TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 280 di Mercoledì 6 agosto 2014

 
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INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   GIGLI e BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   gli incidenti stradali sono frequente causa di morte e invalidità in tutti i Paesi occidentali. L'Italia non fa eccezione e ad essere colpita è soprattutto la popolazione giovanile, con elevati costi per il servizio sanitario nazionale ed un pesante fardello di conseguenze per le famiglie e la società intera;
   la sicurezza alla guida dipende da tanti fattori, quali, ad esempio, la qualità delle strade e della segnaletica, l'eliminazione di incroci pericolosi tra strade e di passaggi a livello, l'efficienza dei veicoli, il rispetto del codice della strada e – in particolare – dei limiti di velocità e delle distanze di sicurezza previste e l'osservanza imposta per tali misure, gli attraversamenti pedonali ed altro;
   tuttavia, accanto e talvolta prima di tutti questi fattori, devono essere considerate le condizioni di efficienza psicofisica di chi si trova alla guida del veicolo, dipendenti a loro volta dalla fatica (accresciuta, ad esempio, dai tempi di lavoro dagli autisti professionisti e degli autotrasportatori, con particolare riferimento al turno di lavoro notturno), dalla guida sotto effetto di sostanze d'abuso o di alcol, ma anche dalle condizioni di salute del guidatore;
   tenendo conto che la guida di autoveicoli avviene all'interno dell'Unione europea senza restrizione confinarie, assicurando anche per tale via la libera circolazione delle persone e delle merci, fin dal 2006, con la direttiva 2006/126/CE, l'Unione europea si era preoccupata di identificare in modo omogeneo in tutto il territorio dell'Unione le condizioni cliniche per le quali fosse necessario porre limitazioni nel rilascio della patente di guida;
   l'elenco di tali condizioni limitanti era riportato nell'allegato III alla direttiva 2006/126/CE;
   in tale allegato erano contemplate, tra l'altro, le affezioni neurologiche gravi, con particolare riferimento «ai disturbi neurologici dovuti ad affezioni, ad operazioni del sistema nervoso centrale o periferico, con sintomi motori, sensitivi, sensoriali, trofici, che perturbano l'equilibrio e il coordinamento», considerate in funzione delle possibilità funzionali e della loro evoluzione, oltre che «le crisi di epilessia e le altre perturbazioni improvvise dello stato di coscienza» che possono costituire un pericolo grave per la sicurezza stradale, allorché sopravvengono al momento della guida di un veicolo a motore;
   negli anni successivi all'adozione della direttiva 2006/126/CE si è determinato, tuttavia, un significativo progresso delle conoscenze scientifiche riguardanti le condizioni cliniche che influenzano negativamente l'idoneità psicofisica alla guida, con particolare riferimento a quelle che riducono la capacità di valutare i rischi per la sicurezza durante la guida e la capacità di rispondere in modo efficiente ai rischi stessi;
   in particolare, sono numerosi gli studi e le ricerche recenti che con dati allarmanti hanno confermato che la sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (osas) costituisce uno dei maggiori fattori di rischio per gli incidenti alla guida. Diversi studi hanno dimostrato che i pazienti affetti da tale sindrome hanno un rischio aumentato – da due a sette volte – di essere coinvolti in un incidente stradale. In Italia sono quasi 2 milioni le persone affette da sindrome delle apnee ostruttive nel sonno e tutti gli studi condotti sugli incidenti stradali confermano per questi pazienti un aumentato rischio al volante. In base a una review della Federal motor carrier safety administration, la sindrome delle apnee ostruttive nel sonno rappresenta la patologia di maggiore rischio rispetto a tutte le altre condizioni cliniche, rischio che si riduce sensibilmente dopo trattamento. Sebbene altre conseguenze della sindrome delle apnee ostruttive nel sonno possano giocare un ruolo nell'aumentare il rischio alla guida, l'eccessiva sonnolenza diurna rappresenta la causa principale di incidenti (in Italia rappresenta circa un quinto degli incidenti stradali totali) gravati da una mortalità maggiore rispetto altre cause d'incidenti (11,4 per cento contro 5,6 per cento);
   ritenendo pertanto che tale condizione non potesse più a lungo essere ignorata nel contesto della legislazione che regola il rilascio della patente di guida nel territorio dell'Unione europea, l'Unione europea ha, dunque, preso atto che la direttiva 2006/126/CE doveva essere emendata per adattare l'allegato III al progresso scientifico e tecnico sopravvenuto;
   con l'obiettivo, dunque, di emendare la direttiva 2006/126/CE sulla patente di guida, in data 1o luglio 2014 la Commissione europea ha infine approvato la Commission directive 2014/85/EU, stabilendo, in particolare, che l'allegato III alla direttiva del 2006 fosse emendato in accordo con quanto stabilito dall'allegato della nuova direttiva;
