TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 283 di Giovedì 4 settembre 2014

 
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MOZIONI CONCERNENTI LA PARTECIPAZIONE ITALIANA AL PROGRAMMA DI REALIZZAZIONE E ACQUISTO DEGLI AEREI JOINT STRIKE FIGHTER-F35

  La Camera,
   premesso che:
    il Joint Strike Fighter (F-35) è un cacciabombardiere di quinta generazione, capace di trasportare anche ordigni nucleari con caratteristiche stealth e net-centriche, ovvero bassa rilevabilità da parte dei sistemi radar e capacità di interazione con tutti i sistemi di comunicazione presenti sullo scenario di guerra, che decolla ed atterra in verticale e viaggia a velocità supersoniche;
    il progetto per la realizzazione di questo velivolo è frutto di un accordo tra gli Stati Uniti e 8 Paesi partner, tra cui l'Italia, partner di secondo livello, che prevede la realizzazione di oltre 3.200 velivoli per un costo complessivo di sola produzione attualmente stimato in 396 miliardi di dollari;
    tra i Paesi partner sono sempre crescenti i dubbi su questo progetto, tanto che: la Gran Bretagna deciderà il numero degli aerei da acquistare dopo la pubblicazione del Defence and Security Review, nel 2015; l'Olanda ha avviato un'inchiesta parlamentare a seguito di un sonoro voto contrario al progetto e ha poi stabilito con voto parlamentare di ridurre da 85 a 37 velivoli la propria ipotesi di acquisto; l'Australia non userà l'F-35 come piattaforma esclusiva, acquistando anche altri aerei; la Turchia ha rinviato l'acquisto dei primi F-35 fino alla certezza sui ritorni industriali promessi dal programma; il Canada ha annullato l'acquisto decidendo di ripartire da zero con la procedura di acquisizione per l'acquisto del nuovo caccia per la propria aeronautica;
    in Canada, in particolare, il ripensamento nasce dalle polemiche dovute alle omissioni sui costi fatte dal Governo. Uno studio indipendente (Kpgm) ed altri organi di controllo pubblici hanno, infatti, stabilito che il costo complessivo in 40 anni, includendo anche l'uso e la manutenzione, è di oltre 45 miliardi di dollari, tre volte le previsioni fatte in precedenza dal Governo sugli F-35;
    ai quasi 400 velivoli che verrebbero a mancare rispetto alle ipotesi iniziali si aggiungeranno anche le ipotesi di taglio da parte del Pentagono rispetto ai 2.443 previsti, ipotesi già concretizzate nella proposta di FY 2015 dell'amministrazione Obama e che hanno comportato, già oggi per l'acquisto nel 2015 di aerei in versione «A» per l'Air Force, una riduzione dai 110 inizialmente previsti ai 26 confermati;
    ogni riduzione – e in particolare quelle più consistenti da parte degli USA – comportano ulteriori e continui aumenti del costo unitario per tutti gli acquirenti;
    il programma presenta diverse criticità costantemente evidenziate e denunciate nel corso degli ultimi anni sia dal Government accountability office (Gao) che dalle strutture di controllo del Pentagono (in particolare il Director, Operational Test and Evaluation – DOT&E). Oltre all'inarrestabile lievitare dei costi ed i ritardi del programma, nel tempo, si sono riscontrati molti problemi tecnici che, da un lato, portano a continui abbassamenti degli standard operativi e, dall'altro, all'allungamento dei tempi di produzione dei caccia con capacità operative di missione;
    in data 29 gennaio 2014 è stato pubblicato il rapporto annuale del Director, Operational Test and Evaluation), ovvero del direttore della sezione test operativi e valutazione del dipartimento della difesa statunitense, Michael Gilmore. Tale rapporto, trasmesso al Congresso Usa, è un documento ufficiale delle più alte sfere militari statunitensi e riguarda lo stato tecnico e le procedure delle acquisizioni armate statunitensi;
    il rapporto DOT&E, tra le altre cose, affronta l'analisi del programma Joint Strike Fighter (F-35), studiando lo sviluppo delle fasi di test (tempi, evoluzione) e conseguentemente si intendono valutare le capacità raggiunte in funzione dei medesimi test con informazioni aggiornate ad ottobre 2013;
    secondo quanto riportato dal rapporto, in merito agli F-35, si legge: «le performance riguardanti l'operatività complessiva continuano ad essere immature e si basano fortemente su supporto e soluzioni proposte dall'industria che sono inaccettabili per operazioni di combattimento. La disponibilità di velivoli e le misure di affidabilità dei tassi di manutenzione sono tutte sotto gli obiettivi che il Programma si era dato per questo punto del proprio sviluppo»;
    in particolare, si evidenzia che la disponibilità della flotta è stata mediamente del 37 per cento rispetto alle previsioni, con una tendenza ad un declino graduale. Nessuna delle tre varianti dell'aereo ha raggiunto l'affidabilità prevista con una percentuale di raggiungimento dell'obiettivo che va dal 30 al 39 per cento, con tassi di manutenzione, per problemi più o meno gravi, che sono stati tre volte superiori a quanto richiesto (addirittura del 344 per cento in più in alcuni casi);
    una tabella nel rapporto DOT&E mostra come siano stati «compiuti» solo 5464 dei 7180 punti di prova previsti, cioè il 24 per cento in meno rispetto a quanto originariamente stabilito (e per i sistemi di missione si è a meno 46 per cento). Va notato come la definizione di «compiuto» non significhi che tale particolare test sia stato «superato», ma solo che gli F-35 lo abbiano eseguito e questo spiegherebbe le discrepanze con quanto dichiarato dalla Lockheed Martin, ossia che i test sono «più avanti del previsto»;
    tutto questo si ripercuote sul raggiungimento dell'obiettivo primario del programma, ovvero raggiungere una capacità operativa iniziale (ioc) che consenta un primo utilizzo dei caccia F-35 in un ciclo di addestramento che possa rendere effettiva la scelta compiuta. Nonostante i voli di prova siano stati superiori ai traguardi fissati, sono stati soprattutto i pochissimi progressi sui test per i sistemi di missione e l'integrazione degli armamenti a tenere la situazione ancora ben lontana dagli «obiettivi imposti dai lotti di produzione della flotta e dai piani di IOC richiesti dalle diverse forze armate» come si legge dal rapporto;
    ulteriormente, nel rapporto si evidenziano i problemi al software, cui, nonostante le numerose innovazioni, secondo il rapporto «I primi risultati con il nuovo incremento di software Block 2B indicano ancora l'esistenza di lacune di elementi come fusione, radar, guerra elettronica, navigazione, EOTS, Distributed Aperture System (DAS), Helmet-Mounted Display System (HMDS) e datalink»;
    sui sistemi di missione si registra, secondo il rapporto, una vera e propria emergenza. Infatti, solo il 54 per cento dei test previsti come «soglia base» per questi aspetti (fino al blocco 2B) è stato condotto nel 2013 e complessivamente solo il 47 delle capacità definite nel contratto di produzione è stato raggiunto per i 24 velivoli consegnati all'interno del lotto di produzione numero 4. Per il lotto 5 la situazione non è migliore: le capacità definite per contratto che sono state raggiunte arrivano solo al 50 per cento;
    altre preoccupazioni emergono secondo il rapporto riguardo al peso, la struttura e la dotazione delle armi; particolarmente, in relazione al modello B a decollo corto ed atterraggio verticale (quello che dovrebbe essere equipaggiato sulla portaerei Cavour), si riscontrano i maggiori problemi sui test relativi al «distacco» degli armamenti (il lancio dei missili). Circa il 55 dei test pianificati in merito sono stati raggiunti da successo, mentre l'F-35B continua ad avere almeno sei problemi strutturali (sul portellone e sulla propulsione) che derivano dal passato e saranno forse sistemati con i lotti 7 e 8 di produzione;
    quanto appena esposto confermerebbe le criticità rispetto ad un programma che, oltre ad essere altamente costoso, rischia di acquistare aerei che non avranno alcuna speranza di essere utilizzati in missione, se non anche a fatica per azioni di addestramento;
    nel febbraio 2014 la campagna «Taglia le ali alle armi», che dal 2009 si occupa di sottolineare le problematiche del programma degli F-35 in vista della cancellazione della partecipazione italiana allo stesso, ha portato a pubblicare il dossier «Caccia F-35 la verità oltre l'opacità» come nuovo contributo di approfondimento. Nel rapporto si evidenzia come il costo medio attualmente desumibile dalla documentazione di bilancio Usa (e dai dati dei recenti contratti di acquisto italiani) si attesti sui 135 milioni di euro;
