TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 263 di Lunedì 14 luglio 2014

 
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MOZIONI IN MATERIA DI ADOZIONI INTERNAZIONALI

   La Camera,
   premesso che:
    l'infanzia oggi è considerata portatrice di diritti. Si tratta di una conquista maturata lentamente nella storia. Ma storicamente si sa che a molti bambini questo diritto non è stato, né è oggi, assicurato, per varie ragioni, individuali, economiche, politiche e sociali. Si tratta di una grande questione che coinvolge tutti gli aspetti della vita di una società, nel passato come nel presente. Una società internazionale e globalizzata, soprattutto quando si parla di adozione internazionale;
    l'adozione internazionale è l'adozione di un minore di cittadinanza non italiana, dichiarato adottabile dalle autorità del suo Paese. L'adozione viene perciò fatta in quel Paese, davanti alle autorità e secondo le leggi nazionali ed internazionali ivi vigenti. In Italia il tribunale per i minorenni rilascia un decreto specifico di idoneità a questo tipo di adozione. Perché questa adozione sia efficace in Italia è necessario seguire procedure particolari, stabilite dalle leggi italiane ed internazionali. Altrimenti l'adozione straniera non è valida e il minore non può entrare nel nostro Paese. Per di più, in certi casi, l'inosservanza delle leggi sull'adozione costituisce reato;
    lo strumento principale su cui si basano le procedure per l'adozione internazionale è rappresentato dalla Convenzione dell'Aja per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale del 29 maggio 1993, che prende in esame la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale. L'Italia ha aderito a questa convenzione ratificandola con la legge n. 476 del 1998, che modifica la legge n. 184 del 1983. Rappresenta una garanzia sia per tutelare i diritti dei bambini e di chi desidera adottarli, sia per sconfiggere qualsiasi traffico di minori che possa instaurarsi surrettiziamente attraverso il meccanismo delle adozioni. In Italia la Commissione per le adozioni internazionali (Cai) è l'autorità da cui dipende l'applicazione della Convenzione dell'Aja;
    a titolo di esempio, sono oltre 5000 i minori abbandonati ogni anno nei Paesi dell'Europa dell'est, dove, nonostante i notevoli cambiamenti sociali ed economici e le riforme che stanno attraversando la regione del CEE/CIS (Central, Eastern Europe/Commonwealth of Independent States), la maggior parte dei Paesi fa ancora affidamento sull'istituzionalizzazione, ignorando l'evidenza che gli orfanotrofi sono esattamente il contrario di ciò che è nell'interesse dei minori, lasciando loro, per tutta la vita, profonde cicatrici fisiche e cognitive;
    l’iter da seguire per un'adozione internazionale è strutturato in modo molto chiaro e le sue norme non possono essere in alcun modo eluse; la procedura è complessa, in alcuni casi appare perfino inutilmente complicata, ma lo è ad esclusiva garanzia dei minori da adottare. Le coppie che desiderano adottare un bambino, infatti, debbono ottenere previamente un decreto di idoneità e quindi devono conferire l'incarico a curare la procedura di adozione agli enti autorizzati, che svolgono tutte le pratiche necessarie nel Paese di origine del minore. Agli enti sono assegnate le funzioni relative alla procedura di una pratica di adozione internazionale, sia in Italia che all'estero: dalle prime informazioni rivolte alla coppia, agli adempimenti richiesti nel Paese di origine del minore. Solo gli enti autorizzati dalla Commissione per le adozioni internazionali sono legittimati ad occuparsi delle pratiche in materia di adozione internazionale, sulla base di precisi requisiti. Una volta ricevuta dall'autorità straniera la proposta di incontro con il minore da adottare, l'ente autorizzato ne informa gli aspiranti genitori adottivi e li assiste per tutte le visite necessarie;
    se gli incontri della coppia con il minore si concludono positivamente, viene emanato da parte della competente autorità giudiziaria straniera il provvedimento di adozione. L'ente autorizzato trasmette successivamente tutti gli atti relativi all'adozione alla Commissione per le adozioni internazionali, che ne verifica la correttezza formale e sostanziale. In caso di esito positivo dei controlli, la Commissione per le adozioni internazionali rilascia la «autorizzazione nominativa all'ingresso e alla permanenza in Italia del minore adottato»;
    in questo contesto il compito della rete diplomatico-consolare italiana è quello di collaborare, per quanto di competenza, con l'ente autorizzato per il buon esito della procedura di adozione (articolo 32, comma 4, della legge n. 184 del 1983 come modificata dalla legge n. 476 del 1998). Tale attività può riguardare la legalizzazione e il controllo della documentazione, nonché l'assistenza, laddove necessario, anche attraverso l'agevolazione dei contatti con le autorità locali, in particolare in quei Paesi che non hanno ratificato la Convenzione dell'Aja. Per potere entrare in Italia, il minore adottato deve essere munito di un visto d'ingresso per adozione che viene apposto sul passaporto estero rilasciato dal Paese d'origine. Ai fini della concessione del visto da parte della rete diplomatico-consolare, è necessario che sia pervenuta l'autorizzazione all'ingresso e alla permanenza in Italia del minore della Commissione per le adozioni internazionali. La pratica di visto viene evasa nel minor tempo possibile, per venire incontro alle esigenze della coppia. L'effettivo rilascio del visto è tuttavia subordinato ai tempi tecnici di trattazione. Ai sensi dell'articolo 33 della legge n. 184 del 1983, come modificata dalla legge n. 476 del 1998, è fatto divieto alle autorità consolari di concedere a minori stranieri il visto d'ingresso nel territorio dello Stato a scopo di adozione al di fuori delle ipotesi previste dalla legge stessa e senza la previa autorizzazione