TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 292 di Mercoledì 17 settembre 2014

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE A TUTELA DEL CITTADINO ITALIANO ENRICO FORTI, CONDANNATO E DETENUTO NEGLI STATI UNITI

   La Camera,
   premesso che:
    Enrico «Chico» Forti è un connazionale che da 12 anni si trova in carcere a Miami, condannato all'ergastolo e accusato di un omicidio che non ha commesso;
    è stato condannato in base a un processo che non può chiamarsi tale, in quanto si è trattato di un processo indiziario, senza prove e basato su un movente dal quale lo stesso Forti era stato assolto mesi prima da un altro tribunale;
    «La Corte non ha prove che lei signor Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ho la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l'istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Portate quest'uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all'ergastolo senza condizionale!», è questa la frase che il giudice Victoria Platzer ha proferito in chiusura del processo di Enrico Forti; il 15 giugno 2000 è stato ritenuto colpevole di omicidio da una giuria popolare della Dade County di Miami, a suo carico non è mai stata prodotta alcuna prova forense oggettiva;
    Enrico Forti attende ormai da quattordici anni un'opportunità per dimostrare la sua innocenza ma finora tutti gli appelli proposti per la revisione del suo processo sono stati rifiutati senza motivazione;
    Chico nasce a Trento l'8 febbraio 1959, vive in famiglia fino al conseguimento della maturità scientifica nel 1978, in seguito si trasferisce a Bologna dove frequenta l'Isef per ottenere una laurea in educazione fisica. All'inizio degli anni Ottanta Chico diventa uno dei pionieri del windsurf, ottenendo risultati a livello mondiale. La sua simpatia e voglia di vivere, il buonumore e la comicità estrema in un batter d'occhio fanno di lui un vero e proprio personaggio nel circuito internazionale; negli anni Novanta si trasferisce a Miami in Florida, dove intraprende un'attività di filmaker e presentatore televisivo, in seguito si dedica anche ad intermediazioni immobiliari ed è proprio svolgendo questa attività che conosce Anthony John Pike, che si presenta come proprietario di un omonimo albergo sull'isola di Ibiza, in Spagna;
    alla fine del 1997, Anthony John Pike viaggia alla volta di Miami, ospite di un tedesco di nome Thomas Knott, che da qualche tempo soggiornava a Williams Island, in un appartamento sito proprio sotto l'abitazione di Enrico Forti. I due erano stati «amiconi» ai tempi dorati dell'albergo di Ibiza, di cui Knott era un assiduo frequentatore;
    Knott era stato condannato in Germania a sei anni di detenzione per truffe miliardarie, sparito durante un periodo di libertà vigilata e ricomparso a Miami, dove svolgeva, sotto falsi documenti procuratigli da Pike, un'attività di copertura come «istruttore di tennis». In realtà continuava la sua «professione» di truffatore. L'ultima accusa fu proprio quella tentata ai danni di Enrico Forti, convocando Anthony John Pike a Miami con l'intento di vendere il citato hotel, sebbene non fosse più di sua proprietà da oltre un anno;
    durante questa trattativa, compare Dale Pike, figlio di Anthony, che in passato era stato allontanato dall'albergo di Ibiza per gravi dissapori con il padre;
    Dale Pike doveva lasciare precipitosamente la Malesia, per motivi non accertati, e ricorse all'aiuto del padre, trovandosi in questo stato di necessità completamente privo di denaro. Anche Anthony Pike non aveva alcuna disponibilità finanziaria e chiese l'aiuto di Enrico Forti con il quale era entrato in trattative per la compravendita dell'albergo. Forti fu disponibile e alla fine del mese di gennaio 1998 pagò a Dale Pike il biglietto aereo dalla Malesia alla Spagna. Quindici giorni più tardi, Anthony Pike telefonò nuovamente ad Enrico Forti, prospettandogli una sua visita a Miami, questa volta in compagnia del figlio Dale;
    il giorno del loro arrivo fu programmato per domenica 15 febbraio 1998. Convinse nuovamente Enrico Forti ad anticipare il denaro per pagare i biglietti aerei ed anche questa volta Forti acconsentì a pagare i biglietti ad ambedue;
    il giorno prima della partenza, Anthony fece un'ultima telefonata ad Enrico Forti, adducendo problemi personali, spostando il suo appuntamento con lui a New York per il mercoledì successivo, 18 febbraio. Suo figlio Dale, invece, avrebbe comunque viaggiato a Miami, da solo, la domenica 15 febbraio ed Anthony chiese a Forti di andarlo a prendere all'aeroporto per ospitarlo a casa sua. Forti acconsentì, ma dopo il suo incontro con Dale all'aeroporto quest'ultimo gli chiese di essere portato al parcheggio di un ristorante a Key Biscayne, dove amici di Knott lo stavano attendendo e con i quali avrebbe trascorso alcuni giorni, in attesa dell'arrivo del padre. Forti quindi diede un passaggio a Dale fino al luogo da lui indicato e lo lasciò al parcheggio verso le ore 19 di quella domenica. Il suo contatto con Dale Pike, mai visto né frequentato prima di quel giorno, era durato circa una mezz'ora;
    il giorno 16 febbraio 1998 un surfista ritrovò il cadavere di Dale Pike in un boschetto che limita una spiaggia a poca distanza dal parcheggio dove Enrico Forti lo aveva lasciato. Era stato ucciso con due colpi di pistola calibro 22 alla nuca, denudato completamente ma con vicino il cartellino verde di cui viene dotato alla dogana chiunque entri negli Stati Uniti. Cerano anche altri oggetti personali per cui fu semplice l'identificazione. La morte fu fatta risalire tra le ore 20 e 22 del giorno precedente, poco tempo dopo il suo commiato da Enrico Forti; al processo quest'ultimo venne accusato e condannato come «mandante» dell'omicidio;
    le accuse mosse contro Enrico Forti si basarono tutte sul fatto che in un primo momento egli tacque sulla circostanza dell'arrivo di Dale Pike domenica 15 febbraio 1998 ed omise la verità sul loro incontro all'aeroporto di Miami;
    nei giorni che seguirono, i fatti dimostrarono come Enrico Forti non fosse stato affatto preoccupato della sorte di Dale Pike. Fu soltanto mercoledì 18 febbraio a New York, dove si era recato per l'incontro con il padre, che apprese la notizia dell'omicidio;
    saltato l'appuntamento con Anthony Pike e non avendo più sue notizie, Forti tornò immediatamente a Miami ed il giorno seguente, 19 febbraio, si recò spontaneamente al dipartimento di polizia, per rispondere ad una convocazione come persona informata dei fatti. Fu durante questa convocazione – che si rivelò poi un vero e proprio interrogatorio come maggior indiziato per l'omicidio – che la polizia lo informò falsamente che oltre a Dale, anche il padre Anthony era stato trovato ucciso a New York. Anthony Pike, invece, era vivo e vegeto e sotto protezione della polizia stessa dal giorno precedente. Terrorizzato dal precipitare degli avvenimenti, Forti negò di aver incontrato Dale Pike;
    la sera del 20 febbraio 1998, ormai resosi conto della gravità della situazione, tornò alla polizia per consegnare una serie di documenti relativi al rapporto d'affari con il padre della vittima;
    ingenuamente, si presentò senza l'assistenza di un legale, anche per la garanzia avuta da un ex capo della squadra omicidi da lui conosciuto, che lo aveva assicurato trattarsi solamente di dare alcuni chiarimenti per aiutare le indagini della polizia;
    invece in quell'occasione venne immediatamente arrestato e sottoposto ad un massacrante interrogatorio per 14 ore, durante il quale ammise di aver incontrato Dale Pike il 15 febbraio nelle ore precedenti il suo omicidio e di averlo accompagnato al parcheggio del ristorante Rusty Pelican a Virginia Key;
    questa ammissione fu il risultato di una vera e propria trappola, tesagli per mandarlo in totale confusione, costringendolo a mentire soggiogato dalla paura e dalla disperazione;
    nell'immediatezza del primo arresto, Enrico Forti era stato accusato di frode, circonvenzione d'incapace e concorso in omicidio. La giuria però fu fuorviata ed ingannata nel suo giudizio finale perché non venne mai informata che Enrico Forti in precedenza era già stato completamente assolto dalle accuse di frode e circonvenzione d'incapace. Liberato su cauzione, nei venti mesi che seguirono, era stato, infatti, scagionato da tutti i capi d'accusa che riguardavano la frode; scorrettamente, invece, la frode fu usata come movente nel processo per omicidio;
    si è scoperto che l'albergatore tentava di vendere al Forti un hotel che da molto tempo non era più suo. Una truffa vera e propria. Anthony Pike stesso lo aveva ammesso in una deposizione rilasciata a Londra prima del processo, ma l'accusatore l'ha tenuto nascosto alla giuria;
    le indagini per l'omicidio di Dale Pike vennero affidate al prosecutor Reid Rubin e il pubblico ministero venne informato da Gary Schiaffo (il leader investigator nel caso Cunanan) sulla persona di Chico Forti e fu messo al corrente dell'inchiesta dal Forti realizzata sul caso Versace/Cunanan dove venivano messe in dubbio le dichiarazioni della polizia di Miami e dove l'attacco alla casa galleggiante era considerato una clamorosa messinscena;
    le indagini preliminari furono affidate ai detective Catherine Carter e Confessor Gonzales che, stranamente, facevano parte della squadra investigativa di Schiaffo. In seguito, la conduzione del processo ad Enrico Forti fu affidata alla giudice Victoria Platzer, anche lei membro della squadra di Schiaffo prima di essere nominata giudice;
    il pubblico ministero Reid Rubin non ha sicuramente lasciato nulla all'improvvisazione, dato che ha impiegato ben ventotto mesi per preparare la sua arringa finale, un record per i tribunali americani: normalmente qualsiasi processo si esaurisce entro sei mesi dalla sua istruttoria;
    Rubin ha avuto l'incredibile vantaggio di pronunciare la sua arringa finale senza che la difesa potesse replicare, in modo che qualsiasi teoria lui intendesse proporre alla giuria, vera o presunta, o basandosi esclusivamente su una fantasiosa ricostruzione dei fatti, non era più contestabile;
    il rito del processo americano prevede che l'ultima parola spetti di diritto all'accusa quando l'imputato si è avvalso della facoltà di non rispondere, oppure non è chiamato al banco dei testimoni, ma Enrico Forti non ne era al corrente. Lo sapeva ovviamente il pubblico ministero, che ha sfruttato questa opportunità puntando tutte le sue chance proprio nello spazio finale a lui concesso, approfittando anche del fatto che la giuria deve decidere il suo verdetto basandosi esclusivamente sulla propria memoria del dibattimento. Logico, quindi, che nella mente dei giurati rimangano impresse più le ultime parole dell'accusa che non quelle della difesa. A maggior ragione questo si verifica quando l'oratore è particolarmente bravo e non c’è dubbio che Reid Rubin lo sia;
    ma la responsabilità più grave della faccenda ricade sugli avvocati della difesa: anche loro conoscevano questa regola, la spiegazione data dai legali nel consigliare Enrico Forti di non presentarsi alla sbarra fu: «Tu hai detto una bugia, quindi sei esposto al massacro di immagine che l'accusatore può dare di te ai giurati. Quindi meglio non rischiare. Inoltre, non essendoci prove, nessuna giuria al mondo potrà emettere un verdetto di colpevolezza nei tuoi confronti!». Anche l'accusatore, quindi, non ha ritenuto di dover chiamare Enrico Forti alla sbarra;
    dopo la conclusione dell'arringa dell'accusa la giuria popolare si ritirò nella camera di consiglio e solo poche ore bastarono ai giurati per emettere un verdetto di colpevolezza;
    la morte civile inflitta ad Enrico Forti in definitiva si basa solamente su una «sensazione»; in seguito, nonostante si fosse in grado di dimostrare ampiamente che Enrico Forti era rimasto vittima di un clamoroso errore giudiziario, cinque appelli presentati per la revisione del processo sono stati tutti rifiutati sistematicamente dalle varie corti, senza alcuna motivazione né opinione;
    il 30 aprile 2002, dopo il rifiuto della revisione del processo, un incredibile fatto venne casualmente alla luce. A Ira Loewy, avvocato dello studio legale incaricato della difesa di Enrico Forti, venne contestata un'assoluta inefficienza nella difesa di Chico tale da far sospettare una collusione con l'accusa;
    oltre al processo di Enrico Forti, Loewy lavorava per un altro caso, come sostituto procuratore aggiunto presso il dipartimento criminale, in un ufficio adiacente a quello dell'accusatore Reid Rubin. Questo costituiva un chiaro conflitto d'interessi, richiamato anche dalla giudice del processo in una specifica udienza. Benché Loewy avesse assunto l'impegno di informare il suo assistito Enrico Forti della situazione, non ottemperò mai a questo obbligo. Scoperta casualmente tre anni più tardi questa illegale procedura, Loewy presentò, per giustificarsi, la fotocopia di un documento di autorizzazione a procedere firmata da Enrico Forti. Di questo documento non si è mai trovato l'originale, non è mai stato allegato agli atti del processo, la firma in calce non è di Enrico Forti e quindi non si è mai voluto o potuto verificarne l'autenticità;
    la responsabilità più grave di Ira Loewy è quella di aver concesso l'ultima parola all'accusa nella fase finale del processo; infatti, non facendo deporre Chico Forti, Loewy concesse un enorme vantaggio all'accusa e Reid Rubin ebbe la possibilità di esporre alla giuria una sequenza di prove circostanziali senza alcun sostegno probatorio. La giuria, infatti, può fare affidamento soltanto sulla propria memoria relativamente alle situazioni prospettate durante il processo, per cui al momento del ritiro in camera di consiglio pesano in modo determinante le ultime cose ascoltate;
    ad Enrico Forti è stato negato il diritto allo speed trial – processo veloce entro venti giorni dall'arresto – per avvenuta scadenza dei termini di legge (sei mesi) dalla prima accusa all'arresto (venti mesi). Il diritto allo speed trial gli è stato negato perché applicata la «regola Williams», cioè l'esistenza di una diretta connessione tra l'ottenimento di un illecito guadagno, truffa, e la consumazione dell'omicidio. Questa regola avrebbe dovuto essere revocata perché Enrico Forti era già stato assolto dall'accusa di frode in un precedente processo;
    la deposizione rilasciata da Forti come testimone, durante la quale disse la bugia sul suo incontro con Dale Pike, avrebbe dovuto essere annullata perché coperta dai cosiddetti diritti Miranda che prevedono l'assistenza di un legale durante qualsiasi deposizione rilasciata da una persona ufficialmente accusata di un crimine; infatti, questi diritti gli furono negati nonostante al momento della deposizione fosse già il principale indiziato per l'omicidio;
    l'accusatore ha anche, in maniera ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo colpevole e scorretta, ignorato un accordo pre-processuale tra le parti, detto in limine, secondo il quale la truffa non avrebbe dovuto essere usata come movente e, in tal modo, la giuria fu intenzionalmente fuorviata nel suo giudizio finale;
    si è violata anche la double Jeopardy, secondo la quale se un imputato è già stato assolto da un'accusa in un precedente processo, la stessa accusa non può essere usata in un altro processo;
    a Chico Forti furono negati anche i diritti previsti dalla Convenzione di Vienna: i Paesi firmatari di questa Convenzione garantiscono l'immediata assistenza legale in caso di arresto di un loro cittadino in uno Stato diverso dal proprio;
    è prevista, inoltre, anche l'automatica simultanea comunicazione alle autorità consolari locali del cittadino stesso; il consolato italiano venne, invece, a conoscenza del primo arresto di Enrico Forti casualmente dai giornali ben nove giorni dopo; alla protesta ufficiale che ne seguì, la polizia inviò una lettera di scuse per «l'involontaria» omissione;
    Ferdinando Imposimato, suo legale italiano, e la criminologa Roberta Bruzzone hanno presentato nel maggio 2012 un report al Ministro degli affari esteri pro tempore, Giulio Maria Terzi di Sant'Agata, che contiene le motivazioni per la richiesta di revisione;
    il Ministro degli affari esteri pro tempore, Emma Bonino, ha a sua volta espresso l'attivo interessamento del Governo italiano sul caso Forti;
    anche molte personalità dello spettacolo si sono unite ad un movimento di opinione per chiedere la revisione del processo;
    purtroppo la richiesta di un nuovo processo può avvenire solo ed esclusivamente sulla base di una newly discovered evidence: una nuova prova determinante che, se presentata nel dibattimento, ne avrebbe potuto modificare l'esito e che, si dimostri, non poteva essere trovata al tempo del processo. Tutte le prove, anche a sua discolpa, che sono passate, o avrebbero potuto passare, davanti ad una corte sono procedural defaulted e, quindi, non valgono,

impegna il Governo

ad assumere in ogni sede qualsiasi iniziativa di competenza volta a tutelare il concittadino Enrico Forti, come più volte in precedenza il Governo italiano ha ritenuto di dover fare in difesa di altri concittadini condannati e detenuti all'estero, considerato anche il fatto che lo Stato italiano intrattiene con il Governo degli Stati uniti ottimi rapporti diplomatici che hanno portato anche di recente alla soluzione di casi giudiziari controversi.
(1-00291)
«Ottobre, Giachetti, Vito, Leone, Kronbichler, Marcolin, Dellai, Corsaro, Pisicchio, Di Lello, Bruno, Nicoletti, Alfreider, Binetti, Capelli, Carella, Catalano, De Menech, Di Gioia, Fabrizio Di Stefano, Fauttilli, Furnari, Galgano, Riccardo Gallo, Gebhard, Ginoble, Labriola, La Marca, Lacquaniti, Latronico, Locatelli, Marguerettaz, Migliore, Paglia, Palmizio, Pastorelli, Piepoli, Plangger, Realacci, Paolo Rossi, Rostan, Giovanna Sanna, Sberna, Scanu, Schullian, Stumpo, Tabacci, Tacconi, Vargiu, Zaccagnini, Palese, Amoddio, Alli, Marazziti, Fitzgerald Nissoli».
(20 dicembre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    il 15 giugno 2000 Enrico Forti, nato in Italia nel 1959, ex campione mondiale di windsurf, filmaker, produttore televisivo, fu condannato all'ergastolo per l'omicidio di Dale Pike, 42 anni, dalla Dade County di Miami in Florida, con l'accusa di «aver personalmente e/o con altra persona o persone allo stato ancora ignote, agendo come istigatore e in compartecipazione, provocato dolosamente e preordinatamente la morte di Dale Pike». In Key Biscayne – Virginia Key – il 15 febbraio 1998. Il corpo di Dale fu trovato il 16 febbraio 1998, sulla spiaggia di Sewer Beach, in Key Biscayne. La vittima era stata raggiunta da due colpi di arma da fuoco esplosi alla nuca a distanza ravvicinata. Il movente dell'omicidio, secondo la corte, fu l'eliminazione di Dale «ostacolo all'acquisto truffaldino dell'hotel Pike's di Ibiza di proprietà del padre di Dale». Il movente fu smentito dal notaio German Leon Pena, che in Spagna aveva rogato il preliminare di vendita tra Anthony Pike e Forti. Pena disse al prosecutor Rubin e all'avvocato di Forti Loewy che Anthony Pike non risultava proprietario di alcuna azione delle tre società che vantavano il 95 per cento della proprietà dell'hotel. Il prosecutor Rubin non esibì alla corte la testimonianza di Pena che scagionava Forti dal movente. Ma ci fu un'omissione anche del legale di Forti, che non chiese la testimonianza di Pena. In realtà, era stato il Forti a subire un danno pagando ad Anthony Pike un acconto di 25.000 dollari alla stipula del preliminare e Anthony lo ammise a Londra davanti a Rubin e Loewy. Thomas Knott, pregiudicato condannato in Germania a sei anni per truffa e bancarotta fraudolenta, espatriato dalla Germania, mentre era in libertà vigilata, con documenti falsi forniti da Anthony Pike, fu sospettato dell'omicidio di Dale. Per questo subì una perquisizione domiciliare disposta dal prosecutor. Tuttavia Knott patteggiò la pena con il prosecutor Rubin e, benché truffatore di professione, divenne fondamentale testimone di accusa contro Forti. Peraltro, risulterebbero circostanze quantomeno opache circa il ruolo di Anthony Pike che, anziché confermare ciò che aveva detto al persecutor Rubin e all'avvocato Ira Loewy a Londra il 26 e 27 marzo 1999, e cioè che lui Anthony non aveva alcun titolo per la vendita dell'albergo, modificò radicalmente la sua versione dei fatti in senso accusatorio verso Forti. In particolare, non è chiaro se ciò sia avvenuto sulla base di pressioni esterne. Al processo Anthony divenne il principale testimone d'accusa contro Forti. Le prove documentali e testimoniali raccolte, dopo la condanna, da Enrico Forti e dai suoi familiari, con l'assistenza in Italia dell'avvocato Ferdinando Imposimato e della criminologa Roberta Bruzzone, dimostrano chiaramente come Enrico Forti fosse, quando fu sentito come teste dalla polizia di Miami, a tutti gli effetti, indagato per il delitto di Dale. La polizia di Miami disse a Forti di recarsi all'ufficio di polizia la sera del 19 febbraio 1998. Forti si presentò puntuale e alle 18,55 cominciò quella che doveva essere una chiacchierata informale e, invece, si rivelò un vero e proprio interrogatorio di indagato, senza che venisse avvisato, come era doveroso secondo la Costituzione americana e secondo il trattato sui diritti civili e politici di New York, che era indagato di omicidio. L'articolo 14, comma 3, lettera a), del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici, prescrive che «ogni individuo accusato di un reato ha diritto come minimo ad essere informato sollecitamente della natura e dei modi dell'accusa a lui rivolta». Dell'interrogatorio, avvenuto con videoregistrazione, sono scomparse le registrazioni video e audio. L'indagine sulla morte di Dale Pike proseguì contro Forti, mentre Thomas Knott stipulò un accordo segreto con lo Stato (plea agreement) diventando, di fatto, un testimone decisivo per l'accusa contro Forti;
    nel caso Forti sono state violate diverse norme del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1966 – ratificato dagli Stati Uniti l'8 settembre 1992, vincolante per gli Usa – e della Costituzione degli Usa;
    l'accusa contro Enrico Forti era confusa, generica, incomprensibile e non consentì un'adeguata difesa a Forti: non era chiaro, dopo alcuni cambiamenti del capo di imputazione, se Forti avesse agito come mandante o come esecutore materiale, da solo o con uno o più complici, e quale fosse l'arma del delitto. La genericità dell'accusa violò una norma fondamentale del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966; l'articolo 14, comma 3, dispone, infatti, che «Ogni individuo accusato di un reato, ha diritto ad essere informato sollecitamente e in modo circostanziato della natura e dei motivi dell'accusa a lui rivolta». Il prosecutor contestò a Forti in un primo tempo di essere stato l'esecutore materiale dell'omicidio, ma di fronte all'alibi di Forti, – che dimostrò, con le celle del suo portatile, di essersi trovato lontano dal luogo del delitto al momento del fatto – cambiò l'accusa nel modo seguente «per avere il Forti Enrico personalmente e/o (...) con altra persona e persone allo stato ancora ignote, agendo come istigatore e in compartecipazione, ciascuno per la propria condotta partecipata, e/o in esecuzione di un comune progetto delittuoso, provocato, dolosamente e preordinatamente, la morte, di Dale Pike». Sulla base di questa nuova imputazione, di dubbia legittimità perché generica e alternativa, in cui si accusava contraddittoriamente Forti di avere agito «personalmente», o con una o più persone non identificate, «ognuno con la propria condotta partecipativa» che non veniva descritta, «e/o in esecuzione di un comune progetto delittuoso», che non veniva definito, venne inflitta la condanna all'ergastolo. La corte concludeva: «La Corte non ha le prove che lei signor Forti abbia premuto il grilletto, ma ho la sensazione (...), al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l'istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Lo condanniamo all'ergastolo senza condizionale». Dall'accusa generica e vaga, con complici evanescenti mai identificati, Forti non poté in alcun modo difendersi. Fu violato in tal modo sia la regola che prescrive di informare «in modo circostanziato» (articolo 14, comma 3, del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966) l'accusato, sia il principio di legalità, nullum crimen, nulla poena sine lege, di cui all'articolo 14 del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici che prescrive all'articolo 14, comma 2, che per la condanna si richiede che «la colpevolezza sia provata legalmente». Postulato che è contenuto, oltre che nel Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966, nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, nel patto delle Nazioni unite del 1966, nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e nella Costituzione repubblicana;
    altra violazione dell'articolo 14 del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici riguarda l'obbligo per l'autorità che indaga di informare sollecitamente l'accusato della natura e dei motivi dell'accusa. Al contrario, la polizia violò l'articolo 14, lettera b), del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1966, che: stabilisce che «ogni individuo accusato di un reato, ha diritto a disporre del tempo e dei mezzi necessari alla preparazione della difesa ed a comunicare con un difensore di sua scelta». Invece il 19 febbraio 1998, Forti fu sottoposto a un lungo interrogatorio protrattosi diverse ore, senza potersi avvalere dell'assistenza di un legale, poiché ciò non gli fu consentito;
    la corte di Miami, che ha condannato Enrico Forti per omicidio in base al movente della truffa dell'acquisto dell'hotel Pike's, ha violato il principio del ne bis in idem. Le accuse contro Forti erano tre: truffa, circonvenzione e concorso in omicidio. Il processo contro Forti per la truffa e la circonvenzione di incapace si era concluso con una sentenza di non doversi procedere «nolli prosequi». Sennonché l'8 ottobre 1999, nonostante il proscioglimento di Forti dall'accusa di truffa e circonvenzione di incapace, il prosecutor chiese alla corte di contestare al Forti l'accusa di omicidio di primo grado a scopo di lucro, cioè a scopo di ingiusto profitto per mezzo di truffa. Tale contestazione, sviluppata dal prosecutor nella requisitoria finale, venne posta dalla corte come pilastro dell'accusa, a base della condanna all'ergastolo. Invece, il presidente della corte doveva informare la giuria che Forti era stato prosciolto dall'accusa di truffa e circonvenzione con sentenza per effetto della quale c'era il divieto del ne bis in idem alias del «double Jeopardy». L'articolo 14, comma 6, del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici, stabilisce che «nessuno può essere sottoposto a nuovo giudizio per un reato per il quale sia già stato assolto o condannato con sentenza definitiva in conformità al diritto e alla procedura penale di ciascun paese». L'appendice alla Costituzione degli Stati Uniti d'America dispone, in conformità dell'articolo 14, comma 6, del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966, nel modo seguente: «Articolo V. Nessuno potrà essere sottoposto due volte per un medesimo delitto, a un procedimento che comprometta la sua vita o la sua integrità fisica»; la norma fa riferimento al doppio giudizio sulla stessa offesa e ciò ha interesse per la questione della truffa addebitata a Forti. La parte essenziale del fatto contestato, lo scopo di frode in danno di Anthony Pike, costituente il movente dell'omicidio, era stato deciso con il nolli prosequi dal giudice Platzer;
    il tedesco Knott doveva essere un teste importante nel processo. In una testimonianza di un compagno di cella di T. Knott, Glenn Ravera, questi disse che il tedesco gli aveva raccontato di una visita del procuratore Rubin a Knott. Nel corso della visita, Rubin gli aveva promesso un aiuto giudiziario in cambio di una testimonianza per incastrare Forti. Knott, arrestato e condannato a 15 anni per reati di truffa, era indagato anche dell'omicidio: contro di lui esistevano molti indizi di colpevolezza anche per l'omicidio di Dale Pike, tanto da provocare la perquisizione del criminale tedesco. Thomas Knott accettò di collaborare con Rubin con cui stipulò un plea agreement. Ma si ignora il contenuto delle dichiarazioni rese da Knott senza replica. Ogni accusa contro Knott per la possibile responsabilità per l'omicidio di Dale Pike era stata oggetto di un patteggiamento i cui contenuti vennero segretari dalla procura di Miami. Orbene, esisteva ed esiste un obbligo del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966 che imponeva la discovery della testimonianza di Knott. L'articolo 14, comma 3, lettera a), stabilisce che «ogni individuo accusato di un reato ha diritto di essere informato sollecitamente e in modo circostanziato della natura e dei motivi dell'accusa nei suoi confronti». Invece la contestazione da parte del prosecutor mancò e l'avvocato Loewy non trovò nulla da ridire contro la segretazione degli atti del patteggiamento, da cui potevano e possono ricavarsi elementi a carico di Knott e a favore di Forti: il 15 febbraio 1998 Knott doveva ospitare proprio Dale, come ebbe a riconoscere anche il padre di Dale;
    nel dicembre 2002, Enrico Forti, dopo la condanna all'ergastolo, divenuta definitiva il 12 agosto 2002, mentre era in carcere in espiazione della pena, venne a conoscenza da un detenuto di un conflitto di interessi diretto che investiva l'avvocato Ira Loewy. Questi, durante il processo a Forti, era stato contemporaneamente difensore di Enrico Forti contro lo Stato della Florida e prosecutor per lo stesso Stato della Florida in un altro processo. Il compagno di detenzione disse che aveva avuto come accusatore proprio l'avvocato Loewy. Il presidente della corte dei due processi in cui Loewy appariva in funzioni contrapposte, giudice Victoria Platzer, essendo presidente della corte nei due processi, era a conoscenza del conflitto di interessi e della irregolarità della posizione dell'avvocato Loewy. Forti era ignaro del conflitto. Nel corso di un'udienza ad hoc del 29 marzo 2000, assente il Forti non citato, la presidente Platzer richiamò l'avvocato Loewy sulla necessità di sanare il conflitto di interessi mediante l'autorizzazione della vittima del conflitto, Forti. Il presidente Platzer fece presente a Loewy che se non fosse stata sanata la grave irregolarità, il processo non sarebbe potuto proseguire. L'avvocato Loewy rispose che Forti non poteva essere presente perché in quarantena nel carcere per un'epidemia di varicella. Era evidente che il processo non poteva iniziare né proseguire senza l'autorizzazione di Forti. Sennonché Platzer non tenne più un'altra udienza per chiedere al Forti se rinunziava a eccepire la grave irregolarità. Il giudice Platzer omise di tener conto che questo vizio inficiava sia la fase delle indagini che quella del dibattimento svolto fino a quel momento, senza la rinunzia da parte al conflitto di interessi. Il Loewy rinunziò ai fondamentali diritti di difesa, come il diritto di Forti a prendere la parola per ultimo per replicare alle accuse della polizia e del pubblico ministero, il diritto ad avere l'ultima parola da parte dell'imputato, il diritto a chiedere il confronto con Thomes Knott, il diritto a chiedere il confronto con Anthony Pike, il diritto a chiedere la testimonianza di Katherine Evans sul possesso della pistola da parte di Knott, il diritto a chiedere la testimonianza del notaio Pena sulla mancanza nel Pike del diritto di proprietà dell'hotel, il diritto a fare valere il ne bis in idem; Forti non poté più fare valere quei diritti per decadenza dei termini previsti dalla legge. Loewy riconobbe la necessità della autorizzazione (waiver) di Forti. Non si sa se l'avvocato esibì mai alcun documento originale. Si ha solo conoscenza di una fotocopia di un modulo di rinunzia. Di tale documento pare non sia mai stato trovato l'originale agli atti del processo penale;
    l'appendice alla Costituzione degli Stati Uniti dispone: «You or your lawyer can then make a concluding speech arguing your case». A seguito di richiesta dell'avvocato Loewy al pubblico ministero Rubin della rinunzia da parte di Forti al conflitto di interessi, il pubblico ministero Rubin il 7 giugno 2005 inviava a Susan Dmitrovsky un'autorizzazione in data 20 marzo 2000. Questo documento era in contrasto con la circostanza documentale che l'udienza sul conflitto di interessi, in cui il giudice Platzer aveva rilevato l'anomalia, era stata celebrata, senza la presenza di Forti, il 29 marzo 2000 dopo la data del documento prodotto da Rubin. Il richiamo da parte del presidente Platzer a difesa e accusa sulla necessità della presenza di Forti parrebbe dimostrare che la fase del processo successiva al 15 febbraio 1998 – e almeno fino al 29 marzo 2000 – era avvenuto senza l'autorizzazione di Forti. Sicché ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo la colpevolezza di Forti non fu «provata legalmente» (articolo 14, comma 2, del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1996);
    secondo i firmatari del presente atto di indirizzo orbene la difesa di Forti vanificò tutti i principi del giusto processo. Se l'avvocato Ira Loewy avesse prodotto il documento originale dell'autorizzazione scritta di Forti, o questo fosse stato rinvenuto nel processo, Forti avrebbe dovuto rispondere di calunnia o di diffamazione. Ma né l'avvocato né l'ufficio del giudice hanno mai esibito questo documento fondamentale. In tutti i casi, se l'originale del waiver non si è mai ritrovato, non si comprende da dove è stata ricavata la fotocopia;
    la Costituzione americana prevede al predetto VI emendamento che in ogni procedimento penale, l'accusato «avrà diritto ad essere informato della natura del motivo dell'accusa, a essere messo a confronto con i testimoni a carico, a ottenere di far comparire i testimoni a suo favore e a farsi assistere da un avvocato per la sua difesa», diritti che sono stati vanificati dal comportamento dell'avvocato Loewy nel consigliare l'assistito che gli conveniva non parlare per ultimo al termine del processo per proclamare la sua innocenza e di non contraddire le menzogne di chi lo accusava. Si è consapevoli che negli Stati Uniti la sensibilità verso i conflitti di interesse è altissima. In Italia Piero Calamandrei, uno degli artefici della Costituzione italiana, lasciò scritto in pagine indimenticabili che il magistrato non deve essere soltanto imparziale, ma deve apparire tale. Lo stesso vale per un avvocato; nei confronti dell'avvocato, il ragionamento è valido a maggior ragione visto che l'avvocato viene scelto, per aiutare, per difendere e per continuare a sperare da persone che sono a volte in una difficilissima situazione;
    da rilevare che l'articolo 629 del codice di procedura penale prevede che le condanne soggette a revisione sono ammesse «in ogni tempo a favore dei condannati» e che l'articolo 630, lettera d), del codice di procedura penale indica, tra i presupposti della revisione, «che la condanna venga pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato». Il professor Franco Cordero dell'Università La Sapienza, nell'indicare i casi di possibile revisione, secondo l'ordinamento giuridico italiano, indica «casi giudiziari penalmente inquinati che hanno determinato la condanna tra cui» la frode processuale, il patrocinio infedele e la falsità in atti (Franco Cordero, procedura penale, edizione Giuffrè 2003);
    il 9 luglio 2008 venne presentata dalla nuova difesa di Enrico Forti una richiesta di revisione alla corte di appello del terzo distretto, che rifiutò di prendere in considerazione tale richiesta senza fornire alcuna motivazione, come risulta da documento processuale in possesso della difesa di Forti. Un ultimo ricorso per ottenere la revisione del processo di Enrico Forti venne presentato alla corte federale degli Usa il 4 marzo 2009, ma la decisione della stessa corte del 3 agosto 2010 fu di «rifiuto per scadenza dei termini di presentazione». La revisione è implicitamente prevista dal Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966 all'articolo 14, comma 6, secondo cui «Quando un individuo è stato condannato con sentenza definitiva e successivamente tale condanna viene annullata, in quanto un fatto nuovo o scoperto dopo la condanna, dimostra che era stato commesso un errore giudiziario». Questa norma, vincolante per gli Usa, dimostra che la revisione è un ricorso non ancorato a termini. E del resto Forti scoprì il conflitto di interessi dopo la condanna definitiva all'ergastolo e fu costretto a raccogliere le prove presso amici e parenti e conoscenti per dimostrare che esisteva il conflitto. Non ha alcuna giustificazione né la decisione del giudice Murphy di respingere la richiesta di Forti senza alcuna motivazione, né quella della corte federale, che ha dichiarato la scadenza del termine per la presentazione del ricorso per la revisione, dal momento che nel patto vincolante per gli USA non esiste un termine, come in nessun ordinamento del mondo, che si ispiri al due process of law;
    il Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1966 afferma, all'articolo 2, comma 1, che «ciascuno degli Stati parti del presente Patto si impegna a rispettare e a garantire a tutti gli individui che si trovino sul suo territorio e siano sottoposti alla sua giurisdizione i diritti riconosciuti nel presente patto» all'articolo 2, comma 2, che «Ciascuno degli Stati parti si impegna a compiere, in armonia con la proprie procedure costituzionali e con le disposizioni del presente Patto, per l'adozione delle misure legislative o di altro genere che possano occorrere per rendere effettivi i diritti riconosciuti nel presente Patto», all'articolo 2, comma 3, lettera a), che «Ciascuno degli Stati parti del presente Patto si impegna a garantire che qualsiasi persona i cui diritti riconosciuti nel PI siano stati violati, disponga di effettivi mezzi di ricorso, anche nel caso in cui la violazione sia stata commessa da persone agenti nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali»;
    all'articolo 2, comma 3, lettera b), garantisce «che l'autorità competente giudiziaria, amministrativa e legislativa decida in merito ai diritti del ricorrente e sviluppare il ricorso in sede giudiziaria»;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, alla luce di tutto quanto richiamato, il processo contro Chico Forti non è stato equo e si è fondato su un comportamento quantomeno dubbio del difensore e, pertanto, si ritiene necessario un nuovo processo in cui Chico Forti venga chiamato a rispondere dell'omicidio di Dale Pike secondo le norme della Costituzione americana e del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1966,

