TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 402 di Martedì 31 marzo 2015

 
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MOZIONI CONCERNENTI INTERVENTI A FAVORE DEL MEZZOGIORNO

   La Camera,
   premesso che:
    il quadro già grave e complesso evidenziato dalla Svimez (Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno), nell'anticipazione del rapporto 2014 sull'economia del Mezzogiorno, presentato a fine luglio 2014, si è ulteriormente aggravato in sede di presentazione del rapporto Svimez 2014 e delle proiezioni elaborate dal medesimo istituto per l'anno 2015, al punto che apertamente si parla di un «Sud a rischio desertificazione umana e industriale»;
    la riduzione del prodotto interno lordo nel 2014, quantificata dal Governo in -0,4 per cento, è la risultante tra la stazionarietà del Centro-Nord (0 per cento) e la flessione del Sud (-1,5 per cento); il quadro risulta ancora più divergente nel 2015: il prodotto interno lordo nazionale secondo le stime Svimez è previsto a +0,8 per cento, quale risultato tra il positivo +1,3 per cento del Centro-Nord e il negativo -0,7 per cento del Sud;
    a livello regionale, nel 2013, il calo del prodotto interno lordo è compreso tra il -1,8 per cento dell'Abruzzo e il -6,1 per cento della Basilicata, fanalino di coda nazionale, che ha così registrato un segno negativo per la crisi dell`industria meccanica e dei mezzi di trasporto. In posizione intermedia la Campania (-2,1 per cento), la Sicilia (-2,7 per cento), il Molise (-3,2 per cento). Giù anche Sardegna (-4,4 per cento), Calabria (-5 per cento) e Puglia (-5,6 per cento). Tra il 2008 e il 2013 difficoltà, soprattutto in Basilicata e Molise, che segnano cali cumulati superiori al 16 per cento, accanto alla Puglia (-14,3 per cento), la Sicilia (-14,6 per cento) e la Calabria (-13,3 per cento). Ha perso oltre il 13 per cento di prodotto anche la Sardegna, mentre cali superiori al 12 per cento si registrano in Campania, Marche e Umbria;
    dal 2008 al 2013 il settore manifatturiero al Sud ha perso il 27 per cento del proprio prodotto e ha più che dimezzato gli investimenti (-53 per cento). Nello stesso periodo al Centro-Nord il manifatturiero ha perso circa il 16 per cento del proprio prodotto e oltre il 24 per cento degli investimenti;
    i consumi delle famiglie meridionali sono ancora scesi, arrivando a ridursi nel 2013 del 2,4 per cento, a fronte del -2 per cento delle regioni del Centro-Nord. Dal 2008 al 2013 la caduta cumulata dei consumi delle famiglie ha sfiorato nel Sud i 13 punti percentuali (-12,7 per cento), risultando di oltre due volte maggiore di quella registrata nel resto del Paese (-5,7 per cento);
    tra il 2008 ed il 2013 delle 985 mila persone che in Italia hanno perso il posto di lavoro, ben 583 mila sono residenti nel Mezzogiorno. Nel Sud, pur essendo presente appena il 26 per cento degli occupati italiani si concentra il 60 per cento delle perdite determinate dalla crisi. Nel solo 2013 in Italia sono andati persi 478 mila posti di lavoro, di cui 282 mila al Sud. La nuova flessione riporta il numero degli occupati del Sud per la prima volta nella storia a 5,8 milioni, sotto la soglia psicologica dei 6 milioni, il livello più basso dal 1977, anno da cui è possibile disporre della serie storica dei dati;
    tra il 2008 ed il 2013 si registra al Sud una caduta dell'occupazione del 9 per cento, a fronte del -2,4 per cento del Centro-Nord. Negli anni Settanta il tasso di occupazione al Sud era del 49 per cento; nel 2013 è sceso al 42 per cento; al Centro-Nord invece si è passati dal 56 per cento degli anni Settanta al 63 per cento del 2013; Sud e Centro-Nord sono lontani dal target del 75 per cento di Europa 2020, ma per il Meridione l'obiettivo si allontana e continua ad allontanarsi. In calo soprattutto l'occupazione giovanile: al Sud nel 2013 fra gli under 34 flette del 12 per cento, contro il -6,9 per cento del Centro-Nord;
    al Sud appena il 21,6 per cento (1 su cinque) delle donne sotto i 34 anni ha un lavoro contro il 43 per cento del Centro-Nord ed una media nazionale del 34,7 per cento; il confronto con la media dell'Unione europea è impietoso: nell'Europa a 27 le donne sotto i 34 anni che lavorano sono il 50,9 per cento. Considerando tutte le classi di età, l'occupazione femminile meridionale si ferma al 33 per cento; al Centro-Nord la percentuale di donne che lavorano non è lontana dalla media europea (59,2 per cento rispetto al 62,6 per cento dell'Unione europea). Anche la nuova occupazione che si crea per le donne perde di qualità: dal 2008 al 2013 le professioni qualificate femminili sono scese dell`11,7 per cento, mentre sono aumentati del 15 per cento i posti di lavoro nelle professioni poco qualificate. Indicativo anche il dato sul part-time: le donne che lo scelgono, circa il 30 per cento del totale in Italia, non lo fa per scelta: al Sud addirittura il 75 per cento dei part-time femminili è involontario;
    i consumi delle famiglie meridionali sono ancora scesi, arrivando a ridursi nel 2013 del 2,4 per cento, a fronte del -2 per cento delle regioni del Centro-Nord. Dal 2008 al 2013 la caduta cumulata dei consumi delle famiglie ha sfiorato nel Sud i 13 punti percentuali (-12,7 per cento), risultando di oltre due volte maggiore di quella registrata nel resto del Paese (-5,7 per cento);
    al di là delle aride cifre riferite a prodotto interno lordo, produzione e occupazione, la questione che riveste assoluta gravità è quella sociale: nel 2007 la povertà assoluta interessava il 4,1 per cento delle famiglie italiane (3,3 per cento al Centro-Nord e 5,8 per cento al Sud), mentre a fine 2013 si è arrivati al 7,9 per cento a livello nazionale, con il 5,8 per cento di nuclei familiari in povertà assoluta al Centro-Nord e il 12,6 per cento al Sud; in termini assoluti, nel periodo 2007-2013 al Sud le famiglie assolutamente povere sono cresciute oltre due volte e mezzo, da 443 mila a 1 milione 14 mila, con un incremento del 40 per cento solo nell'ultimo anno della serie. Nel 2012 il 9,5 per cento delle famiglie meridionali guadagna meno di mille euro al mese, mentre per il Centro-Nord tale dato si attesta al 3,8 per cento; si tratta, in particolare, del 9,2 per cento delle famiglie lucane, del 9,3 per cento delle calabresi, del 10,9 per cento delle molisane e del 14,1 per cento di quelle siciliane;
    secondo stime Svimez, anche nel 2013, come nel 2012, nel Meridione i decessi hanno superato le nascite: un risultato negativo che si era verificato solo nel 1867 e nel 1918. Proseguendo questo trend, il Sud avrebbe una perdita di 4,2 milioni di abitanti nei prossimi 50 anni, arrivando così ad una consistenza del 27 per cento sul totale nazionale a fronte dell'attuale 34,3 per cento; la situazione è aggravata dall'emigrazione: negli ultimi venti anni sono emigrati dal Sud al Centro-Nord circa 2,3 milioni di persone. Nel 2013 secondo Svimez si sono trasferiti dal Mezzogiorno al Centro-Nord circa 116 mila abitanti; altro elemento da valutare è che anche gli stranieri rifuggono dal Sud: a dicembre 2013 i residenti stranieri nel nostro Paese sono circa 5 milioni, di cui solo 717 mila al Sud e 4 milioni e 200 mila nel Centro-Nord;
    i giovani meridionali si trovano di fronte ad una drammatica realtà sociale e culturale: secondo una recente ricerca l'80 per cento dei giovani meridionali maschi sotto i 30 anni vive ancora in casa con i propri genitori, mentre oltre tre quinti delle giovani del Sud intravedono per sé un futuro di casalinga: una situazione simile a quella dei primi anni del dopo guerra. Le abitazioni non mancano: mancano le risorse per potersi stabilire;
    annualmente Il Sole 24 ore pubblica un'indagine sulla qualità della vita condotta nelle 107 città italiane capoluogo di provincia. L'indagine è piuttosto approfondita e complessa e si basa su 36 parametri, raggruppati in sei macro-aree (tenore di vita, affari e lavoro, servizi ambiente e salute, popolazione, ordine pubblico e tempo libero), fino alla compilazione di una classifica generale. Anche per il 2014 il Sud continua a essere fanalino di coda della classifica e Napoli in particolare si conferma la città dove si vive peggio, mentre Palermo è la penultima; a salire si trovano: Reggio Calabria; Taranto; Caserta; Vibo Valentia; Catania; Caltanissetta, Foggia, Trapani, Bari, Agrigento e Cosenza; la prima città non meridionale è Frosinone all'87esimo posto;
    in termini di ricchezza prodotta la città che ne produce di meno è Crotone (12.930 euro; Milano 37.642 euro), seguita da Agrigento, Enna e Caserta; la prima città non meridionale è Isernia al 78esimo posto;
    in termini di propensione al risparmio la provincia peggiore è Carbonia-Iglesias (7.903 euro, Trieste 43.228 euro), seguita da Crotone, Trapani e Siracusa; la prima città non meridionale è Rieti all'82esimo posto;
    in termini di assegno pensionistico medio la città in cui la media è più bassa è Catanzaro (485 euro, Milano 1.100 euro), seguita da Agrigento, Campobasso, Benevento ed Enna;
    in termini di ambiente favorevole agli affari e al lavoro, la città meno attraente è Reggio Calabria, seguita da Caltanissetta, Caserta, Napoli e Cosenza;
    in termini di servizi, ambiente e salute, la città nelle peggiori condizioni è Crotone, seguita da Vibo Valentia, Foggia, Caltanissetta e Agrigento;
    le risorse inizialmente programmate nel quadro strategico nazionale 2007-2013 ammontavano originariamente a oltre 60 miliardi di euro, di cui circa 28,8 miliardi di euro di fondi strutturali provenienti dall'Unione europea e circa 31,6 miliardi di euro di risorse di cofinanziamento nazionale (iscritti sul fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie previsto dalla legge n. 183 del 1987); la gran parte di tali risorse, 43,6 miliardi di euro (all'incirca il 75 per cento del totale), risultava destinata all'obiettivo «convergenza», che interessa le regioni Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e Basilicata;
    a seguito del Piano di azione per la coesione, l'ammontare complessivo delle risorse destinate ai programmi operativi (quota comunitaria più cofinanziamento nazionale) si è ridotto da 60,1 miliardi di euro (28,5 miliardi di euro di fondi comunitari e 31,6 miliardi di euro di cofinanziamento) a circa 48,5 miliardi di euro. Sulla base delle informazioni disponibili (fornite dalla Ragioneria generale dello Stato), alla data del 30 giugno 2014 le risorse ancora da spendere entro il 31 dicembre 2015 (termine ultimo per effettuare pagamenti) ammontano a circa 20 miliardi di euro, la maggior parte dei quali (15 miliardi di euro) nell'area dell'obiettivo «convergenza»;
