TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 248 di Mercoledì 18 giugno 2014

 
.

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE A FAVORE DELLE VITTIME DELL'AMIANTO

   La Camera,
   premesso che:
    il 28 aprile è la giornata internazionale in memoria delle vittime causate dall'amianto;
    ventidue anni fa nel nostro Paese l'amianto è stato dichiarato fuorilegge. Fino al 2004, in Italia, sono stati 9.166 i casi di mesotelioma maligno riportati nel Registro nazionale dei mesoteliomi (Renam III rapporto 2010);
    ancora oggi, nel nostro Paese, le stime parlano di 800/1.000 persone morte ogni anno per patologie asbesto-correlate. Si tratta di persone esposte in passato nei siti produttivi, perché le malattie asbesto-correlate hanno periodi di latenza assai lunghi, (in letteratura scientifica fino 40 anni);
    il picco di patologie, per il principale tumore causato dall'esposizione alla fibra killer, il mesotelioma pleurico, è previsto entro il 2020-2025;
    i principali soggetti a rischio, e potenziali vittime dell'asbesto, sono stati evidentemente i lavoratori che sono stati a contatto con le fibre nell'attività estrattiva con l'amianto grezzo, nella produzione di manufatti, nella manutenzione degli impianti e nel settore edile. Ma, ancora oggi, molti lavoratori continuano ad essere ad elevato rischio, laddove – disattendendo le previste norme di prevenzione – si opera nella filiera delle bonifiche e dello smaltimento dell'amianto;
    va, peraltro, evidenziato l'alto rischio connesso a fibre di amianto disperse nell'ambiente, che producono esposizioni anche di natura non professionale;
    l'asbesto è stato, ed è, un fattore di rischio, oltre che per i lavoratori, anche per i loro familiari, che potevano respirare le fibre portate a casa con gli abiti da lavoro. Secondo il Registro nazionale dei mesoteliomi, oltre l'8 per cento dei casi è risultato esposto per motivi ambientali (luogo di residenza) o per motivi familiari (la convivenza con familiari professionalmente esposti);
    la legge 27 marzo 1992, n. 257, non consente più in Italia l'estrazione, l'importazione, il commercio e l'esportazione di amianto e materiali contenenti amianto, ma poco si è fatto per la rimozione e le bonifiche;
    i risultati delle azioni di messa in sicurezza e di bonifica dell'amianto, condotte fino ad oggi, mostrano come, malgrado la legge n. 257 del 1992, siano possibili ancora oggi numerose occasioni di esposizione a causa della presenza dell'amianto negli ambienti di lavoro e di vita, a causa del fatto che le attività di risanamento ambientale non sono state sistematiche e complete. In alcune regioni italiane non si conoscono ancora i dati relativi alla mappatura;
    la legge finanziaria 2008 ha provveduto a istituire un fondo presso l'Inail che eroga una prestazione aggiuntiva agli altri benefici già riconosciuti per legge, per le vittime dell'amianto che hanno contratto patologie asbesto-correlate e per esposizione alla fibra «fiberfrax». Tale norma prevede, in caso di premorte del lavoratore, risarcimenti in favore degli eredi. Il finanziamento del fondo è a carico delle imprese per un quarto e del bilancio dello Stato per gli altri tre quarti. L'onere a carico dello Stato dall'anno 2010 è determinato in 22 milioni di euro l'anno, mentre ai suddetti oneri a carico delle imprese si provvede con un'addizionale sui premi assicurativi relativi ai settori delle attività lavorative comportanti esposizione all'amianto;
    con decreto ministeriale 12 gennaio 2011, n. 30, si è provveduto a definire le modalità di organizzazione e finanziamento del fondo, nonché le procedure di erogazione delle prestazioni;
    è importante un intervento di miglioramento a favore del citato Fondo per le vittime dell'amianto: detto fondo deve essere corretto con la destinazione finale anche alle vittime civili, ossia ai cittadini che non hanno la copertura assicurativa professionale obbligatoria dei lavoratori;
    il Consiglio nazionale delle ricerche ha valutato in circa 32 milioni le tonnellate di cemento-amianto da bonificare in relazione a 2,5 miliardi di metri quadri di coperture in cemento-amianto presenti sul territorio nazionale. Si tratta di grandi quantità di amianto che si presentano in diverse forme: dalle coperture di edifici pubblici e privati, canne fumarie, cisterne per l'acqua, tubazioni e condutture, ma anche componenti che entrano in processi produttivi. Senza contare alcuni milioni di tonnellate di amianto filabile che, tutt'oggi, continuano a inquinare il territorio nazionale;
    a rendere fallimentari le bonifiche dell'amianto ci sono anche gli elevati costi dello smaltimento e la totale o quasi mancanza di discariche sul territorio nazionale, che fa sì che solo il 40 per cento venga smaltito in Italia, mentre il restante 60 per cento viene smaltito all'estero; inoltre, non si è avviata nessuna sperimentazione dei processi di inertizzazione, salvo piccole pratiche sperimentali condotte nella regione Sardegna;
    i rischi dovuti all'elevata presenza di materiali contaminati su tutto il territorio nazionale sono acuiti dal clamoroso ritardo sugli interventi di risanamento e bonifica delle strutture in cui è presente la fibra killer;
    si dovrebbero completare i censimenti e le bonifiche su tutto il territorio nazionale e in tutti i luoghi di lavoro, anche con il finanziamento da parte di coloro che hanno inquinato, fatto ammalare e morire cittadini e lavoratori innocenti;
    dal quinto numero di maggio 2014 del «Diario della transizione» del Censis, emerge ancora una volta un quadro grave e preoccupante delle condizioni in cui versano le scuole del nostro Paese. Oltre ai seri problemi strutturali che interessano gran parte degli oltre 41 mila edifici scolastici, si evidenzia come sono circa 2 mila gli edifici che espongono i loro 342 mila alunni all'amianto;
    il Piano nazionale amianto, definito nella Conferenza governativa sulle patologie asbesto-correlate di Venezia (novembre 2012) e varato dal Governo Monti nel marzo 2013, elenca una serie di obiettivi suddivisi in tre aree: tutela della salute, tutela dell'ambiente, aspetti di sicurezza del lavoro e previdenziali;
    dopo più di un anno, il Piano nazionale amianto deve ancora passare al vaglio della Conferenza Stato-regioni;
    è ormai improcrastinabile avviare la realizzazione del citato Piano nazionale amianto e provvedere al conseguente finanziamento per delineare un efficace piano di intervento finalizzato a sviluppare: adeguata sorveglianza sanitaria, puntuali censimenti regionali, bonifiche delle aree contaminate, adeguate misure di benefici previdenziali ivi compresa la revisione dell'ultima riforma pensionistica (la cosiddetta riforma Fornero);
    solo alcune regioni hanno individuato precisi obiettivi per l'eliminazione e lo smaltimento dell'amianto dal proprio territorio. Nelle regioni, in generale, manca un censimento preciso e una mappatura completa dei siti contenenti amianto;
    la legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008) aveva istituito il «Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici», con uno stanziamento di 5 milioni di euro per il 2008, per finanziare gli interventi diretti ad eliminare i rischi per la salute pubblica derivanti dalla presenza di amianto negli edifici pubblici, dando priorità alla messa in sicurezza degli edifici scolastici ed universitari, delle strutture ospedaliere, delle caserme e degli uffici aperti al pubblico. Detto fondo, istituito dal Governo Prodi, in realtà non è mai stato reso operativo, in quanto i 5 milioni di euro che aveva in dotazione sono stati azzerati dall'ultimo Governo Berlusconi, con il decreto-legge n. 93 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 126 del 2008,

impegna il Governo:

   ad approvare definitivamente il Piano nazionale amianto, prevedendo i finanziamenti necessari alla sua completa attuazione;
   ad attivarsi, per quanto di competenza, in accordo con le regioni, affinché entro un anno sia concluso il programma dettagliato di censimento, bonifica e smaltimento dei materiali contaminati, anche tramite i piani regionali amianto;
   ad assumere iniziative per incrementare le risorse assegnate al Fondo per le vittime dell'amianto, istituito dalla legge finanziaria 2008, e rivedere l'attuale legge pensionistica, per garantire benefici ai lavoratori colpiti da patologie asbesto-correlate;
   ad assumere iniziative per prevedere la possibilità di estendere le prestazioni del Fondo per le vittime dell'amianto non solo a coloro che abbiano contratto una patologia asbesto-correlata per esposizione professionale all'amianto ma anche ai familiari delle vittime o a coloro che comunque, pur non lavorando direttamente con l'amianto, siano stati comunque esposti avendo poi contratto tali patologie;
   a prevedere opportune iniziative volte a salvaguardare i lavoratori che operano nella filiera delle bonifiche dello smaltimento dell'amianto;
   a garantire, per quanto di competenza, un'adeguata sorveglianza sanitaria per gli ex-esposti all'amianto;
   ad assumere iniziative per escludere dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno le spese per gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dell'amianto;
   ad attivarsi, in sede europea, affinché vengano scorporati dai saldi di finanza pubblica relativi al rispetto del patto di stabilità e crescita le risorse stanziate per gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dell'amianto;
   ad assumere iniziative per la messa a regime delle detrazioni fiscali attualmente previste per gli interventi di bonifica dei manufatti contenenti amianto dagli edifici, valutando l'opportunità di incrementare le vigenti percentuali di detraibilità;
   ad assumere iniziative per finanziare adeguatamente il Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici, istituito dalla legge finanziaria 2008, e mai reso operativo per mancanza di risorse, dando priorità alla messa in sicurezza e bonifica degli edifici scolastici ed universitari, delle strutture ospedaliere, delle caserme e degli uffici aperti al pubblico;
   a dare priorità, nell'ambito degli interventi urgenti volti alla messa in sicurezza degli edifici scolastici, agli interventi di bonifica dall'amianto.
(1-00440)
(Nuova formulazione) «Migliore, Di Salvo, Zan, Nicchi, Airaudo, Zaratti, Piazzoni, Pellegrino, Aiello, Lavagno, Duranti».
(23 aprile 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    nonostante l'amianto sia stato messo al bando circa 20 anni fa, con la legge n. 275 del 1992 – dopo una lunga battaglia contro resistenze, reticenze e sottovalutazioni della pericolosità delle particelle d'amianto – studi scientifici ed epidemiologici sostengono che nei prossimi 15/20 anni ci sarà un forte aumento delle malattie asbesto-correlate. Il problema è, quindi, ancora attuale in ragione dell'utilizzo che se ne è fatto, della lunga latenza delle malattie e della presenza di molti siti contaminati;
    tutt'oggi, si stima che siano ancora tra i 30 e i 40 milioni le tonnellate di materiale contaminato che debbono essere smaltite e, nonostante ciò, la commissione prevista dall'articolo 4 della legge n. 257 del 1992, che avrebbe dovuto governare il passaggio da un Italia pesantemente contaminata a un Italia bonificata, non è più operativa, così come il gruppo di lavoro nazionale, che in un primo momento aveva sostituito la commissione, ha cessato le sue funzioni, determinando, di fatto, la totale assenza di una cabina nazionale di regia che coordini la bonifica del territorio;
    si tratta di un fenomeno la cui vastità e gravità sono confermate dai dati derivanti dalla perimetrazione dei siti di interesse nazionale, che ne individuano 57 su tutto il territorio nazionale, con il coinvolgimento di oltre 300 comuni e con una superficie interessata pari a 1.800 chilometri quadrati di aree marine, lagunari e lacustri e 5.500 chilometri quadrati di aree terrestri;
    secondo stime del Registro nazionale dei mesoteliomi, sono circa 3.000 ogni anno le persone che nel nostro Paese perdono la vita in seguito a patologie asbesto-correlate (con un tasso di incidenza di mesotelioma pleurico che per il 2004 risulta essere di 3,49 casi per 100.000 abitanti per gli uomini e di 1,25 per le donne) e circa il 30 per cento dei casi sono attribuibili ad esposizione non professionale;
    tali dati, già di per sé estremamente allarmanti, non tengono conto delle così dette «vittime attese», poiché, visti i tempi lunghi di incubazione, si presume che il picco della mortalità per le patologie correlate all'amianto si raggiungerà intorno al 2020;
    con la legge n. 244 del 2007 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria per il 2008)», all'articolo 2, commi 440-443, l'allora Governo Prodi istituì il «Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici» con una dotazione pari a 5 milioni di euro per il 2008, al fine di avviare una campagna di progressiva eliminazione dell'amianto dagli edifici pubblici. Tuttavia, tale fondo, di fatto, non è mai stato operativo visto che è stato interamente svuotato, insieme ad altri stanziamenti, per far fronte agli oneri derivanti dall'applicazione del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93 «Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie», convertito, con modificazioni, dalla legge n. 126 del 2008, per poter concorrere a coprire finanziariamente la totale abrogazione dell'ici sulla prima casa promossa dal Governo Berlusconi;
    il Piano nazionale amianto, definito nella Conferenza governativa sulle patologie asbesto-correlate di Venezia nel novembre 2012, approvato dal Governo Monti più di un anno fa, elenca una serie di obiettivi suddivisi in tre aree: tutela della salute, tutela dell'ambiente, aspetti di sicurezza del lavoro e previdenziali. Tuttavia, a tutt'oggi, non è stato ancora esaminato dalla Conferenza Stato-regioni e, nonostante le sollecitazioni avanzate dalle organizzazioni sindacali e dal Presidente dell'Anci, non trova ancora concreta attuazione;
    all'articolo 6, comma 6, della legge n. 257 del 1992, si prevede che annualmente il Governo trasmetta al Parlamento una relazione sullo stato di attuazione delle norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto, ma l'ultima relazione presentata risale ormai a diversi anni fa;
    si rende necessario ricondurre ad un testo unico armonizzato l'insieme della normativa di settore fin qui emanata;
    per quanto attiene al tema della tutela degli esposti all'amianto, in una prima fase, le misure adottate sono state rivolte nei confronti dei lavoratori, per cui, i primi risarcimenti sono stati riconosciuti nei loro confronti;
    in particolare, con l'articolo 1, commi 241-246, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, è stata prevista l'istituzione presso l'Inail di un Fondo per le vittime dell'amianto, finanziato con risorse per tre quarti dello Stato e un quarto dalle imprese;
    i beneficiari del Fondo per le vittime dell'amianto sono i titolari di rendita diretta, anche unificata, ai quali sia stata riconosciuta dall'Inail e dal soppresso Ipsema, una patologia asbesto-correlata per esposizione all'amianto e alla fibra «fiberfrax», individuato ai sensi dell'articolo 85 del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali;
    il regolamento del Fondo per le vittime dell'amianto (decreto ministeriale 12 gennaio 2011) stabilisce che la prestazione aggiuntiva sia calcolata applicando alla rendita già percepita la misura percentuale definita con decreto interministeriale. Tale prestazione è stata fissata nella misura del 20 per cento per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e del 15 per cento per il 2010;
    per gli anni a decorrere dal 2011, il regolamento non fissa la misura della prestazione aggiuntiva ma ne definisce le modalità di calcolo e di erogazione. La prestazione è calcolata sulla base del rapporto tra le risorse annue effettivamente disponibili nel Fondo per le vittime dell'amianto e la spesa sostenuta dall'Inail per le rendite erogate nell'anno di riferimento ai beneficiari del fondo ed è erogata mediante due acconti (di cui il primo pari al 10 per cento) finanziati utilizzando le risorse provenienti dal bilancio dello Stato e un conguaglio finanziato con le risorse provenienti dall'addizionale riscossa dalle imprese (articolo 2, commi 3 e 4 del decreto ministeriale 12 gennaio 2011);
    al fine di conferire al Fondo per le vittime dell'amianto apposito rilievo contabile, si è proceduto ad instaurare un sistema che si basa sull'istituzione di uno specifico articolo relativo ai «Recuperi e rimborsi di spese per prestazioni istituzionali», dedicato ad accogliere le evidenze contabili del Fondo per le vittime dell'amianto. Ugualmente, accade anche per i pagamenti contabilizzati all'interno di un apposito articolo del capitolo di uscita relativo alla contabilizzazione delle «rendite di inabilità ai superstiti», sull'assunto che tale erogazione consiste in una prestazione aggiuntiva rispetto al pagamento della rendita al beneficiario. Il completo impianto contabile, inoltre, prevede anche la creazione di diversi articoli tecnici tra le partite di giro relative alle «addizionali dei datori di lavoro», necessari sia per l'iniziale contabilizzazione dei finanziamenti derivanti dalle addizionali, sia per il successivo riversamento al capitolo di entrata, ovvero l'eventuale restituzione ai datori di lavoro a seguito di regolazioni addizionali incassate per il Fondo per le vittime dell'amianto;
    la legge n. 244 del 2007 prevede che il Fondo per le vittime dell'amianto sia finanziato per un quarto attraverso il versamento di un'addizionale a carico delle imprese con un gettito complessivo da parte di queste di 10 milioni di euro per gli anni 2008 e 2009 e di 7,3 milioni di euro a decorrere dal 2010;
    per quanto riguarda le prestazioni aggiuntive, ad oggi erogate, se negli anni 2008, 2009, 2010 e 2011 il pagamento è stato effettuato in acconti ma con regolarità e per il 2012 gli importi sono stati erogati entro il 30 giugno 2013, nel 2013 non si è potuto dare corso al pagamento in quanto non sono prevenuti i trasferimenti dello Stato;
    la platea dei beneficiari al 2012, tra reddituali e superstiti, era di 17.501 individui;
    in merito alle somme non utilizzate del Fondo per le vittime dell'amianto per il triennio, esse assommano a 36,2 milioni di euro, ma, tenendo conto delle prestazioni aggiuntive da erogare ai nuovi beneficiari che si evidenzieranno nei prossimi anni, le risorse effettivamente utilizzabili sono valutate in 30,8 milioni di euro;
    la misura della prestazione aggiuntiva nei prossimi anni decresce sensibilmente dal 18,1 per cento calcolato per il 2011 all'8,3 per cento stimato per il 2022;
    nel Piano nazionale amianto è prevista l'utilizzazione di 10 milioni di euro e in questa fase si potrebbe, quindi, utilizzare parte della somma giacente presso il fondo nazionale per la quale i Ministeri competenti a tuttora non si sono ancora pronunciati sui criteri di utilizzazione,

impegna il Governo:

   ad adoperarsi, per quanto di competenza, affinché l'esito positivo della procedura di esame e di approvazione del Piano nazionale amianto venga assicurato da tutti i soggetti interessati, prevedendo, al riguardo, un preciso cronoprogramma di attuazione per ciascun livello istituzionale coinvolto e l'individuazione delle relative risorse finanziarie e strumentali;
   ad assumere ogni iniziativa utile, d'intesa con le regioni, affinché sia completata entro tempi ravvicinati la mappatura delle fonti di esposizione ad amianto, ovvero dei siti con presenza di materiali contenenti amianto sia friabile che compatto;
   a proseguire, ai fini delle attività di prevenzione, le opere di bonifica ambientale dei siti di interesse nazionale con presenza di amianto e degli edifici al servizio del pubblico, con priorità a strutture sanitarie e scuole, per queste ultime utilizzando le risorse stanziate ai sensi dell'articolo 18 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98;
   a definire un'intesa con le regioni e le province autonome volta a concordare le modalità di regolamentazione delle «micro-raccolte di amianto» anche con il coinvolgimento delle aziende municipalizzate locali di raccolta dei rifiuti e ad individuare, in ogni regione, dei siti di discarica del materiale rimosso, a tal fine individuando cave adatte allo smaltimento in sicurezza di scarti pericolosi;
   ad individuare le risorse necessarie al rifinanziamento del Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici, istituito dalla finanziaria per il 2008;
   ad assumere iniziative per semplificare le modalità di erogazione della prestazione aggiuntiva, fissandola in una percentuale che rimanga fissa negli anni per garantire le risorse al fondo anche negli anni futuri;
   ad inserire un criterio di utilizzo delle risorse finanziarie complessive disponibili, anche con riferimento al triennio 2008-2010 e pari a 30,8 milioni di euro, che tenga conto degli aventi diritto relativi agli anni successivi, per i quali non potrebbe non essere garantita la copertura per l'intero periodo di consolidamento, e ad estendere, come previsto dal Piano nazionale amianto, la platea dei destinatari, comprendendovi non solo gli attuali beneficiari professionali, ma anche i familiari dei medesimi colpiti da patologie amianto-correlate (mesotelioma pleurico, peritoneale e altre neoplasie amianto-correlate);
   ad assumere iniziative, anche normative, in tempi ravvicinati, per definire una disciplina che pianifichi la fuoriuscita dalla problematica dell'amianto, anche attraverso la predisposizione di un apposito testo unico che riunifichi e armonizzi tutta la normativa in tema di amianto;
   ad implementare le attività di ricerca sanitaria integrando nella rete dei centri le strutture sanitarie delle aree in cui vi è la maggiore incidenza di patologie asbesto-correlate;
   ad istituire una commissione tecnica per la pianificazione, l'attuazione ed il monitoraggio delle azioni da intraprendersi, finalizzate alle attività di prevenzione, sorveglianza, assistenza e cura dei casi di patologie amianto-correlate.
(1-00200)
(Nuova formulazione) «Bargero, Speranza, Borghi, Cuperlo, Fiorio, Portas, Boccuzzi, Antezza, Amoddio, Basso, Beni, Baruffi, Berlinghieri, Gnecchi, Lodolini, Zanin, Moscatt, Battaglia, Colaninno, Carra, Zappulla, Fabbri».
(3 ottobre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    il rischio proveniente dall'esposizione all'amianto è noto al legislatore italiano per esito del regio decreto n. 442 del 1909, cui conseguirono il regolamento di cui al decreto legislativo 6 agosto 1916, n. 1136, e la tabella di cui al regio decreto n. 1720 del 1936;
    il nostro Paese si è distinto per la sua prolungata inadempienza in materia di protezione dall'amianto tanto da costringere le istituzioni europee ad intervenire con la procedura di infrazione n. 240/89, definita con la decisione di condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea del 13 dicembre 1990, che dichiarava che l'Italia era venuta meno agli obblighi derivanti dal Trattato istitutivo della Comunità economica europea, non aver recepito la direttiva 83/477/CEE del 19 settembre 1983 «Sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con una esposizione ad amianto durante il lavoro» entro la scadenza del 1o gennaio 1987;
    la stessa Corte di giustizia dell'Unione europea affermava di aver presentato, a norma dell'articolo 169 del Trattato istitutivo della Comunità economica europea, un ricorso finalizzato a far dichiarare che l'Italia, non avendo recepito la direttiva di cui sopra, fosse venuta meno agli obblighi previsti in forza del Trattato istitutivo della Comunità economica europea;
    la Repubblica italiana, pur ammettendo sostanzialmente di non aver ancora adottato i provvedimenti necessari per l'attuazione della direttiva nel proprio ordinamento, finalmente, dopo qualche anno, recepiva la direttiva con il decreto legislativo n. 277 del 1991, cui fece seguito la legge 27 marzo 1992, n. 257;
    la legge 27 marzo 1992, n. 257, in materia di «Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto», che ha stabilito il divieto di estrazione, commercializzazione e produzione di amianto, la bonifica degli edifici, delle fabbriche e del territorio, nonché misure per la tutela sanitaria e previdenziale dei lavoratori esposti all'amianto, non risulta ad oggi totalmente applicata se si analizzano i dati nazionali legati alla pericolosità dell'amianto e ancora purtroppo drammatici;
    la «Conferenza governativa sull'amianto e le patologie asbesto correlate: stato dell'arte e prospettive», svoltasi a Venezia dal 22 al 24 novembre 2012, ha evidenziato che vi sono ancora oltre 40 mila siti con presenza di amianto sul territorio italiano, di cui circa 400 ad alto rischio;
    la ricognizione sullo stato di attuazione della legge n. 257 del 1992 ha evidenziato un'omogeneità nazionale di non attuazione: in effetti, mancano linee guida in alcune regioni, la progressione delle bonifiche risulta estremamente lenta ed è di circa l'1 per cento all'anno dell'amianto presente in Italia dal 1992, per cui, mantenendo questo ritmo, si ritiene che siano necessari almeno altri 60 anni di lavoro;
    questi dati sono, peraltro, decisamente approssimativi visto che regioni come Sicilia e Calabria, al momento della conferenza di Venezia, non avevano ancora comunicato alcun dato e che gli utilizzatori indiretti di amianto nelle attività produttive non stilano sistematicamente la relazione annuale;
    i decessi connessi con l'esposizione all'amianto sono pari a circa 5000 annuali, di cui circa 1500 per via di mesoteliomi (neoplasia dovuta all'esposizione alle fibre aerodiperse dell'amianto) e il restante tra tumori polmonari e altre patologie asbesto-correlate;
    studi scientifici ed epidemiologici rivelano che il picco si raggiungerà nei prossimi 15 anni a causa del lungo periodo di latenza che caratterizza le malattie asbesto-correlate, in particolare il mesotelioma che, in alcuni casi, può manifestarsi anche dopo 30/40 anni dall'esposizione all'amianto e che ha origine nel mesotelio, la membrana che riveste la maggior parte degli organi interni del corpo, tra cui i polmoni e la parte interna della gabbia toracica (pleura), il cuore (pericardio), l'intestino (peritoneo) e i testicoli (tunica vaginale);
    molto numerose, purtroppo per il nostro Paese, sono le realtà industriali nelle quali si è fatto indiscriminato uso di materiali contenenti amianto e Civitavecchia, come molte altre città, ha dovuto e sta tuttora pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane a causa dell'indiscriminato utilizzo del sopradetto, pericolosissimo inquinante. Nel dicembre 2013, nel territorio di Civitavecchia, sono state rinvenute circa 300 tonnellate di amianto interrate abusivamente nel corso degli anni; si tratta di un potenziale disastro ecologico portato alla luce dal reparto operativo aeronavale della Guardia di finanza che ha ovviamente posto sotto sequestro l'area, con la procura della Repubblica che ha di seguito aperto un'inchiesta per reati ambientali;
    non meno rilevante, a titolo ulteriormente esemplificativo, è il caso di in un popoloso quartiere di Avellino dove è stato effettuato un testing sanitario sulla popolazione scolastica e sui residenti adulti con risultati sconcertanti;
    in quell'area grosse quantità di cemento-amianto sono contenute in un noto stabilimento in pessimo stato di conservazione all'interno di un silos prossimo al crollo;
    la procura della repubblica di Avellino ha disposto il sequestro penale dell'area per disastro ambientale doloso e ha emanato 24 avvisi di garanzia che hanno raggiunto soprattutto ex amministratori comunali;
    il procuratore Cantelmo è stato audito dalla Commissione ambiente del Senato della Repubblica in merito al legame tra inquinamento ambientale e patologie tumorali e gli atti sono stati secretati;
    ad oggi, sono stati accertati più di dieci morti da amianto tra i lavoratori, ma sembrano essere in realtà una trentina. Quasi tutti i 300 ex lavoratori dello stabilimento avellinese sono affetti da patologie asbesto-correlate, pur continuando ad esercitare la loro attività lavorativa, in assenza di regole serie per il prepensionamento;
    risulterà, pertanto, evidente la necessità di invertire una tendenza che, fino ad oggi, ha registrato tanto l'utilizzo indiscriminato di materiali contenenti amianto nei principali cicli produttivi quanto la colpevole inerzia degli enti preposti alla tutela dei lavoratori esposti e delle loro famiglie, al fine di minimizzare, per quanto ancora possibile, le gravi conseguenze di trascuratezze oggi, di fatto, riconosciute e non più ulteriormente tollerabili;
    all'alta concentrazione della mortalità a causa del mesotelioma nel nord del Paese, come ad esempio a Casale Monferrato, dove l'esistenza di un grande impianto per la produzione di manufatti di amianto ha generato un progressivo aumento di mortalità con un'incidenza 40 volte superiore al resto del Piemonte, si stanno aggiungendo altre aree in cui la mortalità per questa neoplasia è particolarmente preoccupante come Bari, Siracusa, Manfredonia e Avellino. Nel capoluogo irpino è tutt'ora localizzato, ancorché dismesso, uno stabilimento denominato Isochimica nel quale, per quasi dieci anni, circa 300 lavoratori hanno scoibentato 360 carrozze all'anno, piene di amianto, dei treni delle Ferrovie dello Stato;
    il rischio connesso alla pericolosità della dispersione nell'aria delle fibre di amianto nelle zone dove si lavorava questo materiale è altissimo non solo fra i lavoratori: secondo il Registro nazionale dei mesoteliomi, oltre l'8 per cento dei casi è stato esposto per motivi ambientali (luogo di residenza) o per motivi familiari (convivenza con lavoratori esposti);
    in Italia mancano ancora dati di mappatura dell'amianto nelle scuole per oltre la metà della regioni italiane e ciò non è accettabile se si pensa che le patologie asbesto-correlate hanno una latenza prolungata e che potrebbero colpire, in particolare, le fasce di minore età. Si stimano dalle 2.000 alle 3.000 «scuole amianto» in Italia. Per quanto riguarda la mappatura, si segnala che esistono sistemi di individuazione dell'amianto visibile dall'alto anche a costi decisamente bassi. Si segnala che i centri operativi regionali afferenti al Registro nazionale dei mesoteliomi hanno subito un depotenziamento che determina la riduzione delle informazioni ottenute da parte degli esposti e che non consente di compilare un registro degli esposti, aggravando la carenza generale di dati in merito ai siti e alle attività produttive contaminate e impedendo la corretta sorveglianza epidemiologica; è da rilevare che oltre l'80 per cento delle circa 440 mila tonnellate di amianto smaltite negli ultimi anni in Italia è stata spedita all'estero, con costi aggiuntivi e incremento dei rischi durante il trasporto. Il costo medio di smaltimento dell'amianto è di 900 euro a tonnellata se esportato (550 per la rimozione, 250 per il conferimento in discarica e 100 euro per il trasporto). L'individuazione di siti regionali compatibili con lo smaltimento che rispondano a criteri di idoneità geologica, paesaggistica e ambientale potrebbe portare a una bonifica a «chilometri zero», che dovrebbe passare naturalmente per il coinvolgimento delle popolazioni interessate anche in merito alla necessità di riduzione del rischio in relazione al progressivo deterioramento dei materiali contenenti amianto presenti in tutto il Paese e garantendo la massima trasparenza dei dati dei controlli dell'inquinamento delle matrici ambientali circostanti gli impianti, coinvolgendo personale di età prossima alla pensione negli impianti stessi per i già citati dati di latenza dello sviluppo di patologie; il Piano nazionale amianto del Governo Monti, scaturito anche dalla governativa sull'amianto e le patologie asbesto-correlate di Venezia, seppur contenga buoni spunti, deve ancora essere approvato dalla Conferenza Stato-regioni e sembrerebbe, per quanto consta ai firmatari del presente atto di indirizzo, bloccato al Ministero dell'economia e delle finanze per la mancanza di coperture; stante l'urgenza che l'attuale Governo attui i provvedimenti necessari a far fronte a questo tema, nel corso della recente seconda conferenza internazionale dell'Osservatorio nazionale amianto (Ona onlus), tenutasi nell'aula dei gruppi della Camera dei deputati il 20 marzo 2014, dove è stata data voce alle istituzioni, alle associazioni di esposti, ai cittadini e a eminenti scienziati, è emersa oltretutto la necessità di un piano amianto alternativo a quello governativo, che miri in maniera più decisa alla prevenzione primaria, alla ricerca scientifica, alla interdizione dei crimini ambientali lesivi della dignità e dell'incolumità della persona e che, attraverso la valorizzazione delle associazioni e delle autonomie locali, possa permettere di affrontare e risolvere questo enorme problema; è necessario che, in linea con il piano governativo e i piani delle associazioni di esposti all'amianto, siano stabiliti, altresì, termini specifici e tassativi per eseguire e per portare a termine la mappatura delle zone del territorio nazionale interessate dalla presenza di amianto, nonché la bonifica, ai sensi dell'articolo 20 della legge n. 93 del 2001 e del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 101 del 2003, atteso che l'assenza di termine finale rischia di prorogare sine die gli interventi di bonifica e di esporre a rischio cittadini e lavoratori, con maggior rischio di insorgenza di malattie e lesione della pubblica incolumità e con maggiori oneri sociali e sanitari; è urgente stabilire, inoltre, i termini perentori per la decontaminazione dei luoghi di lavoro in ambito civile e militare e per il divieto di esposizione all'amianto,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa utile a consentire che i lavoratori affetti da patologie asbesto-correlate di origine professionale, qualora non abbiano ancora raggiunto i requisiti per la maturazione del diritto alla pensione, anche dopo la rivalutazione del periodo contributivo ai sensi dell'articolo 13, comma 7, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, possano comunque accedere al pensionamento anticipato, con il sistema contributivo, senza rinunciare alle altre provvidenze vigenti;
   a verificare, d'intesa con le regioni, che entro il 30 giugno 2015 venga eseguita la mappatura dell'amianto contenuto nelle scuole, per tutte le regioni italiane, e si proceda entro il 1o gennaio 2020 alla rimozione dello stesso;
   a verificare, anche d'intesa con le regioni, che sia terminata la mappatura dell'amianto in ogni sito di pubblica fruizione entro il 31 dicembre 2016, nonché a porre in essere ogni iniziativa, anche sotto forma di incentivo finanziario, finalizzata ad agevolare le bonifiche da parte dei titolari di edifici pubblici e privati o porzioni di essi, contenenti amianto, ponendo come obiettivo per l'integrale bonifica la data del 1o gennaio 2020;
   ad assumere iniziative per introdurre nel codice penale specifiche fattispecie di reato che sanzionino la violazione di tali obblighi o prevedano l'inasprimento delle pene per fattispecie penali già vigenti;
   a porre l'obbligo in capo al datore di lavoro di provvedere alle bonifiche entro il 1o gennaio 2020, indipendentemente dalla concentrazione di amianto in sospensione e dal periodo di esposizione del lavoratore;
   ad assumere iniziative affinché, per le coperture installate a seguito di sostituzione di opere contenenti amianto, siano utilizzati materiali idonei al loro recupero e al loro riciclo in caso di successiva rimozione;
   ad assumere iniziative affinché, entro il 1o gennaio 2015, la presenza di amianto, in qualunque luogo, sia evidenziata con l'apposizione di un'etichetta chiara e visibile recante l'indicazione della presenza di amianto nonché contrassegni indicanti il pericolo;
   a provvedere, per quanto di competenza, alla creazione di un sistema di informatizzazione e banca dati dei processi di bonifica, alla georeferenziazione e all'individuazione di siti idonei allo stoccaggio dell'amianto in ciascuna regione italiana entro il 1o gennaio 2015, agendo anche nell'ottica di filiera corta di gestione, di riduzione del rischio e dei costi, avendo cura di riferire con cadenza semestrale alle Commissioni parlamentari competenti l'avanzamento di tutti i processi di bonifica relativi agli immobili censiti;
   a rafforzare i sistemi di verifica della tracciabilità dell'amianto, altresì stimolando lo smaltimento sostenibile anche attraverso la determinazione di un prezziario nazionale per singole tipologie di opere di bonifica;
   ad assumere iniziative per predisporre, nell'ambito di misure per la defiscalizzazione degli interventi di rimozione dell'amianto dagli edifici privati, la possibilità di detrazione dall'imposta lorda di un importo pari al 72 per cento delle spese documentate, fino a un ammontare complessivo delle spese non superiore a 96.000 euro per unità immobiliare;
   ad individuare forme di incentivazione e sostegno per privati ed imprese, finalizzate a contestualizzare, alle pratiche di bonifica, la realizzazione di pannelli fotovoltaici;
   a verificare l'omogeneità dei trattamenti delle patologie asbesto-correlate sul territorio nazionale, monitorando, in particolare, i trattamenti chirurgici e chemioterapici, predisponendo adeguate risorse per la valutazione degli outcome clinici e di qualità di vita dei pazienti e incentivando la ricerca clinica e laboratoristica nel settore;
   ad assumere iniziative per escludere, dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno, le spese per gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dell'amianto, attivandosi anche in sede europea per lo scorporo dai predetti saldi.
(1-00286)
(Nuova formulazione) «Grande, Sibilia, Bechis, Zolezzi, Prodani, Artini, Pinna, Currò, Spadoni, Del Grosso, Scagliusi, Rizzo, Corda, Fico, Lorefice, Mantero, Di Vita, Vacca, Brescia, Grillo, Dall'Osso, Baroni, Cecconi, Gallinella, Bechis, Parentela, Toninelli, Frusone, Barbanti, Nicola Bianchi, Cristian Iannuzzi, De Lorenzis, Lupo, Terzoni, De Rosa, Paolo Nicolò Romano, Mannino, Lombardi, Turco, Da Villa».
(17 dicembre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    il massiccio utilizzo dell'amianto, verificatosi sino alla fine degli anni Ottanta ed il cui uso è stato vietato in Italia da una legge del 1992, ha prodotto un'enorme quantità di patologie e di decessi per quanti sono entrati in contatto con tale materiale. La sua presenza nelle più disparate strutture continua tuttora a produrre malattie asbesto-correlate; dai dati contenuti nel Registro nazionale dei mesoteliomi risulta che l'8 per cento dei casi è dovuto all'esposizione ambientale in abitazioni prossime ai luoghi di lavorazione o alla convivenza con familiari esposti all'amianto per motivi di lavoro;
    oltre ai dati statistici ormai noti a tutti, l'elemento più allarmante messo in risalto dalla comunità scientifica internazionale è quello che riguarda il periodo che va dal 2020 al 2025. In quell'arco di tempo, dicono infatti gli scienziati, si registrerà il picco massimo di patologie asbesto-correlate;
    appare evidente, dunque, come la lotta a questa calamità debba costituire uno degli elementi prioritari che lo Stato deve affrontare, predisponendo misure straordinarie in termini di sostegno ai soggetti colpiti da patologie derivanti dall'esposizione all'amianto ed alle loro famiglie, di diagnosi precoci per i soggetti a rischio, di bonifica dei siti, di rimozione integrale del cancerogeno dai luoghi di lavoro e dalle comunità, di mappatura e tracciatura del rifiuto e di intensificato contrasto all'attività delle ecomafie (nel corso del convegno organizzato dall'Osservatorio nazionale sull'amianto il 19 maggio 2012, sono stati evidenziati gli enormi profitti e gli immensi danni prodotti dalle attività illegali in questo settore;
    è evidente come il fenomeno rivesta rilevanza internazionale: il Parlamento europeo e il Consiglio, con l'ultima direttiva 2009/148/CE del 30 novembre 2009 sulla protezione dei lavoratori esposti al rischio amianto, hanno, infatti, emanato norme più stringenti e con esse hanno stabilito la necessità di una più attenta tutela senza discriminazioni nei confronti delle vittime. E proprio in questa direzione sono state definite misure in relazione ai diritti al prepensionamento (articolo 13, commi 7 e 8, della legge n. 257 del 1992);
    sul piano del sostegno ai soggetti colpiti dalle patologie suindicate ed ai loro familiari (in tale ottica va infatti valutata l'accertata e lunga latenza delle patologie, la presenza attuale di luoghi contaminati ed altro), lo Stato è già intervenuto;
    infatti, con la legge finanziaria per il 2008 (commi 241-246 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 244) è stato istituito un Fondo per le vittime dell'amianto presso l'Inail che è diventato operativo a seguito dell'emanazione del decreto ministeriale 12 gennaio 2011. Il Fondo citato eroga una prestazione aggiuntiva alle altre riconosciute per legge, per le vittime dell'amianto, per quanti abbiano contratto patologie asbesto-correlate per esposizione all'amianto e, in caso di premorte, in favore degli eredi. Il finanziamento del Fondo per le vittime dell'amianto è, per un quarto, a carico delle imprese e, per tre quarti, a carico del bilancio dello Stato; l'addizionale a carico delle imprese ha dato un gettito pari a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e di 7,3 milioni di euro a partire dal 2010; l'onere per lo Stato a decorrere dal 2010 assomma, quindi, a 22 milioni di euro;
    il regolamento del Fondo per le vittime dell'amianto stabilisce che la prestazione aggiuntiva sia calcolata applicando alla rendita già percepita la misura percentuale definita con decreto interministeriale. La prestazione è stata fissata nella misura del 20 per cento per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e del 15 per cento per il 2010. Per gli anni successivi al 2011, il regolamento non fissa la misura della prestazione aggiuntiva, ma ne definisce il sistema di calcolo e di erogazione, secondo modalità decrescenti, dal 18,1 per cento computato per il 2011 all'8,3 per cento stimato per il 2022;
    la platea dei beneficiari, con riferimento al 2012, è di 17.501 soggetti tra aventi diritto e superstiti; le assegnazioni sono state regolari sino alle somme spettanti per il 2012 (erogate nel giugno 2013), ma nel 2013 non vi sono stati i previsti trasferimenti dal bilancio dello Stato;
    presso il Fondo per le vittime dell'amianto sono in giacenza circa 31 milioni di euro effettivamente utilizzabili, che appaiono, però, insufficienti ad assicurare le prestazioni future;
    per quanto concerne invece la bonifica del territorio, occorre ricordare l'importanza di tale operazione che, a distanza di anni dall'entrata in vigore della legge n. 257 del 1992, risulta ancora necessaria visto che sono presenti migliaia e migliaia di tonnellate di fibre di amianto e di cemento-amianto nelle fabbriche, negli edifici pubblici e privati e in varie comunità; secondo il Consiglio nazionale delle ricerche si tratta di oltre 32 milioni di tonnellate di cemento-amianto da bonificare, mentre sono ancora esposti agli agenti atmosferici 2,5 miliardi di metri quadri di coperture; risulta problematico anche lo smaltimento per la mancanza di discariche specializzate; il 60 per cento del materiale dismesso viene regolarmente inviato all'estero,