   in particolare è stato stabilito che il precedente paragrafo dell'allegato riguardante le neurological diseases fosse rimpiazzato da un nuovo paragrafo significativamente intitolato «Neurological diseases and obstructive sleep apnoea syndrome», innovando quanto già previsto per le malattie neurologiche con l'inserimento della nuova categoria clinica della sindrome della apnee ostruttive nel sonno di entità moderata o grave con associata sonnolenza diurna e prevedendo che i richiedenti della patente in cui tali condizioni fossero sospettate fossero rinviati ad approfondimento diagnostico e ulteriore valutazione, prima del rilascio o del rinnovo della patente di guida, richiedendo, altresì, che, nell'attesa della conferma diagnostica, ai soggetti interessati fosse sconsigliata la guida;
   nella nuova formulazione dell'allegato III si prevede anche che la patente di guida possa essere rilasciata ai guidatori, benché affetti da sindrome della apnee ostruttive nel sonno di entità moderata o grave, purché possano esibire una documentazione medica in grado di confermare un adeguato controllo della loro condizione, siano aderenti al trattamento specifico e mostrino un miglioramento della sonnolenza, se presente;
   ai pazienti in terapia per sindrome della apnee ostruttive nel sonno di entità moderata o grave è richiesta una revisione medica periodica della loro condizione, ad intervalli non superiori a tre anni;
   agli Stati membri è imposto di adottare entro e non oltre il 31 dicembre 2015 tutte le leggi, i regolamenti e le misure amministrative necessarie per allinearsi a quanto richiesto dalla nuova direttiva;
   tenuto conto dei dati epidemiologici, appare pertanto urgente che il servizio sanitario nazionale possa superare il gap culturale e diagnostico che riguarda la medicina del sonno e, in particolare:
    a) la possibilità di organizzare valutazioni cliniche ed indagini strumentali per la diagnosi di tutti i casi sospetti di sindrome della apnee ostruttive nel sonno di entità moderata o grave;
    b) la possibilità di rilasciare, dopo opportuna valutazione, la documentazione medica in grado di confermare un adeguato controllo della condizione, il grado di aderenza (compliance) al trattamento e il miglioramento dell'eventuale sonnolenza;
    c) garantire ai pazienti in terapia per sindrome della apnee ostruttive nel sonno di entità moderata o grave la revisione medica periodica della loro condizione, così come previsto ad intervalli non superiori a tre anni;
   nel corso della XVII legislatura sono state depositate alcune proposte di legge per l'organizzazione dei servizi della medicina del sonno all'interno del servizio sanitario nazionale –:
   se non ritenga urgente che il servizio sanitario nazionale promuova l'organizzazione presso tutte le aziende sanitarie del percorso diagnostico terapeutico per i disturbi del sonno, definendo i requisiti di qualificazione richiesti al personale e promuovendo la possibilità di formazione per il personale da utilizzare nelle aziende che ne fossero carenti, in modo da organizzare la rete valutativa per il rilascio delle nuove idoneità alla guida, per la verifica di quelle esistenti e per il controllo dell'efficacia del trattamento e dell'aderenza ad esso da parte dei pazienti risultati affetti e autorizzati alla guida sub condizione di adeguata ed efficace terapia. (3-00978)
(5 agosto 2014)

   FEDRIGA, RONDINI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e SIMONETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la malattia da virus ebola è una febbre emorragica grave e spesso fatale per l'uomo e i primati. Il nome «ebola» deriva da un fiume della Repubblica democratica del Congo (ex Zaire), presso il quale nel 1976 si verificò uno dei primi due focolai epidemici. L'altro si sviluppò praticamente in simultanea nel Sudan. Entrambi furono caratterizzati da un elevato tasso di mortalità (90 per cento e 50 per cento rispettivamente). Successivamente, e fino a oggi, sono state segnalate in Africa numerose nuove epidemie e casi sporadici, con tasso di mortalità variabile;
   l'infezione si trasmette per contagio interumano attraverso il contatto con sangue e altri fluidi biologici infetti;
   il contagio è più frequente tra familiari e conviventi, per l'elevata probabilità di contatti. Tuttavia avviene anche per contatto con oggetti contaminati. In Africa, dove si sono verificate le epidemie più gravi, le cerimonie di sepoltura e il diretto contatto con il cadavere dei defunti hanno probabilmente avuto un ruolo non trascurabile nella diffusione della malattia;