della Commissione per le adozioni internazionali. Una volta che il minore è entrato in Italia, la questura competente rilascia in suo favore un permesso di soggiorno per adozione. La procedura di adozione si conclude con l'ordine da parte del tribunale per i minorenni di trascrizione del provvedimento di adozione nei registri di stato celibe. Con la trascrizione il minore diviene cittadino italiano (articolo 34, comma 3, della legge n. 184 del 1983). L'adozione pronunciata dall'autorità competente di un Paese straniero a istanza di cittadini italiani, che dimostrino al momento della pronuncia di aver soggiornato continuativamente nello stesso e di avervi avuto la residenza da almeno due anni, viene riconosciuta ad ogni effetto in Italia dal tribunale per i minorenni, purché conforme ai principi della Convenzione dell'Aja (articolo 36 della legge n. 184 del 1983). Il tribunale per i minorenni competente è quello del luogo di ultima residenza della coppia o, nel caso in cui non sia possibile stabilire quale sia stata l'ultima residenza, quello di Roma. Queste disposizioni possono sembrare eccessive, ma sono necessarie per garantire ai bambini abbandonati ed ai loro futuri genitori adottivi un'adozione legalmente corretta e rispettosa dei diritti di tutti i protagonisti;
    avere un figlio adottivo è aprire nella propria famiglia uno spazio non solo fisico, ma soprattutto mentale per l'accoglienza di un bambino o di una bambina, generato da altri, con una sua storia, che desidera continuare con i nuovi genitori, con cui formerà una vera famiglia, come una «sua» seconda possibilità di vita. Solo così, partendo dal desiderio di avere un figlio, e costruendovi sopra un percorso personale e di coppia che sia di vera accoglienza, si può iniziare correttamente la strada dell'adozione. Nel caso dell'adozione di un bambino straniero questo percorso è più articolato ma per molti versi anche più ricco. L'adozione internazionale permette di accogliere a far parte integrante della propria famiglia bambini di altri Paesi, con cultura, lingua, tradizioni diverse. Per questo, per tutelarne i diritti, la normativa si fa più complessa, ma offre in cambio la sicurezza sullo stato di abbandono del bambino, una più approfondita preparazione ed un migliore sostegno alle coppie che hanno deciso di intraprendere questo percorso. L'adozione internazionale ha conosciuto in questi anni un fortissimo sviluppo. Nel 1982 le adozioni di bambini stranieri pronunciate dai tribunali per i minorenni italiani erano in tutto meno di trecento. Nello stesso periodo venivano registrate più di mille adozioni nazionali. Nel 1991 sono entrati in Italia a scopo di adozione più di duemila settecento minori stranieri, mentre i bambini italiani dichiarati adottabili erano meno di mille;
    la tendenza all'aumento nelle adozioni internazionali è stata costante e ha visto nel 1999 l'ingresso in Italia di tremila bambini stranieri adottati, mentre le domande di idoneità all'adozione internazionale sono state più di settemila. Uno sviluppo così rapido del fenomeno non è riscontrabile solo nel nostro Paese, ma lo si osserva in tutti i Paesi economicamente sviluppati, in cui il miglioramento delle condizioni socio-economiche ha avuto come conseguenza la riduzione del numero dei bambini abbandonati, mentre il calo delle nascite ha fatto aumentare le richieste di adozione, che si sono indirizzate così verso l'unica strada possibile, quella internazionale;
    le adozioni internazionali sono possibili solo quando un minore sia stato dichiarato in stato di abbandono – e quindi è adottabile – dalle competenti autorità di un Paese estero. La procedura di adozione avviene, come è naturale, almeno in parte davanti alle autorità del Paese stesso ed è regolamentata dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, modificata dalla legge 31 dicembre 1998, n. 476, con cui si ratifica la Convenzione dell'Aja. Tra le normative di riferimento bisogna considerare sempre anche quelle del Paese di provenienza del bambino e le eventuali convenzioni specifiche in materia tra i due Paesi. La procedura dell'adozione internazionale è complessa. I requisiti per l'adozione internazionale sono gli stessi previsti per l'adozione nazionale, articolo 6 della legge n. 184 del 1983, modificata dalla legge n. 149 del 2001. L'adozione internazionale inizia con un'indagine sulle famiglie che fanno specifica richiesta di adozione internazionale, per valutarne le potenzialità genitoriali, raccogliendo informazioni sulla loro storia personale, familiare e sociale. La coppia in possesso del decreto di idoneità deve rivolgersi ad uno degli enti autorizzati dalla Commissione per le adozioni internazionali, che svolge le pratiche necessarie per tutta la complessa procedura. La Commissione per le adozioni internazionali autorizza l'ingresso del bambino adottato in Italia e la sua permanenza, dopo aver certificato che l'adozione sia conforme alle disposizioni della Convenzione dell'Aja;
    in questi ultimi anni si è andato diffondendo sempre più, a livello nazionale e a livello internazionale, la ferma convinzione che i diritti dei minori ad avere una famiglia sia assolutamente prioritaria rispetto a qualsiasi altra logica, e per il minore il diritto a conservare la propria famiglia non può essere messo in discussioni dalle condizioni di povertà e di disagio, su cui invece lo Stato o le regioni sono chiamati ad intervenire concretamente. La legge 28 marzo 2001, n. 149, ha introdotto, infatti, alcune modifiche alla disciplina dell'adozione, tra cui vale la pena ricordare l'articolo che sottolinea il diritto del minore ad avere una famiglia, mentre evidenzia che «Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia». Per questo, continua l'articolo 1, lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l'abbandono e di consentire al minore di essere educato nell'ambito della propria famiglia. Un'analoga sensibilità, pur