, anche al conflitto d'interesse che sta scaturendo dal fatto che le stesse organizzazioni sindacali che compongono il consiglio d'amministrazione degli enti previdenziali sono anche firmatarie degli accordi di vendita del patrimonio e/o di rinnovi contrattuali degli affitti in rappresentanza degli inquilini;
   a valutare di fare confluire tutti gli enti previdenziali privatizzati, di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994, con i relativi patrimoni immobiliari anche se conferiti a fondi pensione di società di gestione del risparmio, nell'Inps, così come avvenuto per l'Inpdap e l'Enpals – tale scelta risolverebbe gran parte delle criticità su indicate – in modo da poter tutelare al meglio gli iscritti beneficiari dei trattamenti pensionistici.
(1-00092)
(Nuova formulazione) «Lombardi, Villarosa, Bechis, Grillo, Daga».
(11 giugno 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    in questa fase di crisi economica, l'emergenza abitativa risulta essere uno dei fattori di maggiore e crescente tensione sociale che coinvolge larghi strati della popolazione: dalle categorie a rischio fino a larghe fasce di ceto medio, oltre 430.000 famiglie sono in difficoltà con il pagamento dei mutui, mentre solo nel 2012 sono state 67.790 le sentenze di sfratto (oltre 250.000 negli ultimi quattro anni), di cui l'87 per cento per morosità. Una situazione di vero allarme che riguarda tutto il Paese, anche se con situazioni di vera e propria emergenza per le grandi aree urbane e per le regioni dell'Italia settentrionale, ove, proprio per l'incidenza della crisi economica, le percentuali di sfratti per morosità incolpevole superano il 90 per cento;
    lo stato attuale del mercato immobiliare e del sistema di accesso al credito non fanno che aggravare il quadro sopra descritto, in quanto l'offerta di abitazioni private – a costi molto elevati, assolutamente inaccessibili per famiglie e giovani coppie, anche a fronte delle gravose condizioni richieste per ottenere finanziamenti a tal fine diretti – sovrasta nettamente l'offerta pubblica, che negli ultimi anni è scesa fino a toccare, attualmente, un quota di poco avvicinabile all'uno per cento della produzione edilizia complessiva;
    l'inerzia da parte delle autorità pubbliche in materia, le quali – al di fuori di provvedimenti disorganici ed estemporanei – non sono state capaci di promuovere politiche innovative per la casa, che permettano di arrestare il consumo di suolo e, al contempo, favorire il recupero urbano per rilanciare l'edilizia residenziale pubblica e a fini sociali, mette seriamente a rischio il diritto alla casa e l'accesso alla proprietà della stessa, sancito dall'articolo 47 della Costituzione;
    aspetto di estrema rilevanza nella situazione esposta di crisi abitativa è quello attinente alla dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici e privatizzati, dismissione che ancora oggi investe le vicende umane e le sorti di numerosi nuclei familiari;
    nello specifico, gli affittuari degli immobili degli enti previdenziali privatizzati hanno subito un continuo e costante aggravio delle loro condizioni abitative: considerevoli sono gli aumenti dei canoni di affitto per il rinnovo dei contratti di locazione e, in molti casi, anche l'acquisto dell'alloggio è reso impossibile a causa dei prezzi – a valore di mercato – praticati dagli enti stessi, senza neanche tenere conto dello stato reale in cui versano gli immobili e in molti casi delle agevolazione fiscali e urbanistiche avute in passato. Tutto ciò è causa di una situazione di intollerabile disagio sociale;
    a determinare il contesto di emergenza abitativa sopra introdotto ha contribuito in maniera rilevante la successione nel tempo di una serie considerevole, nonché disorganica e talvolta contraddittoria, di provvedimenti normativi che hanno gradualmente mutato il regime dei rinnovi dei contratti di locazione e della vendita degli immobili inerenti al patrimonio degli enti previdenziali privatizzati, facendo sorgere molti dubbi, oltre che sulla sostenibilità sociale, anche sulla legittimità delle procedure in atto;
    tali vicende normative prendono il via con il decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, – con il quale si avvia la privatizzazione degli enti previdenziali, che assumono personalità giuridica di diritto privato, pur continuando a sussistere come enti senza scopo di lucro – e si diramano passando per il decreto legislativo 16 febbraio 1996, n. 104, come integrato dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, – che disciplina l'attività in campo immobiliare degli enti previdenziali pubblici – l'articolo 1, comma 38, della legge n. 243 del 2004, il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 2010, il decreto-legge n. 201 del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011 e la direttiva europea 2004/18/CE;