    secondo le indicazioni offerte dal Governo nei primi giorni del mese di ottobre 2014, la programmazione 2014-2020 potrà contare su 32 miliardi di euro di fondi strutturali europei, cui ne andrebbero aggiunti altrettanti di cofinanziamenti nazionali (24 miliardi di euro a carico dello Stato, il resto a carico delle regioni). È stata avanzata anche la proposta di ridurre, nelle regioni «convergenza», la quota di cofinanziamento regionale e sono state indicate tre priorità per questo nuovo programma: competitività delle imprese, occupazione e istruzione/formazione. Nel decreto-legge «sblocca Italia» (n. 133 del 2014) si affidano nuove funzioni al Presidente del Consiglio dei ministri al fine di accelerare l'impiego delle risorse comunitarie nelle regioni «convergenza»; il Presidente del Consiglio dei ministri avrà la facoltà di proporre al Cipe il definanziamento e la riprogrammazione delle risorse non impegnate;
    ma, a seguito della presentazione della legge di stabilità 2015, è intervenuto un richiamo comunitario che ha richiesto un ulteriore aggiustamento di bilancio; il Governo ha pertanto provveduto riducendo, tra l'altro, di 500 milioni di euro la quota delle risorse nazionali dai fondi di cofinanziamento di coesione dell'Unione europea; inoltre l'articolo 12 della legge di stabilità per finanziare gli sgravi contributivi per assunzioni a tempo indeterminato ha ridotto di un miliardo di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 e a 500 milioni di euro per l'anno 2018 le risorse del fondo di rotazione di cui all'articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, già destinate agli interventi del Piano di azione per la coesione;
    se è vero che i dati di per sé risultano aridi e che, comunque, vanno integrati, si può convenire che dagli elementi presentati emerge una realtà drammatica e fortemente preoccupante per l'intero Mezzogiorno d'Italia;
    una parte fondamentale del Paese ha nella storia, nella cultura, nell'economia un bacino di potenzialità a sua disposizione e gli strumenti per crescere svilupparsi, integrare e sostenere con vigore lo sforzo dell'esecutivo per risanare e rilanciare il Paese;
    il quadro macroeconomico che emerge dalle considerazioni effettuate suscita timori sotto diversi profili. Ma ciò che risalta soprattutto è l'allarmante crisi sociale che impedisce il formarsi di nuove famiglie, la crescita delle famiglie esistenti e la stessa natalità. Una preoccupazione forte che ha sollecitato il Ministro della salute a dar vita al piano nazionale per la fertilità, nel quale sono coinvolti esperti di natalità, pediatri, sociologi, esperti di economia sanitaria ed altri. Un'operazione questa che, se risulta indubbiamente utile al Paese intero, lo è ancor di più per il Sud che, nelle condizioni attuali, non è di sicuro sostenuto e assecondato sul piano della crescita demografica: una questione, quest'ultima, che è strettamente collegata ora e di più lo sarà nel futuro al tema della sostenibilità del sistema sanitario e previdenziale,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa, anche attraverso ulteriori interventi normativi, volta ad attribuire adeguate quote di cofinanziamento e comunque adeguate risorse comunitarie e nazionali alle regioni meridionali ed individuando la sede idonea in cui Governo, regioni ed i competenti organi parlamentari, a seguito di un naturale, approfondito confronto, siano in grado di definire un insieme coordinato di opere strategiche di importanza prioritaria, la cui realizzazione favorisca la crescita economica complessiva delle regioni meridionali;
   ad assicurare, attraverso una specifica programmazione infrastrutturale, forti politiche di investimento da parte dello Stato a favore delle regioni meridionali ed impegnandosi, altresì, a riconsiderare le regole del patto di stabilità per gli enti territoriali;
   a perseguire con decisione, in sede di Unione europea e quale obiettivo del semestre di Presidenza italiana, l'obiettivo della riduzione delle quote di partecipazione nazionale ed in particolare regionale, con specifico riferimento alle regioni meridionali, da erogare a titolo di concorso al cofinanziamento del Fondo europeo per lo sviluppo regionale e del Fondo sociale europeo;
   con riferimento alla programmazione 2014-2020, a prevedere l'utilizzo di parte significativa delle risorse del Fondo sociale europeo per realizzare politiche attive di lavoro e inserimento professionale nei confronti dei giovani disoccupati meridionali;
   ad avviare politiche a sostegno della natalità e della genitorialità, con particolare riferimento alle zone socialmente ed economicamente più disagiate;
   ad assicurare tempestiva e rigida applicazione dei poteri sostitutivi del Governo in materia di utilizzo delle risorse comunitarie, previsti dall'articolo 9 del decreto-legge n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 2013, e dall'articolo 12 del decreto-legge n. 133 del 2014 in caso di ritardo delle regioni nelle assegnazioni ed erogazioni;
   ad adoperarsi al fine di consentire all'Agenzia per la coesione territoriale di operare da subito e con poteri rafforzati negli ambiti di sua competenza.
(1-00653)
«De Girolamo, Pagano, Garofalo, Calabrò, Dorina Bianchi, Pizzolante, Bosco, Minardo, Misuraca, Scopelliti, Cicchitto, Alli, Bernardo, Piccone, Piso, Roccella, Saltamartini, Sammarco, Tancredi, Vignali».
(31 ottobre 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    la Svimez con il suo recentissimo rapporto sull'economia del Mezzogiorno ha ricordato che questa fase del Mezzogiorno è la peggiore dal dopoguerra in poi. Le previsioni lasciano intravedere ancora altri due anni di recessione (si arriverà così ad 8 anni consecutivi). Eppure questa situazione così drammatica non viene affatto percepita come tale dal mondo politico ed imprenditoriale;
    non si può sottovalutare il fenomeno dell'impoverimento industriale e fisico del Mezzogiorno che, in assenza di contromisure, condurrà le regioni meridionali, oggi le più ricche di giovani, a un drammatico invecchiamento se i giovani laureati e competenti continueranno ad abbandonare le città del Sud al ritmo di più di centomila all'anno;
    tutti i dati – da quelli di Banca d'Italia a quelli di Unioncamere, di Svimez e Istat – concordano nell'analisi di una realtà non ferma, ma in profonda regressione dal punto di vista sociale, dal punto di vista economico, dal punto di vista culturale e civile. I dati su occupazione, procedure fallimentari, liquidazione e scioglimenti di società di persone e di capitale convergono tutti nella direzione di descrivere una condizione che, negli anni, ha visto crisi sovrapporsi a crisi, fino ad incrociare la crisi perfetta che si sta vivendo in questi tempi;
    l'Esecutivo ha confermato la sua politica di totale disimpegno nei confronti di un'area del Paese, il Mezzogiorno, che con la sua produzione contribuisce ad un quarto del prodotto interno nazionale, dimostrando in tal modo di sottovalutare la dimensione nazionale e le ricadute della questione meridionale e l'impossibilità per una nazione di mantenere la propria unità, se parti di essa procedono a velocità diverse, accentuando fra loro il disequilibrio;
    sarebbe auspicabile che il Governo facesse un'inversione di rotta e ricomprendesse nella sua agenda politica le istanze e le energie delle tante forze vive presenti nel tessuto sociale ed imprenditoriale del Mezzogiorno, al fine di farle emergere ed esprimersi nei contesti internazionali e sui mercati con maggiore facilità, senza rimanere penalizzate, come troppo spesso oggi accade, da fattori di contesto;
    d'altra parte, nel corso degli anni le politiche per il Mezzogiorno hanno oscillato tra due paradigmi, quello assistenziale e quello compensativo, in funzione della diminuzione più o meno graduale del gap con il Centro-Nord, e che si sono rivelati fallimentari e non premianti;
    il Mezzogiorno ha subito più del Centro-Nord le conseguenze della crisi economica, con una caduta maggiore del prodotto interno lordo e una riduzione ancora più pesante dell'occupazione nel biennio di recessione 2008-2009, mentre la debole ripresa del successivo biennio 2010-2011 è stata nell'area troppo incerta e insufficiente;
    tra il 2007 e il 2011 il prodotto interno lordo meridionale ha subito una riduzione in termini reali del 6,1 per cento, a fronte di una riduzione del 4,1 per cento nel Centro-Nord;
    il Mezzogiorno è a rischio desertificazione umana e industriale, si continua a emigrare (116 mila abitanti nel solo 2013) e a non fare figli, infatti nel 2013 continuano a esserci più morti che nati. Nel Sud la popolazione continua a impoverirsi, con un aumento del 40 per cento di famiglie povere nell'ultimo anno. Sono alcuni dati che emergono dal rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno 2014 presentato il 28 ottobre a Roma;
    nel 2013 al Sud i decessi hanno superato le nascite, confermando il trend già in atto dall'anno precedente. Un fenomeno così grave si era verificato solo nel 1867 e nel 1918, cioè alla fine di due guerre, la terza guerra d'indipendenza e la prima Guerra mondiale: «Nel 2013 il numero dei nati ha toccato il suo minimo storico, 177 mila, il valore più basso mai registrato dal 1861». «Il Sud – sottolinea la Svimez – sarà interessato nei prossimi anni da un stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili, destinato a perdere 4,2 milioni di abitanti nei prossimi 50 anni, arrivando così a pesare per il 27 per cento sul totale nazionale a fronte dell'attuale 34,3 per cento»;
    la Svimez sottolinea come gli investimenti produttivi nel Sud sono crollati del 53 per cento;
    la Calabria, come si evince dalla drammaticità e dalla crudezza del dato statistico, confermato da altri autorevoli centri di ricerca istituzionali, evidenzia sul piano socio-economico una drammatica specificità negativa, continuando inesorabilmente a declinare in un lento processo di separazione anche rispetto alle altre regioni del Mezzogiorno: i dati dei centri di ricerca evidenziano, sul piano socio-economico, una forte specificità negativa, anche rispetto alle altre regioni del Mezzogiorno;
    la Calabria si conferma, infatti, la regione più povera d'Italia con un prodotto interno lordo pro capite che nel 2013 si è fermato a 15.989 euro, meno della metà delle regioni più ricche come Valle d'Aosta, Trentino Alto Adige e Lombardia. Nel Mezzogiorno la regione con il prodotto interno lordo pro capite più elevato è stata l'Abruzzo (21.845 euro). Seguono il Molise (19.374 euro), la Sardegna (18.620), la Basilicata (17.006 euro), la Puglia (16.512 euro), la Campania (16.291 euro), la Sicilia (16.152 euro) e la Calabria (15.989 euro). In generale, in termini di prodotto interno lordo pro capite, il Mezzogiorno nel 2013 è sceso al 56,6 per cento del valore del Centro-Nord, tornando ai livelli del 2003, con un prodotto interno lordo pro capite pari a 16.888 euro. In valori assoluti, a livello nazionale, il prodotto interno lordo è stato di 25.457 euro, risultante dalla media tra i 29.837 euro del Centro-Nord e i 16.888 euro del Mezzogiorno;
