TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 157 di Mercoledì 22 gennaio 2014

 
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INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   SOTTANELLI, ANDREA ROMANO, CIMMINO e ZANETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, ha introdotto la cosiddetta legge Sabatini bis, che, al fine di accrescere la competitività dei crediti al sistema produttivo, consente alle micro, piccole e medie imprese, comprese quelle agricole e del settore della pesca (come individuate dalla raccomandazione 2003/361/CE della Commissione europea del 6 maggio 2003), di accedere ai finanziamenti e ai contributi a tasso agevolato per gli investimenti, anche mediante operazioni di leasing finanziario, in macchinari, impianti e attrezzature nuovi di fabbrica ad uso produttivo, nonché per gli investimenti in hardware, software e tecnologie digitali (ict);
   in particolare, gli investimenti ammissibili devono riguardare creazione o ampliamento di un'unità produttiva, diversificazione della produzione, cambiamento del processo produttivo, acquisizione di asset per evitare la chiusura di uno stabilimento;
   i suddetti finanziamenti possono essere concessi, entro il 31 dicembre 2016, dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati all'esercizio dell'attività di leasing finanziario, purché garantiti da banche aderenti alla convenzione, e possono avere una durata massima di cinque anni dalla data di stipula del contratto, per un valore massimo complessivo non superiore a due milioni di euro per ciascuna impresa beneficiaria, anche frazionabile in più iniziative d'acquisto; il prestito può coprire fino al 100 per cento dei costi ammissibili;
   ai sensi del comma 5 del medesimo articolo, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, saranno stabiliti: le condizioni di accesso al conseguente contributo spettante alla piccola o media impresa, rapportato agli interessi calcolati sul finanziamento ottenuto per l'acquisto del nuovo bene strumentale; la misura massima del contributo e le relative modalità di erogazione, prevista in più quote, in relazione alla durata effettiva del finanziamento; le attività di controllo e le modalità di raccordo con il finanziamento;
   la concessione dei suddetti finanziamenti può essere assistita dalla garanzia del fondo per le piccole e medie imprese di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nella misura massima dell'80 per cento dell'ammontare del finanziamento; il medesimo decreto attuativo dovrà definire, inoltre, le priorità di accesso e le modalità semplificate di concessione della garanzia del fondo su tali prestiti;
   l'industria dei macchinari industriali attende da diversi mesi, da quando è stato approvato il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (primo «decreto del fare»), elementi chiari e definitivi sul meccanismo che dovrebbe favorire l'acquisto o il leasing di beni strumentali mediante un contributo in conto interessi;
   molti hanno, pertanto, deciso di posticipare gli investimenti, confidando di contrarre la spesa quando la norma sarà a tutti gli effetti operativa;
   il decreto attuativo, che è stato finora firmato dal Ministro dello sviluppo economico e controfirmato, a fine novembre 2013, dal Ministro dell'economia e delle finanze, è attualmente fermo alla Corte dei conti per la registrazione, ultimo atto prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale;
   tale decreto interministeriale non è l'unico provvedimento di attuazione previsto dalle disposizioni relative alla «legge Sabatini bis»;
   infatti, il comma 8 del citato articolo 2 del decreto-legge n. 69 del 2013 ha stanziato un plafond per finanziamenti bancari di 2,5 miliardi di euro (incrementabili fino a 5 miliardi di euro in un'eventuale fase successiva) da gestire secondo una convenzione che il Ministero dello sviluppo economico, sentito il Ministero dell'economia e delle finanze, deve stipulare con Abi e Cassa depositi e prestiti; la convenzione, in particolare, deve definire i criteri di attribuzione alle banche del plafond, i contratti tipo di finanziamento e le attività di monitoraggio sui risultati;
   i dati Unimu, l'associazione costruttori delle macchine utensili, segnalano la volontà delle piccole e medie imprese di tornare ad investire, ma qualsiasi velleità di ripresa è ostacolata dalla scarsa liquidità e dalla difficoltà di reperire risorse;
   pertanto, affinché le imprese formalizzino operazioni di acquisto in beni strumentali, è importante che le agevolazioni di cui possono usufruire diventino effettivamente operative –:
   al fine di sostenere il settore dei macchinari industriali e delle dotazioni ict per le imprese, oggetto della «legge Sabatini bis», quali iniziative intenda adottare affinché le agevolazioni previste dall'articolo 2 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 («decreto del fare») siano al più presto operative, dal momento che un aiuto al credito potrebbe restituire dinamismo al mercato interno, emancipando così l'industria dei beni strumentali dalla dipendenza dall’export, unico salvagente in questo periodo di crisi. (3-00572)
(21 gennaio 2014)

   CIPRINI, TERZONI, GALLINELLA, BALDASSARRE, BECHIS e COMINARDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 27 dicembre 2011 la Antonio Merloni spa in amministrazione straordinaria, in persona dei commissari straordinari, ha ceduto, con effetto dal 1o gennaio 2012, alla J.P. Industries il ramo di azienda destinato allo svolgimento dell'attività di design, produzione e commercializzazione di elettrodomestici;