impegna il Governo:

   ad approfondire tutti i profili relativi alla vicenda di Enrico (Chico) Forti, soprattutto con riferimento alle possibili violazioni delle norme del due process of law contenute nel Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1966 (in particolare nell'articolo 14), nonché della Costituzione degli Stati Uniti, interessando formalmente il Governo degli Stati Uniti affinché sia intrapresa ogni iniziativa di competenza al riguardo, al fine di evitare un grave pregiudizio dei diritti inviolabili della persona;
   a richiedere chiarimenti al Governo degli Stati Uniti, per quanto di competenza e nel pieno rispetto dell'indipendenza della giustizia americana, sulle molteplici circostanze che fanno supporre, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, che il processo sia stato condizionato da una difesa che appare segnata da gravi opacità, con particolare riferimento a possibili conflitti di interesse;
   ad assumere iniziative affinché gli Stati Uniti risolvano, in osservanza del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966, il problema della scadenza dei termini di presentazione del ricorso per la revisione, se necessario ricorrendo ad apposita norma che consenta di presentare il ricorso per la revisione «in ogni tempo», come previsto dall'articolo 14, comma 6, del citato Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici;
   a informare il comitato dei diritti dell'uomo di cui all'articolo 28 del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966 perché assista Enrico Forti, garantendo l'osservanza delle norme contenute nel menzionato Patto, ratificato dagli Stati Uniti nel 1992 e vincolante per gli Stati Uniti;
   a sostenere, anche a mezzo di un legale in Florida, le ragioni di Enrico Forti, vittima, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, di molteplici violazioni dei diritti della difesa tutelati dal Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici e dalla Costituzione degli Stati Uniti;
   a chiedere al Governo degli Stati Uniti, per quanto di competenza, che siano resi accessibili alla difesa di Forti (discovery) tutti gli atti relativi al processo per truffa contro Thomas Knott, testimone di accusa contro Forti e gli atti del plea agreement, atti che sono stati coperti dal segreto che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, ha impedito la difesa di Forti dall'accusa di omicidio;
   ad assumere iniziative affinché siano osservati l'articolo 2, comma 3, lettera a), del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici, secondo cui «Ciascuno degli Stati parti del presente Patto si impegna a garantire che qualsiasi persona i cui diritti o libertà riconosciuti nel Patto siano stati violati, disponga di effettivi mezzi di ricorso, anche nel caso in cui la violazione sia stata commessa da persone agenti nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali», nonché l'articolo 2, comma 3, lettera b), del medesimo Patto, secondo il quale ciascuno degli Stati parte si impegna a «garantire che l'autorità competente giudiziaria, amministrativa o legislativa, od ogni altra autorità competente ai sensi dell'ordinamento giuridico dello Stato, decida in merito ai diritti del ricorrente, e a sviluppare le possibilità di ricorso in sede giudiziaria».
(1-00406)
«Corda, Sibilia, Di Benedetto, De Lorenzis, Manlio Di Stefano, Fico, Colletti, Businarolo, Agostinelli, Luigi Gallo, Dall'Osso, Cecconi, Di Vita, Cominardi, Brescia, Simone Valente, Basilio, Rizzo, Frusone, Barbanti, Ruocco, Paolo Bernini, Tofalo».
(24 marzo 2014)

MOZIONI CONCERNENTI LA PARTECIPAZIONE ITALIANA AL PROGRAMMA DI REALIZZAZIONE E ACQUISTO DEGLI AEREI JOINT STRIKE FIGHTER-F35

   La Camera,
   premesso che:
    il Joint Strike Fighter (F-35) è un cacciabombardiere di quinta generazione, capace di trasportare anche ordigni nucleari con caratteristiche stealth e net-centriche, ovvero bassa rilevabilità da parte dei sistemi radar e capacità di interazione con tutti i sistemi di comunicazione presenti sullo scenario di guerra, che decolla ed atterra in verticale e viaggia a velocità supersoniche;
    il progetto per la realizzazione di questo velivolo è frutto di un accordo tra gli Stati Uniti e 8 Paesi partner, tra cui l'Italia, partner di secondo livello, che prevede la realizzazione di oltre 3.200 velivoli per un costo complessivo di sola produzione attualmente stimato in 396 miliardi di dollari;
    tra i Paesi partner sono sempre crescenti i dubbi su questo progetto, tanto che: la Gran Bretagna deciderà il numero degli aerei da acquistare dopo la pubblicazione del Defence and Security Review, nel 2015; l'Olanda ha avviato un'inchiesta parlamentare a seguito di un sonoro voto contrario al progetto e ha poi stabilito con voto parlamentare di ridurre da 85 a 37 velivoli la propria ipotesi di acquisto; l'Australia non userà l'F-35 come piattaforma esclusiva, acquistando anche altri aerei; la Turchia ha rinviato l'acquisto dei primi F-35 fino alla certezza sui ritorni industriali promessi dal programma; il Canada ha annullato l'acquisto decidendo di ripartire da zero con la procedura di acquisizione per l'acquisto del nuovo caccia per la propria aeronautica;
    in Canada, in particolare, il ripensamento nasce dalle polemiche dovute alle omissioni sui costi fatte dal Governo. Uno studio indipendente (Kpgm) ed altri organi di controllo pubblici hanno, infatti, stabilito che il costo complessivo in 40 anni, includendo anche l'uso e la manutenzione, è di oltre 45 miliardi di dollari, tre volte le previsioni fatte in precedenza dal Governo sugli F-35;
    ai quasi 400 velivoli che verrebbero a mancare rispetto alle ipotesi iniziali si aggiungeranno anche le ipotesi di taglio da parte del Pentagono rispetto ai 2.443 previsti, ipotesi già concretizzate nella proposta di FY 2015 dell'amministrazione Obama e che hanno comportato, già oggi per l'acquisto nel 2015 di aerei in versione «A» per l'Air Force, una riduzione dai 110 inizialmente previsti ai 26 confermati;
    ogni riduzione – e in particolare quelle più consistenti da parte degli USA – comportano ulteriori e continui aumenti del costo unitario per tutti gli acquirenti;
    il programma presenta diverse criticità costantemente evidenziate e denunciate nel corso degli ultimi anni sia dal Government accountability office (Gao) che dalle strutture di controllo del Pentagono (in particolare il Director, Operational Test and Evaluation – DOT&E). Oltre all'inarrestabile lievitare dei costi ed i ritardi del programma, nel tempo, si sono riscontrati molti problemi tecnici che, da un lato, portano a continui abbassamenti degli standard operativi e, dall'altro, all'allungamento dei tempi di produzione dei caccia con capacità operative di missione;
    in data 29 gennaio 2014 è stato pubblicato il rapporto annuale del Director, Operational Test and Evaluation), ovvero del direttore della sezione test operativi e valutazione del dipartimento della difesa statunitense, Michael Gilmore. Tale rapporto, trasmesso al Congresso Usa, è un documento ufficiale delle più alte sfere militari statunitensi e riguarda lo stato tecnico e le procedure delle acquisizioni armate statunitensi;
    il rapporto DOT&E, tra le altre cose, affronta l'analisi del programma Joint Strike Fighter (F-35), studiando lo sviluppo delle fasi di test (tempi, evoluzione) e conseguentemente si intendono valutare le capacità raggiunte in funzione dei medesimi test con informazioni aggiornate ad ottobre 2013;
    secondo quanto riportato dal rapporto, in merito agli F-35, si legge: «le performance riguardanti l'operatività complessiva continuano ad essere immature e si basano fortemente su supporto e soluzioni proposte dall'industria che sono inaccettabili per operazioni di combattimento. La disponibilità di velivoli e le misure di affidabilità dei tassi di manutenzione sono tutte sotto gli obiettivi che il Programma si era dato per questo punto del proprio sviluppo»;
    in particolare, si evidenzia che la disponibilità della flotta è stata mediamente del 37 per cento rispetto alle previsioni, con una tendenza ad un declino graduale. Nessuna delle tre varianti dell'aereo ha raggiunto l'affidabilità prevista con una percentuale di raggiungimento dell'obiettivo che va dal 30 al 39 per cento, con tassi di manutenzione, per problemi più o meno gravi, che sono stati tre volte superiori a quanto richiesto (addirittura del 344 per cento in più in alcuni casi);
    una tabella nel rapporto DOT&E mostra come siano stati «compiuti» solo 5464 dei 7180 punti di prova previsti, cioè il 24 per cento in meno rispetto a quanto originariamente stabilito (e per i sistemi di missione si è a meno 46 per cento). Va notato come la definizione di «compiuto» non significhi che tale particolare test sia stato «superato», ma solo che gli F-35 lo abbiano eseguito e questo spiegherebbe le discrepanze con quanto dichiarato dalla Lockheed Martin, ossia che i test sono «più avanti del previsto»;
    tutto questo si ripercuote sul raggiungimento dell'obiettivo primario del programma, ovvero raggiungere una capacità operativa iniziale (ioc) che consenta un primo utilizzo dei caccia F-35 in un ciclo di addestramento che possa rendere effettiva la scelta compiuta. Nonostante i voli di prova siano stati superiori ai traguardi fissati, sono stati soprattutto i pochissimi progressi sui test per i sistemi di missione e l'integrazione degli armamenti a tenere la situazione ancora ben lontana dagli «obiettivi imposti dai lotti di produzione della flotta e dai piani di IOC richiesti dalle diverse forze armate» come si legge dal rapporto;
    ulteriormente, nel rapporto si evidenziano i problemi al software, cui, nonostante le numerose innovazioni, secondo il rapporto «I primi risultati con il nuovo incremento di software Block 2B indicano ancora l'esistenza di lacune di elementi come fusione, radar, guerra elettronica, navigazione, EOTS, Distributed Aperture System (DAS), Helmet-Mounted Display System (HMDS) e datalink»;
    sui sistemi di missione si registra, secondo il rapporto, una vera e propria emergenza. Infatti, solo il 54 per cento dei test previsti come «soglia base» per questi aspetti (fino al blocco 2B) è stato condotto nel 2013 e complessivamente solo il 47 delle capacità definite nel contratto di produzione è stato raggiunto per i 24 velivoli consegnati all'interno del lotto di produzione numero 4. Per il lotto 5 la situazione non è migliore: le capacità definite per contratto che sono state raggiunte arrivano solo al 50 per cento;
    altre preoccupazioni emergono secondo il rapporto riguardo al peso, la struttura e la dotazione delle armi; particolarmente, in relazione al modello B a decollo corto ed atterraggio verticale (quello che dovrebbe essere equipaggiato sulla portaerei Cavour), si riscontrano i maggiori problemi sui test relativi al «distacco» degli armamenti (il lancio dei missili). Circa il 55 dei test pianificati in merito sono stati raggiunti da successo, mentre l'F-35B continua ad avere almeno sei problemi strutturali (sul portellone e sulla propulsione) che derivano dal passato e saranno forse sistemati con i lotti 7 e 8 di produzione;
    quanto appena esposto confermerebbe le criticità rispetto ad un programma che, oltre ad essere altamente costoso, rischia di acquistare aerei che non avranno alcuna speranza di essere utilizzati in missione, se non anche a fatica per azioni di addestramento;
    nel febbraio 2014 la campagna «Taglia le ali alle armi», che dal 2009 si occupa di sottolineare le problematiche del programma degli F-35 in vista della cancellazione della partecipazione italiana allo stesso, ha portato a pubblicare il dossier «Caccia F-35 la verità oltre l'opacità» come nuovo contributo di approfondimento. Nel rapporto si evidenzia come il costo medio attualmente desumibile dalla documentazione di bilancio Usa (e dai dati dei recenti contratti di acquisto italiani) si attesti sui 135 milioni di euro;
    secondo il rapporto, il costo complessivo del programma per l'Italia (se confermati 90 caccia) è in minima ascesa ad oltre 14 miliardi di euro e la proiezione di costo totale «a piena vita» del progetto rimane stimata in oltre 52 miliardi di euro;
    dal dettaglio di tutti i contratti sottoscritti dall'Italia con gli Stati Uniti, fino ad inizio 2014, si dimostra come siano già stati spesi 721 milioni di euro nelle fasi di acquisto (oltre ai 2,7 miliardi di euro per lo sviluppo e la linea di assemblaggio Faco);
    di media, sono 126 i milioni di euro già spesi per i primi tre caccia confermati dal nostro Paese (lotto VI), sforando qualsiasi precedente stima del Ministero della difesa al riguardo;
    il rapporto di «Taglia le ali alle armi» mostra come i dati relativi al ritorno industriale, estrapolati da diverse fonti e confermati anche da Lockheed Martin, confermano ad oggi un rientro per le aziende del nostro Paese di circa il 19 per cento in confronto all'investimento pubblico (meno di 700 milioni di euro sui 3,4 miliardi di euro già spesi dal Governo italiano), una situazione che difficilmente renderà possibile il ritorno di oltre 13 miliardi di euro, che sfiora il 100 per cento di rientro, più volte sbandierato dai Governi di questi anni;
    fonti governative e militari negli anni hanno ipotizzato l'arrivo di 10.000 posti di lavoro, mentre secondo stime sindacali si tratterebbe al massimo di circa 2.000 posti e per di più sarebbero ricollocazioni di lavoratori precedentemente impegnati con l'Eurofighter nella Faco di Cameri, dove sono impiegati meno di 1.000 addetti;
    lo stanziamento complessivo destinato all'acquisto di caccia dei prossimi lotti, previsto per il triennio 2014-2016, sarà di 1950 milioni di euro (circa 650 milioni di euro annuali in media), se non interverranno modifiche alle tabelle di procurement;
    a fine marzo 2013 è stato reso pubblico un nuovo rapporto del Government accountability office sul programma Joint Strike Fighter che ha confermato un ritardo di sette anni ed uno sforamento del budget di più di 160 miliardi di dollari rispetto alle previsioni iniziali;
    secondo il Government accountability office «Problemi di software persistenti» hanno rallentato i test relativi ai sistemi bellici del velivolo, quelli di navigazione, di puntamento e di riconoscimento. Ritardi di tale portata avrebbero come significato che il Corpo dei marine non sarà probabilmente in grado di ottenere tutte le funzionalità attese per il mese di luglio 2015;
    per completare il programma nei termini stabiliti il dipartimento della difesa americano dovrebbe procedere ad un incremento costante nel finanziamento per i prossimi 5 anni, con una media di costo annuale di 12,6 miliardi di dollari fino al 2037. Il picco di costo supererà, per molti anni, i 15 miliardi di dollari, ma «un finanziamento annuale di questa grandezza pone chiaramente dei problemi di sostenibilità a lungo termine, considerata l'attuale situazione fiscale» secondo il Government accountability office;
    nell'ultima richiesta di bilancio, l'Air Force Usa ha allocato circa 1,4 miliardi di dollari in cinque anni (ma altri fondi saranno poi richiesti successivamente) per risolvere problematiche sui vecchi lotti. Si tratta di una procedura che andrà poi ad interessare anche i lotti VI, VII e VIII, i quali comprendono pure gli aerei acquisiti dall'Italia. Nella lista di priorità dettagliata dell'aviazione Usa sono incluse, tra le altre cose: le componenti per migliorare la protezione contro i fulmini, le prestazioni del seggiolino eiettabile, l'illuminazione sulle punte delle ali del jet, la zona preposta ad accogliere missili ed armi, il sistema di gestione termica e di potenza del velivolo, i condotti d'aria per il motore prodotto da Pratt & Whitney, la resistenza delle paratie ed, infine, il complicato sistema di display digitale montato dall'avveniristico casco;
    a fronte dei calcoli effettuati dal Government accountability office resta irrealistica la proiezione in decrescita entro il 2019 sui costi unitari degli aerei presentata dal produttore Lockheed Martin. Secondo le stime del Government accountability office, affinché ciò accada per la versione A, si dovrà ottenere una riduzione di oltre 40 milioni di dollari ad aereo rispetto al costo a consuntivo definitivo degli aerei prodotti nel 2013. Un «recupero» di oltre il 33 per cento in 5-6 anni;
    a riguardo dei costi, nel documento, si nota quindi come «il finanziamento attuale e le quantità previste nel programma indicano che i costi unitari nel 2019 potrebbero effettivamente essere superiore agli obiettivi»;
    in questi giorni il Pentagono ha deciso di bloccare il pagamento di 231 milioni di dollari a Lockheed Martin fino alla completa implementazione di modifiche necessarie per gli F-35 già consegnati, incluse le ormai famose protezioni contro i fulmini;
    l'Italia partecipa al progetto sin dal suo inizio, nel 1998, con una richiesta iniziale di 131 aerei, ridotta poi nel 2012 a 90 velivoli, considerati dalle Forze armate «indispensabili», perché andrebbero a sostituire tre linee di velivoli: i Tornado, gli AM-X e gli AV-8 B, ma senza tuttavia fornire alcuna spiegazione circa il ruolo di un aereo tanto sofisticato, anche alla luce degli impegni internazionali del nostro Paese;
    nel 2009 le Commissioni difesa della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, esprimendo parere favorevole al programma, hanno posto alcune condizioni: la conclusione di accordi industriali e governativi che consentano un ritorno industriale per l'Italia proporzionale alla sua partecipazione finanziaria, anche al fine di tutelare i livelli occupazionali; la fruizione da parte dell'Italia dei risultati delle attività di ricerca relative al programma; la preventiva individuazione di adeguate risorse finanziarie che non incidano sugli stanziamenti destinati ad assicurare l'efficienza della componente terrestre e, più in generale, dell'intero strumento militare;
    il programma dell'F-35 è diventato un progetto dal costo elevato a fronte di prestazioni peraltro incerte e non corrispondente alle esigenze difensive del nostro Paese, con ricadute industriali ed occupazionali molto lontane dalle aspettative, che rischia anche di compromettere le politiche di disarmo utili invece a gestire in maniera corretta le crisi internazionali;
    nel corso del 2013, dopo analoghe proposte senza impatto degli anni precedenti, un nutrito gruppo di parlamentari ha presentato sia alla Camera dei deputati che al Senato della repubblica dei documenti per richiedere al Governo un impegno vincolante verso la cancellazione della partecipazione italiana al programma Joint Strike Fighter;
    ciò ha stimolato la presentazione da parte di quasi tutti i gruppi parlamentari di mozioni ed ordini del giorno sulla stessa materia, giungendo infine all'approvazione in entrambi i rami del Parlamento di una mozione promossa dall'allora maggioranza del Governo Letta che impegnava il Governo pro tempore a non procedere ad «ulteriori acquisti» in attesa di un pronunciamento esplicito parlamentare;
    peraltro, è stata avviata un’ indagine conoscitiva presso la Commissione difesa della Camera dei deputati conclusasi nel maggio 2014;
    nel corso del 2013 il Governo italiano ha comunque proseguito l'acquisto dei caccia, non attenendosi alle indicazioni delle mozioni di metà 2013 votate alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica. Ciò è avvenuto non solo comprando definitivamente (con i contratti del cosiddetto «buy year») 3 + 3 aerei rispettivamente dei lotti VI e VII, con una giustificazione ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo non confermabile dalle carte e sconfessata dalle stesse decisioni Usa («si erano già sottoscritti contratti per inizio acquisto», anche se tali tipi di accordi non erano assolutamente vincolanti), ma procedendo anche al procurement dei lotti VIII e IX, per cui non esisteva alcun tipo di accordo, solo pochi giorni dopo l'ultimo voto presso il Senato della repubblica delle mozioni predette;
    nell'attuale fase di produzione a basso rateo, la conferma di acquisto dei singoli velivoli viene fatta mediante sottoscrizione successiva di diversi contratti (per ogni aereo la catena di conferme si snoda su 5 annualità, per cui la terza è considerata il «buy year» definitivo) definiti e decisi annualmente; non si è ancora entrati nella fase di produzione multi-annuale che richiede un contratto definitivo da cui non sarà possibile uscire, pena il pagamento di penali,

impegna il Governo:

   a cancellare la partecipazione al programma Joint Strike Fighter per la produzione dei cacciabombardieri F-35, iniziando fin da subito le procedure previste dal Memorandum of Understanding dei partner del programma, per una chiusura definitiva di qualsiasi attività (sviluppo, produzione) ad esso correlata da parte del nostro Paese;
   a sospendere immediatamente qualsiasi attività contrattuale, di accordo tra le parti o di ulteriore acquisizione, nei confronti del Joint Strike Fighter program office del progetto fino alla definizione di tutte le procedure e decisioni che possano rendere effettiva la scelta di cancellazione della partecipazione italiana al programma.
(1-00424)
«Marcon, Migliore, Duranti, Piras, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Di Salvo, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Lacquaniti, Lavagno, Kronbichler, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Pilozzi, Piazzoni, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».
(3 aprile 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    è in atto un'intenso dibattito negli Stati Uniti sull'effettiva affidabilità del caccia-bombardiere multi-ruolo F-35, sviluppato dalla Lockheed-Martin come unico velivolo della categoria di quinta generazione, nell'ambito di un programma multinazionale in cui sono da anni coinvolti numerosi Paesi, tra i quali il nostro, che ha anche ottenuto l'installazione a Cameri dell'unica Faco esistente fuori dai confini statunitensi;
    in particolare, si rileva come il velivolo, di cui è iniziata la produzione anche nel nostro Paese, mentre ne continuano negli Stati Uniti l'aggiornamento e sviluppo tecnologico, abbia manifestato problemi motoristici che ne hanno sconsigliato l'esibizione al salone aeronautico di Farnborough, in Gran Bretagna;
    tuttavia, non è affatto da escludere che Lockheed-Martin e le numerose aziende coinvolte nel programma F-35 riescano comunque a risolvere i problemi tecnici affiorati finora;
    con un atto d'indirizzo l'Assemblea della Camera dei deputati ha già impegnato il Governo a «non procedere a nessuna fase di ulteriore acquisizione senza che il Parlamento si sia espresso in merito», vale a dire, sostanzialmente, all'arresto temporaneo della partecipazione nazionale al programma, cosa che ha comportato la sospensione di tutti i pagamenti dovuti, stando a quanto il Ministro della difesa ha dichiarato alle Commissioni difesa dei due rami del Parlamento il 24 giugno 2014, anche se a Cameri sono in assemblaggio i velivoli destinati al nostro Paese ed appartenenti al lotto 6, in consegna tra il 2015 ed il 2016;
    con il documento, noto anche come «lodo Scanu», approvato a conclusione di un'indagine conoscitiva sui maggiori programmi di acquisizione di armamenti in corso, la Commissione difesa della Camera dei deputati ha raccomandato il 7 maggio 2014 il dimezzamento delle risorse conferite al programma;
    il Ministero della difesa sta elaborando un nuovo libro bianco, le cui linee guida sono già state condivise con il Capo dello Stato, nell'ambito della sede istituzionale del Consiglio supremo di difesa, ma che dovrà essere discusso dal Parlamento;
    dal confronto sul futuro libro bianco dovranno emergere i fondamenti di una politica nazionale di sicurezza e difesa effettivamente condivisa, dai quali discenderanno le scelte in materia di sistemi d'arma da acquisire;
    le Forze armate non possono essere ridotte ad un inutile «stipendificio» in tempi tanto difficili e pericolosi, ma devono invece essere ammodernate in tutte le loro componenti, facendo il miglior uso possibile delle ridotte risorse disponibili, tenendo conto anche delle alleanze di cui il nostro Paese fa parte;
    la complessità dei moderni sistemi d'arma esige archi di tempo lunghissimi per la loro progettazione, produzione, sviluppo ed aggiornamento;
    l'F-35 rappresenta anche, in questo momento, un pegno ed un elemento basilare del rapporto politico che lega nella sfera della sicurezza e difesa il nostro Paese agli Stati Uniti, relazione di importanza strategica in un contesto internazionale sempre più instabile, incerto ed insicuro;
    le difficoltà in cui si dibatte la finanza pubblica stanno comportando tagli in settori non meno delicati della difesa, come, ad esempio, quello della sicurezza interna e dell'ordine pubblico, al quale si stanno sottraendo 1,5 miliardi di euro,

impegna il Governo:

   a respingere la prospettiva del disarmo aereo nazionale avanzata nel documento approvato dalla Commissione difesa della Camera dei deputati, noto come «lodo Scanu», subordinando tuttavia la continuazione della partecipazione del nostro Paese al programma F-35 agli esiti delle verifiche tecniche sull'affidabilità del velivolo e chiedendo al Governo degli Stati Uniti di ammettere personale italiano ai test che vengono condotti sulla piattaforma;
   a garantire comunque la prosecuzione dell'ammodernamento delle forze aeree ed aeronavali del nostro Paese, in un quadro di immutata collaborazione con il Governo degli Stati Uniti, eventualmente negoziando, in caso di ulteriori difficoltà tecniche del programma F-35, l'acquisto o il leasing di una congrua partita di caccia F-22 Raptor e, per la Marina, l'acquisizione dei più recenti esemplari di AV-8 B che verranno dismessi dal Corpo dei marine;
   ad assumere iniziative per destinare al comparto sicurezza interna i risparmi temporaneamente conseguiti con la sospensione dei pagamenti dovuti per l'F-35, in modo tale da revocare almeno per l'anno 2014 i tagli disposti in sede di spending review a carico del Ministero dell'interno.
(1-00563)
«Gianluca Pini, Marcolin, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Prataviera, Rondini, Simonetti».
(29 luglio 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    il progetto Joint Strike Fighter, avviato in prima istanza nel 1998 e definito nel 2002, con lo stanziamento di circa 13 miliardi di euro, non appare adeguato ai nuovi contesti di crisi internazionale che necessitano invece di maggiori iniziative diplomatiche e di sistemi d'arma in grado di tutelare le popolazioni civili;
    il concetto di tale cacciabombardiere era basato su condizioni geopolitiche che non esistono più; gli eventi degli ultimi mesi mettono in risalto l'inefficacia di strumenti come l'F-35: i bombardamenti in corso in Iraq contro l'Is hanno secondo i firmatari del presente atto di indirizzo più il ruolo di lavare la coscienza dei Paesi che hanno creato quella crisi, con le scelte fatte negli ultimi 15 anni nell'area Mediorientale, che risolvere il problema;
    ad oggi, il programma F-35 prevede un onere complessivo, per l'acquisizione degli aerei e il supporto logistico, stimato in circa 10 miliardi di euro, con completamento previsto nel 2027 (in media poco più di 111 milioni di euro ad aereo per 90 aerei);
    a questi fondi bisogna aggiungere oltre 3 miliardi di euro, di cui circa 2,7 miliardi di euro già spesi. Nel dettaglio si tratta di:
     a) 1 miliardo di dollari per la fase di sviluppo iniziale, ufficialmente completata (già pagati);
     b) 900 milioni di dollari per la fase di production, sustainment, and follow-on development, completamento previsto nel 2047 (già pagati);
     c) 795,6 milioni di euro per la realizzazione della linea di assemblaggio e supporto di Cameri (Faco), le cui attività dovrebbero completarsi nel 2014 (già pagati);
     d) 465 milioni di euro per le attività di predisposizioni e di adeguamento infrastrutturale delle basi e dei siti di Aeronautica e Marina che ospiteranno il velivolo;
    di questi risultavano già stati spesi, a fine 2012:
     a) oltre 19 milioni di euro per la base di Amendola, che ospiterà 2 gruppi di volo di F-35A, su un totale previsto di oltre 100 milioni di euro;
     b) 4 milioni di euro per la base di Grottaglie, su circa 140 milioni di euro previsti;
     c) 10 milioni di euro per la portaerei Cavour, di cui 4,8 milioni di euro per l'adeguamento del sistema Alis (Automatic logistic information system), su un totale previsto di 87,5 milioni di euro; 3,6 milioni di euro per Cameri relativi all'adeguamento dei sistemi di ausilio alla navigazione;
    accanto a questi interventi sono previste misure analoghe per la base di Decimomannu, per le quali si prevede di spendere oltre 48 milioni di euro, e per la base di Ghedi (dedicata allo strike nucleare), che ospiterà 2 gruppi di F-35A, con avvio dei primi lavori a partire dal 2016 e previsione di spesa complessiva di 87,5 milioni di euro;
    la Faco risulta, ad oggi, l'unico luogo in Europa, già costruito ed operativo, per la manutenzione e l'aggiornamento dei futuri aerei F-35;
    da tutte le audizioni della recente indagine conoscitiva della Commissione parlamentare difesa della Camera dei deputati sui sistemi d'arma, anche dalle più favorevoli al progetto, si evince che l'F-35 è un «proiettile d'argento», ovvero uno strumento dedicato ad alcune particolari funzioni (come il first-strike nucleare), ma, pur essendo definito come «aereo multiruolo», non è particolarmente efficiente in situazioni come il combattimento aria-aria ravvicinato (close air combat) o il supporto tattico alle forze terrestri (close air support) che richiede voli a bassa quota;
    l'implicazione industriale e tecnologica (in termini di know-how) è limitata rispetto ad altri progetti già in essere. L'impatto in termini di posti di lavoro è limitato se si considera l'enormità della spesa pubblica sostenuta (la Faco offrirà al massimo 1.815 posti di lavoro); ciò non toglie che il know-how che le imprese (anche piccole e medie) implicate nel progetto (soprattutto nella gestione delle parti in titanio) potrebbero sviluppare aprirebbe a loro nuovi mercati nel settore aeronautico;
    all'Italia non è consentito nessun tipo di accesso alle tecnologie caratterizzanti l'F-35. In particolare, ciò riguarda la tecnologia stealth (la palazzina delle radiomisure della Faco è interdetta all'accesso agli italiani quando i sistemi sono in funzione e sarà possibile solo tarare gli aerei italiani) e il codice sorgente del software dell'aereo. Quest'ultimo elemento impedisce qualsiasi futura integrazione italiana di nuovi o diversi sistemi sull'aereo (armi, sistemi di difesa elettronica, sensori ed altro);
    inoltre, le informazioni allarmanti circa la possibilità segnalata dalla Rete italiana per il disarmo di ritardi nello sviluppo e nella risoluzione degli evidenziati, numerosi problemi di costruzione, potrebbero comportare problemi di «concurrency», anche oltre la fase di produzione iniziale a basso rateo che dovrebbe concludersi nel 2019, ovvero portare ad avere un prodotto in fase di piena produzione con problemi da risolvere ancora (e non risolti nella fase di produzione iniziale a basso rateo) e che dovrà essere richiamato per la correzione dei problemi, con un aumento di costi incalcolabile;
    gli F-35 sono ispirati ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo ad una modalità di difesa che non rientra nell'alveo dei dettami dell'articolo 11, comma 1, della Costituzione. L'acuirsi delle tensioni e delle guerre di queste settimane – Ucraina, Gaza, Iraq, Siria e Libia – impongono al contrario un cambio di strategia politica e militare a livello internazionale. Appare anacronistico proseguire con l'acquisizione di sistemi d'arma costosissimi ma inadatti ad intervenire nelle moderne aree di crisi;
    la decisione del governo Usa di ammodernare le bombe nucleari di stanza nelle basi di Ghedi ed Aviano per renderle compatibili con gli F-35 presuppone che l'Italia diventi la linea più avanzata della deterrenza nucleare della Nato, contraddicendo spirito e lettera dell'adesione dell'Italia al Trattato di non proliferazione nucleare,

impegna il Governo:

   a cancellare la partecipazione dell'Italia al programma Joint Strike Fighter e a sospendere immediatamente qualsiasi attività contrattuale;
   in subordine all'impegno precedente:
    a) a sospendere immediatamente l'attività contrattuale dei velivoli F-35B dei prossimi lotti previsti, al fine di conseguire risparmi stimati, di spese in conto corrente, di circa 560 milioni di euro;
    b) a sospendere l'attività contrattuale fino alla fase di piena produzione, posto che, in base alle proiezioni presentate dal General accounting office degli Stati Uniti relativamente all'auspicata riduzione del prezzo unitario degli F-35 costruiti nella fase di piena produzione che sarà avviata nel 2019, rispetto a quelli prodotti nella fase di produzione iniziale a basso rateo attualmente in corso, il solo rinvio dell'acquisto dei 24 aerei che l'Italia prevede di acquistare entro il 2019 comporterebbe un risparmio di almeno un miliardo di dollari (i 24 aerei costerebbero in tutto circa 2,27 miliardi di dollari, anziché 3,35 miliardi di dollari), senza contare che detti velivoli non richiederebbero i successivi interventi di ammodernamento causati dal fenomeno della «concurrency»;
    c) ad avviare comunque la rinegoziazione con il Joint program office delle funzioni della Faco e delle capacità industriali connesse, giacché la Faco (final assembly and check out) è di proprietà dello Stato e potrà per questo essere utilizzata come centro di manutenzione, anche se Lockheed Martin decidesse di annullare la produzione a Cameri e, conseguentemente, ad avviare una valutazione degli investimenti che impattano sulle aziende italiane collegate al Joint Strike Fighter, al fine di mantenere la loro capacità di sviluppo industriale e know-how acquisibile;
   a ridurre il fondo appositamente creato nel 2002 di spese in conto capitale che prevede il finanziamento del progetto Joint Strike Fighter, liberando così immediatamente risorse impegnate per i prossimi anni;
   ad avviare da subito una prima fase di sospensione del progetto, al netto dei lotti già contrattualizzati definitivamente (LRIP 6 e LRIP 7 per 6 aerei) e della valutazione dello stato di acquisizione dei lotti successivi (LRIP 8, LRIP 9, LRIP 10 e LRIP 11).
(1-00577)
«Basilio, Rizzo, Artini, Paolo Bernini, Corda, Frusone, Tofalo, Manlio Di Stefano, Di Battista, Sibilia, Del Grosso, Grande, Spadoni, Scagliusi, Carinelli».
(4 settembre 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    sono ormai cicliche le polemiche e le contraddizioni legate al programma sugli F-35, o Joint Strike Fighter-F35, i cacciabombardieri multiruolo di quinta generazione monoposto, in merito soprattutto ai difetti e ai ritardi registrati nel corso dello sviluppo delle tecnologie e del programma riferiti al velivolo;
    costituisce un esempio in tal senso la ripresa parziale dei voli, il 16 luglio 2014, della flotta degli F-35, dopo il fermo posto dalle direttive emanate dagli uffici del programma F-35, dall'Air Force e dalla Marina, in cui si ordinava la sospensione di tutti i voli degli F-35 a seguito di un incendio scoppiato il 23 giugno 2014 su un caccia F-35A dell'Air Force in una base della Florida, mentre il pilota si preparava al decollo. Attualmente sembrerebbe non ci sia alcun pericolo;
    sul programma F-35 le disposizioni governative e militari sono spesso contraddittorie. Le previsioni di spesa contenute nel Documento di economia e finanza per il 2014 hanno focalizzato l'attenzione, da una parte, sulla problematica inerente la reale necessità di investimenti militari e, dall'altra, sugli effettivi benefici indotti da una riduzione di spesa in tal senso;
    il programma di acquisto in 20 anni degli F-35 (che saranno solo parzialmente assemblati in Italia in una nuova fabbrica a Cameri) prevedeva l'acquisizione di 135 bombardieri per l'Italia, poi ridotti a 90 (di cui 30 a decollo verticale);
    l'Italia è l'unico Paese al mondo ad avere un sito produttivo al di fuori degli Usa; altri Paesi, in Asia e in Europa, stanno però investendo risorse per acquisire una certa capacità produttiva;

    per capire meglio l'urgenza delle decisioni da prendere è sufficiente evidenziare quanto rilevato dal generale Christopher Bogdan, a capo del programmi statunitense F-35, che ha dichiarato che ogni slittamento o cancellazione delle commesse degli alleati provoca un incremento di costo del 2/3 per cento per gli F-35 acquistati dal Pentagono;
    il programma F-35 garantirà, a regime, in Italia un'occupazione pari a circa 1.500 addetti diretti. Includendo l'indotto, l'ammontare della forza lavoro nazionale raggiungerà, nello stesso arco di tempo, un totale di 6.500 unità. Finmeccanica-Alenia Aermacchi prevede di costruire circa 800 complessi alari;
    i dati più ottimistici in proposito li fornisce un rapporto redatto recentemente da Price Waterhouse Coopers sull'impatto economico del programma F-35 in Italia, che stima ben 15,7 miliardi di dollari il beneficio economico per l'Italia nel periodo dal 2007 al 2035 e un'occupazione potenziale di 5.450 posti di lavoro dal 2017 al 2026;
    dalla relazione della Corte dei conti sul rendiconto generale dello Stato per l'esercizio finanziario 2013 e per ciò che concerne il programma relativo allo sviluppo e al sostegno del velivolo Joint Strike Fighter emerge che le poste finanziarie previsionali allocate sul programma negli esercizi finanziari 2015 e 2016 sono rispettivamente pari a 644,3 milioni di euro e 735,7 milioni di euro. A seguito delle attività di contenimento della spesa pubblica avviate dal Governo italiano a partire dal 2011, il Ministro della difesa ha determinato la riduzione dei velivoli italiani da acquisire da 131 a 90, suddivisi in 60 Ctol per l'Aeronautica militare e 30 Stovl equamente distribuiti tra Marina e Aeronautica militare. Ad oggi, rileva la Corte dei conti, sono stati posti in essere contratti per l'acquisizione di 3 velivoli Ctol nel lotto di produzione low rate initial production 6 (LRIP 6 – consegne 2015-2016) e 3 velivoli Ctol nel lotto di produzione LRIP 7 (consegne 2016). Inoltre, sono stati posti in essere contratti per l'acquisizione dei soli componenti a lunga lavorazione (long lead items) per i lotti LRIP 8 e LRIP 9 (consegne, per entrambi, nel 2017);
    per quello che riguarda i ritorni industriali, la relazione riporta quanto riferito a questo riguardo dall'amministrazione della difesa secondo la quale il ritorno occupazionale correlato al programma F-35 era inizialmente stimato intorno ai 10.000 posti di lavoro (studio di Finmeccanica 2008), comprensivi sia di produzione industriale sia di supporto tecnico/logistico. In seguito alla riduzione da 131 a 90 velivoli, da un'indagine svolta con le industrie di settore, il ritorno occupazionale diretto (attività delle filiere produttive di beni e servizi che soddisfano le commesse) è stimato tra i 3.700 ed i 6.900 posti di lavoro comprensivi, sia di produzione industriale sia di supporto tecnico/logistico del sistema d'arma;
    il Ministro della difesa, Roberta Pinotti, ha evidenziato la necessità di un razionale equilibrio nella valutazione delle scelte, tra le esigenze della difesa, da una parte, e la serietà verso le imprese che hanno investito su questo programma, dall'altra;
    in merito all'acquisto degli F-35 il Ministro della difesa, intervenendo in audizione nelle Commissioni parlamentari difesa della Camera dei deputati e del Senato della repubblica, il 24 giugno 2014, ha affermato che: il «programma complessivo» relativo all'acquisto da parte dell'Italia dei caccia F-35 resta sospeso e «sarà definito nuovamente» dopo la stesura del Libro bianco per la difesa, previsto per il mese di settembre 2014, che definirà ciò che serve «per soddisfare le nostre necessità di difesa», aggiungendo che, allo stato, i contratti già sottoscritti e operanti riguardano solo i lotti 6 e 7, per sei velivoli complessivi;
    nel corso della stessa audizione il Ministro della difesa ha rilevato quanto fosse doverosa la sospensione del programma degli F-35, che, tuttavia «implica oneri non trascurabili e, soprattutto, prospetta il rischio di causare effetti particolarmente negativi in termini di sostenibilità industriale»;
    dopo l'atto di indirizzo approvato in Parlamento, ha ricordato Pinotti, «il Governo ha deciso di sospendere temporaneamente ogni ulteriore attività contrattuale, successiva a quelle già sottoscritte e operanti». Quindi, «fatta salva l'attività relativa agli oneri non ricorrenti di produzione, supporto e aggiornamento, i quali sono condivisi con tutti gli altri partner internazionali, nonché le attività relative alla produzione ed equipaggiamento dei due lotti numero 6 e numero 7, i cui contratti erano già sottoscritti e operanti, nessuna altra attività contrattuale di acquisizione è stata affidata all'Ufficio di programma»;
    nel corso dell'audizione del Ministro della difesa, le Commissioni congiunte difesa della Camera dei deputati e del Senato della repubblica, in merito al programma di acquisto dei velivoli F35, hanno rilevato che:
     a) ad oggi, sono oltre cento i velivoli realizzati, «i quali operano regolarmente e con una crescente intensità, permettendo sia di procedere con la fase sviluppo, sia di addestrare i futuri piloti destinati ai reparti operativi»;
     b) le forze armate statunitensi hanno già assegnato il velivolo ai primi reparti e prevedono di raggiungere la capacità di svolgere missioni operative dal 2016;
     c) l'Italia utilizzerà i primi lotti di velivoli solo per le attività di familiarizzazione con le nuove tecnologie e l'addestramento”;
     d) i lavori di allestimento del sito di Cameri sono quasi completati e sono già state avviate le operazioni di assemblaggio dei primi velivoli italiani;
    nel mese di aprile 2014 è giunto a Cameri, per il montaggio, il primo motore. Si tratta di velivoli appartenenti al lotto numero 6, che include tre esemplari con consegne previste fra il 2015 e il 2016. Seguirà come previsto, il lotto numero 7, composto di tre velivoli, con consegne nel 2016;
    qualora nel sito produttivo di Cameri le attività produttive relative ai lotti successivi rispetto al numero 6 e 7 non dovessero essere avviate, si determinerebbe un'interruzione della «curva di apprendimento» e, quindi, un peggioramento sostanziale della competitività dell'intero sito produttivo, causando un dirottamento delle commesse internazionali provenienti dagli altri Paesi che hanno deciso di acquisire l'F-35 verso lo stabilimento statunitense;
    nel «Documento Programmatico Pluriennale per la Difesa per il triennio 2014-2016», esaminato il 16 luglio 2014 dalla Commissione difesa della Camera dei deputati, sono evidenziate le principali voci di spesa che compongono la funzione difesa (esercizio, investimento e personale) che, negli ultimi sei anni, sono diminuite di 1.732,7 milioni di euro, pari a –27,51 per cento delle disponibilità del 2008. In particolare, i consumi intermedi avrebbero registrato una riduzione in termini finanziari di 1.440,3 milioni di euro (-63,59 per cento), passando dai 2.265 milioni del 2008 agli attuali 824,7. Riguardo invece alla funzione sicurezza del territorio che attiene alle esigenze finanziarie dell'Arma dei carabinieri, lo stanziamento previsionale per il 2014 ammonta a circa 5.687,4 milioni di euro, circa meno 72,2 milioni (-1,3 per cento) rispetto al precedente bilancio approvato dal Parlamento;
    purtroppo, le recenti implicazioni politiche, economiche, sociali e culturali, hanno un risvolto che dovrebbe destare serie preoccupazioni riguardo alla pace e alla stessa sicurezza all'interno di parecchie nazioni e di intere aree geografiche. Il precipitare del conflitto israelo-palestinese, di quello in Siria e dei rapporti tra Russia e Ucraina di questi giorni sono la realtà manifesta di quanto continua ad accadere. Tutto ciò rende ancora più evidente la necessità di potersi presentare dinnanzi a simili conflitti con mezzi adeguati;
    se a ciò si aggiunge che, in questi ultimi anni, le spese militari nel mondo occidentale sono diminuite a fronte di un sensibile incremento riscontrato in altri Paesi, in particolare quelli che compongono il cosiddetto Bricst (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica e Turchia), oltre a quelli coinvolti in situazioni di conflitto, si comprendono meglio i timori alla base di eventuali ulteriori riduzioni di spesa per la difesa. Si tratta di problemi lontani solo in apparenza, dal momento che si potrebbero verificare delle ripercussioni che rischiano di estendersi al di fuori delle aree strettamente interessate;
    se si considerano le principali operazioni nelle quali l'Italia ha impiegato le proprie capacità aeree negli ultimi ventiquattro anni (Iraq 1990-1991, Bosnia-Erzegovina 1993-1998, Kosovo 1999, Afghanistan 2001-2014 e Libia 2011), sono stati schierati oltre 100 velivoli tra cui Tornado, AMX, F-104, AV-8B, F-16 ed Eurofighter, e realizzate più di 13.000 sortite, per un totale di circa 36.000 ore di volo. A testimonianza dell'elevato grado di integrazione del Paese nell'Onu e nell'Alleanza atlantica, inoltre l'utilizzo dei velivoli ha avuto luogo nel 90 per cento dei casi in operazioni organizzate con l'avallo del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e nell'80 per cento delle circostanze nell'ambito di una catena di comando e controllo Nato;
    se ci si riferisce alle sole missioni di pace, all'8 aprile 2014 erano 9.153 i militari italiani impegnati in 25 missioni all'estero. Si tratta di grandi e piccoli contingenti: dai 3.820 impegnati nella Kfor in Kosovo, ai 3 della Monuc in Congo, al solo militare che, proprio in Iraq, fa parte della missione Unikom;
    dunque, a margine di una situazione internazionale, quanto meno preoccupante, e soprattutto considerando le operazioni in cui l'esercito italiano è stato impegnato, si comprende meglio la necessità di poter affrontare sia le situazioni di conflitto, sia le missioni di pace con i mezzi adeguati,

impegna il Governo:

   a rispettare gli impegni precedentemente assunti e relativi all'acquisto degli F-35, in linea con le nuove capacità di spesa connesse ai tagli finalizzati al contenimento del debito pubblico che stanno interessando anche il settore della difesa;
   a garantire, eventualmente riaggiornandolo, alla luce delle nuove e accresciute esigenze di bilancio, il programma di acquisizione degli F-35, ponendo particolare attenzione al ruolo attivo dell'Italia rispetto agli altri Paesi e assicurando la capacità nazionale di manutenzione dei velivoli in dotazione;
   ad assicurare un monitoraggio continuo, riferendo ai competenti organi parlamentari, delle diverse fasi di evoluzione del progetto, ribadendo il ruolo centrale delle diverse regioni italiane e garantendo l'acquisizione delle competenze tecnologiche necessarie legate ai velivoli.
(1-00578)
«Causin, Mazziotti Di Celso, Vargiu, Vitelli, Molea, Matarrese, Rabino».
(4 settembre 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    il quadro delle relazioni internazionali risulta caratterizzato da un moltiplicarsi di nuove e crescenti situazioni di accesa criticità e complessità che chiamano il nostro Paese ad assumersi le proprie responsabilità nell'ambito delle istituzioni sovranazionali e delle alleanze di cui fa parte: Onu, Unione europea e Nato;
    l'intero Medioriente rischia di avvitarsi in una escalation di tensioni politiche, etniche e religiose che ne minano alle fondamenta la stabilità e le prospettive di sviluppo: dal conflitto israelo-palestinese, alla Siria, dal Libano all'Iraq, per non dimenticare la stessa situazione libica che appare fuori controllo. Si è di fronte ad un insieme di focolai di tensione che generano violenze intollerabili, guerre civili e la diffusione di nuovi e più pericolosi filoni di terrorismo di diversa matrice che trovano la loro espressione più inquietante e più pericolosa nel tentativo di costituire un'entità statale sotto l'egida di un califfato;
    in questo quadro non può essere sottovalutato il riaccendersi delle tensioni con la Russia nella complessa vicenda dell'Ucraina. Una situazione che sollecita una risposta unitaria e adeguata da parte, innanzitutto, dell'Europa per affrontare con tempestività situazioni che mettono a rischio equilibri strategici e geopolitici da preservare;
    le responsabilità del nostro Paese risultano ancor più accentuate dal ruolo di guida dell'Unione europea assunto dall'Italia in questo semestre e dalla designazione del Ministro Mogherini come responsabile della politica estera e di sicurezza dell'Unione europea e obbligano il nostro Paese ad adoperarsi per realizzare una più incisiva ed unitaria strategia politica dell'Europa in grado di affrontare le crisi in atto;
    tutto ciò comporta per il nostro Governo una triplice responsabilità segnata, da un lato, dalla necessità di non lasciare nulla di intentato sul difficile terreno dell'iniziativa diplomatica al fine prioritario di porre le condizioni per una soluzione negoziata delle principali aree di crisi, a partire da quella Ucraina, dall'altro, dalla altrettanto pressante necessità di un contenimento e di una riduzione della spesa pubblica dell'Italia e, ancora, da quella di assicurare la disponibilità di forze armate efficienti, moderne ed integrate in ambito europeo e con i Paesi alleati;
    la quantità di risorse che il nostro Paese prevede di destinare ai sistemi d'arma, così come quella destinata al personale, è al momento ancora superiore a quelle individuate dal provvedimento di riforma dello strumento militare, mentre sono invece significativamente inferiori le risorse destinate all'esercizio, secondo il paradigma, condiviso in più occasioni dal Governo e dal Parlamento, di una ripartizione della spesa che riservi il 50 per cento del budget alle spese per il personale, il 25 per cento a quelle per l'esercizio e il 25 per cento agli investimenti;
    la Commissione parlamentare difesa della Camera dei deputati, in particolare, ha più volte espresso l'avviso che qualsiasi decisione in tema di pianificazione dello strumento militare, inclusa l'attività di ammodernamento e rinnovamento dei sistemi d'arma, si dovesse basare sull'apprezzamento dello scenario strategico, sulla considerazione degli impegni internazionali assunti e, non ultimo, sul livello delle risorse disponibili;
    da questo punto di vista merita particolare apprezzamento l'orientamento assunto dal Governo di addivenire in tempi brevi all'elaborazione di un nuovo libro bianco della difesa, anche per poter avviare una seria riflessione sulla sostenibilità di talune scelte già annunciate;
    l'Italia ha partecipato fin dall'inizio al programma di sviluppo del velivolo F-35 e ha realizzato sul proprio territorio una struttura di final assembly and check-out (Faco), in grado di assemblare i velivoli e di svolgere anche attività di manutenzione, che costituisce al momento l'unica struttura di tale genere esistente al di fuori degli Stati Uniti d'America;
    i molti dubbi che riguardano il programma F-35 hanno trovato nell'indagine conoscitiva la sede istituzionale più idonea ad una severa verifica;
    le molte difficoltà che incontra il velivolo hanno comportato, nelle scorse settimane, la decisione, dell'amministrazione statunitense, dopo un periodo di sospensione dei voli, di sottoporli a limitazioni sino alla risoluzione dei problemi tecnici;
    il Governo ha limitato gli ordini di acquisto e il conseguente assemblaggio degli esemplari destinati alle Forze armate italiane ai primi sei velivoli, così come indicato dalla mozione della Camera dei deputati n. 1-00125 del 26 giugno 2013,

impegna il Governo:

   a riesaminare l'intero programma F-35 per chiarirne criticità e costi con l'obiettivo finale di dimezzare il budget finanziario originariamente previsto, così come indicato nel documento approvato dalla Commissione parlamentare difesa della Camera dei deputati a conclusione dell'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma, in vista del Consiglio europeo del dicembre 2013, tenendo conto dei ritorni economici e di carattere industriale da esso derivanti;
   a ricercare, entro questi limiti, ogni possibile soluzione e accordo con i partner internazionali del programma F-35, al fine di massimizzare i ritorni economici, occupazionali e tecnologici, valorizzando gli investimenti già effettuati nella Faco e la sua potenzialità quale polo produttivo e logistico internazionale;
   a mantenere costante il controllo sulla piena rispondenza dei velivoli ai requisiti di efficienza e di sicurezza e ai criteri operativi delle Forze armate.
(1-00586)
«Scanu, Aiello, Bolognesi, D'Arienzo, Ferro, Fioroni, Fontanelli, Carlo Galli, Garofani, Gregori, Marantelli, Massa, Moscatt, Salvatore Piccolo, Giuditta Pini, Stumpo, Valeria Valente, Villecco Calipari, Zanin, Carra, Iacono, Amoddio».
(9 settembre 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    nello scenario internazionale e, in particolare, nel quadrante mediterraneo e mediorientale, si registra una perdurante instabilità, con numerosi focolai di tensione e di crisi interne ai singoli Stati, potenzialmente in grado di destabilizzare intere regioni, delineando un quadro della sicurezza quanto mai complicato e imprevedibile. In tale situazione, a fronte di significativi incrementi di spese militari in alcuni Paesi, si assiste ad una generalizzata riduzione degli investimenti nella difesa del mondo occidentale;
    in tale contesto geopolitico, se emergono con forza i vantaggi in termini operativi, capacitivi ed economici potenzialmente derivanti da un rafforzamento della politica di sicurezza e difesa comune europea, nell'ambito della più generale politica estera e di sicurezza comune, rimane comunque essenziale poter disporre, a livello nazionale, di uno strumento militare che, compatibilmente con le risorse disponibili, sia bilanciato e flessibile per rispondere con tempestività a crisi di carattere e dimensione non prevedibili;
    il Parlamento ha da tempo, ed in diverse occasioni, manifestato al Governo il proprio orientamento convintamente favorevole all'elaborazione di un nuovo libro bianco della difesa, anche per poter avviare una riflessione profonda sulla sostenibilità di talune scelte già annunciate. La Commissione parlamentare difesa della Camera dei deputati, in particolare, ha più volte espresso l'avviso che qualsiasi decisione in tema di pianificazione dello strumento militare, inclusa l'attività di ammodernamento delle dotazioni, si dovesse basare sull'apprezzamento dello scenario strategico, sulla considerazione degli impegni internazionali assunti dall'Italia e, non ultimo, sul livello delle risorse disponibili;
    il Governo ha annunciato l'intenzione di realizzare, entro la fine del 2014, un «Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa», dalla cui approvazione risulteranno definite le linee del nuovo quadro strategico di riferimento per lo strumento militare, gli obiettivi che il Paese intende perseguire e le modalità e gli strumenti da utilizzare per la protezione e la tutela dei cittadini, del territorio e degli interessi vitali e strategici del Paese;
    numerosi Paesi stanno procedendo con un rinnovo delle linee di volo delle rispettive Forze armate e, fra questi, alcuni hanno selezionato a tal fine il velivolo Joint Strike Fighter F-35 prodotto dalla Lockheed Martin, in cooperazione con altre industrie aeronautiche internazionali, anche italiane;
    il velivolo F-35 si trova tuttora nella fase di sviluppo, incontrando problemi tecnici dalla cui soluzione dipende la data della sua piena operatività;
    l'Italia partecipa fin dall'inizio al programma di sviluppo del velivolo F-35 e ha realizzato sul proprio territorio una struttura di final assembly end check-out (Faco), in grado di assemblare i velivoli e di svolgere anche attività di manutenzione, e che costituisce, al momento, l'unica struttura di tale genere esistente al di fuori degli Stati Uniti d'America;
    la partecipazione dell'Italia al programma F-35 ha già comportato un consistente esborso economico, superiore a 2 miliardi di euro, mentre le dimensioni complessive del programma ne faranno uno dei maggiori impegni di spesa per i prossimi anni, facendolo rientrare certamente fra i principali programmi di ammodernamento delle Forze armate;
    per la forte connessione internazionale del programma di produzione, di ammodernamento e di sostegno logistico durante la vita del velivolo, stimata in alcuni decenni, il programma F-35 potrà generare ritorni economici e occupazionali, nonché avanzamenti tecnologici di assoluto interesse anche per l'Italia;
    la produzione in Italia, su commessa della Lockheed Martin, di componenti strutturali del velivolo è già iniziata, ma non si hanno notizie certe relativamente alle future commesse produttive o a contratti relativi al sostegno logistico per i velivoli F-35 che verranno acquisiti dai partner internazionali;
    l'assemblaggio degli esemplari destinati alle Forze armate italiane è già in corso, ma i contratti relativi ai velivoli successivi ai primi sei esemplari risultano temporaneamente sospesi per decisione del Governo;
    per la rilevanza del programma F-35 in termini di capacità operative future delle Forze armate italiane, esso dovrà necessariamente essere coerente al quadro strategico di riferimento e ai compiti assegnati alle stesse Forze armate,

impegna il Governo:

   a ricercare ogni possibile soluzione e accordo con i partner internazionali del programma F-35, al fine di massimizzare i ritorni economici, occupazionali e tecnologici, valorizzando gli investimenti già effettuati nella Faco e la sua competitività quale polo produttivo e logistico internazionale;
   ad accertare nuovamente la piena rispondenza dei velivoli ai requisiti di sicurezza e ai criteri tecnici e operativi delle Forze armate;
   a considerare nuovamente le scelte complessive relative al programma F-35, sulla base dell'apprezzamento dello scenario strategico, degli impegni internazionali assunti dall'Italia e delle risorse disponibili, come definiti nel Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa.
(1-00590)
«Cicchitto, Dorina Bianchi, Sammarco, Scopelliti, Tancredi».
(10 settembre 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    il nostro Paese è in difficoltà economiche molto serie e, negli ultimi anni, sono state prese numerose misure volte a determinare risparmi di spesa, anche nel settore della difesa;
    l'attuale scenario internazionale ha, tuttavia, prepotentemente riportato al centro della discussione politica la necessità di assicurare un quadro di sicurezza per i cittadini e per il Paese;
    a tal proposito, a Newport nel Galles, in occasione del vertice Nato del 5 settembre 2014, è stato approvato il documento finale in cui i 28 leader si sono dichiarati d'accordo nell’«invertire la tendenza alla riduzione dei bilanci della difesa» e a portarli ad un minimo del 2 per cento del prodotto interno lordo;
    l'approvazione di tale documento dovrebbe portare ad un'inversione di tendenza per l'Occidente, che ha, in generale, ridotto le spese militari negli ultimi 25 anni: infatti, a parte Grecia (2,3 per cento) ed Estonia (2 per cento), i Paesi europei sono tutti sotto il requisito minimo del 2 per cento del prodotto interno lordo, con l'Italia che si attesta all'1,2 per cento;
    il Governo italiano si è impegnato in sede Nato a raggiungere l'obiettivo richiesto entro dieci anni e il Presidente del Consiglio dei ministri ha successivamente dichiarato che gli investimenti nella difesa saranno legati al cosiddetto piano dei mille giorni di cui «un pezzo è anche l'investimento in settori innovativi legati alla ricerca e la politica industriale collegata alla difesa»;
    l'Italia si trova ora al centro di una escalation di spese militari nella regione mediterranea e in quella mediorientale, circondata non più da Stati belligeranti al confine, ma da uno squilibrio di potere lungo i suoi confini;
    né il nostro Paese, né l'Europa, pur così attiva sul fronte dell'integrazione economica e giudiziaria, riesce più a darsi una politica estera e militare coerente, per non parlare di una politica comune;
    in merito alle disposizioni riguardanti il settore della difesa e i programmi da sviluppare, le disposizioni governative sono spesso contraddittorie; nel documento di economia e finanza 2014, da una parte, ci si chiede se siano effettivamente necessari investimenti militari e, dall'altra, non si riesce a dare una risposta sui benefici reali che tali tagli di spesa comporterebbero;
    è evidente la situazione economica in cui il Paese si trova ed è perciò opportuno avere ben chiare quali siano le risorse finanziarie disponibili, tenendo tuttavia presente che, trattandosi di progetti a lunga scadenza finalizzati alla sicurezza nazionale, proiettata, per di più, su uno scenario lontano nel tempo e imprevedibile, sarebbe bene avere al contempo una visione strategica;
    l'Italia partecipa fin dall'inizio al programma di sviluppo del velivolo F-35 e ha realizzato sul proprio territorio una struttura di final assembly end check-out (Faco), in grado di assemblare i velivoli e di svolgere anche attività di manutenzione e che costituisce, al momento, l'unica struttura di tale genere esistente al di fuori degli Stati Uniti d'America;
    il Ministero della difesa, in seguito all'approvazione di numerose mozioni da parte del Parlamento in data 28 marzo 2012, ha provveduto, nell'ambito del programma per la produzione e l'acquisto dei cacciabombardieri Joint Strike Fighter, a ridurre la commessa per la produzione e l'acquisto di tali cacciabombardieri da 131 a 90 velivoli;
    il Ministro della difesa, Roberta Pinotti, illustrando le linee politiche del suo dicastero, ha manifestato la propria intenzione di ripensare, rivedere e ridurre i grandi programmi d'arma, subordinando comunque le scelte fondamentali su questo tema alla predisposizione di un nuovo Libro bianco della difesa finalizzato a delineare le linee di sviluppo e di intervento della difesa italiana nei prossimi decenni;
    l'approvazione del documento conclusivo dell'indagine conoscitiva svolta dalla Commissione difesa della Camera dei deputati ha, comunque, ribadito la necessità di rinnovare la flotta aerea militare,

impegna il Governo

a contemperare le esigenze della difesa in materia di pianificazione dei programmi di ammodernamento e rinnovamento dei sistemi d'arma, delle opere, dei mezzi e dei beni direttamente destinati alla difesa nazionale, anche in riferimento al programma Joint Strike Fighter (F-35), con le più generali esigenze di contenimento della spesa pubblica, nel rispetto degli impegni assunti in sede internazionale e delle prerogative del Parlamento in materia di programmazione e pianificazione dei sistemi d'arma, tenendo conto della necessità di sviluppare e mantenere una solida base tecnologica e industriale come fattore di garanzia per la tutela degli interessi nazionali.
(1-00593) «Brunetta, Vito, Gelmini, Ciracì».
(16 settembre 2014)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE, NELL'AMBITO DEL SEMESTRE DI PRESIDENZA ITALIANA DEL CONSIGLIO DELL'UNIONE EUROPEA, PER LA TUTELA DEI DIRITTI DEGLI ANIMALI

