TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 276 di Giovedì 31 luglio 2014

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE A TUTELA DEL CITTADINO ITALIANO ENRICO FORTI, CONDANNATO E DETENUTO NEGLI STATI UNITI

  La Camera,
   premesso che:
    Enrico «Chico» Forti è un connazionale che da 12 anni si trova in carcere a Miami, condannato all'ergastolo e accusato di un omicidio che non ha commesso;
    è stato condannato in base a un processo che non può chiamarsi tale, in quanto si è trattato di un processo indiziario, senza prove e basato su un movente dal quale lo stesso Forti era stato assolto mesi prima da un altro tribunale;
    «La Corte non ha prove che lei signor Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ho la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l'istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Portate quest'uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all'ergastolo senza condizionale!», è questa la frase che il giudice Victoria Platzer ha proferito in chiusura del processo di Enrico Forti; il 15 giugno 2000 è stato ritenuto colpevole di omicidio da una giuria popolare della Dade County di Miami, a suo carico non è mai stata prodotta alcuna prova forense oggettiva;
    Enrico Forti attende ormai da quattordici anni un'opportunità per dimostrare la sua innocenza ma finora tutti gli appelli proposti per la revisione del suo processo sono stati rifiutati senza motivazione;
    Chico nasce a Trento l'8 febbraio 1959, vive in famiglia fino al conseguimento della maturità scientifica nel 1978, in seguito si trasferisce a Bologna dove frequenta l'Isef per ottenere una laurea in educazione fisica. All'inizio degli anni Ottanta Chico diventa uno dei pionieri del windsurf, ottenendo risultati a livello mondiale. La sua simpatia e voglia di vivere, il buonumore e la comicità estrema in un batter d'occhio fanno di lui un vero e proprio personaggio nel circuito internazionale; negli anni Novanta si trasferisce a Miami in Florida, dove intraprende un'attività di filmaker e presentatore televisivo, in seguito si dedica anche ad intermediazioni immobiliari ed è proprio svolgendo questa attività che conosce Anthony John Pike, che si presenta come proprietario di un omonimo albergo sull'isola di Ibiza, in Spagna;
    alla fine del 1997, Anthony John Pike viaggia alla volta di Miami, ospite di un tedesco di nome Thomas Knott, che da qualche tempo soggiornava a Williams Island, in un appartamento sito proprio sotto l'abitazione di Enrico Forti. I due erano stati «amiconi» ai tempi dorati dell'albergo di Ibiza, di cui Knott era un assiduo frequentatore;
    Knott era stato condannato in Germania a sei anni di detenzione per truffe miliardarie, sparito durante un periodo di libertà vigilata e ricomparso a Miami, dove svolgeva, sotto falsi documenti procuratigli da Pike, un'attività di copertura come «istruttore di tennis». In realtà continuava la sua «professione» di truffatore. L'ultima accusa fu proprio quella tentata ai danni di Enrico Forti, convocando Anthony John Pike a Miami con l'intento di vendere il citato hotel, sebbene non fosse più di sua proprietà da oltre un anno;
    durante questa trattativa, compare Dale Pike, figlio di Anthony, che in passato era stato allontanato dall'albergo di Ibiza per gravi dissapori con il padre;
    Dale Pike doveva lasciare precipitosamente la Malesia, per motivi non accertati, e ricorse all'aiuto del padre, trovandosi in questo stato di necessità completamente privo di denaro. Anche Anthony Pike non aveva alcuna disponibilità finanziaria e chiese l'aiuto di Enrico Forti con il quale era entrato in trattative per la compravendita dell'albergo. Forti fu disponibile e alla fine del mese di gennaio 1998 pagò a Dale Pike il biglietto aereo dalla Malesia alla Spagna. Quindici giorni più tardi, Anthony Pike telefonò nuovamente ad Enrico Forti, prospettandogli una sua visita a Miami, questa volta in compagnia del figlio Dale;
    il giorno del loro arrivo fu programmato per domenica 15 febbraio 1998. Convinse nuovamente Enrico Forti ad anticipare il denaro per pagare i biglietti aerei ed anche questa volta Forti acconsentì a pagare i biglietti ad ambedue;
    il giorno prima della partenza, Anthony fece un'ultima telefonata ad Enrico Forti, adducendo problemi personali, spostando il suo appuntamento con lui a New York per il mercoledì successivo, 18 febbraio. Suo figlio Dale, invece, avrebbe comunque viaggiato a Miami, da solo, la domenica 15 febbraio ed Anthony chiese a Forti di andarlo a prendere all'aeroporto per ospitarlo a casa sua. Forti acconsentì, ma dopo il suo incontro con Dale all'aeroporto quest'ultimo gli chiese di essere portato al parcheggio di un ristorante a Key Biscayne, dove amici di Knott lo stavano attendendo e con i quali avrebbe trascorso alcuni giorni, in attesa dell'arrivo del padre. Forti quindi diede un passaggio a Dale fino al luogo da lui indicato e lo lasciò al parcheggio verso le ore 19 di quella domenica. Il suo contatto con Dale Pike, mai visto né frequentato prima di quel giorno, era durato circa una mezz'ora;
    il giorno 16 febbraio 1998 un surfista ritrovò il cadavere di Dale Pike in un boschetto che limita una spiaggia a poca distanza dal parcheggio dove Enrico Forti lo aveva lasciato. Era stato ucciso con due colpi di pistola calibro 22 alla nuca, denudato completamente ma con vicino il cartellino verde di cui viene dotato alla dogana chiunque entri negli Stati Uniti. Cerano anche altri oggetti personali per cui fu semplice l'identificazione. La morte fu fatta risalire tra le ore 20 e 22 del giorno precedente, poco tempo dopo il suo commiato da Enrico Forti; al processo quest'ultimo venne accusato e condannato come «mandante» dell'omicidio;
    le accuse mosse contro Enrico Forti si basarono tutte sul fatto che in un primo momento egli tacque sulla circostanza dell'arrivo di Dale Pike domenica 15 febbraio 1998 ed omise la verità sul loro incontro all'aeroporto di Miami;
    nei giorni che seguirono, i fatti dimostrarono come Enrico Forti non fosse stato affatto preoccupato della sorte di Dale Pike. Fu soltanto mercoledì 18 febbraio a New York, dove si era recato per l'incontro con il padre, che apprese la notizia dell'omicidio;
    saltato l'appuntamento con Anthony Pike e non avendo più sue notizie, Forti tornò immediatamente a Miami ed il giorno seguente, 19 febbraio, si recò spontaneamente al dipartimento di polizia, per rispondere ad una convocazione come persona informata dei fatti. Fu durante questa convocazione – che si rivelò poi un vero e proprio interrogatorio come maggior indiziato per l'omicidio – che la polizia lo informò falsamente che oltre a Dale, anche il padre Anthony era stato trovato ucciso a New York. Anthony Pike, invece, era vivo e vegeto e sotto protezione della polizia stessa dal giorno precedente. Terrorizzato dal precipitare degli avvenimenti, Forti negò di aver incontrato Dale Pike;
    la sera del 20 febbraio 1998, ormai resosi conto della gravità della situazione, tornò alla polizia per consegnare una serie di documenti relativi al rapporto d'affari con il padre della vittima;
    ingenuamente, si presentò senza l'assistenza di un legale, anche per la garanzia avuta da un ex capo della squadra omicidi da lui conosciuto, che lo aveva assicurato trattarsi solamente di dare alcuni chiarimenti per aiutare le indagini della polizia;
    invece in quell'occasione venne immediatamente arrestato e sottoposto ad un massacrante interrogatorio per 14 ore, durante il quale ammise di aver incontrato Dale Pike il 15 febbraio nelle ore precedenti il suo omicidio e di averlo accompagnato al parcheggio del ristorante Rusty Pelican a Virginia Key;
    questa ammissione fu il risultato di una vera e propria trappola, tesagli per mandarlo in totale confusione, costringendolo a mentire soggiogato dalla paura e dalla disperazione;
    nell'immediatezza del primo arresto, Enrico Forti era stato accusato di frode, circonvenzione d'incapace e concorso in omicidio. La giuria però fu fuorviata ed ingannata nel suo giudizio finale perché non venne mai informata che Enrico Forti in precedenza era già stato completamente assolto dalle accuse di frode e circonvenzione d'incapace. Liberato su cauzione, nei venti mesi che seguirono, era stato, infatti, scagionato da tutti i capi d'accusa che riguardavano la frode; scorrettamente, invece, la frode fu usata come movente nel processo per omicidio;
    si è scoperto che l'albergatore tentava di vendere al Forti un hotel che da molto tempo non era più suo. Una truffa vera e propria. Anthony Pike stesso lo aveva ammesso in una deposizione rilasciata a Londra prima del processo, ma l'accusatore l'ha tenuto nascosto alla giuria;