    tra gli atti normativi sopra citati, causa una particolare situazione di incertezza la formulazione della legge di interpretazione autentica di cui all'articolo 1, comma 38, della legge n. 243 del 2004, la quale esclude che le norme sulla dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici – nello specifico l'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo n. 104 del 1996, che regola il campo di applicazione dell'intera disciplina – si applichino agli enti previdenziali privatizzati, anche quando la trasformazione degli enti in questione in persone giuridiche di diritto privato sia avvenuta successivamente all'entrata in vigore del decreto stesso. La sopra citata norma contenuta nella legge n. 243 del 2004, ha dato il via, di fatto, a operazioni di dismissione a prezzi di mercato, con valori correnti, e a rinnovi dei contratti di locazione con aumenti dei canoni anche fino al 300 per cento, con conseguenti rischi di sfratto per gli inquilini non più disposti ad accettare i nuovi e insostenibili, prezzi di locazione;
    la norma interpretativa stabilita dalla sopra citata legge n. 243 del 2004 è già stata oggetto di pronuncia a sezioni unite 22 giugno 2006, n. 20322, da parte della Suprema Corte di cassazione, la quale si è espressa contestandone la natura di legge di interpretazione autentica, attribuendole invece portata innovativa, determinando così che i rapporti giuridici sorti sulla base delle leggi previgenti seguano il regime di tutela stabilito da queste ultime. Pertanto, la dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali, privatizzati successivamente all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 104 del 1996, dovrebbe seguire quest'ultima disciplina e le successive modifiche e integrazioni;
    pur in presenza dell'ambigua norma interpretativa sopra citata, non dovrebbero tuttavia permanere dubbi sull'intrinseca natura pubblicistica degli enti previdenziali privatizzati, la quale si desumerebbe anche alla luce di quanto stabilito dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, il cui articolo 5 prevede che, ai fini dell'applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendano gli enti e i soggetti indicati ai fini statistici nell'elenco oggetto del comunicato dell'Istituto nazionale di statistica emanato in data 24 luglio 2010, il quale comprende gli enti sopra citati;
    inoltre, per chiarire la natura degli enti previdenziali privatizzati, può essere portato a sostegno quanto previsto nel decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, che al comma 11-bis dell'articolo 3 – rubricato «razionalizzazione del patrimonio pubblico e riduzioni dei costi per locazioni passive» – introduce una nuova e specifica procedura di dismissione immobiliare per gli enti previdenziali inseriti nel conto economico della pubblica amministrazione. Altresì, la pronuncia del Consiglio di Stato, sezione VI, n. 6014 del 2012, ha chiarito in via definitiva che, il mutamento operato dal decreto legislativo n. 509 del 1994 ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell'attività istituzionale di previdenza e assistenza, svolta dagli enti in esame, che conservano una funzione strettamente correlata all'interesse pubblico, costituendo, la privatizzazione, un'innovazione di carattere essenzialmente organizzativo, interpretazione confermata nella sentenza della sezione III del Tar del Lazio, 12 giugno 2013, n. 05938;
    il quadro tracciato, connotato da forte disorganicità e ambiguità normativa, determina, tra l'altro, un'irragionevole eterogeneità di situazioni tra ente ed ente, che rischia di creare situazioni di iniquità di trattamento, a riprova della quale non può non citarsi la disposizione di cui all'articolo 1, comma 168, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la quale esclude espressamente l'applicabilità delle procedure di dismissione introdotte dal comma 11-bis dell'articolo 3 della legge n. 135 del 2012, contenenti aspetti di maggior favor per i conduttori al piano di dismissione immobiliare della fondazione Enasarco;