   La Camera,
   premesso che:
    l'ultimo decennio ha visto una crescita costante nei cittadini della preoccupazione per la tutela degli animali; l'82 per cento dei cittadini europei, secondo Eurobarometro, afferma di essere d'accordo che sia un dovere proteggere i diritti degli animali, qualunque siano i costi;
    la legislazione comunitaria ha seguito questa evoluzione e alcuni parziali ma importanti miglioramenti sono stati raggiunti: il box individuale per i vitelli a carne bianca è stato vietato in tutta l'Unione europea dal 2007 e le gabbie di batteria per le galline ovaiole sono vietate dal 2012. I test cosmetici sugli animali sono stati aboliti ed è stato introdotto il bando europeo alla commercializzazione nell'Unione europea di prodotti cosmetici testati su animali. È vietato da alcuni anni importare e commercializzare le pelli di cane e gatto e le pelli di foca;
    nel 1997 l'Unione europea ha dato un nuovo status agli animali, riconoscendoli come «esseri senzienti» in un protocollo allegato al Trattato di Amsterdam. Questo principio è stato promosso dieci anni dopo – su proposta, nel 2003, della Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea – nell'articolo 13 delle disposizioni di applicazione generale del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, imponendo al legislatore comunitario e agli Stati membri di tenere pienamente in considerazione il benessere degli animali nel processo di formazione delle norme. Questa importante conquista, tuttavia, non trova ancora adeguata applicazione;
    la tutela degli animali da compagnia non ha ancora una normativa europea. Alcuni Stati membri uccidono indiscriminatamente gli animali randagi, al tempo stesso Stati membri alimentano commerci illegali di centinaia di migliaia di cuccioli con tassi di mortalità gravissimi, rischi sanitari, operando veri e propri maltrattamenti, mentre l'Italia già nel 1991 ha introdotto una legge che vieta le uccisioni per combattere il randagismo, introducendo la sterilizzazione obbligatoria di cani e gatti randagi e la promozione della loro adozione; inoltre, nel 2010 il nostro Paese ha indicato la strada all'Unione europea in materia di traffico di cuccioli con una legge innovativa ed avanzata di repressione del fenomeno di illegalità. Conseguentemente, nel novembre 2010, il Consiglio dei ministri dell'Unione europea ha adottato delle conclusioni chiedendo alla Commissione europea di proporre azioni per la tutela di cani e gatti;
    dal 1o luglio 2014 l'Italia ha la Presidenza del Consiglio dell'Unione europea,

impegna il Governo:

   a caratterizzare la Presidenza del Consiglio dell'Unione europea con iniziative tese a:
    a) dare piena applicazione al riconoscimento degli animali come «esseri senzienti», facendo pesare questo precetto del Trattato nel processo di formazione ed emanazione delle norme dell'Unione europea, a partire dalla «legge quadro europea sul benessere animale» annunciata dalla Commissione europea;
    b) rafforzare l'ufficio veterinario della Commissione europea al fine di garantire un efficace controllo dell'applicazione delle normative comunitarie a tutela degli animali;
    c) introdurre una normativa comunitaria per la tutela degli animali d'affezione e la prevenzione del randagismo, che, fra l'altro, preveda il divieto di uccisione di cani randagi e gatti vaganti, lo sviluppo di programmi di prevenzione con adeguati programmi di sterilizzazione e adozione, l'identificazione tramite microchip e la registrazione obbligatoria collegata a un sistema di tracciabilità europea, il contrasto al traffico di cuccioli anche attraverso l'Europol ed ai combattimenti fra cani;
    d) realizzare una legislazione che renda l'Unione europea libera dalla prigionia degli animali per fini ludici;
    e) considerata la peculiarità di «Rete Natura 2000», vietare in questi territori l'attività di uccisione di animali selvatici;
    f) vietare l'importazione e la commercializzazione delle «specie invasive aliene» e stabilire che i metodi di loro contenimento prevedano unicamente misure incruente, rispettose della vita e della sofferenza dei soggetti interessati;
    g) sostenere il riconoscimento e l'utilizzazione dei metodi sostitutivi di ricerca all'uso di animali ed estendere il divieto di test animali previsti per i cosmetici e i loro ingredienti ai prodotti di detergenza e loro ingredienti;
    h) sostenere l'emanazione di norme che prevedano standard obbligatori minimi negli allevamenti che si applichino alle specie oggi prive di specifiche norme di tutela, come mucche, conigli, tacchini, pesci, e la definizione di una legislazione che vieti la clonazione degli animali per la produzione di cibo;
    i) sostenere l'armonizzazione del mercato interno, estendendo a livello comunitario il divieto di allevamento di animali per la principale finalità di ottenere pellicce, già adottato da alcuni Stati membri;
    l) realizzare una conferenza sull'applicazione della direttiva 1999/22/CE sulla detenzione degli animali nei giardini zoologici a quindici anni dalla sua emanazione e di una conferenza per la presentazione e lo studio delle condizioni scientifiche ed economiche per la revisione del regolamento (CE) n. 1/2005, che disciplina i tempi di viaggio e la densità del trasporto degli animali a fini commerciali.
(1-00460)
«Brambilla, Bergamini, Biancofiore, Castiello, Giammanco, Fucci, Marti, Palese, Palmizio, Petrenga».
(12 maggio 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    il Trattato di Lisbona, all'articolo 13, definisce gli animali quali «esseri senzienti», il cui benessere, all'interno dell'Unione europea, deve essere tutelato attraverso una legislazione adeguata ed efficace;
    il benessere è una condizione propria dell'animale: il soggetto che riesce ad adattarsi all'ambiente si trova in uno stato di benessere, viceversa il soggetto che non ci riesce, perché non ne è in grado per caratteristiche psicofisiche proprie o perché ne è impedito da fattori esterni, si trova in una condizione di stress;
    è evidente, quindi, che il «benessere» è un concetto che investe molteplici aspetti della vita dell'animale e necessita di essere declinato a seconda delle caratteristiche delle sue caratteristiche, poiché ogni specie si è adattata ad un particolare habitat, con caratteristiche fisiche, fisiologiche e comportamentali adatte ad affrontare le varie difficoltà; ogni definizione del benessere deve tener conto dell'ambiente, della fisiologia e del comportamento specifico dell'animale;
    il benessere degli animali può essere misurato attraverso l'analisi di diversi aspetti: dalle tipologie di allevamenti degli animali destinati al consumo umano alle modalità di macellazione messe in atto nei Paesi dell'Unione europea, dalla sperimentazione che avviene in diverse fasi della ricerca medico-scientifica alle fasi di trasporto degli animali per le più svariate esigenze, dalle normative a salvaguardia delle specie selvatiche e a tutela delle specie domestiche e degli animali da compagnia agli allevamenti per animali da pelliccia o alla detenzione degli animali nei circhi;
    è evidente che soltanto una normativa «madre», emanata a livello comunitario, che tenga conto di tutti questi aspetti potrà effettivamente garantire la tutela degli animali in ogni fase e sotto ogni aspetto;
    nell'Unione europea diversi passi avanti sono stati fatti, come il divieto di commercializzazione di pellicce ricavate da cani e gatti (regolamento (CE) n. 1523/2007), oppure una regolamentazione più stringente per gli allevamenti di galline ovaiole (direttiva 1999/74/CE), o ancora una normativa per la detenzione degli animali nei giardini zoologici (direttiva 1999/22/CE), o la direttiva per la conservazione degli uccelli selvatici («direttiva uccelli» 2009/147/CE) o ancora un regolamento per il trasporto degli animali (regolamento (CE) n. 1/2005); tuttavia, molta appare la strada da fare, specie per rendere omogenea in tutta l'Unione europea una normativa sul benessere animale;
    relativamente alla gestione degli allevamenti di animali, sono ancora troppe le disparità tra gli Stati membri e servirebbero legislazioni specifiche poiché è importante che le specie siano tutelate singolarmente, per evitare norme troppo vaghe e non applicabili;
    gli animali da allevamento hanno un insieme di bisogni simili a quelli dei loro antenati selvatici. Sebbene alcune necessità si siano modificate nel corso della domesticazione, alcune esigenze fondamentali, come quelle di cibo, acqua e rifugio, non sono cambiate nel passaggio dall'animale selvatico a quello domestico, ma anche l'istintività che gli animali selvatici esprimono nei comportamenti associati alla riproduzione, alla ricerca del cibo, dell'acqua e del riparo sono ancora presenti negli animali domestici;
    nel 1964 Ruth Harrison pubblicò il libro «Animali macchine» che sollevò la questione del benessere degli animali allevati intensivamente e, in seguito allo scalpore causato da questa pubblicazione, il Governo inglese commissionò un rapporto ad un gruppo di ricercatori da cui scaturì il Brambell report;
    tale rapporto, oltre ad essere uno dei primi documenti ufficiali relativi al benessere animale, enunciò il principio delle cinque libertà per la tutela del benessere animale:
    a) libertà dalla fame, dalla sete e dalla cattiva nutrizione;
    b) libertà dai disagi ambientali;
    c) libertà dalle malattie e dalle ferite;
    d) libertà di poter manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifiche;
    e) libertà dalla paura e dallo stress;
    alcune tra queste «libertà» sono universalmente riconosciute e applicate naturalmente dagli allevatori, altre rientrano nelle competenze del medico veterinario, mentre la libertà di poter manifestare le caratteristiche comportamentali e la libertà dalla paura e dallo stress rappresentano qualcosa di non sempre immediata comprensione, applicazione e soluzione. Queste due libertà, le più difficili da valutare oggettivamente, rappresentano i punti salienti della normativa europea relativa al benessere degli animali da allevamento;
    la valutazione del benessere coinvolge una serie di risposte che l'animale mette in atto per adattarsi all'ambiente in cui si trova; l'organismo risponde alle varie situazioni ambientali non solo con cambiamenti comportamentali, ma anche con meccanismi fisiologici ed immunitari, che possono avere ripercussioni sullo stato di salute e sull'accrescimento;
    la questione del benessere animale, in definitiva, è e dovrà sempre di più essere considerata quale componente essenziale di un «sistema integrato di qualità di produzione degli alimenti di origine animale», che garantisca al consumatore prodotti provenienti da allevamenti non inquinanti per l'ambiente e dove gli animali vengono allevati secondo criteri che ne rispettino le esigenze fondamentali;
    un altro aspetto legato al benessere animale, che si ripercuote anche sullo stile di vita dei cittadini, è quello dell'etichettatura degli alimenti; la strategia dell'Unione europea per la protezione e il benessere degli animali 2012-2015 sottolinea l'intenzione di consentire ai consumatori di fare scelte informate, in modo che sia il mercato a guidare ulteriori miglioramenti del benessere degli animali. L'etichettatura obbligatoria secondo il metodo produzione è il modo migliore per informare i consumatori e permettere loro di contribuire a guidare i futuri miglioramenti nel benessere degli animali;
    nel 2004 l'Unione europea ha introdotto l'etichettatura obbligatoria secondo il metodo di produzione per le uova in guscio, un sistema di etichettatura innovativo che si è dimostrato utile ai consumatori e ha contribuito a migliorare in maniera significativa il benessere delle galline. I dati della Commissione europea mostrano che la percentuale di galline ovaiole non allevate in gabbia in Europa è passata dal 19,7 per cento del 2003 al 42,2 per cento nel 2012 (CIRCABC, 2013);
    nel nostro Paese, come in altri Stati dell'Unione europea, è tuttora consentita la macellazione rituale che consente l'abbattimento dell'animale senza alcun preventivo stordimento finalizzato ad evitare all'animale eccitazioni, dolori e sofferenze. Una tale pratica è stata duramente condannata dal Farm animal welfare committee (Fawc) e dalla Federazione dei veterinari europei (Fve) ed è importante sottolineare che la macellazione rituale è vietata sia in Paesi come l'Austria, l'Olanda, la Svizzera e la Svezia, sia in Malesia, Paese a maggioranza islamica;
    recentemente, il Comitato nazionale per la bioetica ha affermato che la libertà religiosa, quando si traduce in comportamenti esterni, deve rispettare alcuni limiti che scaturiscono dalla comparazione con altri valori tutelati dal nostro ordinamento giuridico; nel caso delle macellazioni rituali la comparazione va operata con il principio della protezione degli animali e della tutela del loro benessere;
    sempre relativamente alla macellazione animale, è importante ricordare che ogni anno tre milioni di animali europei vengono esportati vivi per essere ingrassati, ma soprattutto macellati al di fuori dell'Unione europea. Un gran numero di questi è destinato al Medio Oriente, dove recenti indagini (ad esempio di Ciwf, Animals Australia) hanno svelato crudeltà inimmaginabili. Quando questi animali raggiungono i Paesi terzi, ogni pur minima protezione ricevuta nel loro luogo di nascita viene perduta. In Italia la petizione per chiudere uno di questi macelli mediorientali che ricevono animali europei ha raggiunto oltre 80.000 firme;
    un altro aspetto che non può essere trascurato è quello della clonazione animale. La Commissione europea propone di vietare la clonazione degli animali «da reddito» e la commercializzazione di carne e latte da loro derivati, ma non quella della progenie degli animali clonati e, soprattutto, non ha proposto di etichettare i prodotti di animali clonati;
    dal 1o luglio 2014 l'Italia ha iniziato il suo semestre di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea e sarebbe auspicabile un'azione concreta e caratterizzante volta alla tutela del benessere animale in tutta l'Unione europea,

impegna il Governo:

   a promuovere l'applicazione puntuale della legislazione vigente in materia di animali da allevamento, con particolare riguardo a quella per la protezione dei suini (direttiva 2008/120/CE) e del trasporto (regolamento (CE) n. 1/2005), norme rispetto alle quali sono documentate ricorrenti violazioni in numerosi Stati membri;
    ad assumere iniziative affinché sia potenziato l'ufficio veterinario della Commissione europea (Food and veterinary office - Fvo) in modo da assicurare maggiori controlli dell'applicazione delle normative comunitarie sulla sicurezza alimentare, salute e benessere animale;
   a sostenere l'introduzione di norme minime per la protezione delle specie ancora prive di tutela individuale, come vacche da latte, conigli, tacchini, pesci, al fine di garantire un'adeguata tutela specifica degli animali nelle diverse specie di allevamenti;
   a prendere una posizione chiara e concreta contro la clonazione degli animali per la produzione di cibo e la commercializzazione della loro progenie;
   a promuovere a livello comunitario l'approfondimento delle condizioni scientifiche ed economiche al fine della revisione del regolamento (CE) n. 1/2005 sulla protezione degli animali durante il trasporto;
   ad adoperarsi affinché l'Europa, come già fatto dall'Australia, richieda che i propri animali esportati verso Paesi terzi siano macellati in conformità con gli standard dell'Organizzazione mondiale della sanità animale (Oie) e, allo stesso tempo, si attivi per aiutare i Paesi importatori a migliorare i propri standard di benessere animale;
   a promuovere una disciplina comunitaria che introduca il divieto di macellazione rituale, affinché la libertà religiosa dei singoli Stati membri non entri in conflitto con la tutela degli animali in quanto esseri senzienti;
   a sostenere l'introduzione dell'etichettatura obbligatoria secondo il metodo di produzione estensivo o intensivo – attualmente in vigore solo per le uova – anche per i prodotti a base di carne o lattiero-caseari, nonché per le carni di pollame;
   a sollecitare, per quanto di competenza, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo affinché interrompa i finanziamenti per gli allevamenti intensivi;
   a promuovere programmi di educazione all'alimentazione sostenibile che inducano i cittadini ad un consumo attento e maggiormente etico dei prodotti animali o da essi derivati, spingendo verso la predilezione per alimenti provenienti da allevamenti non intensivi e rispettosi della normativa comunitaria;
   a sostenere l'introduzione di una disciplina comunitaria finalizzata al divieto di allevamento, di cattura e uccisione di animali per la loro pelliccia, per mettere fine ad una pratica anacronistica quanto crudele;
   a garantire, in particolare, la tutela delle specie europee di avifauna di interesse conservazionistico, classificate come Spec1, Spec2 e Spec3 da Birdlife international, attraverso rigorose misure di protezione che comprendano anche l'esclusione di tali specie tra quelle cacciabili;
   a promuovere in tutti i Paesi dell'Unione europea pratiche per il contenimento delle specie alloctone invasive che non prevedano metodi di eradicazione cruenti, ma puntino all'utilizzo di metodi ecologici;
   a farsi promotore di una disciplina europea finalizzata al divieto dell'utilizzazione di animali nei circhi, negli spettacoli e nelle mostre itineranti;
   a promuovere un'azione di tutela degli animali da affezione e di prevenzione al randagismo, anche attraverso programmi veterinari e di adozione dei cuccioli, così da evitare in qualunque Stato membro la possibilità di uccidere cani o gatti randagi, e a promuovere l'adozione di un sistema di identificazione e registrazione obbligatoria a livello europeo, così da scongiurare il traffico illegale di animali;
   a promuovere progetti, anche di carattere normativo, volti a tutelare il benessere e la salute degli equidi, partendo dall'istituzione di un'anagrafe equina efficace che garantisca una reale tracciabilità dell'animale soprattutto a fine carriera sportiva, nonché ad incentivare la competenza dei proprietari, dei detentori e dei veterinari in materia di benessere e salute dell'equide, promuovendo la lotta al doping e alle corse clandestine;
   a regolamentare le attività degli equidi nei diversi territori (utilizzati per il trasporto di turisti, nei parchi e siti naturali o per fini di prevenzione e vigilanza nel territorio), nonché il loro utilizzo per finalità sociali a promozione di uno stile di vita più naturale ecocompatibile e nel rispetto del loro benessere;
   a sostenere i progetti comunitari Life per la tutela della fauna selvatica, rivalutando con una commissione indipendente di livello europeo la captivazione permanente degli orsi catturati negli scorsi anni in Trentino-Alto Adige, assumendo le iniziative di competenza per bloccare la cattura dell'orsa Daniza e dei suoi cuccioli, e per evitare modifiche unilaterali locali al piano d'azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno nelle Alpi centro-orientali;
   ad effettuare, per quanto di competenza, un monitoraggio dei centri di recupero di animali selvatici al fine di assumere iniziative, anche normative, per promuovere e sostenere una rete di tali centri per dare piena applicazione alle direttive e ai regolamenti europei sulla protezione degli animali selvatici custoditi nei giardini zoologici, impiegati in attività circensi, utilizzati nel commercio illegale.
(1-00559)
(Nuova formulazione) «Gagnarli, Gallinella, Parentela, Petraroli, L'Abbate, Lupo, Massimiliano Bernini, Benedetti, Baldassarre, Segoni».
(23 luglio 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia, nell'ambito del semestre europeo di Presidenza dell'Unione europea, ha il dovere morale di proporre impegni precisi e concreti al fine di tutelare i diritti degli animali in Europa;
    il nostro Paese deve promuovere in Europa il riconoscimento degli animali come «esseri senzienti» e meritevoli di protezione, maggiore tutela di cani e gatti, il divieto d'importazione di animali esotici, l'approvazione di una legislazione che renda l'Unione europea libera da spettacoli ludici con l'uso di animali, sostenendo la corretta applicazione della direttiva del 1999 sulla protezione degli animali;
    con l'entrata in vigore del nuovo Trattato di Lisbona alcuni importanti miglioramenti sono stati raggiunti, tuttavia restano insufficienti. Di conseguenza, è necessario incentivare a livello europeo lo sviluppo di programmi in grado di garantire la tutela e il benessere degli animali;
    il piano d'azione 2014-2020 traccia i principali elementi dell'intervento europeo in questo settore, sia all'interno dell'Unione europea, sia oltre le sue frontiere. Nell'ultimo decennio si è vista una costante crescita nei cittadini a difesa della tutela degli animali. Infatti, l'82 per cento dei cittadini europei afferma di essere d'accordo sul fatto che sia un dovere proteggere i diritti degli animali, qualunque siano i costi connessi;
    la normativa comunitaria stabilisce i requisiti minimi volti a preservare gli animali da qualsiasi sofferenza inutile durante le seguenti fasi principali: l'allevamento, il trasporto, l'abbattimento, la sperimentazione animale e il commercio di pellicce;
    il settore della ricerca deve investire sempre di più nell'utilizzo e nello sviluppo di nuovi metodi innovativi senza uso di animali, che permettono risultati rapidi e direttamente rilevanti sull'uomo;
    è fondamentale sostenere provvedimenti contro il traffico di cuccioli di cane d'importazione e i fenomeni illegali su animali da compagnia;
    l'Unione europea deve promuovere la corretta applicazione della direttiva 1999/22/CE sulla protezione degli animali negli zoo e sostenere il suo controllo, al fine di eliminare lo sfruttamento commerciale degli animali esotici in cattività e di garantire che tutti gli animali selvatici detenuti in cattività o utilizzati a fini di spettacolo siano inclusi nella legge quadro europea sul benessere animale;
    occorre valutare soluzioni alternative alla concessione della deroga in materia di caccia e, nella fattispecie, con le reti e l'utilizzo dei richiami vivi;
    è necessario considerare l'annullamento dei metodi non conformi agli accordi internazionali per le catture «senza crudeltà» siglati con Canada, Russia, Usa (Gazzetta ufficiale dell'Unione europea: L42 del 14 febbraio 1998; L219 del 7 agosto 1998), così come previsto dal regolamento (CEE) 3254/91;
    è opportuno estendere il divieto d'importazione e commercializzazione a tutte le specie animali «invasive aliene» e i metodi di contenimento, prevedendo unicamente misure incruente, rispettose della vita e della sofferenza dei soggetti interessati;
    l'Italia deve farsi parte attiva per una vera legge europea per la tutela degli animali da compagnia. Alcuni Stati membri uccidono indiscriminatamente gli animali randagi e al tempo stesso Stati membri alimentano commerci illegali di centinaia di migliaia di cuccioli con tassi di mortalità altissimi e rischi sanitari, operando veri e propri maltrattamenti;
    occorre tenere in considerazione la risoluzione del Parlamento europeo del 16 ottobre 2012 a seguito della petizione sottoscritta nel 2012 da oltre un milione di cittadini dell'Unione europea, che chiede l'introduzione di un limite massimo di 8 ore per la durata del trasporto di animali destinati al consumo alimentare, con applicazioni di misure e controlli più restrittivi al fine di tutelare il benessere degli animali utilizzati a scopi commerciali,

impegna il Governo:

   a sostenere prioritariamente, con iniziative anche di carattere normativo, l'uso di metodi validati alternativi ai metodi che utilizzano gli animali per le sperimentazioni, estendendo il divieto di test ai prodotti per la detergenza della casa, come già avviene per i test dei prodotti cosmetici in base alla normativa europea entrata in vigore l'11 marzo 2013;
   a promuovere provvedimenti seri contro il traffico illegale di cuccioli d'importazione dai Paesi dell'Est Europa, che rafforzino l'Ufficio veterinario della Commissione europea al fine di garantire un ruolo di controllo e stimolo agli Stati membri;
   ad assumere iniziative per espandere l'identificazione dei cani tramite microchip e registrazione obbligatoria negli Stati membri collegata a un sistema di tracciabilità europea per prevenire l'abbandono;
   considerata la peculiarità di «Rete Natura 2000» e preso atto dell'importanza che questa riveste nell'ottica della tutela dell'ambiente in tutta l'Unione europea, ad assumere iniziative affinché si dichiari illegittima la cattura con le reti per i richiami vivi;
   a sostenere politiche di armonizzazione del mercato interno, assumendo iniziative a livello comunitario per estendere il divieto di allevamento di animali per la principale finalità di ottenere pellicce;
   a garantire il divieto di importazione di animali esotici a fini di cattività e di detenzione ad uso personale (compagnia) per prevenire la sottrazione di questi animali alle loro comunità originali nei luoghi nativi e per dare un taglio netto alla cattività a scopo commerciale, prevenendo fenomeni di abbandono di animali esotici;
   a sostenere l'emanazione di norme che prevedano standard obbligatori minimi di benessere che si applichino alle specie oggi prive di specifiche norme di tutela come mucche, conigli, tacchini e altri;
   a promuovere l'estensione in tutta Europa del divieto d'ingozzamento di anatre e oche già vigente in Italia;
   ad assumere iniziative al fine di dar prontamente seguito alla risoluzione del Parlamento europeo del 16 ottobre 2012 in materia di trasporto di animali da macello.
(1-00571)
«Vezzali, Rabino, Molea, Librandi, Matarrese, D'Agostino, La Marca, Cimbro, Rubinato, Paolo Rossi, Carlo Galli, Rampi, Albanella, Pastorino, Schirò, Carloni, Tacconi, Ciracì, Fitzgerald Nissoli, Santerini».
(6 agosto 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    uno dei primi atti che hanno riguardato in ambito europeo la questione relativa al benessere animale può essere individuato nella direttiva (CE) n. 577 del 1974 relativa allo stordimento degli animali prima della macellazione, che il nostro Paese ha recepito con la legge n. 439 del 1978. Nel medesimo anno diverse associazioni europee ed internazionali presentano a Bruxelles ed a Parigi la Dichiarazione dei diritti degli animali. Nel 1997 il Trattato di Amsterdam nel protocollo sulla protezione e benessere degli animali fissa i principali ambiti d'azione rispetto al benessere animale e riconosce gli animali come essere senzienti, concetto ribadito nel Trattato di Lisbona entrato in vigore il 1o dicembre 2009;
    l'Europa ha ormai da diversi anni riconosciuto lo stretto legame fra benessere animale, salute animale e sicurezza alimentare (libro bianco della sicurezza alimentare (2000)), garantendone un approccio integrato grazie al regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 882/2004;
    il binomio benessere animale-sanità animale è stato, quindi, riconfermato nella strategia europea per la salute animale 2007-2013;
    da tempo l'Unione europea ha cominciato a introdurre le tematiche inerenti al benessere degli animali sia negli obiettivi dei fondi strutturali, sia in quelli dei programmi di ricerca. Da questo punto di vista si ricorda la comunicazione n. 584 del 2009, in cui venivano individuate le opzioni per un'etichettatura relativa al benessere animale e l'istituzione di una rete europea di centri di riferimento per la protezione e il benessere degli stessi;
    in ambito europeo molti passi sono stati certamente compiuti. È stato previsto il divieto di impiego delle gabbie convenzionali nell'allevamento delle galline ovaiole, con il conseguente miglioramento dello stato di salute e di benessere di 360 milioni di galline. Risultati importanti si sono avuti anche nell'allevamento dei suini dove l'abolizione delle gabbie nei reparti di riproduzione ha permesso un miglioramento del benessere delle scrofe. A ciò va ricordato il divieto dell'uso della sperimentazione animale per la produzione di prodotti cosmetici. Un altro settore dove si sono ottenuti miglioramenti per il benessere degli animali è quello del trasporto;
    rimane comunque il fatto che ancora molto c’è da fare per migliorare la legislazione degli Stati membri in materia e per dotare l'Unione europea di una legislazione più efficace e soprattutto uniforme, anche al fine di poterne verificare il rispetto da parte di ciascun Paese, prevedendo, qualora necessario, l'avvio delle procedure di infrazione;
    il rispetto delle norme europee sul benessere animale è da considerarsi certamente vincolante, anche se ancora molti sono i Paesi che devono mettersi in regola e sui quali è concentrata l'attenzione delle autorità comunitarie;
    questa crescente attenzione al benessere animale, specialmente nel settore zootecnico e negli allevamenti destinati al consumo umano, è principalmente collegata a una sempre maggiore sensibilità collettiva nei confronti dei diritti degli animali e a un'emergente e crescente domanda, da parte dei consumatori, di forme di allevamento friendly e di prodotti alimentari sempre più sicuri. Conseguentemente, la questione del loro benessere, anche come parte integrante delle filiere agroalimentari, ha cominciato a entrare in tutti i documenti strategici della Commissione europea;
    uno dei punti al centro del dibattito è la necessità di migliorare in ambito europeo il benessere animale nelle metodologie e nelle pratiche inerenti alle modalità di allevamento, al trasporto, alla macellazione, attraverso l'individuazione e l'attuazione di standard oggettivi per poter garantire e dimostrare il rispetto delle norme minime, nonché la necessità di garantire i necessari controlli;
    sotto questo aspetto è, altresì, indispensabile pervenire a una normativa in materia di etichettatura obbligatoria degli alimenti più trasparente, rigorosa ed esaustiva, al fine di consentire al consumatore di poter decidere in maniera consapevole e informata circa i propri acquisti alimentari;
    con riguardo agli animali da compagnia, è sicuramente necessario giungere quanto prima a una legislazione europea omogenea, con particolare riguardo alle politiche di contrasto del fenomeno del randagismo, laddove invece in alcuni Paesi è consentito il loro abbattimento, e all'intensificazione e coordinamento nella lotta al traffico illegale dei cuccioli,

impegna il Governo:

   nell'ambito del semestre di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea:
    a) a sostenere l'istituzione di una rete di «centri di referenza sul benessere degli animali», come previsto nella proposta di legislazione sui controlli veterinari in discussione nell'ambito dell'Unione europea;
    b) a promuovere il riconoscimento dell'importanza e del rispetto del benessere animale, sia in ambito interno e internazionale che a livello di Organizzazione mondiale del commercio e di altri accordi internazionali;
    c) a promuovere un incremento dell'omogeneità nella qualità dei controlli nei diversi Stati membri, nonché a promuovere procedure univoche per i controlli dei prodotti provenienti da Stati terzi per il mercato comunitario;
    d) a incentivare il ricorso a un label specifico del benessere animale, ossia a un'etichetta nell'ambito dell'Unione europea, che identifichi quei prodotti ottenuti nel massimo rigore delle norme in materia, in grado di dare adeguate garanzie al cittadino-consumatore;
    e) ad assumere iniziative per pervenire a una normativa in materia di tracciabilità ed etichettatura obbligatoria degli alimenti, in particolare quelli animali, più trasparente, rigorosa ed esaustiva, al fine di consentire al consumatore di poter scegliere in maniera consapevole cosa acquistare;
    f) ad assumere iniziative per estendere anche agli altri animali da allevamento le norme di tutela e di standard minimi obbligatori negli allevamenti, già previste dalla normativa comunitaria per alcune specie animali;
    g) a sostenere la proposta di legislazione sulla sanità animale in discussione a Bruxelles, relativamente alla creazione del sistema europeo di anagrafi per animali da compagnia, e la qualificazione normativa dei cani randagi come animali da compagnia e non come animali selvatici;
    h) ad attivarsi al fine di introdurre una normativa comune in materia di animali da compagnia e di contrasto al fenomeno del randagismo, introducendo il divieto per tutti i Paesi membri di soppressione degli animali randagi, così come previsto nel nostro Paese;
    i) a realizzare una conferenza internazionale contro il traffico illegale dei cuccioli, data la gravità del fenomeno, che possa coinvolgere altri Paesi e l'Unione europea in programmi di repressione, prevenzione ed educazione dei cittadini;
    l) a sostenere una normativa comune tra gli Stati membri in materia di agevolazioni fiscali per le spese veterinarie sostenute per gli animali da compagnia, come peraltro già previsto dalla legislazione italiana;
    m) a promuovere in ambito comunitario una normativa volta a vietare la cattura, l'allevamento e l'utilizzo degli uccelli come richiamo vivo, prevedendo la possibilità di esercitare la caccia senza richiami, o con richiami acustici, e comunque attivandosi fin da subito al fine di consentire, nelle more dell'attuazione del divieto suddetto, il solo utilizzo di uccelli da richiamo da allevamento, senza ricorrere a catture di esemplari in natura;
    n) ad assumere iniziative per armonizzare la normativa nazionale con la direttiva 1999/22/CE relativa alla custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici e, quindi, per delimitare l'applicazione della legge 18 marzo 1968, n. 337, su circhi e spettacoli viaggianti a strutture effettivamente itineranti, evitando così antinomie con il decreto legislativo n. 73 del 2005 di recepimento della medesima direttiva 1999/22/CE;
    o) a promuovere una normativa comune volta al superamento dell'utilizzo degli animali nei circhi e negli spettacoli viaggianti;
    p) ad incoraggiare la ricerca sul benessere animale e a promuovere soluzioni alternative con riferimento agli esperimenti sugli animali;
    q) ad attivarsi per l'abolizione degli allevamenti di animali destinati alla produzione di pellicce, anche alla luce delle normative nazionali di divieto parziale o totale adottate già da diversi Paesi dell'Unione europea, come Olanda, Svezia, Gran Bretagna, Croazia, Austria, Danimarca;
    r) a sostenere i progetti comunitari Life per la tutela della fauna selvatica, rivalutando con una commissione indipendente di livello europeo la captivazione permanente degli orsi catturati negli scorsi anni in Trentino-Alto Adige, assumendo le iniziative di competenza per bloccare la cattura dell'orsa Daniza e dei suoi cuccioli, e per evitare modifiche unilaterali locali al piano d'azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno nelle Alpi centro-orientali;
    s) ad effettuare, per quanto di competenza, un monitoraggio dei centri di recupero di animali selvatici al fine di assumere iniziative, anche normative, per promuovere e sostenere una rete di tali centri per dare piena applicazione alle direttive e ai regolamenti europei sulla protezione degli animali selvatici custoditi nei giardini zoologici, impiegati in attività circensi e utilizzati nel commercio illegale.
(1-00573)
(Nuova formulazione) «Nicchi, Franco Bordo, Matarrelli, Pannarale, Kronbichler, Scotto, Costantino, Duranti, Melilla, Ricciatti, Zaratti, Pellegrino».
(26 agosto 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    il Trattato di Lisbona all'articolo 13 definisce gli animali come esseri senzienti, riconoscendo la necessità di assicurare il benessere animale consentendo una serie di iniziative dirette alla protezione degli stessi che non si limitino esclusivamente a tutelare gli animali di affezione ma che riguardano complessivamente il regno animale che deve essere considerato, a questo punto, come integralmente destinatario della tutela europea;
    in questo quadro assume particolare rilevanza sia in Italia che in Europa, negli ultimi anni, la necessità di protezione degli animali che possono essere macellati secondo rito religioso; tale numero è aumentato fortemente, in considerazione di una maggior richiesta di carni derivanti da questo tipo di macellazione e destinate ai canali commerciali ufficiali;
    la macellazione rituale rappresenta da sempre una questione controversa sulla quale si dibattono problemi relativi alle diverse tradizioni culturali, ai diritti umani legati alla tolleranza religiosa e al benessere animale. Nella società occidentale il benessere e la protezione degli animali sono valori indiscussi e condivisi, anche durante il momento della macellazione; tuttavia, nella maggior parte delle nazioni europee è possibile derogare all'obbligo dello stordimento prima della iugulazione per motivi religiosi. Questa deroga crea comunque alcune difficoltà nel garantire la tutela del benessere animale e vi è una forte sollecitazione a trovare soluzioni che siano soddisfacenti per tutte le parti in causa, promuovendo nuovi protocolli che consentano di tutelare maggiormente il benessere animale, nel rispetto del rito religioso;
    sia la legge islamica che i precetti ebraici prescrivono una serie di regole da seguire per rendere la carne commestibile ai fedeli di queste religioni. Le caratteristiche del procedimento di uccisione dell'animale sono riassunte nel termine halal (lecito), per i musulmani, e kosher per gli ebrei, e non accettano lo stordimento preventivo;
    l'animale oggetto della macellazione deve essere cosciente al momento dell'uccisione, girato su sé stesso con un mezzo obbligatorio di contenimento meccanico e viene operata la recisione di trachea ed esofago, ma senza spezzare la colonna vertebrale, perché durante la procedura la testa dell'animale non si deve staccare;
    la pratica della macellazione rituale, estremamente cruenta, è consentita in Italia solo se praticata in uno degli oltre 200 macelli autorizzati, ma non sono rari i casi di macellazione «familiare», eseguita per festeggiare delle ricorrenze religiose, pratica illegale e perseguibile per legge (regolamento (CE) n. 1099/2009, decreto legislativo n. 131 del 2013, articolo 6 del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 193, articolo 544-bis del codice penale);
    la normativa europea circa la macellazione prevede obbligatoriamente lo stordimento preventivo degli animali ma una precisa deroga legislativa autorizza le comunità islamiche ed ebraiche a non osservare tale obbligo;
    il regolamento (CE) n. 1099/2009 rispetta, di conseguenza, la libertà di religione e il diritto di manifestare la propria religione o la propria convinzione mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti come stabilito dall'articolo 10 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
    di contro, il diritto garantito al citato articolo 10 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea corrisponde a quello garantito dall'articolo 9 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e, ai sensi dell'articolo 52, comma 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ha significato e portata identici a detto articolo. Le limitazioni devono pertanto rispettare l'articolo 9, comma 2, che recita: «La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che, stabilite dalla legge, costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell'ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui»;
    in forza di tale Convenzione gli Stati di seguito elencati: Svizzera, Norvegia, Islanda, Lettonia, Svezia e Polonia, vietano la macellazione rituale;
    nessun credo religioso può prevalere sulle norme di tutela degli animali e nessuna legge deve essere modificata su imposizione di una esigua minoranza religiosa e contro il volere dell'intera popolazione: in uno Stato libero e democratico ciò è inaccettabile;
    nel mese di febbraio 2014, il Commissario europeo Borg, nel corso della Conferenza sui risultati della strategia dell'Unione europea per il benessere animale 2012-2014, ha annunciato che a metà del 2014 la Commissione europea organizzerà uno studio approfondito sul tema della macellazione religiosa, per valutare eventuali norme che garantiscano la salute e l'informazione dei consumatori e soprattutto che evitino una morte dolorosa all'animale,

impegna il Governo:

ad adoperarsi durante la Presidenza del Consiglio dell'Unione europea affinché venga abrogato il comma 4, dell'articolo 4, Capo II, del Regolamento (CE) n. 1099/2009 del Consiglio, anche alla luce delle perplessità che gli organismi comunitari hanno manifestato sulle inutili sofferenze che gli animali sono costretti a sopportare senza pregiudicare le libertà religiose.
(1-00580)
«Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Simonetti».
(4 settembre 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    la Commissione europea ha comunicato al Parlamento europeo le strategie dell'Unione europea per la protezione e il benessere degli animali 2012-2015 dove viene definito che: «l'articolo 13 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea riconosce gli animali in quanto esseri senzienti e stabilisce che, nella formulazione e nell'attuazione di alcune politiche dell'UE, si tenga pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali»;
    nel 2006 il Programma d'azione comunitario per la protezione ed il benessere degli animali 2006-2010, adottato dalla Commissione europea, ha per la prima volta riunito i vari aspetti della politica dell'Unione europea in materia di benessere degli animali che si applicano ad animali detenuti a fini economici nell'Unione europea e alla popolazione di cani e gatti appartenenti principalmente a privati;
    il benessere degli animali è un tema rilevante per la società e interessa un vasto pubblico. Il trattamento degli animali è collegabile all'etica e rientra nei valori dell'Unione europea. Occorre, quindi, comunicare con i bambini, i giovani o il grande pubblico per sensibilizzarli sulle corrette esigenze e il rispetto degli animali per promuovere il concetto di proprietà responsabile degli animali;
    in questi ultimi anni la circolazione di cani e gatti tra nazioni europee in forma sia di commercio, sia di traffico, sia in forma di adozioni ha raggiunto una dimensione notevole. Inoltre, la legislazione italiana è intervenuta con la legge n. 281 del 1991 sul tema degli animali d'affezione e sul fenomeno del randagismo. La prevenzione del randagismo presenta ancora forti lacune nel numero dei cani identificati in anagrafe e con microchip, inoltre le difficoltà economiche dei comuni impediscono di affrontare in modo radicale questo argomento;
    la valutazione della politica dell'Unione europea in materia di benessere degli animali ha concluso che le norme sul benessere hanno imposto costi aggiuntivi ai settori dell'allevamento e della sperimentazione, stimati a circa il 2 per cento del loro valore complessivo. Benché manchino prove del fatto che finora questo abbia messo a rischio la sostenibilità economica di tali settori, occorre sfruttare ogni occasione di esprimere in termini economici il valore aggiunto della politica in materia di corretta gestione degli animali allo scopo di rafforzare la competitività dell'agricoltura dell'Unione europea, anche per quanto riguarda i piccoli agricoltori. Le norme sulle «buone pratiche» da attuare per ottenere il benessere animale, uguali per tutte le nazioni europee, si scontrano con la diversità dei sistemi di allevamento, delle condizioni climatiche, della natura del suolo nei vari Stati membri. Ciò ha creato notevoli difficoltà all'atto di stabilire norme unitarie e difficoltà ancora maggiori per garantirne la corretta applicazione. Ne consegue che le condizioni inerenti al benessere degli animali nell'Unione europea non creano le condizioni di parità necessarie per sostenere l'enorme attività economica che determina il trattamento degli animali nell'Unione europea;
    la disponibilità di metodi alternativi all'uso di animali per la sperimentazione scientifica dipende fortemente dal progresso della ricerca per lo sviluppo di alternative. I programmi quadro comunitari per la ricerca e lo sviluppo tecnologico hanno previsto stanziamenti crescenti per progetti volti a sostituire, ridurre e perfezionare l'uso di animali nelle procedure,

impegna il Governo:

   a predisporre tutte le misure volte a far sì che l'Unione europea si doti di un quadro normativo riveduto in materia di buone pratiche e benessere degli animali e miri a fornire uno strumento trasparente nei confronti dei consumatori;
   ad assumere iniziative per istituire una rete di centri di riferimento sul benessere animale nei Paesi europei che forniscano informazioni, supporto e sostegno con dati tecnici coerenti, scientificamente supportati e uniformi sulle modalità di attuazione della legislazione dell'Unione europea, soprattutto nel contesto degli indicatori di benessere degli animali basati sui risultati, verificando la piena attuabilità in ogni singolo Stato membro in ordine alle caratteristiche dei sistemi si allevamento, del clima e del suolo;
   a predisporre tutte le misure volte a far sì che le forme di commercio di animali di affezione tra Stati europei siano garantite dalla vigilanza dei servizi veterinari degli Stati membri prima del trasporto e siano a garanzia per tutti gli Stati membri, onde evitare continui blocchi alle frontiere degli animali, assumendo iniziative affinché siano impedite le adozioni internazionali di cani e gatti sia con evidenti segni clinici di malattie sia in buono stato di salute, onde evitare ogni possibile commercio e traffico illegale di animali e la diffusione di zoonosi;
   ad assumere iniziative per introdurre misure volte a far sì che i proprietari di cani che non accompagnino con opportuna sistemazione le cucciolate del proprio animale, contribuendo così ad aumentare il fenomeno del randagismo, debbano contribuire economicamente al sostegno degli enti locali per la lotta al randagismo stesso attraverso il versamento di contributi locali;
   a predisporre un'adeguata strategia di educazione dei ragazzi, dei giovani e dei consumatori che possa costituire uno strumento efficace per creare una cultura di rispetto delle norme sul trattamento degli animali fra gli operatori economici, i singoli proprietari di animali di affezione e fra gli stessi cittadini europei;
   a predisporre tutte le misure volte ad aumentare la competitività nella ricerca e nell'industria dell'Unione europea, nonché a sostituire, ridurre e perfezionare l'uso di animali nelle procedure scientifiche;
   ad intervenire affinché la Commissione europea e gli Stati membri dell'Unione europea contribuiscano con la ricerca e altri mezzi all'elaborazione e alla convalida di approcci alternativi come previsto dalla Direttiva UE 2010/63 del 22 settembre 2010.
(1-00581)
«Cova, Sbrollini, Lenzi, Oliverio, Casati, Piccione, Capone, Beni, Zanin, Tentori, Carra, Miotto».
(4 settembre 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    la Dichiarazione universale dei diritti dell'animale, proclamata il 15 ottobre del 1978 nella sede dell'Unesco a Parigi, pur non avendo prodotto alcun risultato sul piano giuridico-legislativo, ha tuttavia rappresentato un passo importante verso il riconoscimento dei diritti degli animali che, da quel momento, vengono considerati come «soggetto»;
    l'articolo 1 della Dichiarazione citata ha sancito che «tutti gli animali nascono uguali davanti alla vita ed hanno gli stessi diritti all'esistenza»: così con questo articolo, per la prima volta, sono stati riconosciuti un insieme di diritti che incidono sul comportamento umano e individuano responsabilità e doveri per l'uomo e per la società considerata nella sua dimensione istituzionale. Tale documento, dopo aver proclamato in modo sintetico una serie di diritti di tutti gli animali (quali il diritto ad un'esistenza dignitosa, a non essere sottoposti a maltrattamenti e a vivere in modo consono alle proprie abitudini) aggiunge che «ogni animale che l'uomo ha scelto per compagno ha diritto ad una durata della vita conforme alla sua naturale longevità»: un passaggio che finalmente valuta l'animale «essere senziente» (status che verrà poi sancito nel 1997 dall'Unione europea in un allegato al Trattato di Amsterdam) e che, come tale, non può più essere considerato «una cosa» ma soggetto di un rapporto affettivo con l'essere umano, tendenzialmente destinato a protrarsi per l'intera durata della vita;
    negli ultimi anni sono state approvate numerose disposizioni che confermano il diritto degli animali. In particolare, il riconoscimento degli animali quali «esseri senzienti» ovvero esseri in grado di provare piacere o dolore e, quindi, portatori di interessi: principio introdotto dal Trattato di Lisbona, in vigore dal 1o gennaio 2008 e che ha contribuito ad accelerare un'evoluzione normativa in tale direzione. Tale Trattato ha significativamente definito gli animali in termini corretti attraverso l'attribuzione a tutti gli animali, compresi quelli d'affezione, della capacità di sentire: caratteristica, quest'ultima, che li differenzia definitivamente sotto un profilo giuridico dalle cose mobili. Alla luce di ciò, dunque, anche il particolare legame tra uomo ed animale d'affezione evolve da una prospettiva tendenzialmente unilaterale ad una più complessa considerazione della relazione uomo-animale, dove il flusso di affetto e ausilio che si verifica è reciprocamente rilevante e dove entrambi i membri del rapporto, pur nella loro specificità, sono attivamente soggetti e partecipi;
    il Trattato di Lisbona, infatti, ha impegnato gli Stati membri a tenere pienamente conto di tale riconoscimento nella formulazione e nell'attuazione delle proprie politiche in materia di benessere degli animali. Questa importante conquista tuttavia non trova ancora adeguata applicazione da parte delle istituzioni dell'Unione europea: pertanto, occorre intervenire con misure adeguate in grado di approvare norme per una maggiore tutela degli animali;
    è comunque da considerare che da tempo l'Unione europea ha introdotto le tematiche concernenti il benessere degli animali sia nei fondi strutturali che nei programmi di ricerca e sotto questo profilo sono stati fatti importanti «passi in avanti» per permettere un miglioramento delle condizioni degli animali dal punto di vista sia della protezione che del benessere degli stessi (da ricordare, al proposito, il regolamento (CE) n. 1523/2007, recante il divieto di commercializzare pellicce ricavate da cani e gatti; la regolamentazione più stringente per gli allevamenti di galline ovaiole (direttiva 1999/74/CE), la normativa per la detenzione degli animali nei giardini zoologici (direttiva 1999/22/CE), le norme concernenti la conservazione degli uccelli selvatici (direttiva 2009/147/CE)). Va, inoltre, sottolineato come l'82 per cento dei cittadini europei abbia sostenuto con forza come costituisca un dovere sociale proteggere i diritti degli animali qualunque siano i costi;
    per quanto riguarda gli animali da affezione, si ricorda che nel 1991, con la legge n. 281, il nostro Paese si è dotato di una normativa in materia di animali da affezione e di prevenzione del randagismo, che ha rappresentato un importante passo in avanti per l'affermazione di un più civile rapporto tra le persone e gli animali. Si deve, comunque, ricordare che tale legge, pur essendosi rivelata valida nell’ impianto e nei principi, attualmente non risulta congrua rispetto alla sua pratica attuazione. Infatti, dopo tanti anni di esperienza applicativa, occorre riconoscere che molti degli obiettivi indicati dalla legge non sono stati conseguiti. Nel 2010 il nostro Paese ha approvato la legge 4 novembre 2010, n. 201, con la quale ha ratificato la Convenzione del Consiglio d'Europa del 1987, per la protezione degli animali da compagnia, dettando specifiche norme di adeguamento interno. Con tale normativa sono stati definiti i principi fondamentali per il benessere degli animali e per il loro mantenimento. È previsto, infatti, che nessuno potrà causare inutilmente sofferenze o angosce ad un animale da compagnia, né tanto meno dare luogo al suo abbandono. Con tale legge si è, infatti, confermata l'importanza degli animali da compagnia per il contributo che essi forniscono alla qualità della vita e dunque il loro valore per la società. Il proprietario, o la persona che se ne occupa, sono considerati responsabili della sua salute e del suo benessere, dovendo fornire all'animale, oltre al sostentamento, anche cure e attenzione alla sua salute e al suo benessere, favorendo il suo diritto ad un'esistenza serena: si tratta di termini importanti che hanno l'effetto di rendere l'animale d'affezione un vero e proprio soggetto giuridicamente rilevante;
    è, quindi, opportuno che l'Europa sia più attiva nel dare piena applicazione al riconoscimento degli animali come «esseri senzienti», prendendo come punto di riferimento tale principio generale nella predisposizione delle norme europee;
    occorre, altresì, sottolineare l'importanza della salute animale, anche per il legame tra salute degli animali e sanità pubblica. A tal fine, occorre garantire un coordinamento tra le varie istituzioni ed i vari soggetti individuati per favorire una strategia che salvaguardi la salute degli animali ed eviti la diffusione di malattie che possono danneggiare l'uomo;
    è fondamentale, altresì, adottare azioni che permettano di assicurare soluzioni concrete, etiche e sostenibili per gli animali randagi, nonché garantire strategie di gestione della popolazione canina che prevedano misure di controllo della stessa, leggi anti-crudeltà, il sostegno alle procedure veterinarie che siano necessarie a controllare il numero dei cani indesiderati e la promozione di un comportamento responsabile da parte dei proprietari di animali da compagnia;
    risulta anche opportuno adottare soluzioni concrete, nell'ottica di garantire il benessere di cani e di gatti utilizzati per scopi commerciali, un fenomeno che si sta sempre più diffondendo e sul quale occorre vigilare;
    risulta, altresì, necessario pubblicizzare al meglio informazioni in merito alle norme dell'Unione europea in materia di benessere degli animali, in modo da rendere sempre più consapevoli i soggetti legati o interessati al mondo animale, nonché adottare politiche per risolvere i problemi relativi al trasporto degli animali;
    c’è poi un aspetto che va messo in chiara evidenza: quello del furto degli animali. Infatti, la sottrazione degli animali, soprattutto quelli d'affezione, al loro legittimo proprietario rappresenta un fenomeno in larga espansione, che va affrontato con misure efficaci,

impegna il Governo:

   a dare piena applicazione, nell'ambito del semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, al riconoscimento degli animali come esseri senzienti e meritevoli di protezione;
   ad assumere iniziative per rafforzare l'ufficio veterinario della Commissione europea per assicurare un efficace controllo nell'applicazione delle normative comunitarie a tutela degli animali;
   a predisporre un intervento a livello europeo che consenta di adottare un programma diretto a prevenire il randagismo al fine di evitare l'uccisione indiscriminata degli animali randagi e garantire che gli Stati membri non alimentino commerci illegali di migliaia di cuccioli con tassi di mortalità altissimi e con elevati rischi sanitari;
   ad approfondire il problema relativo al trasporto degli animali, elemento in cui gli interessi degli operatori del settore e degli animali debbono trovare un punto di sintesi che rispetti le esigenze dei soggetti interessati;
   ad adottare misure, anche di controllo, per vietare l'importazione di animali esotici o, comunque, estranei al territorio italiano, al fine di prevenire problematiche negative rispetto alle dinamiche naturali del territorio e della sua fauna;
   a proporre in sede europea una legge quadro in materia di benessere degli animali, garantendo azioni e strategie dirette a ridurre l'utilizzo degli stessi nella ricerca;
   ad adottare misure che consentano di agevolare gli allevatori che rispettano le norme e le buone prassi per l'allevamento degli animali e investono in migliori strutture agricole;
   a valutare la necessità che i consumatori debbano essere informati sul fatto che un prodotto importato o un prodotto che contiene un prodotto importato sia ottenuto da animali custoditi nelle condizioni prescritte dalle norme europee in materia di benessere degli animali;
   ad intervenire sulla problematica relativa al furto degli animali nei modi e nei tempi che riterrà opportuni, al fine di affrontare, in termini congrui, il fenomeno che, alla luce dell'evoluzione che sta registrando nell'ambito di una società moderna, sta assumendo un rilevante valore sociale ed economico.
(1-00585)
(Nuova formulazione) «Dorina Bianchi, Scopelliti, Saltamartini».
(8 settembre 2014)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA RIFORMA DEI CRITERI DI FORMAZIONE DEL BILANCIO COMUNITARIO, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL MECCANISMO DEL COSIDDETTO «SCONTO INGLESE»

   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia è uno dei sei Paesi che con la firma dei Trattati di Roma, nel lontano 1957, contribuì alla creazione dell'Unione europea di oggi, dando vita a quello che si è rivelato come un vero e proprio «esperimento istituzionale» attraverso la costituzione di un organismo sui generis, alle cui istituzioni gli Stati membri hanno delegato nel tempo parte della propria sovranità nazionale;
    la costruzione europea si è realizzata tramite un processo in continuo divenire, slegato da qualsiasi modello statico e precostituito, ed ha perciò segnato battute d'arresto ed accelerazioni, senza tuttavia mai perdere di vista la finalità principale: la creazione di un'unione politica federale che, purtroppo, dimostra di affievolirsi sempre di più a fronte dell'irruenza con cui procede, invece, l'integrazione economica;
    è evidente, infatti, che l'introduzione della moneta unica senza la realizzazione di un'unione politica e fiscale provoca l'impoverimento dei Paesi cosiddetti periferici, primi tra tutti Grecia, Spagna e purtroppo Italia, e genera un sistema, come gli eventi dimostrano ogni giorno, in cui alcuni Paesi acquisiscono crescenti surplus commerciali a scapito dei loro partner, che, ancorché appartenenti alla stessa «zona euro», accumulano invece crescenti deficit;
    tale situazione obbliga gli Stati più ricchi dell'eurozona ad imporre politiche di austerità in nome della difesa dell'euro, unico vero collante di un'unione che esige dai cittadini continui sacrifici, con il risultato di favorire un'integrazione sempre più vantaggiosa per alcuni e sempre meno per altri, posto che italiani e tedeschi hanno la stessa moneta unica, ma differenti contratti di lavoro, diversi sistemi di welfare e diverso grado di sviluppo economico;
    l'articolo 3 del Trattato di Roma, disponendo che «la Comunità ha il compito di promuovere, mediante l'instaurazione di un mercato comune e il graduale riavvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività economiche», elenca una serie di azioni comuni, tra cui l'instaurazione di una politica agricola comune, da intendersi come forma di partenariato strategico tra agricoltura e società, in considerazione dei milioni di consumatori europei che richiedono un regolare approvvigionamento di alimenti sani a prezzi accessibili; tale politica ha, però, manifestato fin dagli inizi diverse criticità per l'Italia, il cui potenziale agricolo intensivo e di qualità avrebbe richiesto accordi più adeguati alle proprie peculiarità produttive e al proprio fabbisogno interno;
    la distanza tra cittadini ed «entità» Europa è particolarmente evidente ed allarmante proprio nel settore dell'agroalimentare, nel quale la richiesta generalizzata da parte dei consumatori di tracciabilità ed informazione riguardo alle materie prime utilizzate negli alimenti è costantemente disattesa da normative comunitarie che tendono a favorire la grande distribuzione, la quantità al posto della qualità;
    il settore primario è estremamente penalizzato da politiche comuni, che, tendendo all'omologazione, limitano il potenziale di sviluppo delle eccellenze e delle tipicità locali, sia con riguardo alle produzioni che alle peculiarità delle comunità rurali e delle risorse, e contribuiscono ad accrescere le asimmetrie economiche e sociali tra Paesi;
    notevoli disparità tra Stati membri si ravvisano, altresì, in relazione ai rapporti finanziari che ciascuno di essi ha con l'Unione europea e che per l'Italia mostrano un sensibile aggravamento della condizione di contribuente netto, nella quale il nostro Paese si trova ormai da tempo;
    come evidenziato dall'ultima relazione annuale della Corte dei conti riferita all'esercizio 2011, l'Italia, nel 2011, ha versato all'Unione europea, a titolo di risorse proprie, la complessiva somma di 16 miliardi di euro, importo che rappresenta il massimo storico del settennio 2005-2011 e costituisce un rilevante incremento (+ 4,9 per cento) rispetto al precedente esercizio, che aveva già mostrato una forte crescita (+ 6 per cento) nei confronti del 2009;
    se sempre nell'anno 2011 l'Unione europea ha accreditato complessivamente al nostro Paese la somma di 9,3 miliardi di euro, con un aumento dell'1,2 per cento rispetto all'esercizio precedente, il contestuale aumento dei versamenti del nostro Paese all'Unione europea ha causato il peggioramento del «saldo netto negativo» nazionale, giunto per l'esercizio in questione a 6,6 miliardi di euro secondo un rapporto di mera differenza aritmetica tra i rispettivi totali;
    nel settennio 2005-2011, secondo il computo desumibile dall'elaborazione fatta dal dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, il totale dei «saldi netti negativi» ammonta per l'Italia a 39,3 miliardi di euro;
    si rileva, altresì, che i Paesi con i maggiori saldi positivi riferiti al periodo in parola risultano, secondo la Commissione europea, in ordine decrescente: Polonia, Grecia, Spagna, Portogallo, Ungheria, Repubblica ceca, Lituania, Romania, Slovacchia e Irlanda; ad eccezione di quest'ultima, si tratta di alcuni degli Stati membri beneficiari del fondo di coesione, istituito per assistere i Paesi aventi un reddito nazionale lordo pro capite inferiore al 90 per cento della media comunitaria;
    è noto come le resistenze nazionali si traducano spesso in vere e proprie «clausole di favore», recepite nei trattati a vantaggio di quei Paesi che altrimenti non avrebbero firmato gli accordi, rallentando o interrompendo il processo di integrazione;
    il quadro innanzi delineato è certo influenzato da alcuni particolari facilitazioni riconosciute nel tempo a singoli Stati come la decisione del Consiglio Euratom 2007/436/CE sulle risorse proprie, che ha accordato, per il periodo 2007-2013, ad Austria, Germania, Paesi bassi e Svezia il diritto di beneficiare della riduzione delle aliquote di prelievo della risorsa iva e l'ulteriore facoltà dei Paesi bassi e della Svezia di usufruire di una riduzione lorda del contributo per il reddito nazionale lordo annuo;
    tra i suddetti benefici va annoverata la tradizionale revisione degli squilibri di bilancio denominata «correzione britannica» («UK rebate»), che consente al Regno Unito il rimborso di un importo pari al 66 per cento della differenza tra il suo contributo al bilancio dell'Unione europea e l'importo ottenuto dallo stesso bilancio, comportando, di riflesso, un ulteriore onere finanziario a carico degli altri Stati membri (limitato tuttavia, solo per alcuni di loro, quali la Germania, i Paesi bassi, l'Austria e la Svezia, a un quarto del valore normale), tra cui l'Italia;
    il meccanismo di «sconto a favore della Gran Bretagna», che non ha data di scadenza, si fonda sulla decisione del Consiglio europeo di Fontainebleau del 25/26 giugno 1984, con la quale si stabilì, accogliendo le richieste del Regno Unito, che «(...) ogni Stato membro con un onere di bilancio eccessivo rispetto alla propria prosperità relativa potrà beneficiare di una correzione a tempo debito»;
    le conseguenze che derivano agli interessi italiani da tale disposizione sono rilevanti, non solo dal punto di vista finanziario, considerato che Roma e Parigi da sole contribuiscono a versare a Londra la metà dell'importo complessivo del rebate, ma anche in punto di principio, in quanto, nonostante il dichiarato carattere generale della decisione del Consiglio di Fontainebleau, di fatto, fino a tempi recenti, la correzione è stata applicata solo a favore del Regno Unito;
    gli accordi presi a Fontainebleau erano motivati da un consistente stanziamento di risorse comunitarie a titolo dell'allora nascente politica agricola comune e tali da poter giustificare particolari agevolazioni concesse ai Paesi con scarsa vocazione agricola come la Gran Bretagna; nel corso del tempo, come noto, la spesa agricola dell'Unione europea si è notevolmente ridotta;
    l'accordo sulle prospettive finanziarie 2014-2020 raggiunto nel mesi di febbraio 2014, riducendo ulteriormente lo stanziamento a favore della politica agricola comune, conferma che gli attuali meccanismi di correzione per il Regno Unito continueranno ad applicarsi;
    seppur vero che i vantaggi e gli svantaggi derivanti dall'appartenenza di un Paese all'Unione europea non si esauriscono in valutazioni di natura contabile, è evidente che la questione del saldo negativo dell'Italia impone una riflessione circa un'urgente riforma dei criteri di formazione del bilancio, al fine di introdurre correttivi adeguati ad eliminare lo squilibrio a carico del nostro Paese, la cui economia è più in crisi di quella di altri membri che non sono contribuenti netti;
    sebbene il nostro ordinamento non consenta di sottoporre a referendum l'appartenenza dell'Italia all'unione economica e monetaria è indubbio che, anche alla luce della clausola di recesso volontario di uno Stato membro sancita dall'articolo 50 del Trattato sull'Unione europea, una consultazione popolare sull'utilità dell'attuale costruzione europea darebbe esiti allarmanti, in considerazione dello scostamento fortemente negativo tra risultati ed attese che alimenta la percezione da parte dei cittadini di un'Europa in piena crisi di legittimità,