   la J. P. Industries spa acquistava al prezzo di 10 milioni di euro la proprietà degli stabilimenti della Merloni e subentrava nei contratti di lavoro con 700 dipendenti in forza presso la società cedente, impegnandosi al mantenimento dell'effettivo livello occupazionale e della prosecuzione dell'attività;
   nel settembre 2013 il tribunale di Ancona, su ricorso delle banche creditrici e del Comitato metalmeccanici umbri, ha dichiarato la nullità dell'atto di cessione del 27 dicembre 2011, accertando la macroscopica violazione dei criteri legali di determinazione del prezzo del complesso aziendale, tanto che il tribunale ha statuito che: «A fronte di un valore dell'azienda già prudenzialmente indicato in 54 milioni di euro, la cessione è avvenuta al prezzo di 10 milioni di euro, così che il valore di cessione si trova in un rapporto di 1 a 5,4 rispetto al valore di stima.»;
   a seguito della sentenza, gli interroganti presentavano un'interrogazione a risposta scritta (n. 4/01974) a cui il Ministro interrogato non ha dato ancora risposta;
   avverso il decreto di annullamento è stato proposto reclamo, tuttora pendente innanzi all'autorità giudiziaria di Ancona;
   risulta agli interroganti che in data 20, 21 e 23 dicembre 2013 i lavoratori del «Comitato lavoratori A. Merloni» hanno presentato querela all'autorità giudiziaria e alla Guardia di finanza per bancarotta fraudolenta, poiché gran parte dei macchinari e/o attrezzature della (ex) Merloni sono stati venduti – come si legge in querela – «all'irrisorio prezzo di euro 1.000 cadauno, palesemente e notevolmente inferiore rispetto al reale valore di mercato di taluni cespiti (ad esempio, presse ed altro), con relativo grave pregiudizio per il ceto creditorio», così avallando l'ipotesi dello smantellamento di fatto e/o svendita dei macchinari dell'azienda e frustrando l'impegno assunto alla prosecuzione dell'attività produttiva e del mantenimento dei livelli occupazionali;
   con decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, in corso di conversione alla Camera dei deputati, all'articolo 9, ha previsto che «In caso di reclamo (...) ai commissari straordinari è attribuito il potere di regolare convenzionalmente con l'acquirente dell'azienda o di rami di azienda (...) modalità di gestione idonee a consentire la salvaguardia della continuità aziendale ed i livelli occupazionali nelle more del passaggio in giudicato del decreto che definisce il giudizio», riconsegnando, di fatto, l'azienda nelle mani dei commissari straordinari;
   è necessario che il Governo faccia chiarezza sulle modalità dell'operazione economica compiuta dai commissari nominati dal Ministero stesso e sulla vendita dei beni dell'azienda Merloni da parte della J.P. Industries, salvaguardando i diritti dei lavoratori che tuttora aspettano l'erogazione del trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria prorogato dal Governo –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per accertare le responsabilità dei commissari in merito alla vicenda descritta e, tenuto conto della sua gravità, revocare l'incarico loro conferito, adottando tutte le iniziative opportune per verificare la correttezza dell'intera operazione di cessione aziendale a fronte dello «smantellamento» dei beni e macchinari, venduti e inviati dalla J.P. Industries ad altri siti, salvaguardando in ogni caso i diritti dei lavoratori. (3-00573)
(21 gennaio 2014)

   PISICCHIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le piccole e medie imprese, secondo i dati più recenti (Istat 2010), costituiscono il 99 per cento delle imprese italiane, facendo registrare una netta prevalenza delle micro-imprese;
   la rete delle piccole e medie imprese rappresenta la spina dorsale dell'economia italiana, sia in termini di fatturato che in termini di occupazione, producendo circa il 54 per cento del totale dell’export ed impiegando il 66,9 per cento degli addetti nel settore;
   gli effetti della crisi economica hanno colpito le piccole e medie imprese più di altri comparti produttivi negli ultimi due anni, tanto che nel 2012 hanno chiuso 365.000 imprese, al ritmo, dunque, di mille al giorno, con pesanti conseguenze non solo economiche, ma anche e soprattutto sociali;
   il Garante per le micro, piccole e medie imprese ha presentato la relazione annuale contenente le proposte per il rilancio dell'imprenditoria piccola e media, che, pur dando atto al Governo di essere intervenuto positivamente su alcuni temi, come il cuneo fiscale, il fondo di garanzia, i finanziamenti agevolati per l'acquisto di macchinari, gli incentivi per l’e-commerce, ha messo in luce il fatto che resta ancora molto da fare per perseguire l'obiettivo prioritario di un pieno rilancio economico ed occupazionale nel settore, a partire da una fiscalità di vantaggio per incentivare le nuove assunzioni e favorire la buona occupazione, soprattutto di giovani e di figure di alta professionalità, per la semplificazione amministrativa, per un'imposizione tributaria meno opprimente capace di premiare le imprese che investano nell'innovazione –:
   quali urgenti iniziative il Governo intenda assumere per rendere possibile una nuova crescita, in termini numerici, di produzione, di fatturato e di occupazione, nel settore delle piccole e medie imprese.