    posto quanto sopra illustrato circa la situazione di disagio in cui versano i conduttori di immobili degli enti previdenziali privatizzati, non meno preoccupante può considerarsi quanto sta accadendo ai conduttori di immobili appartenenti agli enti previdenziali pubblici, per l'interruzione del processo di alienazione e per la scadenza dei contratti di locazione che rendono insicuro e incerto il futuro delle famiglie dei conduttori con titolo nonché degli occupanti sine titulo, nonostante siano chiaramente indicati dalla legge n. 410 del 2001 condizioni e prerogative per la vendita degli immobili di tali enti, il cui patrimonio residuo è ora entrato integralmente in possesso dell'Inps;
    l'Inps stessa, tuttavia, attende chiare indicazioni operative da parte dei Ministeri dell'economia e delle finanze e del lavoro e delle politiche sociali vigilanti sull'istituto, anche in relazione alla sopravvenuta norma sulla dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, presente all'articolo 27 del cosiddetto «decreto Salva Italia» 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011;
    alla luce di tutto ciò, non sembra rinviabile un pronunciamento sulla questione da parte del Governo e degli organi parlamentari, affinché il processo di alienazione degli immobili degli enti previdenziali pubblici e privatizzati avvenga in un quadro di tutela e garanzia sociale delle famiglie interessate,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative indirizzate a chiarire il quadro normativo entro cui deve svolgersi il processo di alienazione del patrimonio immobiliare dei vari enti previdenziali privatizzati, affinché le procedure avvengano in maniera trasparente e uniforme, evitando disparità di trattamento;
   a promuovere con urgenza, nel quadro di tali iniziative, misure finalizzate all'abrogazione dell'articolo 1, comma 38, della legge 23 agosto 2004, n. 243, e dell'articolo 1, comma 168, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, nella parte in cui prevede che: «le disposizioni di cui al comma 11-bis dell'articolo 3 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, non si applicano al piano di dismissioni immobiliari della Fondazione Enasarco (...)»;
   a intervenire per tutelare gli inquilini, vigilando sui prezzi di vendita degli immobili degli enti e sull'entità dei canoni di affitto al momento del rinnovo del contratto di locazione, traendo primario riferimento da quanto stabilito dalla legge n. 410 del 2001;
   ad intervenire in modo chiaro presso gli enti previdenziali pubblici, in particolare presso l'Inps, affinché vengano riprese con celerità e con eguali tutele – in particolare quelle previste dal comma 20 dell'articolo 3 della legge n. 410 del 2001, confermate dall'articolo 43-bis del decreto-legge n. 207 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 14 del 2009 – le procedure di alienazione degli immobili reimmessi in possesso dell'Inps stesso;
   a disporre, in relazione alle dismissioni immobiliari degli enti previdenziali, un tavolo tecnico interistituzionale e di confronto sindacale per raggiungere le finalità sopra indicate e provvedere alla regolarizzazione degli occupanti sine titulo e alle assegnazioni irregolari di alloggi, indicando inoltre percorsi per agevolare l'accesso al credito delle famiglie con reddito medio basso, con mutui sostenibili e finalizzati all'acquisto;
   a sospendere, nelle more dell'instaurazione del tavolo tecnico e dell'adozione dei provvedimenti necessari, l'esecuzione degli sgomberi nonché delle aste e degli sfratti per morosità incolpevole riguardanti unità immobiliari ad uso residenziale;
   ad utilizzare il patrimonio abitativo sfitto e disponibile degli enti previdenziali, anche quello conferito ai fondi immobiliari, mettendolo a disposizione dei comuni per affrontare l'emergenza abitativa;
   ad adottare provvedimenti idonei a vincolare gli enti previdenziali pubblici o privatizzati a riconsiderare contratti già stipulati secondo forme e canoni socialmente sostenibili e a stipulare e rinnovare i contratti di locazione, tenendo conto della situazione di difficoltà economica delle famiglie;
   a prevedere, in attesa di chiarimenti sulle procedure da adottare scaturenti dall'apposito tavolo tecnico all'uopo istituito, il blocco delle procedure di alienazione degli immobili degli enti previdenziali privatizzati e degli aumenti dei canoni connessi ai rinnovi contrattuali, nonché delle procedure di sfratto in corso;
   a prevedere, con apposito provvedimento, che il prezzo di alienazione degli immobili, le cui procedure sono in fase di attuazione, rimanga fermo per un periodo comunque non inferiore a 5 anni, in modo da garantire a tutti coloro che attualmente non sono in grado di procedere all'acquisto la possibilità di poterlo effettuare alle medesime condizioni.