con i naturali distinguo, si sta estendendo anche nel campo delle adozioni internazionali, in cui i rispettivi Stati sono attualmente più prudenti, quando non decisamente ostili a concedere i permessi di adozione. Fondamentale in questi casi è il ruolo svolto dalla Commissione per le adozioni internazionali che collabora con le autorità centrali per le adozioni internazionali degli altri Stati e propone la stipulazione di accordi bilaterali in materia di adozione internazionale; autorizza l'attività degli enti che debbono assistere le famiglie; promuove la cooperazione fra i soggetti che operano nel campo dell'adozione internazionale e della protezione dei minori; promuove iniziative di formazione per quanti operano o intendano operare nel campo dell'adozione; autorizza l'ingresso e il soggiorno permanente del minore straniero adottato o affidato a scopo di adozione; certifica la conformità dell'adozione alle disposizioni della Convenzione, come previsto dalla Convenzione stessa. A causa del numero esiguo di minori adottabili in Italia rispetto alle domande di adozione, l'adozione internazionale è in costante aumento. Le autorizzazioni concesse all'ingresso di minori stranieri, corrispondente alla fase conclusiva dell'adozione internazionale, sono passate dalle 1.797 del 2001, alle oltre 4000 del 2012;
    i genitori che decidono di adottare un bambino sanno che le spese sostenute, spesso molto elevate, potranno essere «dedotte» per un 50 per cento; sanno anche di poter godere dei necessari congedi nel periodo in cui si svolge la pratica di adozione nei Paesi stranieri e anche questo va certificato dall'ente che li assiste (articolo 31, comma 3 della n. 476 del 1998). Fra le spese certificabili o documentabili sono comprese quelle riferite all'assistenza che i bambini hanno ricevuto, alla legalizzazione dei documenti, alla traduzione degli stessi, alla richiesta di visti, ai trasferimenti, al soggiorno, all'eventuale quota associativa nel caso in cui la procedura sia stata curata da enti, ad altre spese documentate finalizzate all'adozione del minore. Molte spese però possono superare l'effettiva disponibilità dei genitori per cui la normativa prevede che possano chiedere un anticipo sul trattamento di fine rapporto: «questo può essere anticipato per compensare le spese sostenute durante i congedi parentali per astensione facoltativa; il TFR viene considerato, in questo caso, un aiuto economico per gli stipendi non percepiti durante il congedo o per le spese sostenute in quel periodo»;
    la crisi delle adozioni internazionali, testimoniata dai dati statistici disponibili, richiede una revisione della materia, proprio a partire dalla ratifica italiana alla Convenzione dell'Aja, per una maggiore e migliore cooperazione sia in materia di responsabilità genitoriale che di misure di protezione dei minori. Sono le priorità indicate dall'Associazione amici dei bambini per arginare una situazione preoccupante. I numeri parlano di 6.237 decreti di idoneità ottenuti dalle coppie nel 2006, scesi a 4.509 nel 2009 e a 4.000 nel 2012. Le cause di tale calo sono la burocrazia, gli alti costi degli iter, la complessità dell'orientamento all'adozione affidato agli enti. Per uscire dalla crisi l'Associazione amici dei bambini si fa forte non solo delle 14.000 firme a sostegno del manifesto «Oltre la crisi. Più famiglie e più adozioni. Verso una nuova legge delle adozioni internazionali», inviate ai presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; il 5 giugno 2013 il Ministro della giustizia pro tempore, Annamaria Cancellieri, ha affrontato il tema in Commissione giustizia della Camera dei deputati, proponendo la costituzione di una commissione interministeriale ad hoc, composta dal suo stesso dicastero e da quelli degli affari esteri, dell'integrazione e delle pari opportunità, per dare impulso alla riforma delle adozioni internazionali. La commissione di studio deve elaborare proposte normative per «dare nuovo impulso» alle adozioni e ne fanno parte: Griffini (Associazione amici dei bambini), Caserta (Azione per famiglie nuove) e Tesauro (Save the Children Italia), membri scelti fra le varie associazioni;
    secondo il presidente dell'Associazione amici dei bambini, Marco Griffini, la revisione della norma attuale è indispensabile per dare speranza alle 14 mila famiglie che hanno firmato il manifesto e che costituiscono la punta dell’iceberg di un esercito di famiglie che potrebbe fare dell'adozione la scelta di vita, ma la cui speranza viene distrutta dalla burocrazia. È assurdo e mortificante che per adottare un bambino si debbano aspettare 3 o 4 anni, con spese enormi;
    sono passaggi chiave: il passaggio dalla selezione all'accompagnamento delle coppie prima, durante e dopo l'adozione; lo snellimento dell’iter, l'abbattimento dei costi; la razionalizzazione della spesa pubblica; l'adozione inserita nella politica estera del Paese; una serie di modalità innovative di accoglienza;
    sarebbe opportuna la totale gratuità di queste adozioni (come proposto dall'Associazione amici dei bambini): «È una richiesta di giustizia ed equità: ad oggi, l'adozione internazionale è l'unico diritto del minore per il quale occorre trovare non solo una famiglia disposta all'accoglienza, ma anche una famiglia che paghi», è una possibilità in più per i minori abbandonati in attesa di famiglia;
    un aspetto delicato delle adozioni internazionali è anche quello rappresentato dalla religione del bambino, che investe la kafala, l'istituto di tutela e di protezione del minore islamico, riconosciuto dalla Convenzione Onu del 1989 ma non disciplinato in Italia. Si può far conoscere la possibilità di adozione dei bambini che provengono dal mondo islamico in una chiave diversa, per offrire la possibilità anche alle famiglie di origine straniera arabo-musulmane radicate in Italia di diventare anch'esse protagoniste di questo percorso di adozione attraverso la kafala,