(3-00574)
(21 gennaio 2014)

   BENAMATI, BASSO, BINI, BONAFÈ, CANI, CIVATI, DEL BASSO DE CARO, DONATI, FOLINO, GALPERTI, GINEFRA, IMPEGNO, MARIANO, MARTELLA, MONTRONI, PELUFFO, PETITTI, PORTAS, SENALDI, TARANTO, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 15 gennaio 2014 si è conclusa la missione del Ministro interrogato a Pechino finalizzata a creare le condizioni per intensificare la penetrazione delle aziende italiane in Cina, sollecitare investimenti cinesi in Italia e riequilibrare la bilancia commerciale;
   secondo i dati Ice, nel periodo compreso tra il gennaio e l'ottobre 2013, l'interscambio complessivo italo-cinese ammontava a 28 miliardi di euro: 8,1 miliardi di euro di esportazioni italiane verso Pechino e 19,8 miliardi di euro di importazioni di prodotti cinesi, dati che rendono evidente l'importanza di organizzare una presenza capillare e sistematica del nostro Paese in un mercato strategico per dimensioni e potenzialità di sviluppo;
   da fonti ufficiali di stampa si apprende che il Governo ha firmato un memorandum di intesa per la costituzione di un business forum Italia-Cina per aumentare le esportazioni italiane in Cina, con particolare riferimento ai prodotti di alta qualità e un memorandum per la cooperazione per le politiche industriali fra i due Paesi, che interesserà, in particolare, quattro settori: l'urbanizzazione, l'ambiente, l'agroalimentare e la sicurezza dei prodotti, la sanità e l'invecchiamento della popolazione, cui si aggiungerà anche l'aerospazio;
   particolare attenzione è stata dedicata nella serata di promozione di Expo Milano 2015 allo «Spazio Italia», vetrina pechinese della moda, del design, dell'industria e dell'agroalimentare italiani;
   altre occasioni di rafforzamento dei legami tra i due Paesi saranno il semestre italiano di presidenza dell'Unione europea e il viaggio di Stato dello stesso Presidente del Consiglio dei ministri, Enrico Letta, nella Repubblica popolare cinese –:
   quali siano gli accordi raggiunti a seguito della missione di sostegno dell'economia italiana nella Repubblica popolare cinese e quali importanti iniziative intenda intraprendere per rilanciare la presenza industriale e commerciale delle aziende italiane, soprattutto delle piccole e medie, nella Repubblica popolare cinese e tutelare il made in Italy, favorendo, al contempo, l'attrazione di investimenti cinesi in Italia. (3-00575)
(21 gennaio 2014)

   GUIDESI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la crisi, che, a livello europeo, ha colpito il settore della raffinazione, ha avuto ricadute importanti sull'industria di raffinazione in Italia, generando gravi ricadute sul fronte dell'occupazione;
   rispetto ai principali competitor mondiali, il sistema della raffinazione in Italia appare estremamente debole e poco competitivo. L'industria presenta costi di produzione notevolmente alti, a causa degli oneri connessi alle normative in favore dell'ambiente e della tutela del lavoro, ed è sottoposta a pesanti oneri legati all'obsolescenza degli impianti, al trasporto e alla complessità del sistema amministrativo;
   il settore è da tempo sottoposto alla forte concorrenza delle raffinerie statunitensi, mediorientali ed asiatiche, queste ultime sempre più competitive perché prive di obblighi e vincoli ambientali, sottoposte a minori costi del lavoro e sussidiate direttamente dallo Stato;
   negli ultimi dieci anni, dal 2002 al 2012, i consumi di prodotti petroliferi italiani sono scesi di più del 30 per cento; contemporaneamente sono aumentate le importazioni di prodotti petroliferi finiti e diminuite le esportazioni, sopratutto verso gli Stati Uniti, dove sembra siano in costruzione nuove raffinerie;
   l'Unione europea non ha adottato una strategia in merito alla salvaguardia del settore della raffinazione, limitandosi ad introdurre dazi all'importazione di biodiesel prodotto in Argentina ed in Indonesia per dumping;
   in questo scenario, molte raffinerie in Italia sono ormai prossime alla chiusura. È notizia di questi giorni dell'imminente chiusura dell'impianto Ies di Mantova, che dal 1o gennaio 2014 si trasformerà in deposito petrolifero. I lavoratori occupati presso l'impianto sono circa 390 e secondo le prime stime, nel passaggio a deposito, si perderebbero circa 350 posti di lavoro;