   durante i focolai epidemici si sono verificati numerosi casi in seguito a trasmissione correlata all'assistenza sanitaria, in regime di ricovero o ambulatoriale. L'utilizzo di adeguate misure di protezione individuale (maschera, camice e guanti) per prestare cure ai pazienti e per maneggiare il materiale biologico è essenziale per evitare il contagio. La contaminazione da aghi infetti ha un particolare rilievo per il rischio professionale degli operatori sanitari;
   l'infezione ha un esordio improvviso e un decorso acuto e non è descritto lo stato di portatore. L'incubazione può andare dai 2 ai 21 giorni (in media una settimana), a cui fanno seguito manifestazioni cliniche come febbre, astenia profonda, cefalea, artralgie e mialgie, iniezione congiuntivale, faringite, vomito e diarrea, a volte esantema maculo-papuloso;
   la diagnosi clinica è difficile nei primissimi giorni, a causa dell'aspecificità dei sintomi iniziali. Può essere facilitata dal contesto in cui si verifica il caso (area geografica di insorgenza o di contagio) e dal carattere epidemico della malattia. Anche in caso di semplice sospetto, è opportuno l'isolamento del paziente e la notifica alle autorità sanitarie. Gli esami emato-chimici di laboratorio mostrano un'iniziale linfopenia, a cui si aggiungono neutrofilia e piastrinopenia grave. Si può osservare un aumento degli enzimi epatici;
   non esistono test commerciali disponibili per la diagnosi. Nei primi giorni la conferma del caso si ottiene con l'isolamento del virus (la viremia persiste per 2-3 settimane) attraverso l'inoculazione in colture cellulari di un campione di sangue. Accanto al prelievo di sangue, che comporta un rischio biologico elevato per l'operatore, l'esame può essere condotto anche su altri liquidi corporei (saliva e urine), con invasività minore e probabilità inferiore di esposizione al contagio;
   non è possibile intervenire sul serbatoio naturale della malattia, che non è stato identificato con certezza. La prevenzione si affida, quindi, al rispetto delle misure igienico-sanitarie, alla capacità di una diagnosi clinica e di laboratorio precoci e all'isolamento dei pazienti. I pazienti devono essere, infatti, isolati fino al termine della fase viremica (circa 3 settimane dall'esordio della malattia). Vanno sottoposti a sorveglianza sanitaria presso strutture ospedaliere anche i contatti ad alto rischio, cioè tutti coloro potenzialmente infettati dal materiale biologico di un caso;
   per il personale sanitario che ha in cura i casi accertati o sospetti è fondamentale evitare il contatto con il sangue e le secrezioni corporee, utilizzando adeguate attrezzature per la protezione individuale (maschera, guanti, camice, occhiali). A oggi non è disponibile un vaccino efficace, per questo la letalità del virus è molto elevata, raggiungendo anche picchi del 90 per cento di mortalità;
   le ultime notizie di stampa riportano come si aggravi l'epidemia di ebola in Africa occidentale, sino a raggiungere cifre allarmanti per numero di casi ed estensione territoriale con centinaia di decessi tra Guinea, dove l'epidemia ha avuto inizio nel mese di febbraio 2014, Liberia, Sierra Leone, oltre che un secondo probabile caso in Nigeria;
   è di almeno 1.201 casi accertati e 672 decessi il bilancio globale delle vittime dell'epidemia di ebola scoppiata all'inizio del 2014 in Guinea e poi estesasi a Liberia e Sierra Leone;
   il virus dell'ebola «è una minaccia per il Regno Unito», ha detto alla Bbc il Ministro degli esteri britannico Philip Hammond, annunciando che nelle prossime ore l'Esecutivo di David Cameron terrà un Cobra meeting – riunioni interministeriali in caso di questioni di urgente priorità – proprio sulla minaccia globale che, nelle ultime ore, viene sempre più prospettata;
   l'epidemia di ebola comincia comunque a preoccupare anche gli americani. Il presidente Barack Obama si tiene «costantemente informato» e i Centers for diseases control (Cdc) hanno deciso di alzare il livello di allerta, preparandosi all'eventualità di un arrivo del virus su suolo statunitense;
   a far crescere la preoccupazione è anche la vicenda di Kent Brantly, giovane medico statunitense che ha contratto il virus in Liberia. Secondo gli ultimi aggiornamenti sul dottore missionario è stato testato un siero sperimentale segreto per combattere il virus dell'ebola ed è in «miglioramento» –:
   se il Ministro interrogato, essendo a conoscenza della situazione, non intenda predisporre misure di quarantena sia per i migranti che arrivano in Italia attraverso l'operazione Mare Nostrum sia per i viaggiatori che giungono da zone che sono considerate a rischio, coordinandosi con le autorità sanitarie dei Paesi occidentali che già si sono organizzati, chiedendo la condivisione del siero sperimentale alle autorità statunitensi, essendo il nostro Paese a rischio vista la mole di ingressi di persone provenienti dal continente africano. (3-00979)
(5 agosto 2014)

   RAMPELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   continua il costante aumento in alcuni Paesi dell'Africa occidentale dei casi di contagio da febbre emorragica dovuti alla diffusione del virus ebola, scoperto nel 1976 in Congo e che ha un tasso di mortalità del 90 per cento;