    nel Sud appena il 21,6 per cento delle donne sotto i 34 anni è occupata contro il 43,0 per cento del Centro-Nord e una media nazionale del 34,7 per cento. Il confronto con la media dell'Unione europea evidenzia il divario. Nell'Europa a 27 Stati le donne sotto i 34 anni che lavorano sono il 50,9 per cento. Le donne che rientrano, o entrano per la prima volta, nel mercato del lavoro, vanno a ricoprire posizioni poco qualificate. Dal 2008 al 2013 le professioni qualificate femminili sono scese dell'11,7 per cento, mentre sono aumentati del 15 per cento i posti di lavoro nelle professioni poco qualificate;
    il prodotto interno lordo si attesterà a -0,4 per cento nel 2014, come «risultato tra la stazionarietà del Centro-Nord (0 per cento) e la flessione del Sud (-1,5 per cento)». Per il Sud è il settimo anno di recessione. Forbice ancora divaricata nel 2015: il prodotto interno lordo nazionale, secondo le stime Svimez, è previsto a +0,8 per cento, quale risultato tra il +1,3 per cento del Centro-Nord e il -0,7 per cento del Sud;
    nel 2013 il prodotto interno lordo è crollato nel Mezzogiorno del 3,5 per cento, peggiorando la flessione dell'anno precedente (-3,2 per cento), con un calo superiore di quasi due punti percentuali rispetto al Centro-Nord (-1,4 per cento). Il peggior andamento del prodotto interno lordo meridionale nel 2013 è dovuto soprattutto a una più sfavorevole dinamica della domanda interna con i consumi in calo del 2,4 per cento e gli investimenti crollati del 5,2 per cento. Da segnalare l'ulteriore perdita di posti di lavoro scesi sempre nel Mezzogiorno del 3,8 per cento. In un panorama fortemente negativo, le esportazioni nel 2013 hanno segnato -0,6 per cento al Sud. Tra il 2008 e il 2013 i redditi al Sud sono crollati del 15 per cento e i posti di lavoro sono diminuiti di circa 800 mila persone;
    al Sud le famiglie assolutamente povere sono cresciute oltre due volte e mezzo, da 443 mila (il 5,8 per cento del totale) a 1 milione 14 mila (il 12,5 per cento del totale), cioè il 40 per cento in più solo nell'ultimo anno. È quanto emerge dal rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno 2014. Secondo il rapporto, in Italia, dal 2008 al 2012, sono aumentate del 7 per cento le famiglie in stato di «deprivazione materiale severa», cioè che non riescono, ad esempio, a pagare l'affitto o il mutuo, fare una vacanza di una settimana una volta l'anno fuori casa, pagare il riscaldamento, fronteggiare spese inaspettate, e che magari non hanno l'automobile, la lavatrice, il telefono, la TV, e fanno fatica a fare un pasto di carne o pesce ogni due giorni. In Italia oltre due milioni di famiglie si trovavano nel 2013 al di sotto della soglia di povertà assoluta, equamente divise tra Centro-Nord e Sud (1 milione e 14 mila famiglie per ripartizione), con un aumento di 1 milione e 150 mila famiglie rispetto al 2007;
    tra il 2008 e il 2013 delle 985 mila persone che in Italia hanno perso il posto di lavoro, ben 583 mila sono residenti nel Mezzogiorno. Nel Sud, pur essendo presente appena il 26 per cento degli occupati italiani si concentra il 60 per cento delle perdite determinate dalla crisi. Nel solo 2013 sono andati persi 478 mila posti di lavoro in Italia, di cui 282 mila al Sud. La nuova flessione riporta il numero degli occupati del Sud per la prima volta nella storia a 5,8 milioni, sotto la soglia psicologica dei 6 milioni; il livello più basso almeno dal 1977, anno da cui sono disponibili le serie storiche basi di dati. Nel primo trimestre 2014 il Sud ha perso 170 mila posti di lavoro rispetto all'anno precedente, contro -41 mila nel Centro-Nord. A fronte di una quota di occupati pari a circa un quarto dell'occupazione complessiva, tra il primo trimestre del 2013 e il primo trimestre del 2014 l'80 per cento delle perdite di posti di lavoro in Italia si è concentrata al Sud;
    l'ultimo rilevamento dell'Istat del 28 novembre 2014 certifica una volta di più che il tasso disoccupazione nel Mezzogiorno nel mese di ottobre 2014 supera il 20 per cento (rispetto ad un dato nazionale, pur preoccupante, del 13,3 per cento);
    in questo scenario, rischiano di apparire come semplice palliativo anche strumenti e programmi, che avevano rappresentato almeno una speranza per i territori del Sud, come «Garanzia giovani»: quelle risorse rischiano di essere utili più a chi fa dell'intermediazione del lavoro o dell'intermediazione finanziaria la propria attività, piuttosto che per creare lavoro e reddito in quelle aree;
    il tessuto sociale si presenta sempre più lacerato e le manifestazioni di insofferenza e di conflitto, che si allargano giorno dopo giorno, sono i sintomi di una malattia che potrebbe rendere instabile sia la coesione sociale che la forza stessa delle istituzioni;
    di fronte a questa drammatica realtà tutto il dibattito sul Sud sembra appuntarsi sui fondi comunitari, come se questi fossero da soli in grado di portare il Mezzogiorno fuori dalle sue difficoltà attuali. Molti studiosi, viceversa, concordano sul fatto che lo sviluppo del Sud non può essere delegato interamente alle politiche di coesione dell'Europa;
    basti riflettere che per il quadro strategico 2007-2013 restano da spendere da qui al 31 dicembre 2015 quasi 15 miliardi di euro tra Ministeri, regioni e privati. Per centrare l'obiettivo bisognerebbe spendere un miliardo al mese. Ma tale spesa è in larga misura inibita dal patto di stabilità interno. Secondo uno studio di Confindustria, nel 2015 per cinque regioni (Campania, Puglia, Calabria, Basilicata e Molise) il cofinanziamento nazionale e il fondo di coesione supereranno il 60 per cento della spesa massima consentita dal loro patto di stabilità, rendendo nei fatti impossibile il completo utilizzo delle risorse europee;
    il Governo continua ad indicare la spesa dei fondi come unica via per uscire dalla crisi, ma esso sa bene che nel patto di stabilità non ci sono le condizioni finanziarie sufficienti ad effettuare i pagamenti. Quel poco che c'era (500 milioni di euro) nella legge di stabilità per il 2015 di esclusione dal patto di stabilità interno per il cofinanziamento delle regioni è stato, in seguito ai richiami della Commissione europea, addirittura soppresso;
    inoltre, l'articolo 12 della legge di stabilità per finanziare gli sgravi contributivi per assunzioni a tempo indeterminato ha ridotto di un miliardo di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 e a 500 milioni di euro per l'anno 2018 le risorse del fondo di rotazione di cui all'articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, già destinate agli interventi del Piano di azione per la coesione che, dal sistema di monitoraggio del dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, risultano non ancora impegnate alla data del 30 settembre 2014;
    in pratica, si tratta di risorse tolte al Mezzogiorno per finanziare gli sgravi contributivi per supposte nuove assunzioni, sgravi che saranno attribuiti prevalentemente al Centro-Nord;
    infine, non è ancora entrata in funzione l'Agenzia per la coesione a cui in tanti guardavano come una possibilità di aiuto per le regioni e i Ministeri, in questa ultima e difficile fase di completamento del programma comunitario 2007/2013;
    l'incremento della dotazione infrastrutturale diventa pertanto assolutamente prioritario ed indilazionabile per rendere il Mezzogiorno area capace di creare e di attrarre investimenti e a farsi partecipe del nuovo ruolo di cerniera negli scambi commerciali tra Europa, Africa, Medio Oriente ed Asia, e che, sfruttando la sua collocazione geografica, è chiamato ad assumere nello scacchiere euromediterraneo, anche raccogliendo le nuove opportunità del contesto competitivo internazionale che torneranno a presentarsi dopo la tregua di tutti i conflitti del Nord Africa;
    la sopradetta collocazione geopolitica del Meridione, crocevia geografico naturale e storico degli interessi e degli scambi economici e culturali tra Europa e Nord Africa e punto di approdo più vicino ai rivolgimenti in atto in quella regione, lo trova però costretto a fare i conti con quella che oramai è considerata una grande emergenza umanitaria e cioè l'esplosione del fenomeno immigratorio;
    l'immigrazione non può essere arrestata, perché è parte della storia dell'umanità, ma va gestita nell'interesse dei Paesi di origine e di quelli di destinazione dei flussi migratori, anche e soprattutto per impedire il rischio di una deriva razzista, rischio che impone una rinnovata tensione ed un'azione pedagogica che si fondino su valori quali il rispetto della dignità umana, la solidarietà e la condivisione tra i popoli, tutti presupposti sui quali costruire una nuova politica dell'accoglienza di un territorio che, nonostante la sua grande vocazione solidale, è costretto a mettere a disposizione risorse logistiche, umane ed economiche necessarie per evitare il collasso del suo territorio, e che in questo sforzo ha dovuto e potuto contare solo sulle proprie forze che a volte sono risultate deboli e inadeguate per affrontare l'emergenza;
    il Mezzogiorno, più che soldi, chiede più politica e più intelligenza. Il Mezzogiorno ha bisogno di un bacino produttivo autocentrato, esteso dal napoletano alla Sicilia;
    sul versante della formazione i sistemi scolastico ed universitario del Meridione esprimono professionalità con buoni livelli di qualifica che il tessuto produttivo locale non riesce però ad assorbire e valorizzare adeguatamente, relegando molti giovani nella condizione di dover scegliere fra l'emigrazione o l'inattività. Infatti, il mancato superamento dei vincoli costituiti da un apparato produttivo debole e da un sistema sociale bloccato, nonostante i progressi raggiunti nella formazione scolastica ed universitaria, condanna il Mezzogiorno al ruolo di fornitore di risorse umane qualificate al resto del Paese, ed i suoi migliori giovani a cercare altrove le modalità per mettere a frutto le proprie competenze e realizzare i propri sogni;
    occorre affrontare il declino italiano partendo dalla debolezza dell'economia meridionale: un deficit commerciale – quasi tutto in prodotti industriali – che è quasi il 20 per cento del suo prodotto interno lordo. Le numerose aree di eccellenza di cui è costellato il Mezzogiorno confermano che, al di là della retorica, quel territorio può costituire una risorsa per l'Italia, purché riesca a valorizzare ed esprimere pienamente le sue potenzialità, a partire da quelle umane e naturali,