   il sistema della raffinazione italiano è costituito da 16 raffinerie presenti sull'intero territorio nazionale per una capacità complessiva di poco superiore ai 100 milioni di tonnellate all'anno. Da anni i profitti delle aziende che operano nel settore della raffinazione e distribuzione si sono notevolmente ridotti, con gravi conseguenze per l'occupazione;
   l'industria della raffinazione in Italia impiega 100 mila addetti. Come confermato dal Ministro interrogato, in Italia gli impianti a rischio di chiusura sono quattro o cinque, con il pericolo imminente di lasciare senza lavoro circa 8 mila addetti;
   le aziende di raffinazione rappresentano un punto di riferimento importante per l'economia locale dei territori che le ospitano e la loro chiusura avrebbe ripercussioni su tutto il territorio nazionale, privandolo di ricchezza e di occupazione;
   dall'indagine conoscitiva sulla crisi del settore della raffinazione in Italia, condotta nella XVI legislatura, è emerso che il settore presenta un eccesso di capacità produttiva, pari a circa 15-20 milioni di tonnellate che il mercato interno non riesce ad assorbire; da qui la proposta di un intervento che miri, da un lato, a preservare un settore strategico dell'industria nazionale (connesso a molteplici comparti produttivi) e, dall'altro, a salvaguardare l'occupazione;
   la crisi dell'industria della raffinazione, senza l'adozione di efficaci interventi, potrebbe degenerare in un quadro ancora più drammatico, con conseguenze disastrose per il futuro dei lavoratori impiegati nel settore e delle loro famiglie;
   i processi di riconversione di impianti industriali non più competitivi potrebbero aprire la strada alla realizzazione di importanti progetti industriali ed occupazionali di grande impatto per l'economia del Paese;
   alcune regioni hanno sperimentato con successo l'adozione di accordi di sviluppo territoriale per favorire l'insediamento di nuove attività di impresa nelle aree industriali dismesse, realizzando diversi interventi, sia di carattere finanziario che di semplificazione amministrativa, per attrarre e mantenere sul territorio le attività e le risorse necessarie alla crescita e allo sviluppo dello stesso –:
   quale sia la strategia che il Governo intende perseguire ai fini dell'adozione di un'organica politica industriale di rilancio dell'industria della raffinazione in Italia, a garanzia del mantenimento dei livelli occupazionali nel settore, anche attraverso la promozione di specifici accordi con le regioni e gli enti locali, finalizzati alla riconversione industriale delle aree inquinate in concomitanza con le attività di bonifica o messa in sicurezza delle stesse. (3-00576)
(21 gennaio 2014)

   SCOTTO, MIGLIORE, GIANCARLO GIORDANO, RAGOSTA, LACQUANITI, FERRARA, MATARRELLI, DI SALVO, AIRAUDO, PLACIDO, QUARANTA e NARDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Firema trasporti è una società per azioni italiana del settore metalmeccanico che si occupa di progettazione, costruzione e riparazione di locomotive, elettrotreni, metropolitane e tram;
   Firema trasporti è in amministrazione straordinaria, con decreto del Ministero dello sviluppo economico del 2 agosto 2010, con nomina dell'avvocato Ernesto Stajano in qualità di commissario straordinario e con sentenza di insolvenza del tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 13 agosto 2010;
   il gruppo Firema attualmente dà lavoro a circa 600 persone, dislocate nei vari siti;
   quasi 360 persone lavorano per il gruppo Firema solo a Caserta, senza considerare il notevole indotto nella stessa provincia e regione;
   le origini dell'azienda attuale possono essere individuate nella costituzione, nel 1993, della Firema trasporti con la partecipazione al 49 per cento dell'Iri tramite Ansaldo spa e la fusione delle principali aziende private del settore riunite in Firema finanziaria srl;
   obiettivo dell'operazione era quello di poter mantenere competitività in un settore nel quale le piccole realtà produttive hanno ormai poca possibilità di sopravvivenza, considerato come il mercato sia aperto alla concorrenza straniera e caratterizzato dalla presenza di competitori mondiali quali Ansaldo Breda, Alstom, Bombardier e Siemens;
