TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 313 di Lunedì 20 ottobre 2014

 
.

MOZIONI CONCERNENTI L'ACCORDO DI PARTENARIATO PER IL COMMERCIO E GLI INVESTIMENTI TRA UNIONE EUROPEA E STATI UNITI D'AMERICA NOTO COME TRANSATLANTIC TRADE AND INVESTMENT PARTNERSHIP (TTIP)

   La Camera,
   premesso che:
    il 14 giugno 2013 il Consiglio europeo ha accordato alla Commissione europea il mandato per negoziare, a nome dell'Unione europea, l'accordo di partenariato economico-finanziario noto come Transatlantic trade and investment Partnership (TTIP) considerato «il più importante accordo di libero scambio del mondo e della storia» che, ad opinione di molti, viene considerato una «Nato economica», per enfatizzare il ruolo egemone degli Stati Uniti nell'organizzazione del Patto atlantico;
    le condizioni per la creazione di una zona di libero scambio vennero poste già nel 2007 con l'istituzione di un Consiglio economico transatlantico, un anno prima dello scoppio della bolla speculativa che ha aperto la strada alla crisi finanziaria e all'attuale depressione economica; ciò, considerato alla luce delle recenti indiscrezioni che vedrebbero la Federal Reserve intenzionata ad avviare una stretta monetaria – i cui effetti provocherebbero un rialzo dei tassi di interesse statunitensi generando un consistente afflusso di dollari dal resto del mondo agli Usa – renderebbe verosimile la possibilità dell'adozione del dollaro come moneta unica europea quale provvidenziale soluzione all'ormai irreversibile crisi dell'euro;
    già da tempo gli Stati Uniti si sono impegnati a migliorare gli accessi per incentivare gli scambi con l'Unione europea che offre un mercato di oltre 500 milioni di persone, con particolare riguardo ai comparti manifatturiero, dell'agricoltura e dei servizi a conferma delle tesi che ritengono il TTIP un accordo disegnato a misura degli interessi dell'economia americana;
    si legge nell’executive order n. 13534 del marzo 2010, firmato dal Presidente americano Barack Obama, che gli Stati Uniti si sono impegnati a migliorare gli accessi per gli scambi oltreoceano relativi alla propria manifattura, agricoltura e servizi ed è pertanto plausibile sostenere che il TTIP sia disegnato a misura degli statunitensi, dove l'Unione europea è puramente subordinata alle loro scelte;
    le trattative per la conclusione del TTIP si svolgono nel più assoluto segreto; anche i documenti elaborati nei vari incontri che si sono susseguiti sono e saranno secretati; infatti, nessuna bozza o schema è uscito dalle trattative sul TTIP tra Stati e multinazionali, mentre le popolazioni e le organizzazioni sociali vengono tenute rigorosamente all'oscuro e fuori da ogni processo decisionale e nel silenzio complice dei grandi media;
    il 4o round del negoziato Ue-Usa si è svolto il 26 marzo 2014, mentre quello successivo è previsto a Washington prima dell'estate. Sul sito dell'Unione europea si legge che lo scopo dell'accordo è quello di «aumentare lo scambio delle merci, eliminando dazi e barriere commerciali», una deregulation insomma, tramite tre obiettivi: accesso ai mercati, allineamento delle regole e norme in materia di commercio per la globalizzazione;
    il Ministero Usa del commercio con l'estero ha proseguito i nuovi negoziati del TTIP ad Arlington, nello Stato della Virginia, nei giorni dal 19 al 23 maggio 2014; nella settimana precedente alle elezioni europee, nell'intento di aumentare il consenso alle trattative a partire da Francia e Germania, all'idea della necessità di ulteriori liberalizzazioni, il Commissario europeo al commercio De Gucht ha aperto per tre settimane una consultazione online sul sito della Commissione europea per acquietare quella parte dell'opinione pubblica che lo accusa di scarsa trasparenza nel negoziato e ha iniziato una marcia forzata di incontri con imprese e istituzioni competenti;
    il timore per il nostro Paese è più che lecito, poiché basta chiedere ai piccoli imprenditori e agricoltori, che sono la maggior parte in Italia, se l'attuale globalizzazione li ha favoriti; infatti, saranno coinvolti i prodotti agroalimentari e industriali, il mercato dei servizi come il trasporto e la liberalizzazione degli investimenti privati, che coinvolgeranno anche gli appalti pubblici, sicurezza ambientale e alimentare, dei farmaci, dei diritti di proprietà intellettuale;
    il Ministero dello sviluppo economico ha commissionato nel 2013 a Prometeia spa una prima valutazione d'impatto per l'Italia, da cui si evince che i primi benefici delle liberalizzazioni si manifesterebbero nell'arco di tre anni dall'entrata in vigore dell'accordo, immaginando il 2018 quale data più vicina, con un aumento del prodotto interno lordo dello 0,5 per cento nel migliore dei casi; secondo l'Ice solo le prime 10 imprese italiane, su 210 mila, monopolizzano oltre il 70 per cento dell’export italiano, quindi alle piccole imprese, se non già inserite nelle filiere globali, il trattato non risulta dare vantaggi, piuttosto potrebbero non sopravvivere allo shock, mentre le grandi imprese, che già sono ben inserite nel mercato globale, esportando grazie molto spesso alle esternalizzazioni di parti dell'impresa fuori dal territorio italiano, non risultano necessitare del trattato;
    erroneamente si ritiene che per l'Italia l'interesse strategico assoluto sia la riduzione massima delle barriere commerciali, quali i dazi, al fine di avere più aperture di mercato possibili, come se l'apertura dei mercati fosse la panacea per risolvere una situazione di crisi creata dallo stesso sistema economico neoliberista, che promuove, ad esempio, la gestione privatistica di beni e servizi essenziali i cui risultati fallimentari sono ben visibili, essendo l'interesse privatistico unicamente il raggiungimento dell'utile a fine anno e non la fornitura del bene o servizio a fini sociali; l'aumento del prodotto interno lordo può tradursi, a questo punto, nella distruzione di interi settori produttivi italiani, quali la manifattura e la piccola e media trasformazione, i presidi dop e igp;
    sulla natura di tale accordo viene affermato, tra l'altro, che potrebbe far aumentare l'economia europea di 120 miliardi di euro, considerazione frutto di studio che è stato commissionato da un ente, il Center for economic policy research (Cepr) di Londra che, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, non sembra risultare del tutto indipendente;
    sul sito dell’Economic and social research Council, si legge che il Center for economic policy research è finanziato dalla Banca d'Inghilterra, dalla Fondazione Rockfeller, dalla Banca del Canada e di Israele, dalla Banca centrale europea, dall’Alpha Bank, dalla Barclais, dal Citigroup, dal Crédit Suisse, dall’Intesa San Paolo, dal gruppo Santander, da JP Morgan e altre banche e con i fondi del MES. Il Center for economic policy research è presieduto da Guillermo De La Dehesa, membro del «gruppo dei trenta» del comitato esecutivo del Banco Santander e consulente internazionale di Goldman Sachs. Alcuni ricercatori del Center for economic policy research risulta che lavorino per la Rockfeller foundation e la Banca mondiale. Il capo progetti del dossier del TTIP elaborato dal Center for economic policy research è Jospeh François economista di Linz (Austria) con cittadinanza statunitense e ha lavorato per l’International trade commission degli Stati Uniti, occupandosi degli accordi Nafta, Gatt E Wto;
    è logico considerare che il TTIP sia lontano dall'essere un progetto neutrale, la zona euro-americana di libero scambio legherebbe in maniera definitiva le sorti dell'Europa e dell'euro a quelle degli Stati Uniti e del dollaro, limitando la residua autonomia di un'Unione europea sempre meno integrata al suo interno e rischia di sfociare in un'annessione totale dell'Europa ai dettami finanziari e commerciali di Washington;
    il paventato rialzo dei tassi di interesse americani non sarebbe senza implicazioni per la politica monetaria nell'eurozona e imporrebbe alla Banca centrale europea di scegliere se svalutare l'euro o elevare il saggio di sconto, spingendo verso la bancarotta alcuni degli Stati periferici come l'Italia;
    sul piano strettamente economico giova rilevare che mentre il mercato unico, quantomeno nelle intenzioni, ha l'obiettivo di creare un'omogeneità di regolamentazione senza precedenti, volta ad assicurare ai cittadini europei uguali condizioni di partenza per l'esercizio dell'attività imprenditoriale, quello statunitense è frutto di anni di deregulation e i nostri operatori economici si troveranno a competere con concorrenti americani in un quadro caratterizzato dalla compresenza di assetti legislativi differenti, poiché difficilmente i negoziatori europei riusciranno a persuadere i colleghi d'oltreoceano sulla bontà delle pesanti normative in vigore nell'Unione europea. Inoltre, le regole e gli standard europei in termini di tutela della salute e delle condizioni di lavoro, come è noto più restrittivi in Europa rispetto agli Stati Uniti, riescono a tenere lontani dai nostri mercati alcuni prodotti non sicuri o tossici (cibi geneticamente modificati e trattati con nanoparticelle di vetro per aumentarne la croccantezza, residui di pesticidi nel cibo, ftalati nei giocattoli, carne agli ormoni, solo per fare qualche esempio), ma la preoccupazione di una concessione alle multinazionali di porsi al di sopra dei bisogni delle persone e di sfruttare in maniera incontrollata risorse naturali fondamentali come l'acqua, il suolo, i minerali rimane forte;
    l'Unione europea, attraverso il TTIP, potrebbe imporre con maggiore facilità le politiche di austerità e di smantellamento delle politiche sociali, inizialmente introdotte in modo forzoso a causa della crisi del debito pubblico, fino alla completa privatizzazione anche dei servizi essenziali alla persona;
    in particolare, relativamente al comparto agricolo, per il quale i fautori dell'accordo vantano benefici a doppio senso, in considerazione delle enormi barriere tariffarie esistenti, le preoccupazioni maggiori riguardano le importazioni di organismi geneticamente modificati, posto che gli Usa cercano sbocchi per grano e soia, e, in assenza di opportune salvaguardie, il rischio di chiusura di molte piccole aziende, in quanto la frammentazione della proprietà agraria che caratterizza il continente europeo comporta un'impari competizione con i grandi farmer statunitensi;
    si rileva l'esautorazione dei tribunali nazionali in caso di dispute legali, in quanto l'accordo prevede, infatti, l'inclusione dell’Investor State dispute settlement (ISDS), uno strumento che consentirebbe a un soggetto privato di denunciare un Governo per i mancati profitti derivanti da politiche sociali; per fare un esempio, accordi simili hanno fatto sì che la Philip Morris stia chiedendo il risarcimento ai Governi uruguaiano e australiano per le politiche di restrizione del fumo a tutela della salute; ciò, unitamente all'esautorazione dei tribunali nazionali nella risoluzione di dispute legali che verranno risolte da un organismo terzo, come già avviene con i panel dell'Organizzazione mondiale del commercio, metterebbe a rischio la tutela ambientale e sociale garantita dalla legislazione europea, di gran lunga più garantista per i cittadini di quanto non lo sia quella statunitense;
    è assolutamente necessario, dunque, sviluppare la dovuta informazione sul significato di tale tipo di scenario per la società, l'ambiente e la democrazia; a questo proposito, infatti, va evidenziato che sul sito della Commissione europea è disponibile il questionario per la consultazione informale sul TTIP, ma nessuna campagna informativa è stata promossa dai Ministeri competenti per i cittadini e le associazioni interessate; tutto questo mentre la legge n. 234 del 2012, recante «Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa delle politiche dell'Unione europea», prevede che il Governo debba obbligatoriamente rendere conto di tutte le riunioni e delle iniziative che avvengono nell'ambito dell'istituzione dell'Unione europea, compresi i negoziati per i trattati,