impegna il Governo:

   ad avviare un percorso di snellimento per quanto riguarda la burocrazia, anche attraverso una revisione dell'attuale normativa;
   a valutare in concreto la possibile eliminazione delle idoneità del tribunale per i minori e la semplificazione dell’iter di selezione delle coppie, fino ad oggi ad esclusivo carico dei servizi pubblici, a vantaggio di una procedura più razionale di accompagnamento e formazione pre e post adozione delle coppie stesse, che preveda la collaborazione fra i servizi pubblici e quelli privati degli enti autorizzati;
   ad esercitare un controllo sui costi complessivi sostenuti dalle famiglie che vogliono adottare un bambino con le procedure internazionali, per valutare come venire incontro ad eventuali necessità non previste;
   a valutare la proposta dell'Associazione amici dei bambini di rendere l'adozione internazionale totalmente gratuita;
   a chiedere ed ottenere maggiori garanzie per le adozioni e per i bambini, per non trovarsi davanti a Paesi che possono cambiare le loro decisioni in corso d'opera.
(1-00309)
(Nuova formulazione) «Binetti, Dellai, Cesa, Buttiglione, Cera, Adornato, De Mita».
(13 gennaio 2014)

  La Camera,
   premesso che:
    l'Italia ha ratificato la Convenzione dell'Aja del 1993 per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale; con tale provvedimento ha aderito, sulla base della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, ai principi di fondo sulla tutela dei bambini privi di famiglia: il diritto del bambino/a ad uno sviluppo armonioso in un contesto di amore familiare, la prevenzione di possibili abusi, la responsabilità della cooperazione tra Stati nel valutare i requisiti di adottabilità, il consenso informato dei genitori o tutori del minore, la considerazione dei suoi desideri compatibilmente con l'età;
    i compiti relativi all'adempimento di questi principi – tra cui stabilire l'idoneità degli aspiranti genitori adottivi e l'accertamento dei requisiti nel rispetto della Convenzione – sono affidati ad una serie di istituzioni, coordinate nel Paese di adozione dalla Commissione per le adozioni internazionali presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, e svolte dagli enti autorizzati;
    in questi decenni, il delicato e complesso meccanismo dell'adozione ha visto alcune modifiche a seguito delle trasformazioni sociali, come l'innalzamento dell'età degli aspiranti genitori, il requisito di convivenza ed altri. Sono però rimasti immutati e validi i principi fondamentali su cui si poggia: il rispetto dei diritti e il perseguimento del maggior interesse del minore, il concetto di sussidiarietà, il ruolo e la funzione dei diversi enti nel processo di adozione;
    negli ultimi anni sono intervenute alcune criticità come il calo del numero delle adozioni internazionali, nonché varie problematiche nel rapporto con i Paesi di origine. In alcuni di questi Stati lo sviluppo socio-economico ha contribuito a rendere l'adozione internazionale residuale rispetto alle possibilità offerte all'interno del Paese stesso; in altri Paesi i conflitti e l'instabilità hanno ritardato e pregiudicato la regolarità delle adozioni; in altri ancora la cooperazione con l'Italia non è ancora sviluppata in modo adeguato;
    va osservato che alcuni Paesi hanno interrotto o diminuito le adozioni internazionali senza parallelamente attivare una vera protezione del bambino in loco, restando immutate le condizioni degli istituti di accoglienza; l'adozione nazionale, perseguita come prima scelta rispetto a quella internazionale, è ancora lungi dall'essere sicura e garantita in molti Paesi. A fronte di questi problemi, non sempre l'Italia ha saputo operare un'efficace politica all'estero a favore delle adozioni, lasciata in gran parte all'iniziativa degli enti autorizzati;
    non sono rari i casi di famiglie che vedono interrotto l’iter adottivo all'estero e vedono ritardata o annullata la conclusione dell'adozione; attualmente, la trascrizione della pronuncia straniera di adozione nei registri dello stato civile è prevista da parte del tribunale per i minorenni, mentre potrebbe essere attribuita alla Commissione per le adozioni internazionali; tale semplificazione, accompagnata dagli accertamenti di competenza, permetterebbe tra l'altro l'immediato acquisto della cittadinanza da parte del/della minore già prima dell'ingresso in Italia, evitando così possibili contenziosi con i Paesi di origine;
    l'insicurezza dovuta alla crisi economica in Italia, l'innalzamento dell'età media delle coppie, la disponibilità di bambini più grandi e con bisogni speciali, il ricorso a forme di fecondazione assistita si aggiungono ai fattori internazionali che hanno contribuito alla diminuzione del numero degli ingressi in Italia (-7 per cento rispetto al 2102, –23 per cento nel 2012 rispetto al 2011). Anche se nello scenario internazionale il nostro Paese appare complessivamente affidabile e in grado di offrire un'accoglienza adeguata ai bambini senza tutela, occorre garantire maggiormente le facilitazioni economiche atte a rendere meno onerose le per le famiglie i costi delle adozioni all'estero;
    è d'altronde possibile rendere le adozioni più semplici e sostenere maggiormente le coppie che intendono affrontare questa scelta, rendendo il percorso adottivo degli aspiranti genitori il più possibile privo di tempi morti, di allungamenti burocratici e di ripetizioni, senza tuttavia eludere il compito fondamentale di verificare approfonditamente le motivazioni e la preparazione della coppia, che spesso hanno bisognosi di tempi di maturazione. In questo senso appare irrinunciabile il ruolo svolto dai tribunali dei minorenni e dai servizi sociali, nonché degli enti autorizzati; va peraltro valorizzato il ruolo delle associazioni e delle reti di famiglie adottive nel percorso di accertamento di idoneità e nei successivi passaggi;
    si rende, quindi, necessario dotare i servizi sociali territoriali, competenti a svolgere le indagini di valutazione della coppia, di maggiori risorse umane professionalmente preparate e di adeguate risorse economiche in modo che i tempi siano rispettati e le valutazioni siano accurate; le coppie vanno adeguatamente accompagnate nel cammino adottivo soprattutto considerando l'innalzamento dell'età media dei bambini adottabili e le loro condizioni di salute, spesso difficili; per tali famiglie, che hanno adottato bambini più grandi e fragili in salute, la possibilità di usufruire di più ampi periodi di congedo parentale diventa necessario;
    va anche sostenuto il miglioramento della collaborazione tra la Commissione per le adozioni internazionali, gli enti e i servizi territoriali sia nel pre che nel post adozione al fine di valorizzare le rispettive professionalità, nonché la razionalizzazione dell'azione all'estero; è auspicabile dotare la Commissione per le adozioni internazionali di risorse adeguate economicamente e fare in modo che essa mantenga il potere di vigilanza e controllo sull'operatività degli enti,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per semplificare le procedure adottive, prevedendo l'attribuzione alla Commissione per le adozioni internazionali – al momento della richiesta di ingresso in Italia del minore – insieme alla certificazione di conformità alla Convenzione dell'Aja del 1993, anche della trascrizione del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile, dopo aver effettuato gli accertamenti attualmente di competenza del tribunale, prima dell'ingresso in Italia del minore straniero adottato;
   ad assumere iniziative per prevedere la possibilità di aumentare la percentuale degli oneri deducibili dal reddito relativa alle spese sostenute dai genitori adottivi per l'espletamento dell'adozione;
   ad assumere iniziative per prevedere agevolazioni relative ai congedi parentali, anche spostando il limite temporale in cui godere dei permessi non retribuiti fino a 8 anni dopo l'ingresso in Italia dei minori adottati;
   a riconsiderare l'obbligatorietà della certificazione delle spese, oggi in capo agli enti autorizzati, permettendo l'autocertificazione in merito da parte delle coppie;
   ad assumere iniziative per garantire l'espletamento in tempi certi, senza proroghe, delle relazioni e della documentazione informativa da parte dei tribunali per i minorenni sui requisiti di idoneità delle coppie all'adozione;
   ad incentivare la formazione e l'accompagnamento dei genitori adottivi anche nella fase post adozione da parte dei servizi socio-assistenziali e degli enti autorizzati;
   a favorire il collegamento e le possibilità di consorzio tra gli enti autorizzati, specie all'estero, dove è necessario evitare sovrapposizioni nelle aree di intervento, senza rinunciare alla valorizzazione della capillarità di presenza sul territorio italiano;
   a sostenere la Commissione per le adozioni internazionali nei negoziati o ri-negoziati con Paesi che non hanno ratificato la Convenzione dell'Aja, nella dotazione di risorse adeguate e nell'investimento per progetti di cooperazione internazionale a favore dei diritti dei minori, atti a realizzare il principio di sussidiarietà nei Paesi dove vengono svolte le adozioni.
(1-00512)
«Santerini, Schirò, Fauttilli, Sberna, Marazziti, Caruso, Molea, Vezzali, D'Agostino, Gitti, Piepoli, Antimo Cesaro».
(23 giugno 2014)