impegna il Governo:

   a prevedere a favore delle regioni ad obiettivo convergenza:
    a) la messa a regime di forme di credito d'imposta automatico sugli investimenti in ricerca, innovazione e formazione, a favore delle imprese disposte ad investire nel Mezzogiorno;
    b) lo sfruttamento del potenziale che ha il Sud per la produzione di energie tramite fonti rinnovabili attraverso il riconoscimento di significative tariffe incentivanti, come attualmente previsto dal V conto energia, ma limitato ai parchi solari su terreni delle pubbliche amministrazioni e sui tetti e le serre fotovoltaiche, per evitare ulteriori speculazioni sui terreni agricoli;
    c) l'avvio di un'innovativa programmazione del fondi strutturali europei, non solo per accelerare la capacità di spesa, ma anche per migliorarne la qualità e l'efficacia, attraverso la concentrazione degli stessi su alcuni obiettivi, come scuola, formazione, ferrovie, agenda digitale, occupazione, servizi di cura per bambini e anziani, anche attraverso una maggiore responsabilizzazione delle strutture politico-amministrative centrali, con un orientamento ai risultati tramite obiettivi misurabili, e con la concentrazione su alcuni obiettivi prioritari senza comunque prescindere dall'ammodernamento dell'intera rete infrastrutturale del Sud, presupposto determinante per sfruttarne le potenzialità di piattaforma logistica e di collocamento geo-strategico che ne fanno il crocevia naturale degli scambi internazionali lungo le direttrici nord-sud e est-ovest;
   a rilanciare gli investimenti in infrastrutture, la riqualificazione del territorio, la rigenerazione delle città, con uno specifico programma di risanamento urbano per le città capitali del Sud a partire dalla città di Napoli, e l'ammodernamento della rete dei trasporti e tutti gli interventi in grado di aumentare la competitività delle aree meridionali: gli assi viari, i collegamenti ferroviari tra le città del Mezzogiorno, le opere di consolidamento idrogeologico, di adeguamento statico e di efficientamento energetico degli edifici e di risanamento dell'edilizia pubblica e scolastica e il risanamento dei centri storici e delle periferie;
   a mettere in essere una politica industriale articolata per la promozione delle energie rinnovabili, dell’hi-tech e delle infrastrutture immateriali;
   a sostenere con politiche specifiche l'industria della cultura ed il turismo sostenibile e promuovere i territori e i diffusi «know how» locali;
   a realizzare la linea ferroviaria di alta capacità Napoli-Reggio Calabria, facendo sì che la nuova linea – proprio perché è alta capacità e non alta velocità – sia spina dorsale di tutto il territorio meridionale, in grado di assicurare quasi dovunque frequentazioni giornaliere, con un tracciato che attraversi i territori interni, in cui sono storicamente situati gli insediamenti più rilevanti, e non – come il Governo sembra preferire – la costa tirrenica o, peggio, la costa ionica, tenendo conto che Potenza, in particolare, appare un nodo ferroviario irrinunciabile;
   a realizzare la linea Alta velocità/Alta capacità Napoli-Bari ed a prevedere un raccordo ferroviario con Matera, città europea della cultura per il 2019;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, nell'ottica della creazione di tre nuove città policentriche, per un adeguato servizio ferroviario regionale che, in sinergia con l'alta capacità, leghi in relazioni urbane (60 minuti) due gruppi di comuni, uno in Basilicata e Puglia (Potenza, Tricarico, Ferrandina, Matera, Altamura, Gravina, Genzano) e l'altro in Calabria (Cosenza, Rogliano, Serrastretta, Catanzaro, più gli insediamenti limitrofi);
   ad assumere le iniziative di competenza per realizzare la terza città policentrica con baricentro nel bipolo Reggio Calabria-Messina, nonché il tracciato anulare della città policentrica apulolucana (peraltro, in parte già realizzato ma mai completato), mentre il tracciato lineare della città calabrese sarebbe a costo zero (coincidendo con quello dell'alta capacità), considerato che il nuovo assetto territoriale aprirebbe una prospettiva industriale oggi impensabile;
   a costruire, grazie alla potenza delle economie di agglomerazione messe in gioco e le filiere produttive (prime fra tutte quelle distrettuali del made in Italy) che potrebbero agevolmente superare la loro frammentazione, configurando articolate relazioni intersettoriali ed integrando vecchie e nuove attività, un bacino produttivo aperto ai Paesi rivieraschi del Mediterraneo, in grado di offrire tutto ciò che occorra ad un loro appropriato sviluppo;
   ad intraprendere le opportune iniziative per fare diventare i porti di Taranto, Gioia Tauro e Crotone – in coordinamento con Genova e Trieste – il nodo esclusivo dei flussi commerciali tra Oriente e Occidente e, quindi, sedi di nuove rilevanti attività manifatturiere, in modo che si possano trasformare, grazie al gigantismo navale e alle crescenti economie di scala con cui stanno facendo i conti le grandi compagnie di navigazione, i porti che diverrebbero luoghi appetibili non solo per le attività indotte dalla movimentazione container (assemblaggio, imballaggio ed altro), ma anche per altre attività cui sia strategico l'accesso al mare, potendosi creare nei retro-porti un polo specializzato della meccanica strumentale pesante;
   a confermare la percentuale di riparto del Fondo per lo sviluppo e la coesione assegnando l'85 per cento delle risorse al Sud e il 15 per cento al Centro-Nord;
   a dare rapida attuazione agli interventi a favore dei lavoratori in mobilità, dei licenziati, dei giovani e delle donne disoccupati, degli inattivi e di coloro che né lavorano, né svolgono un'inattività di studio o formazione (neet) del Mezzogiorno, nonché ad aumentare gli sforzi per creare un contesto favorevole allo sviluppo economico ed alla crescita dell'occupazione, utilizzando parte significativa delle risorse derivanti dalla terza e ultima riprogrammazione dei fondi comunitari;
   a finanziare misure di agevolazione fiscale de minimis per le micro e le piccole imprese, con particolare attenzione alle imprese a conduzione o a prevalente partecipazione giovanile e femminile, operative nelle città con aree a più elevata criticità economico-sociale del Meridione;
   a promuovere, coerentemente con quanto recita l'articolo 119, quinto comma, della Carta costituzionale, «la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona», con un forte presidio nazionale degli interventi finanziati con il Piano di azione coesione, con particolare riferimento ai servizi di cura per la prima infanzia e gli anziani, verificando, in tale contesto di promozione dei diritti di cittadinanza, la possibilità di concentrare le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione per gli obiettivi di servizio sugli interventi volti ad aumentare i servizi socio-assistenziali per bambini ed anziani nei comuni, nonché l'opportunità di estendere la sperimentazione della nuova social card familiare a tutti i comuni del Sud o, in alternativa, ai soli comuni capoluogo e valutando ogni altro adempimento, di competenza del Governo, necessario a migliorare l'efficienza delle strutture ospedaliere;
   a promuovere l'internazionalizzazione delle imprese meridionali, in particolare attraverso interventi mirati a sostegno della capacità di penetrazione nei mercati esteri dei settori di specializzazione e l'attivazione di forme di tutoraggio a vantaggio delle piccole e medie imprese dei settori ad elevato potenziale;
   a promuovere, attraverso un tavolo permanente Cipe-regioni del Mezzogiorno e Trenitalia o altri concessionari, un efficace monitoraggio della qualità del servizio di trasporto passeggeri di media e lunga percorrenza, anche con riferimento al contratto di servizio con Rete ferroviaria italiana, nel più ampio tema della mobilità nel Mezzogiorno e dal Sud verso il Centro-Nord e viceversa, che interessi anche la razionalizzazione e il rafforzamento del sistema portuale e aeroportuale calabrese, anche attraverso un progetto che preveda l'utilizzo in modo integrato e intermodale dell'attuale assetto del trasporto (treni, aliscafi, bus e aerei), per rendere più efficiente ed economica la gestione del sistema stesso, in sinergia con il sistema dei trasporti della Sicilia;
   a sostenere per le regioni obiettivo convergenza, nell'ambito dei negoziati per la riforma della politica agricola comune, una riforma non penalizzante dei pagamenti diretti, favorendo l'inserimento nel greening anche dell'olivicoltura e dell'agrumicoltura, nonché una riforma che preveda un aiuto specifico in favore delle coltivazioni tipiche di tali aree, anche sotto forma di maggiorazione degli aiuti diretti della politica agricola comune;
   a sollecitare la realizzazione di interventi per lo sviluppo dei principali siti archeologici ed un programma specifico per i siti Unesco del Mezzogiorno, anche per accrescere l'offerta turistica, rendendola adeguata e competitiva, attraverso, in particolare, il potenziamento dei servizi di accoglienza delle aree archeologiche, nel quadro dell'ampia riprogrammazione dell'intervento per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale delle regioni del Sud, finanziato attraverso le risorse dei fondi strutturali comunitari;
   a riprogrammare le risorse disponibili mantenendole integralmente al Mezzogiorno, ivi incluse quelle derivanti dalla riduzione del cofinanziamento nazionale;
   ad indirizzare interventi adeguati nelle agglomerazioni produttive vitali, industriali e agricole, del Mezzogiorno allo scopo di rafforzare soprattutto il contesto territoriale nelle aree capaci di esportare e di cogliere così i benefici della domanda mondiale;
   a compensare i maggiori costi unitari delle imprese del Mezzogiorno e le loro difficoltà nell'accesso al credito, sia rilanciando lo strumento del fondo di garanzia, sia sbloccando i contratti di sviluppo, sia rifinanziando gli strumenti volti al sostegno dell'imprenditoria giovanile, sia infine, ricorrendo, previa intesa con la Commissione europea, ai crediti d'imposta per l'occupazione e gli investimenti destinando una quota significativa di risorse;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per rafforzare i servizi per la cura dell'infanzia e degli anziani non autosufficienti, ambito nel quale gli interventi possono migliorare significativamente la condizione dei cittadini specie in una fase di forte compressione del reddito disponibile dalle famiglie del Mezzogiorno;
   ad assumere iniziative per reintegrare, nell'ambito del riparto e della programmazione 2014-2020 delle risorse comunitarie e del Fondo per lo sviluppo e la coesione, le risorse che il Mezzogiorno ha perduto negli ultimi anni.