    le indagini per l'omicidio di Dale Pike vennero affidate al prosecutor Reid Rubin e il pubblico ministero venne informato da Gary Schiaffo (il leader investigator nel caso Cunanan) sulla persona di Chico Forti e fu messo al corrente dell'inchiesta dal Forti realizzata sul caso Versace/Cunanan dove venivano messe in dubbio le dichiarazioni della polizia di Miami e dove l'attacco alla casa galleggiante era considerato una clamorosa messinscena;
    le indagini preliminari furono affidate ai detective Catherine Carter e Confessor Gonzales che, stranamente, facevano parte della squadra investigativa di Schiaffo. In seguito, la conduzione del processo ad Enrico Forti fu affidata alla giudice Victoria Platzer, anche lei membro della squadra di Schiaffo prima di essere nominata giudice;
    il pubblico ministero Reid Rubin non ha sicuramente lasciato nulla all'improvvisazione, dato che ha impiegato ben ventotto mesi per preparare la sua arringa finale, un record per i tribunali americani: normalmente qualsiasi processo si esaurisce entro sei mesi dalla sua istruttoria;
    Rubin ha avuto l'incredibile vantaggio di pronunciare la sua arringa finale senza che la difesa potesse replicare, in modo che qualsiasi teoria lui intendesse proporre alla giuria, vera o presunta, o basandosi esclusivamente su una fantasiosa ricostruzione dei fatti, non era più contestabile;
    il rito del processo americano prevede che l'ultima parola spetti di diritto all'accusa quando l'imputato si è avvalso della facoltà di non rispondere, oppure non è chiamato al banco dei testimoni, ma Enrico Forti non ne era al corrente. Lo sapeva ovviamente il pubblico ministero, che ha sfruttato questa opportunità puntando tutte le sue chance proprio nello spazio finale a lui concesso, approfittando anche del fatto che la giuria deve decidere il suo verdetto basandosi esclusivamente sulla propria memoria del dibattimento. Logico, quindi, che nella mente dei giurati rimangano impresse più le ultime parole dell'accusa che non quelle della difesa. A maggior ragione questo si verifica quando l'oratore è particolarmente bravo e non c’è dubbio che Reid Rubin lo sia;
    ma la responsabilità più grave della faccenda ricade sugli avvocati della difesa: anche loro conoscevano questa regola, la spiegazione data dai legali nel consigliare Enrico Forti di non presentarsi alla sbarra fu: «Tu hai detto una bugia, quindi sei esposto al massacro di immagine che l'accusatore può dare di te ai giurati. Quindi meglio non rischiare. Inoltre, non essendoci prove, nessuna giuria al mondo potrà emettere un verdetto di colpevolezza nei tuoi confronti!». Anche l'accusatore, quindi, non ha ritenuto di dover chiamare Enrico Forti alla sbarra;
    dopo la conclusione dell'arringa dell'accusa la giuria popolare si ritirò nella camera di consiglio e solo poche ore bastarono ai giurati per emettere un verdetto di colpevolezza;
    la morte civile inflitta ad Enrico Forti in definitiva si basa solamente su una «sensazione»; in seguito, nonostante si fosse in grado di dimostrare ampiamente che Enrico Forti era rimasto vittima di un clamoroso errore giudiziario, cinque appelli presentati per la revisione del processo sono stati tutti rifiutati sistematicamente dalle varie corti, senza alcuna motivazione né opinione;
    il 30 aprile 2002, dopo il rifiuto della revisione del processo, un incredibile fatto venne casualmente alla luce. A Ira Loewy, avvocato dello studio legale incaricato della difesa di Enrico Forti, venne contestata un'assoluta inefficienza nella difesa di Chico tale da far sospettare una collusione con l'accusa;
    oltre al processo di Enrico Forti, Loewy lavorava per un altro caso, come sostituto procuratore aggiunto presso il dipartimento criminale, in un ufficio adiacente a quello dell'accusatore Reid Rubin. Questo costituiva un chiaro conflitto d'interessi, richiamato anche dalla giudice del processo in una specifica udienza. Benché Loewy avesse assunto l'impegno di informare il suo assistito Enrico Forti della situazione, non ottemperò mai a questo obbligo. Scoperta casualmente tre anni più tardi questa illegale procedura, Loewy presentò, per giustificarsi, la fotocopia di un documento di autorizzazione a procedere firmata da Enrico Forti. Di questo documento non si è mai trovato l'originale, non è mai stato allegato agli atti del processo, la firma in calce non è di Enrico Forti e quindi non si è mai voluto o potuto verificarne l'autenticità;
    la responsabilità più grave di Ira Loewy è quella di aver concesso l'ultima parola all'accusa nella fase finale del processo; infatti, non facendo deporre Chico Forti, Loewy concesse un enorme vantaggio all'accusa e Reid Rubin ebbe la possibilità di esporre alla giuria una sequenza di prove circostanziali senza alcun sostegno probatorio. La giuria, infatti, può fare affidamento soltanto sulla propria memoria relativamente alle situazioni prospettate durante il processo, per cui al momento del ritiro in camera di consiglio pesano in modo determinante le ultime cose ascoltate;
    ad Enrico Forti è stato negato il diritto allo speed trial – processo veloce entro venti giorni dall'arresto – per avvenuta scadenza dei termini di legge (sei mesi) dalla prima accusa all'arresto (venti mesi). Il diritto allo speed trial gli è stato negato perché applicata la «regola Williams», cioè l'esistenza di una diretta connessione tra l'ottenimento di un illecito guadagno, truffa, e la consumazione dell'omicidio. Questa regola avrebbe dovuto essere revocata perché Enrico Forti era già stato assolto dall'accusa di frode in un precedente processo;
    la deposizione rilasciata da Forti come testimone, durante la quale disse la bugia sul suo incontro con Dale Pike, avrebbe dovuto essere annullata perché coperta dai cosiddetti diritti Miranda che prevedono l'assistenza di un legale durante qualsiasi deposizione rilasciata da una persona ufficialmente accusata di un crimine; infatti, questi diritti gli furono negati nonostante al momento della deposizione fosse già il principale indiziato per l'omicidio;
    l'accusatore ha anche, in maniera ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo colpevole e scorretta, ignorato un accordo pre-processuale tra le parti, detto in limine, secondo il quale la truffa non avrebbe dovuto essere usata come movente e, in tal modo, la giuria fu intenzionalmente fuorviata nel suo giudizio finale;
    si è violata anche la double Jeopardy, secondo la quale se un imputato è già stato assolto da un'accusa in un precedente processo, la stessa accusa non può essere usata in un altro processo;
    a Chico Forti furono negati anche i diritti previsti dalla Convenzione di Vienna: i Paesi firmatari di questa Convenzione garantiscono l'immediata assistenza legale in caso di arresto di un loro cittadino in uno Stato diverso dal proprio;
    è prevista, inoltre, anche l'automatica simultanea comunicazione alle autorità consolari locali del cittadino stesso; il consolato italiano venne, invece, a conoscenza del primo arresto di Enrico Forti casualmente dai giornali ben nove giorni dopo; alla protesta ufficiale che ne seguì, la polizia inviò una lettera di scuse per «l'involontaria» omissione;
    Ferdinando Imposimato, suo legale italiano, e la criminologa Roberta Bruzzone hanno presentato nel maggio 2012 un report al Ministro degli affari esteri pro tempore, Giulio Maria Terzi di Sant'Agata, che contiene le motivazioni per la richiesta di revisione;
    il Ministro degli affari esteri pro tempore, Emma Bonino, ha a sua volta espresso l'attivo interessamento del Governo italiano sul caso Forti;
    anche molte personalità dello spettacolo si sono unite ad un movimento di opinione per chiedere la revisione del processo;
    purtroppo la richiesta di un nuovo processo può avvenire solo ed esclusivamente sulla base di una newly discovered evidence: una nuova prova determinante che, se presentata nel dibattimento, ne avrebbe potuto modificare l'esito e che, si dimostri, non poteva essere trovata al tempo del processo. Tutte le prove, anche a sua discolpa, che sono passate, o avrebbero potuto passare, davanti ad una corte sono procedural defaulted e, quindi, non valgono,

impegna il Governo:

ad assumere in ogni sede qualsiasi iniziativa di competenza volta a tutelare il concittadino Enrico Forti, come più volte in precedenza il Governo italiano ha ritenuto di dover fare in difesa di altri concittadini condannati e detenuti all'estero, considerato anche il fatto che lo Stato italiano intrattiene con il Governo degli Stati uniti ottimi rapporti diplomatici che hanno portato anche di recente alla soluzione di casi giudiziari controversi.