  La Camera,
   premesso che:
    da notizie a mezzo stampa, negli ultimi anni il fenomeno dell'abbandono dei minori nel mondo è in costante crescita, essendo passato dai 145 milioni di bambini dichiarati in stato di abbandono nel 2004 ai 168 milioni del 2009;
    tuttavia, seguendo un trend apparentemente opposto a quello del fenomeno dell'abbandono dei minori, il numero delle idoneità all'adozione internazionale dichiarate dai tribunali per i minorenni italiani sarebbe drasticamente diminuito, passando dalle 6.273 nel 2006 alle 3.106 del 2012;
    tra le principali ragioni della crisi dell'istituto dell'adozione internazionale vanno senz'altro considerati i rilevanti costi che le famiglie devono sopportare quando intraprendono questo percorso e che contribuiscono negativamente, specie in un periodo di grave crisi economica quale quello che si sta vivendo;
    proprio per far fronte agli elevati costi, nel 2005 è stato istituito un «Fondo di sostegno delle adozioni internazionali», finalizzato al rimborso di parte delle spese sostenute per l'adozione di un bambino straniero nel corso dell'anno precedente, le cui funzioni sono state successivamente assorbite dal Fondo per le politiche della famiglia, istituito dall'articolo 19, comma 1, del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006, destinato a finanziare anche il sostegno delle adozioni internazionali;
    da notizie a mezzo stampa si evincerebbe però che sarebbero stati erogati rimborsi fino alle adozioni concluse nell'anno 2010, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 agosto 2011, registrato dalla Corte dei conti il 5 gennaio 2012; mentre per quanto concerne le adozioni concluse nel 2011, le cui pratiche sono già state istruite dalla Commissione per le adozioni internazionali in quanto rientranti nello stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ad oggi non sarebbe stato erogato alcun rimborso; infine, relativamente alle adozioni concluse nell'anno 2012, ancora non sarebbe stato emesso alcun decreto;
    è evidente che l'interruzione della misura del rimborso a favore delle famiglie adottive costituisca un grave ostacolo per tante coppie italiane altrimenti decise ad adottare, rischiando altresì di configurare una disparità di trattamento tra cittadini, con un'ulteriore ingiusta penalizzazione nei confronti di tante coppie più fragili economicamente ma che credono fermamente nel diritto di ogni bambino ad avere una famiglia;
    tuttavia, tra le ragioni del predetto calo delle adozioni, vanno altresì considerate le procedure amministrative, spesso piuttosto farraginose, e i tempi eccessivi, e dagli esiti incerti, che caratterizzano i procedimenti di adozione;
    lo stesso Ministro della giustizia pro tempore ha ritenuto opportuno procedere allo studio di una possibile riforma della legge 4 maggio 1983 n. 184, al fine di dare nuovo impulso al settore delle adozioni internazionali, nel mese di luglio 2013 ha istituito, presso il Ministero della giustizia, una commissione di studio con il compito, tra gli altri, di approfondire il tema della riforma dell’iter procedurale, della semplificazione delle procedure dell'adozione internazionale, della riduzione dei costi e dell'introduzione di ipotesi di gratuità dell'adozione internazionale;
    peraltro, le recenti vicende della cronaca hanno messo in luce come spesso i tempi incerti nelle procedure di adozione dipendano non solo dalle procedure italiane farraginose, e che necessitano di un aggiornamento, ma anche dalle incerte condizioni politiche dei Paesi di origine dei bambini, dove talvolta si assiste ad improvvise chiusure o limitazioni nelle procedure di adozione in corso,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa utile volta a reperire tutte le risorse necessarie per erogare i rimborsi relativi alle procedure di adozione concluse nel 2011, nonché a procedere quanto prima all'adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri necessario per l'erogazione dei rimborsi relativi all'anno 2012;
   a valutare l'opportunità di istituire un apposito fondo, ai fini del sostegno di quelle coppie che sopportano un aggravamento ulteriore dei costi a causa dell'inatteso allungarsi delle procedure quale conseguenza del blocco o della limitazione da parte del Paese di origine dei bambini delle procedure in corso;
   ad adottare ogni iniziativa utile volta a rafforzare, nelle opportune sedi internazionali, le relazioni bilaterali e gli accordi negoziali in materia di adozioni internazionali, al fine di ridurre il più possibile il verificarsi di eventi di inattesa chiusura delle procedure internazionali di adozione, che provocano costi umani elevatissimi tanto nelle coppie che hanno intrapreso questo percorso, quanto soprattutto nei bambini;
   a presentare entro sei mesi una relazione dettagliata al Parlamento sullo stato dell'arte delle relazioni in corso e degli accordi bilaterali sottoscritti e ratificati in questa materia, al fine di ottenere un quadro chiaro e aggiornato, che riduca il più possibile lo stato di incertezza delle procedure di adozione nei confronti di determinati Paesi e offra utili elementi al Parlamento in vista di una possibile riforma delle procedure in materia.
(1-00326)
(Nuova formulazione) «Quartapelle Procopio, Antezza, Binetti, Sberna, Gigli, Zampa, Del Grosso, Scuvera, Tacconi, Manciulli, Patriarca, Piccoli Nardelli, Chaouki, Manlio Di Stefano, Nicoletti, Monaco, Santerini, Cassano, Lenzi, Bonafè, Sibilia, Spadoni, Mogherini, Mosca, Marazziti, Preziosi, Gentiloni Silveri, Gadda, Alli, Casellato, Scotto, Fregolent, Casati, Marantelli, Sereni, Scagliusi, Ascani, Rotta, Giorgis, Lauricella, Verini, Giuditta Pini, Rocchi, Rostan, Mariani, Manzi, Iori, Beni, Grassi, Lattuca, Marzano, Biondelli, D'Incecco, Morani, Porta, Scalfarotto, Biffoni, Campana».
(28 gennaio 2014).

