TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 300 di Mercoledì 1 ottobre 2014

 
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INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   VIGNALI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legge 11 novembre 2011, n. 180, «Norme per la tutela della libertà di impresa. Statuto delle imprese» è stata salutata come «una rivoluzione copernicana nei rapporti tra lo Stato e le piccole e medie imprese», prevedendo che l'intervento pubblico e l'attività della pubblica amministrazione debbano conformarsi alle esigenze delle micro, piccole e medie imprese;
   l'articolo 18 della citata legge prevede che, entro il 30 giugno di ciascun anno, il Governo debba presentare al Parlamento una «legge annuale per le micro, piccole e medie imprese» volta a definire lo sviluppo e gli interventi per la loro tutela, le norme per l'immediata riduzione degli oneri burocratici a loro carico, le misure di semplificazione amministrativa e le deleghe al Governo in materia di tutela e sviluppo delle micro, piccole e medie imprese;
   il disegno di legge annuale citato, ad oggi, non è stata ancora presentata –:
   se ed entro quale data il Governo intenda presentare il disegno di legge di cui all'articolo 18 della legge n. 180 del 2011. (3-01052)
(presentata il 30 settembre 2014)

   LIBRANDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le tensioni geopolitiche riguardanti alcune tra le principali aree di provenienza delle fonti idrocarburiche utilizzate in Italia – la Russia e la Libia in primis – determinano forti incertezze sulla stabilità degli approvvigionamenti e sull'adeguatezza della Strategia energetica nazionale italiana a questi nuovi mutati scenari;
   come dichiarato dalla compagnia energetica polacca Pgnig Gas e dalla società di trasporto ucraina Ukrtransgaz, ad esempio, Gazprom avrebbe già unilateralmente tagliato del 24 per cento le forniture di gas alla Polonia per bloccare il cosiddetto «flusso inverso» (reverse flow) all'Ucraina, cioè la rivendita a quest'ultima del gas acquistato dalla Russia;
   nonostante la smentita ufficiale di Gazprom, notizie di riduzioni delle forniture giungono anche da altri Paesi europei che, con una decisione coordinata con la Commissione europea, hanno accettato di rivendere gas all'Ucraina dopo il taglio delle forniture operato nel mese di giugno 2014 dalla compagnia energetica russa: la Slovacchia, ad esempio, afferma che anche le sue forniture sono diminuite del 10 per cento; una leggera riduzione dei flussi nei gasdotti riguarderebbe anche la Germania, secondo la compagnia tedesca E.On;
   per i principali analisti – come l'istituto di ricerca economico tedesco Diw – l'Europa avrebbe i margini per gestire nel breve periodo un'eventuale interruzione della fornitura di gas russo, grazie alla maggiore importazione di gas naturale liquefatto (gnl), al calo dei consumi e all'aumento delle riserve accumulate negli ultimi mesi, con stoccaggi pieni per circa il 90 per cento;
   tuttavia, tali stime sono soggette alla variabile climatica del prossimo inverno e alle forti instabilità riguardanti anche altri fornitori di gas per l'Italia, come la Libia; per l'Italia, peraltro, stante il ritardo accumulato negli anni sul piano infrastrutturale (ad esempio, sui rigassificatori) e su quello della ricerca e della produzione nazionale di idrocarburi, il livello di dipendenza dal gas straniero costituisce un fattore di obiettiva vulnerabilità anche nel breve periodo –:
   quale sia il livello effettivo dello stoccaggio di gas in Italia, anche valutato in numero di mesi di autosufficienza in caso di interruzione totale delle forniture russe, e se il Governo stia predisponendo una strategia alternativa di approvvigionamento da implementare in caso di escalation negativa dei rapporti tra l'Europa e la Federazione russa. (3-01053)
(presentata il 30 settembre 2014)