   secondo l'Organizzazione mondiale della sanità le morti accertate nei Paesi maggiormente colpiti dal virus sono quasi novecento, mentre le infezioni accertate sono salite a oltre mille;
   se si considera che nei precedenti casi di diffusione del virus, nel 1995 e nel 2007, i morti complessivamente sono stati meno di trecento, appare evidente la particolare gravità della situazione in atto;
   allo stato attuale il Ministero degli affari esteri ha emesso due comunicati per sconsigliare di recarsi in Liberia e in Sierra Leone se non in casi di assoluta necessità;
   negli Stati Uniti i Centers for diseases control (Cdc) hanno deciso di alzare il livello di allerta, preparandosi all'eventualità, seppur allo stato ancora considerata remota, di un arrivo del virus su suolo statunitense e, nel timore di un'epidemia globale, si è deciso di aumentare i controlli negli aeroporti con scali internazionali, al fine di poter mettere immediatamente in quarantena i pazienti con eventuali sintomi del virus;
   anche in Inghilterra si stanno avviando una serie di riunioni interministeriali proprio sulla minaccia della diffusione del virus e un'agenzia del Ministero della salute ha già diramato un'allerta nazionale per tutti i medici del Paese;
   è evidente come il nostro Paese sia particolarmente esposto ad un rischio contagio se si tiene conto del costante flusso di immigrati che arrivano proprio dai Paesi dell'Africa occidentale –:
   quali urgenti iniziative si intendano mettere in atto al fine di contrastare l'eventualità dell'arrivo e della diffusione del virus nel territorio nazionale e nei Paesi limitrofi, con particolare riferimento a quelli da cui partono le imbarcazioni che trasportano illegalmente gli immigrati nel nostro Paese. (3-00980)
(5 agosto 2014)

   CIPRINI, GALLINELLA, BALDASSARRE, BECHIS, CHIMIENTI, COMINARDI, RIZZETTO, ROSTELLATO e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Thyssen-Krupp – che ha riacquistato la proprietà dell’Acciaieria speciale Terni nel polo siderurgico ternano – il 17 luglio 2014 ha presentato a Palazzo Chigi il nuovo piano industriale, che ha confermato le preoccupazioni delle ultime settimane relative ad un ridimensionamento del sito umbro che dà lavoro a circa 2.800 dipendenti e produce oltre un milione di acciaio inox all'anno;
   il personale, secondo le previsioni del management tedesco – nella persona del nuovo amministratore delegato Lucia Morselli e Joachim Limberg in qualità di ceo della business area materials services di Thyssen-Krupp – dovrà essere ridotto di circa 550 unità. Sono previsti interventi sui costi in tutte le aree, per un risparmio stimato di 100 milioni di euro in 5 anni (39 milioni nei primi 2 anni più altri 61 da spalmare nel quinquennio);
   i licenziamenti sarebbero così distribuiti: 220 nei primi due anni e 330 alla fine dei due anni. A questi si devono aggiungere altri 400 dipendenti delle ditte esterne e dell'indotto, che potrebbe coinvolgere fino a circa 900-950 dipendenti dell'intero sito ternano;
   per il Viceministro dello sviluppo economico, Claudio De Vincenti, il piano presentato «non va bene e non è chiaro sulle prospettive». Le istituzioni locali lo giudicano «irricevibile», per i sindacati è semplicemente «inaccettabile» (Il Sole 24 ore del 18 luglio 2014) e all'incontro del 25 luglio 2014 presso la camera del lavoro di Terni – a cui era presente anche la prima firmataria della presente interrogazione – gli stessi hanno definito il piano industriale della Thyssen come un piano finanziario che punta al ridimensionamento e che sancisce la deindustrializzazione di Terni e dell'Umbria;
   recentemente i vertici dell'azienda hanno manifestato l'intenzione di sciogliere i consigli di amministrazione delle società controllate dalla Ast (si tratterebbe di Società delle fucine: 208 addetti; Tubificio: 156 dipendenti; Aspasiel: 64 dipendenti) e le rappresentanze sindacali unitarie hanno contestato «l'ultima azione unilaterale da parte della direzione aziendale relativamente al non riconoscimento dell'accordo tra le parti per le modalità di gestione della cassa integrazione ordinaria» (Il Giornale dell'Umbria del 26 luglio 2014), facendo riferimento alla decisione dell'azienda del prolungamento ad un mese della fermata estiva;
   la settimana scorsa i vertici della Thyssen avrebbe sciolto unilateralmente il contratto integrativo dei dipendenti, comunicando che i contratti interinali non verranno rinnovati;
   al consiglio regionale della regione Umbria è stata presentata una mozione per attivare le procedure per la richiesta di riconoscimento dello stato di crisi industriale complessa dell'area di Terni e Narni;
   rimane fortissima la preoccupazione e la tensione tra i lavoratori per le proprie sorti lavorative, per il mantenimento della lavorazione e della produzione dell'acciaio nel sito siderurgico ternano e per le pesanti conseguenze sociali ed economiche dei prospettati esuberi;