impegna il Governo:

   ad intervenire per semplificare le modalità di erogazione della prestazione aggiuntiva a valere sul Fondo per le vittime dell'amianto costituito presso l'Inail ai sensi dei commi 241-246 dell'articolo 1 della legge n. 244 del 24 dicembre 2007, spettante ai soggetti beneficiari, fissandola in una percentuale che rimanga tale nel corso degli anni e individuando le risorse necessarie ad assicurare la piena copertura delle erogazioni spettanti;
   ad operarsi per la piena funzionalità del Piano nazionale amianto, varato dal Governo Monti nel marzo 2013, ancora in sede di esame presso la Conferenza Stato-regioni, valutando la possibilità di incrementarne la dotazione economica, al fine di accelerare gli interventi ivi previsti, diretti ad eliminare i rischi per la salute pubblica derivanti dalla presenza di amianto negli edifici pubblici e nei luoghi di lavoro;
   a valutare la possibilità di escludere dai saldi rilevanti, per la verifica del rispetto del patto di stabilità interno, le spese per la bonifica dell'amianto, in particolare in edifici pubblici quali scuole, università ed ospedali, assumendo iniziative per prevedere il finanziamento del Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici, attualmente privo di adeguata dotazione;
   ad intervenire perché venga realizzata un’«Anagrafe dell'edilizia scolastica», anche attraverso l'impegno degli enti locali che potranno indicare al Governo – in maniera tale che questi informi pienamente il Parlamento – le necessità, le priorità e le emergenze da affrontare, al fine di risolvere un allarmante problema che, attualmente, coinvolge ben duemila edifici scolastici, 342 mila alunni, docenti ed operatori scolastici;
   ad assumere iniziative per la messa a regime delle agevolazioni fiscali attualmente previste in favore degli interventi di bonifica dall'amianto effettuati da privati;
   a valutare la necessità di predisporre misure in termini di diagnosi precoce al fine di tutelare la salute dei cittadini esposti al rischio amianto.
(1-00484)
«Dorina Bianchi, Piccone, Scopelliti».
(5 giugno 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia è stata fino alla fine degli anni Ottanta il secondo maggiore produttore europeo di amianto, in particolare di amianto crisotilo dopo l'ex Unione Sovietica e il maggiore della Comunità europea, nonché uno dei maggiori utilizzatori;
    la storica condanna, nel giugno 2013, a 18 anni di reclusione per disastro doloso di uno dei due manager imputati a Torino nel processo Eternit, ha aperto nuovamente i riflettori sulla drammatica questione delle vittime dell'amianto;
    nonostante il divieto di estrazione, produzione e impiego, imposti dalla legge 27 marzo 1992, n. 257, infatti, il pericolo di contrarre patologie derivanti dall'esposizione o lavorazione di materiali contenenti amianto in Italia è ancora a livelli altissimi;
    il rischio non si estingue con la cessazione delle lavorazioni, in quanto resta da gestire la presenza di grandi e diffuse quantità di materiali contenenti amianto in matrice friabile, negli edifici civili e industriali, negli impianti e nei mezzi di trasporto (in particolare in quelli navali) e di altrettanto rilevanti presenze di materiali contenenti amianto in matrice compatta il cui progressivo deterioramento, anche semplicemente dovuto alla vetustà del materiale, può essere causa di rilascio di fibre e di conseguente rischio;
    le fibre di asbesto, se inalate, provocano gravi patologie dell'apparato respiratorio (l'asbestosi, il tumore maligno del polmone e della laringe e il mesotelioma pleurico) e neoplasie a carico di altri organi, il mesotelioma peritoneale, pericardico e della tunica vaginale del testicolo, e il tumore maligno dell'ovaio. Causano, inoltre, placche pleuriche e ispessimenti pleurici diffusi. Alcuni studi suggeriscono che siano causa di tumori maligni in ulteriori sedi, quale l'apparato digerente;
    oltre ai lavoratori che hanno prestato la loro attività nelle industrie produttrici di amianto sono potenzialmente esposti a tale rischio sia i lavoratori che inconsapevolmente hanno prestato e prestano la loro attività in luoghi o in situazioni dove persiste la presenza di amianto che i familiari dei lavoratori che potevano respirare le fibre portate a casa, ad esempio con gli abiti da lavoro, e i cittadini che vivevano o vivono tuttora in aree dove è possibile inalare fibre aerodisperse, nonché, qualora vengano disattese le norme di prevenzione, anche i lavoratori impiegati nelle attività di manutenzione, bonifica e gestione dei rifiuti che contengono amianto;
    secondo le stime dell'Organizzazione mondiale della sanità, il numero di casi di malattie legate all'amianto nella sola Unione europea è compreso tra i 20.000 e 30.000 all'anno; in Italia, secondo quanto pubblicato dal Ministero della salute, il mesotelioma ha un'incidenza di 3,6 casi ogni 100 mila abitanti per gli uomini e di 1,6 casi ogni 100 mila per le donne e si registrano, ogni anno, oltre 4.000 vittime per malattie asbesto-correlate. Il problema è la latenza della malattia: oltre 40 anni, o addirittura 50 anni, potrebbero passare prima che i sintomi si manifestino nel malato. Per questo motivo il Ministero della salute attende un picco di ammalati tra il 2015 ed il 2020 e stima le persone a rischio in circa 680 mila;
    nel corso della II Conferenza governativa sulle patologie asbesto-correlate di Venezia, organizzata ai sensi della citata legge n. 257 del 1992 (22-24 novembre 2012), si sono confrontate tutte le componenti interessate, insieme a giuristi, scienziati ed esperti epidemiologi e clinici, dell'Università e del Sistema sanitario nazionale, per poter giungere a una proposta di piano operativo comprensivo delle linee di azione per le diverse problematiche identificate. Al termine della Conferenza è stato elaborato un Piano nazionale amianto, contenente la descrizione degli obiettivi e delle principali linee di attività che guideranno l'azione di tutti i soggetti coinvolti nella gestione della materia e che avrebbero dovuto consentire di ottenere rilevanti risultati in un arco temporale variabile tra i tre e i cinque anni successivi alla sua adozione;
    oltre a quelli sanitari, il problema dell'amianto coinvolge aspetti ambientali, economici e previdenziali;
    la legge 23 marzo 2001, n. 93, recante «Disposizioni in campo ambientale», ha disciplinato il finanziamento per la mappatura delle situazioni con presenza di amianto, all'esito della quale sono stati censiti oltre 34.000 siti contaminati da amianto, che potrebbero salire a 500 mila siti al termine della mappatura di tutte le regioni, e circa 80 siti con presenza di amianto di origine naturale;
    a distanza di venti anni dall'entrata in vigore della legge n. 257 del 1992, emerge che, sul territorio nazionale, sono ancora presenti complessivamente diversi milioni di tonnellate di materiali e beni contenenti amianto, di cui molte tonnellate di amianto friabile localizzate in siti a destinazione industriale e residenziale pubblici e privati;
    desta particolare allarme la presenza, in un numero elevato ma imprecisato di plessi scolastici, di materiali, anche datati, contenenti amianto;
    si rileva positivamente l'inclusione dei siti interessati da attività produttive ed estrattive di amianto tra i siti di interesse nazionale, operata dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, recante «Misure urgenti per la crescita del Paese»;
    tuttavia, secondo la mappatura degli impianti di smaltimento che accettano rifiuti contenenti amianto presentata dall'Inail-Dipia, è emerso che, a fronte degli elevati quantitativi di rifiuti contenenti amianto ancora da smaltire, sul territorio nazionale vi sia un'insufficienza di discariche per tale tipologia di rifiuti. Tale carenza è stata, altresì, confermata nel Piano nazionale amianto;
    sulla base dei dati pervenuti tramite le amministrazioni pubbliche, regionali e locali competenti in materia ed i soggetti proprietari/gestori delle discariche, al giugno 2013 sono stati identificati, su tutto il territorio nazionale, settantatré impianti, dei quali solo diciannove in funzione, ma totalmente assenti nelle regioni Calabria, Campania, Lazio, Molise, nella provincia autonoma di Trento, nelle regioni Sicilia, Umbria, Valle D'Aosta, Veneto e Lombardia;
    la ricerca condotta dall'Inail ha evidenziato che, sebbene le norme vigenti consentano la realizzazione di impianti di inertizzazione/recupero di tale tipologia di rifiuti, non vi è ancora nessun impianto attivo su scala nazionale per questo tipo di smaltimento;
    la legge 27 marzo 1992, n. 257, ha previsto disposizioni a sostegno dei lavoratori del settore, ma la normativa necessita di una revisione alla luce del corposo contenzioso esistente sia rispetto alle procedure per la valutazione dell'esposizione in luoghi di lavoro non più esistenti o non più riproducibili, sia in materia di risarcimento nei confronti sia delle vittime dirette dell'amianto che di quelle non correlate ad esposizione lavorativa all'amianto;
    la legge finanziaria per il 2008 ha istituito un fondo per i lavoratori e, in caso di premorte, in favore degli eredi, destinatari di rendita Inail per aver contratto patologie professionali asbesto-correlate per l'esposizione all'amianto. Tale fondo è finanziato per tre quarti dallo Stato e per un quarto dalle aziende attraverso un'addizionale sui premi;
    si rimarca il fatto che il presupposto per aver diritto al beneficio garantito dal fondo è il godimento di una rendita Inail, con esclusione di ogni altra ipotesi. Rimangono, dunque, esclusi dal beneficio soggetti non assicurati, coloro ai quali l`Inail non ha riconosciuto la patologia come malattia professionale, coloro ai quali l'Inail ha erogato una prestazione diversa dalla rendita (prestazione in capitale) e, ancora, i soggetti ai quali l'Inail non ha indennizzato la prestazione, perché con grado di inabilità inferiore al 16 per cento,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative volte a:
    a) dare concreta attuazione al Piano nazionale amianto;
    b) adeguare la normativa applicativa del Fondo per le vittime dell'amianto, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo attualmente discriminatoria, poiché non prevede alcun risarcimento per le vittime che non rientrano nella casistica vigente, nonché prevedere risorse aggiuntive a quelle attualmente stanziate con la legge di stabilità;
    c) monitorare il rispetto dei divieti di commercializzazione e riutilizzo di prodotti contenenti amianto;
    d) promuovere la ricerca su nuove tecniche per lo smaltimento dell'amianto, che assicurino un miglior rapporto costi-efficacia rispetto agli attuali metodi;
    e) sostenere campagne di informazione sul rischio dell'amianto, soprattutto nei luoghi di lavoro, e sulle possibili conseguenze della presenza di amianto dal punto di vista ambientale e sanitario;
    f) completare la mappatura dell'amianto sul territorio nazionale, adoperandosi presso le regioni inadempienti, e attivare idonei interventi di messa in sicurezza e bonifica, a partire dagli edifici scolastici, al fine di garantire la prevenzione nei confronti della popolazione più giovane;
    g) prevedere a tal fine risorse certe e adeguate, anche attraverso misure fiscali agevolative ed incentivanti lo smantellamento e la bonifica dei materiali di amianto;
    h) considerare l'opportunità di escludere i fondi destinati alla bonifica dell'amianto dal calcolo utile ai fini del rispetto del patto di stabilità;
    i) favorire la realizzazione di nuovi siti per il conferimento e lo smaltimento su tutto il territorio e, soprattutto, nelle regioni in cui sono completamente assenti, anche mediante l'impiego di cave e miniere dismesse;
    l) procedere ad un'armonizzazione e semplificazione delle disposizioni in materia attraverso l'elaborazione di un testo unico in materia.
(1-00485)
«De Mita, Dellai, Cera, Binetti, Gigli, Santerini, Sberna».
(9 giugno 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    è ormai noto che l'amianto è una delle sostanze più devastanti nella storia moderna del mondo del lavoro, non solo per l'Italia e per l'Europa, ma anche per gli altri Paesi del mondo, visto l'utilizzo massiccio che ne è stato fatto;
    grazie alle sue caratteristiche organolettiche, infatti, quali l'assenza di infiammabilità, l'elevata resistenza al calore e la flessibilità, ne è stato fatto un largo uso sia nel settore industriale che in quello dell'edilizia;
    la sua natura fibrosa è alla base delle proprietà tecnologiche, ma, allo stesso tempo, è anche la causa principale della sua nocività, provocando nell'essere umano gravi patologie a carico prevalentemente dell'apparato respiratorio;
    la pericolosità, in particolare, deriva dalla capacità dei materiali di amianto di rilasciare fibre potenzialmente inalabili, nonché dell'estrema suddivisione a cui tali fibre possono giungere. Tale composizione, all'origine delle molteplici applicazioni di questo minerale, è, quindi, anche il suo punto critico per la salute umana perché è in grado di scomporsi in fibre di diametro infinitesimale e facilmente respirabile;
    già nel 1962 la Commissione europea aveva rivolto ai suoi sei Stati membri (Italia, Germania, Francia, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi) una raccomandazione accompagnata dall'elenco delle malattie professionali e di tutti i rischi derivanti dall'esposizione all'amianto, ma solo nel 2005 è entrata in vigore la disposizione che ne vietava totalmente l'uso in Europa;
    l'Italia è stata uno dei maggiori produttori ed utilizzatori di amianto fino alla fine degli anni Ottanta, seconda solo all'Unione Sovietica. Ma è stata anche una delle prime nazioni a dotarsi di una normativa di contrasto. Le prime disposizioni che regolamentano l'uso dell'amianto risalgono al 1986, con l'ordinanza del Ministero della sanità del 26 giugno 1986 che, in recepimento della direttiva europea 83/478/CEE, limitava l'immissione nel mercato; ma è nel 1992, con la legge n. 257, che l'Italia mette al bando tutti i prodotti contenenti amianto, vietando l'estrazione, l'importazione, la commercializzazione e la produzione di amianto e di prodotti contenenti amianto, secondo un programma di dismissione il cui termine ultimo fu fissato al 28 aprile 1994;
    la legge n. 257 del 1992, in particolare, ha regolamentato il processo di dismissione, definendo i criteri per il finanziamento delle imprese interessate alla riconversione produttiva e per i benefici previdenziali a favore dei lavoratori occupati nella produzione dell'amianto. Successivamente, la legge n. 271 del 1993 ha esteso tali benefici a tutti i lavoratori professionalmente esposti ad amianto;
    la norma citata non si limita a prescrivere la cessazione dell'impiego dell'amianto, ma cerca di prendere in esame la complessa tematica dell'amianto nella sua interezza, mettendo in evidenza alcuni problemi considerati particolarmente rilevanti ai fini della tutela della salute pubblica, connessi alla presenza nell'ambiente di prodotti di amianto liberamente commercializzati ed installati in precedenza;
    sono previste, a tal fine, disposizioni specifiche per il controllo delle imprese impegnate nelle attività di lavorazione, manutenzione, bonifica e smaltimento dell'amianto che annualmente devono inviare una relazione tecnica alle regioni e alle asl, secondo il modello stabilito da una circolare del ministero dell'industria del 1993, nonché l'emanazione di disciplinari tecnici per gli interventi di bonifica. Viene introdotto l'obbligo per coloro che operano nel settore dello smaltimento e della rimozione dell'amianto di iscriversi a una speciale sezione dell'albo delle imprese esercenti servizi di smaltimento dei rifiuti;
    proprio in Italia, inoltre, è stata pronunciata quella che si potrebbe definire, agli occhi non solo del nostro Paese ma di tutto il mondo, una sentenza storica, emessa dal tribunale di Torino, prima sezione penale, che, il 13 febbraio 2012, ha condannato la multinazionale svizzera Eternit ed i suoi vertici per disastro ambientale, pronuncia recentemente confermata dalla corte d'appello che, concludendosi con una condanna più pesante di quella inflitta in primo grado, non lascia dubbi sulla pericolosità della fibra killer;
    nonostante la bontà della norma e l'impegno della giurisprudenza, nonostante il fatto che l'uso dell'amianto sia stato completamente bandito nel 1992, il nostro Paese sopporta ancora oggi le conseguenze dei livelli di esposizione soprattutto, a causa dei ritardi sui programmi per la dismissione dell'attività estrattiva dell'amianto e sulle relative attività di bonifica, peraltro molto esose, che comportano una casistica ancora allarmante sul numero di casi di esposizione al letale materiale;
    anche dopo la cessazione delle lavorazioni, resta, infatti, da gestire la presenza di grandi e diffuse quantità di materiali contenenti amianto in matrice friabile, negli edifici civili e industriali, negli impianti e nei mezzi di trasporto (in particolare, in quelli navali), e altrettanto rilevanti presenze di materiali contenenti amianto in matrice compatta, il cui progressivo deterioramento, anche semplicemente dovuto alla vetustà del materiale, può essere causa di rilascio di fibre e di conseguente rischio;
    oltre alla gestione di questa calamità sotto l'aspetto ambientale, è altrettanto necessario valutarne e gestirne la casistica e gli effetti sotto gli aspetti della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. Le prime e principali vittime dell'amianto sono state, e continuano ad esserlo, le maestranze esposte a causa della manipolazione delle fibre nell'attività estrattiva, nell'uso dell'amianto grezzo, nella produzione di prodotti e materiali in amianto e nella manutenzione degli impianti e delle strutture edili;
    con la legge finanziaria per il 2008, è stato istituito un Fondo per le vittime dell'amianto presso l'Inail, divenuto operativo nel gennaio 2011. Il Fondo per le vittime dell'amianto eroga una prestazione economica per il sostegno dei lavoratori affetti da una patologia asbesto-correlata o dei loro superstiti ed è finanziato per un quarto dalle imprese e per tre quarti dal bilancio dello Stato, per complessivi 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e 29,3 milioni di euro a decorrere dal 2010;
    per gli anni a regime decorrenti dal 2011, il regolamento del Fondo per le vittime dell'amianto non fissa la misura della prestazione aggiuntiva, ma ne definisce le modalità di calcolo e di erogazione, mediante due acconti e un conguaglio: la misura del primo acconto è fissata in una percentuale pari al 10 per cento della rendita percepita e il relativo importo è erogato mensilmente contestualmente al rateo della rendita stessa, secondo le ordinarie modalità di pagamento dell'Inail, previo trasferimento delle risorse finanziarie provenienti dal bilancio dello Stato. Il secondo acconto è corrisposto in un'unica soluzione entro il 30 giugno dell'anno successivo a quello di riferimento. La misura percentuale del secondo acconto è calcolata sulla base del rapporto tra le risorse provenienti dal bilancio dello Stato e le spese sostenute per le rendite erogate nell'anno di riferimento ai beneficiari del Fondo per le vittime dell'amianto, tenuto conto del primo acconto corrisposto;
    le assegnazioni, regolarmente erogate per il 2012, appaiono di maggiore difficoltà a partire dal 2013, posto che non sono stati previsti ancora i trasferimenti dal bilancio statale e risultano in giacenza circa 30 milioni di euro, non sufficienti per assicurare la copertura a tutta la platea dei beneficiari;
    inoltre, è ben noto che l'amianto ha rappresentato un rischio, oltre che per i lavoratori, anche per i loro familiari, che potevano respirare le fibre portate a casa, ad esempio con gli abiti da lavoro. Infine, è riconosciuto un rischio di mesotelioma anche a seguito di esposizione ad amianto di natura ambientale sia antropica (per la residenza nei pressi di industrie o di siti con importanti inquinamenti ambientali e per il riutilizzo del materiale di scarto), sia in particolari aree dove sono presenti affioramenti naturali di minerali fibrosi. In queste ultime condizioni è stato rilevato anche un incremento delle patologie pleuriche benigne;
    non è un caso, infatti, che nella casistica del Registro nazionale dei mesoteliomi (Renam) circa l'8-10 per cento dei casi per i quali sono state ricostruite le cause pregresse di esposizione è risultato essere per motivi ambientali (la residenza) o per motivi familiari (la convivenza con familiari professionalmente esposti);
    le erogazioni previste dal Fondo per le vittime dell'amianto non sono estese anche a tutti quei cittadini che non hanno copertura assicurativa professionale obbligatoria dei lavoratori ma che, per motivi ambientali, si sono trovati ad alto rischio espositivo;
    il rischio non si è attenuato, ed è ancora ad alti livelli d'allarme, se si considerano, inoltre, i manufatti contenenti amianto, di cui non fosse nota la presenza, provenienti da Paesi dove esso non è stato ancora bandito;
    lo stato dell'arte sulle conoscenze scientifiche sui rischi da amianto e sulle possibilità di diagnosi e terapia, nonché sui meccanismi di tutela assicurativa e prevenzionistica in Italia, è stato esaminato nella II Conferenza governativa sulle patologie asbesto-correlate, organizzata ai sensi della citata legge n. 257 del 1992 (Venezia, 22-24 novembre 2012), dove si sono confrontate tutte le componenti interessate, insieme a giuristi, scienziati ed esperti epidemiologi e clinici, dell'Università e del Servizio sanitario nazionale, per poter giungere a una proposta di piano operativo comprensivo delle linee di azione per le diverse problematiche identificate;
    procura fondato allarme sociale, inoltre, lo studio recentemente pubblicato dal Censis sullo stato di salute delle scuole dei figli, secondo il quale In Italia ci sono 2.000 scuole «che espongono i loro 342.000 alunni e studenti al rischio amianto». Degli oltre 41.000 edifici scolastici statali, il Censis stima in 24.000 gli impianti (elettrici, idraulici e termici) che non funzionano, sono insufficienti o non sono a norma. Sono 9.000 le strutture con gli intonaci a pezzi. In 7.200 edifici occorrerebbe rifare tetti e coperture: interventi sulle strutture portanti;
    la recente assegnazione del 95,7 per cento dei 150 milioni di euro stanziati con il cosiddetto decreto del fare del Governo Letta, per l'avvio immediato di 603 progetti di edilizia scolastica, rappresenta poca cosa rispetto alla necessità di mettere in sicurezza tutta la platea degli edifici scolastici, tanto è che, sulla base delle risorse stanziate e dei ritardi di spesa accumulati, alla fine del 2013, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti stimava in 110 anni il tempo necessario per mettere in sicurezza tutti gli edifici scolastici italiani;
    nel corso della citata conferenza del 2012, è stato definito il primo Piano nazionale amianto, ma, a distanza di anni, è ancora in attesa del vaglio della Conferenza Stato-regioni. Di fatto, ciò comporta un notevole ritardo nelle procedure di censimento, bonifica e smaltimento dei materiali contaminati;
    è dovere del Governo attivarsi a tutti i livelli per monitorare le questioni ancora insolute, a tutela dei lavoratori lesi, delle famiglie delle vittime e di tutti i soggetti danneggiati dal mancato rispetto delle norme sulla sicurezza dei lavoratori e dei luoghi di lavoro,

impegna il Governo:

   ad attivarsi, raccordandosi con le regioni, per una rapida conclusione del programma dettagliato di censimento, bonifica e smaltimento dei materiali contaminati, adoperandosi altresì presso le regioni per una celere adozione dei piani regionali volti al censimento delle imprese che hanno utilizzato l'amianto nelle attività produttive e delle imprese operanti nel settore delle attività di smaltimento e bonifica, nonché volti al censimento degli edifici con presenza di amianto friabile, con priorità per gli edifici pubblici, i locali aperti al pubblico o di utilizzazione collettiva;
   ad assumere ogni iniziativa normativa volta ad incrementare il Fondo per le vittime dell'amianto, estendendone i benefici e la copertura pensionistica anche ai cittadini colpiti da patologie asbesto-correlate non direttamente impiegati nella manifattura del materiale;
   ad assumere iniziative volte ad escludere dal saldo finanziario, rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno, le spese relative alla messa in sicurezza e bonifica dell'amianto;
   a promuovere il potenziamento della ricerca e della sorveglianza epidemiologica a livello nazionale ed internazionale, adoperandosi anche nelle sedi decisionali dell'Unione europea affinché, già a partire dal semestre di Presidenza italiana, nell'ambito dell'attuazione della direttiva 2011/24/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2011, concernente l'applicazione dei diritti relativi all'assistenza transfrontaliera, secondo quanto stabilito dall'articolo 12, paragrafo 2, lettera e), venga creata una rete di ricerca e prevenzione degli Stati membri.
(1-00486)
«Palese, Polverini, Calabria, Mottola, Fucci».
(9 giugno 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    l'amianto è sostanza particolarmente insidiosa perché può provocare due diverse malattie: l'asbestosi, frutto dell'accumulo nell'organismo di fibre del materiale, altamente invalidante, ed il mesotelioma pleurico, tumore maligno per la cui insorgenza, anche a distanza di decenni dall'esposizione, è sufficiente l'azione addirittura di pochissime fibre;
    l'uso massiccio di amianto negli anni Sessanta-Settanta nell'industria e nell'edilizia e la conseguente esposizione alla fibra ha fatto registrare nel nostro Paese, nel periodo 1988-1997, 9094 morti per tumore maligno della pleura (5942 uomini, 3152 donne);
    la pericolosità dell'amianto, infatti, investe non soltanto l'ambiente di lavoro ed i soggetti ivi occupati, bensì anche il territorio, considerato che, nelle città ove sono ubicati stabilimenti contenenti amianto, i tassi di mortalità per malattie causate da tale fibra si sono rivelati, nel tempo, sedici volte superiori alla media, restando coinvolti non solo i lavoratori direttamente esposti, ma anche le famiglie che hanno respirato le fibre portate a casa con gli abiti da lavoro e i cittadini che si sono ritrovati ad inalare le fibre aerodisperse nell'ambiente;
    con il riconoscimento, dunque, che l'esposizione all'amianto è altamente nociva per la salute dell'uomo e dell'ambiente, la legge 27 marzo 1992, n. 257, ha disciplinato la cessazione dell'impiego di amianto nelle attività produttive di qualsiasi tipo, vietandone in Italia l'estrazione, il commercio, l'importazione ed esportazione di amianto e/o materiali contenti amianto;
    il problema attualmente consiste nella significativa presenza di prodotti in amianto installati o costruiti in passato ed ancora presenti negli ambienti di vita e di lavoro;
    il nostro Paese è, purtroppo, indietro con le opere di rimozione e bonifica: il Consiglio nazionale delle ricerche ha quantificato in 32 milioni le tonnellate di cemento-amianto da bonificare in relazione a 2,5 miliardi di metri quadri di copertura in cemento-amianto presenti sul territorio italiano;
    a creare intoppi nei piani di bonifica sono la mancanza di puntuali e completi censimenti regionali dei siti contenenti amianto, l'insufficienza ed inadeguatezza di discariche specializzate sul territorio nazionale e gli elevati costi di smaltimento;
    la legge finanziaria per il 2008 aveva istituito il «Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici», con uno stanziamento iniziale di 5 milioni di euro per il 2008, per finanziare gli interventi diretti ad eliminare i rischi per la salute pubblica, riconoscendo priorità alla messa in sicurezza degli edifici scolastici, sanitari, caserme ed uffici aperti al pubblico;
    per quanto riguarda la tutela delle vittime dell'amianto, i benefici previdenziali sono riconosciuti ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 257 del 1992 e dell'articolo 47 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003; il decreto ministeriale 27 ottobre 2004, emanato in attuazione dell'articolo 47 del citato decreto-legge n. 269 del 2003, ha incluso la categoria dei marittimi tra gli aventi il diritto alla concessione dei benefici previdenziali;
    i marittimi, tuttavia, non sempre riescono a beneficiare delle tutele legislative per esposizione all'amianto a causa dell'atipicità del loro lavoro (luogo e rapporto diverso negli anni, residenza diversa dal compartimento marittimo in cui è iscritta la società marittima, cambio di bandiera e demolizione della nave), che rende oggettivamente impossibile avere un curriculum lavorativo con dichiarazione dell'impresa;
    una prestazione aggiuntiva per le vittime dell'amianto che hanno contratto patologie asbesto-correlate e per esposizione alla fibra «fiberfrax» e, in caso di premorte del lavoratore, in favore degli eredi è erogata dal Fondo per le vittime dell'amianto istituito presso l'Inail. Il finanziamento di tale Fondo è per un quarto a carico delle imprese e per tre quarti a carico del bilancio dello Stato;
    con decreto ministeriale 12 gennaio 20111, n. 30, è stato emanato il regolamento del Fondo per le vittime dell'amianto, che prevede l'erogazione della prestazione in due acconti ed un conguaglio (articolo 2, comma 2) e fissa la prestazione (articolo 2, comma 5) nella misura del 20 per cento della rendita per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e del 15 per cento per il 2010. A decorrere dal 2011, il regolamento non stabilisce la misura della prestazione aggiuntiva, ma ne definisce il sistema di calcolo, secondo modalità decrescenti, dal 18,1 conteggiato per il 2011 all'8,3 stimato per il 2022;
    per il 2012 la platea degli aventi diritto è di 17.501; le assegnazioni sono state regolari sino alle somme spettanti per il 2012 ed erogate nel giugno 2013; nel 2013 però sono mancati i previsti trasferimenti dal bilancio dello Stato;
    i 31 milioni di euro al momento in giacenza presso il Fondo per le vittime dell'amianto risultano insufficienti ad assicurare le prestazioni future;
    secondo l'associazione Ona onlus – Osservatorio nazionale amianto, a 20 anni dalla messa al bando sono 5 mila i decessi ogni anno causati dall'amianto e si prevede un aumento delle malattie dell'85 per cento entro il 2025,