   NESCI e LIUZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto stabilito dal decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, il servizio pubblico generale radiotelevisivo è affidato per concessione a una società per azioni che lo svolge sulla base di un contratto nazionale di servizio stipulato con il Ministero dello sviluppo economico, assolvendo a tutti i compiti di informazione e di diffusione specificati all'articolo 45;
   per l'adempimento dei compiti stabiliti nel contratto, «entro il mese di novembre di ciascun anno, il Ministro delle comunicazioni, con proprio decreto, stabilisce l'ammontare del canone di abbonamento in vigore dal 1o gennaio dell'anno successivo, in misura tale da consentire alla società concessionaria della fornitura del servizio di coprire i costi che prevedibilmente verranno sostenuti in tale anno per adempiere gli specifici obblighi di servizio pubblico generale radiotelevisivo affidati a tale società, come desumibili dall'ultimo bilancio trasmesso, prendendo anche in considerazione il tasso di inflazione programmato e le esigenze di sviluppo tecnologico delle imprese. La ripartizione del gettito del canone dovrà essere operata con riferimento anche all'articolazione territoriale delle reti nazionali per assicurarne l'autonomia economica» (articolo 47, comma 3);
   con il decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, è stato disposto, all'articolo 21, che Rai spa «può procedere alla cessione sul mercato, secondo modalità trasparenti e non discriminatorie, di quote di Rai Way, garantendo la continuità del servizio erogato»;
   inoltre, il predetto articolo 21 prescrive che «le modalità di alienazione sono individuate con decreto del Presidente del consiglio dei ministri adottato su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze d'intesa con il Ministro dello sviluppo economico»;
   inoltre, nel citato articolo – sul cui impianto più parti hanno manifestato forti dubbi di legittimità costituzionale, peraltro, secondo notizie stampa, con impugnative in fieri – è aggiunto che «le somme da riversare alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, di cui all'articolo 27, comma 8, primo periodo, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, sono ridotte, per l'anno 2014, di euro 150 milioni»;
   la riferita riduzione delle somme contrasta, oltretutto, con «un rilevante scostamento tra l'ammontare dei costi di servizio pubblico e le risorse pubbliche effettivamente destinate alla Rai, per un ammontare pari ad euro 1.348,9 milioni», questo dedotto formalmente dall'associazione Articolo 21, di cui il fondatore, Giuseppe Giulietti, è stato membro della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi;
   secondo notizie di stampa, si starebbe cedendo una quota di Rai Way maggiore del necessario, per un importo di 400 milioni di euro, nonostante le perdite da recuperare siano per il Governo di 150 milioni di euro, ma senza che detta ultima cifra risulti da un'analisi dei conti aziendali resa nota al Parlamento;
   la predetta notizia della cessione di una quota oltre il necessario, qualora confermata, sarebbe di gravità assoluta, considerando che la maggioranza delle azioni di uno dei primi potenziali acquirenti, Ei Towers, è detenuta da Mediaset;
   in questo caso si profilerebbe ad avviso degli interroganti un palese e pernicioso conflitto d'interessi, poiché la rete di ponti di trasmissione del servizio pubblico, da cui passerebbero informazioni strategiche e di sicurezza nazionale di organismi dello Stato, andrebbe in mano al diretto concorrente privato –:
   quante siano con esattezza le quote in cessione, con quali obiettivi di utilità nazionale e con quali garanzie per l'effettiva prosecuzione del servizio e dell'uso pubblico dei ponti di trasmissione in argomento. (3-01054)
(presentata il 30 settembre 2014)

   PALAZZOTTO, AIRAUDO, FERRARA, PLACIDO e RICCIATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   262 lavoratori di Accenture outsourcing a Palermo stanno per perdere il loro posto di lavoro a seguito dell'anticipata disdetta del committente British Telecom che, ad oggi, impegna la quasi totalità delle risorse impiegate sul centro e la cui naturale scadenza era prevista per il mese di luglio 2016;