(1-00291)
«Ottobre, Giachetti, Fabrizio Di Stefano, Leone, Kronbichler, Marcolin, Dellai, Corsaro, Pisicchio, Di Lello, Bruno, Nicoletti, Alfreider, Binetti, Capelli, Carella, Catalano, De Menech, Di Gioia, Fauttilli, Furnari, Galgano, Riccardo Gallo, Gebhard, Ginoble, Labriola, La Marca, Lacquaniti, Latronico, Locatelli, Marguerettaz, Migliore, Paglia, Palmizio, Pastorelli, Piepoli, Plangger, Realacci, Paolo Rossi, Rostan, Giovanna Sanna, Sberna, Scanu, Schullian, Stumpo, Tabacci, Tacconi, Vargiu, Zaccagnini, Palese, Amoddio, Alli, Marazziti, Fitzgerald Nissoli».
(20 dicembre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    il 15 giugno 2000 Enrico Forti, nato in Italia nel 1959, ex campione mondiale di windsurf, filmaker, produttore televisivo, fu condannato all'ergastolo per l'omicidio di Dale Pike, 42 anni, dalla Dade County di Miami in Florida, con l'accusa di «aver personalmente e/o con altra persona o persone allo stato ancora ignote, agendo come istigatore e in compartecipazione, provocato dolosamente e preordinatamente la morte di Dale Pike». In Key Biscayne – Virginia Key – il 15 febbraio 1998. Il corpo di Dale fu trovato il 16 febbraio 1998, sulla spiaggia di Sewer Beach, in Key Biscayne. La vittima era stata raggiunta da due colpi di arma da fuoco esplosi alla nuca a distanza ravvicinata. Il movente dell'omicidio, secondo la corte, fu l'eliminazione di Dale «ostacolo all'acquisto truffaldino dell'hotel Pike's di Ibiza di proprietà del padre di Dale». Il movente fu smentito dal notaio German Leon Pena, che in Spagna aveva rogato il preliminare di vendita tra Anthony Pike e Forti. Pena disse al prosecutor Rubin e all'avvocato di Forti Loewy che Anthony Pike non risultava proprietario di alcuna azione delle tre società che vantavano il 95 per cento della proprietà dell'hotel. Il prosecutor Rubin non esibì alla corte la testimonianza di Pena che scagionava Forti dal movente. Ma ci fu un'omissione anche del legale di Forti, che non chiese la testimonianza di Pena. In realtà, era stato il Forti a subire un danno pagando ad Anthony Pike un acconto di 25.000 dollari alla stipula del preliminare e Anthony lo ammise a Londra davanti a Rubin e Loewy. Thomas Knott, pregiudicato condannato in Germania a sei anni per truffa e bancarotta fraudolenta, espatriato dalla Germania, mentre era in libertà vigilata, con documenti falsi forniti da Anthony Pike, fu sospettato dell'omicidio di Dale. Per questo subì una perquisizione domiciliare disposta dal prosecutor. Tuttavia Knott patteggiò la pena con il prosecutor Rubin e, benché truffatore di professione, divenne fondamentale testimone di accusa contro Forti. Peraltro, risulterebbero circostanze quantomeno opache circa il ruolo di Anthony Pike che, anziché confermare ciò che aveva detto al prosecutor Rubin e all'avvocato Ira Loewy a Londra il 26 e 27 marzo 1999, e cioè che lui Anthony non aveva alcun titolo per la vendita dell'albergo, modificò radicalmente la sua versione dei fatti in senso accusatorio verso Forti. In particolare, non è chiaro se ciò sia avvenuto sulla base di pressioni esterne. Al processo Anthony divenne il principale testimone d'accusa contro Forti. Le prove documentali e testimoniali raccolte, dopo la condanna, da Enrico Forti e dai suoi familiari, con l'assistenza in Italia dell'avvocato Ferdinando Imposimato e della criminologa Roberta Bruzzone, dimostrano chiaramente come Enrico Forti fosse, quando fu sentito come teste dalla polizia di Miami, a tutti gli effetti, indagato per il delitto di Dale. La polizia di Miami disse a Forti di recarsi all'ufficio di polizia la sera del 19 febbraio 1998. Forti si presentò puntuale e alle 18,55 cominciò quella che doveva essere una chiacchierata informale e, invece, si rivelò un vero e proprio interrogatorio di indagato, senza che venisse avvisato, come era doveroso secondo la Costituzione americana e secondo il trattato sui diritti civili e politici di New York, che era indagato di omicidio. L'articolo 14, comma 3, lettera a), del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici, prescrive che «ogni individuo accusato di un reato ha diritto come minimo ad essere informato sollecitamente della natura e dei modi dell'accusa a lui rivolta». Dell'interrogatorio, avvenuto con videoregistrazione, sono scomparse le registrazioni video e audio. L'indagine sulla morte di Dale Pike proseguì contro Forti, mentre Thomas Knott stipulò un accordo segreto con lo Stato (plea agreement) diventando, di fatto, un testimone decisivo per l'accusa contro Forti;
    nel caso Forti sono state violate diverse norme del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1966 – ratificato dagli Stati Uniti l'8 settembre 1992, vincolante per gli Usa – e della Costituzione degli Usa;
    l'accusa contro Enrico Forti era confusa, generica, incomprensibile e non consentì un'adeguata difesa a Forti: non era chiaro, dopo alcuni cambiamenti del capo di imputazione, se Forti avesse agito come mandante o come esecutore materiale, da solo o con uno o più complici, e quale fosse l'arma del delitto. La genericità dell'accusa violò una norma fondamentale del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966; l'articolo 14, comma 3, dispone, infatti, che «Ogni individuo accusato di un reato, ha diritto ad essere informato sollecitamente e in modo circostanziato della natura e dei motivi dell'accusa a lui rivolta». Il prosecutor contestò a Forti in un primo tempo di essere stato l'esecutore materiale dell'omicidio, ma di fronte all'alibi di Forti, – che dimostrò, con le celle del suo portatile, di essersi trovato lontano dal luogo del delitto al momento del fatto – cambiò l'accusa nel modo seguente «per avere il Forti Enrico personalmente e/o (...) con altra persona e persone allo stato ancora ignote, agendo come istigatore e in compartecipazione, ciascuno per la propria condotta partecipata, e/o in esecuzione di un comune progetto delittuoso, provocato, dolosamente e preordinatamente, la morte, di Dale Pike». Sulla base di questa nuova imputazione, di dubbia legittimità perché generica e alternativa, in cui si accusava contraddittoriamente Forti di avere agito «personalmente», o con una o più persone non identificate, «ognuno con la propria condotta partecipativa» che non veniva descritta, «e/o in esecuzione di un comune progetto delittuoso», che non veniva definito, venne inflitta la condanna all'ergastolo. La corte concludeva: «La Corte non ha le prove che lei signor Forti abbia premuto il grilletto, ma ho la sensazione (...), al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l'istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Lo condanniamo all'ergastolo senza condizionale». Dall'accusa generica e vaga, con complici evanescenti mai identificati, Forti non poté in alcun modo difendersi. Fu violato in tal modo sia la regola che prescrive di informare «in modo circostanziato» (articolo 14, comma 3, del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966) l'accusato, sia il principio di legalità, nullum crimen, nulla poena sine lege, di cui all'articolo 14 del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici che prescrive all'articolo 14, comma 2, che per la condanna si richiede che «la colpevolezza sia provata legalmente». Postulato che è contenuto, oltre che nel Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966, nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, nel patto delle Nazioni unite del 1966, nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e nella Costituzione repubblicana;
    altra violazione dell'articolo 14 del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici riguarda l'obbligo per l'autorità che indaga di informare sollecitamente l'accusato della natura e dei motivi dell'accusa. Al contrario, la polizia violò l'articolo 14, lettera b), del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1966, che: stabilisce che «ogni individuo accusato di un reato, ha diritto a disporre del tempo e dei mezzi necessari alla preparazione della difesa ed a comunicare con un difensore di sua scelta». Invece il 19 febbraio 1998, Forti fu sottoposto a un lungo interrogatorio protrattosi diverse ore, senza potersi avvalere dell'assistenza di un legale, poiché ciò non gli fu consentito;