MOZIONI IN MATERIA DI PROGRESSIONI DI CARRIERA E AUTOMATISMI RETRIBUTIVI PER IL PERSONALE DEL COMPARTO DIFESA-SICUREZZA E SOCCORSO PUBBLICO

   La Camera,
   premesso che:
    nel corso degli ultimi anni, in considerazione del persistere e dell'intensificarsi di forti tensioni sui mercati finanziari, sono state adottate numerose misure di contenimento della spesa pubblica;
    particolarmente incisive sono state le misure di revisione della spesa adottate nel settore della difesa, che ha cominciato a subire un trend fortemente decrescente già dal 2005, peraltro in concomitanza con il processo di professionalizzazione delle Forze armate (e quindi correlati a maggiori costi per il personale) e con l'accresciuto impiego operativo;
    in tale contesto si pone il decreto-legge n. 78 del 2010, che, proprio in considerazione della «straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per il contenimento della spesa pubblica e per il contrasto all'evasione fiscale ai fini della stabilizzazione finanziaria, nonché per il rilancio della competitività economica», ha previsto l'esclusione, per l'intero triennio 2011-2013, delle retribuzioni del personale della pubblica amministrazione, tra cui rientra il personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco tanto dai meccanismi di adeguamento previsti per legge, quanto dall'applicazione degli aumenti retributivi (scatti e classi di stipendio) collegati all'anzianità di ruolo, nonché, addirittura, dal riconoscimento dei benefici economici correlati alle progressioni di carriera, senza possibilità successiva di recupero e senza possibilità di attivare, comunque, una procedura di concertazione;
    in particolare, il richiamato blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali ha pregiudicato la maturazione di alcuni istituti tipici specifici del comparto sicurezza, difesa e soccorso strettamente connessi alla valorizzazione dell'anzianità di servizio e alla correlata acquisizione di crescenti competenze professionali, nonché più impegnative responsabilità di servizio, quali l'omogeneizzazione, l'assegno funzionale e gli incrementi stipendiali parametrali non connessi a promozioni;
    tale norma ha, altresì, frenato gli adeguamenti annuali indicizzati (classi, scatti stipendiali ed effetti economici) delle progressioni di carriera, tra l'altro in grande parte legate a rigide procedure di selezione e avanzamento, assolutamente definite dalla normativa vigente per le varie categorie di personale;
    già nel corso della XVI legislatura era stata approvata in Commissione difesa della Camera dei deputati la risoluzione n. 8-00151, a prima firma dell'onorevole Cirielli, che impegnava il Governo pro tempore a escludere il comparto sicurezza e difesa, per l'anno 2014, dalla possibilità di prorogare ulteriormente i tagli in questione, almeno con riferimento alla fattispecie del blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera;
    in data 8 novembre 2011 la Commissione bilancio del Senato della Repubblica aveva poi approvato l'ordine del giorno G/2969/2/5, che impegnava il Governo, pur nell'ambito della difficile congiuntura economica e della finanza pubblica, a valutare l'opportunità di adottare con urgenza le opportune iniziative atte a «impegnare i relativi fondi iscritti nella tabella 8 per assicurare un'interpretazione dell'articolo 9, comma 21, del decreto-legge n. 78 del 2010, nel senso che al personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nel triennio 2012-2014, sia assicurata la corresponsione integrale dei trattamenti economici connessi con l'impiego (indennità operative, indennità pensionabile, indennità di trasferimento, assegno funzionale, assegno non pensionabile dirigenziale e indennità di missione), con l'effettiva presenza in servizio e con la maturazione dei requisiti di anzianità e merito»;
    nonostante ciò e nonostante le molteplici dichiarazioni pubbliche e gli impegni presi dai vari Governi in carica circa la necessità di garantire maggiore sicurezza del territorio e nel territorio, i provvedimenti adottati nel tempo si sono mostrati indifferenti rispetto alla drammatica e insostenibile situazione degli operatori della sicurezza: dal decreto-legge n. 95 del 2012 (cosiddetta spending review), che ha previsto una serie di ulteriori misure di contenimento della spesa nel settore della difesa (dalla riduzione del personale militare in misura non inferiore al 10 per cento alla riduzione di spesa per l'acquisto di beni e servizi del Ministero della difesa pari a 148 milioni di euro, dalla riduzione dei contributi in favore dell'Agenzia industrie difesa alla riduzione delle spese per la professionalizzazione delle Forze armate) al decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122, che, disattendendo ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo gli impegni assunti dal Governo nella XVI legislatura, ha prorogato fino al 31 dicembre 2014 le disposizioni in materia di blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti;
    un settore, come quello della sicurezza, non può essere considerato in maniera meramente ragionieristica, ma deve essere visto come un investimento per il futuro;
    occorre, infatti, pensare alla sicurezza in termini di opportunità e, quindi, prevedere più risorse in questo settore delicato e strategico per consentire a tutto l'apparato della sicurezza di agire e operare nel migliore dei modi;
    in particolare, è necessario lavorare per la difesa della dignità professionale e della specificità funzionale degli operatori del settore e per la difesa del diritto dei cittadini ad un soccorso pubblico efficiente e qualificato, all'altezza di un Paese civile;
    da ultimo, preoccupa l'ultimo piano di riforma annunciato dal Governo Renzi, che avrebbe chiesto al commissario Carlo Cottarelli tagli per miliardi di euro;
    anche in questa occasione, in un periodo di già forte tensione sociale, il comparto sicurezza farà la sua parte con un risparmio di almeno 700 milioni di euro grazie alla chiusura di centinaia di sedi, alla soppressione di interi reparti e al trasferimento degli uffici in immobili demaniali,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per sospendere, a partire dal secondo semestre 2014, il blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera e degli automatismi retributivi per il personale del comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico, a difesa della dignità professionale e della specificità funzionale degli operatori del settore.
(1-00441)
«La Russa, Giorgia Meloni, Cirielli».
(24 aprile 2014)