impegna il Governo

ad intervenire con determinazione nelle opportune sedi comunitarie affinché, anche in considerazione della Presidenza di turno italiana dell'Unione europea, si avvii fin da ora la riforma dei criteri di formazione del bilancio comunitario e, in particolare, si proceda alla revisione del meccanismo dello «sconto inglese» stabilito dagli accordi di Fontainebleau del 1984, posto che l'entità della spesa agricola è diminuita nel corso degli anni e che la nuova programmazione della politica agricola comune per il periodo 2014-2020 prevede una significativa decurtazione dei fondi disponibili per il nostro Paese.
(1-00160)
«Gallinella, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Parentela, Nuti, Nesci».
(31 luglio 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    il bilancio dell'Unione europea rispecchia, sia dal lato della spesa che da quello delle entrate, l'intera politica dell'Unione europea; è uno degli strumenti fondamentali di cui l'Unione europea dispone per realizzare i suoi obiettivi politici. La dinamica del bilancio dell'Unione europea è influenzata dalle dimensioni e dalla durata della crisi economica e finanziaria;
    la struttura del bilancio comunitario è costituita dalle entrate, composte dalle cosiddette «risorse proprie» e dalle spese che, coperte con risorse proprie, sono destinate al finanziamento di tutti gli interventi messi in atto dall'Unione europea;
    l'Unione europea può contare su diverse fonti di finanziamento: tramite le «risorse proprie» costituite da risorse proprie tradizionali, dalla risorsa iva e dalla risorsa del reddito nazionale lordo. Le risorse proprie tradizionali sono a loro volta costituite da risorse provenienti dai dazi all'importazione sui prodotti provenienti dall'esterno dell'Unione europea e dai contributi provenienti dall'imposizione di diritti alla produzione dello zucchero e dell'isoglucosio, mentre la risorsa iva è costituita da un contributo sulle basi imponibili nazionali a carico di ciascun Stato membro; infine, la risorsa reddito nazionale lordo, definita anche «risorsa complementare», è finalizzata a finanziare le spese di bilancio non coperte dalle risorse proprie tradizionali e dalla risorsa iva. Essa è commisurata alla quota parte dei redditi nazionali lordi sul reddito nazionale lordo comunitario;
    riguardo alla risorsa iva a Germania, Paesi bassi, Svezia e Austria è stata concessa una riduzione dell'aliquota di prelievo. Paesi bassi e Svezia beneficiano di una riduzione del contributo al bilancio comunitario in chiave di reddito nazionale lordo. Tali agevolazioni vengono ripartite a carico degli altri Stati membri;
    il calcolo del contributo di ciascun Paese si basa sul principio della solidarietà e della capacità contributiva. Se ne risulta un onere eccessivo per determinati Paesi, si procede tuttavia ad aggiustamenti;
    in questo momento di grave crisi economico-finanziaria che l'Europa sta attraversando, vi è stato un aumento esponenziale dell'attività programmatica e politica dell'Unione europea che ha inciso pesantemente sulle libere scelte dei Paesi membri;
    la politica economica europea ha tracciato una road map che nei fatti ha condizionato gli interventi dei Governi nazionali, incidendo in modo rilevante sul loro operato;
    l'euro è una moneta rigida, sopravvalutata, che, invece di portare stabilità, maggiore crescita, calo della disoccupazione e tanti altri effetti positivi, ha comportato effetti contrari, ovvero disoccupazione, recessione e crisi sociali. L'euro non è più una risorsa, ma un intralcio che tanti danni ha creato;
    la cessione di sovranità dagli Stati nazionali verso l'Unione europea, in nome di un alto ideale comunitario e di una solidarietà economica tra zone più e meno floride dell'Unione stessa, si sta tramutando in una delega all'eurocrazia a decidere della vita dei cittadini, del sistema di diritti, di welfare, di previdenza in nome dell'unico idolo del rigore e della stabilità dei mercati finanziari;
    è ormai inaccettabile che gli Stati più ricchi dell'eurozona impongano regole di politica economica a tutti gli altri Stati membri, regole che vanno ad incidere sui cittadini, in particolare del nostro Paese, che sono costretti a continui sacrifici in nome di un'Europa che è sempre più lontana e fredda rispetto alle istanze delle popolazioni;
    mentre a parole si manifesta la volontà di andare verso un processo di integrazione europea, di favorire la sussidiarietà ed aprire una fase nuova per rinnovare le basi dell'Unione europea, in realtà i Governi più forti a livello europeo stanno creando le premesse per un'Europa più a loro vantaggio;
    l'Italia è il maggior contributore netto rispetto al proprio prodotto interno lordo, cioè versa al bilancio dell'Unione europea più di quanto riceve e continuerà ad esserlo anche per il periodo pianificato dal nuovo bilancio comunitario 2014-2020;
    nel 2011 il contributo netto dell'Italia è arrivato a -0,38 per cento rispetto al prodotto interno lordo, maggiore in tutta Europa, con Belgio e Olanda, subito dopo a seguire con il -0,36 per cento. Negli ultimi 12 anni l'Italia ha già versato circa 171 miliardi di euro e ne ha ricevuti 111 miliardi di euro, con un saldo negativo di circa 60 miliardi di euro, cioè una perdita netta di circa 5 miliardi di euro all'anno;
    il Consiglio europeo di Fontainebleau del 1984 ha concesso un rimborso (cosiddetto rebate) speciale per la Gran Bretagna dal bilancio della Comunità. Il meccanismo prevede un rimborso al Regno Unito pari al 66 per cento del suo contributo netto, la differenza tra il contributo al bilancio Unione europea e le entrate ottenute. L'abbuono britannico è fissato ogni anno come riduzione del contributo iva per il seguente anno;
    tale abbuono era previsto come compensazione nel Regno Unito per la politica agricola comune, che è costosa per i debitori ed i consumatori britannici di imposta e dalla quale il Regno Unito riceve soltanto un piccolo beneficio;
    la correzione era stata decisa solo per il Regno Unito, che si trovava ben al di sotto della media Unione europea in termini di prosperità pro capite;
    la decisione del Consiglio del 7 giugno 2007 ha confermato l'agevolazione in favore del Regno Unito, così che l'Italia continuerà a versare somme all'Unione europea in misura maggiore di quel che riceve, sebbene la stessa decisione del Consiglio preveda che «nessuno Stato membro si faccia carico di un onore di bilancio eccessivo rispetto alla propria prosperità relativa»;
    il meccanismo di rimborso è finanziato da tutti gli altri Stati membri in base alla loro partecipazione al reddito nazionale lordo; quasi il 50 per cento è finanziato da Francia e Italia, mentre per Germania, Paesi bassi, Austria e Svezia, in virtù di ulteriori correzioni ad hoc, il finanziamento della correzione è limitata al 25 per cento di quanto dovuto;
    nonostante la positiva evoluzione della sua prosperità relativa, il Regno Unito continua a beneficiare di un rimborso parziale dei propri contributi, a differenza di altri contribuenti netti con un livello di prosperità analogo o inferiore;
    l'Italia, insieme ad altri Paesi, continua ad accollarsi una quota – nel 2011 è stata di 700 milioni di euro – dei rimborsi al Regno Unito;
    il risultato di questo sistema è che la distribuzione dell'onere totale tra Stati membri è regressiva, dal momento che gli Stati con reddito minore versano proporzionalmente contributi maggiori rispetto agli Stati con reddito più elevato;
    è necessario un cambiamento urgente, un riesame dell'assetto del bilancio che oramai non è più sostenibile: una riforma da affrontare al più presto;
    il semestre italiano di presidenza rappresenta una grande opportunità. È necessario sfruttare questa occasione per dettare l'agenda politica dell'Europa perché la prossima occasione, a causa dell'allargamento dell'Unione europea attualmente a 28 Paesi, si ripresenterà fra 14 anni e non ci si può permettere di aspettare tanto, anche in considerazione dell'impellente necessità di uscire dalla crisi che porta le nostre aziende e i nostri cittadini a fuggire dal nostro Paese;
    esistono Paesi che, non appartenendo ancora all'Unione europea, perché sono nella fase di pre-adesione – o come la Turchia che ancora non è nemmeno in fase di pre-adesione che ha ricevuto più di 5 miliardi di euro negli anni passati e ne riceverà altri 7 negli anni futuri – beneficiano di cospicui finanziamenti europei per il loro sviluppo. Fondi che vengono sottratti per sostenere i Paesi membri in difficoltà o quantomeno vengono assoggettati al rispetto dei vincoli di bilancio europeo bloccandone la crescita economica e lo sviluppo delle imprese, con ripercussioni sia sui prodotti interni lordi nazionali che su quello europeo,

impegna il Governo:

   ad intervenire nelle opportune sedi europee, cogliendo l'occasione del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, affinché si proceda ad una revisione generale delle politiche di bilancio dell'Unione europea che affronti, in particolare, la questione di una revisione dei criteri di bilancio, che va radicalmente riformato;
   a chiedere, nelle opportune sedi europee, che il caso del minore apporto al bilancio comunitario da parte del Regno Unito, il cosiddetto rebate, venga rinegoziato in quanto è da considerarsi non più sostenibile da parte degli Stati membri e, in particolare, dal nostro Paese;
   a farsi promotore affinché i finanziamenti che gli Stati membri versano al bilancio dell'Unione europea rimangano a disposizione di tali Stati e non vengano elargiti a Paesi che geograficamente fanno parte dell'Europa continentale ma non fanno parte dell'Unione europea, salvo che non siano utilizzati per programmi di natura geopolitica.
(1-00360)
«Prataviera, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini».
(6 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    il prossimo quinquennio istituzionale europeo sarà cruciale per il rilancio della crescita, in considerazione del fatto che, come evidenziato di recente dal Governatore Draghi, la crisi occupazionale dell'Unione europea monetaria da socio-economica potrebbe diventare istituzionale;
    in tale ambito, il massimo responsabile della Banca centrale europea ha rivolto una particolare attenzione nei riguardi degli Stati membri dell'Unione europea, che presentano evidenti debolezze strutturali ed elevato debito pubblico come l'Italia, affinché, all'interno della governance dell'eurozona, si applichino le regole di bilancio vigenti in modo flessibile, attraverso il contemporaneo avvio di un processo di riforme autentiche e strutturali in grado di rilanciare una crescita sostenibile e duratura;
    all'interno del suesposto scenario, che attesta il perdurare della crisi economica e finanziaria e delle ripercussioni che quest'ultima ha generato sul conseguimento degli obiettivi macroeconomici prefissati, che coinvolgono non soltanto l'Italia, (come confermato dai recenti dati al ribasso sul prodotto interno lordo trimestrale dell'eurozona inclusa la Germania), le politiche di bilancio e gli strumenti finanziari dell'Unione europea, come ad esempio Strategia Europa 2020, (nonostante il documento contenga una serie di obiettivi condivisibili, volti all'individuazione d'interventi nel quadro dei rispettivi programmi nazionali di riforma che ogni anno sono esaminati nell'ambito della procedura del semestre europeo), necessitano un complessivo ripensamento in chiave di alleggerimento;
    le regole di bilancio dell'Unione europea, soprattutto nella parte preventiva, dimostratesi austere e irrigidite dalle prescrizioni di un Trattato internazionale (il Fiscal compact), che non è parte dell'ordinamento comunitario europeo, alla luce dei profondi cambiamenti che la crisi economica ha determinato negli Stati membri, unitamente all'estensione della sorveglianza multilaterale agli squilibri macroeconomici, proposta dalla Commissione europea nel 2011, si sono rivelate, nella realtà, estremamente rigide e spesso di dubbia interpretazione, giudicabili nel complesso in maniera negativa per l'economia reale, avendo determinato un impatto depressivo e di scarsa propensione alla crescita per le imprese e le famiglie;
    l'attuale quadro economico italiano di deflazione, che non si verificava dal 1959 (con uno scenario favorevole completamente diverso da quello attuale ed un tasso di sviluppo all'epoca pari al 7 per cento), rileva come l'incertezza ed i problemi strutturali dell'economia dell'Unione europea permangono tuttora gravi e richiedono la necessità di un'azione politica serrata, da condurre contro l'applicazione acritica di una politica europea errata, attraverso la richiesta di una revisione degli accordi fin qui accettati ed un allentamento delle regole di bilancio;
    in tale ambito, ai sensi dell'articolo 312 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, il quadro finanziario pluriennale, (entrato in vigore il 1o gennaio 2014), che fissa in relazione a ciascuna delle grandi aree di spesa dell'Unione europea il massimale degli stanziamenti per il periodo 2014-2020, si è rilevato come l'Italia (con riferimento al prodotto interno lordo) rappresenti il terzo Paese, dopo Germania e Francia, che contribuirà in misura rilevante per i prossimi sette anni al bilancio comunitario, rispetto agli altri Stati membri;
    dal suindicato quadro finanziario pluriennale 2014-2020 è emerso, infatti, come all'interno degli articolati stanziamenti previsti pari a circa 960 miliardi di euro, pari all'1 per cento del reddito nazionale lordo complessivo dei 28 Paesi membri, le corrispondenti risorse finanziarie saranno determinate per il 12,9 per cento dai diritti doganali e dai dazi, per l'11,4 per cento attraverso la quota derivante dal gettito IVA (competenza per l'0,30 per cento dell'Unione europea) e per il 68 per cento invece da quanto versato dai medesimi Stati membri in base al rispettivo reddito nazionale lordo;
    all'interno di tale ripartizione il medesimo quadro finanziario pluriennale prevede il mantenimento fino al 2020 del sistema delle cosiddette «scontistiche», costituito da un obsoleto strumento agevolativo finanziario riservato a determinati Paesi, come la Gran Bretagna, sulla base di una serie di discutibili argomentazioni e parametri contabili riferiti alla politica agricola;
    il Consiglio europeo di Fontainebleau nel giugno del 1984 introdusse, infatti, un meccanismo di correzione dello squilibrio di bilancio britannico, prevedendo che i due terzi della differenza tra la parte del Regno Unito nel gettito IVA e la sua parte nelle spese comunitarie potessero ritornare al medesimo Paese, sotto forma di riduzione della base imponibile IVA britannica; tale sgravio peraltro risulta attualmente posto a carico di tutti gli altri Stati membri secondo la loro parte rispettiva nei versamenti IVA (ad eccezione della Germania che versa solo i due terzi della sua parte normale, mentre il saldo è suddiviso secondo i medesimi criteri tra gli altri Stati membri e per quasi il 50 per cento a carico dell'Italia e della Francia);
    il suesposto ed iniquo beneficio a favore della Gran Bretagna, in considerazione che il contributo britannico al bilancio europeo si è dimostrato sproporzionato rispetto alla sua prosperità relativa, peraltro con riferimento alla scarsa vocazione agricola, è risultato nel corso degli anni particolarmente favorevole al Paese britannico, se si valuta come, dall'anno 2001, in cui si è raggiunto l'importo massimo di 7,3 miliardi di euro, e nei successivi anni sono stati attribuiti «sconti» a favore del Regno Unito per diversi miliardi di euro;
    nonostante siano state inoltrate da parte del nostro Paese e dalla Francia richieste in sede comunitaria per la revisione del cosiddetto «sconto inglese», finalizzate a correggere un rapporto contabile con l'Unione europea evidentemente arbitrario, l'Italia (insieme ad altri Paesi), sebbene non si sia dimostrato un attento fruitore nel corso degli anni dei fondi comunitari strutturali e scarsamente incisivo nelle fasi negoziali, continua ad accollarsi una quota (nel 2011 è stata di 700 milioni di euro) dei rimborsi dell'ormai superato rebate, divenuto non più sostenibile, sia con riferimento alle precarie condizioni della tenuta dei conti pubblici e delle difficoltà degli equilibri di bilancio, che al pesante squilibrio strutturale apertosi con l'Europa, che, di fatto, ha relegato il nostro Paese fra gli ultimi nella scala della ricchezza dell'Unione europea;
    nell'ambito delle considerazioni in precedenza esposte e delle articolate criticità economiche e contabili che riguardano il nostro Paese, l'avvio del semestre di Presidenza italiana all'interno del Consiglio europeo, rappresenta, a tal fine, un importante occasione all'interno della cornice istituzionale comunitaria, per la definizione di un anacronistico meccanismo, ovvero dello «sconto inglese», in quanto se trent'anni fa esso poteva riscontrare una motivazione logica a fronte dell'ingente spesa comune a titolo di politica agricola, attualmente, con una dotazione della Politica agricola comune assolutamente ridotta rispetto agli altri stanziamenti (ed un sistema finanziario dell'Unione europea profondamente rivisitato dal 1984), appare del tutto superato, nonostante nelle prospettive finanziarie 2014-2020 indicate dal quadro finanziario pluriennale continui ad essere attribuito;
    risultano pertanto indifferibili iniziative in sede comunitaria, volte ad interrompere tali accordi estremamente onerosi e non più accettabili nei confronti di una cosiddetta «correzione britannica», che, oltre a non prevedere una data di scadenza, consente al Regno Unito il rimborso di un importo pari al 66 per cento della differenza tra il suo contributo al bilancio dell'Unione europea e l'importo ottenuto dallo stesso bilancio, comportando di riflesso un ulteriore onere finanziario a carico degli altri Stati membri tra cui l'Italia, con manifeste conseguenze negative e penalizzanti per gli equilibri dei conti pubblici e dell'economia reale del nostro Paese, che permane in una fase di estrema criticità;
    appaiono altresì inderogabili interventi volti a compensare l'oneroso accordo internazionale dello «sconto inglese» attraverso l'esclusione dal Patto di stabilità interno delle regioni che effettuano investimenti in favore del settore agricolo e agroindustriale nazionale, in considerazione tra l'altro che l'entità della spesa agricola è diminuita nel corso degli anni e che la nuova programmazione della Politica agricola comune per il periodo 2014-2020 prevede una significativa decurtazione dei fondi disponibili per il nostro Paese,

impegna il Governo:

   a prevedere in sede comunitaria iniziative urgenti e necessarie al fine di avviare una rivisitazione complessiva delle politiche di bilancio dell'Unione europea, nonché dei criteri di applicazione della disciplina di bilancio dell'Unione europea contenuti nel Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, al Titolo II, articoli 310 e seguenti, attraverso una maggiore semplificazione delle procedure volte ad una migliore composizione tra tassazione (da ridurre) e spesa pubblica (da ristrutturare) ed un allentamento delle regole in modo più flessibile;
   ad intervenire, nelle medesime sedi europee, nel caso fosse accertato da parte del Regno Unito un minore apporto al bilancio comunitario, attraverso una rinegoziazione automatica del cosiddetto rebate, in considerazione delle numerose criticità esposte in premessa, che evidenziano l'oramai insostenibile onere per gli Stati membri, ed in particolare per il nostro Paese, di rimborsare annualmente quanto previsto dal Consiglio europeo di Fontainebleau nel 1984, il cui sistema delle cosiddette «scontistiche» risulta ancora previsto all'interno del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2014-2020;
   ad adottare infine iniziative volte a prevedere l'esclusione dal Patto di stabilità interno in favore delle regioni che effettuino investimenti per il settore agricolo e agroindustriale nazionale, il cui comparto anticiclico, già gravato da un'eccessiva tassazione e da una crisi economica causata anche da fattori climatici sfavorevoli, riveste un ruolo determinante per il prodotto interno lordo del nostro Paese.
(1-00576)
«Palese, Faenzi, Russo, Sandra Savino, Abrignani, Alberto Giorgetti, Riccardo Gallo, Ciracì».
(4 settembre 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    all'inizio del processo di integrazione europea, nel 1957, il bilancio dell'allora Comunità economica europea (CEE) era molto modesto e finalizzato a coprire esclusivamente le spese amministrative;
    nel 1965 i pagamenti destinati alla Politica agricola comune (Pac) assorbivano circa il 35,7 per cento del bilancio per arrivare fino al 70,8 per cento nel 1985. Nel 2013 la percentuale della spesa tradizionale della Politica agricola comune (escluso lo sviluppo rurale) è stata pari al 32 per cento;
    contestualmente, nel 1965, la spesa per la politica di coesione era pari al 6 per cento del bilancio, registrando un leggero aumento negli anni a seguire, attestandosi al 10,8 per cento nel 1985. Nel 2013, soprattutto a seguito dell'Atto unico europeo e alle disposizioni ivi contenute che ponevano l'accento sulla coesione economica e sociale, la spesa per la politica di coesione ha rappresentato il 35,7 per cento del bilancio;
    inizialmente i fondi per le altre politiche comunitarie (principalmente i settori della competitività, azioni esterne e sviluppo rurali) erano assai limitati e riguardavano nel 1965 soltanto il 7,3 per cento del bilancio. Nel 2013, la percentuale di spesa per queste politiche è stata pari al 26 per cento delle risorse presenti a bilancio;
    il Consiglio europeo riunito a Fontainebleau (Francia) il 25 e 26 giugno 1984 ha adottato l'accordo così denominato – di Fontainebleau – secondo cui il Regno Unito ottenne il cosiddetto «sconto inglese»; lo sconto venne concesso, dopo che il primo ministro Margaret Thatcher minacciò di fermare i pagamenti al bilancio dell'Unione europea, giungendo ad affermare che: «non stiamo chiedendo soldi alla Comunità o a chiunque altro. Stiamo semplicemente chiedendo di avere i nostri soldi indietro»;
    il vertice di Fontainebleau ha convenuto il diritto di ogni Stato membro, che si assuma un «eccessivo» peso di bilancio rispetto al suo livello di crescita, a beneficiare di un bilancio di «correzione»;
    tecnicamente, lo «sconto inglese» in un dato anno è pari al 66 per cento del contributo netto versato dal Regno Unito nell'anno precedente. La base della correzione è determinata dal divario tra la quota parte dei pagamenti IVA e la quota parte nelle spese effettuate per conto dell'Unione europea;
    il Regno Unito per caratteristiche territoriali e geografiche ha una minore superficie di suolo agricolo utilizzabile e, di conseguenza, ha sempre avuto una minor presenza di aziende agricole;
    all'epoca dell'accordo, il Regno Unito era il terzo membro più povero della Comunità europea, ma allo stesso tempo stava per diventare il più grande contribuente netto al bilancio dell'Unione europea, di cui più del 70 per cento era composto dalla Politica agricola comune;
    tuttavia, ad oggi, il Regno Unito è uno dei Paesi più ricchi dell'Unione europea: più ricco rispetto alla maggior parte dei vecchi Stati membri dell'Unione europea e molto più benestante rispetto ai nuovi membri dell'Unione europea;
    tutti i membri dell'Unione europea pagano lo sconto in proporzione alla dimensione delle loro economie, tuttavia, quattro tra i principali contribuenti netti al bilancio dell'Unione europea – Germania, Paesi Bassi, Svezia e Austria – pagano solo un quarto di ciò che sarebbe altrimenti la loro parte nella «correzione». Il risultato è che Francia e Italia, tra loro, pagano circa la metà del totale dello «sconto inglese»;
    a seguito del Consiglio europeo del dicembre 2005, sul sistema di finanziamento futuro dell'Unione europea, vi è stata una revisione dell'accordo del 1984 a seguito del quale il Regno Unito e la Francia hanno registrato contributi netti all'incirca comparabili nel periodo 2007-2013;
    nello specifico, guardando i dati più recenti, la Germania per il 2011 ha versato 23,7 miliardi di euro e ne ha ricevuti 11,8; la Francia ha versato 19,5 miliardi di euro e ne ha ricevuti 13 e la Gran Bretagna ha versato 14,6 miliardi di euro e ne ha ricevuti 6,75;
    attualmente, i Paesi che beneficiano maggiormente del contributo europeo sono: la Polonia che nel 2011 ha versato 3,5 miliardi di euro e ne ha ricevuti 14,4; l'Ungheria che ha versato 937 milioni di euro e ha ricevuto 5,3 miliardi; la Grecia che ha versato 1,9 miliardi di euro e ne ha ricevuti 6,5 e la Spagna che ha versato 11 miliardi e ne ha ricevuti 13,5;
    l'Italia, per il 2011, ha contribuito al bilancio europeo con poco più di 16 miliardi di euro ed ha ricevuto dall'Unione Europea poco più di 9,5 miliardi di euro. Per l'intero bilancio europeo 2007-2013, quindi, l'Italia ha speso circa 112 miliardi di euro e ne ha avuti indietro circa 66,5;
    il Consiglio dell'Unione europea ha approvato definitivamente, il 2 dicembre 2013, il regolamento relativo al quadro finanziario pluriennale 2014-2020 e l'accordo interistituzionale sulla disciplina di bilancio, la cooperazione in materia di bilancio e la sana gestione finanziaria, che erano stati già approvati dal Parlamento europeo il 19 novembre 2013;
    allegate al regolamento sul quadro finanziario, il Parlamento europeo ha approvato una serie di dichiarazioni su: risorse proprie; miglioramento dell'efficacia della spesa pubblica in ambiti oggetto di intervento dell'Unione europea; integrazione delle questioni di genere; disoccupazione giovanile e potenziamento della ricerca; dichiarazioni nazionali di gestione; riesame/revisione del quadro finanziario pluriennale;
    l'accordo tra Consiglio, Commissione e Parlamento europeo sul quadro finanziario pluriennale 2014-2020 è stato definitivamente raggiunto, a margine del Consiglio europeo del 27 e 28 giugno 2013, riprendendo sostanzialmente i termini del compromesso che era stato definito – limitatamente alla discussione in seno al Consiglio – dal Consiglio europeo del 7 e 8 febbraio 2013, con alcuni modifiche relative essenzialmente alle modalità per la spesa degli stanziamenti per l'occupazione giovanile, ricerca e piccole e medie imprese ed accogliendo alcune condizioni poste dal Parlamento europeo;
    l'accordo prevede un massimale di spesa per l'Unione europea a 28 per il periodo 2014-2020 pari a 959,988 miliardi di euro in stanziamenti per impegni, corrispondente all'1 per cento del reddito nazionale lordo dell'Unione europea e a 908,400 miliardi di euro in stanziamenti per pagamenti, corrispondenti allo 0,95 per cento del reddito nazionale lordo dell'Unione europea;
    le spese saranno suddivise in sei rubriche, di cui due sottorubriche, intese a rispecchiare le priorità politiche dell'Unione: crescita intelligente ed inclusiva (sottorubrica 1a) competitività, 1b) coesione), crescita sostenibile: risorse naturali (di cui: spese di mercato e pagamenti diretti), sicurezza e cittadinanza, ruolo mondiale dell'Europa, amministrazione e compensazioni;
    il Consiglio europeo del dicembre 2013 ha accolto in parte le proposte della Commissione europea volte ad una riforma profonda del sistema di finanziamento, ma ha deciso di mantenere i sistemi di correzione a favore di alcuni Stati membri;
    gli attuali meccanismi di correzione per il Regno Unito continueranno ad applicarsi così come segue: limitatamente al periodo 2014-2020, l'aliquota di prelievo della risorsa propria basata sull'IVA per la Germania, i Paesi Bassi e la Svezia è fissata allo 0,15 per cento; la Danimarca, i Paesi Bassi e la Svezia beneficeranno di riduzioni lorde del proprio contributo del reddito nazionale lordo annuo pari rispettivamente a 130 milioni, 695 milioni e 185 milioni di euro. L'Austria beneficerà di una riduzione lorda del proprio contributo del reddito nazionale lordo annuo pari a 30 milioni di euro nel 2014, a 20 milioni di euro nel 2015 e a 10 milioni di euro nel 2016;
    l'Italia, secondo quanto indicato il 14 febbraio 2013 dal Ministro per gli affari europei pro tempore, Enzo Moavero Milanesi, nel corso dell'audizione presso il Senato della Repubblica sugli esiti del Consiglio europeo del 7 e 8 febbraio 2013, migliorerebbe la sua posizione nell'ambito del cosiddetto «saldo netto» (la differenza tra i contributi dell'Italia al bilancio dell'Unione europea ed i fondi ricevuti) che, pur restando negativo, passerà dagli attuali 4500 milioni di euro l'anno per il periodo 2007-2013, corrispondenti allo 0,28 per cento del reddito nazionale lordo, a 3 850 milioni di euro l'anno per il periodo 2014-2020, corrispondenti allo 0,23 per cento del reddito nazionale lordo, con una riduzione media annuale di 650 milioni di euro per l'intero periodo 2014-2020. L'Italia diverrebbe il terzo minor contribuente netto, dopo Belgio e Spagna. Il miglioramento della situazione del saldo netto dell'Italia è stato ottenuto in gran parte grazie ad un aumento netto delle risorse destinate all'Italia nell'ambito della politica di coesione, in controtendenza rispetto ad una generalizzata riduzione dei finanziamenti (tra l'8 per cento e il 10 per cento a seconda degli Stati membri) per la politica di coesione per gli altri Stati membri;
    è prevista, ulteriormente, una maggiore flessibilità per trasferire, a partire dal 2015, i fondi non utilizzati (stanziamenti di pagamento) da un anno all'altro, con limiti per gli ultimi anni di programmazione (2018: 7 miliardi di euro; 2019: 9 miliardi di euro; 2020: 10 miliardi di euro);
    sono, inoltre, introdotte forme di flessibilità ad hoc per la disoccupazione giovanile, il programma Erasmus e il programma Horizon 2020 per la ricerca;
    è stata prevista la «clausola di revisione» del quadro finanziario pluriennale da esercitare al più tardi entro il 2016, con l'obiettivo di dare al nuovo Parlamento europeo e alla nuova Commissione europea la possibilità di valutare l'adeguatezza delle priorità rispetto alla parte rimanente del periodo di programmazione. Per il successivo ciclo di programmazione (post 2020), la Commissione europea dovrà presentare proposte prima del 1o gennaio 2018, che dovranno prevedere l'allineamento della durata del quadro finanziario pluriennale – attualmente di sette anni – con quella del ciclo politico delle istituzioni europee (5 anni);
    sono stati previsti fuori dal quadro finanziario pluriennale stanziamenti fuori bilancio quali: il fondo di solidarietà, destinato a gravi catastrofi, con uno stanziamento annuale di 500 milioni di euro; lo strumento di flessibilità, destinato a spese impreviste, con uno stanziamento annuale di 471 milioni di euro; la riserva per gli aiuti di emergenza a favore di Paesi terzi (interventi umanitari, gestione civili delle crisi e pressioni migratori), con uno stanziamento di 280 milioni di euro; il fondo europeo di adattamento alla globalizzazione, con uno stanziamento annuale di 150 milioni di euro; il margine per imprevisti, come strumento di ultima istanza per rispondere a circostanze impreviste, con uno stanziamento pari allo 0,03 del reddito nazionale lordo dell'Unione europea; il fondo europeo di sviluppo, a favore dei cosiddetti Paesi ACP (Africa, Caraibi e Pacifico), con uno stanziamento di 26,984 milioni di euro (a cui l'Italia contribuirà per il 12,53 per cento),

impegna il Governo:

   nel semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea, a valutare in sede di Consiglio europeo la riallocazione dei «saldi netti» dei singoli Stati membri, in funzione della clausola di revisione del quadro finanziario pluriennale, per quelle priorità politiche dell'Unione europea, suddivise in rubriche e sottorubriche, le cui dotazioni finanziarie potrebbero rivelarsi insufficienti;
   a valutare, con gli altri Paesi europei, il rifinanziamento in quota parte degli stanziamenti fuori bilancio;
   a rivedere gli attuali meccanismi di correzione, previsti per alcuni Paesi, alla luce delle mutate condizioni macroeconomiche all'interno dell'Unione europea, affinché si determini un'effettiva perequazione delle risorse finanziarie.
(1-00579)
«Kronbichler, Scotto, Palazzotto, Marcon, Franco Bordo, Melilla, Pannarale».
(4 settembre 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    per il periodo 2014-2020 il bilancio dell'Unione europea è finanziato secondo un sistema di risorse proprie il cui importo complessivo non può superare annualmente, in termini di pagamenti, l'1,23 per cento e, in termini di impegni, l'1,29 per cento della somma dei redditi nazionali lordi di tutti gli Stati membri;
    le risorse proprie previste per il periodo 2014-2020 sono costituite, in particolare, dalle cosiddette risorse proprie tradizionali (nello specifico i dazi doganali), da una nuova risorsa basata sull'IVA e, in prospettiva, dal gettito dell'imposta sulle transazioni finanziarie, nonché dai contributi versati dagli Stati membri in relazione al rispettivo reddito nazionale lordo;
    il sistema di risorse proprie 2014-2020 contempla, analogamente ai periodi precedenti, meccanismi di correzione, di diversa struttura ed entità, a favore di singoli Stati contributori netti al bilancio europeo, tra cui il Regno Unito, la Germania, i Paesi Bassi, la Svezia, la Danimarca, i Paesi Bassi, la Svezia e l'Austria beneficerà di una riduzione lorda del proprio contributo in relazione al rispettivo reddito nazionale lordo annuo pari a 30 milioni di euro nel 2014, a 20 milioni di euro nel 2015 e a 10 milioni di euro nel 2016;
    in base al nuovo sistema di risorse proprie l'Italia dovrebbe registrare un saldo netto passivo verso l'Unione europea di 3850 milioni di euro l'anno, pari a circa lo 0,23 per cento del reddito nazionale lordo, in sensibile miglioramento rispetto a quello relativo al periodo 2007-2013, che ammontava a 4500 milioni di euro l'anno, corrispondenti allo 0,28 per cento del reddito nazionale lordo. L'Italia dovrebbe pertanto essere il terzo minor contribuente netto, dopo Belgio e Spagna, mentre i maggiori contributori netti – in rapporto al rispettivo reddito nazionale lordo – saranno i Paesi Bassi, la Germania, la Francia, la Svezia e il Regno Unito (con saldi netti passivi pari, rispettivamente, allo 0,39 per cento allo 0,38 per cento e allo 0,33 per cento del reddito nazionale lordo);
    il sistema di risorse proprie 2014-2020 presenta, analogamente ai precedenti, elementi di forte criticità, continuando ad essere in ampia misura finanziato non da autonome e dirette fonti di entrata del bilancio dell'Unione europea, ma basandosi sulla risorsa del reddito nazionale lordo, che si risolve in trasferimenti dagli Stati membri all'Unione europea;
    tale sistema alimenta, per sua natura, la logica del «giusto ritorno», in base alla quale ciascuno Stato membro esige che le risorse da esso versate all'Unione europea siano ad esso riassegnate nell'ambito delle rubriche di spesa previste dal quadro finanziario pluriennale dell'Unione europea;
    ne consegue, per un verso, la ritrosia degli Stati membri con più elevato reddito nazionale lordo ad acconsentire ad un aumento del volume del bilancio europeo che, per il periodo 2014-2020, dispone di stanziamenti non superiori a 959.988 milioni di euro in impegni, corrispondenti all'1 per cento dei reddito nazionale lordo dell'Unione europea e a 908.400 milioni di euro in stanziamenti per pagamenti, corrispondenti allo 0,95 per cento del reddito nazionale lordo dell'Unione europea. Tale dotazione risulta, per la prima volta nella storia, inferiore a quella prevista per il precedente quadro finanziario pluriennale 2007-2013;
    per l'altro verso, la logica del giusto ritorno incide profondamente sull'allocazione delle risorse dei bilancio europeo tra le varie politiche di spesa, in ragione della misura in cui esse apportano beneficio ai vari Stati membri. In particolare, ne consegue la concentrazione di gran parte del volume della spesa su politiche tradizioni quali l'agricoltura e la coesione, che nel periodo 2014-2020 assorbono oltre i due terzi della dotazione complessiva, mentre sono riservati stanziamenti ridotti alle politiche più direttamente connesse alla competitività, all'innovazione, alla ricerca, nonché alle politiche nello spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia;
    nella stessa logica si iscrivono i meccanismi di correzione o sconto dei contributi del Regno Unito e di altri Stati membri che appaiono in evidente contrasto con i principi di solidarietà e coesione economica e sociale dell'Unione europea e non trovano alcuna giustificazione alla luce del livello della prosperità relativa dei Paesi che ne beneficiano. Essi, pertanto, determinano un'evidente distorsione, se non negazione, dei principi e criteri generali su cui si fonda il processo di integrazione europea. La Commissione europea aveva non a caso proposto la progressiva soppressione di ogni correzione per il periodo 2014-2020;
    in sostanza, l'attuale sistema di risorse proprie pregiudica l'allocazione della spesa europea in settori ad alto potenziale di crescita e occupazione, in contrasto con gli obiettivi della Strategia Europa 2020, e non consente all'Unione europea di sviluppare strumenti di intervento adeguato rispetto alle sfide globali che essa deve fronteggiare nei settori dell'immigrazione, della sicurezza energetica e dell'ammodernamento delle infrastrutture;
    tenendo conto dell'inadeguatezza dell'attuale sistema di risorse proprie e del quadro finanziario 2014, è stata prevista, all'atto stesso della loro adozione, una revisione da completare al più tardi entro il 2016, con l'obiettivo di dare al Parlamento europeo (rinnovato dopo le ultime elezioni europee) e alla prossima Commissione europea la possibilità di valutare l'adeguatezza dell'assetto attuale;
    in tale contesto è stata prevista una precisa tabella di marcia, il cui primo passaggio si è realizzato con l'istituzione di un gruppo di alto livello, presieduto dal senatore Mario Monti e composto da membri designati dal Consiglio, dalla Commissione e dal Parlamento europeo, con il compito di rivedere l'attuale sistema dell'Unione europea delle «risorse proprie» in modo da assicurare maggiore semplicità, trasparenza, equità e controllo democratico. Il gruppo dovrà presentare una prima relazione alla fine del 2014;
    l'esito del lavoro del gruppo di alto livello sarà valutato da una conferenza interistituzionale nel 2016 alla quale saranno invitati i Parlamenti nazionali;
    sulla base dei risultati di tale esercizio, la Commissione europea valuterà se saranno necessarie iniziative per nuove risorse proprie per il periodo di programmazione successivo al 2020;
    ferme restando le tappe del processo di revisione intermedia sopra richiamate, appare opportuno che il Governo avvii, in stretto raccordo con il Parlamento e gli altri soggetti interessati, una riflessione sulla posizione che il nostro Paese dovrà assumere in coerenza con l'interesse nazionale e con l'avanzamento del processo di integrazione europea,

impegna il Governo:

   ad avviare, in stretto raccordo con il Parlamento e gli altri soggetti interessati, una riflessione in vista della revisione intermedia, del quadro finanziario e delle risorse proprie dell'Unione europea relative al periodo 2014-2020, tenendo in considerazione, in particolare, i seguenti obiettivi:
    a) progressiva riduzione, in vista di una completa soppressione, della risorsa reddito nazionale lordo, fondata su contributi dei singoli Stati membri al bilancio dell'Unione e sostituzione graduale con autentiche risorse proprie dell'Unione europea, anche mediante l'istituzione di imposte europee che non determinino tuttavia un appesantimento del carico fiscale sull'energia o su altri fattori della produzione essenziali per il rilancio dell'economia europea, in particolare del settore industriale, e siano ispirate a criteri di semplicità, chiarezza e riduzione degli adempimenti per i contribuenti;
    b) soppressione di ogni meccanismo di correzione o sconto a favore di qualsiasi Stato contributore netto;
    c) allocazione della spesa su politiche dell'Unione europea ad elevato potenziale di crescita e occupazione, in particolare nei settori della ricerca, dell'innovazione, dell'occupazione giovanile, della promozione dell'imprenditorialità, dei flussi migratori, delle reti transeuropee dei trasporti e dell'energia, dell'Agenda digitale.
(1-00583) «Galgano, Mazziotti Di Celso».
(5 settembre 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    la situazione in Europa è negli ultimi anni profondamente mutata e i meccanismi approntati per far fronte alla crisi economico-finanziaria, risultati in parte fallimentari, necessitano di un attento riesame e, con particolare riferimento alla formazione del bilancio europeo, i criteri per la sua predisposizione, entità delle risorse ed obiettivi, necessitano di una profonda revisione a fronte di rinnovate esigenze e nuove sfide da affrontare, anche a livello globale;
    la cosiddetta «correzione britannica» («UK rebate»), che accorda al Regno Unito il rimborso di un importo pari al 66 per cento della differenza tra il suo contributo al bilancio dell'Unione europea e l'importo ottenuto dal bilancio stesso, si fonda sulla decisione del Consiglio europeo di Fontainebleau del 25-26 giugno 1984, con la quale si stabilì, accogliendo le richieste del Regno Unito, che «(...) ogni Stato membro con un onere di bilancio eccessivo rispetto alla propria prosperità relativa potrà beneficiare di una correzione a tempo debito»;
    gli accordi di Fontainebleau nel lontano 1984 originavano dall'esigenza di compensare un Paese a scarsa vocazione agricola e che, a differenza di Francia e Italia, non usufruiva dei cospicui finanziamenti della nascente politica comune europea. È evidente come le pretese alla base di quegli accordi non siano più attuali e che occorra superare le decisioni che accordarono un vantaggio (confermato anche nel 2007) ad oggi ingiustificato e anacronistico, posto che le risorse europee in materia di Politica agricola comune sono diminuite nel corso degli anni e che la nuova programmazione della Politica agricola comune per il periodo 2014-2020 prevede una significativa decurtazione dei fondi disponibili per la spesa agricola per il nostro Paese;
    il meccanismo di sconto in favore della Gran Bretagna, in un contesto economico profondamente mutato, costituisce, di fatto, un ulteriore onere finanziario a carico degli altri Stati membri, finendo per aumentare gli squilibri fra i medesimi; occorre, dunque, superare il criterio del rebate quale è quello previsto per il Regno Unito e ogni forma di regolamentazione che inserisca eccezioni e deroghe nazionali in una logica di negoziazione intergovernativa e bilaterale;
    tuttavia, è importante sottolineare come, pur essendo giusto il superamento di questo anacronistico beneficio in favore di uno sconto per la Gran Bretagna, è fuorviante ritenere che la rimozione di tale specifico vantaggio costituisca la questione dirimente per superare gli squilibri esistenti nell'area euro;
    per un cambio di passo e per una vera svolta nelle politiche europee occorre altro;
    la necessità di avviare una riflessione in sede europea, affinché i meccanismi e i criteri in relazione alla formazione del bilancio europeo siano rinegoziati, è connessa anche all'esigenza di superare l'impostazione di eccessivo rigore determinata dai Paesi membri cosiddetti rigoristi e che ha condotto, nell'ultima programmazione del quadro finanziario pluriennale 2014-2020, a una contrazione per la prima volta del bilancio comunitario; contrazione solo in parte mitigata – anche grazie alla battaglia italiana – da alcuni interventi correttivi del Parlamento europeo che prevedono una maggiore flessibilità per l'uso delle risorse (possibilità di trasferire da un anno all'altro i fondi non utilizzati e altre previsioni ad hoc per Erasmus e Horizon 2020 per la ricerca, le cui risorse potranno essere mobilitate già nel 2014 e 2015 e i 6 miliardi di euro in favore del programma Youth Guarantee per l'occupazione giovanile, erogati già nei primi due anni del prossimo quadro finanziario pluriennale);
    nei prossimi sette anni la spesa complessiva per l'Unione europea a 28 si ridurrà del 3,4 per cento in termini reali rispetto al periodo 2007-2013. Il budget europeo per il periodo di programmazione 2014-2020 è di 960 miliardi di euro circa (959,988 miliardi di euro), di cui 373,179 miliardi di euro destinati alla Politica agricola comune, 277,851 miliardi di euro per il primo pilastro, 84.936 miliardi di euro per il secondo. Rispetto al precedente periodo di programmazione 2007-2013, il primo pilastro della Politica agricola comune perde il 13 per cento e il secondo l'11 per cento;
    le esigue risorse del bilancio europeo indeboliscono l'Europa e rendono difficile il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di Strategia Europa 2020, con particolare riferimento alle «iniziative faro» per la ricerca, gli investimenti produttivi, la lotta contro la povertà e la disoccupazione e in favore della cittadinanza europea;
    l'insufficienza di risorse per il bilancio dell'Unione europea evidenzia, inoltre, una situazione squilibrata anche per quanto riguarda i cosiddetti saldi netti e la persistente dicotomia fra quanto versato nel bilancio europeo e quanto ricevuto da parte dell'Italia (saldo netto negativo italiano);
    tuttavia, occorre precisare che l'Italia, seppure mantenga ancora un «saldo netto» negativo e abbia peggiorato la sua posizione in termini di prodotto interno lordo pro capite (al dodicesimo posto in Europa), ha tuttavia migliorato la sua posizione nel 2013, divenendo il terzo contributore netto e passando dagli attuali 4.500 milioni di euro l'anno per il periodo 2007-2013 (corrispondenti allo 0,28 per cento del reddito nazionale lordo) a 3.850 milioni di euro l'anno per il periodo 2014-2020 (corrispondenti allo 0,23 per cento del reddito nazionale lordo), con una riduzione media annuale di 650 milioni di euro per l'intero periodo 2014-2020. Il saldo negativo – secondo i dati contenuti nella relazione del 2013 della Corte dei conti al Parlamento sui rapporti finanziari con l'Unione europea – risulta di 5,7 miliardi di euro, a fronte dei 6,6 miliardi di euro del 2011. Il miglioramento è stato ottenuto grazie ad un aumento netto delle risorse destinate all'Italia per la realizzazione di programmi europei nell'ambito della politica di coesione, in controtendenza rispetto ad una generalizzata riduzione dei medesimi finanziamenti per gli altri Stati membri;
    d'altra parte, il saldo negativo italiano deriva in parte anche dal cattivo uso del nostro Paese delle risorse europee – e quindi da problemi italiani e non dell'Europa – , fondi strutturali spesso usati in maniera frammentaria, senza obiettivi e una visione strategica per lo sviluppo del Paese, o peggio non completamente utilizzati, come avvenuto anche nella programmazione conclusasi nel 2013 nella quale si è speso solo circa il 52,7 per cento dei fondi comunitari;
    occorre cogliere l'occasione della Presidenza italiana per il semestre europeo per imprimere un nuovo protagonismo dell'Italia in sede europea e ribaltare complessivamente la logica che fino ad oggi ha caratterizzato le politiche europee, incentrate sull'ossessione dell'austerità e sul rigore dei bilanci pubblici, senza la previsione di risorse a livello europeo in favore di politiche per gli investimenti e la crescita;
    che le politiche di destra imperanti negli ultimi anni in Europa si siano rivelate sbagliate, inefficaci e disastrose, lo confermano i risultati circa l'aumento della disoccupazione giovanile (57,7 per cento, dati Eurostat, luglio 2014), ma soprattutto il calo del prodotto interno lordo in tutta la zona euro: i recenti dati di agosto 2014 indicano che nel secondo trimestre 2014 la Francia è ferma, con crescita zero, per il secondo trimestre consecutivo e per la Germania il prodotto interno lordo scende dello 0,2 per cento nel secondo trimestre 2014 rispetto al trimestre precedente; dati che dicono che la stasi dello sviluppo è un problema europeo. Il problema non è dunque il «caso Italia», ma come invertire la rotta in tutta Europa;
    i recenti dati sul calo del prodotto interno lordo in tutta la zona euro dimostrano che il paradigma del rigore fiscale, non controbilanciato dal rilancio degli investimenti e dal rafforzamento dell'economia reale, non può essere sostenuto. L'unione monetaria europea nella gestione della crisi ha deluso e occorre voltare pagina;
    per tali ragioni va accolto come un primo importante segnale di cambiamento positivo (anche se non sufficiente) l'annuncio del nuovo presidente della Commissione europea Junker per la predisposizione di un piano europeo di investimenti di 300 miliardi di euro in tre anni, per infrastrutture, trasporti, efficienza energetica, ricerca e innovazione. Un programma per la crescita che va sostenuto, anche incalzando il nuovo presidente affinché sia anticipata l'operatività del piano, prima della data annunciata (febbraio 2015), affinché siano indicate, già a partire dal prossimo Consiglio europeo di dicembre 2014, le risorse, anche quelle aggiuntive – visto che quelle indicate nella Banca europea per gli investimenti potrebbero risultare insufficienti – con indicazioni dettagliate di obiettivi e strumenti. Parallelamente, occorre sviluppare nuove capacità finanziarie anche mediante il pieno utilizzo dei project bond, ad oggi ancora a livello sperimentale;
    la battaglia italiana deve incentrarsi su un'interpretazione del patto di stabilità e crescita che tenga conto di una maggiore flessibilità per quanto riguarda il piano di rientro del debito, a fronte di una chiara implementazione delle riforme strutturali che non metta in discussione il rispetto dei vincoli di bilancio (rapporto del 3 per cento fra deficit e prodotto interno lordo), anche per non esporre il nostro Paese a una nuova procedura d'infrazione, e che piuttosto si concentri sulla flessibilità del piano di rientro dal debito;
    la richiesta dell'Italia in favore di una maggiore flessibilità non è il reclamo di uno «sconto» per il nostro Paese, ma è la riaffermazione del rispetto, secondo quanto già prevedono i trattati europei, di un equilibrio tra il rispetto dei vincoli di bilancio e la crescita economica. L'uso di maggiore flessibilità non comporta una modifica delle regole, in quanto margini di flessibilità sono possibili mediante l'applicazione di norme già vigenti, come quelle di cui al regolamento (CE) n. 1466 del 1997, secondo cui se le riforme hanno effetti sulla crescita nel medio periodo è possibile concedere deviazioni temporanee sui conti;
    occorre andare oltre una politica economica restrittiva e prociclica, semplicemente basata sull’austerity e superare le eccessive rigidità delle regole sottese al ciclo europeo del bilancio (six pack, two pack, fiscal compact), per indirizzarsi, finalmente, verso una spesa europea e federale espansiva e di investimento che faccia da contraltare ad una politica di bilancio più convergente e virtuosa a livello nazionale; in questo senso da sempre i firmatari del presente atto di indirizzo avanza proposte per una «europeizzazione» e condivisione dei debiti pubblici dei singoli Stati, e l'emissione di bond europei anche collegati alla costruzione di grandi infrastrutture continentali, all'introduzione di regole per lo scorporo delle spese di investimento dai bilanci pubblici (golden rule), l'inserimento di forme di risorse proprie dell'Unione europea quali la tassa sulle transazioni finanziarie internazionali per rafforzare il bilancio europeo e per fornire risorse da destinare alla crescita e al sostegno delle economie in difficoltà;
    è importante che l'Italia contribuisca, soprattutto in occasione della Presidenza italiana del semestre europeo, ad imprimere una svolta nelle politiche europee orientate allo sviluppo e alla crescita dell'intero continente, superando i forti squilibri esistenti tra i Paesi membri e determinando una diversa agenda politica,

impegna il Governo:

   a sostenere nelle sedi europee l'opportunità di ridefinire le priorità del quadro finanziario pluriennale 2014-2020, facoltà attribuita al Parlamento europeo e alla Commissione, nelle forme previste dall'articolo 2 del nuovo quadro finanziario pluriennale («clausola di revisione»);
   in occasione di tale revisione di mid term review sul budget e sui criteri di formazione del bilancio europeo, a sostenere la necessità di tener conto della situazione politica ed economica europea profondamente mutata, anche al fine di assicurare un maggiore allineamento fra la programmazione settennale del quadro finanziario pluriennale e le linee politiche espresse dalle istituzioni europee appena rinnovate e di promuovere un monitoraggio della politica agricola comune, unitamente ad un profondo ripensamento della politica agricola comune stessa;
   ad avviare, in occasione del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea, una riflessione volta alla modifica dei meccanismi e dei criteri relativi alla predisposizione del bilancio europeo, atteso che la situazione e il contesto europeo, profondamente cambiati rispetto al passato, richiedono un superamento di meccanismi derogatori rispetto al modello del cosiddetto «sconto inglese» (rebate);
   ad attivarsi, in forza della Presidenza di turno dell'Unione europea, affinché la nuova agenda europea sia finalmente contrassegnata da politiche improntate a crescita e investimenti a livello europeo, insistendo affinché il piano europeo di investimenti, annunciato dal presidente Junker, veda definiti risorse, strumenti e allocazione degli investimenti già a partire dal prossimo Consiglio europeo di dicembre 2014.
(1-00587)
«Berlinghieri, Albini, Battaglia, Bonomo, Camani, Casellato, Chaouki, Culotta, Gianni Farina, Giachetti, Giulietti, Giuseppe Guerini, Iacono, Manfredi, Moscatt, Ragosta, Scuvera, Vaccaro, Ventricelli».
(9 settembre 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    con l'accordo politico del 27 giugno 2013 i Governi dell'Unione europea hanno convenuto di ridurre a 959,99 miliardi di euro di impegni e a 908 miliardi di euro in termini di pagamenti il massimale di spesa dell'Unione europea a 28, per il periodo 2014-2020. Le risorse impegnabili sono pari all'1 per cento del reddito nazionale lordo degli Stati dell'Unione europea in termini di impegni, rispetto all'1,08 per cento originariamente proposto dalla Commissione europea, configurando così il primo caso nella storia dell'Unione europea in cui il quadro finanziario pluriennale risulta di entità inferiore (oltre il 3 per cento) rispetto all'esercizio settennale precedente;
    si riducono le risorse per le politiche di coesione sociale e territoriale (da 354,8 a 325 miliardi complessivi), mentre più risorse saranno destinate ai capitoli su competitività e crescita (Galileo, Orizzonte 2020, reti di trasporto transfrontaliere): in tale ambito, le risorse passano da 91,5 miliardi di euro del settennato 2007-2013, ai 125,6 miliardi di euro per il periodo 2014-20120. L'Italia mantiene fondi per la coesione, con 29,34 miliardi di euro nel prossimo settennio, contro i 29,38 miliardi di euro dell'esercizio corrente; da segnalare l'attribuzione di maggiori risorse sia nel settennato, sia nel 2014, alle misure legate alla sicurezza e in particolare al potenziamento di Frontex;
    nel bilancio comunitario 2014-2020 le politiche agricole e della pesca assumono ancora un significativo rilievo (dal 42,3 per cento al 38,9 per cento del budget dell'Unione europea): per i prossimi sette anni l'agricoltura europea potrà contare su 410 miliardi di euro e all'Italia spetteranno 33,3 miliardi di euro (di cui 24 miliardi di euro per gli aiuti diretti e 9,3 miliardi di euro per lo sviluppo rurale);
    le istituzioni europee hanno introdotto una serie di disposizioni e meccanismi di flessibilità idonei a rendere il nuovo quadro finanziario pluriennale maggiormente efficace, trasparente e adeguato alle esigenze attuali e future dei cittadini dell'Unione europea;
    il 12 novembre 2013 il Consiglio dei ministri dell'economia e delle finanze dell'Unione europea ha raggiunto l'accordo sul bilancio comunitario per il 2014, aderendo alla proposta iniziale della Commissione europea, che prevedeva impegni per 142,6 miliardi di euro e pagamenti per 135,5 miliardi di euro, leggermente inferiori rispetto a quanto richiesto dal Parlamento; tali accordi sono stati approvati dal Parlamento europeo a fine novembre 2013;
    le tre principali fonti di finanziamento dell'Unione europea sono:
     a) lo 0,73 per cento del reddito nazionale lordo di ciascun Paese membro, un introito che rappresenta i due terzi del bilancio dell'Unione europea. Il calcolo del contributo di ciascun Paese si basa sul principio della solidarietà e della capacità contributiva;
     b) le cosiddette risorse proprie tradizionali, principalmente dazi all'importazione, sui prodotti provenienti da paesi esterni all'Unione europea;
     c) una percentuale della base imponibile armonizzata dell'imposta sul valore aggiunto di ciascun paese dell'Unione europea;
    secondo i dati forniti dalla Ragioneria generale dello Stato, nel 2012 l'Italia ha versato all'Unione europea 16,4 miliardi di euro, pari al 12,78 per cento del bilancio comunitario relativo al medesimo anno, in ulteriore aumento rispetto ai 16 miliardi di euro del 2011 (+2,5 per cento), ricevendo invece dal bilancio dell'Unione europea 9,7 miliardi di euro;
    nonostante il tracollo del prodotto interno lordo italiano, solo nel 2012 si registra, non la diminuzione, ma un rallentamento della crescita delle risorse trasferite dall'Italia all'Unione europea; stando ai dati della Ragioneria generale dello Stato, negli ultimi 12 anni l'Italia ha versato circa 171 miliardi di euro e ne ha ricevuti 111, con un saldo negativo di circa 60 miliardi di euro, una differenza di circa 5 miliardi di euro all'anno;
    nell'ambito delle trattative sul riparto sia delle risorse comunitarie, sia dell'apporto degli Stati al bilancio comunitario, si sono registrati trattamenti differenziati che, sostanzialmente, si traducono in trattamenti di favore; grazie alla cosiddetta «correzione britannica», concessa in forza del minor peso che l'agricoltura ha nell'economia inglese (una decisione assunta trent'anni fa, quando l'economia britannica godeva di minori benefici rispetto agli altri Stati membri dalle politiche comunitarie), il Regno Unito continua tutt'oggi a beneficiare di più di 3 miliardi di euro all'anno, di cui 635 milioni di euro pagati dall'Italia;
    l'Italia (insieme ad altri Paesi) continua, inoltre, a sostenere una quota (nel 2011 è stata di 700 milioni di euro) dei rimborsi al Regno Unito per la correzione degli squilibri di bilancio. In base alla decisione del Consiglio del 7 giugno 2007 è stata confermata, infatti, l'agevolazione in favore del Regno Unito, dell'Austria, della Germania e dei Paesi Bassi, che hanno beneficiato di aliquote di prelievo dell'IVA ridotte durante il periodo 2007-2013. Paesi Bassi e Svezia beneficiano di riduzioni lorde dei loro contributi annui basati sul reddito nazionale lordo. Tali agevolazioni vengono ripartite a carico degli altri Stati membri;
    il Fondo per lo sviluppo e la coesione si fonda sull'articolo 3 del Trattato di Roma, che prevede una politica di riavvicinamento delle economie degli Stati; in tal senso il Fondo per lo sviluppo e la coesione assiste i Paesi aventi un reddito nazionale lordo pro capite inferiore al 90 per cento della media comunitaria; con tale meccanismo sono finanziati sia Paesi effettivamente in ritardo di sviluppo (quali Romania, Grecia, Portogallo), sia Paesi che hanno una crescita del prodotto interno lordo nettamente positiva, come Polonia, Irlanda e, dal 2014, la Spagna;
    il Consiglio europeo di Fontainebleau del 1984, nel generalizzare il meccanismo di correzione al bilancio già in vigore per il Regno Unito, ha stabilito che « (...) ogni Stato membro con un onere di bilancio eccessivo rispetto alla propria prosperità relativa potrà beneficiare di una correzione a tempo debito»,

impegna il Governo:

   a considerare, tra le priorità del semestre italiano di Presidenza dell'Unione europea (nel contempo avviando da subito il dibattito in sede comunitaria), la riforma dei criteri di formazione e di ripartizione del bilancio comunitario, in particolare richiedendo:
    a) la revisione delle modalità di calcolo degli apporti dei singoli Stati al bilancio, secondo criteri che tengano conto del ciclo economico e delle sperequazioni sociali nei singoli Stati;
    b) la revisione dell'attualità di tutti i meccanismi di agevolazione o di maggior favore;
    c) un più massiccio finanziamento delle politiche di coesione sociale e territoriale;
   ad avviare, nell'ambito del semestre italiano di Presidenza dell'Unione europea e successivamente al rinnovo del Parlamento europeo e della Commissione europea del 2014, una revisione di medio termine del quadro finanziario pluriennale entro il 2016, al fine di consentire un riesame delle priorità e degli stanziamenti per i restanti anni del quadro finanziario, alla luce dei mutamenti negli scenari macroeconomici e negli equilibri politici;
   in merito all'applicazione di molti capitoli della nuova Politica agricola comune, a partire dalle misure transitorie per il 2014, a procedere con la massima celerità agli adempimenti di propria competenza, curando, in particolare, che le risorse vengano utilizzate in modo ottimale.
(1-00589) «Dorina Bianchi, Bernardo».
(10 settembre 2014)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   MANTERO, GRILLO, SILVIA GIORDANO, BARONI, CECCONI, DALL'OSSO, DI VITA e LOREFICE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi mesi numerosi articoli di stampa hanno evidenziato nel settore farmaceutico accordi di cartello, prezzi elevati dei farmaci e distribuzione di farmaci non sicuri da parte delle aziende farmaceutiche;
   in particolare, i farmaci antitumorali rappresentano una vera e propria ricchezza e risorsa per le aziende farmaceutiche, tanto che il dottor Domenico De Felice, medico opinionista di sanità sociale, in un suo post dichiara che per questi la materia prima aumenta fino ad un milione di volte quando diviene farmaco per il paziente, con un incasso nella filiera della produzione/distribuzione enorme che mal si concilia con la necessità obbligata per pazienti con problematiche cliniche al limite della vita;
   l'Italia è periodicamente interessata da periodi di mancanza o di difficile reperibilità di farmaci, quali, ad esempio: antidepressivi, farmaci per il disturbo dell'ansia generalizzata, per il dolore neuropatico, per l'ipertensione, antiepilettici, antiasmatici, farmaci per la cura del Parkinson, farmaci antitumorali ed altri;
   Federfarma ha più volte dichiarato che le case farmaceutiche producono farmaci in quantità sufficiente;
   una delle principali cause della carenza di farmaci è la cosiddetta esportazione parallela, ovvero acquistare farmaci in Italia dove i prezzi sono più contenuti e rivenderli all'estero con possibilità di guadagnare dal 20 per cento al 60 per cento rispetto al prezzo originale; i medicinali sui quali maggiormente si cerca il profitto sono i medicinali più innovativi, ad elevato valore terapeutico e quelli che non hanno un equivalente alternativo;
   un meccanismo, quello dell'esportazione parallela dovuto alla normativa dell'Unione europea, che ha disciplinato le esportazioni parallele, ed alla normativa vigente dal 2006, che ha dato la possibilità alle farmacie di essere anche grossisti;
   l'ennesima recente dimostrazione riguarda un antitumorale scomparso dal mercato italiano per molto tempo, il Leukeran dell’Aspen, il farmaco «nascosto» all'Italia, ad uso umano adoperato nel trattamento di linfomi non-Hodgkin e di adenocarcinomi ovarici, la cui distribuzione in Italia costava 7,13 euro la confezione da 25 compresse rivestite da 2 milligrammi, ma che veniva esportato all'estero, dove l'incasso, e quindi il costo per il cittadino, era maggiore, oppure veniva venduto on line a costi ancora più elevati ma privi di sicurezza e controlli;
   dal 1o aprile 2014 è stata ammessa la rinegoziazione del medicinale per uso umano Leukeran (clorambucile), ai sensi dell'articolo 8, comma 10, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, al prezzo al pubblico (iva inclusa) di euro 94,95, soggetto a prescrizione medica da rinnovare volta per volta (ricetta non ripetibile), dunque il costo della stessa confezione è aumentato da 7,13 euro a 94,95 euro, anche se, essendo in classe A, è a totale carico dello Stato con eventuale ticket;
   agli interroganti appare spropositato, nel caso del Leukeran un aumento così elevato del costo, che costituirà un ulteriore onere per il servizio sanitario nazionale, se la molecola è rimasta la stessa e l'azienda non ha dovuto fare nessun esborso aggiuntivo in relazione a studi clinici o per l'autorizzazione alla immissione in commercio che risale al 2000 –:
   per quale ragione l'Agenzia italiana del farmaco abbia approvato l'aumento e la rinegoziazione del costo del farmaco Leukeran in data 17 marzo 2014, quali siano i motivi alla base dell'aumento del costo del farmaco medesimo e, più in generale, quali siano le iniziative intraprese per evitare la periodica carenza di farmaci e quale sia l'efficacia delle stesse. (3-01021)
(16 settembre 2014)

   GIGLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Parkinson è una patologia neurodegenerativa, ad evoluzione lenta ma progressiva, che coinvolge principalmente alcune funzioni, quali il controllo dei movimenti e dell'equilibrio, ed è considerata la più frequente tra le malattie rientranti nel gruppo dei «disordini del movimento». Quando, a seguito della perdita di neuroni, i livelli di dopamina si riducono di oltre il 60-80 per cento compaiono i sintomi della malattia, sintomi motori e sintomi non motori. I sintomi non motori possono diventare rilevanti nelle fasi più avanzate, assumendo un ruolo determinante sulla disabilità e sulla qualità della vita del paziente e della famiglia;
   si stima che attualmente in Italia 230.000 persone siano affette da parkinsonismo, di cui due terzi presentano la malattia di Parkinson, mentre gli altri sono affetti dai cosiddetti parkinsonismi, quali atrofia multisistemica, paralisi sopranucleare progressiva e degenerazione corticobasale. Le patologie neurodegenerative aumentano con l'età, per cui si prevede che, con il progressivo invecchiamento della popolazione, entro il 2030 il numero di persone affette da parkinsonismo raddoppi, raggiungendo quasi mezzo milione;
   l'esordio della malattia avviene mediamente in età lavorativa, intorno ai 55-60 anni, ma la malattia di Parkinson può comparire a qualsiasi età. In circa il 5 per cento dei casi, soprattutto quando vi è una componente ereditaria, compare in età giovanile, anche tra i 20 e 40 anni. Un esordio prima dei 20 anni è molto raro;
   la malattia di Parkinson si colloca in terza posizione, fra 35 patologie oggetto di analisi dei dati di health search 2010-2011, per numero di contatti/paziente/anno con un valore di 7,86 subito dopo le malattie ischemiche del cuore (8,47) e il diabete mellito di tipo II (8,06), precedendo tutte le altre patologie, molte delle quali hanno notoriamente una prevalenza superiore nella popolazione generale (fibrillazione atriale 7,64; scompenso cardiaco congestizio 6,82; ipertensione non complicata 6,70 e così via);
   la diagnosi è essenzialmente clinica, viene effettuata in base all'anamnesi (storia clinica), ai sintomi ed al loro andamento nel tempo. Nei primi anni di malattia la diagnosi non è facile. In caso di sintomi non ben definiti il paziente, soprattutto nelle prime fasi di malattia, viene erroneamente inviato ad altri specialisti (ortopedico, fisiatra e altri) prima dell'invio ad un neurologo esperto. Infatti, i tempi necessari per ottenere una diagnosi di malattia di Parkinson sono in media di 16,8 mesi;
   ad oggi non esiste un trattamento risolutivo, la terapia farmacologica è essenzialmente una terapia sintomatica che ha lo scopo di ovviare alla carenza di dopamina. La terapia deve essere il più possibile personalizzata ed impostata in base alle caratteristiche del paziente. Non esistono, infatti, linee guida univoche sul trattamento della fase iniziale, a sottolineare come non esista una terapia standardizzata, idonea per tutti i pazienti;
   la velocità della progressione della malattia varia considerevolmente da paziente a paziente. Con le terapie moderne i pazienti parkinsoniani, soprattutto quelli con esordio giovanile, possono vivere a lungo e convivere con la malattia per 30 anni e oltre;
   la gestione del paziente si modifica in funzione della storia naturale della malattia, in fase precoce, intermedia o avanzata, e in relazione all'associazione di sintomi non motori che appaiono determinanti, soprattutto nelle fasi più avanzate, per la disabilita e la qualità della vita del paziente;
   la malattia di Parkinson, in quanto fortemente invalidante, ha elevati costi diretti sanitari ed indiretti, sia a carico del paziente sia a carico dei familiari che se ne prendono cura (ad esempio, esami diagnostici, trasferimento del malato, visite e terapie di supporto ed altro). I costi del trattamento aumentano con la progressione della patologia, la presenza di discinesie, di fluttuazioni motorie, di sintomi non motori e l'aumento del tempo in «off»;
   un paziente affetto da Parkinson in stadio avanzato (caratterizzato da discinesie ed elevata percentuale del tempo in «off») costa al servizio sanitario nazionale circa 73.303,84 euro all'anno comprensivi di costi diretti sanitari, costi indiretti e assistenza specializzata;
   la «Carta dei diritti del parkinsoniano» presentata dall'Associazione italiana Parkinson presso la Camera dei deputati l'8 maggio 2014; individua tre categorie di problemi cui vanno incontro i malati di Parkinson e le relative famiglie: la difficoltà a ottenere in tempi ragionevoli e senza spostamenti troppo gravosi diagnosi accurata e impostazione e gestione nel tempo della terapia presso centri o reti specializzate; la difficoltà a ottenere servizi di sostegno sociale e socio-sanitario adeguati a compensare per quanto possibile la perdita di autonomia e di qualità della vita; la carenza di risorse per la ricerca scientifica finalizzata a combattere la malattia e i suoi esiti invalidanti;
   la stessa «Carta dei diritti del parkinsoniano» chiede ai decisori politici di: avere una visione a 360 gradi della malattia di Parkinson; riqualificare e potenziare l'offerta territoriale di servizi sanitari e socio-sanitari per ridurre le diseguaglianze nell'accesso alla diagnosi, al trattamento e alla gestione della malattia di Parkinson; identificare delle strutture ospedaliere di riferimento che consentano un più rapido accesso alle cure per i pazienti con malattia di Parkinson e, in particolare, nei pazienti in stadi più avanzati della malattia; migliorare e riqualificare il finanziamento per la ricerca scientifica nell'ambito delle malattie neurodegenerative; favorire la formazione e la sensibilizzazione agli specifici problemi della malattia di Parkinson del personale sanitario e dei servizi sociali, oltre che degli amministratori di enti locali e dei componenti di tutti gli organi di decentramento; coinvolgere e recepire le indicazioni dei malati e delle loro famiglie;
   sebbene una delle priorità del servizio sanitario nazionale sia quella di offrire al paziente un modello di assistenza che garantisca appropriatezza terapeutica e continuità assistenziale, è assente un documento nazionale programmatorio specifico per la malattia di Parkinson, né la stessa è oggetto di specifica attenzione nei documenti di programmazione più recentemente approvati, quali il piano sanitario nazionale 2006-2008 e il piano nazionale di prevenzione 2010-2012 –:
   quali siano le iniziative di competenza che intende intraprendere per ridurre le diseguaglianze sul territorio nell'accesso alla diagnosi, nel trattamento e nella gestione della malattia di Parkinson durante tutta la sua evoluzione, ad esempio mediante la definizione di percorsi diagnostici terapeutici assistenziali, anche identificando delle strutture ospedaliere di riferimento che consentano un più rapido accesso alle cure per i pazienti con malattia di Parkinson e, in particolare, nei pazienti in stadi più avanzati della malattia. (3-01022)
(16 settembre 2014)

   GUIDESI, MARCO RONDINI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e SIMONETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo indiscrezioni di stampa la manovra di finanza pubblica per il 2014 dovrebbe prevedere un taglio delle risorse per ciascun ministero dell'ordine del 3 per cento. Nel caso del Ministero della salute non è ancora chiaro se si tratti di un taglio ai costi di funzionamento del Ministero stesso o se la percentuale annunciata sia da riferirsi anche all'intero fondo sanitario nazionale;
   questa seconda ipotesi ha creato il prevedibile allarme, soprattutto perché nulla di concreto è stato fatto dal Governo per chiarire quale sarà il metodo di revisione della spesa applicato per raggiungere l'obbiettivo di taglio, salvo generici e ormai abusati e vaghi riferimenti al taglio degli sprechi;
   sul riparto del fondo sanitario nazionale il percorso di applicazione dei costi standard avrebbe dovuto essere completato a partire dal 2014; di fatto, circa il 10 per cento del fondo dovrebbe essere ripartito sulla base di meccanismi premiali e di virtuosità tra gli enti regionali;
   da quest'anno per tutta la ripartizione della restante parte del fondo saranno prese in considerazione le tre regioni che la conferenza Stato-regioni ha deciso di assumere a modello: Umbria, Emilia-Romagna e Veneto. In particolare, è stato calcolato il costo medio pro capite sanitario delle tre regioni di riferimento; questo numero è stato poi moltiplicato per la popolazione pesata delle singole regioni, suddividendo poi i risultati per singoli livelli essenziali di assistenza;
   quello che viene, dunque, proposto come applicazione dei costi standard è in realtà un concetto utilizzato ingannevolmente: nulla a che vedere con il costo del prodotto o del servizio sanitario. Nella sostanza l'espressione costi standard utilizzata dal Governo si riferisce a quanto le regioni pagano, di fatto, oggi per erogare servizi sanitari ai loro cittadini. L'assunzione delle regioni benchmark, benché quelle con i bilanci più sani, sono un punto di riferimento di spesa attuale e non standard, fatta all'unico scopo di decidere come suddividere il fondo sanitario nazionale (stabilito come ammontare disponibile e non come cifra necessaria) tra le varie regioni, senza alcuna garanzia che la spesa venga usata in modo efficiente, né alcuna garanzia di omogeneità nella spesa, a parità di servizio;
   senza una definizione reale del costo standard per beni, servizi e funzioni della sanità il taglio lineare paventato rischia di mettere in discussione il sistema di assistenza sanitaria dell'intero Paese, indistintamente per regioni virtuose o meno, per realtà efficienti e meno efficienti –:
   se il taglio di risorse previsto per il Ministero della salute riguarderà anche il fondo sanitario nazionale e come si intenda agire per ottenere un riparto del taglio basato su costi standard calcolati in termini di efficienza, in modo da superare definitivamente il criterio della spesa storica. (3-01023)
(16 settembre 2014)

   DORINA BIANCHI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 30 giugno 2014 è divenuto obbligatorio il processo civile telematico per tutti i procedimenti per decreto ingiuntivo e per tutte le memorie endo-procedimentali nelle cause civili di nuova iscrizione, in seguito ad un confronto con i rappresentanti delle diverse componenti del settore della giustizia civile, coinvolte nei lavori di un «tavolo permanente»;
   indubbiamente si tratta di uno strumento dalla grande portata innovativa: in primo luogo perché consente di perseguire lo scopo di una significativa riduzione dei tempi di trattazione delle cause ed inoltre perché si inserisce nell'obiettivo complessivo di una sempre maggiore informatizzazione del sistema giudiziario –:
   quante risorse il Governo intenda destinare all'implementazione del processo civile telematico ed al suo ulteriore dispiegamento, nella ragionevole aspettativa che il Governo prosegua nel metodo adottato con il «tavolo permanente» anche nella gestione e nella verifica del funzionamento del processo civile telematico su cui ci si aspettano precise rassicurazioni. (3-01024)
(16 settembre 2014)

   RUSSO, FAENZI e PALESE. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   i prodotti agricoli italiani scontano una crisi economica senza precedenti, cui si aggiunge la contingenza talvolta delle condizioni atmosferiche avverse e talaltra dell'embargo russo;
   le eccellenze agroalimentari del nostro Paese sopravvivono alle difficoltà perché testimonial di valori esclusivi come la qualità, la tradizione ed il forte potere evocativo dei singoli luoghi di produzione;
   numerosissime sono le aziende che hanno investito risorse nei marchi dop, igp, stg, doc e docg che sono riconosciuti dall'Europa e che rappresentano una garanzia di genuinità, tracciabilità e provenienza specifica;
   sugli agricoltori italiani incombe come un macigno la suggestiva idea che il Governo avrebbe avuto, quella cioè di promuovere con oltre 220 milioni di euro un ennesimo marchio, che si aggiungerebbe a quelli esistenti;
   sembra, quindi, che per sconfiggere il fenomeno noto come italian sounding si è pensato ad un ulteriore marchio, il cui titolo provvisorio sarebbe l'inglesissimo italian original;
   il risultato sarà la solita giostra di risorse dispensate a mediatori vari ed improvvisati e, soprattutto, concorrenza tra gli stessi operatori italiani e tanta confusione, in particolare nei confronti di quelle migliaia di aziende che viceversa hanno creduto nelle dop e nelle igp, garantendo qualità, tracciabilità e territorio;
   nella migliore delle ipotesi, senza considerare i dubbi in merito alla compatibilità con la legislazione europea, si tratterà di un altro regalo parassitario ad un pezzo di un'industria aspecifica di trasformazione di prodotti che giungono dall'estero e deprimono l'agricoltura e le tradizioni italiane;
   se negli Stati Uniti si promuove con i fondi italiani la mozzarella di bufala a marchio italian original, ma viene prodotta con cagliata ucraina oppure se si sponsorizza il vino, sempre italian original, pur essendo a basso costo, ci si chiede che fine faranno la mozzarella di bufala campana dop o i tanti vini a marchio, o il parmigiano reggiano dop. Il rischio è quello di esporre prestigiosi prodotti di eccellenza e più specificatamente quelli a marchio (dop, igp, stg, doc e docg), quali, per esempio, la mozzarella di bufala campana, il parmigiano reggiano ed il prosciutto di Parma, la cui qualità è universalmente riconosciuta e ammirata, al riconoscimento abbinato tra la tipicità e la genericità, con ricadute economiche negative e penalizzanti proprio per quelle filiere che tante difficoltà incontrano nei mercati stranieri per mantenere affidabilità e quote di mercato; tanti rischi e nessun aiuto alle imprese che assumono ogni iniziativa all'estero per sbarcare il lunario e consolidare la loro presenza sui mercati, nessun aiuto sul piano del commercio illegale e sul fronte della concorrenza sleale, nessun aiuto tecnico giuridico nel contrastare l’italian sounding –:
   se sia vero che è stato ideato il marchio italian original e se si sia valutato l'impatto che questo avrebbe, se adeguatamente promosso con 220 milioni di euro, a danno dei prodotti a marchio, che da soli valgono oltre 7 miliardi di euro di fatturato ed una storia di qualità e tracciabilità. (3-01025)
(16 settembre 2014)

   PANNARALE, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DURANTI, DANIELE FARINA, FERRARA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MARCON, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, SCOTTO e ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il progetto Trans Adriatic pipeline (TAP) – in base all'accordo siglato ad Atene in data 13 febbraio 2013 dalla Repubblica di Albania, la Repubblica greca e la Repubblica italiana – prevede la costruzione di un gasdotto lungo 871 chilometri finalizzato al trasporto di gas naturale dalla regione caspica alla costa meridionale della Puglia, con attraversamento dei territori greco (510 chilometri), albanese (151 chilometri) e il passaggio nel Mar adriatico;
   il percorso del gas, trasportato mediante una condotta in acciaio, prevede una competenza italiana di circa 50 chilometri, di cui 45 offshore e 8 onshore. Quest'ultimo tratto di condotta dovrebbe concludersi presso il terminale di ricezione del gas da ubicare, come da progetto, nella località turistica di San Foca, in prossimità del comune di Melendugno (Lecce);
   la capacità iniziale di gas viene quantificata in 10 miliardi di metri cubi per anno, potenzialmente espandibili, senza precisazioni su tempi e modalità, a 20 miliardi;
   il Gruppo parlamentare di Sinistra, ecologia e libertà ha ripetutamente espresso la propria contrarietà al progetto in sede di ratifica dell'accordo tra la Repubblica greca e la Repubblica italiana sul progetto Trans Adriatic pipeline;
   la regione Puglia e, più in generale, le istituzioni locali hanno comunicato in diverse occasioni la propria contrarietà al progetto;
   la regione Puglia, già attraverso la deliberazione della giunta regionale n. 1805 del 18 settembre 2012, aveva espresso un giudizio negativo di compatibilità ambientale in merito al primo progetto Trans Adriatic pipeline presentato nel marzo del 2012, per il quale anche il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio aveva richiesto corpose integrazioni; i termini assegnati erano stati oggetto di numerose proroghe e la variante al progetto è stata presentata solamente nel settembre 2013;
   la regione Puglia ha avviato un percorso partecipato di valutazione del progetto Trans Adriatic pipeline, conclusosi a Lecce nel dicembre 2013. Tale percorso ha reso evidente la forte contrarietà degli enti locali, di numerose associazioni ambientaliste e stakeholder (pesca e turismo) alla realizzazione del gasdotto, in particolare in relazione al previsto approdo nella località di San Foca;
   il comitato regionale di valutazione di impatto ambientale ha espresso, nella seduta del 14 gennaio 2014, parere negativo alla realizzazione del progetto proposto dalla Trans Adriatic pipeline, basandosi sui numerosi pareri, osservazioni e contributi pervenuti. Il comitato ha segnalato la totale assenza, nello studio di impatto ambientale presentato dalla società, di riferimenti all'infrastruttura necessaria per il trasporto del gas nella rete nazionale, in riferimento al collegamento Vernole-Mesagne (Lecce-Brindisi), da realizzarsi a cura di Snam rete gas (si tratta di oltre 20 chilometri di rete); inoltre, veniva rilevata la mancanza di una puntuale disamina della totalità dei soggetti che avrebbero potuto subire impatti negativi dalla realizzazione dell'opera, nonché una scarsa considerazione degli impatti sull'economia locale, di natura fortemente turistica, in particolare per ciò che concerne la qualità delle acque di balneazione in fase di cantiere e di esercizio; ulteriori contrasti venivano riscontrati con le normative di tutela del paesaggio relative all'attraversamento delle dune a ridosso della linea di costa. Il comitato ha, inoltre, stigmatizzato l'esclusione delle alternative progettuali riferite a diversi approdi, sulla scorta di valutazioni poco oggettive e scarsamente condivisibili, in particolare in relazione alla città di Brindisi, considerata non adatta per una generica mancata previsione negli strumenti urbanistici;
   ancora oggi pende un contenzioso tra la regione Puglia e la Trans Adriatic pipeline, in relazione al ricorso straordinario presentato dalla suddetta società al Presidente della Repubblica per l'annullamento della nota del 30 aprile 2014, prot. 0001790. Tale atto prevede, infatti, l'assoggettamento del terminale di ricezione del gasdotto al decreto legislativo n. 334 del 1999 di attuazione della direttiva 96/82/CE, relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose, nota anche come «direttiva Seveso II». In tal senso il Servizio rischio industriale della regione Puglia sostiene che, pur non rientrando la condotta sottomarina nel campo di applicazione della normativa, lo stesso non possa dirsi per il terminale di ricezione, che detiene un quantitativo di gas superiore alle soglie previste;
   il 29 agosto 2014 la Commissione nazionale di valutazione di impatto ambientale ha espresso parere favorevole al progetto della Trans Adriatic pipeline; tuttavia, le informazioni relative all'atto non risultano ancora disponibili e quelle reperibili non sono esaurienti;
   in concomitanza con la trasmissione del parere favorevole della Commissione nazionale di valutazione di impatto ambientale, il Presidente del Consiglio dei ministri ha annunciato il via libera al gasdotto, non tenendo conto delle numerose prescrizioni che la Commissione stessa ha posto come condizione allo sviluppo del progetto; in tal modo, il Presidente del Consiglio dei ministri ha, di fatto, trasformato una valutazione tecnica in un provvedimento politico. Ad avvalorare tale considerazione contribuisce la dichiarazione del medesimo relativa alla sua visita ufficiale, in data 20 settembre, a Baku (Azerbaijan);
   contrariamente al giudizio favorevole della Commissione nazionale di valutazione di impatto ambientale, la direzione generale dei beni per il paesaggio, le belle arti, l'architettura e l'arte contemporanea del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ha espresso parere tecnico istruttorio negativo alla richiesta di compatibilità ambientale presentata da Trans Adriatic pipeline, in relazione all'alto valore paesaggistico dell'area, dichiarata di notevole interesse pubblico. Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo sottolinea, infatti, l'estrema importanza del paesaggio agrario del Salento, territorio particolarmente pregevole e altamente significativo per stato di integrità, valore testimoniale e profondità storica, la cui configurazione si fonda sulla «trama agraria» disegnata dalle «chiusure» realizzate in pietra a secco e dal mosaico continuo dei diversificati sesti di impianto degli uliveti, con presenza di numerosi esemplari aventi caratteristiche monumentali. In un tale contesto, un'opera come quella presentata nel progetto della Trans Adriatic pipeline creerebbe un complesso di natura industriale sproporzionato e incongruo con la natura agraria del sito –:
   quali siano gli intendimenti del Governo a fronte delle criticità emerse in sede istruttoria, ed in particolare alla luce dei rilievi del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, degli enti locali e della regione Puglia, con specifico riferimento all'inadeguatezza dell'approccio metodologico adottato in sede di ponderazione delle ricadute ambientali e paesaggistiche delle varie soluzioni localizzative, anche in ordine all'evidenziata inadeguatezza dell'approdo di San Foca scelto dalla società, nonché all'applicazione delle tutele previste dalla normativa «Seveso» in relazione alla valutazione dei rischi incidentali. (3-01026)
(16 settembre 2014)

   DI GIOIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'annosa vicenda della piena operatività dell'aeroporto «Gino Lisa» di Foggia ha assunto, al di là delle formali dichiarazioni di buona volontà, quelli che all'interrogante appaiono i toni della farsa;
   da anni le istituzioni locali, i cittadini, gli operatori economici richiedono che si dia il via al potenziamento infrastrutturale del territorio a partire proprio dall'aeroporto «Gino Lisa»;
   da mesi la commissione tecnica per la valutazione di impatto ambientale-valutazione ambientale strategica del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è impegnata nella stesura dell'istruttoria tecnica relativa alla procedura di valutazione di impatto ambientale;
   da quanto si apprende la stessa commissione avrebbe richiesto ulteriore documentazione all'Enav e questo prolungamento dei tempi, dopo anni di ritardi e rinvii, sta suscitando una forte preoccupazione tra le popolazioni locali, che, per l'ennesima volta, si vedrebbero sottratta un'opera strategica per la ripresa economica dell'intera provincia;
   in questo modo l'arretratezza delle infrastrutture di mobilità, che, da sempre, rappresenta un pesante handicap con il quale questo territorio deve fare i conti, continuerà a impedire agli operatori economici di poter competere, ad armi pari, con altre realtà produttive del Paese;
   nei fatti si impedisce alla provincia di Foggia e alla Capitanata di sviluppare il potenziale turistico e turistico-religioso che potrebbe fungere da volano per la ripresa e lo sviluppo, così come è stato denunciato, più volte, anche dalla stessa camera di commercio e dall'Associazione industriali della città di Foggia;
   d'altra parte, la dinamica dei ritardi che si sono accumulati negli anni sembrerebbe dimostrare una volontà politica tesa ad impedire il rilancio del territorio e ciò sarebbe in netto contrasto con quella necessità di «puntare» sul Mezzogiorno come asse strategico della ripresa economica del Paese –:
   quali siano le motivazioni dell'assurdo ritardo da parte della commissione tecnica per la valutazione di impatto ambientale-valutazione ambientale strategica del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e come si intenda operare affinché si accelerino tali procedure al fine di non lasciare inevase le giuste aspettative delle popolazioni e delle forze produttive del territorio, che puntano su quest'opera per rilanciare un'economia strutturalmente depressa, soprattutto a causa della cronica mancanza di opere infrastrutturali. (3-01027)
(16 settembre 2014)

   TINAGLI e GALGANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 13 del regio decreto-legge 14 aprile 1939, n. 636, così come modificato dall'articolo 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218, recante misure inerenti al riordinamento delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, dispone che: «Nel caso di morte del pensionato o dell'assicurato, sempreché per quest'ultimo sussistano, al momento della morte, le condizioni di assicurazione e di contribuzione di cui all'articolo 9, n. 2, lettere a) e b), spetta una pensione al coniuge e ai figli superstiti che, al momento della morte del pensionato o dell'assicurato, non abbiano superato l'età di 18 anni e ai figli di qualunque età riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di questi»;
   per i figli superstiti che risultino a carico del genitore al momento del decesso e non prestino lavoro retribuito, il limite di età è elevato a 21 anni qualora frequentino una scuola media professionale e per tutta la durata del corso legale, ma non oltre il 26o anno di età, qualora frequentino l'università;
   ai fini del diritto alla pensione ai superstiti, i figli in età superiore ai 18 anni e inabili al lavoro, i figli studenti, i genitori, nonché i fratelli celibi e le sorelle nubili permanentemente inabili al lavoro, si considerano a carico dell'assicurato o del pensionato se questi, prima del decesso, provvedeva al loro sostentamento in maniera continuativa;
   la ratio della norma è quella di consentire ad un figlio superstite di non vedere ridimensionate le proprie capacità, ma soprattutto di non vedere pregiudicate le possibilità di completare gli studi, fino al conseguimento della laurea nonostante la morte del genitore;
   la norma si riferiva ad un periodo storico in cui il massimo titolo conseguibile era, appunto, la laurea, non essendo all'epoca ancora intervenute le riforme che hanno introdotto molteplici tipologie di titoli universitari (laurea triennale, specialistica, master e altro). La norma, quindi, non prevedeva periodi di interruzione degli studi universitari inevitabili nel passaggio da un corso universitario all'altro;
   l'evoluzione dei percorsi di studio sopra indicati, accompagnata da un'interpretazione restrittiva della norma, può generare situazioni di disagio ed ingiustizia sociale, che penalizzano giovani studenti che perdono il padre nel periodo di transizione da un corso/titolo di studi al successivo; è questo il caso di J.C., che nel marzo 2013, qualche settimana dopo la laurea triennale e prima dell'iscrizione alla laurea specialistica, perde il padre. L'Inps di Gubbio assicura la famiglia che il ragazzo, all'epoca ventitreenne, avrebbe avuto diritto alla pensione di reversibilità;
   nella primavera/estate 2013 il ragazzo ha proceduto con i necessari adempimenti e accertamenti, per iscriversi alla laurea al corso specialistico in inglese e spagnolo presso l'Università di Alicante, dove si è immatricolato il 5 agosto 2013, e al suo ritorno, in data 27 agosto 2013, ha inoltrato la richiesta di pensione, presentando il documento di laurea di Perugia e quello di immatricolazione ad Alicante, dove lo studente si è trasferito nel mese di settembre 2013 per poter iniziare a frequentare i corsi;
   a distanza di diversi mesi e dopo diverse sollecitazioni all'Inps, successive alla richiesta della pensione di reversibilità da parte del ragazzo e della madre, vista la sussistenza dei requisiti necessari (figlio naturale che alla data del decesso del padre era fiscalmente a carico dello stesso), dal momento che la pensione di reversibilità non veniva attribuita, la madre del ragazzo con raccomandata ha inviato all'attenzione dell'Inps ulteriore sollecito della richiesta di pensione di reversibilità a favore del figlio, non ancora ventiseienne, studente presso l'Università di Alicante (Spagna);
   dopo diverse richieste, la madre ha ottenuto dai funzionari Inps la risposta che non sussisterebbe il diritto alla pensione, in quanto alla data del decesso del padre J.C. non era iscritto a nessuna scuola o università, dunque non era studente;
   lo studente J.C. ha seguito un percorso universitario obbligato: ha conseguito nei tempi più brevi e con profitto la laurea triennale e ha espletato le formalità necessarie nei mesi successivi per potersi iscrivere alla laurea specialistica;
   al momento della morte del padre si trovava tra un ciclo e l'altro del suo percorso universitario, dunque in quel momento non avrebbe potuto in nessun caso essere iscritto. Il ragazzo sta proseguendo con sacrifici i suoi studi ad Alicante, che sarà tuttavia costretto ad interrompere in caso di mancata corresponsione della pensione di reversibilità –:
   quali urgenti iniziative intenda porre in essere per ovviare ad un'interpretazione della norma descritta in premessa ormai superata e non rispondente ai percorsi di studi previsti oggi dall'ordinamento italiano, che non premia il merito dei giovani e penalizza quelli già colpiti da gravi situazioni familiari. (3-01028)
(16 settembre 2014)

   GNECCHI, ALBANELLA, BARUFFI, BOCCUZZI, CASELLATO, DELL'ARINGA, FARAONE, CINZIA MARIA FONTANA, GIACOBBE, GREGORI, GRIBAUDO, INCERTI, MAESTRI, MARTELLI, MICCOLI, PARIS, GIORGIO PICCOLO, ROTTA, SIMONI, ZAPPULLA, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come noto, il comma 10 dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 («decreto salva-Italia»), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha disposto nuovi requisiti per l'accesso alla pensione anticipata, prevedendo, tra l'altro, l'introduzione di un sistema di penalizzazioni che si attiva qualora gli aventi diritto – gli uomini con un'anzianità contributiva di almeno 42 anni e 1 mese e le donne di almeno 41 anni e 1 mese – anticipino l'accesso al pensionamento rispetto all'età di 62 anni, pari a una riduzione di 1 punto percentuale del trattamento pensionistico per ogni anno di anticipo nell'accesso al pensionamento rispetto alla predetta soglia anagrafica e di 2 punti per ogni anno ulteriore di anticipo rispetto a due anni;
   l'articolo 6, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, ha successivamente stabilito la non applicabilità delle predette penalizzazioni ai soggetti che maturano il requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017, qualora questa derivi esclusivamente da prestazione effettiva di lavoro, prevedendo solo alcune deroghe quali quelle per i periodi di astensione obbligatoria per maternità, per L'assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia e di cassa integrazione guadagni ordinaria;
   tale quadro normativo finisce per determinare la paradossale conseguenza di penalizzare diverse categorie di soggetti che maggiormente rischiano di subire gli effetti più pesanti di tale meccanismo di decurtazione dell'assegno pensionistico, quali i cosiddetti «precoci» o alcune categorie di lavoratori che in virtù delle particolari condizioni di esecuzione della loro attività lavorativa sono stati riconosciuti meritevoli di apposite disposizioni di tutela, quali i lavoratori che svolgono lavori usuranti o i lavoratori che sono stati esposti per periodi prolungati all'amianto;
   sembrerebbe paradossale che proprio i lavoratori che si trovano a vivere condizioni di maggior fatica e pericolo per la loro salute debbano essere maggiormente penalizzati economicamente per l'effetto dell'applicazione di divergenti disposizioni di legge, ovvero quelle che, da una parte, prevedono delle specifiche anticipazioni dei requisiti anagrafici e, dall'altra, quelle dell'articolo 24, comma 10, del richiamato decreto-legge n. 201 del 2011, che prevedono una decurtazione dell'assegno pensionistico qualora si vada in pensione prima del compimento dei 62 anni;
   per porre rimedio a tale evidente incongruenza delle richiamate disposizioni, in occasione dell'esame del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, si era provveduto a riformulare il disposto del citato articolo 6, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, escludendo, in via generale e senza illogiche distinzioni, l'applicazione delle penali a tutti i soggetti che avrebbero maturato il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017;
   tale intervento correttivo è stato ipotizzato, tenendo conto dei calcoli elaborati dall'Inps relativi ai potenziali beneficiari e ai relativi oneri finanziari. Tuttavia, su tali dati si è registrata una diversa valutazione da parte della Ragioneria generale dello Stato che ha determinato il Governo a espungere tale disposizione, insieme ad altre, nel corso dell'esame da parte dell'altro ramo del Parlamento;
   a prescindere dal ripetersi di situazioni in cui si sono registrate diverse valutazioni tra i diversi enti e organi dello Stato circa gli effetti delle misure in materia previdenziale, si deve rimarcare la mancata soluzione di un problema che, pur essendo stato segnalato sin dalle prime fasi di esame del decreto-legge «salva-Italia», determina una palese ingiustizia a fronte di risparmi piuttosto esigui e aleatori, soprattutto se valutati alla luce della portata finanziaria della manovra operata sul sistema previdenziale del nostro Paese –:
   se non ritenga opportuno, nel quadro di un intervento più organico che ponga rimedio ai problemi più evidenti scaturiti a seguito dell'entrata in vigore del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, già in occasione del prossimo disegno di legge di stabilità, trovare una specifica soluzione al tema delle penalizzazioni previste dal comma 10 dell'articolo 24 del medesimo decreto, sulla falsa riga di quanto proposto alla Camera dei deputati, in occasione dell'esame del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114.
(3-01029)
(16 settembre 2014)

   TAGLIALATELA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Europa ha individuato nella disoccupazione giovanile una priorità e con la raccomandazione europea 2013/C120/01 del 22 aprile 2013 ha previsto l'istituzione del programma «Garanzia giovani», in base al quale politici e tecnici sono chiamati a rispondere alle difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro dei ragazzi con tempi e modi uniformi e omogenei, sia nei territori nazionali sia in ambito europeo;
   il programma «Garanzia giovani» (Youth guarantee) prevede l'erogazione di finanziamenti in favore dei Paesi membri dell'Unione europea con tassi di disoccupazione superiori al 25 per cento che saranno investiti in politiche attive di orientamento, istruzione e formazione e inserimento al lavoro, a sostegno dei giovani che non sono impegnati in un'attività lavorativa, né inseriti in un percorso scolastico o formativo (neet - not in education, employment or training);
   in sinergia con la raccomandazione europea del 2013, l'Italia dovrà garantire ai giovani al di sotto dei trenta anni un'offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio, entro 4 mesi dall'inizio della disoccupazione o dall'uscita dal sistema d'istruzione formale;
   il programma «Garanzia giovani» richiede una strategia unitaria e condivisa tra Stato e regioni ai fini di un'efficace attuazione a livello territoriale e, quindi, accanto al piano nazionale che individua le azioni comuni su tutto il territorio nazionale, ciascuna regione ha l'impegno di adottare un proprio piano attuativo per definire quali sono le misure del programma che vengono attivate sul territorio, in coerenza con la strategia nazionale;
   per contribuire a realizzare gli obiettivi previsti dal programma, l'articolo 5 del decreto-legge n. 76 del 2013 ha istituito un'apposita struttura di missione che coinvolge, oltre al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e alle sue agenzie tecniche (Isfol e Italia lavoro), l'Inps, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministero dello sviluppo economico, il dipartimento della gioventù della Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell'economia e delle finanze, le regioni e le province autonome, le province e Unioncamere;
   la struttura di missione ha sviluppato il piano di attuazione italiano della Garanzia per i giovani, nel quale sono declinati gli obiettivi e i risultati attesi, oltre che gli strumenti operativi, del programma in Italia;
   l'esclusione dalla «Garanzia giovani» degli studenti, da ultimo ribadita con la nota del direttore generale della direzione generale per le politiche attive e passive del lavoro del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 4 luglio 2014, comporta un ulteriore disallineamento tra le aspettative dei giovani e i reali fabbisogni delle economie locali, posto che la garanzia prevede misure e dispositivi utili a colmare i divari formativi con attività esperienziali (formazione, tirocinio) non previste dal sistema scolastico e universitario e che, al contrario, risultano estremamente utili alle imprese;
   alcune regioni, pur avendo già dato avvio alle iscrizioni per partecipare al programma «Garanzia giovani» non hanno ancora posto in essere le convenzioni con le aziende per dare concreta attuazione agli obiettivi dello stesso –:
   se non ritenga di assumere iniziative per estendere il programma di cui in premessa anche ai giovani di età compresa tra i 15 ed i 29 anni, che siano inseriti in percorsi scolastici, formativi o universitari, e quali iniziative intenda assumere al fine di garantire il regolare ed efficace svolgimento del programma. (3-01030)
(16 settembre 2014)

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