    secondo il rapporto, il costo complessivo del programma per l'Italia (se confermati 90 caccia) è in minima ascesa ad oltre 14 miliardi di euro e la proiezione di costo totale «a piena vita» del progetto rimane stimata in oltre 52 miliardi di euro;
    dal dettaglio di tutti i contratti sottoscritti dall'Italia con gli Stati Uniti, fino ad inizio 2014, si dimostra come siano già stati spesi 721 milioni di euro nelle fasi di acquisto (oltre ai 2,7 miliardi di euro per lo sviluppo e la linea di assemblaggio Faco);
    di media, sono 126 i milioni di euro già spesi per i primi tre caccia confermati dal nostro Paese (lotto VI), sforando qualsiasi precedente stima del Ministero della difesa al riguardo;
    il rapporto di «Taglia le ali alle armi» mostra come i dati relativi al ritorno industriale, estrapolati da diverse fonti e confermati anche da Lockheed Martin, confermano ad oggi un rientro per le aziende del nostro Paese di circa il 19 per cento in confronto all'investimento pubblico (meno di 700 milioni di euro sui 3,4 miliardi di euro già spesi dal Governo italiano), una situazione che difficilmente renderà possibile il ritorno di oltre 13 miliardi di euro, che sfiora il 100 per cento di rientro, più volte sbandierato dai Governi di questi anni;
    fonti governative e militari negli anni hanno ipotizzato l'arrivo di 10.000 posti di lavoro, mentre secondo stime sindacali si tratterebbe al massimo di circa 2.000 posti e per di più sarebbero ricollocazioni di lavoratori precedentemente impegnati con l'Eurofighter nella Faco di Cameri, dove sono impiegati meno di 1.000 addetti;
    lo stanziamento complessivo destinato all'acquisto di caccia dei prossimi lotti, previsto per il triennio 2014-2016, sarà di 1950 milioni di euro (circa 650 milioni di euro annuali in media), se non interverranno modifiche alle tabelle di procurement;
    a fine marzo 2013 è stato reso pubblico un nuovo rapporto del Government accountability office sul programma Joint Strike Fighter che ha confermato un ritardo di sette anni ed uno sforamento del budget di più di 160 miliardi di dollari rispetto alle previsioni iniziali;
    secondo il Government accountability office «Problemi di software persistenti» hanno rallentato i test relativi ai sistemi bellici del velivolo, quelli di navigazione, di puntamento e di riconoscimento. Ritardi di tale portata avrebbero come significato che il Corpo dei marine non sarà probabilmente in grado di ottenere tutte le funzionalità attese per il mese di luglio 2015;
    per completare il programma nei termini stabiliti il dipartimento della difesa americano dovrebbe procedere ad un incremento costante nel finanziamento per i prossimi 5 anni, con una media di costo annuale di 12,6 miliardi di dollari fino al 2037. Il picco di costo supererà, per molti anni, i 15 miliardi di dollari, ma «un finanziamento annuale di questa grandezza pone chiaramente dei problemi di sostenibilità a lungo termine, considerata l'attuale situazione fiscale» secondo il Government accountability office;
    nell'ultima richiesta di bilancio, l'Air Force Usa ha allocato circa 1,4 miliardi di dollari in cinque anni (ma altri fondi saranno poi richiesti successivamente) per risolvere problematiche sui vecchi lotti. Si tratta di una procedura che andrà poi ad interessare anche i lotti VI, VII ed VIII, i quali comprendono pure gli aerei acquisiti dall'Italia. Nella lista di priorità dettagliata dell'aviazione Usa sono incluse, tra le altre cose: le componenti per migliorare la protezione contro i fulmini, le prestazioni del seggiolino eiettabile, l'illuminazione sulle punte delle ali del jet, la zona preposta ad accogliere missili ed armi, il sistema di gestione termica e di potenza del velivolo, i condotti d'aria per il motore prodotto da Pratt & Whitney, la resistenza delle paratie ed, infine, il complicato sistema di display digitale montato dall'avveniristico casco;
    a fronte dei calcoli effettuati dal Government accountability office resta irrealistica la proiezione in decrescita entro il 2019 sui costi unitari degli aerei presentata dal produttore Lockheed Martin. Secondo le stime del Government accountability office, affinché ciò accada per la versione A, si dovrà ottenere una riduzione di oltre 40 milioni di dollari ad aereo rispetto al costo a consuntivo definitivo degli aerei prodotti nel 2013. Un «recupero» di oltre il 33 per cento in 5-6 anni;
    a riguardo dei costi, nel documento, si nota quindi come «il finanziamento attuale e le quantità previste nel programma indicano che i costi unitari nel 2019 potrebbero effettivamente essere superiore agli obiettivi»;
    in questi giorni il Pentagono ha deciso di bloccare il pagamento di 231 milioni di dollari a Lockheed Martin fino alla completa implementazione di modifiche necessarie per gli F-35 già consegnati, incluse le ormai famose protezioni contro i fulmini;
    l'Italia partecipa al progetto sin dal suo inizio, nel 1998, con una richiesta iniziale di 131 aerei, ridotta poi nel 2012 a 90 velivoli, considerati dalle Forze armate «indispensabili», perché andrebbero a sostituire tre linee di velivoli: i Tornado, gli AM-X e gli AV-8 B, ma senza tuttavia fornire alcuna spiegazione circa il ruolo di un aereo tanto sofisticato, anche alla luce degli impegni internazionali del nostro Paese;
    nel 2009 le Commissioni difesa della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, esprimendo parere favorevole al programma, hanno posto alcune condizioni: la conclusione di accordi industriali e governativi che consentano un ritorno industriale per l'Italia proporzionale alla sua partecipazione finanziaria, anche al fine di tutelare i livelli occupazionali; la fruizione da parte dell'Italia dei risultati delle attività di ricerca relative al programma; la preventiva individuazione di adeguate risorse finanziarie che non incidano sugli stanziamenti destinati ad assicurare l'efficienza della componente terrestre e, più in generale, dell'intero strumento militare;
    il programma dell'F-35 è diventato un progetto dal costo elevato a fronte di prestazioni peraltro incerte e non corrispondente alle esigenze difensive del nostro Paese, con ricadute industriali ed occupazionali molto lontane dalle aspettative, che rischia anche di compromettere le politiche di disarmo utili invece a gestire in maniera corretta le crisi internazionali;
    nel corso del 2013, dopo analoghe proposte senza impatto degli anni precedenti, un nutrito gruppo di parlamentari ha presentato sia alla Camera dei deputati che al Senato della repubblica dei documenti per richiedere al Governo un impegno vincolante verso la cancellazione della partecipazione italiana al programma Joint Strike Fighter;
    ciò ha stimolato la presentazione da parte di quasi tutti i gruppi parlamentari di mozioni ed ordini del giorno sulla stessa materia, giungendo infine all'approvazione in entrambi i rami del Parlamento di una mozione promossa dall'allora maggioranza del Governo Letta che impegnava il Governo pro tempore a non procedere ad «ulteriori acquisti» in attesa di un pronunciamento esplicito parlamentare;
    peraltro, è stata avviata un’ indagine conoscitiva presso la Commissione difesa della Camera dei deputati conclusasi nel maggio 2014;
    nel corso del 2013 il Governo italiano ha comunque proseguito l'acquisto dei caccia, non attenendosi alle indicazioni delle mozioni di metà 2013 votate alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica. Ciò è avvenuto non solo comprando definitivamente (con i contratti del cosiddetto «buy year») 3 + 3 aerei rispettivamente dei lotti VI e VII, con una giustificazione ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo non confermabile dalle carte e sconfessata dalle stesse decisioni Usa («si erano già sottoscritti contratti per inizio acquisto», anche se tali tipi di accordi non erano assolutamente vincolanti), ma procedendo anche al procurement dei lotti VIII e IX, per cui non esisteva alcun tipo di accordo, solo pochi giorni dopo l'ultimo voto presso il Senato della repubblica delle mozioni predette;
    nell'attuale fase di produzione a basso rateo, la conferma di acquisto dei singoli velivoli viene fatta mediante sottoscrizione successiva di diversi contratti (per ogni aereo la catena di conferme si snoda su 5 annualità, per cui la terza è considerata il «buy year» definitivo) definiti e decisi annualmente; non si è ancora entrati nella fase di produzione multi-annuale che richiede un contratto definitivo da cui non sarà possibile uscire, pena il pagamento di penali,