(1-00149)
«Piazzoni, Migliore, Nicchi, Aiello, Zan, Zaratti, Pellegrino, Boccadutri, Pilozzi».
(17 luglio 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    la dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici è stata avviata a seguito delle norme (decreto legislativo n. 104 del 1996) emanate dal Governo su delega del Parlamento (legge n. 335 del 1995) e, successivamente, si è sviluppata con la legge n. 410 del 2001, che ha consentito il ricorso alle operazioni finanziarie di cartolarizzazione, effettuate tramite la società veicolo Scip srl costituita dallo stesso Ministero dell'economia e delle finanze;
    dopo 17 anni sono risultate vendute 74.926 delle 90.392 unità immobiliari; ad oggi, risulta un portafoglio residuo complessivo di 15.466 unità immobiliari vincolate alla dismissione;
    è ormai innegabile che la situazione generale del Paese, dal punto di vista sociale ed economico è molto difficile e la crisi mette in discussione la coesione sociale che interessa ormai larghi strati della popolazione;
    è improrogabile la necessità di trovare una soluzione alla problematica della casa degli inquilini degli enti previdenziali pubblici e, in particolare, degli inquilini dei «cosiddetti» immobili di pregio, tra i quali anche pensionati e lavoratori dipendenti con reddito medio basso;
    occorre, pertanto, intervenire urgentemente per superare innanzitutto la situazione di stallo delle vendite, che permane dal 2009 per le unità immobiliari (prevalentemente residenziali), rimaste invendute dopo la chiusura delle fallimentari operazioni di cartolarizzazione e ritrasferite in proprietà agli enti previdenziali, comunque vincolate da molti anni dalla vigente legislazione alla dismissione con diritto di opzione all'acquisto riconosciuto agli inquilini;
    è evidente come la quasi totalità delle vendite che negli anni sono state realizzate dallo Stato e dagli enti previdenziali pubblici sono state fatte agli stessi inquilini opzionari, ai quali è stato praticato il prezzo di mercato determinato, come per legge, dall'Agenzia del territorio e ridotto del trenta per cento, così come stabilito in ordine a tutte le dismissioni immobiliari pubbliche (legge n. 622 del 1996) e ribadito anche nella legge n. 410 del 2001, oltre al cosiddetto sconto di blocco;
    non v’è dubbio che la gestione del sopra citato portafoglio residuo dalle operazioni di cartolarizzazione, in massima parte costituito da unità residenziali, i cui inquilini pagano una «indennità di occupazione», rappresenti una «coda» di difficile gestione per gli enti, vincolati, da una parte, per legge alla dismissione degli immobili inseriti nei piani di alienazione, dall'altra, dal legislatore del 2009 a promuovere la definizione dei contenziosi privilegiando soluzioni transattive (articolo 43-bis della legge n. 14 del 2009);
    la mancanza assoluta in questi ultimi quattro anni di iniziative autonome da parte degli enti – malgrado le varie iniziative parlamentari succedutesi – lascia supporre quante difficoltà trovino le amministrazioni nella prudente valutazione di circostanze per accordi transattivi, in grado di soddisfare l'interesse pubblico e la convenienza del privato;
    di qui la necessità di intervenire con una norma idonea a definire la massima parte delle vertenze in atto, ponendo fine ad annosi contenziosi dall'esito incerto, nella prospettiva dell'immediato bilanciamento d'interessi tra l'aspirazione dei conduttori ad acquistare finalmente la casa ed il conseguimento del risultato economico per la finanza pubblica;
    in questo quadro si rende necessaria ed opportuna un'accelerazione sulle dismissioni immobiliari, a cominciare dagli immobili residenziali dell'Inps e dell'Inail. È necessario, quindi, affrontare tutte le criticità che sono emerse negli anni passati, che vanno affrontate e risolte tenendo anche conto delle legittime aspettative degli inquilini che, a distanza di 17 anni dall'avvio del processo di dismissioni, non sono stati ancora messi in condizione di potere acquistare la loro prima abitazione in cui vivono da decenni;
    occorre anche valutare con equità quanto posto in evidenza, nel corso di questi ultimi anni, dal coordinamento nazionale degli inquilini dei «cosiddetti» immobili di pregio oggetto di cartolarizzazioni, al cui giudizio i precedenti Governi hanno fissato criteri del tutto sommari ed approssimativi nell'individuazione degli immobili di pregio, con conseguente esclusione dell'abbattimento del 30 per cento del prezzo di offerta in opzione ai conduttori che li acquistano in forma individuale;