   i lavoratori, assunti nel 2000 con contratto di formazione lavoro e poi riconvertiti nel 2002 a tempo indeterminato dall'allora Albacom – oggi British Telecom –, sono stati oggetto nel 2005 di una cessione di ramo d'azienda ed assunti da Accenture outsourcing, continuando, di fatto, a lavorare sempre per il cliente British Telecom;
   Accenture, all'epoca delle assunzioni, sfruttò gli incentivi allora disponibili presso la regione siciliana e la compartecipazione con la stessa regione sulla ditta Sicilia e Servizi, per la quale originariamente si prevedevano business milionari e che oggi, invece, si è chiusa in maniera conflittuale;
   negli anni a seguire Accenture, al di là delle intenzioni manifestate e degli impegni presi a parole, non ha mai diversificato il sito a livello di commesse né di competenze degli operatori, lasciando di fatto il centro di Palermo in una situazione di monocommittenza che, ad oggi, è alla base della vertenza in oggetto;
   contestualmente, Accenture, ha invece creato un polo «gemello» a Napoli, dove ha rigirato parti di commesse già presenti sul sito di Palermo, impiegando lavoratori a tempo determinato grazie agli incentivi sull'occupazione erogati dalla regione Campania;
   a questo quadro asfittico si aggiunge una progressiva diminuzione di benefit e salario patita dai lavoratori per far fronte a precise richieste aziendali e all'apertura, nel settembre 2012, di una procedura di mobilità, poi rientrata con la stesura di un accordo a dicembre 2012 con il quale i lavoratori rinunciavano ad un'ulteriore parte di salario, a fronte dell'impegno aziendale di portare nuovo lavoro sul sito di Palermo, impegno, ad oggi, totalmente disatteso. Dall'accordo, peraltro, scaturisce il regime di solidarietà per i lavoratori;
   British Telecom a gennaio del 2014 ha formalizzato la disdetta anticipata del contratto basandosi fondamentalmente su presunte inefficienze qualitative sui servizi erogati dal centro di Palermo e sulla necessità di abbattere i costi;
   il tavolo tra British Telecom, Accenture e organizzazioni sindacali non ha portato a nulla se non ad uno slittamento di due mesi della disdetta, (ovvero fino al 31 ottobre 2014);
   il timore degli interroganti è che British Telecom voglia disimpegnarsi completamente dal centro di Palermo, tralasciando il fatto che 262 lavoratori per essa lavorano da più di quattordici anni;
   i primi incontri al Ministero dello sviluppo economico, di fatto, non hanno portato ancora a nulla. Le aziende rimangono ferme sulle loro posizioni ed ad oggi l'unico orizzonte concreto è il riassorbimento dei lavoratori in British Telecom, a fronte di un sostanzioso conguaglio economico intorno ai 10-12 milioni di euro, richiesto ad Accenture;
   nonostante si parli di due grandi multinazionali, con fatturati di milioni di euro e sedi in tutto il mondo, la realtà è che, ad oggi, non c’è alcuna garanzia circa la tenuta occupazionale del centro Accenture outsourcing di Palermo, in quanto British Telecom ha dichiarato che nelle migliori delle ipotesi riassorbirebbe i servizi e vi farebbe fronte con assunzioni di personale a progetto, co.co.co. ed altro, quindi con un arretramento rispetto alle attuali condizioni contrattuali dei 262 dipendenti;
   Accenture, da parte sua, ha fatto chiaramente intendere che, in assenza della commessa British Telecom, non sarebbe più interessata a mantenere il centro di Palermo e quindi i lavoratori impiegati;
   i lavoratori del centro di Palermo si sono attivati in prima persona per sensibilizzare l'opinione pubblica ed hanno messo in piedi una massiccia campagna mediatica che sta riscontrando grandi risultati, avendo ottenuto la solidarietà di tantissimi personaggi del mondo dello spettacolo, dello sport e dell'informazione –:
   se il Governo non intenda richiamare British Telecom e Accenture alle proprie responsabilità affinché venga scongiurata la chiusura del centro di Palermo con il conseguente licenziamento o il peggioramento delle condizioni contrattuali dei 262 lavoratori e lavoratrici che vi lavorano, convocando immediatamente un tavolo di confronto con tutte le parti interessate per dare finalmente risposte ai circa 80.000 lavoratori che operano in tale comparto nel nostro Paese e che oggi rischiano di perdere il proprio lavoro, valutando l'adozione di possibili provvedimenti normativi per regolamentare diversamente il settore in questione, sempre più a rischio di delocalizzazioni, cessioni, dumping salariale e licenziamenti. (3-01055)
(presentata il 30 settembre 2014)

   PIEPOLI e CERA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   si registrano forti preoccupazioni tra gli operatori del settore agricolo pugliese: a pochi giorni dall'inizio della raccolta delle olive, i produttori stimano un calo della produzione dell'80 per cento e non certo solo per la Xylella, ma anche per un'annata eccezionale di riduzione fisiologica della produzione e per altre patologie (rinchite, mosca dell'olivo ed altre) che stanno assediando gli ulivi pugliesi; la peronospora ha aggredito molti vigneti del barese; la riduzione delle superfici seminate a grano duro sta diventano sempre più cronica per finire con gli effetti negativi di una concorrenza sleale nel settore lattiero caseario;
   a questo si deve aggiungere il calo della domanda dovuta all'embargo dei prodotti agroalimentari imposto alla Russia, senza dimenticare la tragedia dell'alluvione del Gargano di cui si contano ancora i danni;
   secondo il presidente della Coldiretti vi sarebbe un pacchetto di misure già concordate che aspettano di essere messe in campo e si attenderebbe la nomina di commissario unico straordinario per portarle a termine –:
   se non ritenga di adottare rapidamente le iniziative idonee a compensare i danni causati dalle intemperie e dalle malattie, soprattutto al fine di salvaguardare un settore che rappresenta un patrimonio inestimabile per il nostro Paese, oltre che fonte di reddito per migliaia di famiglie pugliesi. (3-01056)
(presentata il 30 settembre 2014)

   FORMISANO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la situazione nella cosiddetta «Terra dei fuochi» è sempre molto grave anche per quel che riguarda la produzione agricola locale;
   in alcune delle zone, infatti, si può dire che essa sia del tutto compromessa, mentre in altre è molto grave ma non ancora tale da rendere necessario un divieto di consumo per i prodotti alimentari provenienti da quelle zone, pur essendo necessari doverose cautele e controlli approfonditi sui sopracitati prodotti;
   infine, esistono altre realtà le quali, pur insistendo anch'esse nella cosiddetta «Terra dei fuochi», sono del tutto estranee a qualunque forma d'inquinamento;
   la complessità della situazione danneggia proprio le aziende agricole che operano in aree non inquinate e che rischiano fortemente di vedere i loro terreni accomunati da un'opinione pubblica allarmata a quelli inquinati e pericolosi, con l'impossibilità di immettere sul mercato prodotti agricoli che pure non presentano alcun pericolo per la salute;
   questa situazione è dovuta ad una mancanza di informazioni chiare ed ufficiali che evidenzino quali siano le zone nelle quali i prodotti agricoli sono esenti dai fenomeni di inquinamento presenti in altre parti della «Terra dei fuochi» –:
   se il Ministro interrogato, per quanto di competenza e in collaborazione con la regione Campania e con i comuni dell'area interessata, abbia predisposto o stia predisponendo, una mappatura completa della zona, in modo da stabilire con chiarezza quali siano i siti agricoli inquinati totalmente, quali quelli parzialmente e, infine, quali quelli del tutto non coinvolti dai fenomeni di inquinamento, in modo da evitare che l'attuale situazione di confusione danneggi proprio questi ultimi.