impegna il Governo:

   a cancellare la partecipazione al programma Joint Strike Fighter per la produzione dei cacciabombardieri F-35, iniziando fin da subito le procedure previste dal Memorandum of Understanding dei partner del programma, per una chiusura definitiva di qualsiasi attività (sviluppo, produzione) ad esso correlata da parte del nostro Paese;
   a sospendere immediatamente qualsiasi attività contrattuale, di accordo tra le parti o di ulteriore acquisizione, nei confronti del Joint Strike Fighter program office del progetto fino alla definizione di tutte le procedure e decisioni che possano rendere effettiva la scelta di cancellazione della partecipazione italiana al programma.
(1-00424)
«Marcon, Migliore, Duranti, Piras, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Di Salvo, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Lacquaniti, Lavagno, Kronbichler, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Pilozzi, Piazzoni, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».
(3 aprile 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    è in atto un'intenso dibattito negli Stati Uniti sull'effettiva affidabilità del caccia-bombardiere multi-ruolo F-35, sviluppato dalla Lockheed-Martin come unico velivolo della categoria di quinta generazione, nell'ambito di un programma multinazionale in cui sono da anni coinvolti numerosi Paesi, tra i quali il nostro, che ha anche ottenuto l'installazione a Cameri dell'unica Faco esistente fuori dai confini statunitensi;
    in particolare, si rileva come il velivolo, di cui è iniziata la produzione anche nel nostro Paese, mentre ne continuano negli Stati Uniti l'aggiornamento e sviluppo tecnologico, abbia manifestato problemi motoristici che ne hanno sconsigliato l'esibizione al salone aeronautico di Farnborough, in Gran Bretagna;
    tuttavia, non è affatto da escludere che Lockheed-Martin e le numerose aziende coinvolte nel programma F-35 riescano comunque a risolvere i problemi tecnici affiorati finora;
    con un atto d'indirizzo l'Assemblea della Camera dei deputati ha già impegnato il Governo a «non procedere a nessuna fase di ulteriore acquisizione senza che il Parlamento si sia espresso in merito», vale a dire, sostanzialmente, all'arresto temporaneo della partecipazione nazionale al programma, cosa che ha comportato la sospensione di tutti i pagamenti dovuti, stando a quanto il Ministro della difesa ha dichiarato alle Commissioni difesa dei due rami del Parlamento il 24 giugno 2014, anche se a Cameri sono in assemblaggio i velivoli destinati al nostro Paese ed appartenenti al lotto 6, in consegna tra il 2015 ed il 2016;
    con il documento, noto anche come «lodo Scanu», approvato a conclusione di un'indagine conoscitiva sui maggiori programmi di acquisizione di armamenti in corso, la Commissione difesa della Camera dei deputati ha raccomandato il 7 maggio 2014 il dimezzamento delle risorse conferite al programma;
    il Ministero della difesa sta elaborando un nuovo libro bianco, le cui linee guida sono già state condivise con il Capo dello Stato, nell'ambito della sede istituzionale del Consiglio supremo di difesa, ma che dovrà essere discusso dal Parlamento;
    dal confronto sul futuro libro bianco dovranno emergere i fondamenti di una politica nazionale di sicurezza e difesa effettivamente condivisa, dai quali discenderanno le scelte in materia di sistemi d'arma da acquisire;
    le Forze armate non possono essere ridotte ad un inutile «stipendificio» in tempi tanto difficili e pericolosi, ma devono invece essere ammodernate in tutte le loro componenti, facendo il miglior uso possibile delle ridotte risorse disponibili, tenendo conto anche delle alleanze di cui il nostro Paese fa parte;
    la complessità dei moderni sistemi d'arma esige archi di tempo lunghissimi per la loro progettazione, produzione, sviluppo ed aggiornamento;
    l'F-35 rappresenta anche, in questo momento, un pegno ed un elemento basilare del rapporto politico che lega nella sfera della sicurezza e difesa il nostro Paese agli Stati Uniti, relazione di importanza strategica in un contesto internazionale sempre più instabile, incerto ed insicuro;
    le difficoltà in cui si dibatte la finanza pubblica stanno comportando tagli in settori non meno delicati della difesa, come, ad esempio, quello della sicurezza interna e dell'ordine pubblico, al quale si stanno sottraendo 1,5 miliardi di euro,

impegna il Governo:

   a respingere la prospettiva del disarmo aereo nazionale avanzata nel documento approvato dalla Commissione difesa della Camera dei deputati, noto come «lodo Scanu», subordinando tuttavia la continuazione della partecipazione del nostro Paese al programma F-35 agli esiti delle verifiche tecniche sull'affidabilità del velivolo e chiedendo al Governo degli Stati Uniti di ammettere personale italiano ai test che vengono condotti sulla piattaforma;
   a garantire comunque la prosecuzione dell'ammodernamento delle forze aeree ed aeronavali del nostro Paese, in un quadro di immutata collaborazione con il Governo degli Stati Uniti, eventualmente negoziando, in caso di ulteriori difficoltà tecniche del programma F-35, l'acquisto o il leasing di una congrua partita di caccia F-22 Raptor e, per la Marina, l'acquisizione dei più recenti esemplari di AV-8 B che verranno dismessi dal Corpo dei marine;
   ad assumere iniziative per destinare al comparto sicurezza interna i risparmi temporaneamente conseguiti con la sospensione dei pagamenti dovuti per l'F-35, in modo tale da revocare almeno per l'anno 2014 i tagli disposti in sede di spending review a carico del Ministero dell'interno.
(1-00563)
«Gianluca Pini, Marcolin, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Prataviera, Rondini, Simonetti».
(29 luglio 2014)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE, NELL'AMBITO DEL SEMESTRE DI PRESIDENZA ITALIANA DEL CONSIGLIO DELL'UNIONE EUROPEA, PER LA TUTELA DEI DIRITTI DEGLI ANIMALI

   La Camera,
   premesso che:
    l'ultimo decennio ha visto una crescita costante nei cittadini della preoccupazione per la tutela degli animali; l'82 per cento dei cittadini europei, secondo Eurobarometro, afferma di essere d'accordo che sia un dovere proteggere i diritti degli animali, qualunque siano i costi;
    la legislazione comunitaria ha seguito questa evoluzione e alcuni parziali ma importanti miglioramenti sono stati raggiunti: il box individuale per i vitelli a carne bianca è stato vietato in tutta l'Unione europea dal 2007 e le gabbie di batteria per le galline ovaiole sono vietate dal 2012. I test cosmetici sugli animali sono stati aboliti ed è stato introdotto il bando europeo alla commercializzazione nell'Unione europea di prodotti cosmetici testati su animali. È vietato da alcuni anni importare e commercializzare le pelli di cane e gatto e le pelli di foca;
    nel 1997 l'Unione europea ha dato un nuovo status agli animali, riconoscendoli come «esseri senzienti» in un protocollo allegato al Trattato di Amsterdam. Questo principio è stato promosso dieci anni dopo – su proposta, nel 2003, della Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea – nell'articolo 13 delle disposizioni di applicazione generale del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, imponendo al legislatore comunitario e agli Stati membri di tenere pienamente in considerazione il benessere degli animali nel processo di formazione delle norme. Questa importante conquista, tuttavia, non trova ancora adeguata applicazione;
    la tutela degli animali da compagnia non ha ancora una normativa europea. Alcuni Stati membri uccidono indiscriminatamente gli animali randagi, al tempo stesso Stati membri alimentano commerci illegali di centinaia di migliaia di cuccioli con tassi di mortalità gravissimi, rischi sanitari, operando veri e propri maltrattamenti, mentre l'Italia già nel 1991 ha introdotto una legge che vieta le uccisioni per combattere il randagismo, introducendo la sterilizzazione obbligatoria di cani e gatti randagi e la promozione della loro adozione; inoltre, nel 2010 il nostro Paese ha indicato la strada all'Unione europea in materia di traffico di cuccioli con una legge innovativa ed avanzata di repressione del fenomeno di illegalità. Conseguentemente, nel novembre 2010, il Consiglio dei ministri dell'Unione europea ha adottato delle conclusioni chiedendo alla Commissione europea di proporre azioni per la tutela di cani e gatti;
    dal 1o luglio 2014 l'Italia ha la Presidenza del Consiglio dell'Unione europea,

impegna il Governo:

   a caratterizzare la Presidenza del Consiglio dell'Unione europea con iniziative tese a:
    a) dare piena applicazione al riconoscimento degli animali come «esseri senzienti», facendo pesare questo precetto del Trattato nel processo di formazione ed emanazione delle norme dell'Unione europea, a partire dalla «legge quadro europea sul benessere animale» annunciata dalla Commissione europea;
    b) rafforzare l'ufficio veterinario della Commissione europea al fine di garantire un efficace controllo dell'applicazione delle normative comunitarie a tutela degli animali;
    c) introdurre una normativa comunitaria per la tutela degli animali d'affezione e la prevenzione del randagismo, che, fra l'altro, preveda il divieto di uccisione di cani randagi e gatti vaganti, lo sviluppo di programmi di prevenzione con adeguati programmi di sterilizzazione e adozione, l'identificazione tramite microchip e la registrazione obbligatoria collegata a un sistema di tracciabilità europea, il contrasto al traffico di cuccioli anche attraverso l'Europol ed ai combattimenti fra cani;
    d) realizzare una legislazione che renda l'Unione europea libera dalla prigionia degli animali per fini ludici;
    e) considerata la peculiarità di «Rete Natura 2000», vietare in questi territori l'attività di uccisione di animali selvatici;
    f) vietare l'importazione e la commercializzazione delle «specie invasive aliene» e stabilire che i metodi di loro contenimento prevedano unicamente misure incruente, rispettose della vita e della sofferenza dei soggetti interessati;
    g) sostenere il riconoscimento e l'utilizzazione dei metodi sostitutivi di ricerca all'uso di animali ed estendere il divieto di test animali previsti per i cosmetici e i loro ingredienti ai prodotti di detergenza e loro ingredienti;
    h) sostenere l'emanazione di norme che prevedano standard obbligatori minimi negli allevamenti che si applichino alle specie oggi prive di specifiche norme di tutela, come mucche, conigli, tacchini, pesci, e la definizione di una legislazione che vieti la clonazione degli animali per la produzione di cibo;
    i) sostenere l'armonizzazione del mercato interno, estendendo a livello comunitario il divieto di allevamento di animali per la principale finalità di ottenere pellicce, già adottato da alcuni Stati membri;
    l) realizzare una conferenza sull'applicazione della direttiva 1999/22/CE sulla detenzione degli animali nei giardini zoologici a quindici anni dalla sua emanazione e di una conferenza per la presentazione e lo studio delle condizioni scientifiche ed economiche per la revisione del regolamento (CE) n. 1/2005, che disciplina i tempi di viaggio e la densità del trasporto degli animali a fini commerciali.
(1-00460)
«Brambilla, Bergamini, Biancofiore, Castiello, Giammanco, Fucci, Marti, Palese, Palmizio, Petrenga».
(12 maggio 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    il Trattato di Lisbona, all'articolo 13, definisce gli animali quali «esseri senzienti», il cui benessere, all'interno dell'Unione europea, deve essere tutelato attraverso una legislazione adeguata ed efficace;
    il benessere è una condizione propria dell'animale: il soggetto che riesce ad adattarsi all'ambiente si trova in uno stato di benessere, viceversa il soggetto che non ci riesce, perché non ne è in grado per caratteristiche psicofisiche proprie o perché ne è impedito da fattori esterni, si trova in una condizione di stress;
    è evidente, quindi, che il «benessere» è un concetto che investe molteplici aspetti della vita dell'animale e necessita di essere declinato a seconda delle caratteristiche delle sue caratteristiche, poiché ogni specie si è adattata ad un particolare habitat, con caratteristiche fisiche, fisiologiche e comportamentali adatte ad affrontare le varie difficoltà; ogni definizione del benessere deve tener conto dell'ambiente, della fisiologia e del comportamento specifico dell'animale;
    il benessere degli animali può essere misurato attraverso l'analisi di diversi aspetti: dalle tipologie di allevamenti degli animali destinati al consumo umano alle modalità di macellazione messe in atto nei Paesi dell'Unione europea, dalla sperimentazione che avviene in diverse fasi della ricerca medico-scientifica alle fasi di trasporto degli animali per le più svariate esigenze, dalle normative a salvaguardia delle specie selvatiche e a tutela delle specie domestiche e degli animali da compagnia agli allevamenti per animali da pelliccia o alla detenzione degli animali nei circhi;
    è evidente che soltanto una normativa «madre», emanata a livello comunitario, che tenga conto di tutti questi aspetti potrà effettivamente garantire la tutela degli animali in ogni fase e sotto ogni aspetto;
    nell'Unione europea diversi passi avanti sono stati fatti, come il divieto di commercializzazione di pellicce ricavate da cani e gatti (regolamento (CE) n. 1523/2007), oppure una regolamentazione più stringente per gli allevamenti di galline ovaiole (direttiva 1999/74/CE), o ancora una normativa per la detenzione degli animali nei giardini zoologici (direttiva 1999/22/CE), o la direttiva per la conservazione degli uccelli selvatici («direttiva uccelli» 2009/147/CE) o ancora un regolamento per il trasporto degli animali (regolamento (CE) n. 1/2005); tuttavia, molta appare la strada da fare, specie per rendere omogenea in tutta l'Unione europea una normativa sul benessere animale;
    relativamente alla gestione degli allevamenti di animali, sono ancora troppe le disparità tra gli Stati membri e servirebbero legislazioni specifiche poiché è importante che le specie siano tutelate singolarmente, per evitare norme troppo vaghe e non applicabili;
    gli animali da allevamento hanno un insieme di bisogni simili a quelli dei loro antenati selvatici. Sebbene alcune necessità si siano modificate nel corso della domesticazione, alcune esigenze fondamentali, come quelle di cibo, acqua e rifugio, non sono cambiate nel passaggio dall'animale selvatico a quello domestico, ma anche l'istintività che gli animali selvatici esprimono nei comportamenti associati alla riproduzione, alla ricerca del cibo, dell'acqua e del riparo sono ancora presenti negli animali domestici;
    nel 1964 Ruth Harrison pubblicò il libro «Animali macchine» che sollevò la questione del benessere degli animali allevati intensivamente e, in seguito allo scalpore causato da questa pubblicazione, il Governo inglese commissionò un rapporto ad un gruppo di ricercatori da cui scaturì il Brambell report;
    tale rapporto, oltre ad essere uno dei primi documenti ufficiali relativi al benessere animale, enunciò il principio delle cinque libertà per la tutela del benessere animale:
     a) libertà dalla fame, dalla sete e dalla cattiva nutrizione;
     b) libertà dai disagi ambientali;
     c) libertà dalle malattie e dalle ferite;
     d) libertà di poter manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifiche;
     e) libertà dalla paura e dallo stress;
    alcune tra queste «libertà» sono universalmente riconosciute e applicate naturalmente dagli allevatori, altre rientrano nelle competenze del medico veterinario, mentre la libertà di poter manifestare le caratteristiche comportamentali e la libertà dalla paura e dallo stress rappresentano qualcosa di non sempre immediata comprensione, applicazione e soluzione. Queste due libertà, le più difficili da valutare oggettivamente, rappresentano i punti salienti della normativa europea relativa al benessere degli animali da allevamento;
    la valutazione del benessere coinvolge una serie di risposte che l'animale mette in atto per adattarsi all'ambiente in cui si trova; l'organismo risponde alle varie situazioni ambientali non solo con cambiamenti comportamentali, ma anche con meccanismi fisiologici ed immunitari, che possono avere ripercussioni sullo stato di salute e sull'accrescimento;
    la questione del benessere animale, in definitiva, è e dovrà sempre di più essere considerata quale componente essenziale di un «sistema integrato di qualità di produzione degli alimenti di origine animale», che garantisca al consumatore prodotti provenienti da allevamenti non inquinanti per l'ambiente e dove gli animali vengono allevati secondo criteri che ne rispettino le esigenze fondamentali;
    un altro aspetto legato al benessere animale, che si ripercuote anche sullo stile di vita dei cittadini, è quello dell'etichettatura degli alimenti; la strategia dell'Unione europea per la protezione e il benessere degli animali 2012-2015 sottolinea l'intenzione di consentire ai consumatori di fare scelte informate, in modo che sia il mercato a guidare ulteriori miglioramenti del benessere degli animali. L'etichettatura obbligatoria secondo il metodo produzione è il modo migliore per informare i consumatori e permettere loro di contribuire a guidare i futuri miglioramenti nel benessere degli animali;
    nel 2004 l'Unione europea ha introdotto l'etichettatura obbligatoria secondo il metodo di produzione per le uova in guscio, un sistema di etichettatura innovativo che si è dimostrato utile ai consumatori e ha contribuito a migliorare in maniera significativa il benessere delle galline. I dati della Commissione europea mostrano che la percentuale di galline ovaiole non allevate in gabbia in Europa è passata dal 19,7 per cento del 2003 al 42,2 per cento nel 2012 (CIRCABC, 2013);
    nel nostro Paese, come in altri Stati dell'Unione europea, è tuttora consentita la macellazione rituale che consente l'abbattimento dell'animale senza alcun preventivo stordimento finalizzato ad evitare all'animale eccitazioni, dolori e sofferenze. Una tale pratica è stata duramente condannata dal Farm animal welfare committee (Fawc) e dalla Federazione dei veterinari europei (Fve) ed è importante sottolineare che la macellazione rituale è vietata sia in Paesi come l'Austria, l'Olanda, la Svizzera e la Svezia, sia in Malesia, Paese a maggioranza islamica;
    recentemente, il Comitato nazionale per la bioetica ha affermato che la libertà religiosa, quando si traduce in comportamenti esterni, deve rispettare alcuni limiti che scaturiscono dalla comparazione con altri valori tutelati dal nostro ordinamento giuridico; nel caso delle macellazioni rituali la comparazione va operata con il principio della protezione degli animali e della tutela del loro benessere;
    sempre relativamente alla macellazione animale, è importante ricordare che ogni anno tre milioni di animali europei vengono esportati vivi per essere ingrassati, ma soprattutto macellati al di fuori dell'Unione europea. Un gran numero di questi è destinato al Medio Oriente, dove recenti indagini (ad esempio di Ciwf, Animals Australia) hanno svelato crudeltà inimmaginabili. Quando questi animali raggiungono i Paesi terzi, ogni pur minima protezione ricevuta nel loro luogo di nascita viene perduta. In Italia la petizione per chiudere uno di questi macelli mediorientali che ricevono animali europei ha raggiunto oltre 80.000 firme;
    un altro aspetto che non può essere trascurato è quello della clonazione animale. La Commissione europea propone di vietare la clonazione degli animali «da reddito» e la commercializzazione di carne e latte da loro derivati, ma non quella della progenie degli animali clonati e, soprattutto, non ha proposto di etichettare i prodotti di animali clonati;
    dal 1o luglio 2014 l'Italia ha iniziato il suo semestre di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea e sarebbe auspicabile un'azione concreta e caratterizzante volta alla tutela del benessere animale in tutta l'Unione europea,

impegna il Governo:

   a promuovere l'applicazione puntuale della legislazione vigente in materia di animali da allevamento, con particolare riguardo a quella per la protezione dei suini (direttiva 2008/120/CE) e del trasporto (regolamento (CE) n. 1/2005), norme rispetto alle quali sono documentate ricorrenti violazioni in numerosi Stati membri;
   ad assumere iniziative affinché sia potenziato l'ufficio veterinario della Commissione europea (Food and veterinary officeFvo) in modo da assicurare maggiori controlli dell'applicazione delle normative comunitarie sulla sicurezza alimentare, salute e benessere animale;
   a sostenere l'introduzione di norme minime per la protezione delle specie ancora prive di tutela individuale, come vacche da latte, conigli, tacchini, pesci, al fine di garantire un'adeguata tutela specifica degli animali nelle diverse specie di allevamenti;
   a prendere una posizione chiara e concreta contro la clonazione degli animali per la produzione di cibo e la commercializzazione della loro progenie;
   a promuovere a livello comunitario l'approfondimento delle condizioni scientifiche ed economiche al fine della revisione del regolamento (CE) n. 1/2005 sulla protezione degli animali durante il trasporto;
   ad adoperarsi affinché l'Europa, come già fatto dall'Australia, richieda che i propri animali esportati verso Paesi terzi siano macellati in conformità con gli standard dell'Organizzazione mondiale della sanità animale (Oie) e, allo stesso tempo, si attivi per aiutare i Paesi importatori a migliorare i propri standard di benessere animale;
   a promuovere una disciplina comunitaria che introduca il divieto di macellazione rituale, affinché la libertà religiosa dei singoli Stati membri non entri in conflitto con la tutela degli animali in quanto esseri senzienti;
   a sostenere l'introduzione dell'etichettatura obbligatoria secondo il metodo di produzione estensivo o intensivo – attualmente in vigore solo per le uova – anche per i prodotti a base di carne o lattiero-caseari, nonché per le carni di pollame;
   a sollecitare, per quanto di competenza, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo affinché interrompa i finanziamenti per gli allevamenti intensivi;
   a promuovere programmi di educazione all'alimentazione sostenibile che inducano i cittadini ad un consumo attento e maggiormente etico dei prodotti animali o da essi derivati, spingendo verso la predilezione per alimenti provenienti da allevamenti non intensivi e rispettosi della normativa comunitaria;
   a sostenere l'introduzione di una disciplina comunitaria finalizzata al divieto di allevamento, di cattura e uccisione di animali per la loro pelliccia, per mettere fine ad una pratica anacronistica quanto crudele;
   a garantire, in particolare, la tutela delle specie europee di avifauna di interesse conservazionistico, classificate come Spec1, Spec2 e Spec3 da Birdlife international, attraverso rigorose misure di protezione che comprendano anche l'esclusione di tali specie tra quelle cacciabili;
   a promuovere in tutti i Paesi dell'Unione europea pratiche per il contenimento delle specie alloctone invasive che non prevedano metodi di eradicazione cruenti, ma puntino all'utilizzo di metodi ecologici;
   a farsi promotore di una disciplina europea finalizzata al divieto dell'utilizzazione di animali nei circhi, negli spettacoli e nelle mostre itineranti;
   a promuovere un'azione di tutela degli animali da affezione e di prevenzione al randagismo, anche attraverso programmi veterinari e di adozione dei cuccioli, così da evitare in qualunque Stato membro la possibilità di uccidere cani o gatti randagi, e a promuovere l'adozione di un sistema di identificazione e registrazione obbligatoria a livello europeo, così da scongiurare il traffico illegale di animali.
(1-00559)
«Gagnarli, Gallinella, Parentela, Petraroli, L'Abbate, Lupo, Massimiliano Bernini, Benedetti, Baldassarre, Segoni».
(23 luglio 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia, nell'ambito del semestre europeo di Presidenza dell'Unione europea, ha il dovere morale di proporre impegni precisi e concreti al fine di tutelare i diritti degli animali in Europa;
    il nostro Paese deve promuovere in Europa il riconoscimento degli animali come «esseri senzienti» e meritevoli di protezione, maggiore tutela di cani e gatti, il divieto d'importazione di animali esotici, l'approvazione di una legislazione che renda l'Unione europea libera da spettacoli ludici con l'uso di animali, sostenendo la corretta applicazione della direttiva del 1999 sulla protezione degli animali;
    con l'entrata in vigore del nuovo Trattato di Lisbona alcuni importanti miglioramenti sono stati raggiunti, tuttavia restano insufficienti. Di conseguenza, è necessario incentivare a livello europeo lo sviluppo di programmi in grado di garantire la tutela e il benessere degli animali;
    il piano d'azione 2014-2020 traccia i principali elementi dell'intervento europeo in questo settore, sia all'interno dell'Unione europea, sia oltre le sue frontiere. Nell'ultimo decennio si è vista una costante crescita nei cittadini a difesa della tutela degli animali. Infatti, l'82 per cento dei cittadini europei afferma di essere d'accordo sul fatto che sia un dovere proteggere i diritti degli animali, qualunque siano i costi connessi;
    la normativa comunitaria stabilisce i requisiti minimi volti a preservare gli animali da qualsiasi sofferenza inutile durante le seguenti fasi principali: l'allevamento, il trasporto, l'abbattimento, la sperimentazione animale e il commercio di pellicce;
    il settore della ricerca deve investire sempre di più nell'utilizzo e nello sviluppo di nuovi metodi innovativi senza uso di animali, che permettono risultati rapidi e direttamente rilevanti sull'uomo;
    è fondamentale sostenere provvedimenti contro il traffico di cuccioli di cane d'importazione e i fenomeni illegali su animali da compagnia;
    l'Unione europea deve promuovere la corretta applicazione della direttiva 1999/22/CE sulla protezione degli animali negli zoo e sostenere il suo controllo, al fine di eliminare lo sfruttamento commerciale degli animali esotici in cattività e di garantire che tutti gli animali selvatici detenuti in cattività o utilizzati a fini di spettacolo siano inclusi nella legge quadro europea sul benessere animale;
    occorre valutare soluzioni alternative alla concessione della deroga in materia di caccia e, nella fattispecie, con le reti e l'utilizzo dei richiami vivi;
    è necessario considerare l'annullamento dei metodi non conformi agli accordi internazionali per le catture «senza crudeltà» siglati con Canada, Russia, Usa (Gazzetta ufficiale dell'Unione europea: L42 del 14 febbraio 1998; L219 del 7 agosto 1998), così come previsto dal regolamento (CEE) 3254/91;
    è opportuno estendere il divieto d'importazione e commercializzazione a tutte le specie animali «invasive aliene» e i metodi di contenimento, prevedendo unicamente misure incruente, rispettose della vita e della sofferenza dei soggetti interessati;
    l'Italia deve farsi parte attiva per una vera legge europea per la tutela degli animali da compagnia. Alcuni Stati membri uccidono indiscriminatamente gli animali randagi e al tempo stesso Stati membri alimentano commerci illegali di centinaia di migliaia di cuccioli con tassi di mortalità altissimi e rischi sanitari, operando veri e propri maltrattamenti;
    occorre tenere in considerazione la risoluzione del Parlamento europeo del 16 ottobre 2012 a seguito della petizione sottoscritta nel 2012 da oltre un milione di cittadini dell'Unione europea, che chiede l'introduzione di un limite massimo di 8 ore per la durata del trasporto di animali destinati al consumo alimentare, con applicazioni di misure e controlli più restrittivi al fine di tutelare il benessere degli animali utilizzati a scopi commerciali,

impegna il Governo:

   a sostenere prioritariamente, con iniziative anche di carattere normativo, l'uso di metodi validati alternativi ai metodi che utilizzano gli animali per le sperimentazioni, estendendo il divieto di test ai prodotti per la detergenza della casa, come già avviene per i test dei prodotti cosmetici in base alla normativa europea entrata in vigore l'11 marzo 2013;
   a promuovere provvedimenti seri contro il traffico illegale di cuccioli d'importazione dai Paesi dell'Est Europa, che rafforzino l'Ufficio veterinario della Commissione europea al fine di garantire un ruolo di controllo e stimolo agli Stati membri;
   ad assumere iniziative per espandere l'identificazione dei cani tramite microchip e registrazione obbligatoria negli Stati membri collegata a un sistema di tracciabilità europea per prevenire l'abbandono;
   considerata la peculiarità di «Rete Natura 2000» e preso atto dell'importanza che questa riveste nell'ottica della tutela dell'ambiente in tutta l'Unione europea, ad assumere iniziative affinché si dichiari illegittima la cattura con le reti per i richiami vivi;
   a sostenere politiche di armonizzazione del mercato interno, assumendo iniziative a livello comunitario per estendere il divieto di allevamento di animali per la principale finalità di ottenere pellicce;
   a garantire il divieto di importazione di animali esotici a fini di cattività e di detenzione ad uso personale (compagnia) per prevenire la sottrazione di questi animali alle loro comunità originali nei luoghi nativi e per dare un taglio netto alla cattività a scopo commerciale, prevenendo fenomeni di abbandono di animali esotici;
   a sostenere l'emanazione di norme che prevedano standard obbligatori minimi di benessere che si applichino alle specie oggi prive di specifiche norme di tutela come mucche, conigli, tacchini e altri;
   a promuovere l'estensione in tutta Europa del divieto d'ingozzamento di anatre e oche già vigente in Italia;
   ad assumere iniziative al fine di dar prontamente seguito alla risoluzione del Parlamento europeo del 16 ottobre 2012 in materia di trasporto di animali da macello.
(1-00571)
«Vezzali, Rabino, Molea, Librandi, Matarrese, D'Agostino, La Marca, Cimbro, Rubinato, Paolo Rossi, Carlo Galli, Rampi, Albanella, Pastorino, Schirò, Carloni, Tacconi, Ciracì, Fitzgerald Nissoli, Santerini».
(6 agosto 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    uno dei primi atti che hanno riguardato in ambito europeo la questione relativa al benessere animale può essere individuato nella direttiva (CE) n. 577 del 1974 relativa allo stordimento degli animali prima della macellazione, che il nostro Paese ha recepito con la legge n. 439 del 1978. Nel medesimo anno diverse associazioni europee ed internazionali presentano a Bruxelles ed a Parigi la Dichiarazione dei diritti degli animali. Nel 1997 il Trattato di Amsterdam nel protocollo sulla protezione e benessere degli animali fissa i principali ambiti d'azione rispetto al benessere animale e riconosce gli animali come essere senzienti, concetto ribadito nel Trattato di Lisbona entrato in vigore il 1o dicembre 2009;
    l'Europa ha ormai da diversi anni riconosciuto lo stretto legame fra benessere animale, salute animale e sicurezza alimentare (libro bianco della sicurezza alimentare (2000)), garantendone un approccio integrato grazie al regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 882/2004;
    il binomio benessere animale-sanità animale è stato, quindi, riconfermato nella strategia europea per la salute animale 2007-2013;
    da tempo l'Unione europea ha cominciato a introdurre le tematiche inerenti al benessere degli animali sia negli obiettivi dei fondi strutturali, sia in quelli dei programmi di ricerca. Da questo punto di vista si ricorda la comunicazione n. 584 del 2009, in cui venivano individuate le opzioni per un'etichettatura relativa al benessere animale e l'istituzione di una rete europea di centri di riferimento per la protezione e il benessere degli stessi;
    in ambito europeo molti passi sono stati certamente compiuti. È stato previsto il divieto di impiego delle gabbie convenzionali nell'allevamento delle galline ovaiole, con il conseguente miglioramento dello stato di salute e di benessere di 360 milioni di galline. Risultati importanti si sono avuti anche nell'allevamento dei suini dove l'abolizione delle gabbie nei reparti di riproduzione ha permesso un miglioramento del benessere delle scrofe. A ciò va ricordato il divieto dell'uso della sperimentazione animale per la produzione di prodotti cosmetici. Un altro settore dove si sono ottenuti miglioramenti per il benessere degli animali è quello del trasporto;
    rimane comunque il fatto che ancora molto c’è da fare per migliorare la legislazione degli Stati membri in materia e per dotare l'Unione europea di una legislazione più efficace e soprattutto uniforme, anche al fine di poterne verificare il rispetto da parte di ciascun Paese, prevedendo, qualora necessario, l'avvio delle procedure di infrazione;
    il rispetto delle norme europee sul benessere animale è da considerarsi certamente vincolante, anche se ancora molti sono i Paesi che devono mettersi in regola e sui quali è concentrata l'attenzione delle autorità comunitarie;
    questa crescente attenzione al benessere animale, specialmente nel settore zootecnico e negli allevamenti destinati al consumo umano, è principalmente collegata a una sempre maggiore sensibilità collettiva nei confronti dei diritti degli animali e a un'emergente e crescente domanda, da parte dei consumatori, di forme di allevamento friendly e di prodotti alimentari sempre più sicuri. Conseguentemente, la questione del loro benessere, anche come parte integrante delle filiere agroalimentari, ha cominciato a entrare in tutti i documenti strategici della Commissione europea;
    uno dei punti al centro del dibattito è la necessità di migliorare in ambito europeo il benessere animale nelle metodologie e nelle pratiche inerenti alle modalità di allevamento, al trasporto, alla macellazione, attraverso l'individuazione e l'attuazione di standard oggettivi per poter garantire e dimostrare il rispetto delle norme minime, nonché la necessità di garantire i necessari controlli;
    sotto questo aspetto è, altresì, indispensabile pervenire a una normativa in materia di etichettatura obbligatoria degli alimenti più trasparente, rigorosa ed esaustiva, al fine di consentire al consumatore di poter decidere in maniera consapevole e informata circa i propri acquisti alimentari;
    con riguardo agli animali da compagnia, è sicuramente necessario giungere quanto prima a una legislazione europea omogenea, con particolare riguardo alle politiche di contrasto del fenomeno del randagismo, laddove invece in alcuni Paesi è consentito il loro abbattimento, e all'intensificazione e coordinamento nella lotta al traffico illegale dei cuccioli,

impegna il Governo:

   nell'ambito del semestre di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea:
    a) a sostenere l'istituzione di una rete di «centri di referenza sul benessere degli animali», come previsto nella proposta di legislazione sui controlli veterinari in discussione nell'ambito dell'Unione europea;
    b) a promuovere il riconoscimento dell'importanza e del rispetto del benessere animale, sia in ambito interno e internazionale che a livello di Organizzazione mondiale del commercio e di altri accordi internazionali;
    c) a promuovere un incremento dell'omogeneità nella qualità dei controlli nei diversi Stati membri, nonché a promuovere procedure univoche per i controlli dei prodotti provenienti da Stati terzi per il mercato comunitario;
    d) a incentivare il ricorso a un label specifico del benessere animale, ossia a un'etichetta nell'ambito dell'Unione europea, che identifichi quei prodotti ottenuti nel massimo rigore delle norme in materia, in grado di dare adeguate garanzie al cittadino-consumatore;
    e) ad assumere iniziative per pervenire a una normativa in materia di tracciabilità ed etichettatura obbligatoria degli alimenti, in particolare quelli animali, più trasparente, rigorosa ed esaustiva, al fine di consentire al consumatore di poter scegliere in maniera consapevole cosa acquistare;
    f) ad assumere iniziative per estendere anche agli altri animali da allevamento le norme di tutela e di standard minimi obbligatori negli allevamenti, già previste dalla normativa comunitaria per alcune specie animali;
    g) a sostenere la proposta di legislazione sulla sanità animale in discussione a Bruxelles, relativamente alla creazione del sistema europeo di anagrafi per animali da compagnia, e la qualificazione normativa dei cani randagi come animali da compagnia e non come animali selvatici;
    h) ad attivarsi al fine di introdurre una normativa comune in materia di animali da compagnia e di contrasto al fenomeno del randagismo, introducendo il divieto per tutti i Paesi membri di soppressione degli animali randagi, così come previsto nel nostro Paese;
    i) a realizzare una conferenza internazionale contro il traffico illegale dei cuccioli, data la gravità del fenomeno, che possa coinvolgere altri Paesi e l'Unione europea in programmi di repressione, prevenzione ed educazione dei cittadini;
    l) a sostenere una normativa comune tra gli Stati membri in materia di agevolazioni fiscali per le spese veterinarie sostenute per gli animali da compagnia, come peraltro già previsto dalla legislazione italiana;
    m) a promuovere in ambito comunitario una normativa volta a vietare la cattura, l'allevamento e l'utilizzo degli uccelli come richiamo vivo, prevedendo la possibilità di esercitare la caccia senza richiami, o con richiami acustici, e comunque attivandosi fin da subito al fine di consentire, nelle more dell'attuazione del divieto suddetto, il solo utilizzo di uccelli da richiamo da allevamento, senza ricorrere a catture di esemplari in natura;
    n) ad assumere iniziative per armonizzare la normativa nazionale con la direttiva 1999/22/CE relativa alla custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici e, quindi, per delimitare l'applicazione della legge 18 marzo 1968, n. 337, su circhi e spettacoli viaggianti a strutture effettivamente itineranti, evitando così antinomie con il decreto legislativo n. 73 del 2005 di recepimento della medesima direttiva 1999/22/CE;
    o) a promuovere una normativa comune volta al superamento dell'utilizzo degli animali nei circhi e negli spettacoli viaggianti;
    p) ad incoraggiare la ricerca sul benessere animale e a promuovere soluzioni alternative con riferimento agli esperimenti sugli animali;
    q) ad attivarsi per l'abolizione degli allevamenti di animali destinati alla produzione di pellicce, anche alla luce delle normative nazionali di divieto parziale o totale adottate già da diversi Paesi dell'Unione europea, come Olanda, Svezia, Gran Bretagna, Croazia, Austria, Danimarca.
(1-00573)
«Nicchi, Franco Bordo, Matarrelli, Pannarale, Kronbichler, Scotto, Costantino, Duranti, Melilla, Ricciatti, Zaratti, Pellegrino».
(26 agosto 2014)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA RIFORMA DEI CRITERI DI FORMAZIONE DEL BILANCIO COMUNITARIO, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL MECCANISMO DEL COSIDDETTO «SCONTO INGLESE»