    la legge, infatti, impone la classificazione «di pregio» dell'immobile solo sulla base dell'ubicazione e non per le condizioni effettive dello stesso. Si tenga conto che molti di questi immobili, in realtà, sono in un avanzato stato di degrado;
    dal 2009, l'Inps non ha inviato più le offerte in opzione dopo oltre un decennio dalla data di determinazione dei prezzi di vendita stabilita, come per legge, dall'Agenzia del territorio ed è stato negato quindi agli inquilini il diritto di esercitare in tempi tollerabili l'opzione all'acquisto;
    non è stata sperimentata alcuna soluzione transattiva dopo l'entrata in vigore dell'articolo 43-bis della legge 27 febbraio 2009, n. 14;
    non risulterebbe applicata, da parte dell'Inps, la direttiva ministeriale del 10 febbraio 2011, indirizzata a tutti gli enti, con cui il Governo è intervenuto sul blocco delle vendite disponendo che occorre procedere alla dismissione favorendo soluzioni transattive che consentano di stipulare compravendite con un corrispettivo pari al valore dell'immobile, determinato a suo tempo dall'Agenzia del territorio, e un versamento di una quota parte di tale prezzo;
    non sono state definite le modalità di attuazione della norma che garantisce il rinnovo novennale dei contratti di locazione per gli inquilini ultrasessantacinquenni con basso reddito;
    numerosi sono stati gli atti presentati nelle passate legislature, al fine di porre una soluzione al problema, per citarne alcuni: l'atto Camera n. 5478 del 7 dicembre 2004 e l'atto Camera n. 2063 del 13 dicembre 2006, nonché l'atto Senato n. 1019 del 26 settembre 2006 e l'atto Senato n. 1328 del 15 febbraio 2007; oppure sono state proposte soluzioni transattive del contenzioso, come suggeriva l'ordine del giorno n.9/1746-bis/48 accolto in Parlamento in relazione alla legge finanziaria per il 2007, oltreché molteplici atti di sindacato ispettivo;
    si tratta di un problema di grande impatto sociale che necessita di una soluzione sostanziale, che risponde ad un bisogno abitativo diffuso nel nostro Paese, con la conseguenza di garantire la soluzione del gigantesco contenzioso instaurato presso i tribunali civili, i tribunali amministrativi regionali e il Consiglio di Stato da cittadini locatari di immobili residenziali inopportunamente classificati di pregio;
    in merito alla dismissione del patrimonio a reddito degli istituti previdenziali appare necessario intervenire, con celerità e chiarezza, anche relativamente alle caratteristiche del programma straordinario di dismissione del patrimonio strumentale dell'Inps che si appresta a varare a seguito dell'integrazione logistica in corso;
    in forza dell'articolo 21, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, con decorrenza 1o gennaio 2012, l'Inps succede all'Inpdap ed all'Enpals, in tutti i rapporti attivi e passivi a seguito della soppressione di tali enti, con l'attribuzione delle relative funzioni all'Inps;
    il presidente dell'Inps ha approvato i singoli piani operativi di razionalizzazione logistica delle direzioni regionali e provinciali dell'Inps, con integrazione del patrimonio degli enti soppressi al patrimonio dell'Inps, approvando i relativi finanziamenti, distinti per direzioni regionali, per permettere interventi di razionalizzazione nell'arco temporale 2011-2014, atti a favorire la dismissione degli immobili strumentali locati e la messa a disposizione alla locazione ovvero all'alienazione degli immobili strumentali di proprietà che risultino in eccesso rispetto alle esigenze organizzative dell'istituto integrato;
    le direttive del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in riferimento ai piani di investimento degli enti pubblici previdenziali e assistenziali vigilati, hanno individuato i seguenti obiettivi strategici:
     a) il raggiungimento dell'interesse pubblico;
     b) la riduzione complessiva dei costi di gestione;
     c) lo sviluppo di immobili gestiti da amministrazioni o enti pubblici;