impegna il Governo:

   a riferire periodicamente al Parlamento in merito agli sviluppi delle trattative e, nell'ottica di una più ampia partecipazione democratica, a valutare l'opportunità di indire un referendum di indirizzo;
   ad intervenire presso le competenti sedi comunitarie affinché:
    a) si rivedano i termini dell'accordo al fine di escludere qualsiasi intesa che di fatto limiti la portata delle leggi della Repubblica italiana e, in particolare, si riconsideri il meccanismo di composizione delle controversie tra investitori e Stati, escludendo la previsione di un organismo terzo rispetto ai tribunali tradizionali;
    b) il partenariato si articoli su assetti legislativi quanto più omogenei e preveda forti tutele per l'agricoltura comunitaria;
    c) siano esclusi dall'ambito dell'accordo i beni fondamentali, quali la gestione del servizio idrico integrato e i servizi pubblici locali, le materie di carattere sanitario, fitosanitario e di conservazione ambientale, al fine di mantenere l'attuale sistema di tutela dei diritti sociali e del lavoro, nonché la preservazione dei beni comuni, quali acqua e terra/cibo, e le garanzie di accesso ai servizi essenziali;
    d) si svolgano adeguate consultazioni pubbliche attraverso l'attivazione di tavoli di lavoro partecipati volti a informare e coinvolgere i cittadini, le associazioni e la società civile in merito alle ragioni e agli effetti di un tale accordo e alle conseguenze che esso avrebbe sui rapporti politici e diplomatici con gli altri partner commerciali, quali i cosiddetti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica);
    e) si introducano adeguati meccanismi di salvaguardia degli interessi produttivi degli Stati membri, in particolare di quelli dell'area mediterranea, qualora la Banca centrale europea decidesse di innalzare i tassi di interesse dell'eurozona, posto che il mantenimento di un obiettivo di cambio con il dollaro in rivalutazione genererebbe insormontabili difficoltà per le finanze pubbliche nazionali.
(1-00490)
«Gallinella, Daga, Sibilia, Agostinelli, Alberti, Artini, Baldassarre, Barbanti, Baroni, Basilio, Battelli, Bechis, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Currò, Da Villa, Dadone, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, Cristian Iannuzzi, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Mucci, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pinna, Pisano, Prodani, Rizzetto, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Rostellato, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Segoni, Sorial, Spadoni, Spessotto, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Turco, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».
(9 giugno 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    il partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP) è stato definito come il più grande accordo commerciale del mondo. È un accordo commerciale internazionale in fase di negoziato tra l'Europa e gli Stati Uniti progettato per incoraggiare la crescita e la creazione di posti di lavoro. Ha l'obiettivo di rimuovere le barriere commerciali in una vasta gamma di settori economici per facilitare l'acquisto e la vendita di beni e servizi tra Europa e Stati Uniti;
    secondo dati diffusi dalla Commissione europea l'accordo potrebbe far aumentare l'economia europea di 120 miliardi di euro, l'economia americana di 90 miliardi di euro e l'economia del resto del mondo di 100 miliardi di euro;
    dalle poche informazioni reperibili sull'accordo si evince che esso interverrà in favore di una riduzione delle barriere tariffarie (tasse doganali), ad oggi già basse tra i due continenti (media livello del 4 per cento). Tuttavia, la maggior parte dei guadagni derivanti dal TTIP scaturiranno dalla riduzione delle cosiddette barriere non tariffarie: l'insieme delle regole e degli standard che vengono imposti sui prodotti in termini di salute, condizioni di lavoro e altro che, anche grazie alle grandi battaglie contro la carne agli ormoni, il pollo lavato col cloro, gli ftalati nei giocattoli, i residui di pesticidi nel cibo, gli organismi geneticamente modificati e così via, tengono lontani dal nostro mercato prodotti non sicuri e tossici;
    queste regole, garanti di sicurezza e primato europeo da difendere, sono state definitive dalla Commissione europea come «generatrici di problemi», viste dunque come «irritanti commerciali» (trade irritants). I suddetti standard risultanti molto spesso più alti in Europa rispetto agli Stati Uniti, dove invece, complice il mancato accoglimento di trattati in materia di ambiente e lavoro, svariate procedure proibite nell'Unione europea sono, invece, permesse;
    c’è, dunque, il forte rischio che un trattato di questo genere, ricercando un'armonizzazione delle normative e, dunque, un abbattimento delle regolamentazioni tra le due aree porti ad appiattire i più rigidi regolamenti europei ai livelli di quelli statunitensi;
    il trattato viene considerato una via d'uscita dalla crisi: secondo le rosee previsioni diffuse dal Commissario del commercio Karel De Gucht, infatti, saranno creati 2 milioni di posti di lavoro in Europa, 119 miliardi di euro l'anno di prodotto interno lordo per l'Europa e 130 miliardi di dollari per gli Stati Uniti, cioè 545 euro in più l'anno per ogni famiglia di quattro persone nell'Unione europea e 901 dollari negli Stati Uniti;
    tutto questo, tuttavia, si otterrebbe solo entro il 2027, nella migliore delle ipotesi, ed al prezzo di una totale deregulation. Le famiglie europee potrebbero, ad esempio, risparmiare acquistando più pollo a buon mercato esportato dagli Usa, ma non si sa quanti dei loro membri perderebbero il lavoro per la chiusura degli allevamenti europei di migliore qualità. Quello stesso pollo poi, se di qualità peggiore rispetto a quanto previsto attualmente dai regolamenti europei, potrebbe farli ammalare e pesare di più sui servizi sanitari pubblici;
    per quanto riguarda il nostro Paese, invece, il Ministero dello sviluppo economico ha commissionato a Prometeia spa una prima valutazione d'impatto mirata all'Italia: dai primi dati emerge che i primi benefici delle liberalizzazioni si manifesterebbero non prima di 3 anni dall'entrata in vigore dell'accordo nella misura di un modesto 0,5 per cento di prodotto interno lordo in uno scenario ottimistico. Oltre ad essere modesti, gli introiti derivanti dall'accordo rischiano di favorire soltanto un numero ristretto di soggetti, ovvero quelle imprese italiane che davvero esportano, molto spesso esternalizzando parti dell'impresa fuori dal territorio italiano;
    secondo i dati forniti dall'Organizzazione mondiale del commercio le imprese italiane che esportano risultano 210 mila, ma sono le prime dieci che detengono il 72 per cento delle esportazioni nazionali. Secondo l'Ice, in tutto nel 2012 le esportazioni di beni e servizi dell'Italia sono cresciute in volume del 2,3 per cento, leggermente al di sotto del commercio mondiale. La loro incidenza sul prodotto interno lordo ha sfiorato il 30 per cento in virtù dell’austerity e della crisi dei consumi che hanno depresso il prodotto interno;
    l'Italia è riuscita a guadagnare spazi di mercato internazionale contenendo i propri prezzi, senza generare domanda interna, né nuova occupazione. Anzi: lo ha fatto spostando all'estero processi o attività dove costavano meno il lavoro o le tecnologie. Il nostro Paese ha acquistato, insomma, quote di mercato estero, perdendo lavoratori-consumatori nel mercato interno. L'aumento di export tricolore non si tradurrà, quindi, automaticamente, in buona produzione o occupazione per il Paese. Per la produzione di beni, infatti, secondo il pensiero prevalente tra imprese e istituzioni coinvolte nel trattato, non è obbligatorio che il made in Italy, stante la normativa vigente, sia tutto italiano per ingredienti, pezzi di filiera, componenti, tantomeno lavoratori;
    infine, nel caso più ottimistico delineato da Prometeia spa sugli effetti dell'accordo, soccomberebbero, comunque, il legname e la carta, poi la chimica farmaceutica e di consumo: la più penalizzata con 30 milioni di euro di perdite previste. Altri 10 milioni si perderebbero tra prodotti intermedi chimici, altri intermedi e agricoltura, e molte piccole e medie aziende potrebbero non sopravvivere allo shock;
    secondo le indiscrezioni emerse e riportate dalle agenzie di stampa, molte delle dispute più delicate dei negoziati a porte chiuse riguardano il cibo e l'agricoltura. Elemento di ostacolo per le imprese statunitensi, ma anche per tante corporation dell'Unione europea, sono gli standard dei prodotti alimentari, presentati non come una difesa del diritto alla salute per i consumatori, ma come un indebito ostacolo al commercio. Qualità, residui chimici, impatto sulla salute, sicurezza: un reticolo di regole che bandisce una serie di alimenti e prodotti malsani proveniente dagli Stati – quali, ad esempio, la carne americana trattata con ormoni della crescita e il pollame disinfettato con acqua clorata – e costringe anche le nostre imprese ad essere più scrupolose di quanto vorrebbero;