    la corte di Miami, che ha condannato Enrico Forti per omicidio in base al movente della truffa dell'acquisto dell'hotel Pike's, ha violato il principio del ne bis in idem. Le accuse contro Forti erano tre: truffa, circonvenzione e concorso in omicidio. Il processo contro Forti per la truffa e la circonvenzione di incapace si era concluso con una sentenza di non doversi procedere «nolli prosequi». Sennonché l'8 ottobre 1999, nonostante il proscioglimento di Forti dall'accusa di truffa e circonvenzione di incapace, il prosecutor chiese alla corte di contestare al Forti l'accusa di omicidio di primo grado a scopo di lucro, cioè a scopo di ingiusto profitto per mezzo di truffa. Tale contestazione, sviluppata dal prosecutor nella requisitoria finale, venne posta dalla corte come pilastro dell'accusa, a base della condanna all'ergastolo. Invece, il presidente della corte doveva informare la giuria che Forti era stato prosciolto dall'accusa di truffa e circonvenzione con sentenza per effetto della quale c'era il divieto del ne bis in idem alias del «double Jeopardy». L'articolo 14, comma 6, del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici, stabilisce che «nessuno può essere sottoposto a nuovo giudizio per un reato per il quale sia già stato assolto o condannato con sentenza definitiva in conformità al diritto e alla procedura penale di ciascun paese». L'appendice alla Costituzione degli Stati Uniti d'America dispone, in conformità dell'articolo 14, comma 6, del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966, nel modo seguente: «Articolo V. Nessuno potrà essere sottoposto due volte per un medesimo delitto, a un procedimento che comprometta la sua vita o la sua integrità fisica»; la norma fa riferimento al doppio giudizio sulla stessa offesa e ciò ha interesse per la questione della truffa addebitata a Forti. La parte essenziale del fatto contestato, lo scopo di frode in danno di Anthony Pike, costituente il movente dell'omicidio, era stato deciso con il nolli prosequi dal giudice Platzer;
    il tedesco Knott doveva essere un teste importante nel processo. In una testimonianza di un compagno di cella di T. Knott, Glenn Ravera, questi disse che il tedesco gli aveva raccontato di una visita del procuratore Rubin a Knott. Nel corso della visita, Rubin gli aveva promesso un aiuto giudiziario in cambio di una testimonianza per incastrare Forti. Knott, arrestato e condannato a 15 anni per reati di truffa, era indagato anche dell'omicidio: contro di lui esistevano molti indizi di colpevolezza anche per l'omicidio di Dale Pike, tanto da provocare la perquisizione del criminale tedesco. Thomas Knott accettò di collaborare con Rubin con cui stipulò un plea agreement. Ma si ignora il contenuto delle dichiarazioni rese da Knott senza replica. Ogni accusa contro Knott per la possibile responsabilità per l'omicidio di Dale Pike era stata oggetto di un patteggiamento i cui contenuti vennero segretari dalla procura di Miami. Orbene, esisteva ed esiste un obbligo del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966 che imponeva la discovery della testimonianza di Knott. L'articolo 14, comma 3, lettera a), stabilisce che «ogni individuo accusato di un reato ha diritto di essere informato sollecitamente e in modo circostanziato della natura e dei motivi dell'accusa nei suoi confronti». Invece la contestazione da parte del prosecutor mancò e l'avvocato Loewy non trovò nulla da ridire contro la segretazione degli atti del patteggiamento, da cui potevano e possono ricavarsi elementi a carico di Knott e a favore di Forti: il 15 febbraio 1998 Knott doveva ospitare proprio Dale, come ebbe a riconoscere anche il padre di Dale;
    nel dicembre 2002, Enrico Forti, dopo la condanna all'ergastolo, divenuta definitiva il 12 agosto 2002, mentre era in carcere in espiazione della pena, venne a conoscenza da un detenuto di un conflitto di interessi diretto che investiva l'avvocato Ira Loewy. Questi, durante il processo a Forti, era stato contemporaneamente difensore di Enrico Forti contro lo Stato della Florida e prosecutor per lo stesso Stato della Florida in un altro processo. Il compagno di detenzione disse che aveva avuto come accusatore proprio l'avvocato Loewy. Il presidente della corte dei due processi in cui Loewy appariva in funzioni contrapposte, giudice Victoria Platzer, essendo presidente della corte nei due processi, era a conoscenza del conflitto di interessi e della irregolarità della posizione dell'avvocato Loewy. Forti era ignaro del conflitto. Nel corso di un'udienza ad hoc del 29 marzo 2000, assente il Forti non citato, la presidente Platzer richiamò l'avvocato Loewy sulla necessità di sanare il conflitto di interessi mediante l'autorizzazione della vittima del conflitto, Forti. Il presidente Platzer fece presente a Loewy che se non fosse stata sanata la grave irregolarità, il processo non sarebbe potuto proseguire. L'avvocato Loewy rispose che Forti non poteva essere presente perché in quarantena nel carcere per un'epidemia di varicella. Era evidente che il processo non poteva iniziare né proseguire senza l'autorizzazione di Forti. Sennonché Platzer non tenne più un'altra udienza per chiedere al Forti se rinunziava a eccepire la grave irregolarità. Il giudice Platzer omise di tener conto che questo vizio inficiava sia la fase delle indagini che quella del dibattimento svolto fino a quel momento, senza la rinunzia da parte al conflitto di interessi. Il Loewy rinunziò ai fondamentali diritti di difesa, come il diritto di Forti a prendere la parola per ultimo per replicare alle accuse della polizia e del pubblico ministero, il diritto ad avere l'ultima parola da parte dell'imputato, il diritto a chiedere il confronto con Thomas Knott, il diritto a chiedere il confronto con Anthony Pike, il diritto a chiedere la testimonianza di Katherine Evans sul possesso della pistola da parte di Knott, il diritto a chiedere la testimonianza del notaio Pena sulla mancanza nel Pike del diritto di proprietà dell'hotel, il diritto a fare valere il ne bis in idem; Forti non poté più fare valere quei diritti per decadenza dei termini previsti dalla legge. Loewy riconobbe la necessità della autorizzazione (waiver) di Forti. Non si sa se l'avvocato esibì mai alcun documento originale. Si ha solo conoscenza di una fotocopia di un modulo di rinunzia. Di tale documento pare non sia mai stato trovato l'originale agli atti del processo penale;
    l'appendice alla Costituzione degli Stati Uniti dispone: «You or your lawyer can then make a concluding speech arguing your case». A seguito di richiesta dell'avvocato Loewy al pubblico ministero Rubin della rinunzia da parte di Forti al conflitto di interessi, il pubblico ministero Rubin il 7 giugno 2005 inviava a Susan Dmitrovsky un'autorizzazione in data 20 marzo 2000. Questo documento era in contrasto con la circostanza documentale che l'udienza sul conflitto di interessi, in cui il giudice Platzer aveva rilevato l'anomalia, era stata celebrata, senza la presenza di Forti, il 29 marzo 2000 dopo la data del documento prodotto da Rubin. Il richiamo da parte del presidente Platzer a difesa e accusa sulla necessità della presenza di Forti parrebbe dimostrare che la fase del processo successiva al 15 febbraio 1998 – e almeno fino al 29 marzo 2000 – era avvenuto senza l'autorizzazione di Forti. Sicché ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo la colpevolezza di Forti non fu «provata legalmente» (articolo 14, comma 2, del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1996);
    secondo i firmatari del presente atto di indirizzo orbene la difesa di Forti vanificò tutti i principi del giusto processo. Se l'avvocato Ira Loewy avesse prodotto il documento originale dell'autorizzazione scritta di Forti, o questo fosse stato rinvenuto nel processo, Forti avrebbe dovuto rispondere di calunnia o di diffamazione. Ma né l'avvocato né l'ufficio del giudice hanno mai esibito questo documento fondamentale. In tutti i casi, se l'originale del waiver non si è mai ritrovato, non si comprende da dove è stata ricavata la fotocopia;