   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia è uno dei sei Paesi che con la firma dei Trattati di Roma, nel lontano 1957, contribuì alla creazione dell'Unione europea di oggi, dando vita a quello che si è rivelato come un vero e proprio «esperimento istituzionale» attraverso la costituzione di un organismo sui generis, alle cui istituzioni gli Stati membri hanno delegato nel tempo parte della propria sovranità nazionale;
    la costruzione europea si è realizzata tramite un processo in continuo divenire, slegato da qualsiasi modello statico e precostituito, ed ha perciò segnato battute d'arresto ed accelerazioni, senza tuttavia mai perdere di vista la finalità principale: la creazione di un'unione politica federale che, purtroppo, dimostra di affievolirsi sempre di più a fronte dell'irruenza con cui procede, invece, l'integrazione economica;
    è evidente, infatti, che l'introduzione della moneta unica senza la realizzazione di un'unione politica e fiscale provoca l'impoverimento dei Paesi cosiddetti periferici, primi tra tutti Grecia, Spagna e purtroppo Italia, e genera un sistema, come gli eventi dimostrano ogni giorno, in cui alcuni Paesi acquisiscono crescenti surplus commerciali a scapito dei loro partner, che, ancorché appartenenti alla stessa «zona euro», accumulano invece crescenti deficit;
    tale situazione obbliga gli Stati più ricchi dell'eurozona ad imporre politiche di austerità in nome della difesa dell'euro, unico vero collante di un'unione che esige dai cittadini continui sacrifici, con il risultato di favorire un'integrazione sempre più vantaggiosa per alcuni e sempre meno per altri, posto che italiani e tedeschi hanno la stessa moneta unica, ma differenti contratti di lavoro, diversi sistemi di welfare e diverso grado di sviluppo economico;
    l'articolo 3 del Trattato di Roma, disponendo che «la Comunità ha il compito di promuovere, mediante l'instaurazione di un mercato comune e il graduale riavvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività economiche», elenca una serie di azioni comuni, tra cui l'instaurazione di una politica agricola comune, da intendersi come forma di partenariato strategico tra agricoltura e società, in considerazione dei milioni di consumatori europei che richiedono un regolare approvvigionamento di alimenti sani a prezzi accessibili; tale politica ha, però, manifestato fin dagli inizi diverse criticità per l'Italia, il cui potenziale agricolo intensivo e di qualità avrebbe richiesto accordi più adeguati alle proprie peculiarità produttive e al proprio fabbisogno interno;
    la distanza tra cittadini ed «entità» Europa è particolarmente evidente ed allarmante proprio nel settore dell'agroalimentare, nel quale la richiesta generalizzata da parte dei consumatori di tracciabilità ed informazione riguardo alle materie prime utilizzate negli alimenti è costantemente disattesa da normative comunitarie che tendono a favorire la grande distribuzione, la quantità al posto della qualità;
    il settore primario è estremamente penalizzato da politiche comuni, che, tendendo all'omologazione, limitano il potenziale di sviluppo delle eccellenze e delle tipicità locali, sia con riguardo alle produzioni che alle peculiarità delle comunità rurali e delle risorse, e contribuiscono ad accrescere le asimmetrie economiche e sociali tra Paesi;
    notevoli disparità tra Stati membri si ravvisano, altresì, in relazione ai rapporti finanziari che ciascuno di essi ha con l'Unione europea e che per l'Italia mostrano un sensibile aggravamento della condizione di contribuente netto, nella quale il nostro Paese si trova ormai da tempo;
    come evidenziato dall'ultima relazione annuale della Corte dei conti riferita all'esercizio 2011, l'Italia, nel 2011, ha versato all'Unione europea, a titolo di risorse proprie, la complessiva somma di 16 miliardi di euro, importo che rappresenta il massimo storico del settennio 2005-2011 e costituisce un rilevante incremento (+4,9 per cento) rispetto al precedente esercizio, che aveva già mostrato una forte crescita (+6 per cento) nei confronti del 2009;
    se sempre nell'anno 2011 l'Unione europea ha accreditato complessivamente al nostro Paese la somma di 9,3 miliardi di euro, con un aumento dell'1,2 per cento rispetto all'esercizio precedente, il contestuale aumento dei versamenti del nostro Paese all'Unione europea ha causato il peggioramento del «saldo netto negativo» nazionale, giunto per l'esercizio in questione a 6,6 miliardi di euro secondo un rapporto di mera differenza aritmetica tra i rispettivi totali;
    nel settennio 2005-2011, secondo il computo desumibile dall'elaborazione fatta dal dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, il totale dei «saldi netti negativi» ammonta per l'Italia a 39,3 miliardi di euro;
    si rileva, altresì, che i Paesi con i maggiori saldi positivi riferiti al periodo in parola risultano, secondo la Commissione europea, in ordine decrescente: Polonia, Grecia, Spagna, Portogallo, Ungheria, Repubblica ceca, Lituania, Romania, Slovacchia e Irlanda; ad eccezione di quest'ultima, si tratta di alcuni degli Stati membri beneficiari del fondo di coesione, istituito per assistere i Paesi aventi un reddito nazionale lordo pro capite inferiore al 90 per cento della media comunitaria;
    è noto come le resistenze nazionali si traducano spesso in vere e proprie «clausole di favore», recepite nei trattati a vantaggio di quei Paesi che altrimenti non avrebbero firmato gli accordi, rallentando o interrompendo il processo di integrazione;
    il quadro innanzi delineato è certo influenzato da alcuni particolari facilitazioni riconosciute nel tempo a singoli Stati come la decisione del Consiglio Euratom 2007/436/CE sulle risorse proprie, che ha accordato, per il periodo 2007-2013, ad Austria, Germania, Paesi Bassi e Svezia il diritto di beneficiare della riduzione delle aliquote di prelievo della risorsa iva e l'ulteriore facoltà dei Paesi Bassi e della Svezia di usufruire di una riduzione lorda del contributo per il reddito nazionale lordo annuo;
    tra i suddetti benefici va annoverata la tradizionale revisione degli squilibri di bilancio denominata «correzione britannica» («UK rebate»), che consente al Regno Unito il rimborso di un importo pari al 66 per cento della differenza tra il suo contributo al bilancio dell'Unione europea e l'importo ottenuto dallo stesso bilancio, comportando, di riflesso, un ulteriore onere finanziario a carico degli altri Stati membri (limitato tuttavia, solo per alcuni di loro, quali la Germania, i Paesi Bassi, l'Austria e la Svezia, a un quarto del valore normale), tra cui l'Italia;
    il meccanismo di «sconto a favore della Gran Bretagna», che non ha data di scadenza, si fonda sulla decisione del Consiglio europeo di Fontainebleau del 25/26 giugno 1984, con la quale si stabilì, accogliendo le richieste del Regno Unito, che «(...) ogni Stato membro con un onere di bilancio eccessivo rispetto alla propria prosperità relativa potrà beneficiare di una correzione a tempo debito»;
    le conseguenze che derivano agli interessi italiani da tale disposizione sono rilevanti, non solo dal punto di vista finanziario, considerato che Roma e Parigi da sole contribuiscono a versare a Londra la metà dell'importo complessivo del rebate, ma anche in punto di principio, in quanto, nonostante il dichiarato carattere generale della decisione del Consiglio di Fontainebleau, di fatto, fino a tempi recenti, la correzione è stata applicata solo a favore del Regno Unito;
    gli accordi presi a Fontainebleau erano motivati da un consistente stanziamento di risorse comunitarie a titolo dell'allora nascente politica agricola comune e tali da poter giustificare particolari agevolazioni concesse ai Paesi con scarsa vocazione agricola come la Gran Bretagna; nel corso del tempo, come noto, la spesa agricola dell'Unione europea si è notevolmente ridotta;
    l'accordo sulle prospettive finanziarie 2014-2020 raggiunto nel mesi di febbraio 2014, riducendo ulteriormente lo stanziamento a favore della politica agricola comune, conferma che gli attuali meccanismi di correzione per il Regno Unito continueranno ad applicarsi;
    seppur vero che i vantaggi e gli svantaggi derivanti dall'appartenenza di un Paese all'Unione europea non si esauriscono in valutazioni di natura contabile, è evidente che la questione del saldo negativo dell'Italia impone una riflessione circa un'urgente riforma dei criteri di formazione del bilancio, al fine di introdurre correttivi adeguati ad eliminare lo squilibrio a carico del nostro Paese, la cui economia è più in crisi di quella di altri membri che non sono contribuenti netti;
    sebbene il nostro ordinamento non consenta di sottoporre a referendum l'appartenenza dell'Italia all'unione economica e monetaria è indubbio che, anche alla luce della clausola di recesso volontario di uno Stato membro sancita dall'articolo 50 del Trattato sull'Unione europea, una consultazione popolare sull'utilità dell'attuale costruzione europea darebbe esiti allarmanti, in considerazione dello scostamento fortemente negativo tra risultati ed attese che alimenta la percezione da parte dei cittadini di un'Europa in piena crisi di legittimità,

impegna il Governo:

ad intervenire con determinazione nelle opportune sedi comunitarie affinché, anche in considerazione della Presidenza di turno italiana dell'Unione europea, si avvii fin da ora la riforma dei criteri di formazione del bilancio comunitario e, in particolare, si proceda alla revisione del meccanismo dello «sconto inglese» stabilito dagli accordi di Fontainebleau del 1984, posto che l'entità della spesa agricola è diminuita nel corso degli anni e che la nuova programmazione della politica agricola comune per il periodo 2014-2020 prevede una significativa decurtazione dei fondi disponibili per il nostro Paese.
(1-00160)
«Gallinella, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Parentela, Nuti, Nesci».
(31 luglio 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    il bilancio dell'Unione europea rispecchia, sia dal lato della spesa che da quello delle entrate, l'intera politica dell'Unione europea; è uno degli strumenti fondamentali di cui l'Unione europea dispone per realizzare i suoi obiettivi politici. La dinamica del bilancio dell'Unione europea è influenzata dalle dimensioni e dalla durata della crisi economica e finanziaria;
    la struttura del bilancio comunitario è costituita dalle entrate, composte dalle cosiddette «risorse proprie» e dalle spese che, coperte con risorse proprie, sono destinate al finanziamento di tutti gli interventi messi in atto dall'Unione europea;
    l'Unione europea può contare su diverse fonti di finanziamento: tramite le «risorse proprie» costituite da risorse proprie tradizionali, dalla risorsa iva e dalla risorsa del reddito nazionale lordo. Le risorse proprie tradizionali sono a loro volta costituite da risorse provenienti dai dazi all'importazione sui prodotti provenienti dall'esterno dell'Unione europea e dai contributi provenienti dall'imposizione di diritti alla produzione dello zucchero e dell'isoglucosio, mentre la risorsa iva è costituita da un contributo sulle basi imponibili nazionali a carico di ciascun Stato membro; infine, la risorsa reddito nazionale lordo, definita anche «risorsa complementare», è finalizzata a finanziare le spese di bilancio non coperte dalle risorse proprie tradizionali e dalla risorsa iva. Essa è commisurata alla quota parte dei redditi nazionali lordi sul reddito nazionale lordo comunitario;
    riguardo alla risorsa iva a Germania, Paesi Bassi, Svezia e Austria è stata concessa una riduzione dell'aliquota di prelievo. Paesi Bassi e Svezia beneficiano di una riduzione del contributo al bilancio comunitario in chiave di reddito nazionale lordo. Tali agevolazioni vengono ripartite a carico degli altri Stati membri;
    il calcolo del contributo di ciascun Paese si basa sul principio della solidarietà e della capacità contributiva. Se ne risulta un onere eccessivo per determinati Paesi, si procede tuttavia ad aggiustamenti;
    in questo momento di grave crisi economico-finanziaria che l'Europa sta attraversando, vi è stato un aumento esponenziale dell'attività programmatica e politica dell'Unione europea che ha inciso pesantemente sulle libere scelte dei Paesi membri;
    la politica economica europea ha tracciato una road map che nei fatti ha condizionato gli interventi dei Governi nazionali, incidendo in modo rilevante sul loro operato;
    l'euro è una moneta rigida, sopravvalutata, che, invece di portare stabilità, maggiore crescita, calo della disoccupazione e tanti altri effetti positivi, ha comportato effetti contrari, ovvero disoccupazione, recessione e crisi sociali. L'euro non è più una risorsa, ma un intralcio che tanti danni ha creato;
    la cessione di sovranità dagli Stati nazionali verso l'Unione europea, in nome di un alto ideale comunitario e di una solidarietà economica tra zone più e meno floride dell'Unione stessa, si sta tramutando in una delega all'eurocrazia a decidere della vita dei cittadini, del sistema di diritti, di welfare, di previdenza in nome dell'unico idolo del rigore e della stabilità dei mercati finanziari;
    è ormai inaccettabile che gli Stati più ricchi dell'eurozona impongano regole di politica economica a tutti gli altri Stati membri, regole che vanno ad incidere sui cittadini, in particolare del nostro Paese, che sono costretti a continui sacrifici in nome di un'Europa che è sempre più lontana e fredda rispetto alle istanze delle popolazioni;
    mentre a parole si manifesta la volontà di andare verso un processo di integrazione europea, di favorire la sussidiarietà ed aprire una fase nuova per rinnovare le basi dell'Unione europea, in realtà i Governi più forti a livello europeo stanno creando le premesse per un'Europa più a loro vantaggio;
    l'Italia è il maggior contributore netto rispetto al proprio prodotto interno lordo, cioè versa al bilancio dell'Unione europea più di quanto riceve e continuerà ad esserlo anche per il periodo pianificato dal nuovo bilancio comunitario 2014-2020;
    nel 2011 il contributo netto dell'Italia è arrivato a -0,38 per cento rispetto al prodotto interno lordo, maggiore in tutta Europa, con Belgio e Olanda, subito dopo a seguire con il -0,36 per cento. Negli ultimi 12 anni l'Italia ha già versato circa 171 miliardi di euro e ne ha ricevuti 111 miliardi di euro, con un saldo negativo di circa 60 miliardi di euro, cioè una perdita netta di circa 5 miliardi di euro all'anno;
    il Consiglio europeo di Fontainebleau del 1984 ha concesso un rimborso (cosiddetto rebate) speciale per la Gran Bretagna dal bilancio della Comunità. Il meccanismo prevede un rimborso al Regno Unito pari al 66 per cento del suo contributo netto, la differenza tra il contributo al bilancio Unione europea e le entrate ottenute. L'abbuono britannico è fissato ogni anno come riduzione del contributo iva per il seguente anno;
    tale abbuono era previsto come compensazione nel Regno Unito per la politica agricola comune, che è costosa per i debitori ed i consumatori britannici di imposta e dalla quale il Regno Unito riceve soltanto un piccolo beneficio;
    la correzione era stata decisa solo per il Regno Unito, che si trovava ben al di sotto della media Unione europea in termini di prosperità pro capite;
    la decisione del Consiglio del 7 giugno 2007 ha confermato l'agevolazione in favore del Regno Unito, così che l'Italia continuerà a versare somme all'Unione europea in misura maggiore di quel che riceve, sebbene la stessa decisione del Consiglio preveda che «nessuno Stato membro si faccia carico di un onore di bilancio eccessivo rispetto alla propria prosperità relativa»;
    il meccanismo di rimborso è finanziato da tutti gli altri Stati membri in base alla loro partecipazione al reddito nazionale lordo; quasi il 50 per cento è finanziato da Francia e Italia, mentre per Germania, Paesi Bassi, Austria e Svezia, in virtù di ulteriori correzioni ad hoc, il finanziamento della correzione è limitata al 25 per cento di quanto dovuto;
    nonostante la positiva evoluzione della sua prosperità relativa, il Regno Unito continua a beneficiare di un rimborso parziale dei propri contributi, a differenza di altri contribuenti netti con un livello di prosperità analogo o inferiore;
    l'Italia, insieme ad altri Paesi, continua ad accollarsi una quota – nel 2011 è stata di 700 milioni di euro – dei rimborsi al Regno Unito;
    il risultato di questo sistema è che la distribuzione dell'onere totale tra Stati membri è regressiva, dal momento che gli Stati con reddito minore versano proporzionalmente contributi maggiori rispetto agli Stati con reddito più elevato;
    è necessario un cambiamento urgente, un riesame dell'assetto del bilancio che oramai non è più sostenibile: una riforma da affrontare al più presto;
    il semestre italiano di presidenza rappresenta una grande opportunità. È necessario sfruttare questa occasione per dettare l'agenda politica dell'Europa perché la prossima occasione, a causa dell'allargamento dell'Unione europea attualmente a 28 Paesi, si ripresenterà fra 14 anni e non ci si può permettere di aspettare tanto, anche in considerazione dell'impellente necessità di uscire dalla crisi che porta le nostre aziende e i nostri cittadini a fuggire dal nostro Paese;
    esistono Paesi che, non appartenendo ancora all'Unione europea, perché sono nella fase di pre-adesione – o come la Turchia che ancora non è nemmeno in fase di pre-adesione che ha ricevuto più di 5 miliardi di euro negli anni passati e ne riceverà altri 7 negli anni futuri – beneficiano di cospicui finanziamenti europei per il loro sviluppo. Fondi che vengono sottratti per sostenere i Paesi membri in difficoltà o quantomeno vengono assoggettati al rispetto dei vincoli di bilancio europeo bloccandone la crescita economica e lo sviluppo delle imprese, con ripercussioni sia sui prodotti interni lordi nazionali che su quello europeo,

impegna il Governo:

   ad intervenire nelle opportune sedi europee, cogliendo l'occasione del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, affinché si proceda ad una revisione generale delle politiche di bilancio dell'Unione europea che affronti, in particolare, la questione di una revisione dei criteri di bilancio, che va radicalmente riformato;
   a chiedere, nelle opportune sedi europee, che il caso del minore apporto al bilancio comunitario da parte del Regno Unito, il cosiddetto rebate, venga rinegoziato in quanto è da considerarsi non più sostenibile da parte degli Stati membri e, in particolare, dal nostro Paese;
   a farsi promotore affinché i finanziamenti che gli Stati membri versano al bilancio dell'Unione europea rimangano a disposizione di tali Stati e non vengano elargiti a Paesi che geograficamente fanno parte dell'Europa continentale ma non fanno parte dell'Unione europea, salvo che non siano utilizzati per programmi di natura geopolitica.
(1-00360)
«Prataviera, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini».
(6 marzo 2014)

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