    molti contadini e consumatori sono preoccupati per un alleggerimento degli standard ambientali e sul trattamento degli animali che regolano, ad esempio, le condizioni di vita negli allevamenti in batteria e per quelli utilizzati per la produzione industriale di carne. Al momento è possibile in Europa incoraggiare i contadini ad allevare gli animali in buone condizioni e a produrre per il mercato locale. Ma se il trattato di libero scambio andasse avanti saremo soggetti alle regole del mercato globale e, naturalmente, al mercato globale non interessa la protezione degli animali e dell'ambiente;
    altre problematiche per il settore riguardano il mancato riconoscimento delle indicazioni di origine ed il fenomeno dell’«Italian sounding». Ambedue tematiche prioritarie per l'Italia. Per quanto riguarda le indicazioni di origine, sono stati fatti passi avanti nella bozza di testo del mandato negoziale, ma resta da verificare attraverso quali modalità avverrà il riconoscimento e come saranno tutelati i prodotti italiani, che costituiscono la quota più elevata delle indicazioni di origine europee registrate;
    si prevede che servizi finanziari e investimenti saranno un grosso capitolo del negoziato, il cui punto focale sarà l'Isds (Investor State dispute settlement, cioè un tribunale sovranazionale cui le imprese potranno appellarsi per proteggere i propri investimenti). L'Isds permetterebbe alle imprese di far condannare quei Paesi che approvassero leggi dannose per i propri investimenti presenti e futuri. Oggi esse sono costrette a presentarsi ai tribunali nazionali e sottostare alle regole di ciascun Paese e in Europa, in alcuni casi, alla Corte europea di giustizia;
    ci sarebbe, quindi, la volontà di creare un organismo che, come il Dispute settlement body dell'Organizzazione mondiale del commercio, giudichi tenendo in conto le sole leggi e contratti relativi agli investimenti;
    emblematico il caso del Québec che nel maggio 2013, avendo vietato l'estrazione di gas e petrolio dal fracking, cioè dalla polverizzazione per esplosione del sottosuolo, pericolosa per l'uomo e l'ambiente, è stato portato di fronte al tribunale arbitrale del Nafta della industrie Usa del settore, a causa della perdita di potenziale guadagno derivante dalla decisione. Se negli accordi tra Usa e Canada fosse stato introdotto un Isds, questo gli avrebbe dato sicuramente ragione perché gli interessi generali non avrebbero avuto alcun peso;
    per portare un ulteriore esempio, se il Governo italiano dovesse approvare la legge d'iniziativa popolare del Forum italiano dei movimenti per l'acqua, riconoscendo finalmente l'esito del voto referendario del 2011, ad accordo vigente potrebbe trovarsi sanzionato per aver impedito, con la ripubblicizzazione del servizio idrico, futuri profitti alle multinazionali del settore;
    gli Stati Uniti, come evidenziato anche nel parere della CES, non hanno ratificato diverse convenzioni Ilo e Onu in materia di diritti del lavoro, diritti umani e ambiente. La mancata ratifica di dette convenzioni rende negli Stati Uniti il costo del lavoro più basso e il comportamento delle imprese nazionali più disinvolto e competitivo, in termini puramente economici, anche se più irresponsabile. La ratifica e la piena attuazione delle norme fondamentali del lavoro dell'Oil dovrebbe rappresentare una delle condizioni fondamentali dell'accordo, tuttavia i negoziati sembrano andare nella direzione opposta;
    a sorvegliare gli impatti ambientali e sociali del TTIP, secondo quanto assicurato dalla Commissione europea, ci sarà un apposito capitolo dedicato allo sviluppo sostenibile che metterà in piedi un meccanismo di monitoraggio specifico, partecipato da sindacati e società civile d'ambo le regioni, come nei più recenti accordi di liberalizzazione siglati dall'Unione europea. Tuttavia, tale meccanismo di garanzia si è già verificato inefficace, soprattutto nel caso dell'accordo tra Unione europea e Corea;
    per quanto riguarda la liberalizzazione dei servizi si ipotizza di escludere dalla trattativa solo quelli per i quali non esiste offerta privata. Di conseguenza, l'acqua, la sanità, l'istruzione e cioè il complesso dei beni comuni e del welfare rischiano di essere completamente privatizzati e snaturati;
    l'accordo dovrebbe, inoltre, obbligare l'apertura o la liberalizzazione degli appalti pubblici a livello subnazionale, compreso il livello comunale. I governi locali rischiano, di conseguenza, di non essere in grado di utilizzare il criterio sociale e ambientale per garantire l'uso del denaro pubblico a sostegno dello sviluppo economico locale sostenibile. In questo contesto la riforma dei quadri politici esistenti dovrebbe, in particolare, tener conto della Convenzione Oil n. 94 relativa agli appalti pubblici e agli accordi collettivi. Tuttavia, da quanto emerge dai negoziati in corso la direzione presa dall'accordo pare essere in assoluto contrasto con tali raccomandazioni;
    lo stesso diritto alla salute potrebbe essere in parte compromesso per causa dell'accordo. Infatti, l’European trade union confederation (Etuc), l’American federation of labor and congress of industrial organizations (Afl-Cio) e l’International trade union confederation (Ictu) hanno già espresso le loro preoccupazioni rispetto al fatto che l'accordo transatlantico sul commercio e gli investimenti Usa-Unione europea (TTIP/TAFTA) impatteranno pesantemente sui sistemi sanitari nazionali e aumenteranno i costi a carico dei pazienti. I sindacati internazionali hanno anche paventato la riproduzione dei meccanismi previsti nell'accordo Usa-Corea (Korus), che ha blindato le indicazioni dei produttori rispetto al prezzo finale di farmaci e dispositivi medici. Grazie a questa procedura i produttori possono fare causa alle autorità sanitarie pubbliche e chiedere di essere rimborsati se a loro avviso i prezzi negoziati di farmaci e dispositivi sono troppo bassi. Tutto questo senza alcun riguardo per la sostenibilità dei sistemi sanitari stessi o del diritto alla salute dei cittadini;
    una stretta sulla tutela dei brevetti e sul loro mutuo riconoscimento tra le parti del trattato è uno degli obiettivi più condivisi tra le due parti. Dai semi, ai farmaci generici, alla ricerca scientifica, molte flessibilità attuali sono sotto attacco, anche quando producono avanzamento culturale e tutela della vita umana, come nel caso dei farmaci. Per ciò che riguarda i diritti d'autore ad esempio, le grandi imprese spingono per mantenere lo stesso livello di protezione sia negli Stati Uniti che nell'Unione europea; cioè un'armonizzazione dall'alto, che si traduce in maggiori restrizioni per il grande pubblico. In riferimento ai diritti per il conseguimento dei vegetali, il settore farmaceutico ha fatto pressioni per «livelli più elevati» di protezione;
    dal punto di vista della privacy emerge un altro motivo di preoccupazione: i giganti della rete, secondo le indiscrezioni emerse, cercherebbero di indebolire le normative europee di protezione dei dati personali per ridurli al livello quasi inesistente degli Stati Uniti, autorizzando in questo modo un accesso incontrastato alla privacy dei cittadini da parte delle imprese private;
    gli accordi internazionali costituiscono una categoria di atti giuridici nell'Unione europea. Essi sono conclusi dall'Unione europea che agisce da sola o con gli Stati membri secondo le disposizioni previste dai trattati istitutivi. Con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l'Unione europea ha acquisito personalità giuridica. Essa è, quindi, un soggetto di diritto internazionale in grado di negoziare e di concludere accordi internazionali a nome proprio. Gli accordi internazionali hanno effetti giuridici nel diritto interno dell'Unione europea e degli Stati membri. Inoltre, i trattati istitutivi dell'Unione europea definiscono le modalità secondo le quali l'Unione europea può concludere gli accordi internazionali;
    gli accordi internazionali sono il risultato di un accordo di volontà tra l'Unione europea da una parte e un Paese terzo o un'organizzazione terza dall'altra. Tali accordi fissano i diritti e gli obblighi per le istituzioni europee e gli Stati membri. Essi sono integrati nell'ordinamento giuridico europeo nella data della loro entrata in vigore o in quella prevista;
    giuridicamente gli accordi internazionali sono atti convenzionali di diritto derivato, essi devono quindi essere conformi ai trattati istitutivi dell'Unione europea. Essi hanno, tuttavia, un valore superiore agli atti di diritto derivato detti «unilaterali», ovvero adottati unilateralmente dalle istituzioni europee (regolamenti, direttive, decisioni e altro),