(1-00680)
(Nuova formulazione) «Scotto, Costantino, Sannicandro, Palazzotto, Duranti, Piras, Giancarlo Giordano, Ferrara, Placido, Matarrelli, Pannarale».
(2 dicembre 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    come riporta la Svimez nel suo Rapporto sull'economia del Mezzogiorno per l'anno 2014 ci si trova di fronte ad un Sud dove si continua a: emigrare (116 mila abitanti nel solo 2013); non fare figli (continuano nel 2013 a esserci più decessi che nascite); impoverirsi (+40 per cento di famiglie povere nell'ultimo anno i consumi delle famiglie crollano di quasi il 13 per cento in cinque anni) perché manca il lavoro;
    dall'inizio della crisi (fine 2008) il prodotto interno lordo meridionale è caduto di quasi 14 punti percentuali, contro poco più di 5 nel resto del Paese (attualmente il prodotto interno lordo pro capite meridionale è pari ad appena il 56 per cento di quello del Centro-Nord, come negli anni Cinquanta). Gli investimenti fissi lordi meridionali sono caduti, sempre da inizio crisi, di oltre trenta punti percentuali, con punte di quasi il 50 per cento nel settore industriale. Nel Sud, dove vive circa il 30 per cento dell'intera popolazione italiana, vi è più del 50 per cento dell'intero stock di disoccupati italiani (e il tasso di disoccupazione è doppio rispetto a quello italiano);
    fino ad oggi, come richiamato anche dalla stessa Commissione europea, la dispersione e la parcellizzazione delle risorse in un numero eccessivo di progetti, la mancanza delle condizionalità ex ante, che mirano a garantire efficacia ed efficienza, la scarsa capacità amministrativa e l'assenza di piani specifici settoriali sono state le criticità che hanno caratterizzato la gestione dei fondi europei nel nostro Paese;
    in conseguenza degli effetti del patto di stabilità interno e delle limitazioni della finanza pubblica, tra i principali strumenti per il finanziamento di tali interventi, un ruolo cruciale è svolto dalle risorse destinate agli interventi del Piano di azione per la coesione che, come noto, ha l'obiettivo di colmare i ritardi ancora rilevanti nell'attuazione e, al contempo, rafforzare l'efficacia degli interventi, in attuazione degli impegni assunti con la lettera del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore al presidente della Commissione europea e al presidente del Consiglio europeo del 26 ottobre 2011 e in conformità alle conclusioni del vertice dei «Paesi euro» dello stesso 26 ottobre 2011, impegnando quindi le amministrazioni centrali e locali a rilanciare i programmi in grave ritardo, garantendo una forte concentrazione delle risorse su alcune priorità;
    sul tema del rilancio economico e sociale del Mezzogiorno, nella seduta dell'11 novembre 2014, la Camera dei deputati ha approvato la mozione n. 1-00612 che prevedeva l'impegno del Governo a:
     a) velocizzare l’iter per rendere pienamente operativa l'Agenzia per la coesione territoriale con adeguata dotazione di personale, al fine di migliorare la capacità di impiego dei fondi strutturali sia per quanto riguarda la parte rimanente della programmazione 2010-2013, sia in relazione alla prossima programmazione;
     b) proporre al Cipe, entro 30 giorni dall'approvazione della presente mozione, l'adozione di un'apposita delibera per la formalizzazione delle questioni legate al cofinanziamento, assicurando che tutte le risorse nazionali destinate al cofinanziamento rimangano comunque a disposizione delle regioni a cui erano originariamente destinate;
     c) relazionare al Parlamento semestralmente circa l'impiego delle citate risorse;
     d) attivare una procedura concertativa con le regioni volta ad individuare i meccanismi correttivi e perequativi che consentano al Mezzogiorno di superare le criticità della «spesa storica» in materia di welfare;
     e) procedere rapidamente ad un censimento delle risorse ancora disponibili e non ancora utilizzate nell'ambito degli strumenti della programmazione negoziata, finalizzato alla predisposizione di un piano di rilancio industriale, improntato sulle specificità e le eccellenze produttive presenti nel Mezzogiorno, avviando una nuova stagione di utilizzo degli strumenti della programmazione negoziata, ivi compresi i contratti d'area, i patti territoriali, i contratti di programma e i contratti di localizzazione, sulla base delle migliori pratiche e delle esperienze di successo del passato;
     f) rafforzare, ulteriormente, i progetti in materia di sicurezza e legalità per contrastare la presenza dei fenomeni criminali, prima vera condizione per il rilancio delle politiche di sviluppo;
     g) creare un apposito osservatorio sulle infrastrutture del Mezzogiorno con l'obiettivo di velocizzare gli investimenti in atto e individuare le priorità per la connessione del Sud ai principali corridoi di comunicazione europei;
     h) potenziare i progetti concernenti il contrasto alla povertà come previsto dall'Obiettivo tematico n. 9, mettendoli in relazione agli strumenti per la realizzazione di politiche attive di lavoro ed inserimento professionale per la creazione di un nuovo welfare;
     i) concentrare la dovuta attenzione, nell'ambito della prossima programmazione, nei confronti di progetti legati alla messa in sicurezza del territorio e al contrasto dei fenomeni di dissesto idrogeologico che caratterizzano il Mezzogiorno;
     l) valorizzare il patrimonio culturale e paesaggistico del Sud, riservando parte della dotazione disponibile a partire dal residuo della programmazione 2007-2013 per le politiche di recupero e promozione, mettendo in rete i grandi poli di attrazione e i siti Unesco;
     m) riservare alle regioni del Sud parte della dotazione disponibile per quanto riguarda la programmazione 2014-2020 per le politiche ambientali nonché per il prosieguo dei processi di bonifica e messa in sicurezza dei siti di interesse nazionale e dei siti caratterizzati da particolari lavorazioni;
    si è trattato di impegni che rappresentano un punto di svolta dopo anni in cui il Mezzogiorno è stato, di fatto, derubricato dalle priorità politiche e di governo;
    in questi mesi l'attività dell'Esecutivo Renzi ha consentito al Sud di rientrare nell'agenda del Governo e lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri non ha mancato di manifestare la sua attenzione, monitorando l'andamento dell'utilizzo dei fondi strutturali da parte delle regioni meridionali e visitando personalmente, insieme al Sottosegretario di Stato Delrio diverse realtà complesse e, allo stesso tempo, ricche di opportunità del Sud, come Pompei, Bagnoli, Termini Imerese, Mola di Bari, Catania, Reggio Calabria, Morra De Sanctis solo per citarne alcune;
    è evidente l'urgenza di una policy specifica per attirare gli investimenti nel Mezzogiorno e consolidare le realtà produttive già presenti; è opportuno, a tal proposito, tenere presente due importanti elementi: a) nel Sud, nonostante la crisi che l'ha colpito, sono tuttora rinvenibili agglomerati industriali significativi. Basti pensare all'elettronica nell'area di L'Aquila e Avezzano; l'aerospaziale in Campania e in Puglia; le aziende attive nelle tecnologie dell'informazione e della comunicazione a Cagliari; la meccatronica a Bari e l'elettronica a Catania. In questi poli, nel complesso, trovano occupazione più di 40 mila addetti; il fatturato totale (2011) supera gli 8,5 miliardi di euro, di cui circa un terzo destinato all'esportazione; relativamente ampio è il ricorso a ricercatori e personale qualificato; b) sono in corso fenomeni di reshoring, ovvero ritorno in Italia (ed anche nei Paesi di più antica industrializzazione) di produzioni precedentemente delocalizzate, anche in produzioni cosiddette «tradizionali». Il Sud potrebbe intercettare parte di questo movimento;
    appare ragionevole e condivisibile scongiurare il rischio che vadano inutilizzate le risorse europee non ancora impegnate, ed è non solo auspicabile, ma assolutamente necessario, dare corso a tutte le misure volte a superare i ritardi e le inefficienze sin qui registrate nell'utilizzo delle risorse dei fondi strutturali e, in ogni caso, individuare i meccanismi, anche di carattere sostitutivo da parte dello Stato, finalizzati ad assicurare per il futuro la realizzazione nei territori del Mezzogiorno di quegli interventi indispensabili per il suo riscatto;
    è essenziale, quindi, assumere provvedimenti anche urgenti al fine di assicurare interventi concreti in favore dei territori del Mezzogiorno, nella convinzione che, se non ripartirà l'economia del Mezzogiorno, è l'intero Paese che rimarrà più povero e più fragile sul piano della concorrenza internazionale, oltre che più ingiusto,

impegna il Governo:

   a promuovere interventi aventi per obiettivo quello di potenziare le strutture nel Mezzogiorno finalizzate a facilitare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, in particolare per i giovani;
   a promuovere lo sviluppo di un sistema creditizio e finanziario in grado di sostenere e supportare le imprese, con particolare attenzione ai settori ad alta capacità di innovazione, nonché a procedere ad un riordino complessivo, e ad un loro effettivo coordinamento, di enti e strutture, a partire dalla Banca del Mezzogiorno, che operano nel settore;
   a favorire, d'intesa con le regioni interessate, piani di formazione permanente a beneficio dei lavoratori ultracinquantenni al fine di promuovere politiche attive di reinserimento lavorativo;
   a rendere pienamente operativi e a rafforzare gli strumenti di contrasto del disagio sociale presente in ampie fasce della società meridionale;
   ad attivare politiche generali e di promozione locale finalizzate ad una nuova residenzialità nei territori caratterizzati, in questi ultimi anni, da un forte calo demografico, prevedendo politiche sperimentali in favore dei piccoli comuni, situati nelle zone svantaggiate e nelle aree interne;
   ad individuare, nel quadro di un ampio confronto con le regioni e le amministrazioni del Mezzogiorno, le opportune soluzioni, anche di carattere normativo, volte ad assicurare il tempestivo utilizzo delle risorse dei fondi strutturali della Politica agricola comune per interventi e progetti da realizzarsi esclusivamente nelle regioni obiettivo-convergenza del Sud, facendo ricorso, ove necessario, all'esercizio del potere sostitutivo nei confronti delle amministrazioni che si dovessero rivelare inadempienti;
   ad indire, entro il mese di marzo 2015, una conferenza nazionale di governo sul Mezzogiorno con la quale coinvolgere tutti i soggetti istituzionali e sociali del Sud nella redazione di misure finalizzate al rilancio economico e sociale del meridione.