   si rende necessario un intervento deciso del Governo ad ogni livello volto – anche nell'ambito della presidenza del semestre europeo – a scongiurare i prospettati licenziamenti e che dia garanzie ai dipendenti del loro futuro occupazionale –:
   quali concrete ed urgenti iniziative e/o misure il Governo intenda intraprendere a livello nazionale al fine di impedire che venga dato corso ai licenziamenti prospettati dall'azienda e al fine di salvaguardare gli attuali livelli occupazionali, scongiurando il ridimensionamento dello stabilimento frutto del piano industriale della Thyssen che avrebbe un gravissimo impatto sociale ed economico sull'intero comparto siderurgico ternano ma anche nazionale. (3-00981)
(5 agosto 2014)

   CAUSIN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   piogge torrenziali, trombe d'aria, tragiche esondazioni provocate da bombe d'acqua hanno caratterizzato il primo mese di quella che dovrebbe essere la bella stagione;
   nella notte tra il 2 e il 3 agosto 2014 nel trevigiano una «bomba d'acqua» si è abbattuta con tutta la sua potenza nella zona di Refrontolo, facendo tracimare un piccolo torrente, il Lierza, che ha spazzato via in pochi istanti persone, strutture, automobili, durante una festa paesana affollata di gente;
   la località del Molinetto della Croda – luogo frequentato dai turisti, anche per il famoso e antico mulino ad acqua – è stata colta all'improvviso dalla potenza del fortunale;
   una pioggia battente che nel giro di qualche decina di minuti ha ingrossato a dismisura tutti i corsi d'acqua, tra cui il Lierza, vicino al quale era in corso la «Festa degli Omeni» con un centinaio di persone;
   mentre tutti cercavano riparo c’è stata la tracimazione del torrente, che ha trasformato la strada in un fiume, portando via tende, auto e persone, con un bilancio di quattro morti e otto feriti, due dei quali gravi;
   i soccorsi sono apparsi subito difficili, la zona sulle colline trevigiane è relativamente isolata e con una viabilità ristretta;
   secondo i dati dell'Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna, nel mese di luglio 2014 ha piovuto il 73 per cento in più rispetto alle medie di luglio nel periodo 1971-2000, che viene preso convenzionalmente preso come riferimento dal 1800 ad oggi;
   da ottobre 2013 all'aprile 2014 le regioni hanno chiesto al Governo venti dichiarazioni di emergenza per 3,7 miliardi di euro;
   il clima in linea generale si sta estremizzando con inverni molto freddi o eccezionalmente miti e con estati molto piovose, come quella attuale, accompagnate da fenomeni improvvisi e di grande forza e violenza, come quelli abbattutisi sul trevigiano –:
   quali risorse il Governo intenda disporre per un concreto ed efficace piano nazionale di sicurezza su tutto il territorio nazionale. (3-00982)
(5 agosto 2014)

   FORMISANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sabato 2 agosto 2014, verso le ore 22.00 sulla vallata di Rolle, nella Marca trevigiana, si è abbattuto un fortissimo nubifragio che ha causato numerose frane, smottamenti ed esondazioni;
   in particolare, il torrente Lierza è uscito con violenza dai suoi argini ed ha travolto una festa in corso nella località Molinetto della Croda, causando 4 morti ed 8 feriti;
   si è trattato di un «piccolo Vajont», accaduto in una zona, purtroppo, notoriamente a forte rischio idrogeologico;
   non è il caso di fare processi affrettati, ma non si può non osservare che lo sfruttamento intensivo del territorio, con l'impianto massiccio di vigneti, molti dei quali precipitati a valle la notte di sabato, oltre alla mancata manutenzione dei corsi d'acqua minori, ha quanto meno favorito la tragedia, scatenata dall'ennesima «bomba d'acqua»;
   non è certo solo il territorio della Marca ad essere esposto a rischio idrogeologico. Si può, infatti, dire che sia l'Italia intera, da Nord a Sud, a mostrare una sempre maggiore fragilità;
   non si può parlare sempre di «pioggia assassina» o di «fatalità», quando temporali, certo violenti ma non distruttivi, causano frane, smottamenti, esondazioni, con un costo in vite umane sempre più alto ed inaccettabile e con danni economici pesantissimi;
   appare evidente la mancanza di una vera cultura della prevenzione ed è necessario un vero e proprio cambio di mentalità;
   lo sfruttamento intensivo del territorio, la sempre più fitta urbanizzazione, il disboscamento selvaggio, la volontà di profitto ad ogni costo sono ormai veri e propri crimini, che richiedono non solo interventi legislativi, ma anche una vera nuova educazione al rispetto del territorio –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere, anche dal punto di vista del cambiamento di mentalità prospettato in premessa, per cercare di limitare i danni che ancora si dovranno affrontare, in modo da salvare quante più vite umane possibili. (3-00983)
(5 agosto 2014)