impegna il Governo:

   a richiedere alla Commissione europea il pieno accesso ai documenti negoziali per i Parlamenti nazionali, data l'incidenza prevista del loro contenuto sulle normative nazionali in essere anche in ambito non strettamente commerciale;
   a istituire un meccanismo efficace di trasparenza e di consultazione in itinere del Parlamento, delle parti sociali e della società civile sui negoziati commerciali in corso a livello bilaterale, plurilaterale e multilaterale;
   a realizzare dei processi di valutazione d'impatto indipendenti delle trattative in corso sull'ambito nazionale, con meccanismi di partecipazione multistakeholder alla loro costruzione e diffusione;
   a promuovere in sede europea un'azione contro la proliferazione di accordi commerciali di nuova generazione, che travalicano gli ambiti di stretta competenza commerciale e limitano la capacità normativa nazionale in ambiti di competenza non comunitaria;
   a chiedere l'esclusione permanente dagli ambiti d'azione dei trattati di liberalizzazione commerciale di principi costituzionali nazionali e comunitari, come il principio di precauzione, nonché di beni comuni come acqua, cibo ed energia, di servizi pubblici essenziali, in primo luogo quello idrico, di servizi sociali e sanitari e di diritti come il lavoro.
(1-00413)
«Migliore, Scotto, Marcon, Fava, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Di Salvo, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Zan, Zaratti».
(28 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP, Transatlantic trade and investment partnership) è un trattato di libero scambio e investimento, che l'Unione europea e gli Stati Uniti stanno attualmente negoziando in segreto. Il suo obiettivo dichiarato è di rimuovere le barriere commerciali in una vasta gamma di settori economici per facilitare l'acquisto e la vendita di beni e servizi tra Europa e Stati Uniti;
    c’è, dunque, il forte rischio che un trattato di questo tipo, mirando ad un'armonizzazione delle normative, quindi a un abbattimento delle regolamentazioni tra le due aree, porti ad un allentamento della normativa europea, solitamente più rigida, appiattendola ai livelli di quella statunitense;
    si sono avute numerose prognosi sugli effetti economici del Transatlantic trade and investment partnership. La stima citata più frequentemente proviene da una relazione di valutazione d'impatto, commissionata dalla Commissione europea al Centre for economic policy research di Londra. Secondo questa, l'ipotesi più ottimista per l'effetto di un accordo tra Unione europea e Stati Uniti afferma che il prodotto interno lordo dell'Unione europea aumenterebbe dello 0,5 per cento entro il 2027 (in media lo 0,036 per cento in un anno);
    gli Stati Uniti non hanno ratificato diverse convenzioni Ilo e Onu in materia di diritti del lavoro, diritti umani e ambiente. La mancata ratifica di dette convenzioni rende, negli Stati Uniti, il costo del lavoro più basso e il comportamento delle imprese nazionali più disinvolto e competitivo, in termini puramente economici, anche se più irresponsabile. La ratifica e la piena attuazione delle norme fondamentali del lavoro dell'Organizzazioni internazionale del lavoro dovrebbe rappresentare una delle condizioni fondamentali dell'accordo; tuttavia, i negoziati sembra vadano nella direzione opposta;
    per quanto attiene alla perdita di posti di lavoro, effetto collaterale solitamente inevitabile di accordi di libero scambio, la Commissione europea ha confermato la possibilità che il Transatlantic trade and investment partnership favorisca per i lavoratori europei un ricollocamento «dilazionato nel tempo ed effettivo», poiché le aziende verrebbero incoraggiate a procurarsi merci e servizi dagli Stati Uniti dove gli standard di lavoro sono più bassi e i diritti sindacali pressoché inesistenti («Impact assessement report on the future of EU-US trade relations», Strasburgo: Commissione europea, 12 marzo 2013, sezione 5.9.2.);
    in una fase in cui i tassi di disoccupazione in Europa hanno raggiunto livelli-record, con una disoccupazione giovanile in alcuni Stati membri dell'Unione europea che supera il 50 per cento, la Commissione europea ammette «timori fondati» che i lavoratori rimasti disoccupati a seguito del trattato Transatlantic trade and investment partnership non saranno più in grado di trovare un'altra occupazione. Al fine di offrire assistenza all'elevato numero di nuovi disoccupati, la Commissione europea ha suggerito agli Stati membri dell'Unione europea di ricorrere a fondi di sostegno strutturali, come il fondo di adeguamento alla globalizzazione e il fondo sociale europeo, cui sono stati assegnati 70 miliardi di euro da distribuire nell'arco di sette anni, dal 2014 al 2020;
    molti contadini e consumatori sono preoccupati per un allentamento degli standard ambientali e sul trattamento degli animali, che regolano, ad esempio, le condizioni di vita negli allevamenti in batteria e in altre strutture per la produzione industriale di carne. Al momento, in Europa è possibile incoraggiare i contadini ad allevare gli animali in condizioni accettabili e a produrre per il mercato locale. Se il trattato di libero scambio andasse in porto, si sarebbe, invece, soggetti alle regole del mercato globale ed è risaputo: al mercato globale non importa più di tanto della protezione degli animali e dell'ambiente;
    la minaccia maggiore del Transatlantic trade and investment partnership è costituita probabilmente dalla clausola in esso contenuta che cerca di garantire alle società transnazionali il diritto di citare in giudizio direttamente i singoli Paesi per perdite subite in conseguenza a provvedimenti pubblici. Considerando le implicazioni che comporta, tale disposizione per la «risoluzione delle controversie tra stato e investitori» (Isds, Investor-State dispute settlement) non ha equivalenti nel diritto commerciale internazionale: il Transatlantic trade and investment partnership concederebbe alle imprese americane ed europee il potere di impugnare le decisioni democratiche prese da Governi sovrani e di chiedere risarcimenti nei casi in cui quelle decisioni avessero effetti negativi sui propri utili;
    nei Paesi in cui la Isds è già stata inclusa in trattati d'investimento bilaterali o altri accordi di libero scambio, i danni arrecati allo stato di diritto e alla democrazia sono ormai sotto gli occhi di tutti. Tra gli esempi più rilevanti si citano:
     a) la società energetica svedese Vattenfall sta facendo causa al Governo tedesco per 3.700 milioni di euro per via della decisione presa dal Paese di eliminare gradualmente l'energia nucleare a seguito del disastro nucleare di Fukushima;
     b) il gigante del tabacco americano Philip Morris sta facendo causa per migliaia di miliardi di dollari al Governo australiano per via della sua politica di sanità pubblica che impone la vendita di sigarette solo in pacchetti senza scritte; la Philip Morris ha citato in giudizio anche l'Uruguay a causa delle misure imposte da questo Stato nella lotta contro il fumo;
    l'accordo dovrebbe, inoltre, obbligare l'apertura o la liberalizzazione degli appalti pubblici a livello subnazionale, compreso il livello comunale. I governi locali rischiano, di conseguenza, di non poter far valere qualsiasi criterio sociale e ambientale nell'impiego di denaro pubblico a sostegno dello sviluppo economico locale sostenibile,