(1-00685)
«Famiglietti, Covello, Mura, Valiante, Mariano, Ventricelli, Tino Iannuzzi, Sgambato, Greco, Oliverio, Mura, Grassi, Capone, Venittelli, Iacono, Tartaglione, Schirò, Moscatt, Magorno, Migliore, Censore, Vico, Amoddio».
(3 dicembre 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    il persistere della crisi economica, trasformatasi in recessione con fenomeni di stagnazione, sta compromettendo in modo irreversibile il sistema economico e produttivo italiano e, in particolare, ha reso insostenibili i livelli di disoccupazione e di deindustrializzazione e mancato sviluppo nel Mezzogiorno d'Italia;
    a maggior ragione è più sentita l'esigenza di una prioritaria attenzione per risollevare l'economia meridionale, caratterizzata da anni da un gap infrastrutturale, in termini di trasporti, logistica, ricerca e innovazione, rispetto al resto del Paese;
    le conseguenze della persistenza delle associazioni mafiose nel Mezzogiorno si intrecciano in modo complesso con l'economia del Sud, stravolgendo le regole del «fare impresa» e scoraggiando gli investimenti stranieri, oltre che creando un grave e indiscusso disagio sociale;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'attuale politica governativa non sta assumendo misure per sostenere la debole economia del Sud, in un grave contesto economico e sociale di disagio e disoccupazione diffusa;
    a fronte di questa situazione disastrosa, l'impegno del Governo per il Mezzogiorno sembrerebbe consistere solo in una migliore e più razionale utilizzo dei fondi strutturali, misura indispensabile e dovuta, ma non sufficiente;
    nonostante l'enorme ammontare di risorse, che negli anni sono state destinate al Mezzogiorno, il Sud permane arretrato e caratterizzato da un'evidente carenza di infrastrutture, mai realizzate, ancorché grazie alla posizione geografica ed alla dotazione di porti e aeroporti, potrebbe svolgere un ruolo di cerniera negli scambi commerciali tra Europa, Mediterraneo e Paesi del far east e raccogliere le nuove opportunità del contesto competitivo internazionale;
    oltre che dall'inefficienza e dallo spreco, ovvero dal mancato utilizzo delle risorse europee per le regioni del Sud, lo sviluppo dell'economia locale è da sempre ostacolato dalla presenza delle associazioni mafiose nel Mezzogiorno, che stravolgono le regole del «fare impresa» e scoraggiano gli investimenti stranieri, che le politiche del Governo Renzi vorrebbero attrarre con le misure adottate soprattutto in materia di diritto del lavoro, il cosiddetto Jobs act, e che rischiano di non approdare mai nelle regioni meridionali per la diffusa criminalità;
    è fondamentale che lo Stato rafforzi la propria presenza in tali territori, consolidando i tribunali, presidio di legalità e freno alla criminalità, che permane uno dei principali fattori di ostacolo e disincentivo all'esercizio della libera imprenditorialità;
    indispensabile, inoltre, sarebbe un maggior impegno da parte del Governo a porre in essere misure più incisive per sconfiggere la criminalità organizzata e tutti quei fenomeni di illegalità da essa generati, che rallentano e ostacolano la crescita e lo sviluppo, come il già citato racket, nonché tutte le condotte tipiche della microcriminalità ed il fenomeno illegale diffuso del lavoro sommerso;
    occorre un intervento capace di promuovere sviluppo ed occupazione nel Mezzogiorno, al fine di favorire la ripresa dell'economia meridionale, come base per la crescita e lo sviluppo dell'intero Paese, anche favorendo, sin dall'età scolare, percorsi educativi volti a stimolare un cambio culturale che determini, già in età giovanile, l'educazione all'impresa;
    la gravità della crisi economica induce molte imprese a chiudere, in quanto non rientrano nei parametri degli studi di settore, e il complesso scenario economico italiano, aggravato dalle conseguenze della crisi finanziaria, pone ancora una volta in primo piano la questione di un Paese con due differenti velocità di sviluppo; infatti, nel Mezzogiorno si produce solo un quarto del prodotto interno e si genera soltanto un decimo delle esportazioni italiane;
    oltre alla già citata distorsione delle risorse destinate al Sud, si aggiungono i critici tagli operati sulla dotazione del fondo per aree sottoutilizzate, per finanziare interventi di diversa natura o fatti oggetto di corruttela o non sempre corrispondenti a finalità di sviluppo e quasi sempre non localizzati nel Mezzogiorno;
    la politica statale si dovrebbe coordinare con le politiche delle regioni meridionali con il precipuo obiettivo di dare impulso e proseguire lo sviluppo del sistema industriale meridionale, ancora in larga misura sottodimensionato: lo Stato dovrebbe farsi promotore di una politica attiva di sviluppo e di investimento nell'ambito di un disegno in cui lo Stato divenga responsabile di una politica di sostegno all'industria come elemento catalizzatore della crescita, consolidando e adeguando l'attuale sistema produttivo e riqualificandone il modello di specializzazione, abbracciando settori che possano creare nuove opportunità di lavoro e fette di mercato anche per le piccole e medie imprese;
    per quanto riguarda le problematiche connesse alla formazione delle nuove generazioni, si consideri che oltre un terzo dei laureati del Mezzogiorno under 34 è inattivo e la differenza con le regioni settentrionali diventa enorme, se si considera il tasso di inattività dei diplomati under 34; i tassi di scolarizzazione in Italia presentano divari sfavorevoli al Meridione e sono accompagnati da un parallelo aumento del tasso di abbandono, dovuto alle condizioni di degrado sociale e familiare. Negative sono anche le evidenze in termini di «qualità» della formazione, dal momento che gli studenti meridionali, che terminano la loro carriera accademica, hanno maggiori difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro. Si genera così un ampio fenomeno migratorio dei «cervelli» che lasciano le regioni del Sud, provocando un depauperamento del capitale umano disponibile, fenomeno che, non solo interessa l'area del Sud Italia, bensì tutto il territorio nazionale e incide fortemente e in modo negativo sul livello della qualità della ricerca effettuata nel nostro Paese, fattore necessario per la ripresa economica. Basti pensare alla ricerca nel know how e all'impiego dello stesso nelle imprese;
    il settore della ricerca e dell'innovazione risulta in questi ultimi anni incisivamente compromesso da interventi sulla spesa pubblica con tagli lineari che hanno agito sul sistema universitario nazionale e, quindi, sulla ricerca. Il sistema nazionale universitario è stato oggetto di recente riforma con la legge n. 240 del 2010 e, seppur presenti dei punti di forza, quali il buon posizionamento della ricerca italiana a livello internazionale e la crescita della percentuale dei laureati tra i giovani, registra significative carenze strutturali e di organico nei confronti dei Paesi europei, come:
     a) il forte e crescente sottodimensionamento del personale universitario e, in particolare, del corpo docente, che aggrava il già basso numero di ricercatori rispetto agli altri Paesi europei e il rapporto ancora molto basso tra docenti e studenti;
     b) un'eccezionale lunghezza del percorso pre-ruolo, con conseguente innalzamento dell'età di ingresso di ruolo;
     c) un livello insufficiente dei finanziamenti pubblici e privati dell'università;
     d) un diritto allo studio privo di adeguate garanzie;
     e) un disallineamento tra formazione universitaria e lavoro;
    in base al comma 13-bis dell'articolo 66 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, le università statali possono procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato e di ricercatori a tempo determinato nel limite di un contingente corrispondente ad una spesa pari al 50 per cento di quella relativa al corrispondente personale complessivamente cessato dal servizio nell'anno precedente e la predetta facoltà è fissata nella misura del 50 per cento per gli anni 2014 e 2015, del 60 per cento per l'anno 2016, dell'80 per cento per l'anno 2017 e del 100 per cento a decorrere dall'anno 2018;
    auspicabile, quindi, sarebbe mettere al centro dell'agenda politica l'istruzione e la ricerca, potenziando il sistema universitario in termini di risorse umane, finanziamenti e di infrastrutture, agendo sul fondo per il finanziamento ordinario delle università;
    per quanto riguarda le opportunità di sviluppo, il Sud avrebbe modo di risollevare le sorti occupazionali già solo attraverso l'industria del turismo; tuttavia, i dati relativi al turismo nel Meridione sono paradossali: su 100 stranieri che visitano l'Italia, meno di 1 va in Calabria (0,9 per cento per chi ama l'esattezza), ancora meno in Molise. In Basilicata si raggiunge lo 0,1 per cento e in Abruzzo lo 0,6 per cento. Sommando le otto regioni meridionali, includendo Sicilia e Sardegna, si arriva al 13,2 per cento. Fa di più il solo Trentino-Alto Adige, con il 14,2 per cento. Le politiche del turismo sono, pertanto, fallimentari;
    vari studi hanno tentato di quantificare, in termini di ritorno economico e occupazionale, lo sviluppo turistico del Sud anche per sollecitare un cambiamento culturale in tal senso, ma senza rilevanti risultati, e la causa non è la mancanza di fondi (le recenti difficoltà del programma operativo interregionale «Attrattori culturali, naturali e turismo» confermano che le criticità sono spesso politiche): i contributi europei arrivati al Sud non hanno generato virtuose sinergie tra destinazioni, operatori e investitori esterni, né hanno dato vita a poli di eccellenza che potessero «contaminare» positivamente i territori;