   PELLEGRINO, FRANCO BORDO, MARCON e ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella zona di Refrontolo, il torrente Lierza – per la potenza e l'intensità delle piogge cadute nella sera del 2 agosto 2014 – ha tracimato e ha investito una zona dove si stava tenendo una festa paesana della pro loco uccidendo quattro persone;
   questa tragedia non è dovuta solamente e genericamente al «maltempo» e all'eccezionalità delle piogge di quelle ore; infatti, negli scorsi mesi il rischio di un territorio come quello dell'Alta Marca trevigiana – devastato da sbancamenti, disboscamenti e in degrado per l'incuria delle sponde naturali e degli argini dei corsi d'acqua – si era palesato con tutta la sua evidenza;
   il Lierza era già esondato nel mese di febbraio 2014, a causa del cedimento di una collina che aveva riversato nel torrente fanghi e detriti. La località di Refrontolo era stata già minacciata in passato da ben tre frane. Ma in tutta la zona molti centri sono stati colpiti e minacciati in passato: Follina Tarzo, Cison di Valmarino, Farra di Soligo e altri. La stessa Pieve di Soligo – che ha dato i natali al poeta Andrea Zanzotto, che negli ultimi anni della sua vita ha denunciato la devastazione del paesaggio in Veneto – è stato più volte allagato dall'esondazione del torrente Soligo, le cui sponde naturali hanno ceduto in più punti;
   in tutta la zona abitazioni, vigneti e strade sono state colpite o minacciate in questi anni da esondazioni, frane, anche a causa di sbancamenti di colline attraverso terrazzamenti per lasciare spazio ad attività economiche, senza tener conto di nessuna condizione di sicurezza ambientale, umana e soprattutto della compatibilità idraulica fra l'agricoltura e la sicurezza del territorio;
   il Veneto e l'Italia hanno bisogno di interventi per la messa in cura e in sicurezza del territorio;
   il Sottosegretario di Stato per le politiche agricole, alimentari e forestali Giuseppe Castiglione, nella seduta della Camera n. 264 di martedì 15 luglio 2014, rispondendo all'interrogazione «Iniziative per contrastare il dissesto idrogeologico, con particolare riferimento alle aree agricole – n. 3-00715» ha ammesso: «(...) Per quanto concerne, invece, le informazioni richieste in merito al piano contro il dissesto idrogeologico del 2010 e all'opportunità di adottare un attinente piano nazionale strutturale, considerata la competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, fornisco anche alcune informazioni che al riguardo sono state acquisite. Riguardo alla programmazione dell'ultimo triennio, l'articolo 2, comma 240, della legge n. 191 del 2009 ha destinato le risorse assegnate per gli interventi di risanamento ambientale, di cui alla delibera Cipe n. 83 del 6 novembre 2009 (pari ad un miliardo di euro), ai piani straordinari diretti a rimuovere in tutto il Paese le situazioni a più elevato rischio idrogeologico. La medesima norma ha anche stabilito che detti programmi straordinari potessero essere attuati anche tramite accordi di programma, che, dai primi mesi del 2010, sono stati sottoscritti tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con le competenti regioni. Detti accordi individuano e finanziano interventi per la messa in sicurezza della popolazione e del territorio, individuati anche coinvolgendo l'autorità di bacino e il dipartimento della protezione civile. Si tratta di interventi diretti prioritariamente alla salvaguardia della vita umana attraverso la riduzione del rischio idraulico, di frana e di difesa della costa, sia mediante la realizzazione di nuove opere, sia con azioni di manutenzione ordinaria e straordinaria. Il valore complessivo degli accordi sottoscritti, considerate le risorse statali del fondo per le aree sottoutilizzate destinate dalla legge finanziaria 2010, quelle di bilancio messe a disposizione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e quelle regionali ammonta a circa 2.097 milioni di euro, per oltre 1.600 interventi finanziati, suddivisi in ulteriori stralci funzionali;
   alla fine del 2011, tuttavia, considerato che al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare risultavano effettivamente solo 100 milioni di euro delle risorse statali del fondo per le aree sottoutilizzate inizialmente previste e che, in molti casi, anche le risorse del fondo per le aree sottoutilizzate regionali non erano ancora disponibili, il piano straordinario per il dissesto in molte regioni ha incontrato, obiettivamente, notevoli difficoltà di attuazione, con la conseguente necessità di rimodulare gli accordi già sottoscritti, con evidente pregiudizio dell'azione dello Stato nel campo della difesa del suolo. Ciononostante, a fine dicembre 2011 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero per la coesione territoriale, ha avviato un'attività per recuperare una parte importante delle risorse originarie del dissesto idrogeologico attraverso le risorse statali del fondo per le aree sottoutilizzate, riuscendo in tal modo ad inserire nell'ambito del piano nazionale per il Sud (previsto dalla delibera Cipe n. 1 del 2011) tutti gli interventi già individuati negli accordi di programma con le regioni del Mezzogiorno. Le regioni coinvolte attivamente nel processo sono state la Basilicata, la Calabria, la Campania, la Sicilia il Molise, la Puglia e la Sardegna;