impegna il Governo:

   a richiedere alla Commissione europea il pieno accesso ai documenti negoziali per i Parlamenti nazionali, data l'incidenza del loro contenuto sulle normative nazionali in essere anche in ambito non strettamente commerciale;
   a istituire un meccanismo efficace di trasparenza e di consultazione in itinere del Parlamento, delle parti sociali e della società civile sui negoziati commerciali in corso a livello bilaterale, plurilaterale e multilaterale;
   a promuovere in sede europea un'azione contro la proliferazione di accordi commerciali di nuova generazione, che travalicano gli ambiti di stretta competenza commerciale e minacciano di indebolire i principi più elementari della democrazia, tanto nell'Unione europea che negli Stati Uniti.
(1-00558)
«Kronbichler, Scotto, Fratoianni, Palazzotto, Pannarale, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti, Zaccagnini».
(23 luglio 2014)

MOZIONE CONCERNENTE INIZIATIVE RIGUARDANTI I PROFILI DI PREVENZIONE SANITARIA CORRELATI AL FENOMENO MIGRATORIO

   La Camera,
   premesso che:
    lebbra, tubercolosi, poliomielite, scabbia e addirittura ebola. Cresce l'allarme nel nostro Paese per i casi di malattie che sembravano ormai scomparse e che ora rischiano di diventare delle epidemie, che travalicano le zone di origine e potrebbero essere trasmesse dalle persone che si spostano da aree colpite verso l'Europa;
    disposizioni governative e delle autorità sanitarie internazionali rilanciano l'allarme sulla ricomparsa anche sul territorio nazionale di malattie considerate debellate da tempo;
    accanto alla preoccupazione per il contagio che possa arrivare da fuori dai confini nazionali esistono timori relativi agli stranieri che vivono già in Italia, in situazioni alloggiative non sane e in condizioni igieniche precarie. Sono già avvenuti episodi nei quali stranieri sono arrivati al pronto soccorso affetti da tubercolosi, ma all'inizio dell'agosto 2014 all'ospedale trevisano Ca’ Foncello è stato scoperto addirittura un caso di lebbra;
    occorre ricordare come negli ultimi anni la diffusione della tubercolosi è aumentata di quasi il 50 per cento: da 4 a oltre 6 mila casi all'anno soprattutto nelle grandi città, con il 25 per cento dei casi tra Roma e Milano e la Lombardia tra le regioni più colpite. La malattia era stata praticamente debellata negli anni Ottanta, per poi tornare a crescere soprattutto a causa degli arrivi di extracomunitari da Paesi ad alta endemia;
    tra immigrati e ritorno della malattia esisterebbe una connessione. La nuova tubercolosi appartiene, peraltro, a un ceppo altamente resistente ai farmaci. Una ragione in più per vigilare. «Per chi arriva da Paesi con malattie diverse dalle nostre, è necessario fare i controlli sanitari prima dell'inserimento in comunità. Non è un atteggiamento discriminatorio, ma una pratica importante in termini di salute pubblica» secondo quanto dichiarato da Susanna Esposito, presidente della Società italiana di infettivologia pediatrica e direttore dell'unità di pediatria del Policlinico di Milano;
    la regione europea è stata dichiarata dall'Organizzazione mondiale della sanità «libera da polio» nel 2002, anche grazie alla diffusione del vaccino intervenuta subito dopo le grandi epidemie della metà del Novecento;
    il poliovirus è responsabile della terribile poliomielite, una malattia che coinvolge l'apparato neurologico dell'individuo distruggendone i tessuti nervosi e conducendo, nei casi più gravi, alla paralisi;
    nei documenti ufficiali il Ministero della salute precisa che «la recente riemergenza della polio in alcuni paesi è legata a diversi fattori, quali i conflitti bellici in corso, la debolezza dei sistemi sociali e sanitari, incapaci di garantire il raggiungimento di adeguate coperture vaccinali (come in Siria, dove si è assistito al crollo delle coperture passate dal 91 al 68 per cento) o interventi mirati in caso di reintroduzione di poliovirus selvaggi»;
    all'interno degli stessi documenti viene specificato che: «Alla fine del 2013 il 60 per cento dei casi di polio era dovuto alla diffusione internazionale del virus selvaggio, con evidenza di correlazione con viaggiatori adulti sani che avrebbero contribuito alla disseminazione del virus»;
    i Paesi maggiormente «sospettati» di essere portatori del virus sono Siria, Etiopia, Somalia. Camerun, Nigeria. Iraq, Guinea, Pakistan, Afghanistan ed Israele;
    il comitato dell'Organizzazione mondiale della sanità, riunitosi d'urgenza il 28 e 29 aprile 2014, ha emanato le «raccomandazioni internazionali» ai Paesi membri per contrastare la diffusione del virus;
    oltre ai rischi di contagio attraverso malattie «storiche», il mondo sta combattendo il virus dell'ebola che, secondo la definizione del numero uno dell'Organizzazione mondiale della sanità, Margaret Chan, «è una minaccia globale»; ad oggi, va precisato, inoltre, che, sui 8914 casi segnalati, 4447 sono state le vittime e il tasso di mortalità del 70 per cento; le previsioni dell'Organizzazione mondiale della sanità sono che l'epidemia peggiorerà prima di migliorare e richiede un aumento della risposta globale, i cui dati raccontano della più complessa epidemia di ebola nella storia del virus, «una situazione senza precedenti»;
    la presidente di Medici senza frontiere, Joanne Liu, ha tracciato un quadro fosco parlando sempre nella sede Onu: «Il mondo sta perdendo la battaglia contro l'epidemia. In Africa occidentale, i casi e le morti continuano ad aumentare. Ci sono continue rivolte, i centri di isolamento sono sopraffatti. Gli operatori sanitari che combattono in prima linea si stanno infettando e stanno morendo in numeri scioccanti. In Sierra Leone, corpi infetti marciscono nelle strade. Piuttosto che costruire nuovi centri di cura dell'ebola in Liberia, siamo costretti a costruire forni crematori. Per arginare l'epidemia, è imperativo che gli Stati implementino attività civili e militari con esperienza nel contenimento del rischio biologico»;
    l'ebola non si diffonde via aria o con contatti casuali, come sedersi vicino a una persona sull'autobus. Il modo più comune con cui si contrae il virus è toccare il sudore, la saliva o il sangue di una persona infettata o morta a causa della malattia. Anche toccare un oggetto contaminato può essere causa di infezione; l'infezione ha un esordio improvviso e un decorso acuto e non è descritto lo stato di portatore;
    l'incubazione può andare dai 2 ai 21 giorni (in media una settimana), a cui fanno seguito manifestazioni cliniche; la diagnosi clinica è difficile nei primissimi giorni, a causa dell'aspecificità dei sintomi iniziali. Può essere facilitata dal contesto in cui si verifica il caso (area geografica di insorgenza o di contagio) e dal carattere epidemico della malattia. Anche in caso di semplice sospetto, è opportuno l'isolamento del paziente e la notifica alle autorità sanitarie;
    i dati parlano di 8914 casi accertati e 4447 decessi, tra i quali, sino alla metà di settembre 2014, 1089 in Liberia, 800 in Guinea e 623 in Sierra Leone. In Nigeria, che non figura ancora nelle statistiche dell'Organizzazione mondiale della sanità, i morti sono invece 8 e 22 i casi conclamati secondo l'ultimo bilancio dell'Organizzazione mondiale della sanità del 5 settembre 2014. Un primo caso è stato, inoltre, confermato in Senegal la scorsa settimana. Al ritmo attuale di contagio, saranno necessari da 6 a 9 mesi ed almeno 490 milioni di dollari (373 milioni di euro) per riuscire a contenere l'epidemia, che secondo l'Organizzazione mondiale della sanità rischia di colpire 20.000 persone;
    in Italia, dopo Bologna, Varese, Gallarate, anche il Veneto registra i primi casi sospetti di ebola. Il settore igiene pubblica e prevenzione del Veneto ha fatto appena in tempo ad inviare a tutte le aziende sanitarie il protocollo contenente le prime indicazioni operative di risposta regionale per la prevenzione;
    pur avendo predisposto cordoni di sicurezza intorno agli Stati che sono oggetto dell'epidemia, gli esperti, però, ammoniscono che le terapie servono a poco, mentre le armi più efficaci rimangono prevenzione, contenimento dei casi, sorveglianza dei potenziali malati e comunicazione efficace dei rischi;
    il virus ebola è una grande preoccupazione. L'Organizzazione mondiale della sanità nelle nuove direttive riferisce che l'incubazione va dai due ai ventuno giorni. Di ebola si può anche guarire e nel momento in cui uno guarisce, per altri 28 giorni, mantiene il virus nel suo corpo e lo può espellere con i liquidi biologici. Questo significa che esiste un arco temporale di 50-60 giorni nel quale comunque questo virus può essere veicolato dall'uomo che lo ospita;
    come sollevato dal governatore Maroni, in Lombardia l'unico aeroporto attrezzato con un filtro sanitario adeguato ai parametri di legge è lo scalo di Malpensa, dove il servizio è strutturato in modo esemplare, ma bisogna pensare anche a Linate, Orio al Serio e Montichiari, in modo da essere pronti non solo per l'emergenza di ebola ma anche per Expo 2015, che è in arrivo l'anno prossimo e richiamerà a Milano almeno 20 milioni di passeggeri da tutti i Paesi;
    per la sua posizione geopolitica, l'Italia è stata da sempre esposta al fenomeno migratorio. In primo luogo poiché geograficamente protesa verso il mare e, di conseguenza, completamente predisposta ai flussi commerciali o migratori, sempre difficilmente controllabili nella loro interezza. In secondo luogo poiché, trovandosi al centro del Mar Mediterraneo, costituisce il confine meridionale del continente europeo, facilmente raggiungibile non solo dalla vicinissima Africa, ma anche dal più lontano Medio Oriente. Al di là delle sterili cifre, il fenomeno migratorio è progressivamente divenuto più drammatico. L'immigrazione negli ultimi anni ha fatto registrare un aumento esponenziale anche a seguito della cosiddetta «primavera araba», ma soprattutto a causa della rivoluzione economico-sociale che ha sconvolto il mondo negli ultimi venti anni;
    il progetto «mondiali sta» di rivoluzione economica, politica e sociale che ha conformato il pensiero culturale alle logiche liberiste del mercato, ha scardinato l'identità e le economie di sussistenza (autoproduzione e autoconsumo) su cui le popolazioni del sud del Mondo avevano vissuto, e a volte prosperato, per secoli e millenni, privandoli di quel tessuto di solidarietà familiare e comunitaria. In breve, il potere delle risorse prevale sul potere dell'uomo;
    basti pensare che ai primi del Novecento l'Africa era alimentariamente autosufficiente. Lo era ancora, in buona sostanza (al 98 per cento), nel 1961. Ma da quando ha cominciato ad essere aggredita dall'integrazione economica le cose sono precipitate. L'autosufficienza è scesa all'89 per cento nel 1971, al 78 per cento nel 1978;
    tutti gli «aiuti» non solo non sono riusciti a tamponare il fenomeno della fame, in Africa e altrove, ma lo hanno aggravato. Perché gli «aiuti» alle popolazioni del Terzo Mondo tendono ad integrarle maggiormente nel mercato economico mondiale. Ed è proprio questa integrazione, come dimostra la storia dell'ultimo mezzo secolo, che le fa ammalare ed esplodere;
    prima, quindi, di affrontare i problemi connessi all'emergenza sbarchi nel nostro Paese con il solito approccio buonista, si dovrebbe essere capaci di assumersi le proprie responsabilità storiche ma soprattutto si dovrebbe essere in grado di capire che è necessario un intervento in controtendenza fondato, da un lato, su un'azione forte di contrasto all'immigrazione di massa e, dall'altro lato, finalizzato a sviluppare interventi mirati di aiuto sul posto per le popolazioni sofferenti;
    il dramma dell'immigrazione e dei suoi risvolti sociali sta toccando picchi emergenziali. I poteri dello Stato si trovano spesso senza mezzi tecnici, economici e giuridici per fronteggiarne le derive più estreme, complice la legislazione schizofrenica nazionale ed europea. Come è avvenuto in passato in altre situazioni emergenziali (ad esempio, nei fenomeni di contrasto al terrorismo negli anni di piombo, di contrasto alla mafia, di contrasto al terrorismo islamico), soltanto una legislazione speciale, accompagnata da deroghe ai trattati internazionali finalizzate alla sicurezza interna (ad esempio, come avvenne durante il G8 Italia per quanto riguarda il Trattato di Schengen) e accompagnata da una politica di accordi stabili bilaterali di rimpatrio (politica già intrapresa, ad esempio, con Serbia ed Albania), può consentire la reale tutela dell'interesse dei cittadini e degli stranieri regolarmente presenti nonché diminuire realmente la pressione migratoria e, quindi, le tragedie umanitarie «degli sbarchi»;
    nel rispetto del principio costituzionale di cui all'articolo 52 della Costituzione: «la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino», in osservanza dei principi di cui agli articoli 1, 2, 3, 10 e 32 della Costituzione, è necessario che il Governo preveda interventi straordinari per garantire la sicurezza dei cittadini e la salvaguardia e la tutela del territorio nazionale minacciato da un eccezionale afflusso migratorio, motivato da particolari condizioni di instabilità politica negli Stati confinanti e nei Paesi del Nord Africa di sponda mediterranea,