   l'attuale portafoglio di ordini da completare dello stabilimento casertano di Firema ricomprende 24 casse tsr (treno per servizio regionale) da completare per le Ferrovie Nord Milano, 40 motori per i treni Meneghino della metropolitana di Milano per conto di Ansaldo, 7 elettrotreni a singolo piano a due casse ALFA2 per Metro Campania Nord Est, 10 elettrotreni a singolo piano a due casse ALFA3 per Sepsa, 70 casse Vivalto per conto dell’Ansaldo Breda e 7 treni per la metropolitana di Genova per conto Ansaldo;
   a causa della scellerata gestione della proprietà, che ha portato all'amministrazione straordinaria dell'azienda e ad una perdita di credibilità nei confronti di creditori e clienti, i lavoratori della Firema si trovano a combattere una battaglia per la conservazione del posto di lavoro;
   per tutto il mese di agosto 2010 i lavoratori della Firema sono stati impiegati, anche senza retribuzione, in alcuni casi, per mettere in sicurezza lo stabilimento di Caserta sul versante dell'affidabilità produttiva;
   l'attuale capacità dello stabilimento di Caserta di effettuare consegne puntuali e di offrire costi competitivi è riconosciuta ed apprezzata da tutti, ed è figlia della volontà e dell'impegno delle maestranze e della determinazione del commissario Ernesto Stajano, che, non fermando le attività produttive, è riuscito a rendere Firema una società altamente produttiva;
   la Firema ha ricevuto cinque offerte d'acquisto, sia per la sola realtà produttiva di Spello e sia per l'intero gruppo;
   quest'ultima offerta è stata effettuata dalla T'Trans, società brasiliana, ma le prime valutazioni ufficiose in merito sembrano ritenerla non sufficientemente rassicurante sul fronte occupazionale e dei carichi di lavoro da mettere in atto;
   dopo oltre tre anni di amministrazione straordinaria e ben tre bandi di vendita, si è ancora al punto di partenza, anzi la situazione è diventata ancor più grave e rischiosa, poiché si avvicina, per la terza volta, la scadenza del mandato del commissario (prevista per il 17 marzo 2014), con relativa scadenza della cassa integrazione guadagni straordinaria;
   nel frattempo vi è stato un impoverimento del portafoglio ordini di lavoro e, inoltre, molti degli ordini rimasti sono in subfornitura di Ansaldo e, quindi, alla luce della volontà di Finmeccanica di svendere Ansaldo Breda, che non sta nemmeno acquisendo nuovi ordini, esiste il rischio reale e concreto di vedere ulteriormente compromessa la situazione di Firema;
   il 12 dicembre 2013 si è tenuta una riunione sulla questione Firema presso il Ministero dello sviluppo economico, a cui hanno partecipato il commissario straordinario, il responsabile dell'unità di gestione delle situazioni di aziende in crisi del Ministero dello sviluppo economico, i rappresentanti sindacali dei lavoratori dell'azienda ed il presidente della provincia di Caserta, ma non si segnalano significativi avanzamenti verso una soluzione della vertenza;
   i fatti narrati sono riportati anche dall'articolo «Vertenza Firema, Zinzi al Ministero dello sviluppo economico: “Quest'azienda non può fallire”», pubblicato dal quotidiano d'informazione on line «Caserta Prima Pagina», dall'articolo «Offerta per Firema, T'Trans chiede un incontro a Stajano», pubblicato da «Il Mattino», e dall'articolo «I lavoratori Firema Caserta tornano a protestare e attaccano i politici. Preferiscono i congressi e le candidature» –:
   se non si ritenga opportuno intervenire attivamente con il preciso ed imprescindibile impegno di preservare e mantenere in piena attività l'azienda Firema, punta di eccellenza nella produzione di veicoli ferroviari della provincia di Caserta e dell'intero comparto nazionale, nonché di sostenere il percorso di rilancio e di risanamento affidato al commissario straordinario per il gruppo Firema a livello nazionale, al fine di attivare un piano industriale in tempi rapidi e di individuare un acquirente o partner per dare continuità a Firema, tutelando e rilanciando le aziende italiane del settore ferroviario, valutando, altresì, l'opportunità di attuare una politica industriale di settore e di creare un unico soggetto industriale dei trasporti con la costituzione di un polo nazionale dei trasporti, a partire da Firema e Ansaldo. (3-00577)
(21 gennaio 2014)

   CARUSO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il brevetto unico europeo, anche se con qualche ritardo, sarà operativo a fine 2014 secondo quanto riferito dal presidente dell'Ufficio europeo dei brevetti, Benoit Battistelli;