   l'attività si è conclusa con l'emanazione della delibera Cipe n. 8 del 2012, che prevede il finanziamento di 518 interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico per complessivi 674 milioni di euro, di cui solo 60 milioni sono assegnati al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, mentre i restanti sono stati trasferiti direttamente alle regioni;
   manca a parere degli interroganti un disegno complessivo da parte del Governo rispetto alla grave situazione che il Paese sta vivendo per quanto riguarda il dissesto idrogeologico sul nostro Paese;
   l'incapacità di spendere le risorse, peraltro risorse del tutto inadeguate, stanziate in questi anni per la difesa del suolo è uno dei motivi dei gravi problemi che ostacolano l'avvio di un serio programma di messa in sicurezza del territorio;
   ad oggi nel 2014, cioè nell'anno corrente, di fatto il nostro Paese sta incominciando ad attivare quell'impegno di spesa di programmazione previsto quattro anni fa, cioè nel 2010, con cui non si coprono tutte le risorse previste in quel piano. In più si ha un'altra serie di previsioni, che però rimangono tali –:
   quali misure immediate intenda adottare per mettere in sicurezza le colline e le sponde naturali dei torrenti, evitare i disboscamenti e gli sbancamenti dannosi e la cementificazione selvaggia del territorio e attivare un monitoraggio continuo sulle emergenze ambientali e sulle aree critiche di questa regione, il cui paesaggio è stato devastato in questi anni da uno sviluppo economico e urbanistico indiscriminato. (3-00984)
(5 agosto 2014)

   LATRONICO e PALESE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la notte fra sabato 2 e domenica 3 agosto 2014 nel comune di Pisticci, in provincia di Matera, si è verificata la rottura nella condotta sotterranea della rete idrica, che ha determinato i crolli in alcune case di via Ferrari e il cedimento in un vano di via Fanfani, nel rione Marco Scerra;
   la zona del centro storico sarebbe stata interessata da un movimento franoso, peraltro ancora in corso e sotto osservazione, che avrebbe determinato un appesantimento del terreno sovrastante;
   è noto a tutti che una fascia dell'abitato di Pisticci è a rischio di dissesto idrogeologico e in questa fascia è collocata la chiesa di San Rocco, che è stata chiusa da quasi 2 anni al culto perché interessata da alcuni movimenti della sua struttura;
   a Pisticci i cittadini sono preoccupati della situazione di dissesto idrogeologico, che richiama il tragico ricordo della frana verificatasi il 9 febbraio 1688 nella notte di Sant'Apollonia o di quella più recente del 1976;
   appare evidente che la popolazione locale ha diritto di conoscere con certezza lo stato dell'assetto territoriale e l'eventuale evoluzione delle problematiche connesse agli eventi franosi e al dissesto del proprio territorio –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti e se, nell'ambito delle proprie competenze in materia di difesa del suolo, non ritenga di assumere ogni iniziativa utile affinché si pervenga alla messa in sicurezza dell'area in dissesto nel comune di Pisticci a tutela della popolazione locale. (3-00985)
(5 agosto 2014)

   CASTRICONE, BRATTI, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   uno studio commissionato dall'industria Ausimont all'inizio degli anni ’90 e reso noto solo di recente nell'ambito del processo in corso a Chieti in corte di assise, in relazione alle vicende del disastro ambientale del sito di interesse nazionale di Bussi sul Tirino, rivela che i problemi sul peggioramento della qualità delle acque di falda e sulla contaminazione del suolo e del sottosuolo erano ben conosciuti già allora;
   i colossi della chimica – Montecatini, Montedison, Monteflus e Ausimont fino al 2002 e Solvay – presenti sul territorio ne hanno determinato la forte contaminazione mediante l'interramento degli scarti di lavorazione, altamente tossici e pericolosi, nelle zone circostanti lo stabilimento, in assenza di qualsiasi tutela per la salute umana e per l'ambiente;
   l'accertamento di un disastro ambientale in atto si è potuto stabilire a partire dalle caratterizzazioni avvenute inizialmente nel 2001 e nel 2002, per quanto riguarda la falda, e negli anni 2004 e 2007, per quanto concerne i terreni. L'inquinamento delle matrici ambientali nei pressi degli impianti e nelle aree limitrofe riguarda prevalentemente i composti organici clorurati, il mercurio, il piombo e diossina e secondariamente altri metalli pesanti, idrocarburi e composti organo-alogenati. Tali composti inquinanti sono il frutto diretto delle lavorazioni degli impianti sopra citati e del loro non corretto smaltimento;