    è necessario promuovere lo sviluppo sostenibile del territorio, con particolare attenzione alle opportunità che offre la richiesta turistica per le località meridionali, che richiedono una implementazione di prodotti, servizi e infrastrutture in grado di far fronte alla domanda. Opportuno sarebbe selezionare le strutture, i siti, i beni di più grande interesse siti nel Meridione e abbandonati per valorizzarli, nonché rafforzare a livello regionale la convergenza della governance territoriale in materia di politiche culturali e turistiche, la conoscenza dell'eredità storica e archivistica degli interventi per lo sviluppo del territorio, la partecipazione alle scelte amministrative in materia di gestione e fruizione dei beni culturali e la capacità di tutela e valorizzazione del patrimonio archeologico;
    in materia ambientale, da oltre un decennio permane insoluto il problema di un'efficiente gestione delle acque nel distretto idrografico dell'Appennino meridionale, con particolare riguardo al sistema di depurazione delle acque, che nella regione Puglia rappresenta una vera emergenza nel settore della tutela delle acque superficiali e sotterranee e dei cicli di depurazione;
    l'emergenza ambientale che ne consegue, oltre ad essere incompatibile con la normativa europea in materia ambientale, di cui alla direttiva comunitaria 2000/60, ripresa ed integrata nel decreto legislativo n. 152 del 2006, nel decreto legislativo n. 30 del 2009, nella legge n. 13 del 2009 e nel decreto legislativo n. 194 del 2009, rende improcrastinabili investimenti urgenti per la risoluzione definitiva della gestione e depurazione delle acque, interventi che contribuirebbero sia all'incremento occupazionale, sia al sostegno di piani di sviluppo delle attività agricole nei territori meridionali interessati;
    peraltro, l'efficiente gestione del sistema di depurazione è un importante obiettivo per garantire la massima tutela dell'ambiente e per la tutela della salute dei cittadini, sia per questione etiche sia come contributo per lo sviluppo delle attività turistiche, compromesse dai casi di inquinamento dei tratti di mare, interessati dallo sversamento di liquidi non sufficientemente depurati e ricchi di sostanze prodotte da impianti industriali;
    il rilancio dell'economia del Mezzogiorno non può prescindere da interventi di sostegno al settore agricolo, finalizzati a migliorare la commercializzazione, adeguare la produzione alla domanda, ottimizzare i costi di produzione e stabilizzare i prezzi alla produzione, incentivare l'utilizzo di strumenti di gestione del rischio e contribuire al rafforzamento della posizione dei produttori, nonché di facilitare il dialogo tra i soggetti della filiera; è indispensabile promuovere forme di organizzazioni di produttori ed organizzazioni interprofessionali,

impegna il Governo:

   ad utilizzare le risorse finanziarie dell'Unione europea, anche mediante il cofinanziamento nazionale, per interventi di adeguamento e messa a norma, nonché di incremento dei depuratori in tutte le regioni del Meridione, con particolare priorità per la regione Puglia, assolutamente insufficienti ed inadeguati;
   ad adottare provvedimenti necessari ad aumentare il reclutamento dei ricercatori e garantire la stabilizzazione del personale di ricerca nel sistema universitario, con particolare riguardo alle regioni del Mezzogiorno, anche al fine di valorizzare la ricerca propedeutica allo sviluppo di nuove tecnologie e progetti industriali innovativi per lo sviluppo dell'economia meridionale, nonché a valutare l'opportunità di un intervento volto ad aumentare le capacità assunzionali fortemente limitate dall'articolo 66, comma 13-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, della legge 6 agosto 2008, n. 133;
   nell'ambito della riorganizzazione e razionalizzazione dei corpi di polizia e dei corpi armati, a garantire un maggior presidio delle medesime nelle zone del Mezzogiorno maggiormente interessate da fenomeni di criminalità organizzata, al fine di eliminare gli ostacoli e i disincentivi alle attività imprenditoriali;
   nel settore agricolo, a promuovere forme di organizzazioni di produttori ed organizzazioni interprofessionali nel Mezzogiorno come disposto dal regolamento (UE) n. 1308/2013 recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli.
(1-00688)
«Cariello, Baldassarre, Currò, Rostellato, Barbanti, Tripiedi, Bechis, Chimienti, Ciprini, Cominardi, Rizzetto».
(12 dicembre 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    i dati trimestrali diffusi nel mese di novembre 2014 dall'Istituto nazionale di statistica – Istat, relativi al terzo trimestre sull'andamento dell'economia italiana, confermano una situazione di estrema debolezza, in particolare con riferimento al tasso di disoccupazione pari all'11,8 per cento (in crescita di 0,5 punti percentuali su base annua), i cui livelli da record restano i più alti dall'inizio delle serie storiche introdotte dal 1977;
    nel Mezzogiorno l'incremento rilevato, a fronte della media nazionale del 39,3 per cento, risulta essere al 19,6 per cento e raggiunge nel complesso valori estremamente preoccuparti sul piano sociale ed economico fra le fasce giovanili, pari 51,3 per cento, intensificando pertanto i divari territoriali tra le aree del Nord (con l'indicatore pari al 7,8 per cento) con quelle meridionali (il cui differenziale risulta essere pari al 19,6 per cento);
    la ripartizione regionale pubblicata dal citato istituto, evidenzia, inoltre, che la regione Sicilia risulta, secondo l'ultimo trimestre, quella con il numero più elevato di disoccupati a livello nazionale, con il tasso di disoccupazione salito al 21,2 per cento e (+1,5 per cento rispetto allo stesso periodo del 2013) un differenziale di 10 punti percentuali in più rispetto alla media nazionale (11,8 per cento), ovvero il più alto della media del Mezzogiorno (19,6 per cento);
    alle citate rilevazioni statistiche, si affiancano ulteriori analisi più approfondite e significative, provenienti dall'Associazione per lo sviluppo dell'industria e il Mezzogiorno – Svimez, connesse alle condizioni di profonda sofferenza e disagio, sociale ed economica che persiste nel sesto anno di crisi italiana per l'economia meridionale, che evidenzia come il fenomeno si stia radicalizzando nelle aree sottoutilizzate ad alta densità di disoccupati, in cui ad un'emergenza economica, contrassegnata da forti rischi di desertificazione industriale, s'intreccia, in modo sempre più stringente, l'esigenza di una mancata crescita e un potenziale sviluppo produttivo;
    alla persistente crescita tendenziale del numero dei disoccupati nelle regioni del Mezzogiorno (pari a oltre 3,5 milioni di individui, con quella giovanile giunta al 43,3 per cento e sempre più fuori controllo), si collegano i dati sulla mancata capacità competitiva delle imprese localizzate nelle aree territoriali del Sud Italia, che risentono della maggiore fragilità strutturale di «fare sistema», rispetto alle altre del Paese, ed il cui valore aggiunto in termini di produttività si attesta soltanto al 16,9 per cento, a differenza delle regioni del Nord Italia, che contribuiscono, invece, per il 61,7 per cento, e quelle del Centro, che si attestano al 21,4 per cento;
    l'evidente assenza di significativi interventi da parte del Governo Renzi, diretti al superamento dei divari di crescita esistenti tra il Centro-Nord ed il Mezzogiorno, volti alla promozione dello sviluppo territoriale nelle aree sottoutilizzate, manifestatisi sin dall'inizio del suo insediamento, hanno accresciuto le dinamiche negative delle regioni meridionali e, in particolare, riferite al sistema imprenditoriale, che per dimensione, caratteristiche settoriali e capacità competitiva è meno attrezzato a resistere ad una dinamica negativa di un ciclo recessivo così lungo e pervasivo;
    la debolezza delle aree sottosviluppate emerge in maniera rilevante anche dal confronto con altre realtà territoriali europee, caratterizzate da un livello di sviluppo economico simile, a causa dell'inefficienza (emersa in particolare nell'ultimo anno) nell'accelerazione dei programmi di spesa, in ragione dei consistenti ritardi europei, già destinati agli interventi del piano di azione e coesione e, in particolare, dal fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie;
    il dimezzamento delle risorse nazionali previsto da recenti interventi del Governo nell'ambito della politica di coesione relativo al periodo 2014-2020, per la definizione del nuovo quadro strategico nazionale, nei confronti della Campania, la Calabria e la Sicilia, a cui si aggiunge il concreto rischio di aggiungere 30 miliardi di euro relativi ai fondi strutturali relativi al periodo 2007-2013, che stanno per essere persi definitivamente, non riconosciuti dall'Unione europea, o perfino restituiti dalle regioni ritardatarie (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia), confermano a tal fine come lo svolgimento delle competenze attribuite all'Agenzia per la coesione territoriale (istituita ai sensi dell'articolo 10 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125), finalizzate ad imprimere una svolta decisiva nella capacità di spesa dei fondi europei e sostenere pertanto lo sviluppo produttivo del Mezzogiorno, risulta essere inadeguato rispetto alle finalità per le quali l'Agenzia era stata istituita;