impegna il Governo:

   a sospendere immediatamente l'operazione «Mare nostrum» al fine di scongiurare ogni rischio di contagio e diffusione dalle sopra indicate malattie tra la popolazione, con particolare riguardo agli agenti delle forze dell'ordine e agli operatori impegnati nell'operazione;
   a predisporre filtri sanitari adeguati ai protocolli internazionali presso tutti gli scali aeroportuali e portuali, oltre che presso le stazioni ferroviarie che hanno collegamenti con treni internazionali;
   ad adottare, nelle more di un intervento strutturale e strategico, coordinato dall'Onu, misure urgenti per predisporre la creazione di campi di accoglienza da collocare negli Stati africani che si affacciano sul Mediterraneo, al fine di soccorrere i migranti che arrivano dall'intero continente per cercare di arrivare in Europa sulle nuove tratte degli schiavi, di verificare i reali presupposti per la concessione di status di rifugiato, di verificare eventuali contagi del virus ebola, posto che, se una persona sospettata di essersi contagiata arriva dall'Africa senza alcun sintomo, questa persona non è contagiosa ma dovrà attendere ventuno giorni per l'eventuale comparsa dei sintomi, ed è solo alla comparsa dei sintomi che diventerà infettiva per le altre persone.
(1-00629)
«Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Simonetti».
(17 ottobre 2014)

MOZIONE CONCERNENTE INIZIATIVE PER L'IMPIEGO DI PARTE DEL RISPARMIO PREVIDENZIALE PER INTERVENTI A SOSTEGNO DELL'ECONOMIA