    le iniziative di razionalizzazione logistica del patrimonio strumentale in corso stanno rendendo disponibili immobili da destinare alla locazione o all'alienazione,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative nel più breve tempo possibile – in attesa di elementi informativi, relativamente alle caratteristiche del programma straordinario di dismissione degli immobili che si appresta a varare – al fine di chiarire il quadro normativo che regolerà il processo di locazione e/o alienazione del patrimonio immobiliare, compreso quello strumentale, degli enti previdenziali;
   ad intervenire affinché vengano adottate con chiarezza e celerità, in un tempo definito, tutte le procedure necessarie per l'inizio del nuovo processo di dismissione che tenga conto delle esigenze di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica;
   ad assumere iniziative per garantire, comunque, agli inquilini tutele e garanzie di controllo sui prezzi di vendita da parte degli enti o di eventuali società strumentali e sull'entità dei canoni di affitto in rinnovo di locazione, traendo prioritario riferimento da quanto stabilito dalla legge n. 410 del 2001 e dagli accordi sindacali in materia, in modo che i diritti in essi stabiliti siano effettivamente praticabili;
   ad attivarsi anche con una precisa iniziativa normativa per risolvere l'annosa vicenda del contenzioso giudiziario dei cosiddetti immobili di pregio;
   ad assumere nelle future iniziative normative obblighi a stipulare e rinnovare i contratti di locazione, anche tenendo in considerazione eventuali situazioni di difficoltà economica delle famiglie interessate;
   ad adottare iniziative per pervenire a criteri di definizione della natura di «pregio» degli immobili che tengano conto, non soltanto dell'ubicazione dei medesimi, ma anche delle effettive condizioni manutentive.
(1-00246)
«Antimo Cesaro, Tinagli, Zanetti, D'Agostino, Sottanelli, Cimmino, Binetti, Rabino, Causin, Fitzgerald Nissoli, Monchiero, Schirò».
(15 novembre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    nell'attuale contesto di crisi economica che colpisce il Paese, l'emergenza abitativa rappresenta un elemento di maggiore e crescente tensione sociale, che riguarda diversi strati della popolazione, non soltanto le categorie a rischio, ma anche larghe fasce di ceto medio, giovani coppie e famiglie con doppio reddito;
    tale situazione è dovuta ad una coesistenza di fattori: l'andamento del mercato immobiliare con un'offerta di abitazioni private a costi sempre più elevati; la difficoltà di accesso al credito con le banche restie nel concedere mutui e la mancanza di politiche abitative volte all'ammodernamento del patrimonio immobiliare esistente, con il recupero urbano e senza ulteriore consumo del suolo;
    la scarsità di alloggi di edilizia residenziale pubblica da concedere in locazione, in combinazione con le difficoltà di accesso al credito da parte delle giovani coppie che nell'attuale momento di crisi economica sono sempre più contrassegnate dalla precarietà di lavoro, non solo ostacola la naturale formazione di nuovi nuclei familiari, ma crea anche un disagio sociale che vede caricare sui privati proprietari immobiliari i problemi dell'edilizia sociale;
    le continue proroghe degli sfratti nelle aree di crisi abitativa non hanno fatto altro che caricare sui privati proprietari immobiliari la risoluzione dei problemi abitativi delle categorie socialmente deboli; è riconosciuto da tutti ormai che i timori sulla mancanza di garanzia per l'immediata restituzione dell'immobile al locatore alla scadenza del contratto, mancanza di garanzia che in passato ha costretto i piccoli proprietari a tenere spesso gli immobili sfitti, ha inciso pesantemente sulla paralisi del settore delle locazioni e sull'innalzamento dei prezzi degli affitti;
    parte di tale disagio abitativo è dovuto anche alla dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici e privati;
    la normativa di riferimento in materia risale al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, con il quale si avvia la privatizzazione degli enti previdenziali, cui fa seguito il decreto legislativo 16 febbraio 1996, n. 104, come integrato dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, (che disciplina l'attività in campo immobiliare degli enti previdenziali pubblici), l'articolo 1, comma 38, della legge n. 243 del 2004, il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 112 del 2010, il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, la direttiva europea 2004/18/CE;