    la Costituzione americana prevede al predetto VI emendamento che in ogni procedimento penale, l'accusato «avrà diritto ad essere informato della natura del motivo dell'accusa, a essere messo a confronto con i testimoni a carico, a ottenere di far comparire i testimoni a suo favore e a farsi assistere da un avvocato per la sua difesa», diritti che sono stati vanificati dal comportamento dell'avvocato Loewy nel consigliare l'assistito che gli conveniva non parlare per ultimo al termine del processo per proclamare la sua innocenza e di non contraddire le menzogne di chi lo accusava. Si è consapevoli che negli Stati Uniti la sensibilità verso i conflitti di interesse è altissima. In Italia Piero Calamandrei, uno degli artefici della Costituzione italiana, lasciò scritto in pagine indimenticabili che il magistrato non deve essere soltanto imparziale, ma deve apparire tale. Lo stesso vale per un avvocato; nei confronti dell'avvocato, il ragionamento è valido a maggior ragione visto che l'avvocato viene scelto, per aiutare, per difendere e per continuare a sperare da persone che sono a volte in una difficilissima situazione;
    da rilevare che l'articolo 629 del codice di procedura penale prevede che le condanne soggette a revisione sono ammesse «in ogni tempo a favore dei condannati» e che l'articolo 630, lettera d), del codice di procedura penale indica, tra i presupposti della revisione, «che la condanna venga pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato». Il professor Franco Cordero dell'Università La Sapienza, nell'indicare i casi di possibile revisione, secondo l'ordinamento giuridico italiano, indica «casi giudiziari penalmente inquinati che hanno determinato la condanna tra cui «la frode processuale, il patrocinio infedele e la falsità in atti» (Franco Cordero, procedura penale, edizione Giuffrè 2003);
    il 9 luglio 2008 venne presentata dalla nuova difesa di Enrico Forti una richiesta di revisione alla corte di appello del terzo distretto, che rifiutò di prendere in considerazione tale richiesta senza fornire alcuna motivazione, come risulta da documento processuale in possesso della difesa di Forti. Un ultimo ricorso per ottenere la revisione del processo di Enrico Forti venne presentato alla corte federale degli Usa il 4 marzo 2009, ma la decisione della stessa corte del 3 agosto 2010 fu di «rifiuto per scadenza dei termini di presentazione». La revisione è implicitamente prevista dal Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966 all'articolo 14, comma 6, secondo cui «Quando un individuo è stato condannato con sentenza definitiva e successivamente tale condanna viene annullata, in quanto un fatto nuovo o scoperto dopo la condanna, dimostra che era stato commesso un errore giudiziario». Questa norma, vincolante per gli Usa, dimostra che la revisione è un ricorso non ancorato a termini. E del resto Forti scoprì il conflitto di interessi dopo la condanna definitiva all'ergastolo e fu costretto a raccogliere le prove presso amici e parenti e conoscenti per dimostrare che esisteva il conflitto. Non ha alcuna giustificazione né la decisione del giudice Murphy di respingere la richiesta di Forti senza alcuna motivazione, né quella della corte federale, che ha dichiarato la scadenza del termine per la presentazione del ricorso per la revisione, dal momento che nel patto vincolante per gli USA non esiste un termine, come in nessun ordinamento del mondo, che si ispiri al due process of law;
    il Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1966 afferma, all'articolo 2, comma 1, che «ciascuno degli Stati parti del presente Patto si impegna a rispettare e a garantire a tutti gli individui che si trovino sul suo territorio e siano sottoposti alla sua giurisdizione i diritti riconosciuti nel presente patto» all'articolo 2, comma 2, che «Ciascuno degli Stati parti si impegna a compiere, in armonia con la proprie procedure costituzionali e con le disposizioni del presente Patto, per l'adozione delle misure legislative o di altro genere che possano occorrere per rendere effettivi i diritti riconosciuti nel presente Patto», all'articolo 2, comma 3, lettera a), che «Ciascuno degli Stati parti del presente Patto si impegna a garantire che qualsiasi persona i cui diritti riconosciuti nel PI siano stati violati, disponga di effettivi mezzi di ricorso, anche nel caso in cui la violazione sia stata commessa da persone agenti nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali»;
    all'articolo 2, comma 3, lettera b), garantisce «che l'autorità competente giudiziaria, amministrativa e legislativa decida in merito ai diritti del ricorrente e sviluppare il ricorso in sede giudiziaria»;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, alla luce di tutto quanto richiamato, il processo contro Chico Forti non è stato equo e si è fondato su un comportamento quantomeno dubbio del difensore e, pertanto, si ritiene necessario un nuovo processo in cui Chico Forti venga chiamato a rispondere dell'omicidio di Dale Pike secondo le norme della Costituzione americana e del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1966,

impegna il Governo:

   ad approfondire tutti i profili relativi alla vicenda di Enrico (Chico) Forti, soprattutto con riferimento alle possibili violazioni delle norme del due process of law contenute nel Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1966 (in particolare nell'articolo 14), nonché della Costituzione degli Stati Uniti, interessando formalmente il Governo degli Stati Uniti affinché sia intrapresa ogni iniziativa di competenza al riguardo, al fine di evitare un grave pregiudizio dei diritti inviolabili della persona;
   a richiedere chiarimenti al Governo degli Stati Uniti, per quanto di competenza e nel pieno rispetto dell'indipendenza della giustizia americana, sulle molteplici circostanze che fanno supporre, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, che il processo sia stato condizionato da una difesa che appare segnata da gravi opacità, con particolare riferimento a possibili conflitti di interesse;
   ad assumere iniziative affinché gli Stati Uniti risolvano, in osservanza del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966, il problema della scadenza dei termini di presentazione del ricorso per la revisione, se necessario ricorrendo ad apposita norma che consenta di presentare il ricorso per la revisione «in ogni tempo», come previsto dall'articolo 14, comma 6, del citato Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici;
   a informare il comitato dei diritti dell'uomo di cui all'articolo 28 del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966 perché assista Enrico Forti, garantendo l'osservanza delle norme contenute nel menzionato Patto, ratificato dagli Stati Uniti nel 1992 e vincolante per gli Stati Uniti;
   a sostenere, anche a mezzo di un legale in Florida, le ragioni di Enrico Forti, vittima, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, di molteplici violazioni dei diritti della difesa tutelati dal Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici e dalla Costituzione degli Stati Uniti;
   a chiedere al Governo degli Stati Uniti, per quanto di competenza, che siano resi accessibili alla difesa di Forti (discovery) tutti gli atti relativi al processo per truffa contro Thomas Knott, testimone di accusa contro Forti e gli atti del plea agreement, atti che sono stati coperti dal segreto che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, ha impedito la difesa di Forti dall'accusa di omicidio;
   ad assumere iniziative affinché siano osservati l'articolo 2, comma 3, lettera a), del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici, secondo cui «Ciascuno degli Stati parti del presente Patto si impegna a garantire che qualsiasi persona i cui diritti o libertà riconosciuti nel Patto siano stati violati, disponga di effettivi mezzi di ricorso, anche nel caso in cui la violazione sia stata commessa da persone agenti nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali», nonché l'articolo 2, comma 3, lettera b), del medesimo Patto, secondo il quale ciascuno degli Stati parte si impegna a «garantire che l'autorità competente giudiziaria, amministrativa o legislativa, od ogni altra autorità competente ai sensi dell'ordinamento giuridico dello Stato, decida in merito ai diritti del ricorrente, e a sviluppare le possibilità di ricorso in sede giudiziaria».