impegna il Governo:

   ad accelerare le operazioni di bonifica e smaltimento dell'amianto negli edifici pubblici, individuando come prioritari gli edifici scolastici e le strutture sanitarie;
   ad assumere iniziative per prevedere l'esclusione dai saldi di finanza pubblica, relativi al rispetto del patto di stabilità interno, delle spese per la bonifica dell'amianto;
   ad adottare le opportune iniziative per la messa a regime delle detrazioni fiscali attualmente previste per gli interventi di bonifica dall'amianto compiuti da privati;
   ad assumere iniziative per incrementare le dotazioni del Fondo per le vittime dell'amianto e del Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici senza ricorrere a nuova ed ulteriore tassazione per le imprese e per i cittadini;
   ad emanare atti di propria competenza che riconoscano valido, in sostituzione del curriculum lavorativo, l'estratto matricolare mercantile o la fotocopia autenticata del libretto di navigazione quale documento probante l'esposizione all'amianto da parte del lavoratore marittimo.
(1-00488)
«Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».
(9 giugno 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    l'amianto è stato utilizzato fino agli anni Ottanta prioritariamente nella coibentazione di edifici, tetti, navi e treni e come materiale da costruzione per l'edilizia, utilizzato per fabbricare tegole, pavimenti, tubazioni, vernici o canne fumarie, a causa dell'eccezionale resistenza al calore della fibra, che ne favorì una massiccia diffusione;
    in seguito all'individuazione dell'amianto come sostanza altamente nociva e cancerogena, all'inizio degli anni Novanta la legge 27 marzo 1992, n. 257, ne ha proibito l'estrazione, la lavorazione e la commercializzazione;
    in Italia sono oltre quattromila le vittime dell'esposizione alla pericolosa fibra e nei prossimi decenni, stante il lungo periodo di latenza del mesotelioma, è previsto un forte incremento dei decessi provocati dall'amianto, che raggiungerà l'apice tra il 2015 e il 2025;
    nel marzo del 2013 il Ministero della salute ha emanato il Piano nazionale amianto, contenente le «Linee di intervento per un'azione coordinata delle Amministrazioni statali e territoriali», scaturito dalla conferenza nazionale sull'amianto promossa dal Governo nel novembre 2012;
    il Piano nazionale amianto prevede interventi integrati sotto i tre profili sanitario, ambientale e previdenziale, ma attualmente risulta essere inattuato per mancanza di copertura finanziaria;
    tra le azioni previste dal Piano nazionale amianto figurano il completamento della mappatura e del risk assessment dell'amianto del territorio italiano e l'identificazione delle zone con maggior rischio ambientale, degli incentivi per la rimozione delle coperture in eternit e la sostituzione con pannelli fotovoltaici, che, con un investimento di circa venti milioni di euro, consentirebbe la bonifica di oltre dieci milioni di metri quadri e l'individuazione di nuovi siti di smaltimento per rifiuti pericolosi, dato il numero nazionale insufficiente che comporta il conferimento dell'amianto all'estero, determinando un notevole aumento dei costi;
    il Piano nazionale amianto riconosce, altresì, una priorità d'intervento in favore della bonifica degli edifici scolastici, all'interno di molti dei quali si rinvengono ancora strutture contenenti amianto, affinché la bonifica degli stessi sia completata in un arco temporale compreso tra tre e massimo cinque anni;
    in base al Piano nazionale amianto, solo nella classe di rischio più elevata (la numero 1) sarebbero stati rilevati ancora ben 380 siti inquinati e il censimento non è ancora completo, mentre le stime parlano di oltre trentadue milioni di tonnellate di amianto ancora sparse in tutto il territorio nazionale;
    mentre le bonifiche vanno a rilento, e in tutto il Paese aumentano le discariche abusive, che mettono ulteriormente a rischio la salute della popolazione, nulla è stato fatto sul fronte del risanamento ambientale e dello smaltimento dei materiali contenenti amianto, dell'avvio di un'efficace sorveglianza sanitaria ed epidemiologica per gli esposti e della garanzia di risarcimento per le vittime;
    dopo oltre vent'anni dall'entrata in vigore della legge n. 257 del 1992, l'Italia è drammaticamente in ritardo rispetto a quello che si sarebbe potuto e dovuto fare per arginare l'emergenza sanitaria provocata dall'esposizione all'amianto;
    la legge n. 257 del 1992, oltre a stabilire termini e procedure per la dismissione delle attività inerenti all'estrazione e la lavorazione dell'asbesto, ha previsto le prime disposizioni in favore dei lavoratori esposti all'amianto, introducendo diversi benefici per gli stessi, consistenti sostanzialmente in una rivalutazione contributiva del 50 per cento ai fini pensionistici dei periodi lavorativi comportanti un'esposizione al minerale nocivo;
    in particolare, tale beneficio è stato previsto: per i lavoratori di cave e miniere di amianto, a prescindere dalla durata dell'esposizione, per i lavoratori che abbiano contratto una malattia professionale asbesto-correlata, in riferimento al periodo di comprovata esposizione, e per tutti i lavoratori che siano stati esposti per un periodo superiore ai 10 anni;
    i danni derivanti dall'esposizione all'amianto, tuttavia, hanno colpito anche lavoratori molto giovani che non avevano ancora maturato il citato requisito di dieci anni di esposizione, ma sui quali i danni sono ancora peggior perché questi sono in parte stati resi inabili al lavoro al contempo rimanendo esclusi dai benefici per l'accesso pensionistico previsti dalla citata legge;
    sarebbe opportuno valutare l'introduzione di un criterio che permetta di calcolare il requisito temporale dell'esposizione all'amianto differentemente a seconda dell'età del lavoratore;
    inoltre, è stato certificato da numerose indagini sanitarie che il danno non cessa con l'esposizione alla sostanza;
    con la legge finanziaria per il 2008 è stato istituito presso l'Inail un Fondo per le vittime dell'amianto, «in favore di tutte le vittime che hanno contratto patologie asbesto-correlate per esposizione all'amianto e alla fibra «fiberfrax», e in caso di premorte in favore degli eredi», il cui meccanismo di erogazione è stato configurato come una prestazione aggiuntiva in favore di coloro che siano già titolari di una rendita Inail;
    in relazione alle responsabilità imputabili alle aziende di produzione e lavorazione dell'amianto, nel giugno del 2013 è intervenuta l'importante sentenza di condanna dei vertici dell'azienda Eternit, rinviati a giudizio per i reati di disastro ambientale doloso e di omissione volontaria di cautele antinfortunistiche, con la quale è stato anche disposto il risarcimento di centinaia di parti civili, ammalati di mesotelioma e di altre patologie connesse, e di parenti delle vittime;
    tuttavia, sono migliaia i lavoratori dell'amianto che ancora sono costretti a battersi nelle aule giudiziarie per vedersi riconosciuti il risarcimento dei danni ad essi provocati dall'esposizione all'amianto, tanto che la onlus Osservatorio nazionale amianto nel mese di maggio 2014 ha annunciato la sua intenzione di presentare un ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo per i mancati riconoscimenti dei benefici contributivi e della sorveglianza sanitaria specifica per gli ex esposti, in Italia, nonché di un'istanza di infrazione a carico della Repubblica italiana in ordine alle mancate bonifiche, alla mancata attuazione del Piano nazionale amianto e alla sua contrarietà ad alcune normative comunitarie,

impegna il Governo:

   a valutare l'adozione delle opportune iniziative normative sia al fine dell'introduzione di un criterio di riequilibrio rispetto al mero requisito temporale per il riconoscimento dei benefici previsti dalla legge n. 257 del 1992, prevedendo che esso sia legato all'età anagrafica del lavoratore, sia al fine di garantire il risarcimento del danno in favore dei soggetti contaminati;
   a promuovere l'immediato avvio alle opere di bonifica ambientale, sia con riguardo ai grandi siti industriali inseriti nel programma nazionale di bonifica, sia con riguardo alle emergenze locali riguardanti la presenza di amianto in edifici e strutture pubbliche, dando priorità agli edifici scolastici ed alle strutture ospedaliere;
   a finanziare in maniera adeguata il Piano nazionale amianto, affinché si possano tempestivamente realizzare tutti gli interventi in esso previsti, a partire dai censimenti, fino alle operazioni di bonifica dei siti, assumendo iniziative per il ripristino degli incentivi per la sostituzione delle coperture in cemento-amianto con il fotovoltaico, al fine di agevolare ed accelerare la bonifica anche dei siti privati;
   a valutare la realizzazione di un'impiantistica di trattamento e smaltimento a supporto delle operazioni di bonifica, al fine di ridurre i costi connessi a tali operazioni;
   ad operare, attraverso il Sistema sanitario nazionale, per realizzare un sistema di sorveglianza sanitaria dei lavoratori che sono stati esposti ad amianto e la contestuale raccolta di dati sanitari ed amministrativi da strutture ospedaliere ed Inail relativamente alle patologie correlate all'amianto;
   a promuovere campagne di informazione sui rischi per la salute derivanti dall'esposizione alle fibre di amianto e sul comportamento da adottare in presenza di strutture contaminate in ambienti domestici, scolastici o presso i luoghi di lavoro.
(1-00492)
«Taglialatela, Giorgia Meloni, Rampelli».
(9 giugno 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    la lotta all'amianto rappresenta una priorità nella tutela sanitaria ed ambientale, nonostante i notevoli progressi che dalla legge sul divieto di produzione, commercio e utilizzazione del 1992 al piano nazionale amianto del 2013 il nostro Paese ha compiuto in termini: di esclusione delle fibre di asbesto dal circuito produttivo e commerciale; di predisposizione di un sistema di protezione previdenziale per i lavoratori esposti e le altre vittime delle patologie amianto-correlate; di sviluppo di un sistema di prevenzione sanitaria ed ambientale rispetto all'esposizione al rischio, di ricerca rispetto alla correlazione di determinate patologie con l'esposizione all'asbesto, di perseguimento dei reati per anni scientemente perpetrati dalle industrie del settore, di acquisizione alla conoscenza e all'opinione comune della gravità del problema;
    questa lotta resta prioritaria proprio in quanto tali progressi ancora non hanno consentito: un'adeguata risposta previdenziale alle vittime dell'amianto e ai rispettivi familiari, una soddisfacente mappatura della presenza di amianto sul territorio nazionale a fronte della sua enorme diffusione stimata intorno ai 40 milioni di tonnellate, l'esecuzione di operazioni di bonifica significative rispetto all'imponente dimensione della predetta diffusione, l'individuazione di cure efficaci nei confronti delle malattie asbesto-correlate, il cui picco è previsto nei prossimi cinque/dieci anni e il cui esito resta tristemente infausto nonostante gli sviluppi della ricerca sanitaria di settore, la creazione di una consapevolezza capillare e di una conoscenza adeguata nella popolazione circa la vasta presenza delle fibre nelle strutture civili e l'urgenza degli interventi di bonifica, il bando totale dei materiali contenenti amianto dal mercato internazionale, in considerazione del fatto che in molti Paesi del mondo le fibre di amianto vengono ancora prodotte, commerciate e impiegate largamente, in spregio a tutte le evidenze scientifiche relative alla sua estrema nocività;
    il problema dell'amianto necessita di una soglia di attenzione sempre elevata e costante da parte delle istituzioni, la quale è presupposto necessario perché la predetta lotta prosegua efficacemente;
    gli anni più vicini hanno dimostrato che questa maggiore attenzione, ad esempio a seguito delle vicende processuali riguardanti alcuni territori e comunità tristemente ferite dall'amianto (come il processo Eternit svoltosi presso l'autorità giudiziaria torinese e riguardante i reati compiuti dall'omonimo gruppo industriale in alcune località piemontesi, tra le quali la città di Casale Monferrato), consente importanti accelerazioni lungo la via dei progressi che poc'anzi si richiamavano, ad iniziare dalla conferenza intergovernativa promossa dal Governo Monti nel novembre 2012 su iniziativa dei Ministeri della salute, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del lavoro e delle politiche sociali, poi sfociata nell'approvazione da parte del Consiglio dei ministri, nel marzo 2013, di quel piano nazionale amianto che ancor oggi – costituendo tale ritardo un nervo scoperto nell'impegno collettivo per questa emergenza – attende la deliberazione definitiva da parte della Conferenza Stato-regioni;
    la strategia e le azioni concretamente esperibili sono oggi chiaramente indicate nel predetto piano nazionale e il Paese trarrebbe grave pregiudizio nell'ignorare l'esistenza di questo prezioso strumento;
    vista la perdurante mancata adozione in Conferenza, l'attuazione del piano è ad oggi in corso per la sola parte sanitaria, grazie alle coperture finanziarie trovate e alle scelte d'intervento compiute a suo tempo dal dicastero competente, mentre resta sostanzialmente ferma per quanto riguarda le aree ambientale e previdenziale;
    questo stallo è inaccettabile e rischia di compromettere gli sforzi compiuti negli ultimi anni per fare un salto di qualità nella lotta all'amianto; esso deve essere superato a partire dalla soluzione dei problemi di finanziamento concernenti le aree ambientale e previdenziale, per il quale i due Ministeri competenti devono riassumere nella propria agenda gli impegni presi all'interno del piano e riprendere la necessaria interlocuzione con il Ministero dell'economia e delle finanze. Inoltre, è altresì opportuno che i risultati parziali finora faticosamente raggiunti nell'area sanitaria non restino privi di supporto. E a questo riguardo è bene sottolineare l'esigenza di risorse certe e stabili, sia sul versante della prevenzione sia della ricerca sanitaria. Sotto il primo profilo, è opportuno che le azioni avviate dal Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm) in materia di amianto, specie con riferimento alla sorveglianza, trovino adeguato sostegno finanziario; se questo fatica ad essere individuato all'interno della dotazione finanziaria attualmente prevista, ridotta di circa quattro milioni di euro nelle recenti manovre, è doveroso che venga trovato attraverso il ripristino di tali decurtate risorse, eventualmente anche in forma di un parziale rifinanziamento finalizzato alle attività in questione. Sotto il secondo profilo, un decisivo passo in avanti nella ricerca di soluzioni cliniche, ad oggi assenti, per le patologie asbesto-correlate deve essere costituito dalla creazione di una cabina di regia a livello nazionale, a partire dalla collaborazione tra Ministero della salute, Istituto superiore di sanità e Agenzia italiana del farmaco, che si faccia carico del coordinamento interregionale di una rete tra i centri di ricerca, la quale, in collaborazione con gli operatori industriali del settore, consenta lo sviluppo di una serie significativa di studi clinici sul mesotelioma pleurico maligno e su altre patologie correlate, sulle quali concentrare sforzi ad oggi eccessivamente dispersi sul territorio nazionale; il che darebbe la possibilità di stabilire, con la necessaria serietà di valutazione, la dotazione finanziaria sufficiente per questo salto di qualità nei predetti studi clinici, orientando con maggiore efficienza le risorse già stanziate e quelle ulteriormente reperibili;
    peraltro, alcune risposte puntuali possono e devono, anche in costanza dell'inattuazione del piano, trovare immediato seguito, e tra queste: il ripristino della copertura e dell'operatività del fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici, istituito su iniziativa del Governo Prodi con la legge n. 244 del 2007 e poi azzerato l'anno successivo dal Governo Berlusconi; l'assicurazione di risorse sufficienti e l'implementazione del meccanismo di erogazione relativi al fondo per le vittime dell'amianto, istituito dalla medesima legge del 2007 e che dalla metà del 2013 è rimasto privo dei trasferimenti statali necessari a garantirne l'operatività; un efficiente impiego delle risorse stanziate (a seguito dell'approvazione dell'emendamento 0.18.158.1, a prima firma Balduzzi, all'atto Camera 1238) dall'articolo 18 del decreto-legge n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 2013 (cosiddetto «decreto del fare») per la bonifica delle strutture scolastiche in cui è stata censita la presenza di amianto (che, secondo i recenti dati forniti dal Censis, ammontano a circa duemila edifici);
    è necessario rinforzare le azioni propedeutiche alla bonifica degli edifici privati, vera sfida della lotta all'amianto nei luoghi vita, non solo attraverso puntuali ed efficaci interventi fiscali volti a incentivare la rimozione dei manufatti, ma anzitutto con una realistica strategia di comunicazione e informazione circa l'importanza di tale operazione, il cui esito dipende in larga parte dalla sensibilizzazione e dalla partecipazione dei cittadini; il che potrebbe, ad esempio, attuarsi se il Governo promuovesse una specifica e vasta intesa con le regioni, gli enti locali e le aziende sanitarie per coinvolgere le associazioni degli inquilini e dei proprietari di immobili, nonché quelle degli amministratori condominio, allo scopo di intercettare figure chiave per la disseminazione delle informazioni e la capillarizzazione degli interventi;
    il problema dell'amianto ha dimensioni globali e il nostro Paese si è distinto in sede internazionale per l'apporto positivo nell'implementazione degli accordi e delle azioni volte alla messa al bando dell'asbesto e nell'organizzazione di un sistema di regole e di controlli volti a monitorare la presenza di amianto nei manufatti nel mercato mondiale, anche allo scopo di salvaguardare la sicurezza delle merci importate. A questo riguardo, l'impegno del Governo italiano deve proseguire decisamente lungo il percorso europeo e internazionale, già segnato dall'importante risoluzione del Parlamento europeo del marzo 2013, per l'inclusione dell'amianto crisotilo tra le sostanze pericolose di cui alla Convenzione di Rotterdam (come richiesto peraltro da un appello finora inascoltato delle associazioni nazionali dei familiari e delle vittime, coordinate dall'italiana Afeva); inoltre, proprio alla luce delle resistenze internazionali sulla classificazione del crisotilo tra le sostanze pericolose e del conseguente utilizzo diffuso e più difficilmente monitorabile di tale categoria di amianto, tale impegno deve estendersi al rafforzamento dei controlli e della vigilanza sulle merci importate e a maggior rischio di presenza, più o meno occulta, di questo materiale,

impegna il Governo:

   ad adottare tutte le iniziative necessarie per sbloccare l'approvazione definitiva del piano nazionale amianto, assicurando le risorse necessarie per le aree del piano più problematiche e poi monitorando attentamente la sua implementazione;
   a supportare efficacemente le attività già in corso nell'area sanitaria del piano, in particolare:
    a) a valutare ogni soluzione per garantire un rifinanziamento della complessiva dotazione finanziaria del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie, attraverso il ripristino delle risorse, relativamente limitate nel quadro dei saldi di finanza pubblica, finora sottratte, almeno per una quota aggiuntiva finalizzata al sostegno delle attività del centro in materia di amianto;
    b) a promuovere una cabina di regia nazionale, secondo le caratteristiche dette in premessa, per il coordinamento degli studi clinici di settore, tale da coinvolgere significativamente gli operatori industriali, consentendo in ultima analisi un sufficiente finanziamento a tale programma di ricerca;
   a considerare quale priorità della propria azione le attività di bonifica degli edifici, assumendo iniziative per ripristinare il fondo nazionale per la bonifica degli edifici pubblici di cui alla legge n. 244 del 2007, nonché utilizzando efficacemente le risorse messe a disposizione dall'articolo 18 del decreto-legge n. 69 del 2013, relativamente agli interventi nelle strutture scolastiche;
   ad adottare iniziative per potenziare gli strumenti previdenziali a tutela dei lavoratori esposti e delle rispettive famiglie, anzitutto ripristinando l'operatività, compromessa a partire dalla metà del 2013, del fondo per le vittime istituito con la legge n. 244 del 2007;
   ad avviare, in coordinamento con le regioni, gli enti locali e le aziende sanitarie e in collaborazione con le associazioni degli inquilini, dei proprietari d'immobili e degli amministratori condominiali, una vasta campagna d'informazione e sensibilizzazione che agevoli l'incremento delle bonifiche presso gli edifici privati;
   a proseguire con determinazione l'impegno già assunto e portato innanzi in sede internazionale per la lotta alla produzione, al commercio e all'utilizzo delle fibre di asbesto, con particolare riferimento al riconoscimento del crisotilo quale sostanza nociva al pari delle altre tipologie di amianto, e per il rafforzamento del sistema dei controlli sulle importazioni di merci contenenti tale materiale ancora largamente in uso nei mercati emergenti.
(1-00494)
«Balduzzi, Antimo Cesaro, Matarrese, Vecchio, Molea, D'Agostino, Vargiu, Cimmino, Mazziotti Di Celso, Dambruoso, Tinagli, Monchiero, Oliaro, Rabino, Vitelli, Librandi, Vezzali, Capua, Causin, Sottanelli, Galgano, Bombassei, Catania».
(10 giugno 2014)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   DI LELLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in Campania non c’è soltanto il sito universale di Pompei, ma un patrimonio ricco di altri tesori straordinari della storia, dell'arte, della cultura. Dai monumenti del centro antico di Napoli alle meraviglie di Pozzuoli e dei Campi Flegrei; dalla grandeur della Reggia di Caserta all'imponente certosa di Padula; da Ercolano a Oplonti, alla suggestione degli itinerari di Velia-Paestum;
   è questo un patrimonio archeologico e culturale che rappresenta un capitale conosciuto e apprezzato in tutto il mondo, che oggi, però, attende interventi particolari di salvaguardia per non essere devastato dall'usura del tempo e difeso dai colpi della speculazione edilizia;
   come per la Reggia di Caserta, per l'oasi ritrovata di Carditello, per i musei e per le chiese affascinanti del centro storico di Napoli, è il momento di assicurare nuove risposte sul piano finanziario, organizzativo e gestionale, non più rinviabili per il completamento del recupero del mitico Rione Terra di Pozzuoli, dei parchi archeologici di Cuma e di Baia, dei tanti, innumerevoli siti a torto definiti minori dell'entroterra di Avellino e del Sannio, di Caserta, del Cilento;
   le difficoltà finanziarie che il Paese attraversa non giustificano l'atteggiamento di diffusa rinuncia a contrastare l'avvio verso il definitivo declino e la perdita di così immensi tesori, senza mettere in campo nemmeno le soluzioni più semplici che possono assicurare flussi di risorse da destinare alla loro conservazione, valorizzazione e fruizione;
   a questo riguardo risulta all'interrogante che il sito di Rione Terra a Pozzuoli non ha il concessionario per la biglietteria e per i servizi aggiuntivi destinati all'accoglienza;
   nel comprensorio dei Campi Flegrei insistono anche la Piscina Mirabilis e lo Stadio Antonino Pio, oggi inaccessibili per il medesimo motivo;
   la stessa Reggia di Carditello, oggetto di recente acquisizione da parte dello Stato, se si vorrà aprirla dovrà essere dotata del servizio di biglietteria e di tutti gli altri servizi destinati all'accoglienza che possono favorire lo sviluppo e la crescita del turismo;
   molti altri siti, ingiustamente definiti minori, soffrono dello stesso problema;
   va considerato, altresì, che il decreto-legge n. 83 del 2014, recante «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», in tema di attribuzione di maggiori livelli di autonomia scientifica, finanziaria e organizzativa agli «istituti e luoghi della cultura statali e agli uffici competenti su complessi di beni distinti da eccezionale valore archeologico, storico, artistico o architettonico (...)» può mettere tali istituti e uffici in condizione di adottare autonomamente le soluzioni più idonee per sanare le disfunzioni organizzative sopra richiamate, innescando, al contempo, l'attivazione di nuove e indispensabili risorse economiche –:
   cosa intenda fare per rendere fruibile l'immenso patrimonio storico, artistico e archeologico dei Campi Flegrei, della Reggia di Carditello e dei siti oggi inaccessibili, garantendo un futuro degno dell'importanza di questi beni culturali a partire dalla loro tutela e valorizzazione.
(3-00883)
(17 giugno 2014)

   NESCI, SILVIA GIORDANO, CECCONI, BARONI, DALL'OSSO, DI VITA, GRILLO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 32 della Costituzione sancisce che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti»;
   a decorrere dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014, l'articolo 81 della Costituzione dispone che «lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico»;
   a parere degli interroganti vi è una palese contraddizione, logica, giuridica e pratica, tra i sopra citati articoli della Costituzione, ciò perché il nuovo testo dell'articolo 81 appare limitare pesantemente la tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo, di cui all'articolo 32, il quale configura un obbligo preciso e forte in capo alla Repubblica, non limitabile per motivi di spesa o per altre esigenze esterne all’«individuo», normativamente inquadrato dalla fonte più alta dell'ordinamento;
   il «pareggio di bilancio» è ormai un obbligo, che tuttavia si pone in aperto contrasto con i doveri della Repubblica e con i diritti di rango costituzionale dei cittadini, sempre più sottoposti a tagli e tasse che, di fatto, comportano la perdita dei diritti costituzionali, in particolare quello alla salute;
   con il recente decreto-legge, n. 66 del 2014, il Governo ha assegnato a 10 milioni di italiani – la stima è apparsa sui principali giornali nazionali – un temporaneo contributo di 80 euro mensili;
   sul sito internet del Ministero della salute si legge della pubblicazione, nella Gazzetta Ufficiale del 24 aprile 2014, del suddetto decreto-legge, con norme che dispongono un bonus irpef fino a dicembre 2014 in busta paga per tutti i contribuenti con un reddito fino a 24 mila euro e dei «tagli alla spesa, dai ministeri agli enti locali»;
   sempre sul sito internet del Ministero della salute si legge – a proposito del richiamato provvedimento, circa il corrispondente taglio dei beni e servizi per un importo pari a 2,1 miliardi di euro per i restanti mesi del 2014, divisi in modo paritario tra Stato, regioni ed enti locali – che «il Ministro della salute Beatrice Lorenzin ha assicurato che non saranno toccati i servizi sanitari ai cittadini, ma solo quei beni e servizi legati al funzionamento delle strutture e non direttamente all'erogazione delle prestazioni sanitarie», con aggiunta una dichiarazione del Ministro della salute, per cui la sanità è «il comparto che in questi anni ha pagato più di tutti gli altri subendo tagli per oltre 25 miliardi di euro solo negli ultimi cinque anni e non era certo in grado di sopportare altri prelievi»;
   il cosiddetto «Patto per la salute» per il triennio 2014-2016, la cui approvazione è prevista per giugno 2014, prevede, per quanto anticipato dalla stampa nazionale, la chiusura di 72 ospedali distribuiti su tutto il territorio italiano, che dalla sera alla mattina cesserebbero le attività, senza, peraltro, la predisposizione di misure alternative efficaci e senza un effettivo coinvolgimento nella decisione degli enti locali e della popolazione residente, che dovrà subire gli effetti della chiusura dei 72 ospedali;
   la decisione di chiudere 72 ospedali si inserisce in una situazione di crisi assoluta derivante dagli effetti dei tagli operati, in particolare, negli ultimi anni, che hanno prodotto riduzione dei posti letto, nonché la chiusura di reparti e punti nascita, mentre, al contempo, le strutture sanitarie pubbliche hanno dovuto garantire, con lo stesso personale, oggetto del blocco del turn over e dei rinnovi contrattuali, prestazioni sanitarie aumentate esponenzialmente, con serissimo pericolo per la salute dei cittadini;
   il Ministro Lorenzin ha dichiarato più volte che il modo migliore di tagliare la spesa improduttiva nella sanità è costruire insieme alle regioni il Patto della salute come dallo stesso proposto;
   solo 5 regioni su 21 hanno attivato modelli di sanità d'iniziativa di programmazione e di presa in carico di tipo ambulatoriale, territoriale e domiciliare con équipe multidisciplinari;
   le regioni che sono in piano di rientro sono le stesse che non hanno attivato modelli di sanità d'iniziativa;
   i posti dove ci sono più richieste d'ospedalizzazione e di pronto soccorso sono presidi dove non c’è un modello sanitario territoriale;
   è importante capire che, fino a quando non ci sarà un reale «piano B» per l'organizzazione della sanità sul territorio e fino a quando non si punterà ad un serio modello di sanità di iniziativa, il Governo sarà sempre costretto a chiudere gli ospedali per rientrare economicamente;
   le regioni maggiormente soggette a fenomeni di corruzione in sanità sono quelle che applicano politiche «ospedalocentriche» e non di tipo territoriale/domiciliare con équipe multidisciplinari –:
   se non ritenga necessario promuovere, per quanto di competenza, ogni iniziativa utile affinché le regioni definiscano (con criteri, tempi e controlli di merito predefiniti dallo Stato) una loro attenta riorganizzazione sanitaria sul territorio, privilegiando un adeguato modello di sanità d'iniziativa, affinché le strutture sanitarie possano garantire, a livelli accettabili, il diritto alla salute delle popolazioni di riferimento e recedere dalla decisione di chiusura degli ospedali italiani con meno di 60 posti letto. (3-00884)
(17 giugno 2014)

   BRUNETTA, PALMIERI e BERGAMINI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 47 del decreto-legge n. 5 del 2012 aveva istituito l'Agenda digitale italiana, contestualmente ad un'apposita cabina di regia, un organo di alto livello presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri con il compito di definire il quadro strategico per l'attuazione dell'agenda;
   pochi mesi più tardi, uno dei primi provvedimenti del Governo Monti, il decreto-legge n. 83 del 2012, ha segmentato e confuso le funzioni degli enti pubblici ai quali era affidato il compito di attuare i programmi di innovazione tecnologica; le nuove norme hanno determinato la soppressione di DigitPA, il Dipartimento per la digitalizzazione e l'innovazione della Presidenza del Consiglio dei ministri, e dell'Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione; lo stesso decreto-legge n. 83 del 2012 ha istituito l'Agenzia per l'Italia digitale, preposta alla realizzazione degli obiettivi dell'Agenda digitale italiana e che solo in parte ha assorbito anche le funzioni degli enti e delle strutture preesistenti;
   il decreto-legge n. 179 del 2012 ha poi previsto che «entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto e successivamente entro il 30 giugno di ogni anno, il Governo presenta alle Commissioni parlamentari competenti una relazione che evidenzia lo stato di attuazione dell'articolo 47 del decreto-legge n. 5 del 2012»;
   ad oltre un anno dalla prima scadenza tale relazione non è stata ancora presentata e risultano ancora non adottati numerosi decreti attuativi del decreto legislativo n. 82 del 2005, «Codice della amministrazione digitale», e dei decreti-legge n. 83 del 2012 e n. 179 del 2012 in materia di digitalizzazione dei servizi delle amministrazioni pubbliche;
   con il decreto-legge n. 69 del 2013 è stata prevista (articolo 13) l'istituzione presso la cabina di regia di un organismo consultivo permanente, composto da esperti in materia di innovazione tecnologica e da esponenti delle imprese private e delle università, denominato «Tavolo permanente per l'innovazione e l'Agenda digitale italiana» e presieduto dal Commissario del Governo per l'attuazione dell'Agenda digitale, che viene posto a capo di una struttura di missione per l'attuazione dell'Agenda digitale istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri;
   a quasi due anni dall'istituzione dell'Agenzia per l'Italia digitale non è stato ancora nominato il comitato di indirizzo previsto dal decreto legge n. 83 del 2012 (articolo 21);
   alcuni organi di stampa hanno riportato la notizia di una intervenuta decadenza ex lege dell'attuale direttore generale dell'Agenzia per l'Italia digitale per la mancata approvazione, nei termini previsti dalla normativa vigente, del bilancio di previsione e del rendiconto consuntivo; successivamente, la notizia della presentazione delle dimissioni del medesimo direttore;
   in questo quadro è da oltre due anni che è sostanzialmente ferma qualsiasi attività tesa a favorire e governare i processi di digitalizzazione dell'azione amministrativa e permane lo stato di evidente confusione normativa e operativa, nella quale, da troppo tempo, si trovano i progetti e i programmi per l'attuazione dell'Agenda digitale italiana –:
   come si intendano superare le gravissime criticità che caratterizzano ad oggi i temi dello sviluppo delle reti di nuova generazione, dell'interoperabilità tra i sistemi informativi delle pubbliche amministrazioni, della standardizzazione delle procedure e della revisione organizzativa dell'azione amministrativa che da due anni sono sostanzialmente bloccati dall'assoluta mancanza di una visione strategica e da numerosi e non più tollerabili ritardi ed inefficienze della struttura amministrativa deputata all'attuazione dell'Agenda digitale. (3-00885)
(17 giugno 2014)

   SCHIRÒ. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   i temi della semplificazione normativa ed amministrativa hanno assunto negli ultimi tempi grande rilevanza nei mass media e nel programma di Governo, anche nella prospettiva di uscita dalla crisi economico-finanziaria e dello sviluppo;
   la complessità degli adempimenti formali si somma alla quantità di scadenze da osservare ed alla molteplicità dei soggetti istituzionali chiamati ad esercitare funzioni di controllo nei vari settori;
   l'espletamento di numerose pratiche amministrative coinvolge una pluralità di soggetti istituzionali e di livelli territoriali;
   in molti casi, le procedure e la modulistica differiscono da comune a comune;
   il Governo si sta attivando per una complessiva, organica ed articolata azione di semplificazione, che parte dalla modifica del titolo V della Costituzione e si impernia sulla riforma della pubblica amministrazione;
   in questa prospettiva, appare fondamentale semplificare radicalmente le interlocuzioni cui cittadini ed imprese sono tenuti per l'esercizio delle loro attività;
   l'articolo 118 della Costituzione dispone in via generale che «Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni, salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza»;
   il principio costituzionale, se correttamente ed universalmente attuato, consentirebbe di concentrare nel solo livello territoriale dei comuni la maggior parte delle funzioni amministrative, semplificando la vita di cittadini ed imprese;
   la piena attuazione del principio costituzionale permetterebbe di tenere conto della cornice europea, là dove individua i settori che necessitano di particolari regimi autorizzativi e quelli invece che non ne necessitano, senza ulteriori oneri per cittadini ed imprese, nel rispetto della clausola di gold plating, sancita da tempo nell'ordinamento italiano, in particolare con la legge n. 234 del 2012, che disciplina la partecipazione dell'Italia all'Unione europea –:
   se non ritenga opportuno, nell'attuazione delle politiche di semplificazione amministrativa, adottare ogni utile iniziativa, anche di carattere normativo, per dare piena attuazione all'articolo 118 della Costituzione, attribuendo ai comuni il ruolo di interlocutori di cittadini ed imprese, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
(3-00886)
(17 giugno 2014)