   con una sentenza del 16 aprile 2013, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha respinto il ricorso introdotto da Spagna e Italia, nel giugno del 2011, contro la decisione di autorizzare una cooperazione rafforzata per l'adozione di regolamenti che disciplinano il brevetto unitario «EU»;
   al momento, l'Italia non ha ancora aderito al nuovo sistema di brevetto unitario per l'Europa, anche se ha aderito all'accordo sul nuovo sistema giurisdizionale, che, oltre al futuro brevetto unitario, riguarderà anche l'attuale brevetto europeo;
   se il nostro Paese restasse fuori dal sistema del brevetto unitario, a subirne le conseguenze sarebbero le imprese italiane costrette a sostenere maggiori oneri, nonché a rinunciare ad una protezione aggiuntiva, con il conseguente disincentivo per le stesse ad investire in attività produttive, commerciali e di ricerca nel nostro territorio;
   nel mese di luglio 2013 il Senato della Repubblica si è espresso a favore dell'adesione alla cooperazione rafforzata, chiedendo al Governo di porre in essere tutte le azioni necessarie per procedere conseguentemente;
   secondo uno studio di Confindustria l'adesione al nuovo sistema consentirebbe alle imprese italiane di risparmiare a regime circa 14 milioni di euro all'anno: 9 milioni di euro derivanti dalla necessità di non ricorrere a due protezioni separate (italiana ed europea) e 5 milioni di euro recuperati dall'assenza di cause brevettuali parallele nel nostro Paese e nel resto dell'Europa;
   anche lo Stato conseguirebbe dei vantaggi, valutabili in 23 milioni di euro, derivanti dalla partecipazione alla divisione dei brevetti unitari che compenserebbero ampiamente la diminuzione degli introiti dei brevetti tradizionali in Italia;
   la mancata adesione rischierebbe di scoraggiare non solo le imprese innovative italiane, ma anche le multinazionali straniere che potrebbero decidere di non investire nel nostro Paese –:
   se non ritenga di porre in essere ogni utile iniziativa di propria competenza per potere giungere in tempi brevi all'adesione del nostro Paese al nuovo sistema di brevetto unico europeo, al fine di consentire alle imprese italiane e allo Stato medesimo di conseguire gli indubbi vantaggi che tale strumento comporta. (3-00578)
(21 gennaio 2014)

   DORINA BIANCHI, MINARDO, SALTAMARTINI e BERNARDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la ricerca applicata rappresenta il ponte tra la ricerca di base e quella industriale e ha lo scopo di verificare le implicazioni produttive delle scoperte che provengono dalla ricerca di base nei diversi settori sociali e industriali. La comunicazione efficiente tra ricerca di base e ricerca applicata è essenziale per la rapida applicazione delle nuove scoperte scientifiche;
   l'Italia è particolarmente debole proprio nella fase finale, quella dello sviluppo di prodotto e di processo, e l'attuale assetto della ricerca italiana incontra crescenti difficoltà ad adeguarsi ai ritmi dell'innovazione e alle nuove modalità di trasferimento tecnologico imposto dalla globalizzazione; è improcrastinabile la necessità di riorganizzare il sistema nel suo complesso a partire dagli enti pubblici, dando impulso alla collaborazione con il mondo produttivo nazionale;
   l'articolo 3 del decreto-legge n. 145 del 2013 (destinazione Italia) prevede un credito di imposta a favore delle imprese che investono in attività di ricerca e sviluppo; la legge di stabilità ha introdotto un credito d'imposta per le imprese e le reti di impresa che investono direttamente in ricerca e sviluppo e affidano tale attività a università ed enti di ricerca; nell'ambito dell’industrial compact che sarà a breve presentato dall'Unione europea per rilanciare l'economia e la produttività degli Stati è presente il programma «Orizzonte 2020» volto a promuovere ricerca e innovazione, con una dotazione di 100 miliardi di euro da qui al 2020 –:
   quali siano i tempi di emanazione del decreto applicativo relativo al credito d'imposta per le imprese e le reti di impresa che investono direttamente in ricerca e sviluppo e come intenda coordinare e ottimizzare l'utilizzo dei diversi finanziamenti di fonte nazionale e comunitaria, destinati alla ricerca applicata.