(1-00406)
«Corda, Sibilia, Di Benedetto, De Lorenzis, Manlio Di Stefano, Fico, Colletti, Businarolo, Agostinelli, Luigi Gallo, Dall'Osso, Cecconi, Di Vita, Cominardi, Brescia, Simone Valente, Basilio, Rizzo, Frusone, Barbanti, Ruocco, Paolo Bernini, Tofalo».
(24 marzo 2014)

MOZIONI CONCERNENTI LA PARTECIPAZIONE ITALIANA AL PROGRAMMA DI REALIZZAZIONE E ACQUISTO DEGLI AEREI JOINT STRIKE FIGHTER-F35

  La Camera,
   premesso che:
    il Joint Strike Fighter (F-35) è un cacciabombardiere di quinta generazione, capace di trasportare anche ordigni nucleari con caratteristiche stealth e net-centriche, ovvero bassa rilevabilità da parte dei sistemi radar e capacità di interazione con tutti i sistemi di comunicazione presenti sullo scenario di guerra, che decolla ed atterra in verticale e viaggia a velocità supersoniche;
    il progetto per la realizzazione di questo velivolo è frutto di un accordo tra gli Stati Uniti e 8 Paesi partner, tra cui l'Italia, partner di secondo livello, che prevede la realizzazione di oltre 3.200 velivoli per un costo complessivo di sola produzione attualmente stimato in 396 miliardi di dollari;
    tra i Paesi partner sono sempre crescenti i dubbi su questo progetto, tanto che: la Gran Bretagna deciderà il numero degli aerei da acquistare dopo la pubblicazione del Defence and Security Review, nel 2015; l'Olanda ha avviato un'inchiesta parlamentare a seguito di un sonoro voto contrario al progetto e ha poi stabilito con voto parlamentare di ridurre da 85 a 37 velivoli la propria ipotesi di acquisto; l'Australia non userà l'F-35 come piattaforma esclusiva, acquistando anche altri aerei; la Turchia ha rinviato l'acquisto dei primi F-35 fino alla certezza sui ritorni industriali promessi dal programma; il Canada ha annullato l'acquisto decidendo di ripartire da zero con la procedura di acquisizione per l'acquisto del nuovo caccia per la propria aeronautica;
    in Canada, in particolare, il ripensamento nasce dalle polemiche dovute alle omissioni sui costi fatte dal Governo. Uno studio indipendente (Kpgm) ed altri organi di controllo pubblici hanno, infatti, stabilito che il costo complessivo in 40 anni, includendo anche l'uso e la manutenzione, è di oltre 45 miliardi di dollari, tre volte le previsioni fatte in precedenza dal Governo sugli F-35;
    ai quasi 400 velivoli che verrebbero a mancare rispetto alle ipotesi iniziali si aggiungeranno anche le ipotesi di taglio da parte del Pentagono rispetto ai 2.443 previsti, ipotesi già concretizzate nella proposta di FY 2015 dell'amministrazione Obama e che hanno comportato, già oggi per l'acquisto nel 2015 di aerei in versione «A» per l'Air Force, una riduzione dai 110 inizialmente previsti ai 26 confermati;
    ogni riduzione – e in particolare quelle più consistenti da parte degli USA – comportano ulteriori e continui aumenti del costo unitario per tutti gli acquirenti;
    il programma presenta diverse criticità costantemente evidenziate e denunciate nel corso degli ultimi anni sia dal Government accountability office (Gao) che dalle strutture di controllo del Pentagono (in particolare il Director, Operational Test and Evaluation – DOT&E). Oltre all'inarrestabile lievitare dei costi ed i ritardi del programma, nel tempo, si sono riscontrati molti problemi tecnici che, da un lato, portano a continui abbassamenti degli standard operativi e, dall'altro, all'allungamento dei tempi di produzione dei caccia con capacità operative di missione;
    in data 29 gennaio 2014 è stato pubblicato il rapporto annuale del Director, Operational Test and Evaluation), ovvero del direttore della sezione test operativi e valutazione del dipartimento della difesa statunitense, Michael Gilmore. Tale rapporto, trasmesso al Congresso Usa, è un documento ufficiale delle più alte sfere militari statunitensi e riguarda lo stato tecnico e le procedure delle acquisizioni armate statunitensi;
    il rapporto DOT&E, tra le altre cose, affronta l'analisi del programma Joint Strike Fighter (F-35), studiando lo sviluppo delle fasi di test (tempi, evoluzione) e conseguentemente si intendono valutare le capacità raggiunte in funzione dei medesimi test con informazioni aggiornate ad ottobre 2013;
    secondo quanto riportato dal rapporto, in merito agli F-35, si legge: «le performance riguardanti l'operatività complessiva continuano ad essere immature e si basano fortemente su supporto e soluzioni proposte dall'industria che sono inaccettabili per operazioni di combattimento. La disponibilità di velivoli e le misure di affidabilità dei tassi di manutenzione sono tutte sotto gli obiettivi che il Programma si era dato per questo punto del proprio sviluppo»;
    in particolare, si evidenzia che la disponibilità della flotta è stata mediamente del 37 per cento rispetto alle previsioni, con una tendenza ad un declino graduale. Nessuna delle tre varianti dell'aereo ha raggiunto l'affidabilità prevista con una percentuale di raggiungimento dell'obiettivo che va dal 30 al 39 per cento, con tassi di manutenzione, per problemi più o meno gravi, che sono stati tre volte superiori a quanto richiesto (addirittura del 344 per cento in più in alcuni casi);
    una tabella nel rapporto DOT&E mostra come siano stati «compiuti» solo 5464 dei 7180 punti di prova previsti, cioè il 24 per cento in meno rispetto a quanto originariamente stabilito (e per i sistemi di missione si è a meno 46 per cento). Va notato come la definizione di «compiuto» non significhi che tale particolare test sia stato «superato», ma solo che gli F-35 lo abbiano eseguito e questo spiegherebbe le discrepanze con quanto dichiarato dalla Lockheed Martin, ossia che i test sono «più avanti del previsto»;
    tutto questo si ripercuote sul raggiungimento dell'obiettivo primario del programma, ovvero raggiungere una capacità operativa iniziale (ioc) che consenta un primo utilizzo dei caccia F-35 in un ciclo di addestramento che possa rendere effettiva la scelta compiuta. Nonostante i voli di prova siano stati superiori ai traguardi fissati, sono stati soprattutto i pochissimi progressi sui test per i sistemi di missione e l'integrazione degli armamenti a tenere la situazione ancora ben lontana dagli «obiettivi imposti dai lotti di produzione della flotta e dai piani di IOC richiesti dalle diverse forze armate» come si legge dal rapporto;
    ulteriormente, nel rapporto si evidenziano i problemi al software, cui, nonostante le numerose innovazioni, secondo il rapporto «I primi risultati con il nuovo incremento di software Block 2B indicano ancora l'esistenza di lacune di elementi come fusione, radar, guerra elettronica, navigazione, EOTS, Distributed Aperture System (DAS), Helmet-Mounted Display System (HMDS) e datalink»;
    sui sistemi di missione si registra, secondo il rapporto, una vera e propria emergenza. Infatti, solo il 54 per cento dei test previsti come «soglia base» per questi aspetti (fino al blocco 2B) è stato condotto nel 2013 e complessivamente solo il 47 delle capacità definite nel contratto di produzione è stato raggiunto per i 24 velivoli consegnati all'interno del lotto di produzione numero 4. Per il lotto 5 la situazione non è migliore: le capacità definite per contratto che sono state raggiunte arrivano solo al 50 per cento;
    altre preoccupazioni emergono secondo il rapporto riguardo al peso, la struttura e la dotazione delle armi; particolarmente, in relazione al modello B a decollo corto ed atterraggio verticale (quello che dovrebbe essere equipaggiato sulla portaerei Cavour), si riscontrano i maggiori problemi sui test relativi al «distacco» degli armamenti (il lancio dei missili). Circa il 55 dei test pianificati in merito sono stati raggiunti da successo, mentre l'F-35B continua ad avere almeno sei problemi strutturali (sul portellone e sulla propulsione) che derivano dal passato e saranno forse sistemati con i lotti 7 e 8 di produzione;