   La Camera,
   premesso che:
    la Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale ha approvato il 9 luglio 2014 una relazione intitolata «Iniziative per l'utilizzo del risparmio previdenziale complementare a sostegno dello sviluppo dell'economia reale del Paese»;
    la relazione è stata trasmessa alle Presidenze della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica in data 10 luglio 2014;
    la Commissione ha svolto un approfondito lavoro, nell'ambito dell'ampliamento delle competenze che il legislatore ha previsto, con l'ultima modifica approvata con la legge di stabilità per il 2014, affidando ad essa non solo le tradizionali funzioni di controllo sugli istituti di previdenza, ma un quadro esteso di funzioni di vigilanza: sull'efficienza del servizio in relazione alle esigenze degli utenti, sull'equilibrio delle gestioni e sull'utilizzo dei fondi disponibili, anche con finalità di finanziamento e sostegno del settore pubblico e con riferimento all'intero settore previdenziale ed assistenziale; sulla programmazione dell'attività degli enti e sui risultati di gestione in relazione alle esigenze dell'utenza; sull'operatività delle leggi in materia previdenziale e sulla coerenza del sistema previdenziale allargato con le linee di sviluppo dell'economia nazionale;
    in tale quadro la Commissione sta svolgendo un'approfondita indagine conoscitiva su «Funzionalità del sistema previdenziale pubblico e privato, alla luce della recente evoluzione normativa ed organizzativa, anche con riferimento alla strutturazione della previdenza complementare», che sinora ha contato 37 audizioni a partire dal gennaio 2014, con la partecipazione di tutte le istituzioni rappresentative ed istituzionali interessate al settore previdenziale (Corte dei conti, Banca d'Italia, Consob, Covip, Mefop, Inps, Inail, casse private e privatizzate, fondi pensioni dei settori della previdenza complementare, organizzazioni sindacali e datoriali), nonché esperti del settore, consulenti della Commissione;
    la Commissione europea si è fatta promotrice di una modifica della direttiva 2003/41/CE Iorp (Institutions for occupational retirement provision) – proposta COM(2014) 167 final 2014/0091 (COD) del 27 marzo 2014 (c.d. Iorp 2) di revisione della cosiddetta direttiva Iorp, relativa alle attività e alla vigilanza degli enti pensionistici aziendali o professionali – approvata il 27 marzo 2014, varando un pacchetto complessivo che prevede un piano della Commissione europea per soddisfare le esigenze di finanziamento a lungo termine dell'economia europea del 27 marzo 2014 e una comunicazione in tema di crowdfunding (finanziamento collettivo) per offrire possibilità di finanziamento alternative per le piccole e medie impresse (MEMO/14/240); il pacchetto si basa sulle risposte ricevute nel corso dell'esame del libro verde del 2013 e sulle discussioni avvenute in vari consessi internazionali, come il G20 e l'Ocse ed identifica una serie di misure specifiche che l'Unione europea deve adottare per promuovere il finanziamento a lungo termine dell'economia europea;
    il tema centrale proposto dalla Commissione europea è quello di favorire l'istituzione di fondi comuni europei specializzati nell'investimento di lungo termine in determinate attività produttive in tutto il territorio dell'Unione europea, in quanto «l'Europa ha notevoli esigenze di finanziamento a lungo termine per favorire la crescita sostenibile, il tipo di crescita che aumenta la competitività e crea occupazione in modo intelligente, sostenibile e inclusivo»; «occorre diversificare le fonti di finanziamento in Europa e migliorare l'accesso ai finanziamenti per le piccole e medie imprese, che rappresentano la spina dorsale dell'economia europea»; con riferimento specifico alle norme sulle pensioni aziendali o professionali, si rileva che: «Tutte le società europee devono affrontare una duplice sfida: si tratta di approntare un quadro pensionistico che tenga conto dell'invecchiamento della popolazione e, nel contempo, di realizzare investimenti a lungo termine che favoriscano la crescita. I fondi pensionistici aziendali o professionali sono doppiamente coinvolti nella questione: dispongono di oltre 2.500 miliardi di euro di attivi da gestire con prospettive a lungo termine, mentre 75 milioni di europei dipendono in gran parte da loro per la propria pensione. La proposta legislativa di oggi permetterà di migliorare la governance e la trasparenza di tali fondi in Europa, migliorando, quindi, la stabilità finanziaria e promuovendo le attività transfrontaliere, per sviluppare ulteriormente i fondi pensionistici aziendali e professionali come imprescindibili investitori a lungo termine»;
    tra le azioni previste nella Iorp 2 vi sono la finalizzazione dei dettagli del quadro prudenziale per banche e imprese di assicurazione che sostengono i finanziamenti a lungo termine all'economia reale, una maggiore mobilitazione di risparmi pensionistici personali e la valutazione delle modalità per incoraggiare maggiori flussi transfrontalieri di risparmio; la proposta di direttiva Iorp 2 si propone complessivamente di tutelare gli aderenti alle forme di previdenza complementare adeguatamente dai rischi di gestione, di incentivare i benefici derivanti da un mercato unico delle pensioni aziendali o professionali, rafforzando la capacità dei fondi pensionistici aziendali o professionali di investire in attività finanziarie con un profilo economico a lungo termine e sostenendo, quindi, il finanziamento della crescita nell'economia reale; si tratta in sostanza di favorire l'uso dei finanziamenti privati, aggiuntivi rispetto a quelli pubblici, per investimenti in infrastrutture e migliorare il quadro complessivo del finanziamento sostenibile a lungo termine;
    tali prospettive sono state oggetto di un importante confronto tra il Vicepresidente della Commissione europea e Commissario per il mercato interno e i servizi Michel Barnier e i componenti della Commissione bicamerale nel corso dell'audizione svoltasi alla Camera dei deputati il 3 luglio 2014; Barnier ha illustrato i contenuti del pacchetto di misure riguardanti l'incentivazione dell'uso del risparmio previdenziale per il finanziamento a medio e lungo termine dell'economia reale in Europa, nel quadro del complesso delle iniziative assunte dalla competente direzione generale per lo sviluppo dell'economia e la liberalizzazione delle attività economiche;
    sulla necessità di utilizzare il risparmio previdenziale per operazioni di finanziamento dell'economia reale si ricordano anche gli orientamenti emersi nel corso delle audizioni svolte: la Corte dei conti, nel corso dell'audizione del 27 febbraio 2014, ha rilevato che «un significativo contributo al finanziamento delle imprese può essere assolto dalle casse privatizzate e dalla previdenza complementare, nella peculiare funzione di intermediazione del risparmio previdenziale di lungo periodo»; la Consob, in audizione presso la VI Commissione finanze della Camera dei deputati, ha sottolineato come il mondo della previdenza complementare-domestico mostri una ridotta propensione all'investimento in titoli di capitale, ivi compresi quelli italiani; la Banca d'Italia, nell'audizione dell'11 giugno 2014, ha evidenziato che le attività dei fondi pensioni in Italia rappresentano il 5,6 per cento del prodotto interno lordo, a fronte di percentuali pari al 96 per cento nel Regno Unito, al 75 per cento in USA e alla media dei Paesi europei pari al 21 per cento, e che il criterio che deve orientare gli organi di governo dei fondi pensione è quello dell'ottimizzazione delle scelte di investimento e che «a condizione che i fondi si dotino di competenze e assetti organizzativi adeguati, potrebbero esistere margini per una composizione dei portafogli meno tradizionale»;
    nella relazione approvata la Commissione bicamerale, allineandosi alle proposte formulate dalla Commissione europea, tenendo conto anche degli orientamenti nell'ambito di un tavolo tecnico di confronto al quale hanno partecipato rappresentanti del Governo e dei dicasteri interessati (Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Ministero dello sviluppo economico), nonché molti delle istituzioni audite in Commissione, ha valutato la percorribilità di iniziative istituzionali volte a far sì che l'impiego di parte dei patrimoni gestiti dai fondi pensione e dalle casse professionali possa concorrere a destinare rilevanti risorse finanziarie a sostegno di programmi strategici per lo sviluppo del sistema Paese, quali l'innovazione tecnologica, le fonti di energia sostenibili, la ricerca, il rilancio di aree industriali in crisi, il salvataggio e la ristrutturazione di piccole e medie imprese in difficoltà, i programmi di edilizia abitativa e scolastica e altro;
    occorre sottolineare che sia per la previdenza complementare che per le forme di previdenza obbligatoria degli iscritti negli ordini professionali, in assenza di una forte iniziativa politica, decine e decine di miliardi del risparmio previdenziale, per un totale di quasi 200 miliardi di euro complessivi, continueranno ad essere investiti in strumenti finanziari, per lo più all'estero, in una misura che oggi è pari a circa il 70 per cento del totale degli impieghi; il restante 30 per cento degli impieghi è sostanzialmente investito in titoli di Stato;
    tale andamento determina oggi, di fatto, l'impossibilità di finanziare le imprese italiane e le iniziative di sviluppo infrastrutturale del nostro Paese, in un momento in cui il tema delle risorse finanziarie da recuperare per lo sviluppo dell'economia reale dell'Italia è assolutamente rilevante;
    nella relazione approvata dalla Commissione, che qui si intende integralmente richiamata, sono ipotizzate una serie di misure volte a conseguire tale obiettivo, secondo tre principali linee di intervento:
     a) interventi fiscali per stimolare gli investimenti della previdenza complementare in iniziative di sviluppo del Paese, con misure di equiparazione del regime di tassazione ovvero di agevolazione fiscale in rapporto alla partecipazione ad investimenti in iniziative a sostegno dell'economia reale del Paese; l'idea di fondo è che lo strumento fiscale non deve rispondere solo all'esigenza contingente di ripristinare o mantenere la tenuta dei conti pubblici, ma anche costituire una leva di politica economica a disposizione del Governo e del Parlamento per una politica di sviluppo, così come avviene in altri Paesi europei che utilizzano le agevolazioni fiscali per incentivare l'economia e per operare in senso competitivo con gli altri Stati, dal momento che gli strumenti di politica monetaria sono ormai devoluti alla Banca centrale europea;
    nella relazione si analizzano le normative estere esistenti in materia di tassazione dei fondi pensione e delle Casse previdenziali degli ordini professionali;
    il sistema prevalente in Europa, ad esempio nel Regno Unito, è il cosiddetto sistema «eet» (esente, esente, tassato), con riferimento, rispettivamente alla fase dell'accumulazione, alla tassazione dei rendimenti maturati in ciascun anno da parte dei soggetti gestori del risparmio previdenziale e della tassazione delle prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di rendita;
    in Italia la fase di accumulazione è sostanzialmente esente, in quanto l'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo n. 252 del 2005 prevede che i contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro, sia volontari sia dovuti in base a contratti o accordi collettivi, alle forme di previdenza complementare sono deducibili dal reddito complessivo per un importo non superiore ad euro 5.164,57;
    i contributi versati dal datore di lavoro usufruiscono, altresì, delle medesime agevolazioni contributive;
    ai fini del computo del predetto limite si tiene conto anche delle quote accantonate dal datore di lavoro ai fondi di previdenza di cui all'articolo 105, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi;
    la tassazione dei rendimenti maturati in ciascun anno è stata elevata per il 2014 all'11,5 per cento (prima del decreto-legge n. 66 del 2014, che ha ulteriormente incrementato la pressione fiscale in materia, era, infatti, dell'11 per cento);
    la tassazione delle prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di rendita, infine, ai sensi dell'articolo 11, comma 6, del citato decreto legislativo n. 252 del 2005, sono imponibili per il loro ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta e a quelli di cui alla lettera g-quinquies del comma 1 dell'articolo 44 del testo unico delle imposte sui redditi: sulla parte imponibile delle prestazioni pensionistiche erogate è, pertanto, operata una ritenuta a titolo d'imposta con l'aliquota del 15 per cento ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali (sino al 9 per cento, quindi, nell'ipotesi di un'anzianità contributiva di 35 anni); le prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di capitale sono imponibili per il loro ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta; per le casse private rispetto alle tre fasi della tassazione (accantonamento dei contributi, accumulo dei rendimenti, percezione della rendita), si ha una situazione del tipo «eet», ma più gravosa rispetto a quello previsto per i fondi pensione, in quanto se i contributi versati dagli iscritti sono esenti da tassazione fiscale (articolo 38, comma 11, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, che ha esteso anche all'esercizio di attività previdenziali e assistenziali da parte di enti privati di previdenza obbligatoria la disciplina dell'articolo 74 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, per gli enti pubblici), il trattamento fiscale dei rendimenti mobiliari è tassato al 20 per cento (articolo 2, comma 6, del decreto-legge n. 138 del 2011, a partire dal 2012), mentre le prestazioni sono assoggettate alle aliquote irpef: la relativa base imponibile è data dal valore della prestazione pensionistica al lordo dei rendimenti conseguiti dall'ente previdenziale, con una sorta di doppia tassazione quindi;
     b) interventi ordinamentali concernenti la normativa della previdenza complementare, sia per i fondi pensione che per le casse previdenziali, per stimolare il settore e favorire l'impiego, in condizioni di sicurezza del risparmio, di parte delle risorse ottenute per la promozione di interventi a sostegno dell'economia del Paese; in particolare, nella relazione si ipotizzano: revisione dei meccanismi di adesione alla previdenza complementare; forme di compensazione o garanzia pubblica per le imprese derivante dall'eventuale incremento dell'impiego del trattamento di fine rapporto in forme di previdenza complementare, in rapporto alla mancata disponibilità dello stesso come forma di autofinanziamento delle imprese; revisione dei limiti quantitativi e tipologici agli impieghi oggetto di definizione per i fondi pensione con il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze n. 703 del 1996 e successiva revisione; definizione dello status giuridico delle casse professionali, che la legge ha previsto come private ma che sia in sede amministrativa – per esempio: dell'inclusione nell'elenco consolidato delle pubbliche amministrazione gestito dall'Istat; dei controlli; della sottoposizione al regime della spending review; dei regimi autorizzatori per gli impieghi del patrimonio; delle modalità di redazione dei bilanci, anche in sede giurisdizionale, sono state, di fatto, ricondotte ad un ambito pubblicistico; altre misure possono riguardare lo sblocco di parte delle risorse degli enti previdenziali pubblici, segnatamente l'Inail, attualmente immobilizzati nel conto di tesoreria unica;
     c) definizione delle modalità per la destinazione del risparmio previdenziale a sostegno di investimenti nell'economia reale, attraverso investimenti diretti a sostegno delle imprese, ovvero ampliando il ruolo di raccolta del risparmio della Cassa depositi e prestiti, estendendolo anche al risparmio previdenziale, al fine di favorire l'impiego di interventi strutturali a sostegno dell'economia, in connessione con lo sviluppo dell'impiego di risorse a sostegno del Paese derivanti dalla previdenza complementare;
    altro tema importante è quello dello sviluppo delle campagne informative per la sensibilizzazione dei lavoratori, specie i giovani, sulla rilevanza della previdenza complementare per un positivo futuro pensionistico;
    per la realizzazione di tale iniziativa dovranno essere assicurate importanti condizioni tecniche, quali acquisire il consenso degli enti interessati, prevedere forme di garanzia dello Stato atte ad assicurare la certezza degli investimenti e la loro adeguata remuneratività, in modo comunque da garantire l'equilibrio della gestione finanziaria degli enti interessati e il rispetto delle normative comunitarie in tema di aiuti di Stato,