(3-01057)
(presentata il 30 settembre 2014)

   GUIDESI, FEDRIGA, CAON, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA, RONDINI e SIMONETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   le contromisure attivate dal Governo russo, a seguito delle sanzioni nei suoi confronti decretate dall'Unione europea, con il divieto di ingresso per una lista di prodotti agroalimentari che vanno dalla frutta e verdura, ai formaggi, alla carne, ai salumi e al pesce, costano al nostro Paese quasi 200 milioni di euro;
   i settori più penalizzati sono: l'ortofrutta che ha un fatturato di esportazioni nel 2013 di 72 milioni di euro; le carni per 61 milioni di euro; latte, formaggi e derivati per 45 milioni di euro. Sono stati colpiti anche prodotti di eccellenza come il parmigiano reggiano e il grana padano, per un export del valore di 15 milioni di euro;
   ai danni diretti si devono necessariamente aggiungere quelli «indiretti» che potrebbero portare a conseguenze ancor più devastanti ed avere effetti protratti nel tempo. Questi potrebbero configurarsi nel rischio di un danno, anche definitivo, ai rapporti commerciali con la Russia che potrebbero non riprendersi una volta che, finito l'embargo, i produttori italiani siano stati sostituiti da quelli provenienti da altri Paesi; a ciò vanno aggiunti il danno di immagine, in quanto entrerebbero nel mercato russo imitazioni delle eccellenze italiane che nulla hanno a che fare con il made in Italy, nonché ripercussioni sull'indotto afferente al mondo dei trasporti e del packaging, ed infine il rischio di dirottamento nel mercato italiano di prodotti agroalimentari di bassa qualità degli altri Paesi che non trovano più sbocchi in quello russo;
   i danni indiretti hanno comportato conseguenze immediate come il calo dei prezzi sul mercato interno, colpendo anche i prodotti che, pur non esportati in Russia, si troveranno a fare i conti con l'aumento dell'offerta sul mercato di prodotti similari provenienti dagli altri Paesi, che prima dell'embargo esportavano in Russia, e che ora si trovano ad essere presenti prepotentemente nel mercato italiano a prezzi decisamente inferiori, entrando in concorrenza con il prodotto italiano. Si sa, purtroppo, che i consumatori, stante anche la crisi economica che colpisce «le tasche» dei cittadini italiani, preferiscono molto spesso comprare a prezzi più bassi, ignorando la qualità del prodotto che si acquista;
   dimostrazione del calo dei prezzi è data dal parmigiano reggiano che, oltre ad affrontare un calo del 9,2 per cento rispetto al 2013, prima dell'embargo si vendeva all'ingrosso a 7,70 euro al chilo, mentre ora a 7 euro, mentre il grana padano si vendeva a 6,80 euro al chilo ed ora a 6,10 euro. Facendo un rapido conto si arriva a perdite per oltre 250 milioni di euro solo per questi due prodotti;
   per contrastare i danni subiti dall'embargo russo, la Commissione europea aveva emanato due regolamenti delegati, uno del 29 agosto 2014 relativo a misure di sostegno eccezionali a carattere temporaneo per i produttori di taluni prodotti ortofrutticoli e l'altro del 5 settembre 2014, relativo alla concessione di aiuti per l'ammasso privato di formaggi;
   per la frutta fresca e deperibile erano stati stanziati 125 milioni di euro – che vanno però spalmati tra tutti i Paesi europei in difficoltà, cifra irrisoria rispetto all'entità della crisi in termini economici ed occupazionali – un intervento straordinario che prevedeva un sostegno supplementare temporaneo per le operazioni di ritiro dal mercato, mancata raccolta e raccolta verde, effettuate dai produttori nel periodo compreso tra il 18 agosto ed il 30 novembre 2014, relativamente a 14 prodotti e l'accesso a tali misure anche ai produttori non aderenti alle organizzazioni di produttori, mentre per i formaggi venivano messi a disposizione sostegni per accogliere nei magazzini fino a 155 mila tonnellate di prodotto;