    quanto appena esposto confermerebbe le criticità rispetto ad un programma che, oltre ad essere altamente costoso, rischia di acquistare aerei che non avranno alcuna speranza di essere utilizzati in missione, se non anche a fatica per azioni di addestramento;
    nel febbraio 2014 la campagna «Taglia le ali alle armi», che dal 2009 si occupa di sottolineare le problematiche del programma degli F-35 in vista della cancellazione della partecipazione italiana allo stesso, ha portato a pubblicare il dossier «Caccia F-35 la verità oltre l'opacità» come nuovo contributo di approfondimento. Nel rapporto si evidenzia come il costo medio attualmente desumibile dalla documentazione di bilancio Usa (e dai dati dei recenti contratti di acquisto italiani) si attesti sui 135 milioni di euro;
    secondo il rapporto, il costo complessivo del programma per l'Italia (se confermati 90 caccia) è in minima ascesa ad oltre 14 miliardi di euro e la proiezione di costo totale «a piena vita» del progetto rimane stimata in oltre 52 miliardi di euro;
    dal dettaglio di tutti i contratti sottoscritti dall'Italia con gli Stati Uniti, fino ad inizio 2014, si dimostra come siano già stati spesi 721 milioni di euro nelle fasi di acquisto (oltre ai 2,7 miliardi di euro per lo sviluppo e la linea di assemblaggio Faco);
    di media, sono 126 i milioni di euro già spesi per i primi tre caccia confermati dal nostro Paese (lotto VI), sforando qualsiasi precedente stima del Ministero della difesa al riguardo;
    il rapporto di «Taglia le ali alle armi» mostra come i dati relativi al ritorno industriale, estrapolati da diverse fonti e confermati anche da Lockheed Martin, confermano ad oggi un rientro per le aziende del nostro Paese di circa il 19 per cento in confronto all'investimento pubblico (meno di 700 milioni di euro sui 3,4 miliardi di euro già spesi dal Governo italiano), una situazione che difficilmente renderà possibile il ritorno di oltre 13 miliardi di euro, che sfiora il 100 per cento di rientro, più volte sbandierato dai Governi di questi anni;
    fonti governative e militari negli anni hanno ipotizzato l'arrivo di 10.000 posti di lavoro, mentre secondo stime sindacali si tratterebbe al massimo di circa 2.000 posti e per di più sarebbero ricollocazioni di lavoratori precedentemente impegnati con l'Eurofighter nella Faco di Cameri, dove sono impiegati meno di 1.000 addetti;
    lo stanziamento complessivo destinato all'acquisto di caccia dei prossimi lotti, previsto per il triennio 2014-2016, sarà di 1950 milioni di euro (circa 650 milioni di euro annuali in media), se non interverranno modifiche alle tabelle di procurement;
    a fine marzo 2013 è stato reso pubblico un nuovo rapporto del Government accountability office sul programma Joint Strike Fighter che ha confermato un ritardo di sette anni ed uno sforamento del budget di più di 160 miliardi di dollari rispetto alle previsioni iniziali;
    secondo il Government accountability office «Problemi di software persistenti» hanno rallentato i test relativi ai sistemi bellici del velivolo, quelli di navigazione, di puntamento e di riconoscimento. Ritardi di tale portata avrebbero come significato che il Corpo dei marine non sarà probabilmente in grado di ottenere tutte le funzionalità attese per il mese di luglio 2015;
    per completare il programma nei termini stabiliti il dipartimento della difesa americano dovrebbe procedere ad un incremento costante nel finanziamento per i prossimi 5 anni, con una media di costo annuale di 12,6 miliardi di dollari fino al 2037. Il picco di costo supererà, per molti anni, i 15 miliardi di dollari, ma «un finanziamento annuale di questa grandezza pone chiaramente dei problemi di sostenibilità a lungo termine, considerata l'attuale situazione fiscale» secondo il Government accountability office;
    nell'ultima richiesta di bilancio, l'Air Force Usa ha allocato circa 1,4 miliardi di dollari in cinque anni (ma altri fondi saranno poi richiesti successivamente) per risolvere problematiche sui vecchi lotti. Si tratta di una procedura che andrà poi ad interessare anche i lotti VI, VII ed VIII, i quali comprendono pure gli aerei acquisiti dall'Italia. Nella lista di priorità dettagliata dell'aviazione Usa sono incluse, tra le altre cose: le componenti per migliorare la protezione contro i fulmini, le prestazioni del seggiolino eiettabile, l'illuminazione sulle punte delle ali del jet, la zona preposta ad accogliere missili ed armi, il sistema di gestione termica e di potenza del velivolo, i condotti d'aria per il motore prodotto da Pratt & Whitney, la resistenza delle paratie ed, infine, il complicato sistema di display digitale montato dall'avveniristico casco;
    a fronte dei calcoli effettuati dal Government accountability office resta irrealistica la proiezione in decrescita entro il 2019 sui costi unitari degli aerei presentata dal produttore Lockheed Martin. Secondo le stime del Government accountability office, affinché ciò accada per la versione A, si dovrà ottenere una riduzione di oltre 40 milioni di dollari ad aereo rispetto al costo a consuntivo definitivo degli aerei prodotti nel 2013. Un «recupero» di oltre il 33 per cento in 5-6 anni;
    a riguardo dei costi, nel documento, si nota quindi come «il finanziamento attuale e le quantità previste nel programma indicano che i costi unitari nel 2019 potrebbero effettivamente essere superiore agli obiettivi»;
    in questi giorni il Pentagono ha deciso di bloccare il pagamento di 231 milioni di dollari a Lockheed Martin fino alla completa implementazione di modifiche necessarie per gli F-35 già consegnati, incluse le ormai famose protezioni contro i fulmini;
    l'Italia partecipa al progetto sin dal suo inizio, nel 1998, con una richiesta iniziale di 131 aerei, ridotta poi nel 2012 a 90 velivoli, considerati dalle Forze armate «indispensabili», perché andrebbero a sostituire tre linee di velivoli: i Tornado, gli AM-X e gli AV-8 B, ma senza tuttavia fornire alcuna spiegazione circa il ruolo di un aereo tanto sofisticato, anche alla luce degli impegni internazionali del nostro Paese;
    nel 2009 le Commissioni difesa della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, esprimendo parere favorevole al programma, hanno posto alcune condizioni: la conclusione di accordi industriali e governativi che consentano un ritorno industriale per l'Italia proporzionale alla sua partecipazione finanziaria, anche al fine di tutelare i livelli occupazionali; la fruizione da parte dell'Italia dei risultati delle attività di ricerca relative al programma; la preventiva individuazione di adeguate risorse finanziarie che non incidano sugli stanziamenti destinati ad assicurare l'efficienza della componente terrestre e, più in generale, dell'intero strumento militare;
    il programma dell'F-35 è diventato un progetto dal costo elevato a fronte di prestazioni peraltro incerte e non corrispondente alle esigenze difensive del nostro Paese, con ricadute industriali ed occupazionali molto lontane dalle aspettative, che rischia anche di compromettere le politiche di disarmo utili invece a gestire in maniera corretta le crisi internazionali;
    nel corso del 2013, dopo analoghe proposte senza impatto degli anni precedenti, un nutrito gruppo di parlamentari ha presentato sia alla Camera dei deputati che al Senato della repubblica dei documenti per richiedere al Governo un impegno vincolante verso la cancellazione della partecipazione italiana al programma Joint Strike Fighter;