  La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, è stato adottato, come recita il suo preambolo, in considerazione della «straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per il contenimento della spesa pubblica e per il contrasto all'evasione fiscale ai fini della stabilizzazione finanziaria, nonché per il rilancio della competitività economica»;
    nel quadro di una serie di previsioni finalizzate al contenimento ed alla riduzione della spesa pubblica si colloca l'articolo 9, relativo al contenimento delle spese in materia di pubblico impiego che, al comma 21, testualmente recita: «I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012, 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previste dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici»;
    in applicazione del citato comma 21 dell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010, quindi, per l'intero triennio 2011/2013, le retribuzioni del personale interessato, tra cui rientra il personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, sono state pertanto escluse tanto dai meccanismi di adeguamento di cui all'articolo 24 della legge n. 448 del 1998, quanto dall'applicazione degli aumenti retributivi («scatti» e «classi» di stipendio) collegati all'anzianità di ruolo, quanto, addirittura, dal riconoscimento dei benefici economici correlati alle progressioni di carriera, senza possibilità successiva di recupero;
    l'articolo 16, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, prevede che con uno o più regolamenti da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione (ora Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione), e dell'economia e delle finanze sia possibile prorogare di un anno ovvero al 2014, le sopradette disposizioni restrittive;
    il Consiglio dei ministri pro tempore, in data 21 marzo 2013, ha deciso di avviare l’iter di uno specifico decreto del Presidente della Repubblica per estendere il blocco sopra citato al 2014;
    l'articolo 1 del decreto-legge 26 marzo 2011, n. 27, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2011, n. 74, ha previsto l'incremento del citato fondo di 115 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2011-2012 e 2013, ed ha esteso la destinazione del medesimo fondo al finanziamento di assegni una tantum, in favore del personale interessato alla corresponsione delle relative indennità, bloccate dall'articolo 9, commi 1 e 21, del decreto-legge n. 78 del 2010;
    l'istituzione del citato fondo è finalizzata, come emerge anche dal dibattito parlamentare relativo ai due decreti-legge sopra richiamati e dagli impegni assunti dal Governo, ad assicurare al personale interessato una compensazione economica conseguente agli effetti relativi all'applicazione del congelamento di alcuni elementi retributivi, di cui ai citati commi 1 e 21 dell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010;
    i fondi disponibili per l'anno 2011 sono stati sufficienti per assecondare tutte le esigenze del personale, che ha maturato i requisiti per la corresponsione delle indennità cosiddette «congelate» nello stesso anno 2011, mentre le somme disponibili del sopra citato fondo sono del tutto insufficienti per gli anni 2012 (46 per cento) e 2013 (16 per cento); in merito, in sede di conversione del decreto-legge 26 marzo 2011, n. 27, il legislatore, all'articolo 1, comma 2, per reperire le somme necessarie al soddisfacimento delle esigenze, ha previsto espressamente l'impiego delle risorse utilizzabili del fondo unico per la giustizia e dei risparmi provenienti dalle missioni internazionali di pace;
    in proposito, occorre rammentare che la Corte costituzionale, in occasione di pregresse manovre economiche, recanti deroghe temporanee ai ricordati meccanismi rivalutativi di adeguamento, disposte, in particolare, in occasione dell'altrettanto grave congiuntura economica del 1992, aveva già indicato i limiti entro i quali un tale intervento potesse ritenersi rispettoso dei richiamati principi costituzionali, osservando che «norme di tale natura possono ritenersi non lesive del principio di cui all'articolo 3 della Costituzione (sotto il duplice aspetto della non contrarietà sia al principio di uguaglianza sostanziale, sia a quello della non irragionevolezza), a condizione che i suddetti sacrifici siano eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso»;
    in quel caso il sacrificio era limitato ad un anno, mentre ora, in presenza di una reiterazione a percussione di misure patrimoniali afflittive, la natura eccezionale e transitoria di una disposizione non può più essere predicata, credibilmente e plausibilmente, anche per la prevedibilità della sua reiterazione nel tempo futuro;
    gli ordinamenti del personale in argomento sono connotati da un'estrema gerarchizzazione e bloccare le progressioni economiche comporta effetti iniqui e sperequativi tra il personale stesso ed anche rispetto al restante personale della pubblica amministrazione;
    inoltre, la specificità dello status giuridico e di impiego, sancita all'articolo 19 della legge 4 novembre 2010, n. 183, del personale delle Forze armate, di polizia e di quello del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, caratterizzato da una mobilità e flessibilità d'impiego, sul territorio nazionale e all'estero, non riscontrabile in nessun altro settore del pubblico impiego, ha come corollario che l'assunzione di più gravose responsabilità e la sopportazione di maggiori rischi e disagi conseguenti all'avanzamento nel grado siano compensati da specifici istituti retributivi a ciò indirizzati,

impegna il Governo:

   a non assumere iniziative volte a reiterare le previsioni di cui all'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, per il comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico per l'anno 2015, in ossequio alle linee guida già approvate dal Governo l'8 aprile 2014 con il documento di economia e finanza 2014;
   a valutare la possibilità di assumere iniziative per sospendere, a partire dal secondo semestre 2014, il blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera e degli automatismi retributivi per il personale del comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico, utilizzando le risorse già disponibili per le una tantum e quelle eventualmente recuperabili dai bilanci già consolidati dei dicasteri interessati.
(1-00534) «Caruso, Dellai, Adornato».
(11 luglio 2014).