   RAMPELLI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   alla copiosa produzione normativa d'urgenza emanata dai Governi che si sono succeduti negli ultimi due anni e mezzo, con l'asserito intento di rilanciare lo sviluppo del Paese, non corrisponde un eguale iperattivismo quando si tratta di emanare i decreti e regolamenti di attuazione delle norme di primo grado;
   la gravissima conseguenza è che delle tante annunciate e sbandierate riforme quasi nessuna risulta allo stato completamente attuata;
   un esempio eclatante in questo senso – e solo per citarne uno – è costituito dai regolamenti attuativi che dovevano essere adottati per garantire la realizzazione nei tempi stabiliti dell'Agenda digitale, mettendo l'Italia al passo con gli altri Paesi europei in tema di tecnologie dell'informazione e della comunicazione, che ad oltre due anni dall'adozione della relativa legge sono ancora quasi del tutto assenti;
   complessivamente, le norme attuative ancora da adottare sarebbero oltre ottocento, attenenti a tutti gli ambiti, da quello economico a quello sociale e del lavoro, fino a temi quali la scuola e la cultura, ed il loro numero è destinato inevitabilmente a crescere –:
   quanti siano ad oggi i provvedimenti di attuazione non ancora emanati, se non si intenda procedere ad una ricognizione complessiva di tutti gli atti il cui iter non risulti ancora completato e quali iniziative intenda assumere al fine di accelerare le procedure di adozione di tali atti, garantendo la realizzazione delle riforme.
(3-00887)
(17 giugno 2014)

   MATTEO BRAGANTINI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   due anni fa, con il decreto-legge 6 giugno 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, venne approvato un ambizioso provvedimento mirante alla revisione della spesa pubblica, aprendo la via all'eliminazione delle sorgenti di uscita non più rispondenti alle effettive necessità del Paese;
   dopo un fitto susseguirsi di indiscrezioni, in larga misura raccolte e rilanciate dalle organizzazioni sindacali della Polizia di Stato, hanno preso a girare bozze del piano con il quale l'Amministrazione dell'interno starebbe predisponendo il riassetto e la revisione delle proprie strutture, dando attuazione per le parti di propria competenza alla spending review;
   da tale riassetto e revisione discenderebbero ulteriori contrazioni di personale, destinate a riverberarsi anche sugli organici della Polizia di Stato, già scesi a circa 95 mila unità negli scorsi anni, in seguito alla politica di blocco del turn over adottata dai Governi che si sono succeduti in questi anni;
   la razionalizzazione comporterebbe interventi sui presidi di tutte le specialità della Polizia di Stato, vale a dire la stradale, la ferroviaria, quella di frontiera e quella postale, proprio mentre è in atto una recrudescenza delle attività della criminalità, che ormai si allargano in tutto il Paese, interessando anche aree che ne erano rimaste libere fino a qualche anno fa, forse anche per effetto della grave crisi economica;
   secondo dati ufficiali elaborati dallo stesso Ministero dell'interno e riferiti al 2012, i crimini denunciati complessivamente risultavano aumentati dell'1,3 per cento ed ormai pari a circa 2,8 milioni, ossia 36 mila in più rispetto al 2011, mentre l'analisi per tipologia di reato evidenziava come il peggioramento più pesante si stesse registrando sul versante dei cosiddetti reati predatori, spesso perpetrati con modalità particolarmente violente, senza che il Governo abbia ritenuto di adottare alcuna misura specifica di contrasto;
   mentre si prospettano tagli importanti ai presidi sul territorio ed alle specialità delle forze dell'ordine, non sarebbero infatti previste riduzioni significative nel numero delle direzioni centrali del Ministero dell'interno, attualmente diciannove, nelle quali si concentrano gli amministrativi, lasciando così intravedere un'operazione di snellimento interamente o comunque prevalentemente scaricata sulle unità operative, inopinatamente condivisa o avallata dalla direzione politica del dicastero –:
   quali siano le ragioni per le quali il Governo stia concentrando i tagli richiesti dalla spending review sulle strutture operative delle forze dell'ordine, invece di intervenire prioritariamente sui costi delle funzioni amministrative del Ministero dell'interno. (3-00888)
(17 giugno 2014)

   COSTANTINO, DANIELE FARINA, PIAZZONI, MIGLIORE, FRATOIANNI, KRONBICHLER, DURANTI, MELILLA, PANNARALE, RICCIATTI e SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 giugno 2014, alle ore 6.30 circa del mattino, presso il centro di accoglienza per richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto, uno dei più grandi del nostro Paese, ha avuto luogo una protesta da parte dei richiedenti asilo diretta contro l'ente gestore, la cooperativa Auxilium, già oggetto di precedenti rivendicazioni in relazione alle condizioni di vita nel centro;
   i migranti sono usciti dal centro di accoglienza per richiedenti asilo e si son seduti a terra, in strada, con ciò bloccando il traffico sulla Via Tiberina, la via di snodo che porta verso l'adiacente autostrada Roma-Firenze;
   poco dopo l'inizio del blocco stradale, sulla via Tiberina, è arrivato un folto schieramento di forze dell'ordine: polizia, carabinieri, persino i militari di stanza al centro di accoglienza per richiedenti asilo, in assetto anti-sommossa;
   come anche riportato in un articolo (con foto e video) di Dinamopress.it, non sarebbe stato avviato alcun tentativo di interlocuzione con i migranti – nel frattempo esposti alle intimidazioni degli automobilisti – né di mediazione, da parte degli agenti o responsabili dell'ente gestore, rispetto alle istanze dei richiedenti asilo in mobilitazione;
   alcuni attivisti delle reti antirazziste e della redazione di Dinamopress, presenti sul posto, sono stati identificati e invitati ad allontanarsi;
   dopo le ore 8.00 del mattino, gli agenti hanno iniziato a trascinare via di peso le donne e gli uomini seduti a terra e di lì a breve è partita la carica da parte delle forze dell'ordine. I richiedenti asilo sono stati inseguiti e malmenati – buttati a terra, trascinati per i capelli, presi a pugni e calci – lungo tutto il tragitto che porta verso i cancelli del centro di accoglienza per richiedenti asilo, sotto gli occhi degli attivisti man mano arrivati da Roma;
   risulterebbe che almeno quattro di loro sono stati portati via; la carica è proseguita fin davanti ai cancelli del centro di accoglienza per richiedenti asilo e, stando a quanto riferito via telefono dai migranti dall'interno del centro, alle ore 9.00, l'intervento delle forze dell'ordine in assetto antisommossa si sarebbe portato fin dentro la struttura;
   a parere degli interroganti, quanto accaduto non può non apparire particolarmente grave ed è assolutamente necessario fare chiarezza sulla dinamica e le procedure avviate in tale occasione dalle forze di polizia nei confronti dei migranti –:
   se non ritenga non conforme alla legge la condotta delle forze dell'ordine nei confronti dei richiedenti asilo del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto, che, in occasione di una protesta assolutamente pacifica, avrebbero usato violenza nei confronti dei migranti e, in particolare, quali siano i provvedimenti disciplinari che riterrà di adottare nei confronti dei responsabili, e in quali tempi. (3-00889)
(17 giugno 2014)

   FIANO, STUMPO, ROBERTA AGOSTINI, BERSANI, BINDI, CUPERLO, D'ATTORRE, MARCO DI MAIO, FABBRI, FAMIGLIETTI, GASPARINI, GIORGIS, GULLO, LATTUCA, LAURICELLA, MARCO MELONI, NACCARATO, PICCIONE, POLLASTRINI, RICHETTI, ROSATO, FRANCESCO SANNA, MARTELLA e DE MARIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   numerosi episodi con diversi livelli di gravità e pericolosità dell'azione offensiva sono accaduti negli ultimi mesi presso sedi e circoli del Partito democratico presenti su tutto il territorio nazionale;
   da ultimo, nella notte tra giovedì 12 e venerdì 13 giugno 2014 si è verificato l'ennesimo attentato con il lancio di una bottiglia incendiaria contro una sede del Partito democratico a Trento;
   questo grave episodio era stato preceduto soltanto qualche giorno prima da un altro gravissimo atto di aggressione, costituito dall'esplosione di un ordigno rudimentale contro la sede provinciale del Partito democratico di Firenze;
   nonostante il Governo abbia intensificato in alcune città la vigilanza presso le sedi del Partito democratico, a causa del ripetersi di simili attentati, risulta evidente la necessità di un ulteriore aumento delle misure preventive di sicurezza da parte delle forze dell'ordine presso tali sedi;
   da notizie a mezzo stampa sembrerebbe che l'autorità di polizia e la magistratura inquirente siano potuti risalire all'identificazione degli autori degli attacchi in taluni di questi casi e sembrerebbe riscontrabile una comune matrice ideologico-organizzativa, il cui obiettivo, apparentemente, sarebbe costituito non tanto dai singoli esponenti locali del Partito democratico, quanto piuttosto dall'idea di contrastare con la violenza alcune linee di politica nazionale condotte dal Partito democratico;
   l'articolo 49 della Costituzione prevede che «tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale» e, pertanto, l'attacco ad una sede di partito equivale ad un attacco all'intera democrazia del nostro Paese, che fa degenerare il legittimo diritto all'espressione pacifica di un dissenso politico in un'inaccettabile aggressione fisica e violenta a danno delle sedi di un partito o dei cittadini che lì si riuniscono;
   a fronte di questa preoccupante escalation di violenze è necessario che le autorità preposte continuino a isolare, prevenire e reprimere ogni forma di violenza politica, separando così il diritto ad esprimere un dissenso politico dal netto respingimento di ogni traccia di eversione –:
   sulla base delle conoscenze sin qui acquisite dal Governo, quale sia la valutazione sulla matrice e sul grado di pericolosità di tali eventi, nonché quali ulteriori iniziative straordinarie intenda adottare al fine di offrire tutta la sorveglianza necessaria atta a garantire la libera associazione in partiti e la libertà di riunione di tutti i cittadini, come nel caso degli iscritti al Partito democratico. (3-00890)
(17 giugno 2014)

   DAMBRUOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la legge 1o aprile 1981, n. 121, ha rappresentato nella storia del nostro Paese un momento di crescita e di ammodernamento delle istituzioni repubblicane, in quanto ha introdotto, nell'amministrazione della pubblica sicurezza, quelle innovazioni necessarie a favorire la stabilità del sistema politico e a rendere più efficienti gli organi di polizia. Il processo di riforma avviato con la sua entrata in vigore è, tuttavia, rimasto incompiuto, soprattutto per quel che concerne il coordinamento tra le forze di polizia, l'allestimento di centrali operative comuni, la rivisitazione dei percorsi formativi del personale;
   con il decreto-legge 6 giugno 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, è stato approvato un ambizioso progetto di spending review che impone alle pubbliche amministrazioni l'adozione di strumenti idonei a migliorare l'efficienza e l'efficacia della macchina statale nella gestione e nel contenimento della spesa pubblica. Da allora anche l'Amministrazione dell'interno è impegnata in un piano di riassetto e revisione delle proprie strutture, dando attuazione – per le parti di propria competenza – ad un programma di ottimizzazione delle risorse disponibili e alla ricerca di nuove soluzioni non solo per contenere la spesa corrente, ma anche per impiegare in modo più razionale i fondi assegnati. Con decreto del Ministro dell'interno del 28 giugno 2011 è stata, infatti, istituita una commissione con l'incarico di procedere allo studio ed alla analisi delle norme di cui alla legge 1o aprile 1981, n. 121, nonché di formulare ipotesi progettuali di modifica normativa;
   è sempre più urgente adottare misure che favoriscano la condivisione delle risorse umane, professionali, organizzative, formative e tecniche interne all'apparato pubblico con un fattivo scambio di conoscenze tra corpi di polizia nazionali e locali, nonché procedere ad un acquisto comune di attrezzature, vestiario e beni di consumo, al fine di ottimizzare e rendere più trasparente ogni voce di spesa, orientata al razionale risparmio dei costi di gestione –:
   quali iniziative intenda avviare per una effettiva razionalizzazione del sistema della pubblica sicurezza. (3-00891)
(17 giugno 2014)

   DORINA BIANCHI e GAROFALO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'8 maggio 2014 si è tenuto a Bruxelles il primo vertice dei Ministri dell'interno sui cittadini dell'Unione europea di religione musulmana che si arruolano tra le fila dei ribelli al regime di Assad e partono per combattere in Siria: un allarme ormai diffuso in tutta l'Europa. Secondo diverse fonti di intelligence, sarebbero duemilatrecento circa i nuovi jihadisti occidentali che hanno deciso di imbracciare le armi accanto agli insorti;
   un fenomeno nuovo e finora incontrollato e il summit è servito innanzitutto a mettere insieme dati. La Francia, dove vive la più numerosa comunità musulmana del continente, è il Paese più colpito. Secondo il Ministro dell'interno francese, sarebbero circa 500 i militanti arruolati e già 23 i jihadisti francesi morti in combattimento. Quattrocento partenze sono state accertate nel Regno Unito, quasi duecento in Belgio, un centinaio in Olanda, solo una decina in Germania. In Italia l'allarme è circoscritto ed è stato accertato un unico caso di una persona, peraltro deceduta;
   nella riunione erano presenti rappresentanti della Turchia, del Marocco e dalla Tunisia, i quali hanno fatto presente che esiste una filiera di reclutamento ben collaudata che utilizza internet e i social network, ma anche la compiacente complicità di Paesi limitrofi alla Siria;
   quel che più preoccupa è, da un lato, la scoperta di atteggiamenti di forte radicalismo religioso, tra ragazzi che appaiono integrati nella nostra società, dall'altro i pericoli di un accresciuto rischio di proselitismo terroristico, rappresentato dal ritorno di questi giovani da quest'area di conflitto;
   tutto ciò è ben rappresentato dalle modalità con cui avvengono le partenze: le famiglie scoprono spesso la radicalizzazione dei figli quando sono già scappati e postano i loro selfie su Facebook imbracciando un kalashnikov; a inizio maggio 2014 in Francia è stato attivato un numero verde, che ha già ricevuto circa 30 telefonate. Sono genitori che cercano i loro figli. Molti raccontano di un sms o di una lettera ricevuti poco prima della scomparsa. I messaggi si assomigliano tutti. «Vado a difendere le vittime innocenti di un regime assassino». «Parto per un'operazione umanitaria». «Sono un combattente della guerra santa» –:
   quali intendimenti abbia il Ministro interrogato sul problema esposto in premessa e quali forme di coordinamento abbia avviato o ritenga di avviare con le autorità competenti degli altri Stati dell'Unione europea. (3-00892)
(17 giugno 2014)

MOZIONI IN MATERIA DI SEMPLIFICAZIONE NORMATIVA E AMMINISTRATIVA

   La Camera,
   premesso che:
    la semplificazione normativa costituisce – nelle sue diverse declinazioni – una delle questioni fondamentali da affrontare nella prospettiva della modernizzazione e dello sviluppo del Paese;
    in base alle analisi condotte dall'Ocse la complicazione burocratica è una delle prime cause dello svantaggio competitivo nel contesto europeo e globale. Pertanto, le politiche di semplificazione rappresentano un fattore cruciale per la competitività e lo sviluppo del Paese, in ogni suo settore produttivo e commerciale, nonché per il pieno godimento dei diritti di cittadinanza;
    i temi della semplificazione normativa ed amministrativa sono da tempo al centro dell'attenzione della politica, delle istituzioni e dei mass media, anche se i risultati raggiunti non sono all'altezza delle aspettative;
    tanto più utile l'opera di semplificazione si potrà rivelare quanto più sarà finalizzata anche ad una semplificazione delle stesse procedure normative e degli oneri burocratici che pesano sui cittadini e sulle imprese;
    in questa prospettiva, occorre una visione unitaria della semplificazione normativa ed amministrativa, sulla quale innestare un'analisi della legislazione vigente che potrebbe articolarsi in più fasi: la prima fase, del tutto preliminare, dovrebbe consistere in una ricognizione della legislazione vigente nei singoli settori, procedendo anche all'elaborazione di testi unici compilativi, a norma dell'articolo 17-bis della legge 23 agosto 1988, n. 400; la seconda fase dovrebbe consistere nella ricognizione degli oneri amministrativi derivanti dalle disposizioni vigenti; la terza fase dovrebbe essere volta ad una semplificazione nel contempo normativa ed amministrativa, che elimini il più possibile o per lo meno alleggerisca gli oneri amministrativi a carico dei cittadini e delle imprese;
    nella prima fase, finalizzata ad organizzare la legislazione vigente nei distinti ambiti delle politiche pubbliche, si potrebbe fare ricorso – senza necessità di conferire al Governo specifiche deleghe – ai testi unici compilativi, previsti dal citato articolo 17-bis della legge n. 400 del 1988;
    in base a tale articolo, i testi unici compilativi: devono individuare puntualmente il testo vigente delle norme; effettuare una ricognizione delle norme abrogate, anche implicitamente, da successive disposizioni; provvedere al coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti in modo da garantire la coerenza logica e sistematica della normativa; procedere, infine, alla ricognizione delle disposizioni, non inserite nel testo unico, che restano comunque in vigore;
    l'elaborazione dei testi unici compilativi sarà agevolata, rispetto al passato, dall'utilizzazione della banca dati pubblica e gratuita dei testi normativi (www.normattiva.it), nata con la duplice finalità «di facilitarne la ricerca e la consultazione gratuita da parte dei cittadini, nonché di fornire strumenti per l'attività di riordino normativo»;
    i testi unici compilativi potrebbero essere accompagnati da regolamenti emanati a norma dell'articolo 17, comma 4-ter, della citata legge n. 400 del 1988, mediante i quali «si provvede al periodico riordino delle disposizioni regolamentari vigenti, alla ricognizione di quelle che sono state oggetto di abrogazione implicita e all'espressa abrogazione di quelle che hanno esaurito la loro funzione o sono prive di effettivo contenuto normativo o sono comunque obsolete»;
    si tratta di un'operazione del tutto propedeutica ai successivi obiettivi della semplificazione, che consentirebbe di fare chiarezza nella galassia della stratificata e ramificata legislazione italiana, intanto individuando le normative effettivamente vigenti nei singoli settori e le disposizioni che risultino implicitamente abrogate;
    a quest'opera potrebbe dare il suo fondamentale contributo anche il Consiglio di Stato, al quale, a norma del richiamato articolo 17-bis, potrebbe essere demandata anche la redazione degli schemi dei testi unici;
    sarà fondamentale l'apporto delle organizzazioni rappresentative del mondo delle attività produttive, del commercio, delle professioni, dei lavoratori, nonché dei cittadini e consumatori;
    si potrebbe, inoltre, studiare il coinvolgimento nell'operazione di un nucleo di stagisti, reclutati – eventualmente in base ad una norma ad hoc – tra gli operatori dei diversi settori e tra i laureati ed i laureandi nelle diverse discipline, per assicurare un approccio interdisciplinare, che metta insieme le indispensabili competenze giuridiche con le necessarie competenze settoriali;
    infine, nell'operazione potrebbe essere coinvolto il mondo dell'università e della ricerca, che potrebbe lavorare in sinergia con i singoli Ministeri;
    in questo modo, si potrebbe costruire e realizzare un vasto programma di semplificazione, in grado di coinvolgere tutti i soggetti interessati e di offrire un'opportunità formativa ai giovani,

impegna il Governo

a realizzare tutti gli sforzi possibili per mettere in atto una vasta opera di semplificazione legislativa ed amministrativa, a partire dalla predisposizione di testi unici compilativi per ciascun settore delle politiche pubbliche, eventualmente avvalendosi – oltre che del Consiglio di Stato – di stagisti specificamente reclutati per l'attuazione del programma di semplificazione e degli apporti del mondo dell'università e della ricerca.
(1-00265)
«Tabacci, Taricco, Palese, Lavagno, Dorina Bianchi, Monchiero, De Mita, Di Gioia, Ferrari, Taranto, Covello, Gelli, Tartaglione, D'Ottavio, Pisicchio, Mazzoli, Scopelliti, Fabbri».
(28 novembre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    la previsione di una legge annuale «per la semplificazione e il riassetto normativo» risale al 1997; aveva l'obiettivo di procedere, in via strutturale e sistematica, alla semplificazione dei procedimenti amministrativi e della normativa; la cadenza annuale è diventata subito biennale, per poi, piano piano, eclissarsi del tutto;
    la semplificazione, come concetto e come principio, risale, nel nostro Paese, alla fine degli anni ’90; l'Italia fu tra i primi Paesi dell'area europea ad adottare tali disposizioni ed è, oggi, da rilevare che era impossibile, all'epoca, prevedere che semplificare sarebbe stato così complicato: preme, infatti, ai firmatari del presente atto di indirizzo segnalare l'impellenza della ripresa delle politiche di semplificazione, in tutti i suoi molteplici aspetti, al fine di contrastare le ricadute negative sulla pubblica amministrazione, sui cittadini e sulle imprese, nonché sul sistema Paese;
    si è appena svolta un'indagine conoscitiva in tal senso promossa dalla Commissione parlamentare per la semplificazione, segno evidente che tali problematiche, benché discusse da molto tempo, risultano, ancora, difficili da aggredire e risolvere;
    la semplificazione – nei suoi molteplici aspetti – non solo è un fattore economico ed è risparmio di tempo, di costi e di energie, ma è anche uno degli elementi dello stato di salute «interno» di un Paese, attentamente valutato da organismi ed analisti internazionali, i quali solitamente piazzano l'Italia in fondo alla graduatoria a causa dell'appesantimento burocratico del sistema italiano, che reca, quale diretta conseguenza, un difficilissimo rapporto dei cittadini e degli operatori economici, che quotidianamente ci convivono, con la pubblica amministrazione, e che rende il nostro Paese scarsamente appetibile per gli investitori stranieri;
    anche la corruzione è un elemento valutato a livello internazionale – quale «disfattore» economico – e qui il nostro Paese si distingue, al contrario, per l'altissima incidenza di questa voce tabellare, che vede emergere l'Italia per fenomeni di malaffare e corruttele: il link, del resto, è indissolubile e statisticamente supportato, quanto in un Paese corrotto la produzione normativa e regolamentare è altissima;
    dalle notizie della stampa del 19 maggio 2014 si apprende, ad esempio, che il 97 per cento degli italiani ritiene il sistema pubblico inefficiente perché corrotto e che è pari al 40 per cento l'aumento dei costi di un appalto medio a causa del versamento di fondi, oltre che ai politici, a tecnici e burocrati;
    c’è un rapporto direttamente proporzionale, statisticamente dimostrato, tra il numero delle leggi con la macchina burocratica che le accompagna e la corruzione: più si gonfiano le norme e gli organici di chi le interpreta e le applica, e più si espande il fenomeno delle tangenti; assicurare trasparenza e certezza ai diritti dei cittadini e delle imprese rappresenta un tassello indispensabile del contrasto alla corruzione: le leggi dovrebbero essere efficaci, poche, semplici e chiare e non dovrebbero essere modificate o rimesse in discussione ad ogni colpo di vento;
    la chiarezza delle regole, la comprensione netta delle norme e delle loro finalità, la semplicità degli adempimenti e delle procedure amministrative rappresentano presidi di garanzia del rispetto della legalità, consentendo a chi vuole rispettare la legge di non incorrere in errore contro la propria volontà e, al contempo, eliminando alibi a chi, invece, ha come fine quello di aggirare o contravvenire alle norme, sfruttandone la farraginosità;
    è la Corte dei conti ad aver sottolineato, in una recente audizione, che l'eccesso di burocratizzazione consente l'insorgere di fenomeni corruttivi – collegati all'esigenza di poter contare sulla possibilità di accelerare, rallentare o evitare passaggi procedurali – i quali, se pur possono considerarsi fenomeni di una corruzione in un certo senso «minore», praticata a basso livello, hanno avuto e continuano ad avere effetti devastanti in termini di immagine della pubblica amministrazione e di fiducia da parte del cittadino e che l'insieme contrasta fortemente con il principio costituzionale del buon andamento, a fronte del fatto che l'azione amministrativa deve orientarsi e produrre risultati utili per la collettività;
    preme segnalare, a questo proposito, un costume ed una prassi esecrabili quanto costanti: ogni qual volta il Governo, ma anche il Parlamento, prendono una decisione, si creano, più o meno regolarmente, nuove strutture e nuove competenze; l'innovazione legislativa diventa strumento principale per garantire la proliferazione o la sopravvivenza di mille burocrazie: a testimonianza di ciò, basta scorrere velocemente i contenuti dei provvedimenti, anche recenti e recentissimi;
    costituisce un dato oggettivo che, con il passaggio da un sistema politico consociativo ad un sistema politico maggioritario, il Governo ha acquisito un potere e, soprattutto, una rilevanza politica maggiore rispetto agli anni precedenti; dal 1994 in poi la preminenza politica dell'Esecutivo nei confronti delle assemblee parlamentari si è tradotta anche in una preminenza del primo sulle seconde per quanto attiene la produzione legislativa; come si evince dalle analisi dell'Osservatorio sulla legislazione della Camera dei deputati e, in particolare, i rapporti sullo stato della legislazione, la preminenza dell'Esecutivo nei confronti del Parlamento si è realizzata innanzitutto per il tramite della decretazione d'urgenza, ma anche, complessivamente, attraverso le leggi ordinarie di iniziativa governativa, le leggi di ratifica di trattati internazionali, le leggi a ciclo annuale, quali la legge finanziaria e i relativi collegati prima, e da ultimo la legge di stabilità; altro elemento di rilievo che influisce sulla produzione normativa è costituito dalle leggi che hanno come finalità quella di adeguare l'ordinamento nazionale all'ordinamento europeo;
    dall'inizio della XVII legislatura fino al 15 gennaio 2014, su un totale di 31 leggi approvate, 27, pari all'87,10 per cento, sono di iniziativa governativa e 3 di iniziativa parlamentare; nella XVI legislatura la produzione legislazione è risultata per il 76,04 per cento di iniziativa governativa e per il 20,83 per cento di iniziativa parlamentare; nella XV legislatura la produzione legislativa è stata per l'88,39 per cento di iniziativa governativa e per l'11,61 per cento di iniziativa parlamentare;
    dal punto di vista qualitativo la produzione legislativa delle ultime legislature, che, come dimostrano i dati numerici, è da ascriversi in larga parte all'iniziativa governativa, si caratterizza in senso negativo a causa di un gran numero di provvedimenti dal contenuto estremamente eterogeneo e di difficile lettura per il gran numero di commi da cui sono composti, ciascuno dei quali spesso afferente a discipline e settori i più disparati;
    a questa caratteristica di per sé estremamente negativa ai fini della chiarezza e della semplificazione normativa, se ne è aggiunta un'ulteriore, fortemente legata alla situazione di grave crisi economica determinatasi, in particolare, dall'estate del 2011: da quel momento la produzione legislativa si è ancora di più caratterizzata per una lunga serie di provvedimenti d'urgenza, che, oltre ad acuire l'eterogeneità dei contenuti e la ponderosità, hanno prodotto una legislazione che mutava incessantemente a suon di correzioni, aggiustamenti, modifiche parziali e totali, abrogazioni accavallate, realizzate sovente in un ristretto lasso di tempo;
    negli anni recenti sono stati operati 3 interventi per ridurre il numero di leggi che componevano l'ordinamento italiano, attraverso il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, il decreto-legge 22 dicembre 2008, n. 200, e il decreto legge 14 dicembre 2009, n. 179. Considerato che dall'ultimo di questi interventi sono ormai trascorsi 5 anni, periodo nel quale, come precedentemente descritto, è stata prodotta una legislazione con diversi profili di criticità sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, la riduzione dello stock normativo è, tuttavia, solo il primo passo verso una semplificazione effettiva del sistema amministrativo italiano. Occorre, infatti, portare avanti l'opera di riassetto della normativa vigente, tramite la predisposizione di codici e testi unici, al fine di restituire la certezza del diritto e ridurre gli oneri burocratici gravanti sui cittadini e sulle imprese;
    all'ipertrofia legislativa conseguono ampie aree, per non dire voragini, di inattuazione – per fare un esempio, ammontano, ad oggi, ad oltre 700 gli atti amministrativi da adottare in conseguenza dei provvedimenti adottati dai due Governi precedenti all'attuale: in sostanza, ci sono leggi in vigore monche, prive di efficacia – ciò è da ascriversi anche ad un altro costume invalso nei recenti Governi, quello delle cosiddette «leggi annuncio» o «manifesto», in una sorta di permanente clima pre-elettorale, che poi rimangono prive di effetti tangibili;
    è ancora la Corte dei conti a segnalare un'altra peculiare problematica italiana, inerente alle norme che spesso non sono sufficientemente chiare nelle finalità perseguite, con la conseguenza di contrastanti linee applicative da parte dei soggetti istituzionali cui spetta l'attuazione: in ordine al contenuto dei provvedimenti normativi, infatti, la tecnica legislativa troppo frequentemente rinvia la sua applicabilità a provvedimenti successivi l'adozione dei quali poggia su una pluralità di sedi e livelli istituzionali, con una tempistica spesso oggetto di rinvii e proroghe anche a causa dell'insorgere di interessi contrapposti;
    in sostanza, si è di fronte a competenze ripartite fra amministrazioni diverse, spesso collocate a livelli diversi di governo, fra i quali mancano, il più delle volte, efficaci strumenti di raccordo: il processo diventa codecisionale, passa per un intreccio di pareri, concerti, intese e preliminari che producono ritardi ed inefficienze e spesso rendono impossibile assumere una decisione definitiva;
    è necessaria una ridefinizione degli assetti organizzativi, nonché lo sfoltimento del complesso di enti, agenzie, fondazioni, società facenti capo alle pubbliche amministrazioni centrali e territoriali, enti ed organismi pubblici che a vario titolo e in modo vano creano affollamento di competenze, sovrapposizione di interessi, incertezza nella decisione finale, rallentamento delle procedure; l'indeterminatezza delle competenze specifiche acuisce la criticità di tale modello organizzativo, che va rivisitato, anche alla luce delle esigenze di contenimento ed ottimizzazione della spesa pubblica;
    in ordine alla richiesta di abolire o fondere gli strati amministrativi intermedi, nel nostro Paese c’è solo l'imbarazzo della scelta, a fronte della loro proliferazione: anche una semplice – ma seria – eliminazione delle duplicazioni di organismi, uffici e servizi avrebbe un impatto economico enorme;
    un punto oltremodo dolente è che nessuno sa con precisione quali e quanti siano gli enti pubblici non economici esistenti ed il fallimento del proposito di procedere, per alcuni, in particolare quelli denominati ufficialmente «inutili», è dovuto in parte anche alla mancanza di una specifica fase preliminare di ricognizione e censimento degli enti pubblici non economici esistenti;
    nell'affrontare il tema della semplificazione normativa a tutti i livelli e in tutte le sue declinazioni, non si può tralasciare un tema estremamente specifico, ma di grande rilievo per l'influenza che ha prodotto sull'ordinamento generale, quale è quello delle ordinanze di protezione civile di cui all'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, strumento del quale per molti anni si è fatto un uso estremamente frequente ed in molti casi eccessivo e per finalità oggettivamente diverse da quelle per le quali era stato istituito;
    limitando l'analisi a partire dall'anno 2001, 200 sono state le ordinanze di protezione civile emanate nel triennio 2001-2003, 223 nel triennio 2004-2007, 279 nel triennio 2007-2009 e 217 nel triennio 2010-2012; tale ampio ricorso alle ordinanze di protezione civile è stato favorito dalla possibilità, prevista dall'articolo 5, comma 5, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, di derogare alle norme vigenti, oltre che dalla gestione impropria che per diversi anni è stata operata in merito all'organizzazione dei così detti «Grandi eventi», dei quali l'Expo 2015 è l'ultimo ad essere rimasto in essere;
    poiché alle ordinanze di protezione civile si è fatto ricorso non solo per affrontare situazioni di emergenza determinate da disastri e calamità naturali, ma anche per fronteggiare emergenze sociali e ambientali, quali, ad esempio, la gestione del ciclo dei rifiuti, il traffico e la mobilità, l'immigrazione, le criticità delle carceri, che potevano più propriamente essere affrontate con strumenti quali la decretazione d'urgenza e le successive leggi di conversione in legge, si è dato vita ad una sorta di micro ordinamento parallelo, del quale, però, è molto difficile lo studio sistematico e approfondito anche da parte di esperti del diritto;
    il decreto-legge 15 maggio 2012, n. 59, ha modificato la situazione pregressa, in particolare prevedendo un limite alla durata dello stato di emergenza e alla conseguente gestione commissariale. Va rilevato, altresì, che nel 2014 le ordinanze di protezione civile emanate e pubblicate in Gazzetta ufficiale sono alla data del 23 maggio 2014 già 27;
    nonostante nel corso degli anni siano state emanate ordinanze di protezione civile «omnibus» oppure ordinanze che dettavano novelle ad ordinanze già in vigore, non esiste ad oggi un sistema di pubblicità di questi provvedimenti che ne consenta la consultazione in testo storico e in testo vigente;
    poiché l'unica forma di consultazione ad oggi possibile è quella tramite il testo storico riportato in Gazzetta ufficiale all'atto della pubblicazione, risulta estremamente arduo ricostruire l’iter della normativa e degli atti adottati per gli stati di emergenza che si sono protratti per periodi anche pluriennali ed in merito ai quali sono state emanate molteplici disposizioni, anche con ordinanze di protezione civile vertenti su altro argomento; ne deriva l'opacità di alcune gestioni commissariali di durata pluriennale, in particolare per quanto attiene all'efficacia dei provvedimenti adottati nel corso degli anni;
    in tema di semplificazione amministrativa, è utile ricordare alcuni dati riportati dagli organi della stampa il 20 maggio 2014: 42 primati negativi per l'Italia – se il costo del personale della pubblica amministrazione (10,5 per cento del prodotto interno lordo) è in linea con la media europea, la differenza sta tutta nell'efficienza; l'Italia, secondo Paese manifatturiero nell'Unione europea, impiega 37 giorni per esaurire una procedura di import-export, contro i 16 della Germania, 21 nell'eurozona; in Italia una disputa commerciale dal giudice civile si risolve in 1.185 giorni, contro i 547 dell'eurozona e i 394 della Germania;
    ciò spiega perché la semplificazione amministrativa deve essere considerata parte integrante della riforma della pubblica amministrazione, finalizzata a renderla più efficiente, rapida ed economica – al riguardo i firmatari del presente atto di indirizzo auspicano, infatti, che la rivoluzionaria riforma della pubblica amministrazione, cui il Governo dichiara di accingersi, non sottovaluti il tema indicato;
    risulta, al contempo, assolutamente necessario alleggerire gli oneri burocratici che rendono oltremodo gravosi i rapporti tra i cittadini e le imprese, da una parte, e la pubblica amministrazione dall'altra – questo era anche il titolo di un ambizioso disegno di legge, cosiddetto «Brunetta-Calderoli», risalente alla XVI legislatura, il cui iter si è arrestato insieme al suo contenuto, passato da 30 articoli ad uno solo, recante la codificazione;
    occorre dedicare maggiore attenzione, nell'adozione di atti normativi e amministrativi, alla ricaduta complessiva degli oneri burocratici sui cittadini e sulle imprese;
    il problema principale, da risolvere, risiede a monte: il sistema di acquisizione delle informazioni richieste ai cittadini e alle imprese; vige da oltre un decennio un decreto del Presidente della Repubblica che obbliga le pubbliche amministrazioni, per gli accertamenti istruttori, ad acquisire le informazioni e la documentazione dalle banche dati. Ci si chiede perché gli uffici continuino a pressare e vessare cittadini e imprese con la richiesta di esibizione di documenti, certificati e dati che dovrebbero o potrebbero acquisire altrove e in altro modo;
    attualmente si ha il centro elaborazione dati del Ministero dell'interno, il repertorio nazionale dei dati territoriali, l'anagrafe tributaria, il casellario giudiziale, la banca dati dei contratti pubblici, quelle degli istituti previdenziali, il registro delle imprese e si potrebbe continuare, ma ci si dovrebbe fermare comunque, perché, finora, sembrerebbe che non sia mai stata scattata una fotografia dei grandi database di interesse pubblico, tra i quali gli archivi in possesso dei Ministeri della giustizia e dell'interno e ciò non risulterebbe espressamente previsto neanche dal nuovo codice dell'amministrazione digitale;
    gli oneri burocratici che gravano sulle piccole e medie imprese ammontano a circa 1,2 miliardi di euro – si tratta di un'ingentissima tassa sulla burocrazia che si disperde nei costi per i moduli, le comunicazioni da inviare, le raccomandate, i certificati e gli attestati – in sostanza, oneri impropri;
    vale per tutte, ma per quanto riguarda le piccole e medie imprese, corpo del nostro sistema produttivo, non si può che augurarsi che si prosegua e persegua il processo di semplificazione e riduzione degli oneri burocratici ed amministrativi, ma soprattutto occorre espressamente e concretamente dare attuazione al principio della proporzionalità tra l'onerosità degli adempimenti amministrativi e la dimensione delle imprese;
    altra grave carenza è l'insufficiente utilizzo delle tecnologie informatiche, in grado di ridurre tempi ed oneri dell'azione amministrativa; il nostro Paese è indietro, tra l'altro, per numero di utenti web, per l'accesso e presenza di banda larga – ma è da ricordare che dal 1997, con la legge n. 59, furono introdotti il documento informatico e la firma digitale; l'Italia fu tra le prime nazioni europee ad approvare norme e regole tecniche in materia di documenti informatici e firma digitale e il risultato può dirsi, proprio a fronte di tale dato e di quanto è quotidianamente sotto gli occhi del cittadino e dell'operatore economico, fallimentare;
    mancate attuazioni, ritardi ed inefficienze caratterizzano l'introduzione e l'utilizzo della digitalizzazione nei rapporti dei cittadini e delle imprese con gli uffici pubblici – dal 1993 ad oggi, per l'ufficio a ciò dedicato si è proceduto con accanimento a modificarne l'acronimo, passato da Aipa a Cnipa a DigitPa e ora, sembra, Agid; per l'Agenda digitale, fiore all'occhiello dell'innovazione, al contempo rivoluzione e risoluzione dei cronici ritardi italiani in materia, caricata dell'onere di procedere a progetti del valore, in termini di risparmi per l'intera macchina amministrativa, pari a oltre 60 miliardi di euro, è stata disposta in rapida successione una congerie di norme che via via ne modificavano la struttura, la composizione e la nomina dei vertici, che al momento non ci sono più;
    il Ministro dello sviluppo economico Guidi ha dichiarato, in linea con i suoi predecessori, che «il Governo è consapevole dei ritardi e l'impegno sarà massimo per sbloccare il processo di digitalizzazione a vantaggio dei cittadini e delle imprese»;
    l'Agenda digitale è un'occasione unica per il recupero di competitività del nostro Paese, per una maggiore trasparenza, nonché per il decisivo e definitivo snellimento delle procedure burocratiche e tale da poter contribuire in maniera determinante alla ripresa dello sviluppo economico: il decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, è ad oggi di fatto inattuato, non essendo ancora stati adottati, neppure in minima parte i numerosi decreti attuativi previsti da quel provvedimento,