    ciò ha stimolato la presentazione da parte di quasi tutti i gruppi parlamentari di mozioni ed ordini del giorno sulla stessa materia, giungendo infine all'approvazione in entrambi i rami del Parlamento di una mozione promossa dall'allora maggioranza del Governo Letta che impegnava il Governo pro tempore a non procedere ad «ulteriori acquisti» in attesa di un pronunciamento esplicito parlamentare;
    peraltro, è stata avviata un’ indagine conoscitiva presso la Commissione difesa della Camera dei deputati conclusasi nel maggio 2014;
    nel corso del 2013 il Governo italiano ha comunque proseguito l'acquisto dei caccia, non attenendosi alle indicazioni delle mozioni di metà 2013 votate alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica. Ciò è avvenuto non solo comprando definitivamente (con i contratti del cosiddetto «buy year») 3 + 3 aerei rispettivamente dei lotti VI e VII, con una giustificazione ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo non confermabile dalle carte e sconfessata dalle stesse decisioni Usa («si erano già sottoscritti contratti per inizio acquisto», anche se tali tipi di accordi non erano assolutamente vincolanti), ma procedendo anche al procurement dei lotti VIII e IX, per cui non esisteva alcun tipo di accordo, solo pochi giorni dopo l'ultimo voto presso il Senato della repubblica delle mozioni predette;
    nell'attuale fase di produzione a basso rateo, la conferma di acquisto dei singoli velivoli viene fatta mediante sottoscrizione successiva di diversi contratti (per ogni aereo la catena di conferme si snoda su 5 annualità, per cui la terza è considerata il «buy year» definitivo) definiti e decisi annualmente; non si è ancora entrati nella fase di produzione multi-annuale che richiede un contratto definitivo da cui non sarà possibile uscire, pena il pagamento di penali,

impegna il Governo:

   a cancellare la partecipazione al programma Joint Strike Fighter per la produzione dei cacciabombardieri F-35, iniziando fin da subito le procedure previste dal Memorandum of Understanding dei partner del programma, per una chiusura definitiva di qualsiasi attività (sviluppo, produzione) ad esso correlata da parte del nostro Paese;
   a sospendere immediatamente qualsiasi attività contrattuale, di accordo tra le parti o di ulteriore acquisizione, nei confronti del Joint Strike Fighter program office del progetto fino alla definizione di tutte le procedure e decisioni che possano rendere effettiva la scelta di cancellazione della partecipazione italiana al programma.
(1-00424)
«Marcon, Migliore, Duranti, Piras, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Di Salvo, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Lacquaniti, Lavagno, Kronbichler, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Pilozzi, Piazzoni, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».
(3 aprile 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    è in atto un'intenso dibattito negli Stati Uniti sull'effettiva affidabilità del caccia-bombardiere multi-ruolo F-35, sviluppato dalla Lockheed-Martin come unico velivolo della categoria di quinta generazione, nell'ambito di un programma multinazionale in cui sono da anni coinvolti numerosi Paesi, tra i quali il nostro, che ha anche ottenuto l'installazione a Cameri dell'unica Faco esistente fuori dai confini statunitensi;
    in particolare, si rileva come il velivolo, di cui è iniziata la produzione anche nel nostro Paese, mentre ne continuano negli Stati Uniti l'aggiornamento e sviluppo tecnologico, abbia manifestato problemi motoristici che ne hanno sconsigliato l'esibizione al salone aeronautico di Farnborough, in Gran Bretagna;
    tuttavia, non è affatto da escludere che Lockheed-Martin e le numerose aziende coinvolte nel programma F-35 riescano comunque a risolvere i problemi tecnici affiorati finora;
    con un atto d'indirizzo l'Assemblea della Camera dei deputati ha già impegnato il Governo a «non procedere a nessuna fase di ulteriore acquisizione senza che il Parlamento si sia espresso in merito», vale a dire, sostanzialmente, all'arresto temporaneo della partecipazione nazionale al programma, cosa che ha comportato la sospensione di tutti i pagamenti dovuti, stando a quanto il Ministro della difesa ha dichiarato alle Commissioni difesa dei due rami del Parlamento il 24 giugno 2014, anche se a Cameri sono in assemblaggio i velivoli destinati al nostro Paese ed appartenenti al lotto 6, in consegna tra il 2015 ed il 2016;
    con il documento, noto anche come «lodo Scanu», approvato a conclusione di un'indagine conoscitiva sui maggiori programmi di acquisizione di armamenti in corso, la Commissione difesa della Camera dei deputati ha raccomandato il 7 maggio 2014 il dimezzamento delle risorse conferite al programma;
    il Ministero della difesa sta elaborando un nuovo libro bianco, le cui linee guida sono già state condivise con il Capo dello Stato, nell'ambito della sede istituzionale del Consiglio supremo di difesa, ma che dovrà essere discusso dal Parlamento;
    dal confronto sul futuro libro bianco dovranno emergere i fondamenti di una politica nazionale di sicurezza e difesa effettivamente condivisa, dai quali discenderanno le scelte in materia di sistemi d'arma da acquisire;
    le Forze armate non possono essere ridotte ad un inutile «stipendificio» in tempi tanto difficili e pericolosi, ma devono invece essere ammodernate in tutte le loro componenti, facendo il miglior uso possibile delle ridotte risorse disponibili, tenendo conto anche delle alleanze di cui il nostro Paese fa parte;
    la complessità dei moderni sistemi d'arma esige archi di tempo lunghissimi per la loro progettazione, produzione, sviluppo ed aggiornamento;
    l'F-35 rappresenta anche, in questo momento, un pegno ed un elemento basilare del rapporto politico che lega nella sfera della sicurezza e difesa il nostro Paese agli Stati Uniti, relazione di importanza strategica in un contesto internazionale sempre più instabile, incerto ed insicuro;
    le difficoltà in cui si dibatte la finanza pubblica stanno comportando tagli in settori non meno delicati della difesa, come, ad esempio, quello della sicurezza interna e dell'ordine pubblico, al quale si stanno sottraendo 1,5 miliardi di euro,

impegna il Governo:

   a respingere la prospettiva del disarmo aereo nazionale avanzata nel documento approvato dalla Commissione difesa della Camera dei deputati, noto come «lodo Scanu», subordinando tuttavia la continuazione della partecipazione del nostro Paese al programma F-35 agli esiti delle verifiche tecniche sull'affidabilità del velivolo e chiedendo al Governo degli Stati Uniti di ammettere personale italiano ai test che vengono condotti sulla piattaforma;
   a garantire comunque la prosecuzione dell'ammodernamento delle forze aeree ed aeronavali del nostro Paese, in un quadro di immutata collaborazione con il Governo degli Stati Uniti, eventualmente negoziando, in caso di ulteriori difficoltà tecniche del programma F-35, l'acquisto o il leasing di una congrua partita di caccia F-22 Raptor e, per la Marina, l'acquisizione dei più recenti esemplari di AV-8 B che verranno dismessi dal Corpo dei marine;
   ad assumere iniziative per destinare al comparto sicurezza interna i risparmi temporaneamente conseguiti con la sospensione dei pagamenti dovuti per l'F-35, in modo tale da revocare almeno per l'anno 2014 i tagli disposti in sede di spending review a carico del Ministero dell'interno.
(1-00563)
«Gianluca Pini, Marcolin, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Prataviera, Rondini, Simonetti».
(29 luglio 2014)

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