   il sito di Bussi sul Tirino viene tristemente definito come «la più grande discarica di rifiuti chimici di tutta Europa» con 2.000.000 di metri cubi di terreno contaminato e le acque di falda ormai compromesse, non più utilizzabili a fini potabili ed alimentari;
   lo studio dell’Ausimont riporta importanti informazioni anche sulla natura geologica e idrogeologica del sito, indicando che si tratta di un terreno molto fragile e quasi per nulla argilloso – dunque non impermeabile – caratterizzato da una forte presenza di acqua, con numerose sorgenti utilizzate per l'irrigazione dei campi; si tratta, quindi, di un ambiente ideale per la propagazione dei veleni che in cento anni l'industria chimica ha sparso in un territorio di gran pregio ambientale, immerso nel verde e tra le montagne;
   per la bonifica di questo sito di rilievo nazionale, fortemente inquinato, occorrerebbero almeno 500 milioni di euro, ma sinora ne sono stati stanziati 50 nel quadro di un processo contemporaneo di reindustrializzazione; d'altra parte manca l'intenzione delle aziende che hanno provocato il danno ambientale, direttamente e indirettamente, di porre in atto una reale operazione volta alla definitiva bonifica e riqualificazione dell'area;
   ad oggi, le operazioni preliminari di caratterizzazione e messa in sicurezza, secondo i dati del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 2013, sono ancora molto indietro rispetto alla gravità della situazione; in particolare, la messa in sicurezza di emergenza è pari al 15 per cento sul totale delle aree perimetrale, i piani di caratterizzazioni presentati coprono quasi il 100 per cento delle aree, anche se solo per il 34 per cento delle aree i risultati sono stati resi noti; di progetti di bonifica presentati non c’è traccia;
   secondo una prima stima effettuata dall'Ispra per il Ministero della salute si valuta in 8,5 miliardi di euro il danno ambientale per quel territorio e in circa 500-600 milioni di euro il costo di bonifica dell'area inquinata;
   recenti notizie riferiscono che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare stia vagliando un progetto per realizzare un'ulteriore discarica «legale» nel sito di interesse nazionale di Bussi sul Tirino in cui riversare i rifiuti tossici e nocivi delle due discariche (la A2 e la B2) presenti nel sito; al vaglio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sarebbe anche la richiesta di riduzione della perimetrazione del sito di interesse nazionale di Bussi sul Tirino;
   anche in considerazione della morfologia del territorio, che risulta particolarmente esposto alla contaminazione per la forte permeabilità del suolo e per la presenza di numerosa acqua, è da contrastare qualsiasi ipotesi che non determini un'effettiva opera di bonifica dei siti e che non preveda la rimozione e l'allontanamento dei rifiuti tossici e nocivi presenti nelle discariche –:
   se corrisponda al vero che siano al vaglio del Ministro interrogato progetti per la riperimetrazione in riduzione del sito di interesse nazionale di Bussi sul Tirino e per la realizzazione di una nuova discarica nel sito di interesse nazionale in cui far confluire i rifiuti tossici e nocivi presenti nelle discariche A2 e B2 e, in caso affermativo, quali siano le motivazioni di carattere ambientale, sanitario ed economico che sono alla base di tali scelte e se esse siano compatibili con le caratteristiche morfologiche del sito e, soprattutto, con gli obiettivi di bonifica definitiva e di riqualificazione dell'area. (3-00986)
(5 agosto 2014)

   DORINA BIANCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   i mutamenti climatici producono gli effetti a cui ormai si assiste attoniti, con eventi meteorici eccezionali che scaricano in poche ore sul suolo delle quantità d'acqua quasi pari a quelle che in media cadono durante un intero anno, che si abbattono su un territorio che presenta inesorabilmente le proprie fragilità, come le precipitazioni dei giorni scorsi attestano, creando frane, allagamenti e straripamenti dei fiumi, da Nord a Sud;
   tali dati rendono evidente l'impellente necessità di accelerare, anche attraverso la semplificazione del sistema delle competenze sul territorio e la precisa attribuzione delle relative responsabilità, l'attuazione dei programmi di intervento già finanziati e da finanziare, per la mitigazione del rischio idrogeologico e la manutenzione del suolo e dei corsi d'acqua –:
   alla luce delle recenti modifiche normative promosse dal Governo e introdotte nel decreto-legge n. 91 del 2014 in corso di conversione in legge, quali ulteriori iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato e quali strategie, a partire dal 2015, intenda adottare per far fronte a questo fenomeno. (3-00987)
(5 agosto 2014)

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