impegna il Governo:

   a presentare alle Camere una relazione contenente un programma di semplificazione normativa, suddiviso per settori e discipline, sulla base delle risultanze dell'indagine conoscitiva svolta dalla Commissione parlamentare per la semplificazione, nonché dei risultati della recente consultazione pubblica di cittadini e imprese, indicando la cadenza temporale degli interventi e delle iniziative finalizzati all'accorpamento delle discipline di settore in codici e testi unici ai sensi all'articolo 17-bis della legge 23 agosto 1988, n. 400, avvalendosi del Consiglio di Stato;
   per una normativa chiara, efficace e trasparente, ad attenersi al puntuale rispetto, nell'approvazione dei decreti-legge, dei criteri di cui all'articolo 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e delle specifiche sentenze in materia pronunciate dalla Corte costituzionale, nonché ad evitare, nei medesimi provvedimenti, l'inserimento di disposizioni normative la cui attuazione sia rinviata a provvedimenti attuativi di natura non regolamentare o a provvedimenti attuativi per i quali non sia stato indicato esplicitamente un termine di emanazione;
   ad adottare le opportune iniziative, anche normative, che obblighino le pubbliche amministrazioni all'acquisizione della documentazione necessaria, per gli accertamenti istruttori inerenti ai cittadini e alle imprese, dalle banche dati esistenti o dagli organismi pubblici che ne sono in possesso, in modo tale che ai cittadini e alle imprese non sia richiesta nessuna informazione e nessuna documentazione che le pubbliche amministrazioni possono attingere al loro interno;
   a procedere alla standardizzazione delle procedure, dei moduli e dei modelli utilizzati dalle pubbliche amministrazioni nelle pratiche e nei procedimenti, in modo tale che il cittadino e l'operatore economico possano contare sulla certezza e sull'uniformità degli adempimenti in tutto il territorio nazionale;
   ad adottare misure sanzionatorie nei confronti degli uffici pubblici statali competenti e dei loro responsabili a fronte di inadempienze e ritardi;
   a realizzare un database in formato elettronico che renda accessibile in forma pubblica e gratuita la consultazione dei testi delle ordinanze di protezione civile in testo storico e vigente, di cui all'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, valutando di utilizzare a tale scopo il portale Normattiva;
   a procedere immediatamente all'adozione dei provvedimenti attuativi di cui al decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, in particolare per quanto attiene la digitalizzazione degli atti della pubblica amministrazione;
   a realizzare il progetto di unificazione, ai fini amministrativi, della carta d'identità elettronica e della tessera sanitaria;
   ad assicurare agli utenti la possibilità di firmare digitalmente qualsiasi istanza o documento da trasmettere alla pubblica amministrazione e di utilizzare la posta elettronica certificata come modello usuale di trasmissione di atti aventi efficacia legale;
   a rendere operativi su tutto il territorio nazionale gli sportelli unici per le attività produttive (suap), al fine del coordinamento degli adempimenti delle imprese, potenziando al contempo il modello dello sportello unico, in modo da estenderlo a tutti i procedimenti complessi;
   a rispettare la disciplina vigente in materia di valutazione di impatto della regolamentazione, con particolare riguardo agli oneri per gli utenti, adottando il principio che non possano essere introdotti nuovi oneri senza ridurne altri;
   a procedere all'approvazione dei regolamenti annuali per la riduzione degli oneri amministrativi e la semplificazione dei procedimenti amministrativi concernenti l'attività di impresa;
   a realizzare interventi di riduzione e semplificazione di procedure obsolete, complicate e inutili, onde alleviare gli aggravi sui cittadini e le imprese, a tal fine eliminando duplicazioni di adempimenti e di competenze;
   con riguardo alla semplificazione degli adempimenti inerenti alle imprese, ad adottare il principio di proporzionalità degli oneri alla dimensione delle imprese;
   a procedere al censimento delle banche dati pubbliche esistenti;
   a procedere al censimento degli enti pubblici.
(1-00487)
«Cozzolino, Mucci, Dadone, D'Ambrosio, Dieni, Fraccaro, Lombardi, Nuti, Toninelli».
(9 giugno 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    la congiuntura economica internazionale che ha investito il mondo e che ha avuto pesanti ripercussioni anche nel nostro Paese ha fatto emergere tutti i mali di un sistema immobile affetto da una burocrazia elefantiaca, incapace di responsabilizzare gli amministratori, sempre più distante dalle necessità reali dei cittadini, improduttivo e assistenzialista, inadeguato alla valorizzazione dei territori, organizzato senza alcun rispetto dei principi di sussidiarietà orizzontale e verticale, fagocitato da una politica autoreferenziale dimentica del suo primario compito di ricerca del bene comune ma basata esclusivamente sul consenso clientelare;
    la semplificazione ha assunto, negli anni, una valenza strategica, anche a fronte dell'eccesso di regolazione esistente nell'ordinamento italiano che si accompagna, inevitabilmente, a una cattiva qualità e a una scarsa chiarezza del sistema delle regole;
    è stato necessario individuare un meccanismo di revisione sistematica e generalizzata dello stock normativo, che permettesse una drastica riduzione del numero delle norme esistenti e che aiutasse a rendere più leggibile e fruibile il quadro delle regole del Paese;
    con la legge di semplificazione 2005 (legge n. 246 del 2005) è stata introdotta la versione italiana della ghigliottina normativa, il cosiddetto «taglia leggi», che si è rivelato un obiettivo strategico per il miglioramento della qualità della regolazione. Tuttavia, una matura policy di semplificazione non è legata soltanto al numero di norme adottate o soppresse, ma all'effettiva riduzione degli oneri e dei tempi burocratici per i cittadini e le imprese che rappresenta un obiettivo comune a tutti i Paesi dell'Unione europea. Garantire un livello di tutela adeguato, ma senza oneri inutili, identificare il problema che si intende risolvere, condividerlo con i destinatari, identificare le possibili opzioni di intervento, misurando costi e benefici, sono le premesse essenziali per la creazione di un contesto normativo favorevole all'investimento, all'innovazione e all'imprenditorialità;
    la semplificazione normativa e amministrativa e la modernizzazione delle pubbliche amministrazioni rappresentano politiche convergenti da perseguire all'interno di un'ottica unitaria e omogenea volta a migliorare il livello complessivo di competitività del sistema produttivo nazionale e accrescere la fiducia dei cittadini e delle imprese;
    una volta realizzato un sistema di regole razionale e coerente, sarà possibile concludere questo ambizioso progetto di semplificazione e riordino normativo attraverso la codificazione di tutte le disposizioni che regolano la vita dei cittadini e delle istituzioni. Si tratta di una delle più importanti innovazioni legislative che consentirà al nostro Paese di allinearsi agli altri Paesi europei;
    l'obiettivo, infatti, è quello di intervenire affinché la semplificazione «annunciata» si trasformi in semplificazione «percepita» dalle imprese, dai cittadini e dall'intera collettività e, infine, in semplificazione effettivamente «rilevata» a livello statistico ed economico. Soltanto a quel punto gli sforzi di semplificazione potranno produrre benefici effettivi anche sulla competitività del Paese. La stima complessiva del risparmio annuo potenziale a regime, connesso all'attuazione di tutte misure di semplificazione, è pari a oltre ventuno miliardi di euro annui;
    sul tema della semplificazione normativa è essenziale il raccordo con le regioni e le autonomie locali. Occorre individuare un programma e un metodo di lavoro ispirato ad un dialogo costante tra i diversi «livelli di governo», prendendo atto dei profondi cambiamenti in termini di competenze introdotti dalla riforma del titolo V della Costituzione, nella consapevolezza che oggi, in Italia, qualsiasi strategia di semplificazione non può essere condotta a livello esclusivamente nazionale;
    è necessario, pertanto, individuare un percorso congiunto che si ponga come obiettivo la riduzione degli oneri burocratici e una regolazione di qualità per lo sviluppo e la competitività delle aree del Paese al fine di:
     a) individuare i livelli minimi di semplificazione (o definizione dei tetti massimi), nonché i requisiti tecnici omogenei sul territorio, anche al fine di effettuare una misurazione comparativa dei diversi livelli di imposizione burocratica;
     b) individuare i casi pilota in specifici settori di regolazione regionale;
     c) creare linee guida comuni in tema di analisi di impatto della regolazione (air) e verifica dell'impatto della regolazione (vir);
     d) individuare programmi di formazione congiunta per il corretto utilizzo degli strumenti di semplificazione normativa;
    la semplificazione delle leggi e del quadro normativo per tagliare la burocrazia e alleggerire l'Italia è un tema di fondamentale importanza per il rilancio del Paese e viene oramai affrontato dai Governi che si sono succeduti negli anni in modo sistemico. I dati, però, dicono che si sta andando nella direzione opposta: per ogni dieci norme abrogate ne entrano in vigore dodici nuove, senza che molte di esse, però, riescano a diventare operative a causa dei decreti attuativi che regolarmente vengono dimenticati, come emerge chiaramente dal rapporto della Corte dei conti fornito alla Commissione parlamentare per la semplificazione. Riguardo agli adempimenti previsti e mai adottati o adottati con gravi ritardi, si può annotare che alla data del 4 febbraio 2014 risultavano attuati 405 degli 883 adempimenti previsti nei provvedimenti legislativi approvati nella vigenza del Governo Monti e 57 adempimenti dei 394 previsti nella vigenza del Governo Letta;
    la Federdistribuzione ha calcolato che l'1,15 per cento del fatturato del commercio si volatilizza ogni anno per spese di burocrazia: 1,4 miliardi di euro l'anno. Mentre l'associazione dei trasportatori Confetra ha rammentato che secondo l'Ocse sono necessari in Italia mediamente 19 giorni per un'operazione di export, contro i 10 di Francia e Spagna, i 9 della Germania e addirittura i 7 dell'Olanda,

impegna il Governo:

   a rendere operanti, per quanto di competenza, le disposizioni già vigenti in materia di qualità della legislazione, di redazione dell'analisi di impatto della legislazione, dell'analisi tecnico-normativa, nonché di verifica dell'impatto della regolamentazione;
   a implementare i processi di digitalizzazione in corso e la costruzione di un'unica rete informatica nella quale possano confluire tutte le pubbliche amministrazioni;
   ad adottare in tempi rapidi un'agenda per la semplificazione, che individui obiettivi, risultati attesi, responsabilità, scadenze e tempi di realizzazione, modalità di verifica del raggiungimento dei risultati, da rendere accessibili on line in tempo reale;
   a varare, da un lato, in tempi rapidi i decreti attuativi al fine di rendere le norme di semplificazione effettivamente applicabili e, dall'altro lato, ad evitare la proliferazione di nuove complicazioni, dando attuazione alle previsioni della legge n. 180 del 2011, sul divieto di introdurre nuovi oneri per cittadini ed imprese;
   a rafforzare la cooperazione interistituzionale tra Stato, regioni e autonomie locali e la realizzazione condivisa del programma di semplificazione, a partire, ad esempio, dalla standardizzazione della modulistica e delle procedure entro tempi prestabiliti e certi;
   ad avviare in tempi rapidi un sistematico lavoro di redazione di codici e testi unici, anche avvalendosi dell'opera del Consiglio di Stato, partendo dalla redazione di testi unici compilativi, come primo passo verso il riordino delle normative settoriali;
   a varare, attraverso il coinvolgimento delle associazioni di categoria imprenditoriale delle grandi, piccole e medie imprese, un programma di semplificazione amministrativa incentrato sul rapporto fiduciario tra lo Stato e le imprese fondato sullo snellimento delle pratiche burocratiche attraverso il ricorso all'autocertificazione.
(1-00491)
«Prataviera, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini».
(9 giugno 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    la semplificazione normativa, intesa come azione di deflazione e riordino della normativa primaria e secondaria vigente, allo scopo di una sua maggiore conoscibilità, coerenza ed organicità, minore ambiguità interpretativa, più agevole applicabilità, nonché come azione di controllo quantitativo e qualitativo della produzione di nuove norme, tanto sotto il profilo politico dell'opportunità delle scelte regolatorie quanto sotto quello tecnico dell'elaborazione degli atti e delle disposizioni normative, rappresenta un obiettivo strategico del Paese, nella prospettiva di renderlo più equo e vivibile per i cittadini, competitivo per gli investimenti produttivi e le attività economiche, credibile e autorevole nella comunità internazionale;
    la semplificazione normativa è comunemente considerata una condizione primaria (seppur non esclusiva, né necessariamente presupposta sul piano del processo di semplificazione) di quella amministrativa, intesa essenzialmente come la riduzione degli adempimenti e degli oneri procedimentali a carico dei cittadini, delle associazioni e delle imprese, nonché come riorganizzazione e razionalizzazione delle strutture burocratiche nella direzione di una loro maggiore capacità di rispondere ai principi del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione;
    nell'ottica predetta, la semplificazione normativa rientra tra le azioni qualificanti il programma dei Governi della Repubblica nelle legislature più vicine e, in particolare, degli Esecutivi della XVII legislatura, come emerge dalle dichiarazioni programmatiche dei Presidenti del Consiglio dei ministri del 29 aprile 2013 (Enrico Letta) e del 24 febbraio 2014 (Matteo Renzi), ove sono, altresì, sottolineati il coraggio e la determinazione necessari per individuare e realizzare seriamente ed efficacemente la predetta semplificazione;
    nella XVII legislatura, la Commissione parlamentare per la semplificazione, presieduta dall'onorevole Tabacci, ha svolto un'indagine conoscitiva il cui documento finale offre elementi di conoscenza numerosi e preziosi per determinare le scelte prioritarie su questo piano;
    tale ultimo contributo alla descrizione e comprensione dei problemi e alla rassegna delle possibili soluzioni va integrato con l'ormai corposo complesso di conoscenze che l'ordinamento, dotandosi di rilevanti strumenti operativi (dal Comitato per la legislazione, organo politico della Camera, al servizio per la qualità degli atti normativi e al dipartimento per gli affari giuridici e legislativi, quali strutture tecniche a supporto rispettivamente del Senato della Repubblica e della Presidenza del Consiglio dei ministri, oltre che alle procedure di analisi tecnico-normativa, analisi di impatto della regolazione e verifica dell'impatto della regolazione concernenti gli atti del Governo), ha prodotto, anche a seguito delle buone pratiche internazionali (paradigmaticamente le linee guida di better regulation dell'Ocse), nonché dei numerosi studi scientifici messi a disposizione dalla ricerca universitaria;
    al possesso di tali, spesso raffinati, strumenti di razionalizzazione e, talora, contenimento e soluzione del problema della complicazione normativa e amministrativa, non hanno finora fatto seguito una volontà politica sufficiente e una capacità realizzativa adeguata a portare a progressi rilevanti nella sua soluzione;
    in particolare, gli sforzi, in ogni caso utili e positivamente valutabili, di semplificazione normativa si sono, da un lato, concentrati nel tentativo di ridurre la quantità degli atti normativi (specialmente di rango primario) esistenti mediante alcune operazioni di riordino settoriale e una vasta azione di sistematica abrogazione, mentre, dall'altro, hanno introdotto nelle procedure di produzione normativa facenti capo al Governo, quale titolare dell'iniziativa legislativa e della potestà di normazione secondaria più attivo, adempimenti di valore strategico finalizzati alla razionalizzazione delle decisioni di produrre nuove norme, in ordine sia alla necessità e qualità tecnica delle medesime sia al loro impatto sulla regolazione esistente, da valutarsi ex ante ed ex post;
    tali sforzi, sul primo versante della riduzione dello «stock normativo», hanno dato risultati tutto sommato modesti, come emerge anche dalla recente indagine conoscitiva sopra citata, o, al più, limitati a singoli e circoscritti settori materiali, a fronte di una sovraesposizione mediatica di alcune di queste operazioni (come quella del cosiddetto «taglia leggi»), rischiando di distanziare l'utilità effettiva da quella percepita e conseguentemente di far considerare meno impellente il ricorso a strumenti più efficaci;
    sul secondo versante, quello della qualità della normazione, essi hanno, invece, faticato a trovare onesto ed effettivo accoglimento nelle prassi ministeriali, con il rischio che una perdurante scorretta applicazione degli strumenti di analisi e valutazione già richiamati finisca per travolgere con un giudizio di inefficacia il complesso di questi, anziché le regole e le pratiche finora ostative di un loro utile impiego;
    in ogni caso, sembra posto in secondo piano, se non nelle analisi, senz'altro nelle soluzioni più frequentemente proposte, il problema che tutti i dati mettono in risalto, ovvero che non vi è semplificazione senza un controllo e una riduzione «in entrata» della produzione normativa, tale da favorire l'autolimitazione nell'esercizio dei poteri d'iniziativa legislativa e di normazione secondaria da parte dei soggetti titolari, nonché l'elaborazione di interventi normativi attenti a prevenire massimamente le controversie interpretative e applicative mediante una corretta formulazione delle disposizioni e il loro corretto inserimento nel tessuto normativo;
    non ci sarà mai efficace semplificazione senza coraggiosi interventi per la cura di quella che si può chiamare «bulimia legislativa», cui non sono estranee le circostanze dell'attuale crisi economico-finanziaria, ma che è bene non nascondersi essere ormai radicata in un clima politico-culturale di permanente emergenza, che non fa che alimentare un circolo vizioso tra richiesta di norme manifesto, scadimento della qualità legislativa e inefficacia della regolazione giuridica;
    un prioritario intervento dovrebbe ambire all’enforcement degli strumenti dell'analisi tecnico-normativa e dell'analisi dell'impatto della regolamentazione, da un lato, e della verifica dell'impatto della regolamentazione (unita alla più complessiva attività di valutazione delle politiche pubbliche), dall'altro;
    sotto il primo profilo, è nota la modesta applicazione dell'analisi tecnico-normativa e dell'analisi dell'impatto della regolamentazione da parte delle strutture ministeriali, spesso ridotte ad adempimento formale e quindi intempestivo rispetto alle potenzialità di favorire una correzione della volontà politica relativa alla produzione delle norme oggetto di analisi, tale da rendere forzosamente inefficace anche il controllo del dipartimento per gli affari giuridici e legislativi per esse previsto ai fini dell'iscrizione all'ordine del giorno dei lavori del Consiglio dei ministri. È allora doveroso valutare l'opportunità di riorganizzare, sotto il profilo strutturale e procedurale, tale fase preparatoria dell'attività normativa del Consiglio dei ministri. In tal senso, potrebbero esaminarsi diverse soluzioni, tra le quali:
     a) la creazione di una struttura interministeriale, di assistenza (cooperativa, ma autonoma) agli uffici legislativi dei diversi ministeri, facente capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed esclusivamente incaricata di monitorare in itinere la qualità dell'attività normativa ministeriale, collaborando a questa sotto il profilo dello svolgimento degli adempimenti richiesti dall'analisi tecnico-normativa e dall'analisi dell'impatto della regolamentazione, in modo da anticipare il più possibile l'intervento delle valutazioni ad essi coessenziali e da rendere contestuale l'elaborazione dell'intervento normativo con il controllo della sua qualità;
     b) l'attribuzione delle funzioni di controllo relativo al corretto svolgimento degli adempimenti predetti ad un'unità indipendente di esperti – individuando un meccanismo di nomina che consenta di coinvolgere i Presidenti delle Camere – incaricata di una valutazione non vincolante per il dipartimento per gli affari giuridici e legislativi, che resterebbe competente ad autorizzare l'iscrizione all'ordine del giorno del provvedimento in questione (ferma la sempre garantita possibilità d'esame da parte del Consiglio dei ministri, motivando adeguatamente l'urgenza); interventi, quelli ipotizzati, che consentirebbero, altresì, un riordino delle strutture, nel senso eventualmente di eliminare sovrapposizioni e duplicazioni di competenze;
    sotto il secondo profilo, la verifica dell'impatto della regolazione risulta, nella debole applicazione pratica che se ne fa, paradossalmente scollegata dal circuito di produzione normativa, laddove l'impatto delle precedenti scelte di regolazione, tanto al fine di monitorare l'effettiva applicazione delle norme, quanto al fine di verificarne l'efficacia rispetto alle finalità ad esse presupposte, dovrebbe rappresentare la condizione essenziale per progettare nuovi interventi normativi. Perciò, sarebbe opportuno verificare la possibilità di rafforzare la verifica dell'impatto della regolazione rendendola presupposto necessario, sanzionandone l'assenza o l'inadeguata esecuzione, per l'avvio di ogni nuovo procedimento di normazione. In secondo luogo, va notato come la verifica dell'impatto della regolazione rappresenti uno strumento essenziale, seppur non sufficiente, per la complessiva valutazione delle politiche pubbliche. In quest'ottica, attesa la centralità che tale attività dovrebbe acquisire tra le funzioni della seconda camera secondo i progetti di revisione costituzionale attualmente in discussione al Senato della Repubblica (ad iniziare dal disegno di legge costituzionale Atto Senato n. 1429), si presenta oggi l'opportunità di anticipare la riorganizzazione dell'istituto della verifica dell'impatto della regolazione, incaricando della sua effettuazione un ufficio da individuarsi presso il Senato, composto da personale sia ministeriale sia governativo sia regionale, sotto la diretta responsabilità dell'Ufficio di presidenza di tale Camera;
    un'ulteriore innovazione dovrebbe riguardare le procedure di consultazione pubblica, che gradualmente trovano sempre maggiore diffusione, oltre che presso le autorità indipendenti, anche a livello governativo. Si tratta di procedimenti la cui reale utilità, nonché la corrispondenza ai principi di trasparenza e imparzialità, dipende in buona misura delle regole metodologiche cui sono sottoposti. A questo proposito, è essenziale che Governo e Parlamento avviino un percorso, esso stesso partecipato (seguendo l'esempio di esperienze regionali esistenti), per la produzione di una disciplina organica degli istituti di consultazione e di dibattito pubblico, al fine di definire tali procedure e i relativi standard qualitativi e metodologici, nonché i casi di attivazione obbligatoria. Tale percorso sarebbe di massima utilità anche per migliorare la qualità della produzione normativa tanto a livello governativo quanto parlamentare, secondo quanto può constatarsi osservando alcune esperienze internazionali, come l'ormai consolidato meccanismo di consultazione pubblica in uso presso le istituzioni comunitarie oppure la quasi ventennale esperienza del prelegislative scrutiny in uso presso il Parlamento britannico. A questo riguardo, va notato come il prolungamento dei tempi generato da queste procedure istruttorie del procedimento legislativo sia solo apparente, sia perché è possibile configurare incentivi all'adozione volontaria di tali procedure volti a semplificare e accelerare la fase deliberatoria dell'atto formatosi a seguito delle medesime (come il contingentamento degli emendamenti, l'esame obbligatorio dei soli emendamenti segnalati, l'automatica adozione del procedimento legislativo in sede redigente o deliberante ed altro), sia perché a beneficiare di questa più ponderata elaborazione delle norme è la fase della loro attuazione e applicazione, senza contare che gli interventi normativi così elaborati possono prevedibilmente godere di una maggiore stabilità nel tempo;
    alcuni degli interventi sopra prefigurati possono essere attivati per volontà del Governo, tanto nell'esercizio dei poteri di autoregolazione e di normazione secondaria quanto in quello dell'iniziativa legislativa, mentre altri necessitano di modifiche regolamentari da parte delle Camere; questa mozione vuole essere solo un primo, anche se importante, passo in un percorso essenziale per il rinnovamento del sistema normativo italiano, nell'ambito del quale andrà valutata anche la possibilità di ricorrere, nell'ambito delle riforme costituzionali, allo strumento della legge organica per assicurare un rango superiore ai fondamentali principi della legislazione, in modo da garantirne il rispetto,

impegna il Governo:

   ad avvalersi del potere d'iniziativa legislativa, nonché di quello di normazione primaria e secondaria nell'effettivo rispetto della legge n. 400 del 1988, i cui principi e regole, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, sono spesso disattesi nel concreto ricorso a tali poteri, specie in sede di decretazione d'urgenza;
   a effettuare una revisione della disciplina concernente l'analisi tecnico-normativa, l'analisi di impatto della regolazione e la verifica dell'impatto della regolazione secondo i principi delineati in premessa, utilizzando tutti i poteri di autoregolamentazione riconosciutigli dalla legge e armonizzando tali interventi con le iniziative in corso di revisione dei regolamenti delle Camere, e in particolare a:
    a) intervenire sulla procedura di formazione dell'analisi tecnico-normativa e dell'analisi di impatto della regolazione, eventualmente anche istituendo una struttura interministeriale autonoma di assistenza agli uffici legislativi dei diversi ministeri, facente capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed esclusivamente incaricata di monitorare in itinere la qualità dell'attività normativa ministeriale, collaborando a questa sotto il profilo dello svolgimento degli adempimenti richiesti dall'analisi tecnico-normativa e dall'analisi di impatto della regolazione, in modo da anticipare il più possibile l'intervento delle valutazioni ad essi coessenziali e da rendere contestuale l'elaborazione dell'intervento normativo con il controllo della sua qualità;
    b) rinforzare il controllo di adeguatezza delle relazioni concernenti l'analisi tecnico-normativa e l'analisi di impatto della regolazione, eventualmente anche attribuendo le funzioni di controllo relativo al corretto svolgimento degli adempimenti predetti ad un'unità indipendente di esperti – individuando un meccanismo di nomina che consenta di coinvolgere i Presidenti delle Camere – incaricata di una valutazione non vincolante per il dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri, che resterebbe competente ad autorizzare l'iscrizione all'ordine del giorno del provvedimento in questione, con ciò consentendo, peraltro, unitamente a quanto proposto sub a) un riordino delle strutture esistenti, eventualmente anche nel senso di eliminare sovrapposizioni e duplicazioni di competenze;
    c) studiare la possibilità che, in caso di parere negativo della predetta unità indipendente ovvero di decisione del Consiglio dei ministri di esaminare un atto nonostante il parere negativo del dipartimento per gli affari giuridici e legislativi circa la sua iscrizione all'ordine del giorno, tali pareri negativi siano esplicitamente richiamati nelle premesse dell'atto di normazione secondaria ovvero nella relazione illustrativa d'accompagnamento al disegno di legge, consentendo così un maggiore controllo in sede parlamentare e di dibattito pubblico;
    d) intervenire sulla disciplina della verifica dell'impatto della regolazione, sia valorizzandola nell'ambito dell'analisi tecnico-normativa e dell'analisi di impatto della regolazione, quale presupposto oggetto di necessaria valutazione in quella sede, sia riordinando le competenze e le procedure per la sua esecuzione, eventualmente considerando la possibilità, in collaborazione con le Camere, di incaricare di tali adempimenti una struttura tecnica formata da componenti di nomina sia governativa sia parlamentare e regionale, configurata in modo tale da poter anticipare in via sperimentale quanto previsto dai progetti di revisione costituzionale all'esame del Senato della Repubblica in ordine alle funzioni di valutazione delle politiche pubbliche da attribuirsi alla seconda Camera;
   ad avviare, insieme al Parlamento e in collaborazione con le regioni e le autonomie locali, un percorso di elaborazione di una disciplina organica concernente le procedure di consultazione e dibattito pubblico, esperibili sia in sede di produzione normativa che in sede di amministrazione attiva.
(1-00493)
«Balduzzi, Antimo Cesaro, Monchiero, Mazziotti Di Celso».
(9 giugno 2014)

MOZIONI CONCERNENTI L'APPLICAZIONE DI MISURE RELATIVE ALLA SICUREZZA E ALLA PROTEZIONE SOCIALE DI CITTADINI ITALIANI, COMUNITARI ED EXTRACOMUNITARI