  La Camera,
   premesso che:
    il Governo Berlusconi, con il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, in considerazione della necessità e dell'urgenza di emanare provvedimenti per il contenimento della spesa pubblica, derivante dallo stato particolarmente preoccupante nel quale versavano i conti dello Stato, dispose – per il triennio 2010-2013 – il blocco della contrattazione e delle retribuzioni, per tutto il comparto della pubblica amministrazione, sia per gli adeguamenti stipendiali che per gli aumenti retributivi collegati all'anzianità di ruolo e alle progressioni di carriera comunque denominate, escludendo ogni possibilità successiva di recupero;
    per quanto attiene al comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico, tale disposizione ha investito alcuni istituti specifici connessi al particolare servizio svolto quali l'assegno funzionale e gli incrementi parametrali non riferibili a promozioni e progressioni di carriera;
    la rappresentanza militare (Cocer Interforze), quando il Ministro della difesa pro tempore, Ignazio La Russa, espose il provvedimento ai delegati, a quanto consta ai firmatari del presente atto di indirizzo ebbe occasione di muovere diverse ed importanti obiezioni che già allora segnalarono una condizione di particolare malessere, con particolare riferimento al fatto che chi aveva maturato promozioni, progressioni di carriera comunque denominate ed anche i relativi scatti stipendiali legati alle indennità operative e di funzione prima del 2010 non avrebbe subito le conseguenze del provvedimento, né quindi avrebbe contribuito in alcuna maniera al risanamento dei conti pubblici; conseguentemente, in tale occasione, oltre che creare un danno riconducibile solo ad una parte del personale, si è anche provveduto a generare un'ulteriore ingiustizia, con l'effetto che a pagare il prezzo fossero i più giovani e quindi le nuove generazioni;
    nonostante alcuni atti parlamentari che già nella XVI legislatura chiedevano la rimozione del blocco in questione, il blocco medesimo è stato prorogato nella XVII legislatura (decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2013) a tutto il 2014, con il parere negativo di ampia parte delle forze politiche della minoranza, pur in presenza di una generica rassicurazione sul superamento di questa disposizione a far data dal 1o gennaio 2015;
    la valutazione degli effetti sociali prodotti dalla decisione assunta nel 2010 assume delle caratteristiche particolarmente penalizzanti per il personale militare se si restringe il punto di osservazione al comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico, in virtù innanzitutto del fatto che – a differenza di quanto mostrerebbero le date di approvazione dei provvedimenti finora citati – l'ultimo contratto del settore risale all'anno 2009 e che, dunque, i contratti delle Forze armate, di pubblica sicurezza e del Corpo dei vigili del fuoco, sono fermi a far data da allora e che la particolare configurazione del trattamento economico dei militari si poggia, altresì, sulla naturale progressione di carriera per gradi ed anzianità: quindi, un anno doppio rispetto al restante personale del pubblico impiego derivante dalla tanto decantata ed abusata, quanto inutile «specificità»;
    si tratta quindi di cinque anni di blocco contrattuale, anni che – in termini più generali – coincidono con la fase apicale della crisi economica e sociale più lunga ed intensa che la storia della Repubblica ricordi e che ha prodotto un impoverimento generalizzato del Paese, del ceto medio e della classe lavoratrice in particolare;
    il ruolo giocato in questo senso da scelte politiche e normative di carattere depressivo come la norma sopra citata è di tutta evidenza, così come l'effetto sociale drammatico prodotto dalla stagione dei «tagli lineari», della spending review e dell'austerità in generale;
    la compressione salariale e – dunque – dei consumi e degli stili di vita consolidati delle famiglie di lavoratori ha determinato nelle Forze armate una fenomenologia già da tempo visibile e percepita nel resto del Paese, ovvero che le dinamiche interne al comparto oggi aderiscono in maniera plastica a quelle del resto della società: alla base vi è una regressione tangibile e grave nelle condizioni materiali di vita, al vertice il consolidamento di una condizione di relativo privilegio;
    la stessa legge n. 244 del 2012 di riforma e riordino dello strumento militare esplica i suoi effetti in chiave riduttiva – meno 50.000 unità in forza – principalmente sul personale – militare e civile – della difesa, in ossequio all'obiettivo dichiarato di liberare risorse per gli investimenti, già sbilanciate ben oltre la quota del 25 per cento, cui sembrerebbe volgere il disegno di legge ben considerando le risorse complessive allocate per tale esigenze tra il Ministero della difesa e il Ministero dello sviluppo economici, nello sviluppo, nella produzione ed acquisizione di sistemi d'arma. Logica conseguenza anche questa di una scelta di politica industriale orientata in maniera decisa all'implementazione dell'industria nazionale degli armamenti a discapito del valore umano delle Forze armate e del loro impiego in ambiti di civile necessità;
    allo stato attuale si assiste a uno dei più classici paradossi: da una parte, un eccesso retorico di esaltazione del ruolo e della «specificità» delle Forze armate e di pubblica sicurezza e del personale che vi opera, dall'altra, la diminuita retribuzione in termini reali, la carenza cronica di alloggi per il personale, i veicoli di servizio fermi a causa della carenza di carburante, il sacrificio operato sulle condizioni di sicurezza nelle quali questi lavoratori si trovano ad operare;
    le politiche depressive adottate in questi anni hanno prodotto il risultato di diffondere una condizione di pesante malessere, inquietudine ed incertezza sul futuro, in un settore delicatissimo come quello delle Forze armate e di pubblica sicurezza e dei vigili del fuoco, frequentemente caratterizzato da nuclei familiari monoreddito e con figli a carico;
    a questo stato di cose si aggiungano gli effetti della riforma previdenziale del 2012, dunque gli effetti sull'assegno pensionistico derivanti dal passaggio al sistema contributivo; va fatta, inoltre, l'ovvia constatazione che l'inferiore gettito contributivo derivante dal blocco degli adeguamenti stipendiali andrà ulteriormente ad influire sull'entità degli assegni medesimi;
    a dimostrazione di ciò basti citare le indicazioni riportate dalle numerose audizioni dei Cocer svoltesi in questi mesi presso la Commissione difesa della Camera dei deputati o ricordare l'originale ed educata protesta «del caffè» inscenata dai sottufficiali del ruolo sergenti affinché tale stato di malessere potesse uscire dal silenzio cui è costretto dalla cosiddetta «specificità», condizione che sta determinando anche importanti problemi sul terreno dell'operatività del comparto;
    occorre perciò ripensare e cambiare, per il comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico e, più in generale, per il pubblico impiego, le politiche fin qui adottate, operando in maniera tale da riconnettere la prospettiva della ripresa economica alla ripresa dei consumi e ad un recupero tangibile sul terreno delle condizioni di vita ed economiche dei lavoratori italiani, compresi i dipendenti militari e civili del comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico,

impegna il Governo:

   a non assumere assolutamente iniziative volte a prorogare oltre il 31 dicembre 2014 il blocco della contrattazione e degli adeguamenti stipendiali, degli effetti economici delle promozioni, delle progressioni di carriera comunque denominate e degli automatismi retributivi per il personale del comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico;
   ad assumere iniziative volte a sospendere il blocco disposto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2013 – a decorrere dal 1o agosto 2014 – o comunque a trovare risorse perequative, al fine di annullarne gli effetti in maniera da consentire fin da subito un primo ristoro del danno economico subito dai lavoratori del settore.
(1-00536) «Piras, Duranti, Scotto».
(11 luglio 2014).

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