(3-00579)
(21 gennaio 2014)

   ABRIGNANI e PALESE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in occasione della discussione di alcune mozioni presentate in Assemblea la scorsa settimana riguardanti la deindustrializzazione, in particolare sulla questione della Telecom, il Governo ha ribadito la necessità della tutela dei livelli quantitativi e qualitativi dell'occupazione e degli investimenti che devono essere incrementati, reputando anche strategica la rete di telecomunicazioni, avviando in tal senso l’iter di approvazione dei decreti sul golden power;
   riguardo alla specifica vicenda di Alitalia Cai, il Governo ha ribadito in ogni circostanza, in modo chiaro, che non era assolutamente disponibile ad un intervento pubblico che si limitasse a ripianare i debiti, ma era disponibile alla ricerca di una soluzione orientata alla continuità aziendale, che consente la difesa dell'occupazione e la possibilità di alleanze forti in uno scenario di mercato nuovo;
   infine, per quanto riguarda la questione Finmeccanica e la cessione degli assetti civili di Finmeccanica, il Governo ha reso noto che la stessa è una società quotata in borsa, il cui capitale, circa il 70 per cento, è detenuto dai privati e che dunque l'Esecutivo è disposto a seguire con estrema attenzione i dossier relativi alla cessione di asset da parte di Finmeccanica, al fine di tutelare gli interessi generali, la continuità produttiva e lo sviluppo industriale;
   l'Italia sta attraversando una drammatica deindustrializzazione, esponendosi sempre più alle strategie degli altri Paesi, senza tuttavia sapersi difendere o prestare resistenza. Come evidenziato dalla Commissione europea nel suo rapporto sulla competitività industriale nei Paesi membri dell'Unione europea, nonostante la quota del settore manifatturiero, in termini di valore aggiunto totale nell'economia, resti leggermente al di sopra della media dell'Unione europea, il nostro Paese, tuttavia, ha subito una perdita di 20 punti percentuali nell'indice di produzione industriale rispetto al 2007, sia a causa della riduzione dell'attività dovuta al rallentamento economico, sia per la chiusura di numerosi impianti in alcuni settori industriali di base (petrolchimica, siderurgia e biocombustibili). Ciò vuol dire che, in termini di costo unitario medio del lavoro, negli ultimi dieci anni si è perso competitività a causa di un aumento del salario lordo nominale combinato con una debole crescita della produttività. Nella produttività del lavoro nel settore industriale, l'Italia nel 2012 ha perso posizioni rispetto al 2007 ed è stata superata persino dalla Grecia, che nel 2007 era molto più indietro. È evidente anche una forte accelerazione della produttività del lavoro da parte della Spagna, che comunque era già più avanti dell'Italia nel 2007;
   la crisi italiana va ben al di là della crisi finanziaria globale scoppiata negli Stati Uniti nella primavera 2007. La ragione del declino economico dell'Italia è dovuta alla mancanza, da più di vent'anni a questa parte, di una pianificazione industriale a livello nazionale, cui si aggiunge un sistema capitalistico malato e portatore di moltissime anomalie ed asimmetrie economiche, oramai croniche nel sistema Italia;
   nel corso del 2013 si è raggiunto il record di aziende chiuse per fallimento. Secondo gli ultimi dati a disposizione ed analizzati da Cerved, nel corso del primo trimestre del 2013, infatti, sono stati avviate circa 3.500 pratiche di fallimento e solo tra gennaio e aprile 2013 si sono contate 4.218 chiusure di attività. Dal 2009, preso come anno zero dalle statistiche a disposizione, le aziende italiane che hanno chiuso sono state 45.280;
   negli ultimi anni molte aziende italiane sono state acquistate da concorrenti internazionali: Star, Carapelli, Bertolli e Riso Scotti sono state comprate da aziende alimentari spagnole; Gancia è passata in mano russa, mentre, sempre per rimanere in ambito culinario, Parmalat, Galvani, Locatelli ed Invernizzi sono state, una dopo l'altra, acquistate da compagnie francesi. Per quanto riguarda la moda, mondo che ha fatto grande il made in Italy, compagnie come LoroPiana, Gucci, Bulgari e Fendi sono state comprate da concorrenti francesi, mentre Valentino è passato in mano ad alcuni sceicchi del Qatar. Non dimentichiamoci altri nomi importanti dell'industria italiana, come Baci Perugina e Buitoni, oggi di proprietà Nestlé (Svizzera) e Fiorucci (Spagna). Quanto accaduto con Alitalia e Telecom è cosa nota a tutti;