  La Camera,
   premesso che:
    l’ex articolo 18 del Trattato istitutivo della Comunità europea, come modificato dal Trattato di Nizza del 2000, disponeva, che l'esercizio dei diritti di circolare e di soggiornare liberamente «non si applica alle disposizioni relative (...) alla sicurezza sociale o alla protezione sociale»;
    l'articolo 21 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nella versione consolidata a seguito del Trattato di Lisbona del 2007, ratificato anche dal nostro Paese con legge 2 agosto 2008, n. 130, contiene in materia di sicurezza sociale e protezione sociale norme solo parzialmente più flessibili, stabilendo che «(...) il Consiglio, deliberando secondo una procedura legislativa speciale, può adottare misure relative alla sicurezza sociale o alla protezione sociale (...)»;
    l'articolo 20 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (ex articolo 17 del Trattato istitutivo della Comunità europea) dispone che: «1. È istituita una cittadinanza dell'Unione. È cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell'Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non sostituisce quest'ultima. 2. I cittadini dell'Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti nei trattati. Essi hanno, tra l'altro:
     a) il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri;
     b) il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo e alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiedono, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato;
     c) il diritto di godere, nel territorio di un Paese terzo nel quale lo Stato membro di cui hanno la cittadinanza non è rappresentato, della tutela delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato;
     d) il diritto di presentare petizioni al Parlamento europeo, di ricorrere al Mediatore europeo, di rivolgersi alle istituzioni e agli organi consultivi dell'Unione in una delle lingue dei trattati e di ricevere una risposta nella stessa lingua»;
    i Trattati non contemplano, pertanto, un diritto tout court del cittadino comunitario alle misure di protezione sociale di un altro Stato membro; ne è ben consapevole il Governo tedesco che, stando alle notizie di stampa, sembra sia intenzionato a limitare la concessione di sussidi sociali ai cittadini dell'Unione europea che si trasferiscono in Germania per cercare lavoro;
    in un'intervista alla Passauer Neue, la cancelliera Merkel ha dichiarato che «l'Unione europea non è un'unione sociale» e che Berlino non intende «pagare il sussidio di sussistenza Hartz IV per i cittadini di altri Stati Ue che si trattenessero in Germania solo per la ricerca di un lavoro», spiegando che anche i sussidi per i genitori saranno limitati solo a coloro che hanno un'occupazione in Germania, come stabilito dalle regole europee e da una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea;
    in un disegno di legge bipartisan, a firma del Ministro dell'interno tedesco, Thomas de Mazière (CDU) e del Ministro agli affari sociali, Andrea Nahles (SPD), che dovrebbe essere esaminato dal Bundestag nel corso delle sedute tra il 4 e l'11 giugno 2014, si prevede, tra l'altro, il ritiro della residenza per i cittadini stranieri, anche appartenenti ad uno Stato membro dell'Unione europea, qualora abbiano perso il posto di lavoro da almeno sei mesi e siano ancora disoccupati, il carcere fino a tre anni per chi fornisce dati falsi per ottenere le prestazioni sociali ovvero contrae matrimonio solo per assicurarsi la permanenza nel Paese ed il divieto di ingresso per cinque anni a coloro che fossero scoperti a truffare lo Stato sociale; sono previste limitazioni anche ai sussidi in caso di ricongiungimenti familiari;
    tale iniziativa legislativa tedesca è coerente con la preoccupazione – più volte manifestata dalla Lega Nord e sottovalutata dai Governi di centrosinistra succedutisi negli ultimi anni – di limitare, per ragioni di bilancio e di contenimento della spesa pubblica, fuoriuscite di emolumenti assistenziali a «terzi»,

impegna il Governo:

   a farsi garante, in sede europea, dell'uniformità di applicazione delle misure di protezione e sicurezza sociale ai cittadini degli Stati membri;
   ad assumere iniziative per evitare che l'Unione europea risulti, di fatto, composta da Stati membri di «serie A», che possono far primeggiare l'interesse interno, e Stati membri di «serie B» che devono obbligatoriamente adeguarsi alla normativa europea, pena il rischio di possibili procedure di infrazione;
   a definire gli intendimenti del Governo in proposito, a tutela dei lavoratori e delle famiglie italiane e a salvaguardia delle risorse pubbliche;
   a chiarire, in sede europea, se qualunque forma di protezione sociale e diritto sociale riconosciuta ai cittadini comunitari vada intesa come obbligatoriamente estendibile anche a tutti i cittadini non comunitari, valutando cosa ciò comporti in termini di equilibrio dei conti pubblici;
   a promuovere ogni iniziativa utile, anche di revisione della Costituzione, con riguardo alla questione dell'equiparazione dei cittadini comunitari ed extracomunitari ai cittadini italiani, ai fini dell'accesso a misure di protezione sociale, al fine di garantire un trattamento differenziato che tuteli prioritariamente i cittadini del nostro Paese.
(1-00495)
«Giancarlo Giorgetti, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».
(11 giugno 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    l'accesso alle misure di sicurezza e protezione sociale è un diritto fondamentale che, conformemente al diritto dell'Unione europea, alle leggi e prassi nazionali, è parte integrante del modello sociale europeo; l'Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) ha adottato raccomandazioni sui sistemi nazionali di sicurezza sociale di base, allo scopo di garantire il diritto fondamentale di ognuno alla sicurezza sociale e a un decoroso livello di vita;
    oltre il 70 per cento della popolazione mondiale non è coperto da un'adeguata protezione sociale: è quanto ha afferma l'ultimo rapporto dell'Organizzazione internazionale del lavoro;
    secondo il World Social Protection Report 2014-15: Building economic recovery (Rapporto mondiale sulla sicurezza sociale nel mondo 2014-15: costruire la ripresa economica), solo il 27 per cento della popolazione mondiale beneficia di una sicurezza sociale completa;
    la protezione sociale è uno strumento chiave delle politiche per la riduzione della povertà: serve a stimolare una crescita inclusiva, migliorando la salute e le possibilità dei componenti più vulnerabili della società, e anche ad aumentare la produttività, a sostenere la domanda interna e a facilitare la trasformazione strutturale delle economie nazionali;
    in particolare, nell'ambito dell'Unione europea, fin dal 1992 il Consiglio ha adottato una raccomandazione sulla convergenza degli obiettivi e delle politiche di protezione sociale. Questa definiva una cosiddetta strategia di convergenza, volta essenzialmente ad individuare una serie di obiettivi comuni. La raccomandazione prevedeva che tali obiettivi comuni sarebbero serviti da principi guida per la messa a punto dei sistemi nazionali, pur riconoscendo agli Stati membri la libertà di determinarne le modalità di finanziamento e organizzazione. La raccomandazione del Consiglio ammetteva, inoltre, che la protezione sociale è parte integrante del modello sociale europeo e dell’acquis comunitario politico;
    ad oggi, l'organizzazione e il finanziamento dei sistemi di protezione sociale sono compiti che spettano agli Stati membri. Tuttavia, l'Unione europea svolge un ruolo particolare tramite la sua legislazione che coordina i sistemi di sicurezza sociale nazionali, in particolare per quanto attiene alla mobilità nell'ambito dello spazio comunitario. Da poco, l'Unione europea si sta del pari impegnando al fine di promuovere una maggiore collaborazione tra gli Stati membri in materia di modernizzazione dei sistemi di protezione sociale per far fronte a problematiche simili all'interno dell'Unione stessa;
    durante la recente crisi finanziaria ed economica mondiale, si è evidenziata la molteplicità delle funzioni garantite dalla sicurezza sociale nelle economie e nelle società. Durante la prima fase della crisi (2008-2009), almeno 48 Paesi a reddito medio-alto hanno adottato misure di stimolo economico per un ammontare complessivo di 2.400 miliardi di dollari, di cui circa un quarto è servito a finanziare misure di protezione sociale. Nei Paesi in cui è stato attuato questo sostegno, esso ha funzionato come uno stabilizzatore automatico che ha aiutato le economie a tornare in equilibrio e ha protetto dal disastro economico i disoccupati e i lavoratori precari;
    nella seconda fase della crisi, a partire dal 2010, diversi Governi hanno cambiato rotta, adottando misure di risanamento dei conti pubblici, nonostante fosse ancora urgente il bisogno di sostenere le popolazioni vulnerabili e di stabilizzare i consumi;
    i Paesi sotto la diretta influenza dalla «Troika» hanno dovuto ridurre il costo unitario del lavoro abbassando i salari e i diritti di contrattazione collettiva. I sistemi di protezione sociale sono spesso diventati meno generosi e alcune volte meno universali, con l'inasprimento delle condizioni di accesso ai sussidi di disoccupazione e alle prestazioni universali come gli assegni familiari, per l'alloggio e le indennità di malattia. In Europa, nel 2012, i lavoratori poveri hanno raggiunto il 9,1 per cento della forza lavoro. Mentre un'efficace contrattazione collettiva e dialogo sociale si sono dimostrati una grande risorsa per attenuare e superare la crisi, preoccupa il fatto che le misure adottate in diversi Paesi abbiano indebolito queste istituzioni;
    questo cambiamento nelle politiche pubbliche non è stato privo di conseguenze per il modello sociale europeo. È accertato che, aldilà delle differenze tra situazioni nazionali – mentre il modello sociale europeo si è dimostrato resiliente in alcuni Paesi, si è molto indebolito in altri –, i cambiamenti osservati sono stati significativi e hanno interessato l'insieme dei principali pilastri del modello sociale europeo;
    benché questi cambiamenti abbiano suscitato la preoccupazione dei cittadini e dei lavoratori in tutta Europa, è stato ampiamente riconosciuto che il modello sociale europeo, nella sua forma attuale, non è perfetto. Sia l'Organizzazione internazionale del lavoro che la Commissione europea hanno riconosciuto che alcuni elementi del modello sociale europeo vanno riformati di fronte a sfide come la crescente concorrenza nei mercati globali e l'invecchiamento delle società europee;
    le misure di risanamento dei conti pubblici non sono state limitate all'Europa. In realtà, nel 2014, sono 122 i Governi che stanno riducendo la spesa pubblica e, di essi, 82 sono Paesi in via di sviluppo;
    le misure adottate comportano una riforma dei sistemi pensionistici e sanitari e delle prestazioni sociali, spesso con la riduzione della copertura o del finanziamento di questi stessi sistemi; esse comportano altresì l'eliminazione o il taglio delle prestazioni sociali come pure del numero o del livello di salario dei lavoratori della sanità e del sociale. In effetti, il costo del risanamento dei conti pubblici e dell'aggiustamento viene imposto alle popolazioni in un momento di bassa occupazione, in cui è forte il bisogno di sostegno;
    gli ultimi dati mostrano che diversi Paesi ad alto reddito stanno tagliando i propri sistemi di sicurezza sociale. Nell'Unione europea i tagli alla protezione sociale hanno già contribuito a fare aumentare la povertà che colpisce ormai 123 milioni di persone, ovvero il 24 per cento della popolazione, e, tra esse, molti bambini, donne, anziani e disabili;
    al di là delle percentuali e dei numeri, in particolare quando si parla di famiglie «a rischio di povertà», si fa riferimento a quelle famiglie che arrivano con difficoltà alla quarta settimana del mese e sono costrette a indebitarsi e a ricorrere ai centri assistenziali, nonostante abbiano un lavoro e un reddito, per permettersi una vita che sfiori la soglia della dignità;
    esponenzialmente cresce sempre di più l'insicurezza delle famiglie italiane che temono di non essere in grado di far fronte a eventi negativi, come, per esempio, un'improvvisa malattia, associata a non autosufficienza, di un familiare o l'instabilità del rapporto di lavoro o gli oneri finanziari sempre maggiori;
    le politiche di sicurezza e protezione sociale attuate a livello nazionale ed europeo devono saper rispondere ad una molteplicità di problemi legati a diversi fattori, dai nuovi rischi sociali centrati sulla profonda modifica dei cicli di vita, a partire da quelli legati a famiglia e vecchiaia, alla ristrutturazione crescente delle forme di lavoro sempre più orientate alla flessibilità e alla precarizzazione, per arrivare alla presenza di nuove domande di integrazione sociale provenienti da persone che arrivano da altri Paesi;
    il tema dell'immigrazione e dei richiedenti asilo in Italia e in Europa non è solo parte della cronaca recente, ma è di importanza strategica per il futuro del nostro Paese: per la sicurezza dei cittadini, per la percezione di fiducia e di solidità che si dà ai Paesi stranieri, e, soprattutto, per la presa di posizione che l'Italia deve affrontare con coraggio e determinazione in Europa, in particolare ora che si appresta a presiedere il semestre europeo;
    c’è una differenza rispetto al passato che non va sottovalutata. L'Italia subisce le oscillazioni delle situazioni politiche dell’«euro mediterraneo», essendo geograficamente il Paese di prima accoglienza per l'Unione europea. Più della metà di quelli che hanno intrapreso i disgraziati viaggi per mare o che stanno per partire sono persone che vengono da Paesi in guerra o in condizioni tali da aver diritto all'asilo per rifugiati o per motivi politici; in questo quadro, l'Italia non è più in grado di assorbirne, né di garantire sicurezza e protezione sociale a tutti;
    la questione è che l'Italia non è più in grado da sola di salvare i migranti dalle acque e poi garantire loro accoglienza, abbiano o no il diritto di asilo. La conseguenza è un disastro umanitario tremendo e un'emergenza gravissima, che ha due vittime: chi traversa il mare alla ricerca di una sicurezza e che rischia di trovare la morte in viaggio e nuova miseria all'arrivo; il popolo italiano, che non è in grado di sopportare, senza gravissimi contraccolpi sociali, un milione di profughi;
    occorre innanzitutto agire attraverso il coinvolgimento reale ed effettivo dell'Unione Europea. L'Italia è il confine meridionale dell'Europa; i profughi non sbarcano nel nostro Paese, ma nel continente europeo, le cui coste accessibili appartengono all'Italia; esiste un diritto umanitario, che il nostro Paese ha sempre applicato, ma esiste anche il problema di un miglior coordinamento europeo che per ora è assente,

impegna il Governo:

   ad adottare con urgenza politiche di crescita adeguate a superare l'attuale situazione economica che ha causato l'impoverimento delle famiglie italiane e, in particolar modo, di quelle con figli minori, incrementando la quota d'investimento pubblico in protezione sociale destinato all'area famiglia-minori;
   ad adottare tutte le opportune iniziative di contrasto alla disoccupazione giovanile, che ha raggiunto livelli assolutamente intollerabili, e a promuovere la qualità dell'occupazione e delle relazioni industriali al fine di favorire una ripresa della fiducia nei confronti delle prospettive economiche e sociali del Paese;
   a prevenire e combattere tutte le forme di povertà, incidendo su alcuni aspetti strutturali del nostro Paese, attraverso la buona e piena occupazione femminile, l'adozione di misure fiscali e monetarie a sostegno dei figli, l'elaborazione di politiche di conciliazione tra lavoro nel mercato e responsabilità di cura per donne e uomini, l'accesso ai servizi socio-educativi per la prima infanzia e l'adozione di misure per prevenire, rallentare e prendere in carico la non autosufficienza;
   ad agire in sede europea al fine di:
    a) rilanciare il modello sociale europeo, duramente messo alla prova in alcuni Paesi dell'Unione europea, con l'adozione di politiche di risanamento di bilancio durante la crisi finanziaria ed economica, come insieme di politiche sociali per promuovere una crescita economica inclusiva, un alto livello di vita e condizioni di lavoro dignitose in tutti gli Stati membri;
    b) creare una strategia integrata di tutti gli Stati membri che garantisca un'interazione positiva delle politiche di sicurezza e protezione sociale per i cittadini europei e per i migranti;
    c) adeguare i sistemi di protezione sociale alle esigenze attuali, alla crescente concorrenza nei mercati globali e all'invecchiamento delle società europee, basandosi sulla solidarietà e potenziandone il ruolo di fattore produttivo;
    d) potenziare il dialogo con le parti sociali a livello di Unione europea, in un processo di sviluppo e ammodernamento della protezione sociale;
    e) mettere a disposizione di tutti i cittadini informazioni relative ai loro diritti alla protezione sociale e ai loro diritti e doveri in caso di emigrazione, immigrazione e attività transfrontaliera.
(1-00499) «Palese».
(16 giugno 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    la libera circolazione dei lavoratori, una delle libertà fondamentali dei cittadini europei, sancita dall'articolo 45 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, sancisce l'abolizione di qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità tra i lavoratori degli Stati membri per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro e prevede ulteriori diritti relativi alle famiglie dei lavoratori stessi, al fine di assicurare l'effettivo ed integrale perseguimento del principio;
    la sicurezza e la protezione sociale dei cittadini, parte della natura stessa del «modello sociale europeo», sono collegate al principio di solidarietà e al valore della coesione sociale, rappresentando un orizzonte ineludibile, insito nei principi fondanti dell'ordinamento dell'Unione europea, anche al di là del legame strettissimo con il diritto alla libera circolazione;
    per tali ragioni, pur non essendo contemplata dal diritto dell'Unione europea un'uniforme regolazione dei sistemi di welfare – con conseguente facoltà da parte di ogni Stato membro di determinare in modo differenziato misure di protezione sociale e modalità di erogazione dei relativi sussidi – i Trattati vigenti indicano alcuni principi fondamentali, che fungono da parametri invalicabili per la legislazione dei Paesi membri, tra cui rileva il principio di non discriminazione (articolo 18 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ex articolo 12 del Trattato che istituisce la Comunità europea) e di cittadinanza (articolo 20 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ex articolo 17 del Trattato che istituisce la Comunità europea);
    su queste basi si è, inoltre, sviluppato un rilevante corpus di disposizioni in materia, tra cui rilevano: il regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, quale modificato dal regolamento (CE) n. 988/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 settembre 2009; la direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive precedenti in materia; il regolamento (UE) n. 492/2011, che riconosce i diritti dei lavoratori alla libera circolazione e definisce gli ambiti in cui la discriminazione fondata sulla nazionalità è vietata; la recente direttiva 2014/54/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014, intesa ad agevolare l'esercizio dei diritti conferiti ai lavoratori nel quadro della libera circolazione e il contrasto di forme di discriminazione, promuovendo sensibilizzazione e tutela giurisdizionale a garanzia della parità di trattamento;
    dal punto di vista economico e dei lavoratori in cerca di occupazione, la cittadinanza europea e la libera circolazione rappresentano indiscutibilmente un vantaggio e un elemento chiave per consentire ai cittadini di accrescere la propria formazione ed esperienza, cogliendo nuove opportunità di lavoro: secondo le stime della Commissione europea (Comunicazione sulla libera circolazione della Commissione europea del 2013) restano vacanti nell'Unione europea circa 2 milioni di posti di lavoro, nonostante la crisi economica;
    la libera circolazione nello spazio europeo da parte di cittadini comunitari comporta: il diritto di soggiornare nel territorio di un altro Paese dell'Unione europea per un periodo non superiore a tre mesi, senza alcuna condizione o formalità e per un periodo superiore a determinate condizioni; per i lavoratori, dipendenti e autonomi, e i loro familiari diretti, il diritto di soggiornare senza particolari condizioni; per le persone in cerca di lavoro il diritto a rimanere nel Paese ospitante per un periodo di sei mesi e oltre, senza essere soggetti a particolari condizioni, se si è costanti nella ricerca del lavoro con possibilità concrete di essere assunti; è previsto anche il mantenimento, per tre mesi, dell'indennità di disoccupazione percepita nel proprio Stato di origine mentre si cerca lavoro in altro Stato membro;
    non vi è dubbio che ancora vi sia molta strada da fare per costruire un'Europa dei cittadini, sociale, solidale, giusta e sostenibile e per garantire uno spazio effettivo di circolazione, opportunità e lavoro per i cittadini europei. In tale direzione va la proposta di regolamento COM(2014)6 di riforma della rete europea dei servizi per l'impiego – Eures – all'esame del Parlamento europeo;
    altrettanto indubbia è la necessità di contrastare alcune visioni miopi e primitive, che, strumentalizzando per fini politici le paure causate dalla grave crisi economica, vorrebbero rialzare gli steccati tra gli Stati, rinazionalizzare il mercato del lavoro e ridurre il diritto dei lavoratori di cercare un lavoro, meglio retribuito nello spazio comune e europeo; tali visioni hanno l'unica conseguenza di impoverire e danneggiare proprio coloro che si sostiene di voler proteggere. Occorre, dunque, impedire che attraverso l'utilizzo dello spettro della crisi vengano alimentate le paure per smantellare il modello sociale europeo;
    tale impostazione, errata e dannosa, emerge dal dibattito, sviluppatosi soprattutto in taluni Paesi membri, a partire dal referendum svizzero contro l'immigrazione e la libera circolazione dei lavoratori, che porta a richieste in favore di una rinegoziazione dei trattati europei, la revisione di Schengen (in particolare da parte del Premier inglese Cameron), sulla scorta di una presunta insostenibilità dei sussidi sociali a favore dei cosiddetti «turisti del welfare»;
    su quest'ultimo aspetto, particolarmente sentito in Germania, le proposte legislative (che devono essere ancora approvate dal Bundestag), mirano solo a meglio definire specifiche ipotesi di abuso in tema di prestazioni sociali, con l'introduzione di maggiori verifiche circa i requisiti (in riferimento ad assegni familiari Kindergeld e al sussidio Hartz IV, che finanzia prestazioni di base per tutti i disoccupati o indigenti, ossia una sorta di reddito minimo), con l'obiettivo di colpire con misure più severe i casi irregolari, come per i cosiddetti matrimoni di comodo, l'attestazione di false residenze, il mantenimento di figli non residenti nel Paese ospitante o i casi di lavoro nero;
    nonostante la strumentalizzazione da parte di alcune forze in Italia, tali previsioni non mirano a scardinare il sistema di welfare minimo europeo esistente (che, peraltro, non trova alcuna analoga corrispondenza nell'ordinamento e nelle prestazioni assicurate nel nostro Paese) e non potranno in nessun caso risultare in contrasto con i principi stabiliti dai Trattati europei e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea. L'esclusione dal welfare di coloro che provengono da altri Paesi e in cerca di lavoro è considerata dalla Commissione europea una violazione del principio di uguaglianza di trattamento, sancito dai Trattati e ribadito dalla direttiva europea sulla libera circolazione;
    occorre, inoltre, far chiarezza sulla portata dei fenomeni «migratori» all'interno dell'Europa e, in particolare, dai Paesi neocomunitari dell'Est europeo, ricordando che buona parte è dovuta alla contingenza economica ed è conseguenza del peggioramento delle condizioni economiche di alcuni Paesi membri (circa il 70 per cento del boom migratorio verso la Germania è attribuibile a questo fenomeno);
    i dati e le ricerche disponibili non supportano la tesi, sostenuta da alcune forze di destra in Europa, secondo cui la crescita dei flussi migratori comporterebbe un elevato abuso dei «generosi sistemi sociali europei»; al contrario, risulta che la gran parte di immigrati nello spazio europeo lavori, paghi le tasse e versi i contributi sociali, senza ricevere maggiori trasferimenti rispetto a quelli dovuti in base alle regole del Paese di accoglienza, alle loro posizioni lavorative e al loro reddito;
    la Commissione europea ha di recente calcolato che i migranti dell'Unione europea sono meno del 5 per cento del totale di beneficiari delle prestazioni di assistenza sociale, solo in alcuni casi (quelli che fanno più notizia) presentano frodi o abusi, esigui fenomeni che si possono contrastare con piccoli accorgimenti legislativi e controlli più efficaci; inoltre, in riferimento alla popolazione residente con più di 15 anni, sette migranti dell'Unione europea su dieci hanno un'occupazione e, qualora il migrante perda il lavoro, riceve il sussidio pubblico solo in quanto ha pagato tasse e contributi, esattamente come i nazionali;
    è evidente che interventi restrittivi, attuati o paventati, in materia di libera circolazione, di mobilità dei lavoratori nello spazio europeo e di sicurezza sociale, risentono del clima antieuropeo e anti-immigrazione in tutta Europa; occorre affrontare con forza e respingere i tentativi di far saltare i principi fondanti dell'identità europea e, diversamente, promuovere un'azione costruita su diritti concreti che rimodellino e diano vita a una cittadinanza europea non retorica, ma che si assuma la responsabilità di una nuova generazione europea maggiormente «mobile» rispetto al passato,

impegna il Governo:

   a rilanciare nelle sedi europee una nuova programmazione e una nuova linea di politica economica, volta a superare l'esclusivo ricorso al contenimento dei bilanci nazionali, al rigore e all'austerità che rischiano di minare alla base i diritti, il welfare e gli stessi presupposti della costruzione europea, ostacolando la ripresa e la crescita nei Paesi del Sud Europa e, di conseguenza, in tutta l'Unione europea;
   a farsi promotore di un nuovo patto sociale per un new deal europeo, inserendo tra le priorità del semestre italiano di presidenza dell'Unione europea azioni decisive in favore di una vera Europa sociale che attui concretamente i cosiddetti obiettivi faro del programma «Europa 2020», per garantire standard minimi comuni per i diritti dei lavoratori, uniformare le condizioni salariali, scongiurare il «dumping salariale» e la delocalizzazione industriale nei Paesi più poveri o con più debole legislazione sociale;
   a sostenere le proposte legislative europee e le azioni politiche in favore di una migliore protezione e inclusione sociale, della «libera circolazione» dei diritti dei lavoratori, in particolare delle prestazioni previdenziali maturate, di forme di assicurazione contro la disoccupazione a carico del bilancio dell'Unione europea e di percorsi di ricollocamento per chi ha perso il lavoro durante la crisi, quale primo tassello verso l'armonizzazione dei sistemi di assistenza sociale nell'Unione europea.
(1-00500)
«Berlinghieri, Gnecchi, Moscatt, Giuseppe Guerini, Albini, Battaglia, Bonomo, Casellato, Chaouki, Culotta, Gianni Farina, Giachetti, Giulietti, Iacono, Mosca, Pastorino, Picierno, Scuvera, Vaccaro, Ventricelli, Albanella, Baruffi, Boccuzzi, Dell'Aringa, Faraone, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Gregori, Gribaudo, Incerti, Maestri, Martelli, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Rotta, Simoni, Zappulla».
(16 giugno 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 45 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea vieta qualsiasi forma di discriminazione fondata sulla nazionalità tra i lavoratori degli Stati membri;
    a livello mondiale, l'Unione europea costituisce un punto di riferimento in materia di sistemi di protezione sociale: la disoccupazione, la salute, l'invalidità, la situazione familiare e l'invecchiamento sono fonti di precarietà alle quali tali sistemi permettono di far fronte;
    l'organizzazione ed il finanziamento dei sistemi di protezione sociale sono compiti che spettano agli Stati membri. Tuttavia, l'Unione europea può e deve svolgere un ruolo particolare tramite la sua legislazione per coordinare i sistemi di sicurezza sociale nazionali, in particolare per quanto attiene alla mobilità nell'ambito dello spazio comunitario;
    l'Unione europea deve anche impegnarsi al fine di promuovere una maggiore collaborazione e convergenza tra gli Stati membri in materia di modernizzazione dei sistemi di protezione sociale, per far fronte alle problematiche interne all'Unione stessa;
    la libera circolazione rappresenta un'opportunità al fine di irrobustire il proprio bagaglio di esperienze e di formazione;
    tuttavia, le sfide poste dalla crisi economica hanno generato in molti Paesi un aumento del rischio di povertà e di esclusione sociale dal mercato del lavoro. Gli squilibri sono in aumento tra gli Stati membri: ciò compromette la competitività dell'Europa in un contesto globalizzato, cosa che potrebbe comportare notevoli conseguenze negative, sia in termini economici che in termini sociali;
    la crisi sociale derivata da quella economico-finanziaria, che negli ultimi anni ha visto aumentare seriamente la disoccupazione e l'impoverimento della popolazione, e l'esclusione sociale rischia di aggravarsi ulteriormente con la riduzione delle prestazioni di protezione sociale;
    purtuttavia, occorre impedire che, attraverso la strumentalizzazione degli effetti della crisi, vengano inutilmente alimentate spinte relative allo smantellamento del modello sociale europeo che, invece, va assolutamente rafforzato e modernizzato;
    è la stessa Commissione europea a sottolineare l'importante ruolo di stabilizzatore fornito dai sistemi di protezione sociale, esortando gli Stati membri dell'Unione europea a garantirne l'adeguatezza e la sostenibilità. Al fine di conciliare il risanamento dei conti pubblici e la salvaguardia dei sistemi di protezione sociale l'Unione europea chiede, quindi, agli Stati membri di coniugare, di integrare e di rafforzare efficacia, efficienza ed equità;
    esistono, però, situazioni di vero e proprio abuso rispetto alle misure di protezione e tutela socio-sanitaria che minano l'efficienza e la sostenibilità dei sistemi già citati; per questo motivo, occorre porre in essere una forte opera di contrasto verso distorsioni (turismo sanitario ed altro), con una serie di misure che gli Stati membri debbono adottare a livello europeo: si pensi ad iniziative in grado di individuare le fonti e che impediscano a tali condotte illecite di danneggiare ulteriormente il valore delle risorse disposte dall'Europa per assistere quanti abbiano effettivamente bisogno di un sostegno;
    la necessità di contrastare gli abusi dei servizi di protezione sociale e sanitaria è giustificata anche dal fatto che l'Europa è alle prese con la crisi del debito e dei conti pubblici, con la conseguente difficoltà a ridurre la spesa pubblica in quanto, oltre la metà di questa, è dedicata proprio alla protezione sociale ed all'assistenza sanitaria;
    occorre migliorare l'efficienza della spesa sociale e prevenire povertà ed esclusione sociale. Infatti, tra gli strumenti idonei per conciliare gli obiettivi di lotta alla povertà e di aumento della partecipazione al mercato del lavoro, i firmatari del presente atto di indirizzo ritengono che vi debbano essere politiche che mirino ad equilibrare strategie di inclusione attiva, che uniscano un supporto adeguato al reddito ed all'accesso alle misure di protezione sociale,

impegna il Governo:

   a sostenere in Europa misure che favoriscano una convergenza e un'integrazione delle politiche europee in relazione ai modelli di protezione sociale;
   a predisporre, nel medio periodo, misure di contrasto agli abusi, al fine di preservare l'efficacia e la sussistenza delle attività di protezione sociale;
   a superare le politiche di rigore e di austerità che incidono negativamente sui diritti e sul welfare, pregiudicando i presupposti del processo di costruzione europea in materia di protezione e tutela dei cittadini.
(1-00503)
«Pizzolante, Dorina Bianchi, Roccella, Bosco, Calabrò, Garofalo, Leone, Minardo, Piso, Saltamartini, Misuraca, Tancredi, Bernardo, Scopelliti, De Girolamo, Alli, Cicchitto, Alberto Giorgetti, Pagano, Piccone, Vignali».
(17 giugno 2014)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN RELAZIONE AL FENOMENO DEI MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI

  La Camera,
   premesso che:
    il fenomeno dei minori stranieri non accompagnati in Italia si pone, per le caratteristiche e le dimensioni che ha assunto, come emblematico, con aspetti di drammatica urgenza. Diverse sono le fasce d'età ed i Paesi di provenienza ed eterogenee le motivazioni che inducono a tentare l'avventura migratoria: minacce per la vita; dislocazioni territoriali forzate; condizioni di precarietà economica e sociale o di vero e proprio sfruttamento; maltrattamenti in ambito familiare; perdita dei parenti adulti; spirito di avventura che spinge all’«esplorazione» di contesti nuovi; volontà di accedere ai prodotti di un mercato che spesse volte dista solo poche decine di chilometri dal Paese d'origine; progetto condiviso con i genitori, come nel caso dei «messaggeri economici» o «anchor child»; istigazione o costrizione da parte di organizzazioni criminali. Altrettanto diversificati si presentano, dunque, i bisogni individuali della molteplicità di soggetti presenti all'interno del territorio nazionale;
    circa settemila persone (quasi due al giorno) sono morte negli ultimi dieci anni nell'attraversamento del canale di Sicilia, in cerca di asilo: tra le vittime, decine e decine di bambini morti in mare sui barconi della speranza. Le indagini sull'identità e sulla situazione del minore in Italia e nel Paese di origine costituiscono un aspetto centrale al fine del perseguimento del superiore interesse del minore e, in particolare, ai fini di una valutazione in ordine all'interesse del minore a restare sul territorio italiano, ovvero ad essere rimpatriato. È importante che le indagini siano efficaci e tempestive, in modo da consentire una decisione ben fondata in tempi rapidi, riducendo al minimo il periodo di incertezza sul proprio futuro che può provocare gravi danni al minore;
    è assolutamente necessario dare un concreto sostegno ai minori sbarcati a Lampedusa, sia quelli scampati al tragico naufragio del 3 ottobre 2013, che quelli arrivati sull'isola dopo altrettanto terribili viaggi: lo ha fortemente richiesto il Santo Padre, per dare un deciso segnale sulla necessità di concentrarsi sui più piccoli. Nella stessa direzione si muovono anche le principali associazioni umanitarie presenti nel nostro Paese, da Save the Children, alla Caritas e molte altre ancora;
    molti sono spesso minori non accompagnati e hanno in media dagli undici ai sedici anni. Le famiglie fanno sacrifici per il loro futuro, con i risparmi accumulati in una vita: agli scafisti senza scrupoli pagano 1800 dollari per ogni ragazzo affidato a quei barconi, strumenti delle mafie che lucrano sul traffico umano;
    il Parlamento e il Governo nel 1998 hanno apportato alcune modifiche sulla condizione giuridica del «minore straniero non accompagnato», per meglio disciplinare le diverse problematiche dell'affidamento, della tutela e dell'accoglienza del minore. Tra la normativa internazionale vale la pena tener presente: la Convenzione Onu sui diritti del fanciullo fatta a New York nel 1989; la Convenzione di Lussemburgo del 1980; la Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli del 1996; la direttiva 2003/9/CE del Consiglio dell'Unione europea del 2003. La Costituzione prevede varie disposizioni che possono essere considerate una forma di tutela concreta per i minori stranieri non accompagnati: nello specifico, gli articoli 2, 3, 29, 30, 31 e 37. A questi si aggiungono l'articolo 33 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione, l'articolo 343 e l'articolo 403 del codice civile che dispongono interventi urgenti di protezione per i minori. A questa normativa vanno aggiunti la circolare del Ministero dell'interno del 1999, il decreto del Presidente del consiglio dei ministri 1999, n. 535, la circolare del Ministero dell'interno del 2000 e una nota del Comitato per i minori stranieri del 2002;
    a questi bambini, minorenni stranieri non accompagnati, va garantito il diritto all'istruzione, sia che siano titolari del permesso di soggiorno sia che non lo siano, perché, in base all'ordinamento vigente, sono anch'essi soggetti all'obbligo scolastico ed hanno il diritto di essere iscritti a scuola; a costoro va, inoltre, garantito il diritto alla salute e, quindi, alle cure necessarie per far fronte a tutte le patologie che dovessero contrarre;
    i bambini hanno una forte capacità di resistenza, ma bisogna guidarli con attenzione in un percorso di recupero, soprattutto in un contesto in cui sono privati dei luoghi e delle attività che, in quanto routinarie, rappresentano delle certezze. Hanno compiuto viaggi durissimi, alcuni di loro hanno perso i propri cari nel drammatico naufragio e ora sono costretti a vivere in un centro in condizioni disastrose;
    l'accoglienza in famiglia non è e non deve essere solo questione di generosità. La legge n. 149 del 2001 stabilisce che «il diritto del minore a vivere, crescere ed essere educato nell'ambito di una famiglia è assicurato senza distinzione di sesso, di etnia, di età, di lingua, di religione e nel rispetto della identità culturale del minore e comunque non in contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento»;
    la situazione a Lampedusa è al collasso ed è chiaro che, in simili circostanze, il primo obiettivo è trasferire i piccoli profughi in ambienti più idonei: si spiega così la scelta di queste ultime ore delle autorità competenti a inserire sei minori sotto i tre anni in comunità educative, anziché in famiglie che si erano rese disponibili;
    ma l'auspicio è che il soggiorno in tali strutture sia una soluzione tampone di brevissima durata, perché i danni che ne avrebbero i minori coinvolti sarebbero ulteriori traumi difficili da superare;
    sono proprio, infatti, costoro le vittime principali del dramma vissuto dai migranti. Ecco perché bisogna uscire dalla logica dell'emergenza e trasferirli in strutture meno precarie dei primi centri di accoglienza, in modo che possano ritrovare il sorriso e la voglia di giocare;
    a metà ottobre 2013, su 1151 presenti nel centro di Lampedusa, 31 avevano tra uno e quattro anni, 78 tra i 5 e i 14 anni, 453 tra i 15 e i 24 anni. Secondo i dati di Save the Children, tra i 30 mila migranti arrivati in Italia nei primi nove mesi dell'anno ben 5800 erano minori,