impegna il Governo:

   ad attuare le linee direttive contenute nella relazione della Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale per l'Assemblea, doc. XVI-bis n. 1 del 9 luglio 2014 e trasmesse alle Presidenze delle Camere in data 12 luglio 2014, al fine di favorire l'impiego di parte del risparmio previdenziale, su base consensuale e garantendo la tutela del risparmio previdenziale, risorse ottenute per la promozione di interventi a sostegno dell'economia del Paese, intervenendo con il disegno di legge di stabilità per il 2015 per introdurre misure:
    a) per armonizzare il trattamento fiscale delle forme di previdenza complementare e della previdenza riguardante gli ordini professionali, definendo una tassazione a livello inferiore rispetto a quella attualmente prevista per i fondi pensione e valutando, altresì, l'introduzione di un sistema «eet» anche nel nostro Paese;
    b) per definire lo status giuridico delle casse degli ordini professionali o enti previdenziali privatizzati ai sensi del decreto legislativo n. 509 del 1994 e del decreto legislativo n. 103 del 1996, anche alla luce delle recenti e ripetute decisioni in sede di giustizia amministrativa che hanno richiamato il carattere pubblicistico di tali enti;
    c) per valutare forme eventuali di accorpamento delle casse degli ordini professionali al fine di realizzare economie di gestione e modalità di impiego delle risorse più efficienti, fatta salva la separazione delle gestioni relative agli specifici ordini professionali;
    d) per prevedere modifiche alla disciplina ordinamentale dei fondi pensione volti a stimolare l'accesso alla previdenza complementare; in particolare nella relazione si ipotizzano: revisione dei meccanismi di adesione alla previdenza complementare; forme di compensazione o garanzia pubblica per le imprese derivante dall'eventuale incremento dell'impiego del trattamento di fine rapporto in forme di previdenza complementare, in rapporto alla mancata disponibilità dello stesso come forma di autofinanziamento delle imprese; la revisione dei limiti quantitativi e tipologici agli impieghi oggetto di definizione per i fondi pensione con il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze n. 703 del 1996, e successiva revisione;
    e) per avviare campagne di informazione per tutti i lavoratori, anche per i dipendenti pubblici, sulle opportunità offerte dalla previdenza complementare, atteso che la piena entrata a regime del sistema contributivo per la previdenza pubblica determinerà la necessità di pensioni complementari anche nel settore pubblico;
    f) per valutare l'adozione di altre misure finalizzate a aumentare le risorse finanziarie a disposizione di investimenti di rilevanza pubblica, quali lo sblocco di parte delle risorse degli enti previdenziali pubblici, segnatamente l'Inail, attualmente immobilizzati nel conto di tesoreria unica;
    g) per promuovere, d'intesa con i fondi pensione e le casse professionali, un patto per l'Italia per prevedere che, a fronte di interventi di agevolazioni, anche fiscali, e di miglioramento del quadro normativo complessivo del settore, sia verificata la disponibilità di effettuare investimenti di parte dei patrimoni gestiti a favore di iniziative per lo sviluppo infrastrutturale dell'Italia, garantendo la remuneratività degli investimenti, nel quadro della salvaguardia dell'equilibrio finanziario degli enti del secondo e del terzo pilastro e del diritto dei lavoratori a percepire le prestazioni previdenziali.
(1-00602)
«Di Gioia, Morassut, Di Salvo, Di Lello, Piazzoni, Palese, Distaso, Aiello, Galati, Fucci, Caruso, Lacquaniti, Capelli, Fava, Adornato, D'Alia, Formisano, Gebhard, Lauricella, Ginoble, Melilla, Piepoli, Zoggia, Ginefra, Pastorelli, Meta, Marzano, Carella, Rostan, Scanu, Pilozzi, Rubinato, Pelillo, Sannicandro, Migliore, Carbone, Francesco Sanna, Grassi, Fioroni, Catania».
(3 ottobre 2014)

Per tornare alla pagina di provenienza azionare il tasto BACK del browser