    il susseguirsi di interventi legislativi ha, di fatto, creato un panorama indefinito ed eterogeneo di situazioni tra ente ed ente, che necessita di chiarimenti per evitare speculazioni ed iniquità di trattamento;
    in particolare, pare che a creare maggiore confusione sia stata la norma di interpretazione autentica di cui all'articolo 1, comma 38, della legge n. 243 del 2004, la quale esclude che le norme sulla dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici possano applicarsi agli enti previdenziali privatizzati; disposizione sulla quale si è pronunciata anche la Corte di cassazione, con sentenza a sezioni unite n. 20322 del 22 giugno 2006, contestandone la natura di norma di interpretazione autentica e attribuendole di contro portata innovativa;
    peraltro, la natura pubblicistica degli enti previdenziali pur privatizzati trova, comunque, conferma da quanto stabilito all'articolo 5 della legge n. 44 del 2012, laddove si dispone che, ai fini dell'applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono gli enti ed i soggetti indicati nell'elenco Istat oggetto di comunicato pubblicato in data 24 luglio 2010, il quale comprende, per l'appunto, gli enti privatizzati;
    a rendere ancora più disorganico il quadro normativo inerente all'alienazione degli immobili da parte degli enti e, conseguentemente, disomogenee le modalità di dismissione adottate dagli stessi è l'articolo 1, comma 168, della legge di stabilità per il 2013 (legge 24 dicembre 2012, n. 228), laddove prevede che «(...) le disposizioni di cui al comma 11-bis dell'articolo 3 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.135 (cosiddetta spending review bis) non si applicano al piano di dismissioni immobiliari della fondazione Enasarco (...)»;
    non meno confusa appare la situazione che investe gli immobili degli enti previdenziali pubblici, già oggetto in passato delle operazioni cosiddette Scip 1 e Scip 2;
    il patrimonio residuo invenduto è ora entrato integralmente in possesso dell'Inps; lo stesso presidente dell'istituto ha scritto ai Ministeri vigilanti, Ministeri dell'economia e delle Finanze e del lavoro e delle politiche sociali, per chiedere chiarimenti sul da farsi, anche alla luce del sopravvenuto intervento normativo sulla dismissione del patrimonio immobiliare pubblico di cui all'articolo 27 del «decreto salva Italia», decreto-legge n. 201 del 2011;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, gli enti previdenziali privatizzati e pubblici devono garantire in primis i trattamenti previdenziali dei loro iscritti, salvaguardando i versamenti contributivi da loro effettuati,

impegna il Governo:

   ad adottare le opportune iniziative atte a definire un quadro normativo univoco per tutti gli enti previdenziali, pubblici e privatizzati, entro cui debbano svolgersi le operazioni di dismissione del relativo patrimonio immobiliare;
    ad intervenire, nell'ambito della dismissione degli immobili degli enti privatizzati, da un lato, per garantire agli inquilini uniformità di trattamento nella definizione del prezzo di vendita da parte degli enti, parametrato a prezzo di mercato, e, dall'altro, per tutelare, al contempo, i versamenti contributivi degli iscritti agli enti medesimi, tenuto conto che con essi nel tempo gli enti hanno proceduto all'acquisto di siffatto patrimonio immobiliare;
    ad intervenire, altresì, presso gli enti previdenziali pubblici e, in particolare, presso l'Inps, come richiesto dal suo stesso presidente, affinché vengano riprese con celerità e chiarezza, le operazioni di alienazione degli immobili reimmessi in possesso dell'istituto medesimo, sempre con definizione del prezzo di vendita parametrato al prezzo di mercato;
   ad attuare, in collaborazione con le regioni, una riforma degli strumenti di edilizia residenziale pubblica, con l'introduzione di modelli innovativi di partenariato pubblico e privato, in grado di ampliare il parco alloggi dell'edilizia sociale, incentivando, anche con benefici economici rivolti alla copertura dei costi legati alla bonifica delle aree e degli immobili dismessi, o non più utili ai loro fini istituzionali, le iniziative di recupero e ristrutturazione urbanistica ed edilizia che evitano l'espansione urbana delle periferie.
(1-00252)
«Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».
(18 novembre 2013)

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