   nel regolamento relativo ai prodotti ortofrutticoli i prodotti interessati e ammissibili erano: pomodori, carote, cavolo bianco, peperoni, cavolfiori, cetrioli, cetriolini, funghi del genere «agaricus», mele, pere, frutti rossi (lamponi, more, ribes e mirtilli), uva da tavola e kiwi, ma non veniva tenuta in considerazione frutta estiva (ad esempio, angurie, meloni, susine e albicocche), nonché le patate e le cipolle;
   purtroppo il 10 settembre 2014 la Commissione europea ha deciso di fermare, con effetto immediato, il regolamento relativo all'ortofrutta che si è vista negare gli aiuti anticrisi per il comportamento ritenuto «disinvolto» da parte di alcuni Paesi europei, che lamentavano cifre impossibili per i danni subiti dall'embargo russo;
   cosa analoga era avvenuta il 23 settembre 2014 al sistema degli stoccaggi privati dei formaggi, lasciando invece aperti gli interventi già previsti per l'ammasso di latte in polvere e burro. All'origine della decisione del repentino «blocco», secondo le dichiarazioni del portavoce del Commissario europeo all'agricoltura, Dacian Ciolos, ci sarebbe l'uso improprio dello strumento da parte dei produttori di formaggi a causa della numerosità di richieste comunicate da alcune zone che tradizionalmente non esportano quantità significative di formaggi in Russia. La rapidità della decisione è dovuta al trend pericoloso che si stava delineando, sempre secondo le dichiarazioni di Ciolos, che avrebbe portato a superare il plafond assegnato;
   per pesche e nettarine, l'Italia, nel periodo 11 agosto – 12 settembre 2014, ha ritirato prodotto per 9.452 tonnellate, pari al 39 per cento del totale dell'Unione europea. Nel dettaglio sono 1.303 tonnellate di pesche (di cui 231 per la distribuzione gratuita) e 8.149 tonnellate di nettarine (di cui 1.513 per la distribuzione gratuita). I dati dimostrano che la Polonia ha fatto la parte del leone con l'87 per cento del totale delle richieste, evidentemente grazie alle indennità elevate per i loro costi di produzione. È necessario che, nel prossimo provvedimento della Commissione europea, le indennità di ritiro vengano innalzate tenendo conto dei costi di produzione;
   per il settore dei formaggi in totale sono state presentate domande di aiuto per 84.962 tonnellate su un tetto massimo di 155 mila. Ad aver maggior peso le richieste dei produttori italiani, che ammontano a 74.254 tonnellate, in cui i formaggi dop e igp sono i più rappresentati;
   mentre per l'ortofrutta si attende una prossima decisione da parte della Commissione europea di nuovi aiuti – si sta stabilendo da dove prelevare i fondi: se dal bilancio agricolo o dalla riserva di crisi degli agricoltori – per i formaggi il futuro è ancora confuso;
   sembra che sia allo studio un nuovo regolamento che prevede una rimodulazione delle misure a sostegno sulla base dei quantitativi esportati verso la Russia che prevede contributi per Stato membro e per gruppi di prodotti, in base ai dati delle esportazioni del 2013;
   sembra, inoltre, che sia intenzione della Commissione europea tutelare comunque le aspettative degli operatori che hanno presentato domanda di aiuto e ritenere che le domande introdotte prima dell'entrata in vigore del fermo della misura di aiuto dovrebbero essere prese in considerazione per il versamento dell'aiuto previsto;
   paradosso di questa situazione di guerra commerciale con la Russia è che non solo il nostro Paese ne è pesantemente colpito a livello economico e di immagine, ma anche la Russia stessa in quanto si prevede un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, per il 2015, del 12-13 per cento. Oltre al danno economico i cittadini russi subiscono la sparizione dagli scaffali dei supermercati e dai menu dei ristoranti di alcuni prodotti alimentari tipici italiani come, ad esempio, il prosciutto di San Daniele, il parmigiano reggiano, il grana padano, ma anche mele, pesche e pere. La rischiosa conseguenza sia per la Russia che per il nostro Paese è quella di incrementare il fenomeno dell’italian sounding, ovvero prodotti di scarsa qualità e a costi notevolmente inferiori che richiamano la tradizione italiana senza averne le caratteristiche, ingannando il consumatore. Si tratta di un fenomeno contro il quale il nostro Paese sta combattendo da tempo e che porta danni ingenti al made in Italy –:
   se il Governo non ritenga opportuno, cogliendo l'occasione del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea, proporre soluzioni immediate ed efficaci per l’export agroalimentare italiano che prevedano misure di sostegno che siano eque e trasparenti nella ripartizione delle risorse e che tengano conto delle diverse realtà produttive e del diverso impatto che le azioni sanzionatorie e le contromisure dell'embargo russo hanno avuto, adoperandosi anche presso la Commissione europea affinché adotti, nel più breve tempo possibile, il nuovo regolamento in quanto l'agricoltura ed il nostro Paese non possono permettersi tempi di attesa troppo lunghi a causa della burocrazia elefantiaca di Bruxelles, e se intenda intervenire presso le competenti autorità europee affinché sia messa in atto un'incisiva attività diplomatica mirante a trovare i giusti compromessi per superare l'attuale e i futuri embarghi che rischiano di compromettere in maniera irreversibile i rapporti con uno dei maggiori partner commerciali per le imprese italiane. (3-01058)
(presentata il 30 settembre 2014)

   OLIVERIO, SANI, FIORIO, MONGIELLO, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, ANZALDI, CARRA, CENNI, COVA, COVELLO, DAL MORO, MARROCU, PALMA, PRINA, ROMANINI, TARICCO, TENTORI, TERROSI, VENITTELLI, ZANIN, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   come il Ministro interrogato ha illustrato nella conferenza stampa della scorsa settimana, nei primi 8 mesi del 2014 gli organi di controllo del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali hanno operato oltre 60 mila controlli e sequestri per 32 milioni di euro;
   il sistema dei controlli sull'agroalimentare, basato sull'Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari, il Corpo forestale dello Stato, i carabinieri del nucleo antifrode e la Capitaneria di Porto, sta incrementando costantemente l'attività di tutela del patrimonio agroalimentare italiano;
   a livello europeo, il meccanismo di tutela ex officio delle produzioni agroalimentari di qualità di denominazione di origine protetta e indicazione geografica protetta, che vede il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali maggiore attore tra tutti i Paesi europei, sta già dando importanti risultati e molti sono già i casi attivati di tutela per alcuni fondamentali prodotti del made in Italy quali il parmigiano reggiano, l'aceto balsamico di Modena, il prosciutto San Daniele, i kit di mozzarella cheese, parmesan, romano ed altri;
   in queste ore il Ministro interrogato sta presiedendo il vertice informale dei Ministri dell'agricoltura dell'Unione europea a Milano;
   nel predetto vertice potranno essere affrontati temi legati al cosiddetto «cibo vero» ed alla sicurezza alimentare, che saranno alla base dell'evento Expo 2015;
   grazie al pacchetto qualità del 2012, ottenuto con il determinante impulso dell'Italia, le produzioni agroalimentari di qualità sono da considerarsi non più semplici prodotti agricoli o «cibo», ma patrimonio culturale dell'Unione europea, la cui tutela è direttamente prevista dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
   in tale contesto è particolarmente importante la lotta alla contraffazione sul web dei prodotti italiani, che sta avendo in questi mesi un impulso nuovo grazie anche ad importanti collaborazioni tra il delle politiche agricole, alimentari e forestali e alcuni player dell’e-commerce, come illustrato nella predetta conferenza stampa;
   alla luce della strategicità del settore agroalimentare nell’export italiano, le azioni a tutela dei prodotti italiani sono assolutamente strategiche per un solido rilancio dell'economia –:
   cosa intenda fare il Governo per aumentare la cooperazione europea in funzione della maggiore tutela del patrimonio agroalimentare italiano, quali strumenti intenda varare per un'incisiva tutela dei prodotti italiani anche nell’e-commerce e se nel corso del vertice informale dei Ministri dell'agricoltura dell'Unione europea a Milano il Ministro interrogato abbia potuto avere scambi di opinione al riguardo anche in prospettiva di Expo 2015.