impegna il Governo:

   a facilitare, per quanto di competenza, l'adozione di questi bambini da parte delle coppie dichiarate idonee all'adozione internazionale;
   ad assumere iniziative per introdurre l'istituto dell'affidamento familiare internazionale, finalizzato al compimento di uno specifico progetto di carattere familiare, umanitario, sanitario, di studio o di formazione professionale, tale da consentire il miglioramento delle condizioni di vita del minore straniero, nonché ad assicurare il suo diritto a vivere, crescere ed essere educato nell'ambito di una famiglia;
   a predisporre una banca dati nazionale con l'elenco delle famiglie pronte all'affido, nonché delle disponibilità delle case famiglia;
   ad istituire una task force in grado di coordinare e gestire lo sforzo delle associazioni, del volontariato e della società civile nell'emergenza attuale, coordinandosi con tutte le realtà territoriali italiane già attive;
   a monitorare i minori in stato di abbandono, al fine di evitare che diventino vittime della tratta, nonché a favorire il rimpatrio assistito nel Paese d'origine (ove sia scelto e possibile);
   a promuovere e a sostenere una rete di famiglie volontarie, pronte a offrire ospitalità e ad accogliere, ove possibile, in affido i bambini orfani e quelli non accompagnati.
(1-00209)
«Binetti, Adornato, Buttiglione, Capua, Caruso, Cera, Cesa, Antimo Cesaro, Cimmino, D'Agostino, Dambruoso, De Mita, Galgano, Gigli, Gitti, Locatelli, Marazziti, Matarrese, Mazziotti Di Celso, Molea, Fitzgerald Nissoli, Oliaro, Piepoli, Sberna, Sottanelli, Schirò, Tinagli, Vargiu, Vitelli».
(17 ottobre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    il 12 giugno 2014, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti, in audizione di fronte al Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, in tema di immigrazione in Italia ha dichiarato che attualmente sono arrivati in Italia 7182 minori stranieri non accompagnati, il numero più grande mai giunto fino ad ora sul nostro Paese. Per sua stessa ammissione, l'attuale situazione rende difficile la sostenibilità dei flussi di minori stranieri non accompagnati poiché «abbiamo un acutizzarsi di questo fenomeno che crea problemi di tenuta del sistema»;
    il numero fornito dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali è sicuramente impressionante ma tristemente non si discosta dalla media annuale: ogni anno, infatti, le comunità di accoglienza per minori in Italia segnalano al Ministero del lavoro e delle politiche sociali – direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione la presenza di circa 7.000 minori stranieri non accompagnati;
    la situazione attuale è realmente drammatica, se solo si pensa che, per quanto riguarda gli arrivi via mare, il 2011 è stato considerato, con «soli» 4.209 minori non accompagnati, un anno talmente drammatico da far dichiarare al Governo italiano lo stato di emergenza umanitaria a causa del considerevole numero di migranti arrivati via mare;
    bisogna, peraltro, tener conto del fatto che il dato fornito non rispecchia la realtà, non computando i minori invisibili, ossia i minori che non accedono al sistema di protezione perché «in transito»: ragazzi, soprattutto afgani, che raggiungono le coste adriatiche, principalmente nascosti a bordo di auto e tir su traghetti provenienti dalla Grecia e che, fin dal loro ingresso in Italia, cercano di non essere identificati in Italia per poter più facilmente raggiungere i Paesi del nord Europa;
    sicuramente il dato più allarmante riguarda il numero dei minori non accompagnati che arrivano via mare, con i cosiddetti sbarchi. Si tratta di minori, in maggioranza di origine eritrea, egiziana, siriana, gambiana, maliana, senegalese e nigeriana, che non hanno cittadinanza italiana o di altri Paesi europei e che si trovano in Italia da soli, senza un adulto di riferimento che sia per loro legalmente responsabile. La maggior parte sono ragazzi che hanno un'età compresa tra i 15 ed i 17 anni;
    si tratta di minori che rischiano la propria vita, come hanno purtroppo dimostrato i naufragi che si sono verificati al largo delle coste di Lampedusa e del Salento. Ma è l'intero viaggio, non solo quello in mare, a esporli a gravi rischi. I minori stranieri non accompagnati che arrivano in Italia hanno, infatti, alle spalle tragitti che talvolta sono durati anni, durante i quali hanno vissuto esperienze drammatiche e traumatiche, subito violenze di ogni tipo e che sentono il peso della responsabilità di dover restituire al più presto la somma di denaro corrispondente al debito contratto personalmente o dalle loro famiglie per compiere il viaggio;
    il Terzo rapporto Anci sui minori stranieri non accompagnati, realizzato dal dipartimento sull'immigrazione dell'Anci, presenta i dati riferiti agli anni 2007/2008 raccolti dall'indagine rivolta a tutti i comuni italiani, a cui hanno risposto «5.784 amministrazioni, il 71,4 per cento del totale». Dai dati diffusi dall'Anci si evince che: «su 5.784 amministrazioni, sono 1.023 i Comuni che hanno dichiarato di aver preso in carico minori non accompagnati per un totale di 7.216 minori presi in carico nell'anno 2008.» e che «a prendere in carico i minori non accompagnati sono principalmente le città con più di 100 mila abitanti (47,5 per cento), ma anche i Comuni medi che ne hanno accolti il 23,2 per cento, e quelli medi e piccoli (13,7 per cento)»;
    si legge, inoltre, nel rapporto Anci che l'aumento maggiore ha riguardato i minori originari dell'Afghanistan che dal 2006 al 2008 sono quasi triplicati (+170 per cento). Consistenti anche gli incrementi di minori che giungono da Paesi africani instabili o in conflitto (Nigeria, Somalia, Eritrea, ecc.) e dunque potenziali richiedenti asilo, ai quali si aggiungono coloro che provengono dall'Egitto. Il Rapporto evidenzia, inoltre, che è diminuito il numero di minori non accompagnati nelle quattro grandi città in cui la presenza è più numerosa (Roma, Milano, Torino e Trieste). Riduzione analoga a Napoli ed anche nelle città medie quali Modena, Reggio Emilia, Parma, Piacenza, Trento, Cremona e Caltagirone. Il numero dei minori aumenta, invece, a Venezia, Ancona e Bologna, così come in altre città medie quali Ravenna, Pesaro, Macerata e Cividale del Friuli;
    come si legge dal rapporto effettuato dall'organizzazione Save the Children, da quasi 10 anni impegnata nella protezione dei minori stranieri non accompagnati anche in Italia, i minori non accompagnati afgani, somali ed eritrei hanno attraversato vari Paesi prima di arrivare in Italia: gli afgani, dopo aver attraversato il Pakistan e l'Iran, sono arrivati in Puglia e in Calabria dalle coste di Grecia e Turchia, mentre i somali hanno attraversato il Kenya e l'Uganda oppure l'Etiopia e, come gli eritrei, anche il Sudan e la Libia prima di arrivare in Sicilia e, per la maggior parte, a Lampedusa. La permanenza, rispettivamente in Grecia e in Libia, ha messo particolarmente a rischio la loro incolumità fisica e psicologica;
    in particolare, i minori non accompagnati afgani sono in prevalenza di etnia hazara e pashtun, anche se negli ultimi mesi si rileva una maggiore incidenza di tajik, e provengono da diverse zone dell'Afghanistan. In particolare, gli hazara provengono dall'Afghanistan centrale, dalle regioni di Ghazani, Bamyan e, soprattutto, Behsood e Quetta City, mentre i pashtun dalle regioni di Baghlan e Jalalabad e i tajik dalla parte occidentale del Paese, da città quali Herat e Kabul. Restano in Grecia in media 8-9 mesi, ma, in alcuni casi, anche più di un anno, dove vivono in condizioni precarie e subiscono violenze, anche da parte della polizia;
    i minori non accompagnati egiziani arrivano principalmente sulle coste orientali della Sicilia, ma anche in Calabria e a volte in Puglia, parendo direttamente dalle coste egiziane e provengono da diversi governatorati. Secondo quanto riportato dagli operatori sul campo di Save the Children, alcuni hanno raccontato di essersi incontrati al Cairo e di aver raggiunto in autobus la località di Rasheed, altri di essere partiti da Kaliopya verso Alessandria nascosti in un camion dove sono stati sistemati in un casolare per circa un giorno. I trafficanti hanno sequestrato loro denaro, cellulari e documenti. Sono stati poi portati a bordo di gommoni con cui hanno raggiunto in piccoli gruppi dei pescherecci che si trovavano al largo delle coste egiziane e poi, nelle vicinanze delle coste italiane, sono stati fatti salire a bordo di imbarcazioni più veloci, mentre i pescherecci hanno fatto ritorno in Egitto;
    alcuni di loro raccontano che il viaggio in mare è durato circa una settimana, durante la quale sono rimasti all'interno della cella frigorifera del peschereccio; il cibo era insufficiente e veniva quindi distribuito loro a giorni alterni;
    la maggior parte dei minori stranieri non accompagnati ha un progetto migratorio ben definito: cercano, per sé e/o per le proprie famiglie, in Italia o, più spesso, in Europa, un futuro migliore di quello che ritengono che il loro Paese di origine possa offrire;
    la condizione dei minori stranieri non accompagnati il più delle volte è triste conseguenza umanitaria della guerra, dalla quale i minori cercano di fuggire nella speranza di una vita migliore;
    non è, dunque, un caso che sempre più spesso arrivino in Italia bambini siriani, il Paese del vicino Oriente dove la morte si conta al ritmo di decine e decine di vittime civili alla settimana. Dalle ultime notizie giunte dal fronte siriano, dove è in corso da mesi la guerra civile iniziata contro il governo di Bashar al-Assad, spicca la denuncia del rapporto annuale dell'Onu, dal titolo «Bambini e conflitti armati». Secondo quanto dichiarano Radhika Coomaraswamy, rappresentante speciale dell'Onu per i bambini coinvolti nei conflitti armati, e Ban Ki-moon, Segretario generale, 1200 bambini hanno già incontrato la morte ma migliaia di essi sono in grave pericolo, anche a causa delle aberranti pratiche dell'esercito regolare siriano e dell'esercito ribelle, l'Els, arrivati a sfruttarli come scudi umani;
    l'attuale normativa italiana a protezione dei minori stranieri non accompagnati è ormai inattuale rispetto all'enorme mole emergenziale che il nostro Paese deve affrontare. Si rendono necessarie pertanto delle migliorie atte a colmare tali lacune e ad aggiornare le procedure d'accoglienza;
    a titolo esemplificativo, l'attuale normativa prevede che i migranti che arrivino via mare o che vengono rintracciati sul territorio debbano essere identificati, tramite registrazione anagrafica delle generalità dichiarate e foto-segnalati dalle autorità di pubblica sicurezza;
    in caso di dubbio circa la maggiore o minore età dichiarata dai migranti, attualmente non viene chiesta e data la possibilità di produrre documenti anagrafici attestanti l'età dichiarata né viene attivato il contatto con le autorità consolari competenti (qualora il migrante non sia anche solo potenzialmente un richiedente asilo), ma si preferisce direttamente sottoporre il migrante ad esami medici, nonostante ampia letteratura medica riconosca che non è in alcun modo possibile stabilire con certezza l'età anagrafica di una persona attraverso esami medici. L'esame radiografico del polso si conferma come lo strumento maggiormente utilizzato, non tanto per la sua efficacia, quanto per il suo basso costo e la rapidità nell'ottenerne l'esito;
    la normativa e le prassi sul territorio nazionale sono dunque disomogenee per quanto riguarda la durata della procedura di identificazione, la presenza di mediatori culturali e la modalità utilizzata per accertare l'età dichiarata dai migranti;
    il rischio del verificarsi di casi di erronea identificazione di minori non accompagnati come maggiorenni è più alto quando le organizzazioni umanitarie non hanno la possibilità di incontrare i migranti prima che vengano adottati nei loro confronti provvedimenti (quali il rimpatrio), circostanza che accade quasi sistematicamente in occasione di arrivi via mare di migranti egiziani e tunisini;
    procura, inoltre, fondato allarme la situazione generale all'interno dei centri per migranti, che versano in una condizione di totale sovraffollamento e promiscuità, a causa della quale non vi è la possibilità di isolare i presunti minori in attesa di trasferimento dagli adulti;
    tale situazione comporta notevoli e preoccupanti risvolti non solo per le condizioni igienico-sanitarie dei centri, ma anche per i profili psicologici, posto che ammassare in condizione inumana i migranti genera un alto livello di tensione che ha fatto registrare negli ultimi mesi gravi episodi di violenza;
    nel tentativo di uniformare le procedure per l'accertamento dell'età utilizzate sul territorio nazionale, nel 2009, a livello interministeriale, è stato prodotto il cosiddetto Protocollo Ascone, che prevede un approccio multidisciplinare in caso di accertamento medico dell'età, il cui contenuto è però rimasto purtroppo, ad oggi, disatteso non essendo state individuate sui territori regionali le strutture che potrebbero svolgere tali esami, né è stata condivisa la garanzia di copertura economica degli stessi;
    la normativa italiana già prevede che i minori non accompagnati non possono essere espulsi e devono essere collocati in un luogo sicuro. Tuttavia, a livello nazionale si rilevano prassi diverse rispetto al soggetto istituzionale che provvede all'individuazione dei posti in accoglienza e al collocamento dei minori non accompagnati in comunità. Inoltre, al fine di individuare i posti disponibili in accoglienza, le autorità che devono provvedere al collocamento in luogo sicuro sono costrette a ricercare un contatto con le comunità di accoglienza, spesso senza neanche disporre di un loro recapito telefonico;
    nonostante nel corso del 2011, durante la cosiddetta emergenza nord Africa, sia stata per la prima volta positivamente sperimentata la possibilità di collocare i minori non accompagnati in comuni e regioni diverse da quelle di sbarco o rintraccio, la ricerca dei posti per l'accoglienza si svolge perlopiù nell'ambito del distretto o, eventualmente, della regione di sbarco o rintraccio, piuttosto che a livello nazionale, anche a causa dell'incertezza rispetto al soggetto istituzionale competente a sostenere i costi della trasferta;
    in questo momento è in discussione presso le competenti Commissioni parlamentari una proposta di legge (A.C. 1658) di matrice trasversale a quasi tutte le componenti politiche, che affronta in maniera corposa la regolamentazione dei minori stranieri non accompagnati, della quale si auspica una celere discussione al fine di disciplinare quanto prima la materia;
    l'articolo 23, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, ha istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali il Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, al fine di assicurare la prosecuzione degli interventi connessi al superamento dell'emergenza umanitaria e consentire nel 2012 una gestione ordinaria dell'accoglienza. Il Fondo, dotato per l'anno finanziario 2013 di venti milioni di euro, costituisce uno strumento per capitalizzare le metodologie e le procedure elaborate ed utilizzate in occasione della cosiddetta emergenza nord Africa, al fine di stabilizzare un sistema più efficace ed efficiente di accoglienza dei minori non accompagnati in situazioni ordinarie. Esso risponde, inoltre, all'impegno assunto dal Governo in sede di Conferenza unificata (riunione del 30 marzo 2011) di individuare risorse stabili e pluriennali destinate al sostegno dell'accoglienza dei minori nelle comunità attraverso i comuni;
    una soluzione condivisibile sarebbe quella di inserire anche nel nostro ordinamento l'affidamento familiare internazionale, non regolamentato dalla normativa italiana. Negli ultimi anni si è, infatti, assistito al fenomeno dei cosiddetti «soggiorni climatici», periodi più o meno lunghi di permanenza nel nostro Paese di minori stranieri presso famiglie ospitanti. Di fatto, queste ipotesi, con il tempo, si sono trasformate in percorsi alternativi alle consuete procedure da seguire per arrivare all'adozione di un bambino, sfruttando le disposizioni normative che consentono l'adozione in deroga alle condizioni stabilite dalla legge quando si sia stabilita con lo stesso una relazione affettiva che, ove interrotta, potrebbe portare a conseguenze negative per il suo sviluppo psico-fisico;
    il Comitato Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza ha specificato che «gli Stati devono assicurare che i bambini separati e non accompagnati abbiano una qualità di vita adeguata al loro sviluppo fisico, mentale, spirituale e morale. Come sancito dall'articolo 27(2) della Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, gli Stati dovranno provvedere all'assistenza materiale e predisporre programmi di sostegno, in particolare per quanto riguarda la nutrizione, il vestiario e l'abitazione»,

impegna il Governo:

   in accordo con i principi e le disposizioni della Convenzione Onu sui diritti del fanciullo (soprattutto gli articoli 2, 3, 22 e 37), e con il rispetto dei bambini, richiedenti o meno asilo, a porre in essere tutte le opportune iniziative atte a creare sufficienti centri speciali di accoglienza riservati ai minori non accompagnati, con particolare attenzione per quelli che sono stati vittime di traffico e/o sfruttamento sessuale;
   ad assicurare, anche con le opportune iniziative normative, che la permanenza in questi centri sia per il minore più breve possibile e che l'accesso all'istruzione e alla sanità sia garantito durante e dopo la permanenza nei centri di accoglienza;
   ad assicurare per il minore straniero non accompagnato l'espletamento di una procedura di accertamento dell'identità certa e uniforme su tutto il territorio nazionale, registrata nelle banche dati degli organi competenti alla gestione delle presenze dei minori stranieri;
   a porre in essere iniziative di formazione ad hoc per il personale (militare e non) impiegato presso i luoghi più strategici per i flussi migratori, come porti e frontiere, in collaborazione con il personale delle organizzazioni non governative accreditate;
   ad adottare, il prima possibile, una procedura armonizzata nell'interesse superiore del bambino per trattare con minori non accompagnati sull'intero territorio nazionale;
   ad assicurare che sia previsto il rimpatrio assistito quando ciò corrisponde al superiore interesse dei bambini, e che sia garantita a questi stessi bambini l'assistenza per tutto il periodo successivo;
   a porre in essere tutte le opportune iniziative volte alla creazione, con l'intervento del Ministero degli affari esteri ed in collaborazione con le organizzazioni non governative accreditate, di percorsi di emigrazione assistiti per quei minori non accompagnati che transitano attraverso l'Italia, manifestando l'intenzione di raggiungere altri Paesi europei dove hanno residenza i loro familiari, al fine di porre in essere gli opportuni controlli che in tal senso eviterebbero a questi minori viaggi rischiosissimi e l'incertezza del futuro;
   a condividere con il Parlamento quanto prima un'agenda europea per il semestre di Presidenza italiana che ponga, come prioritario punto, una collaborazione concreta in merito alla condivisione delle risorse finanziarie, alle operazioni di salvataggio e sicurezza, ai percorsi di emigrazione assistiti e agli strumenti normativi comuni, anche mediante appositi accordi con i Paesi del nord Africa, al fine di dare adeguata assistenza ai minori stranieri non accompagnati;
   ad intraprendere tutte le opportune iniziative per agevolare l'inserimento nel nostro ordinamento dell'istituto dell'affidamento familiare internazionale e per creare, quanto prima, le migliori condizioni per garantire ai minori stranieri il rispetto del diritto a vivere e crescere in una famiglia.
(1-00497) «Palese, Centemero, Carfagna».
(16 giugno 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    ogni anno, secondo le statistiche ufficiali, arrivano in Italia circa 7.000 minori stranieri soli, lontani dalla famiglia e senza adulti di riferimento, ma questa cifra è da ritenersi sottostimata, in quanto si riferisce ai soli minori non accompagnati identificati, mentre esiste un numero non quantificabile di minori non identificati;
    nell'ambito delle migrazioni, essi rappresentano un gruppo particolarmente vulnerabile, infatti, i minori stranieri hanno alle spalle viaggi che talvolta sono durati anni e arrivano in Italia dopo aver vissuto anche violenze di ogni tipo e con il problema di dover restituire il denaro che si sono fatti prestare per il viaggio e questa diventa occasione per diventare preda dei circuiti di illegalità, soprattutto quando non si attiva, fin dal loro arrivo, una rete coordinata di protezione e di sostegno efficace ed efficiente;
    i minori stranieri, anche se entrati regolarmente in Italia, sono titolari di tutti i diritti sanciti dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, ratificata in Italia e resa esecutiva con la legge n. 176 del 1991, che stabilisce che in tutte le decisioni riguardanti i minori deve essere tenuto in conto, come considerazione preminente, il superiore interesse del minore, (principio del «superiore interesse del minore») e che i principi da essa sanciti devono essere applicati a tutti i minori senza discriminazioni (principio di «non discriminazione»);
    la Convenzione sui diritti del fanciullo riconosce a tutti i minori un'ampia serie di diritti, tra cui il diritto alla protezione, alla salute, all'istruzione, all'unità famigliare, alla tutela dallo sfruttamento e alla partecipazione;
    l'Italia ha anche provveduto a ratificare e rendere esecutiva, con la legge 20 marzo 2003, n. 77, la Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli di Strasburgo del 25 gennaio 1996;
    negli ultimi anni, il flusso maggiore di minori stranieri non accompagnati ha riguardato in particolare quelli provenienti dall'Afghanistan, dal Bangladesh, dall'Egitto, dalla Tunisia, dalla Nigeria, dalla Somalia e dall'Eritrea e, in questi ultimi mesi, anche dalla Siria;
    si tratta soprattutto di adolescenti tra i 15 e i 17 anni di età, prevalentemente maschi, ma si registrano anche ragazzi e ragazze di 13-14 anni; le ragazze, in particolare, provengono dalla Nigeria. Secondo gli ultimi dati ufficiali disponibili forniti dal Ministero dell'interno ai partner del progetto Praesidium (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, l'Organizzazione internazionale per le migrazioni, Save the Children e Croce Rossa), aggiornati al 6 settembre 2013, nei primi otto mesi del 2013 sono giunti via mare in Italia 4.050 minori, per la maggior parte non accompagnati;
    un altro dato utile a comprendere l'entità di questo fenomeno riguarda il numero dei minori non accompagnati che arrivano sulle coste italiane in modo più visibile, ovvero, via mare (con i cosiddetti «sbarchi»); ogni anno, secondo le statistiche ufficiali, sono in media circa 2.000, pari al 10-15 per cento dei migranti in arrivo via mare. Anche in questo caso i minori non accompagnati rischiano la propria vita, come hanno purtroppo dimostrato i naufragi che si sono verificati al largo delle coste di Lampedusa e del Salento;
    nel 2012 sono stati 13.267 i migranti arrivati via mare lungo le coste italiane, di cui la maggior parte in Sicilia (6.444) e, in particolare, sull'isola di Lampedusa (5.034). Le donne sono state 1.136 e i minori 2.279, di cui 1.999 non accompagnati;
    secondo i dati ufficiali dall'inizio del 2013 al giorno 8 luglio 2013, risultano essere arrivati via mare sulle coste italiane 9.070 migranti, di cui 799 donne e 1.424 minori, per la maggior parte (1.257) non accompagnati. Nello stesso periodo del 2012 gli arrivi via mare erano stati circa la metà sia complessivamente (4.515), che di donne (322) e minori (776, di cui 628 non accompagnati);
    sulla base di segnalazioni provenienti dalle comunità, sono circa 1400 i minori non accompagnati che sarebbero irreperibili, in particolare si tratta di minori afgani, egiziani e somali;
    le regioni dove si segnala la presenza del più alto numero di minori irreperibili sono la Sicilia, la Puglia e la Calabria;
    nonostante il notevole afflusso di minori stranieri non accompagnati, l'Italia continua ad affrontare l'accoglienza di questi minori stranieri in termini di emergenza, senza aver proceduto ad una chiara definizione di competenze e di responsabilità degli attori coinvolti. Esistono in Italia esperienze di eccellenza nell'accoglienza dei minori migranti ma, nonostante l'impegno di molti sia all'interno delle istituzioni che nelle reti associative e di volontariato, ancora oggi i diritti essenziali dei minori stranieri non accompagnati non sono sempre rispettati: dal diritto al riconoscimento della minore età a quello ad un'accoglienza decorosa, dal diritto alla nomina di un tutore alla possibilità di essere ascoltati nelle scelte che li riguardano;
    le associazioni impegnate nella protezione dei minori stranieri non accompagnati hanno accumulato un'esperienza diretta che ha consentito loro di rilevare fondamentali carenze e disfunzioni nell'accoglienza e nella protezione di questi minori;
    le carenze e disfunzioni devono essere affrontate in tempi rapidi con l'adozione di una disciplina organica in materia e un'omogenea applicazione delle norme che garantiscano uguali tutele in tutto il territorio nazionale;
    la stessa Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, a seguito di un'indagine conoscitiva, aveva approvato, il 21 aprile 2009, una risoluzione avente ad oggetto i minori stranieri non accompagnati che conteneva alcuni importanti impegni per il Governo, riferiti direttamente alla necessità di sciogliere i maggiori nodi critici emersi dalle prime risultanze dell'indagine;
    in particolare, l'indagine conoscitiva aveva evidenziato una situazione di notevole gravità sociale relativamente ai fenomeni riscontrati, imponendo alla Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza l'urgenza di individuare al più presto strumenti immediati atti a garantire un'efficace tutela di questi minori, accertando tutte le eventuali responsabilità connesse alla loro incerta sorte e alla prevaricazione dei loro più elementari diritti di soggetti deboli;
    è necessario, quindi, definire un sistema stabile di accoglienza, con regole certe, volto a garantire pari condizioni di accesso a tutti i minori stranieri non accompagnati, maggiore stabilità e qualità nella rete di accoglienza, ottimizzazione delle risorse pubbliche, dal momento che è noto che, nelle fasi di emergenza, cresce anche la spesa e diviene più difficile garantire efficienza e trasparenza;
    appaiono improcrastinabili tra l'altro:
     a) la necessità di uniformare le procedure di identificazione e di accertamento dell'età;
     b) l'istituzione di un sistema nazionale di accoglienza, con un numero adeguato di posti e con standard qualitativi garantiti;
     c) l'attivazione di una banca dati nazionale per disciplinare l'invio dei minori che giungono in Italia nelle strutture di accoglienza dislocate in tutte le regioni, sulla base delle disponibilità di posti e di eventuali necessità e bisogni specifici degli stessi minori;
     d) la continuità e certezza del finanziamento di un fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati che non gravi sui bilanci dei comuni e che sia una delle voci del Fondo nazionale per le politiche sociali;
     e) la partecipazione attiva e diretta dei minori stranieri non accompagnati a tutti i procedimenti che li riguardano, nel rispetto dei principi della Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu) sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, resa esecutiva dalla legge n. 176 del 1991;
     f) la promozione della presa in carico e di un sostegno continuativo dei minori stranieri in condizioni di particolare vulnerabilità, quali, ad esempio, quelli vittime di tratta e di sfruttamento, richiedenti asilo e altri;
     g) il sostegno organico all'integrazione sociale, scolastica e lavorativa dei minori stranieri non accompagnati anche vicini al compimento della maggiore età;
     h) il coinvolgimento attivo delle comunità nell'accoglienza e nell'integrazione dei minori stranieri non accompagnati, sviluppando l'affido familiare come alternativa alla comunità e la figura dei tutori volontari in rete con i garanti per l'infanzia e l'adolescenza,

impegna il Governo:

   a superare l'approccio emergenziale alla questione dei minori stranieri non accompagnati, anche attraverso un'iniziativa normativa che affronti organicamente la questione dei minori non accompagnati e che preveda in particolare:
    a) un sistema di protezione per tutti i minori, colmando le lacune che l'acuirsi del fenomeno migratorio dei minori ha evidenziato, rafforzando il sistema di tutela dei diritti e rispondendo agli specifici bisogni dei minori migranti;
    b) l'applicazione della definizione di minori stranieri non accompagnati anche ai minori richiedenti protezione internazionale, in linea con la risoluzione n. 97/C 211/03 del Consiglio del 26 giugno 1997 in materia, minori finora non considerati di competenza del Comitato per i minori stranieri, le cui funzioni sono state recentemente trasferite alla direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
    c) il divieto del respingimento alla frontiera dei minori non accompagnati, prevedendolo esclusivamente nei casi in cui sia nel loro superiore interesse e sia finalizzato al riaffidamento ai familiari;
    d) le modalità di contatto e di informazione nei riguardi dei minori stranieri non accompagnati, presso i valichi di frontiera, garantendo l'accesso alle organizzazioni di tutela anche ai presunti minori prima della loro identificazione e assicurando, inoltre, a tutti i presunti minori un servizio di prima assistenza, che faccia fronte, anche prima dell'identificazione, ai bisogni primari degli stessi, nonché il collocamento in una struttura adeguata nelle more della definizione delle operazioni di identificazione;
    e) l'armonizzazione del sistema delle segnalazioni della presenza di un minore nel territorio, affinché gli uffici di frontiera segnalino, al pari dei pubblici ufficiali, la presenza di minori stranieri non accompagnati alle autorità competenti, tra cui il tribunale per i minorenni, chiamato ad adottare opportuni provvedimenti temporanei nell'interesse dello stesso minore;
    f) una procedura di identificazione omogenea sul territorio ed adatta all'età del presunto minore, che: in particolare, si basi su un approfondito colloquio personale e che, in caso di dubbio sull'età, consenta di esperire ogni opportuno tentativo di identificare la persona senza ricorrere a procedure mediche; preveda che le eventuali procedure mediche possano essere disposte dall'autorità giudiziaria solo come extrema ratio e, in tal caso, che il presunto minore sia sempre informato e acconsenta a sottoporsi agli esami medici, così come la persona che esercita i poteri tutelari sullo stesso; preveda che l'accertamento dell'età avvenga secondo un approccio multidisciplinare; stabilisca che il referto medico riporti un range di età, non potendo, come gli studi scientifici dimostrano, l'età essere determinata esattamente attraverso nessun esame medico, né tantomeno attraverso un insieme di esami medici; preveda che la pubblica autorità emetta un provvedimento di attribuzione dell'età, ricorribile al pari degli altri provvedimenti amministrativi o giudiziali, sancendo il principio, già richiamato da atti amministrativi, della presunzione della minore età in caso permangano dubbi anche dopo gli accertamenti medici, in linea con quanto già disposto in tal senso dalle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988 in materia di procedimento penale a carico di imputati minorenni;
    g) l'attivazione di indagini famigliari non solo in Italia, ma anche in altri Paesi europei o in Paesi terzi, stabilendo che l'affidamento a familiari idonei sia sempre preferito al collocamento in comunità;
    h) la promozione dell'istituto dell'affidamento familiare di cui alla legge n. 184 del 1983 anche per i minori non accompagnati;
    i) la disciplina dell'istituto del rimpatrio assistito, spostando la competenza all'adozione del provvedimento dalla direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali al tribunale per i minorenni, che è l'organo a cui la Costituzione assegna istituzionalmente il compito di promuovere e di tutelare il superiore interesse dei minori;
    l) che il minore straniero non accompagnato sia dotato di una «storia personale» nel territorio italiano, per permettere a ogni operatore che entra in contatto con lo stesso di prendere decisioni in linea con il percorso già fatto e per evitare di sottoporre il minore a procedure alle quali è già stato sottoposto, fatta salva comunque la tutela espressa dalla normativa in vigore sulla privacy;
    m) la disciplina organica del rilascio del permesso di soggiorno per i minori, che può essere concesso anche prima della nomina formale del tutore e che deve essere rilasciato «per motivi familiari» quando il minore non è collocato in una casa-famiglia, ma è affidato a un cittadino italiano o straniero, abrogando contestualmente il permesso di soggiorno previsto per i progetti di integrazione sociale e civile gestiti da un ente pubblico o privato, istituito dall'articolo 25 della legge n. 189 del 2002;
    n) l'adozione di una disciplina organica e omogenea che garantisca uguali tutele su tutto il territorio nazionale, definendo, al contempo, un sistema stabile di accoglienza con regole certe, volto a garantire: condizioni di accesso a tutti i minori stranieri non accompagnati; stabilità e qualità nelle rete di accoglienza; ottimizzazione delle risorse pubbliche;
    o) l'istituzione di elenchi di tutori volontari presso ogni tribunale ordinario, al fine di scongiurare la cattiva prassi segnalata da diversi territori di un tutore che ha in carico decine di minori stranieri non accompagnati;
    p) l'istituzione del sistema nazionale di accoglienza per i minori stranieri non accompagnati, finalizzando il sistema medesimo a garantire per ogni minore una valutazione approfondita in merito al luogo dove può essere collocato, facendo sì che le strutture deputate all'accoglienza prevedano servizi specifici rispondenti ai bisogni precipui dei minori non accompagnati;
    q) lo snellimento degli adempimenti e l'indicazione di tempi certi della pubblica amministrazione nel rilascio del parere necessario alla conversione del permesso di soggiorno al compimento della maggiore età;
    r) il recepimento dell'accordo Stato-regioni che prevede l'iscrizione al Servizio sanitario nazionale anche per i minori privi di permesso di soggiorno, stabilendo procedure operative per l'attuazione di tale misura;
    s) misure per favorire l'esercizio del diritto all'istruzione per i minori non accompagnati, prevedendo che possano conseguire il titolo di studi, anche quando sono divenuti maggiorenni nelle more del percorso di istruzione, nonché per sostenere accordi tesi alla promozione dell'apprendistato;
    t) anche per i minori stranieri non accompagnati, un sistema di giustizia child friendly, come raccomandato dalle linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa del 17 novembre 2010, al fine di promuovere una partecipazione attiva degli stessi minori in tutti i procedimenti giurisdizionali e amministrativi che li riguardano;
    u) il rafforzamento del sistema di protezione per i minori stranieri non accompagnati maggiormente vulnerabili, vittime di tratta, richiedenti protezione internazionale e minori coinvolti in attività illecite, per i quali prevedere misure specifiche di tutela, in relazione all'accoglienza, che è garantita anche ai minori autori di reato che partecipano attivamente a un percorso di reinserimento sociale, ai servizi offerti e ai procedimenti giudiziari e amministrativi che li riguardano;
    v) la promozione dell'intervento in giudizio delle associazioni di tutela, anche per l'annullamento di atti illegittimi che riguardano minori stranieri non accompagnati;
    z) la costituzione di un tavolo tecnico avente finalità di indirizzo delle politiche di protezione e tutela dei minori stranieri non accompagnati, composto da rappresentanti di tutte le autorità interessate, nonché da rappresentanti delle organizzazioni di tutela e delle comunità di accoglienza;
    aa) la promozione della cooperazione internazionale ed europea al fine di armonizzare i sistemi di protezione dei minori stranieri non accompagnati nei diversi Stati di origine, di transito e di destinazione;
    bb) l'incremento in maniera sostanziale del Fondo nazionale per i minori stranieri non accompagnati oggi finanziato con risorse insufficienti e soggette a spending review.
(1-00498)
«Dall'Osso, Lupo, Sorial, Silvia Giordano, Mantero, Cecconi, Baroni, Di Vita, Grillo, Lorefice».
(16 giugno 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    con il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero», si disciplinano, tra l'altro, le modalità di soggiorno dei minori stranieri sul territorio dello Stato;
    tra le norme vigenti nell'ordinamento italiano si prevede che i minori non accompagnati che arrivano nel territorio nazionale vengano accolti nei centri di primo soccorso e accoglienza, identificati e lì ospitati non oltre 48 ore e destinati poi a strutture di accoglienza;
    il quadro normativo di riferimento per la tutela dei diritti dei minori è costituito dalla Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176;
    nell'ambito delle migrazioni, i minori stranieri non accompagnati rappresentano un gruppo particolarmente vulnerabile. Essi hanno alle spalle viaggi talvolta di anni, arrivano in Italia spesso dopo aver vissuto violenze di ogni tipo e con il problema di dover restituire il denaro prestato loro per il viaggio. Possono essere – e purtroppo sono – facile preda dei circuiti di illegalità, soprattutto se non si attiva, fin dal momento del loro arrivo, una rete coordinata di protezione e di sostegno;
    da molti anni l'Italia affronta l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati in termini di emergenza, senza una chiara definizione di competenze e di responsabilità degli attori coinvolti. Esistono in Italia esperienze di eccellenza nell'accoglienza dei minori migranti, ma, nonostante l'impegno di molti sia all'interno delle istituzioni che nelle reti associative e di volontariato, ancora oggi i diritti essenziali dei minori stranieri non accompagnati non sono sempre rispettati: dal diritto al riconoscimento della minore età a quello ad un'accoglienza decorosa, dal diritto alla nomina di un tutore alla possibilità di essere ascoltati nelle scelte che li riguardano;
    secondo i dati del Ministero dell'interno, dal 1o gennaio 2014 al 31 maggio 2014 sono stati 41.243 i migranti arrivati via mare, per la maggior parte eritrei (13.002), siriani (6.620) e maliani (4.314); i minori arrivati sono stati 6.722, di cui 4.598 non accompagnati, per la maggior parte di nazionalità eritrea (1.709), somala (679) ed egiziana (516), e 2.124 accompagnati, per la maggior parte siriani (1.542) ed eritrei (206);
    ancora nell'aprile 2009 la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, a seguito di un'indagine conoscitiva, aveva approvato una risoluzione avente ad oggetto i minori stranieri non accompagnati che conteneva alcuni importanti impegni per il Governo, riferiti direttamente alla necessità di sciogliere i maggiori nodi critici emersi dalle prime risultanze dell'indagine. In particolare, l'indagine conoscitiva aveva evidenziato una situazione di notevole gravità sociale relativamente ai fenomeni riscontrati, imponendo alla Commissione l'urgenza di individuare al più presto strumenti immediati atti a garantire un'efficace tutela di questi minori, accertando tutte le eventuali responsabilità connesse alla loro incerta sorte e alla prevaricazione dei loro più elementari diritti di soggetti deboli;
    il 12 giugno 2014 il Senato della Repubblica ha approvato la mozione «Mare nostrum», nella quale si evidenzia che lo scenario internazionale non fa presagire alcun rallentamento dei flussi migratori nel Mediterraneo. Lo stesso Ministro dell'interno, nel corso dell'audizione del 28 maggio 2014 al Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione, ha asserito che, al netto della doverosa cautela derivante dalla variabilità dei fattori che possono incidere sulla dimensione quantitativa dei flussi migratori, «è un dato di fatto che, con l'accentuarsi dell'instabilità politica del Nord Africa e della situazione di frammentarietà che ha caratterizzato le condizioni della Libia, ancora priva di un interlocutore di Governo affidabile, i fattori di pushing immigration restano attestati su valori molto alti». È ragionevole, pertanto, prevedere che, per il 2014, il trend degli sbarchi continui ad essere in forte crescita e che proseguano, pertanto, le gravissime difficoltà di gestione, come confermato, del resto, dal salvataggio di circa 5.000 migranti avvenuto soltanto nelle ultime settimane;
    la stessa rilevazione di dati precisi è di difficile effettuazione, stante l'impossibilità di censire con celerità soprattutto i minori stranieri non accompagnati che giungono sul territorio italiano e di cui spesso si perdono le tracce;
    l'ultimo rapporto (il quinto) relativo agli anni 2011-2012 sui minori stranieri non accompagnati, che l'Anci ha commissionato nel 2014 a Cittaitalia, rivela che i minori stranieri non accompagnati in Italia, il cui numero è in continua crescita, costituisce un'ennesima «emergenza», che ancora una volta costringe a inseguire la realtà dei bisogni immediati delle persone da accogliere, con il rischio di allontanare sine die il tempo della programmazione strategica e dell'articolazione di strumenti di carattere ordinario che favoriscano i processi di accoglienza e integrazione;
    il rapporto rileva che i Paesi di provenienza sono più eterogenei, con una netta diminuzione degli arrivi da altri Paesi europei, mentre è in crescita la componente di minori in arrivo dal continente africano, ma anche da Bangladesh e Afghanistan. Conseguentemente, è cresciuto significativamente il numero di minori richiedenti asilo, che nell'indagine risulta essere pari a quasi il 17 per cento dei minori stranieri soli contattati o presi in carico dagli enti locali. Analizzando nel loro complesso tutti questi elementi, appare piuttosto evidente che si vada profilando, sempre più, una realtà nella quale i minori non accompagnati rappresentano una componente del più vasto fenomeno migratorio, ma, più specificamente, della migrazione di categorie particolarmente vulnerabili;
    la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza ha più volte denunciato la condizione dei minori stranieri non accompagnati nel territorio italiano e ha raccolto elementi di grave allarme sociale legati alla pericolosità dell'azione della microcriminalità e delle organizzazioni mafiose, con particolare riferimento alla prostituzione minorile e al lavoro nero;
    tra le proposte avanzate nel documento della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza adottato nella XVI legislatura vi sono: la creazione di una task force in grado di procedere tempestivamente all'identificazione dei minori stranieri non accompagnati; l'espletamento di una procedura certa e uniforme di identificazione; la promozione di collaborazioni bilaterali tra l'Italia e i Paesi di provenienza; il rifinanziamento del programma nazionale di protezione dei minori stranieri non accompagnati gestito dall'Anci; l'attivazione di procedura di affidamento familiare temporaneo secondo le norme previste in materia dall'ordinamento;
    il rapporto dell'Anci riporta che nel biennio 2011-2012 i minori stranieri non accompagnati contattati o presi in carico sono stati nel 54,9 per cento dei casi accompagnati ai servizi dalle forze dell'ordine, il 15,6 per cento circa da parenti, poco meno del 5 per cento da connazionali, mentre quasi il 9 per cento si presenta autonomamente. Se si guarda, invece, ai dati in riferimento alle regioni si registrano in Veneto (69,6 per cento), Friuli-Venezia Giulia (66,7 per cento), Lazio (63 per cento) e Sicilia (61,7 per cento) le percentuali più alte di minori portati ai servizi dalle forze dell'ordine. Mentre la percentuale più alta di minori che si recano ai servizi insieme ai parenti si registra in Piemonte con il 41 per cento, seguito dalla Toscana con il 33,3 per cento, mentre in Basilicata con il 33,3 per cento si concentra la più alta percentuale di minori segnalati ai servizi da parte della procura o del tribunale. È da sottolineare il fatto che nel 2011 il numero dei minori stranieri non accompagnati, contattati o presi in carico dai servizi sociali dei comuni è cresciuto rispetto al 2010 (+100,5 per cento), rimanendo pressoché stabile l'anno successivo. Un incremento che ha comportato l'attivazione di interventi, attività e servizi a favore di 9.197 minori nel 2011 e di 9.104 nel 2012. Rispetto agli anni precedenti, inoltre, nel corso dei quali la quota più alta di minori presi in carico si trovava nel Centro-Nord, nel 2012, invece, questa si concentra nel Centro-Sud dove si trova il 71 per cento dei giovani stranieri seguiti dai servizi sociali territoriali. Nello specifico nelle quattro regioni di Lazio (35,1 per cento per cento del totale, con 3.192 minori contro gli 892 del 2010), Puglia (12 per cento, da 422 a 1.089), Sicilia (11,7 per cento, da 301 a 1.061) ed Emilia-Romagna (10 per cento, da 783 a 914 minori) si è registrata la più elevata percentuale di minori presi in carico nel 2012;
    secondo la stima di Save the children e i dati parziali forniti dalle autorità competenti, dal 1o giugno 2014 al 10 giugno 2014 sono arrivati via mare circa 11.312 migranti, per la maggior parte eritrei, siriani e sub sahariani, di cui almeno 813 donne e 1.315 minori (608 accompagnati e circa 707 non accompagnati);
    complessivamente, dunque, dall'inizio del 2014 al 10 giugno 2014 sono almeno 52.500 i migranti arrivati via mare, di cui almeno 8.000 minori, per la maggior parte (almeno 5.300) non accompagnati;
    al 3 giugno 2014 i minori non accompagnati in attesa di accoglienza erano 557, di cui 94 in centri per adulti (la maggior parte presso il centro di primo soccorso e accoglienza di Pozzallo) e gli altri 463 in strutture adibite alla prima accoglienza dei minori nella provincia di Siracusa;
    nel maggio 2014 il presidente della Commissione regionale antimafia siciliana, Nello Musumeci, ha lanciato un gravissimo allarme relativo alla fuga dai centri di prima accoglienza dell'isola di 1.030 minori immigrati, che rischiano di cadere nella rete della criminalità. Secondo il presidente «i ragazzi e le ragazze, quasi tutti in età adolescenziale, dopo aver vagato nei primi giorni per centri abitati e campagne, finiscono quasi sempre nelle mani di spregiudicati, non solo loro connazionali, dediti allo sfruttamento della prostituzione, allo spaccio di droga o al lavoro stagionale nei campi agricoli, vittime del caporalato». «Il dato – spiega Musumeci – è quello ufficiale trasmesso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e si riferisce ai minori non accompagnati sbarcati negli ultimi mesi sulle nostre coste e non identificati in tempo o registrati con false generalità, quasi sempre senza neppure essere sottoposti a visita medica». «Si rendono irreperibili subito dopo l'accesso al centro di prima accoglienza e della loro sorte non si saprà mai nulla». Secondo Musumeci, «solo una minima percentuale dei minori allontanatisi attraversa lo Stretto per tentare di raggiungere i genitori in altre parti della penisola. Il resto degli immigrati è condannato in Sicilia ad una vita di stenti, sfruttamenti ed espedienti»,

impegna il Governo:

   a ricercare una soluzione che non sia di tipo emergenziale ma affronti in maniera organica – anche sul piano normativo – il problema dei minori stranieri non accompagnati, nel rispetto delle norme internazionali, quali la Convenzione Onu sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, che vincola i Paesi sottoscrittori, tra l'altro, a riconoscere il diritto di non discriminazione (articolo 2), ad adottare ogni misura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per tutelare il fanciullo contro ogni forma di violenza, di oltraggio o di brutalità fisiche o mentali, di abbandono e di negligenza, di maltrattamenti o di sfruttamento, compresa la violenza sessuale (articolo 19), a riconoscere il diritto dei fanciulli ad ottenere il più alto standard possibile di cure mediche, protezione sociale ed istruzione (articoli 20, 28 e 29) e ad assicurare il diritto di protezione (articoli 19, 22, 30, 38);
   ad assumere iniziative per approvare al più presto una normativa organica sul tema dei minori stranieri non accompagnati;
   ad uniformare le procedure di identificazione e di accertamento dell'età, ad istituire un sistema nazionale di accoglienza ampliando il numero di posti previsti dal Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) e ad attivare una banca dati nazionale per disciplinare l'invio dei minori che giungono in Italia nelle strutture di accoglienza dislocate in tutte le regioni, sulla base delle disponibilità di posti e di eventuali necessità e bisogni specifici degli stessi minori;
   ad assumere iniziative per prevedere, comunque, la continuità del finanziamento di un fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati che non gravi sui bilanci dei comuni;
   a prevedere la partecipazione attiva e diretta dei minori stranieri non accompagnati a tutti i procedimenti che li riguardano, nel rispetto dei principi della Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza;
   a favorire la promozione della presa in carico e di un sostegno continuativo dei minori stranieri in condizioni di particolare vulnerabilità (vittime di tratta e di sfruttamento, richiedenti asilo e altri) ed il sostegno organico all'integrazione sociale, scolastica e lavorativa dei minori stranieri non accompagnati, anche vicini al compimento della maggiore età;
   ad incentivare il coinvolgimento attivo delle comunità nell'accoglienza e nell'integrazione dei minori stranieri non accompagnati, sviluppando l'affido familiare come alternativa alla comunità e la figura dei «tutori volontari» in rete con i garanti per l'infanzia e l'adolescenza;
   a favorire le attività per il ricongiungimento dei minori con i loro genitori allorquando giunti sul territorio italiano;
   a sostenere a livello europeo, in particolare con l'avvio del semestre di presidenza italiano dell'Unione europea, la predisposizione di un piano europeo di accoglienza e inserimento nei diversi Paesi di destinazione di migranti, richiedenti asilo e protezione, nonché di trasporto sicuro nella traversata del Mediterraneo e poi nel raggiungimento delle destinazioni finali spesso diverse dall'Italia, anche attraverso la revisione delle norme del regolamento (UE) n. 604/2013 (cosiddetto Dublino III), con particolare riguardo ai minori stranieri non accompagnati, che prevede a possibilità di trasferimento dei minori presso parenti (non solo genitori) residenti in altri Paesi;
   a prevedere, per quanto di competenza, misure stringenti di controllo e di accelerazione delle operazioni di prima identificazione dei minori stranieri non accompagnati, al fine di impedire che tali minori, resi «invisibili», finiscano nelle mani della criminalità organizzata o nella tratta di esseri umani.
(1-00501)
«Zampa, Iori, Patriarca, La Marca, Scuvera, D'Incecco, Marco Di Maio, Gasparini, Antezza, Grassi, Albini, Miotto, Quartapelle Procopio, Piccione, Tidei, Capone, Amoddio, Paola Bragantini, Roberta Agostini, Chaouki, Carnevali, Beni, Zanin».
(16 giugno 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    l'eccezionale afflusso di migranti sul territorio nazionale, con sbarchi ormai quotidiani sulle coste, principalmente siciliane (sono oltre 50 mila le persone sbarcate dall'inizio del 2014), porta nel nostro Paese migliaia di persone disperate, il 73 per cento delle quali ha diritto a fare richiesta di asilo secondo la Convenzione di Ginevra, oltre che secondo la Costituzione e le leggi italiane. La gran parte di essi sono profughi, sono rifugiati, sono persone che scappano da guerre, persecuzioni e sono donne che sono state vittime di abusi;
    tra questi migranti, moltissimi sono minori e di questi una buona parte sono minori non accompagnati;
    in base alla legislazione nazionale per «minori stranieri non accompagnati» si intendono i minorenni non aventi cittadinanza italiana o di altri Stati dell'Unione europea che, non avendo presentato domanda di asilo politico, si ritrovano per qualsiasi causa nel territorio dello Stato privi d'assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o d'altri adulti per loro legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell'ordinamento italiano. In tale definizione rientrano sia i minori soli che quelli che vivono con adulti diversi dai genitori che non ne siano tutori o affidatari in base a un provvedimento formale;
    secondo i dati delle Nazioni Unite, nel 2013 i migranti nel mondo sono stati 232 milioni di persone, pari al 3,2 per cento della popolazione globale, contro 175 milioni nel 2000 e 154 milioni nel 1996;
    si calcola che siano 33 milioni i migranti di età inferiore ai 20 anni (il 16 per cento di tutte le persone migranti), di cui 11 milioni hanno un'età compresa tra i 15 e i 19 anni e, all'interno di questo processo migratorio, i minori non accompagnati, negli ultimi anni, sono notevolmente aumentati;
    anche nel nostro Paese i minori stranieri, e quelli non accompagnati in particolare, costituiscono una realtà sempre più importante, dalle caratteristiche molto variegate. Ciò comporta anche la difficoltà di quantificare con precisione il fenomeno;
    in Italia, secondo i dati forniti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali nel consueto report bimestrale, i minori non accompagnati non richiedenti asilo segnalati alla fine di marzo 2014 erano 7.865, di cui 1.966 irreperibili;
    giunto nel nostro Paese, qualora venga individuato o si presenti spontaneamente alle autorità competenti, il minore viene segnalato al Comitato per i minori stranieri (l'organo competente a vigilare sul soggiorno dei minori stranieri temporaneamente ammessi sul territorio nazionale, nonché a coordinare le attività delle amministrazioni coinvolte), dotato di un permesso di soggiorno per minore età, come previsto dalla legge, e introdotto nei centri di prima accoglienza per un periodo relativamente breve, previsto per un massimo di quaranta giorni ma che molto spesso si protrae per alcuni mesi;
    negli ultimi anni per fronteggiare la situazione di emergenza si è assistito al moltiplicarsi dei cosiddetti «centri informali», centri di prima accoglienza attivati dai prefetti in luoghi – come per esempio palestre e palasport – spesso non adatti a ricevere ed ospitare degnamente e per periodi medio-lunghi un numero consistente di persone;
    sotto questo aspetto, il 16 maggio 2014, l'Assemblea della Camera dei deputati ha discusso e votato alcune mozioni concernenti iniziative relative all'operazione Mare Nostrum. Tra queste, è stata approvata la mozione n. 1-00466 del gruppo Sinistra Ecologia Libertà, che impegnava il Governo, tra l'altro, e proprio con riferimento ai minori non accompagnati, ad implementare con la massima priorità il sistema di accoglienza dei sopradetti minori, impedendo che tali soggetti possano essere posti, anche temporaneamente, in «centri informali» di grandi dimensioni, garantendo loro una rete di protezione che preveda tutele particolari riconosciute ai minori a garanzia della loro particolare vulnerabilità;
    la situazione dei centri di prima accoglienza per minori non accompagnati è drammatica: sempre più spesso i minori vengono tradotti in strutture di prima accoglienza al collasso e impreparate ad un sostegno specifico. I tempi di trasferimento in comunità idonee ad accogliere i minori sono lunghi e numerose sono le fughe dai sopradetti centri di accoglienza per minori, con la conseguenza che il nostro Paese perde le tracce di gran parte dei minori che sbarcano sulle coste italiane;
    è evidente, infatti, come sia estremamente critica la fase del loro primo inserimento nella società civile, che li espone inevitabilmente a gravi rischi di sfruttamento da parte della criminalità, oltre che per la loro stessa incolumità;
    qualunque previsione di un rientro del minore straniero nel Paese di origine deve essere valutata sulla base di un attento esame dei fattori di rischio e di accurati accertamenti circa l'identità del minore, la sua rete familiare di riferimento, il suo percorso migratorio e la sicurezza che il minore non cada in circuiti di tratta e sfruttamento;
    un minore straniero non accompagnato dovrebbe avere la possibilità di poter restare nel Paese ospite e il permesso di soggiornare temporaneamente nel Paese ospite non dovrebbe essere inteso solo come una procedura amministrativa che può essere interrotta bruscamente quando il minore compie i 18 anni;
    il fenomeno per il quale molti minori si allontanano senza lasciare traccia dalle strutture di ospitalità per loro previste impone, di conseguenza, l'individuazione di efficaci strumenti di contrasto alla loro scomparsa e alla tutela dei loro diritti fondamentali. Va sottolineato come una delle ragioni dell'allontanamento di questi giovani dalle comunità che li ospitano è da rinvenirsi anche nelle poche risorse finanziarie assegnate ai comuni e, conseguentemente, ai relativi centri di prima accoglienza;
    peraltro, i comuni hanno sempre maggiore difficoltà a far fronte agli oneri derivanti dalla sempre maggiore presenza di minori stranieri non accompagnati sul proprio territorio. Il comune, infatti, per competenza, deve provvedere a collocarli temporaneamente in un luogo sicuro sino a quando non si possa provvedere in modo definitivo alla loro protezione;
    si ricorda che l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati – e le relative spese – rientra nella responsabilità dei comuni che, a partire dal 1990, hanno acquisito autonomia statutaria (legge n. 142 del 1990). In questo senso, il Ministero dell'interno si limita a gestire la prima accoglienza fino alla nomina del tutore, mentre i fondi da assegnare per i progetti di accoglienza dei minori vengono stanziati dalle regioni sulla base delle presenze. Per quanto riguarda la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, è la legge n. 328 del 2002 a stabilire che siano i comuni a programmare e realizzare i servizi in accordo con i diversi enti interessati;
    l'ente locale è, quindi, il soggetto su cui gravano i costi di queste permanenze e i comuni spendono complessivamente circa 200 milioni di euro l'anno per la gestione del problema;
    il decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, ha istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali il Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, con una dotazione di 5 milioni di euro per l'anno 2012;
    successivamente, il decreto-legge n. 120 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 137 del 2013, ha stanziato 20 milioni di euro per l'anno 2013. La legge di stabilità 2014 (articolo 1, comma 202, della legge n. 147 del 2013) ha, quindi, provveduto a stanziare ulteriori 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015 e 2016. Risorse indispensabili ma ancora insufficienti per assicurare effettiva copertura delle spese sostenute dai comuni per l'accoglienza di tutti i minori presenti, senza alcuna distinzione di provenienza, età, periodo o luogo di ingresso sul territorio italiano;
    il rapporto dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati del marzo 2014 sull'accertamento dell'età dei minori stranieri non accompagnati segnala criticità diffuse nelle procedure di accertamento dell'età. In particolare, tale rapporto sottolinea come in Italia spesso non sia seguito in via privilegiata, come da accordi internazionali, un approccio olistico multidisciplinare e non invasivo nell'espletamento della procedura. L'assenza di personale qualificato ed indipendente porta a prassi disomogenee sul territorio nazionale e, spesso, ad un utilizzo indiscriminato e non come extrema ratio di esami clinici, come la determinazione del grado di maturazione scheletrica o la valutazione dello sviluppo puberale. Tali esami, non esenti da controindicazioni fisiche e psicologiche per i soggetti che vanno considerati minori fino a prova contraria, sono comunque soggetti ad un margine di errore (recenti studi lo quantificano in due anni superiore o inferiore all'età indicata), che deve essere specificato nel referto medico,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per incrementare e rendere pluriennali le risorse assegnate al Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati e, più in generale, per aumentare le risorse finanziarie a favore delle regioni e degli enti locali sulla base delle rispettive presenze, per il potenziamento e il miglioramento dei progetti di accoglienza a favore dei minori stranieri non accompagnati;
   ad attuare efficaci iniziative, anche normative, al fine di intervenire nella fase del primo inserimento nella società civile dei minori non accompagnati, aiutandoli in una fase che li espone a gravi rischi per la loro incolumità, e a favorirne la loro integrazione, agevolando a tal fine opportune e adeguate forme di affido temporaneo;
   a promuovere un più stretto coordinamento tra livello centrale e governi locali e a valorizzare a pieno il potenziale della società civile e dell'associazionismo per l'accoglienza e l'integrazione dei minori stranieri non accompagnati;
   a dare soluzione alle difficoltà connesse a procedure e prassi territorialmente eterogenee per quanto riguarda l'identificazione all'arrivo, le tempistiche, le condizioni di accoglienza, i casi di sovraffollamento, il profilo professionale degli operatori e la predisposizione di servizi di mediazione culturale, nonché l'attività informativa riguardo alla possibilità di presentare domanda di asilo;
   a mettere in atto, con particolare riferimento ai minori non accompagnati, un più efficace e costante monitoraggio per valutare gli aspetti quantitativi relativamente alle presenze e agli allontanamenti dai centri di prima accoglienza, e verificare gli standard qualitativi dell'accoglienza approfondendo la situazione e il destino dei sopraddetti minori immigrati clandestinamente in Italia, una volta lasciati i centri di prima accoglienza per gli immigrati;
   a farsi promotore, nell'ambito del prossimo semestre di presidenza europea, di una politica di effettiva collaborazione e condivisione riguardo alle politiche europee di accoglienza dei migranti, con particolare riferimento all'assistenza dei minori non accompagnati;
   a rendere omogenee nel territorio nazionale le procedure di accertamento dell'età, avendo cura che esse siano portate avanti da personale specializzato ed indipendente, rispettando i principi di presunzione della minore età e di utilizzo di procedure non traumatiche e ricorrendo solo come extrema ratio a procedure mediche invasive;
   a dare seguito agli impegni di cui alla mozione n. 1-00466, approvata dalla Camera dei deputati il 16 maggio 2014, relativa all'operazione Mare Nostrum, e in particolare, proprio con riferimento ai minori non accompagnati, a implementare con la massima priorità il sistema di accoglienza dei sopradetti minori, impedendo che tali soggetti possano essere posti, anche temporaneamente, in «centri informali» di grandi dimensioni, garantendo loro una rete di protezione che preveda tutele particolari riconosciute ai minori a garanzia della loro particolare vulnerabilità.
(1-00502)
«Palazzotto, Nicchi, Piazzoni, Migliore, Di Salvo, Pilozzi, Kronbichler, Fratoianni, Scotto, Fava, Marcon, Pannarale, Ricciatti, Duranti, Piras, Costantino».
(17 giugno 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    il fenomeno dei minori stranieri affidati ai servizi sociali ha assunto, negli ultimi anni, proporzioni vastissime e incontrollabili, a causa delle massicce ondate migratorie che hanno investito il nostro Paese;
    nel mondo industrializzato i problemi dell'infanzia sono spesso connessi all'ondata dei flussi migratori. I minori, sradicati dal proprio ambiente naturale, in condizioni di povertà, diventano facilmente preda di situazioni di violazione dei diritti fondamentali, dallo sfruttamento del lavoro minorile all'accattonaggio, dallo sfruttamento sessuale all'utilizzo a fini di microcriminalità;
    per la sua posizione geopolitica, l'Italia è stata da sempre esposta al fenomeno migratorio. In primo luogo, poiché geograficamente protesa verso il mare e, di conseguenza, completamente predisposta ai flussi commerciali o migratori, sempre difficilmente controllabili nella loro interezza. In secondo luogo, poiché, trovandosi al centro del Mar Mediterraneo, costituisce il confine meridionale del continente europeo, facilmente raggiungibile non solo dalla vicinissima Africa, ma anche dal più lontano Medio Oriente. Al di là delle sterili cifre il fenomeno migratorio è progressivamente divenuto più drammatico. L'immigrazione negli ultimi anni ha fatto registrare un aumento esponenziale anche a seguito della cosiddetta «primavera araba», ma soprattutto a causa della rivoluzione economico-sociale che ha sconvolto il mondo negli ultimi venti anni;
    il progetto mondialista, rivoluzione economica, politica e sociale che ha conformato il pensiero culturale alle logiche liberiste del mercato, ha scardinato l'identità e le economie di sussistenza (autoproduzione e autoconsumo) su cui le popolazioni del sud del Mondo avevano vissuto, e a volte prosperato, per secoli e millenni privandoli di quel tessuto di solidarietà familiare e comunitaria. In breve, il potere delle risorse prevale sul potere dell'uomo;
    basti pensare che ai primi del Novecento l'Africa era alimentarmente autosufficiente. Lo era ancora, in buona sostanza (al 98 per cento), nel 1961. Ma da quando ha cominciato ad essere aggredita dall'integrazione economica le cose sono precipitate. L'autosufficienza è scesa all'89 per cento nel 1971, al 78 per cento nel 1978;
    tutti gli «aiuti» non solo non sono riusciti a tamponare il fenomeno della fame, in Africa e altrove, ma lo hanno aggravato. Perché gli «aiuti» alle popolazioni del Terzo Mondo tendono ad integrarle maggiormente nel mercato economico mondiale;
    prima, quindi, di affrontare il problema dei minori non accompagnati presenti nel nostro Paese con il solito approccio buonista, si dovrebbe essere capaci di assumere le proprie responsabilità storiche, ma soprattutto si dovrebbe essere in grado di capire che è necessario un intervento in controtendenza, fondato, da un lato, su un'azione forte di contrasto all'immigrazione di massa e, dall'altro lato, finalizzato a sviluppare interventi mirati di aiuto sul posto per le popolazioni sofferenti;
    il Ministro dell'interno ha reso noto che sarebbero ben 600.000 le persone sulle coste dell'Africa in attesa di imbarcarsi per arrivare via mare in Italia;
    se nel 2013 gli sbarchi sono stati 42.925, solo dall'inizio del 2014 gli arrivi hanno già superato quota 20.000 e il Ministero dell'interno ha fatto sapere che il dato è di oltre 10 volte maggiore a quello registrato nello stesso periodo del 2013, un vero e proprio record;
    secondo i dati del Ministero dell'interno dal gennaio 2014 i minori arrivati in Italia sono stati 6722, di cui 4.598 non accompagnati per la maggior parte di nazionalità eritrea, somala ed egiziana;
    il quinto rapporto Anci 2011-2012 sui minori non accompagnati rileva che il problema sta assumendo dimensioni emergenziali;
    la Commissione antimafia della Regione siciliana nel maggio 2014 ha riportato un dato di non trascurabile importanza relativo alla fuga dai centri di prima accoglienza dell'isola di 1.030 minori immigrati;
    la tutela dei minori e del loro equilibrato sviluppo è prioritaria, in quanto i bambini rappresentano il futuro della nostra società; è necessario affermare il diritto delle nuove generazioni a vivere pienamente il loro presente e a sviluppare le proprie potenzialità nel loro contesto familiare, affinché possano affrontare positivamente la loro vita;
    il principio VI della Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1989 afferma: «Il fanciullo, per lo sviluppo armonioso della sua personalità, ha bisogno di amore e di comprensione; egli deve, per quanto è possibile, crescere sotto le cure e la responsabilità dei genitori e, in ogni caso, in atmosfera d'affetto e di sicurezza materiale e morale. Salvo circostanze eccezionali, il bambino in tenera età non deve essere separato dalla madre»;
    non è più accettabile l'atteggiamento ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo ipocrita del Governo, il quale continua a non volere attuare una corretta gestione dei flussi migratori verso il nostro Paese e si limita a scaricare le proprie responsabilità sugli enti locali, che, già fortemente penalizzati dai tagli di risorse provocate dalla perdurante crisi e dalla mancata attuazione del federalismo fiscale, devono, in aggiunta, accollarsi spese enormi per l'erogazione di tali servizi socio-assistenziali, a scapito dei cittadini residenti;
    il piano di accordi bilaterali elaborato al principio della XVI legislatura al fine di impedire le partenze dai Paesi costieri dell'Africa, prima di essere interrotto, aveva contribuito in modo drastico a far diminuire gli sbarchi di immigrati sulle nostre coste;
    con alcuni Stati, e specificamente con quelli a più alta pressione migratoria, è necessario perfezionare pacchetti di intese di portata più ampia che prevedano non soltanto accordi di riammissione, ma anche intese di cooperazione di polizia, accordi in materia di lavoro e progetti specifici volti alla presa in carico dei minori;
    il dramma dell'immigrazione e dei suoi risvolti sociali sta toccando picchi emergenziali. I poteri dello Stato si trovano spesso senza mezzi tecnici, economici e giuridici per fronteggiarne le derive più estreme. Come è avvenuto in passato, in altre situazioni emergenziali (ad esempio, nei fenomeni di contrasto al terrorismo negli anni di piombo, di contrasto alla mafia, di contrasto al terrorismo islamico) soltanto una legislazione speciale, accompagnata da deroghe ai trattati internazionali finalizzate alla sicurezza interna (ad esempio, come avvenne durante il G8 Italia per quanto riguarda il trattato di Schengen) e da una politica di accordi stabili bilaterali, può consentire la reale tutela dell'interesse dei cittadini e degli stranieri regolarmente presenti, nonché diminuire realmente la pressione migratoria e, quindi, le tragedie umanitarie «degli sbarchi» e quelle dei minori non accompagnati preda delle organizzazioni criminali;
    se, da un lato, è necessario, quindi, operare al fine di garantire la presa in carico dei minori stranieri non accompagnati presenti nel territorio italiano, dall'altro lato è fondamentale avviare una politica reale di contrasto all'immigrazione clandestina. È necessario, quindi, evitare anche solo sotto il profilo esclusivamente culturale la diffusione di un'apertura indiscussa all'accoglienza, ipotizzando l'introduzione di misure assurde (come particolari deroghe alla normativa nazionale sulle adozioni e affido dei minori) che rischierebbero di alimentare il problema, rappresentando nella disperazione vissuta dalle popolazioni colpite dalla povertà e dalle guerre una soluzione. Una soluzione che nella migliore delle ipotesi può garantire il futuro del singolo, ma nei fatti rappresenta la negazione del futuro di un popolo,

impegna il Governo:

   a promuovere progetti di aiuto per le popolazioni del sud del mondo volti in primo luogo alla presa in carico dei minori;
   nella consapevolezza della necessità di tutelare i diritti dei minori vittime delle organizzazioni criminali dedite alla tratta di persone, a farsi promotore, in tutte le sedi competenti, di una strategia europea comune per il contrasto del fenomeno emergenziale degli sbarchi di immigrati sulle coste del Mediterraneo europeo, atta ad avanzare, in qualità di Stati coalizzati, una richiesta di autorizzazione al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per un intervento finalizzato:
    a) al pattugliamento e al controllo delle coste africane interessate dal fenomeno migratorio;
    b) al contrasto delle associazioni criminali dedite alla tratta di persone;
    c) alla costituzione nelle località sensibili al fenomeno migratorio di aree territoriali sotto il controllo delle Nazioni Unite per la presa in carico dei rifugiati umanitari e politici;
    d) all'attivazione, nelle aree territoriali sotto il controllo delle Nazioni Unite, di rappresentanze diplomatiche ed uffici consolari, per recepire, valutare e contingentare le richieste dei permessi di soggiorno per motivi umanitari;
    e) ad istituire una commissione, formata da rappresentati dei diversi Stati, finalizzata allo studio e all'analisi della capacità recettiva degli Stati, in rapporto alle singole realtà territoriali, per l'ingresso degli immigrati richiedenti permesso di soggiorno per motivi umanitari e politici;
   a promuovere, fino a quando non verrà condivisa dall'Unione europea una politica di intervento comune, anche attraverso l'utilizzo della normativa d'urgenza, norme speciali per contrastare i flussi migratori verso il nostro Paese;
   ad assumere iniziative per prevedere la continuità del finanziamento di un fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati che non gravi sui bilanci dei comuni.
(1-00504)
«Rondini, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera».
(17 giugno 2014)

Per tornare alla pagina di provenienza azionare il tasto BACK del browser