   questi anni di svendita sono stati un colpo basso per l'economia del Paese, ma si è rimasti ad osservare il disfacimento della sua struttura industriale. Il problema della deindustrializzazione non è, quindi, da ricercarsi nello «straniero», ma è da attribuirsi in primis a noi stessi. Nel corso di questi ultimi decenni, infatti, moltissimi imprenditori sono stati capaci di fare investimenti ed essere innovativi, malgrado l'ambiente economico ostile;
   il problema maggiore è interno ai nostri confini perché, come sottolineato dal rapporto della Commissione europea cui si è già fatto riferimento, senza riforme per la produzione, la competitività e la produttività delle industrie saranno destinate a diminuire sempre più, lasciando gli italiani e l'Italia sempre più poveri, nonché emarginati dall'Europa che conta;
   il Consiglio europeo di febbraio 2014 sarà il primo dedicato all'industria e sarà un'occasione da non perdere per approntare un patto per l'industria che, nel quadro di «Europa 2020», consenta di accelerare il processo di riforme, sia a livello di Unione europea che nazionale, indispensabile per attirare nuovi investimenti industriali –:
   se e in che tempi il Governo intenda predisporre un piano di politica industriale, anche a livello internazionale, che dia le linee guida di una strategia economica del Paese tesa a recuperare una sana capacità manifatturiera, sia per la piccola e media impresa, sia in favore di realtà industriali più rilevanti, al fine di restituire all'Italia il ruolo che merita tra le potenze industriali europee, e che permetta una nuova regolazione del commercio in raccordo con l'Unione europea, attivando un confronto con le imprese multinazionali che operano in Italia e procedendo ad una modernizzazione vera del sistema strutturale, infrastrutturale e della logistica che non comporti la svendita delle aziende storiche di rilievo del nostro Paese. (3-00580)
(21 gennaio 2014)

   RAMPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Sardegna è l'unica regione d'Italia – e, insieme alla Corsica, l'unica regione europea – a non essere ancora metanizzata;
   il rallentamento del progetto Galsi – cioè del progetto di metanodotto che avrebbe dovuto portare il gas dall'Algeria in Italia attraverso la Sardegna, che avrebbe dovuto essere completato nel 2014 e che è stato congelato in seguito all'approvazione dell'alternativo gasdotto TAP, per cui soltanto nel 2015 si prenderà una decisione definitiva sulla sua realizzazione – potrebbe presto diventare cancellazione;
   l'energia prodotta in Sardegna, invece, che non può essere stoccata e utilizzata nei periodi di maggiore necessità, viene venduta altrove, in particolare nel Centro-Sud Italia;
   tutto ciò fa sì che il costo dell'energia nell'isola, consumata soprattutto nel settore industriale, con il 53 per cento, rimane particolarmente elevato, soprattutto se confrontato con i prezzi che sopportano le altre regioni italiane per l'approvvigionamento energetico, risolvendosi in un danno non solo alle famiglie, ma anche alla competitività delle imprese;
   l'unica fonte energetica presente nell'isola che può essere messa a confronto con il metano è il gpl, che, tuttavia, ha un costo superiore di ben quattro volte, al netto delle imposte, rispetto al gas naturale;
   appare necessario ed urgente, pertanto, introdurre misure idonee a compensare i maggiori costi sopportati dagli utenti dell'isola, che potrebbe essere individuato in una compartecipazione dello Stato al costo del gpl nella regione, sino al momento in cui essa riceverà l'approvvigionamento metanifero –:
   quali iniziative intenda assumere in merito alla questione di cui in premessa, al fine di sostenere, in particolare, il tessuto produttivo della regione, ma anche di agevolare i singoli utenti, e se non ritenga di adottare la citata misura compensativa. (3-00581)
(21 gennaio 2014)

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