(3-01059)
(presentata il 30 settembre 2014)

   RUSSO, SARRO, BRUNETTA, PALESE e CARFAGNA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, è stato condannato ad un anno e tre mesi di reclusione per abuso d'ufficio; pena accessoria, l'interdizione dai pubblici uffici per un anno. Entrambe le pene sarebbero state sospese con la condizionale;
   la sentenza, di cui è giunta notizia il 24 settembre 2014, è stata pronunciata dal tribunale di Roma, X sezione, a conclusione del processo sull'acquisizione di utenze telefoniche di alcuni parlamentari senza la necessaria preventiva autorizzazione delle Camere di appartenenza. I fatti risalgono a quando Luigi De Magistris era pubblico ministero a Catanzaro (tra il 2006 e il 2007), nell'ambito dell'inchiesta calabrese «Why not» (dal nome di un'azienda calabrese di outsourcing che fornisce lavoratori specializzati in informatica), vicenda giudiziaria che riguardava la presunta gestione illecita di fondi pubblici regionali;
    in tema di condanne per amministratori locali, è intervenuto da ultimo il decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, «Testo unico in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190», un testo, meglio noto come «legge Severino», approvato nell'ambito della legge delega n. 190 del 2012, che reca «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione»;
   l'articolo 11 del decreto legislativo n. 235 del 2012, al comma 1, recita: «Sono sospesi di diritto dalle cariche indicate al comma 1 dell'articolo 10», (tra le quali è ricompresa quella di sindaco), «coloro che hanno riportato una condanna non definitiva per uno dei delitti indicati all'articolo 10, comma 1, lettera a), b) e c)»; la lettera c) del richiamato articolo 10 comprende anche l'abuso d'ufficio (articolo 323 del codice penale.), reato per il quale De Magistris è stato condannato in primo grado;
   il sindaco De Magistris sarebbe, quindi, soggetto a sospensione dall'incarico; ma perché la sospensione diventi effettiva deve intervenire il prefetto, a meno che l'interessato – come altri amministratori locali meno noti colpiti prima di lui dalla legge sull'incandidabilità – non decida in autonomia di rassegnare le dimissioni;
   al momento, Luigi De Magistris ha contestato la sentenza e ha annunciato di non volersi dimettere in alcun modo, dichiarando: «Ci sono pezzi di Stato collusi che vanno abbattuti e servitori dello Stato di cui esser fieri: non mollo, resisto e lotto per la giustizia»;
   va però rilevata un'ulteriore vicenda che riguarda il processo di sospensione del sindaco De Magistris. L'articolo 53 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, prevede che sia il vicesindaco a sostituire il sindaco in caso di sospensione dall'esercizio della funzione; l'attuale vice sindaco della città di Napoli, Tommaso Sodano, è oggetto di un'altra sentenza di condanna (anche questa di primo grado, emessa nell'ottobre 2013 dal tribunale di Nola) ad un anno di reclusione per l'aggressione ad un'operatrice della polizia locale (resistenza e lesioni a pubblico ufficiale);
   pur valutando la necessità che presto si rimetta mano al decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, per una revisione organica del regime di sospensione dei pubblici amministratori stabilita all'articolo 11, comma 1, la norma è attualmente vigente e di essa deve essere assicurata puntuale esecuzione;
   il 12 ottobre 2014 i consiglieri dei comuni della nuova città metropolitana di Napoli saranno chiamati ad eleggere il consiglio metropolitano, a norma di quanto previsto dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, (cosiddetta «legge Delrio»); la stessa «legge Delrio», all'articolo 1, comma 19, prevede che il sindaco del comune capoluogo (Napoli) sia di diritto il sindaco della città metropolitana; a seguito della condanna di De Magistris e delle norme di cui al decreto legislativo n. 235 del 2012, si apre quindi un altro vulnus anche sul fronte della costituenda città metropolitana;
   pare superfluo significare come quella del sindaco del comune capoluogo che assume la responsabilità di sindaco della città metropolitana sia attività tipicamente straordinaria;
   di converso, quella del vicesindaco che subentra ad un sindaco sospeso, ai sensi della cosiddetta «legge Severino», sia attività limitata all'ordinaria amministrazione e, comunque, dotata di un grado di investitura democratica di livello inferiore, anche in ragione della circostanza per cui l'attuale vicesindaco della città di Napoli non è tra gli originari eletti al civico consesso –:
   se e come il Ministro interrogato intenda intervenire, attraverso iniziative di propria competenza, per garantire pari trattamento e, quindi, la sospensione dalla carica di sindaco di Luigi De Magistris, a norma di quanto stabilito dall'articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, anche alla luce della sentenza di condanna che grava sul vicesindaco della città di Napoli, e come tale vicenda rilevi rispetto alla costituenda città metropolitana di Napoli e se non si ritenga di dover assumere iniziative per differire l'elezione del consiglio metropolitano, previsto per il 12 ottobre 2014, in assenza proprio di quel sindaco che la norma, in chiave esclusiva, indica come soggetto deputato a presiedere la nuova istituzione.
(3-01060)
(presentata il 30 settembre 2014)

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