    a tal fine, il quadro previsionale decisamente sconfortante che rileva la Svimez, per il biennio 2014-2015, nell'ambito delle politiche di coesione a fronte della crisi economica e sociale del Mezzogiorno, evidenzia che nel periodo 2007-2013, a conclusione del ciclo di programmazione dei fondi (nel caso si fosse raggiunto l'obiettivo di spesa delle regioni rientranti all'interno del piano convergenza), si sarebbero potute attivare importanti leve per gli interventi di riequilibrio territoriale;
    la manifesta lentezza della nuova governance della citata agenzia, le cui evidenti difficoltà nell'imprimere una svolta decisiva nella capacità di spesa dei fondi europei hanno contribuito a determinare il ridimensionamento della quota di cofinanziamento dei fondi strutturali comunitari, (con evidenti ripercussioni sullo sviluppo territoriale nelle aree sottoutilizzate del Mezzogiorno), rende realmente incompatibili i tempi di operatività e gli obiettivi predeterminati a livello comunitario, concordati nell'ambito della strategia Europa 2020;
    la mancanza di significative misure di rilievo adottate dal Governo Renzi, in favore del Mezzogiorno, che conferma, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, un'azione di disimpegno generale per le aree sottoutilizzate e di scarsa attenzione relativa alla questione meridionale, accresce, inoltre, e soprattutto in prospettiva, i ritardi delle regioni meridionali, in particolare nei termini di fragilità del sistema produttivo e industriale (in particolare il comparto manifatturiero già poco presente nell'economia del Sud), provocando il crollo dei consumi delle famiglie meridionali e di debolezza in senso strutturale, che si riflette nella maggiore difficoltà di accesso al credito e un più elevato costo dei finanziamenti;
    di fronte al sopra esposto quadro macroeconomico, che configura una condizione di costante e progressiva divaricazione del sentiero di sviluppo dell'industria del Mezzogiorno, in termini di produttività e competitività con il resto del Paese, necessitano interventi decisionali in tempi rapidi, anche a livello europeo, in netta controtendenza rispetto alla cornice normativa attualmente prevista, in grado di mettere in campo una strategia di sviluppo nazionale, che ponga al centro dell'azione del Governo il rilancio del Mezzogiorno, attraverso la riduzione degli squilibri economico e sociali intensificati nell'attuale periodo di crisi;
    l'emergenza sociale determinata dal crollo occupazionale e quella produttiva esige, a tal fine, una strategia di sviluppo nazionale centrata sul Mezzogiorno con una «logica di sistema» e un'azione strutturale di medio-lungo periodo fondata su quattro driver di sviluppo tra loro strettamente connessi in un piano di «primo intervento»: rigenerazione urbana, rilancio delle aree interne, creazione di una rete logistica in un'ottica mediterranea e valorizzazione del patrimonio culturale;
    i ritardi nell'utilizzo delle risorse della politica di coesione, in particolare nelle regioni dell'obiettivo convergenza, anche dovuti alle difficoltà organizzative e operative dell'Agenzia per la coesione territoriale, impongono a tal proposito una decisa rivisitazione delle politiche del Governo a sostegno della crescita meridionale;
    il rispetto del vincolo di territorialità necessita, a tal fine, di essere adeguatamente rafforzato, in coerenza, peraltro, con quanto disposto dal Ministro per gli affari regionali e la coesione territoriale, pro tempore Raffaele Fitto e proseguito dal Ministro pro tempore Fabrizio Barca, all'interno del quale sono state indicate le priorità d'intervento che ha rappresentato una linea di continuazione indispensabile per l'impatto che l'utilizzo che i fondi strutturali avranno sull'economia del Mezzogiorno e che il Governo Renzi, invece, intende erroneamente rivedere;
    il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, a tal fine, ha confermato una scarsa efficacia del Governo Renzi, in ambito comunitario, anche sull'azione di intraprendere misure favorevoli per il nostro Paese, in grado di migliorare l'utilizzo dei fondi strutturali e rendere immediatamente cantierabili un insieme di progetti, per esplicare da subito i loro effetti sull'economia e il lavoro nelle regioni del Mezzogiorno;
    la dimensione macroeconomica dell'area, dove risiede un terzo della popolazione in cui si produce circa un quarto del prodotto interno, richiede, pertanto, in considerazione degli articolati rilievi in precedenza indicati, politiche di correzione e di riequilibrio per le aree meridionali, la cui crescita dell'economia italiana appare indissolubilmente legata al miglioramento dell'utilizzo delle risorse produttive del Sud,

impegna il Governo:

   a prevedere iniziative, in tempi rapidi, volte a potenziare l'attività istituzionale dell'Agenzia per la coesione territoriale, le cui evidenti incapacità, nell'imprimere una svolta decisiva nella capacità di spesa dei fondi europei, hanno contribuito a determinare il ridimensionamento della quota di cofinanziamento dei fondi strutturali comunitari (con evidenti ripercussioni sullo sviluppo territoriale nelle aree sottoutilizzate del Mezzogiorno), nonché l'introduzione di misure penalizzanti come quelle recentemente previste, cosa che potrebbe determinare ulteriori effetti depressivi sullo sviluppo dell'economia del Mezzogiorno nel 2015;
   a prevedere, altresì, attraverso iniziative normative ad hoc, interventi in favore dello sviluppo economico in aree svantaggiate, destinati a sostenere le zone franche urbane, in particolare delle regioni meridionali, per le quali le misure di carattere finanziario recentemente stabilite hanno previsto per il prossimo triennio 2015-2017 una rilevante riduzione o addirittura un azzeramento dei rifinanziamenti;
   ad intervenire in sede europea, attraverso un'azione politica più convincente, in grado di consentire nei confronti delle regioni del Mezzogiorno, in ritardo nella nuova programmazione dei fondi strutturali europei 2014-2020, i cui programmi operativi non saranno approvati entro fine 2014 o l'inizio del 2015, interventi in deroga, connessi al nuovo regolamento comunitario, che prevede una sospensione dell'approvazione dei programmi finché non sarà approvato il bilancio dell'Unione europea e il suo assestamento;
   a intervenire per compensare il ridimensionato delle quote di cofinanziamento dei fondi strutturali nell'ambito dei programmi operativi regionali del Mezzogiorno e a prevedere adeguate risorse comunitarie e nazionali in favore delle aree territoriali che rientrano nel «piano di convergenza», al fine di sostenere l'economia meridionale in considerazione dei dati statistici e della analisi socioeconomiche riportate in premessa, che evidenziano una condizione complessiva per dimensione macroeconomica dell'area di estrema gravità;
   a confermare, infine, l'osservanza dei principi stabiliti nell'accordo tra il Governo e le regioni del Mezzogiorno siglato il 3 novembre 2011, secondo i quali le risorse destinate al piano di azione e coesione siano vincolate al principio di territorialità.
(1-00689) «Palese, Russo, Occhiuto».
(12 dicembre 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    l'eredità che lasciano sei anni di recessione fotografa un Paese ancora più diviso e diseguale, con una flessione ancora più estesa e profonda nel Mezzogiorno;
    secondo i dati del rapporto Svimez relativo al 2014, si evidenzia, ancora una volta, la questione di un Paese con due differenti velocità di sviluppo, dove al Sud il persistere della crisi si sta sempre più radicalizzando e dove all'emergenza economica si sta sempre di più intrecciando un'emergenza sociale e civile;
    nel Mezzogiorno, dove risiede un terzo della popolazione, il prodotto interno lordo, nel 2013, è calato del 3,5 per cento, approfondendo la flessione già registrata nel 2012, in cui la flessione è stata registrata al -3,2 per cento: quasi il doppio della flessione registrata al Centro-Nord. In tale contesto le regioni del Sud hanno risentito non solo dello stimolo relativamente inferiore al resto del Paese della domanda estera, ma anche della riduzione della domanda interna e questo, come evidenziato nel rapporto Svimez, è dovuto essenzialmente alla mancanza di mercato del lavoro dell'area e alla mancata spesa per investimenti che si è ulteriormente ridotta rispetto al resto del Paese;
    secondo le stime effettuate dalla Svimez non si ipotizzano per il prossimo biennio segnali di un'inversione di tendenza; infatti, si prevede per il 2015, in un quadro di recessione, un ulteriore ampliamento del divario tra Nord e Sud, con un differenziale negativo di circa mezzo punto al Sud rispetto alla media nazionale, che dovrebbe far segnare una flessione del prodotto interno lordo, tra il 2014 ed il 2015, di oltre l'1 per cento;
    anche le misure economiche degli ultimi anni, miranti al necessario aggiustamento dei conti pubblici, non hanno tenuto conto delle diversità territoriali, determinando effetti maggiormente negativi nel Mezzogiorno;
    negli ultimi anni si è avvertita l'assenza, nei programmi di Governo, di un respiro strategico, volto a ridurre il gap economico, infrastrutturale e sociale del Sud;
    il Mezzogiorno è ancora privo di quella rete di infrastrutture essenziale per lo sviluppo, anzi questi territori soffrono maggiormente della politica infrastrutturale del nostro Paese, la cui profonda crisi, registratasi nel 2013, ha visto un così basso livello di investimenti mai registrato dal 1970. La profonda caduta degli investimenti in opere pubbliche, conseguenza della crisi finanziaria, ha visto dimezzarsi anche quei valori di «sopravvivenza infrastrutturale», come li definisce il rapporto Svimez, che determineranno la compromissione da parte del Mezzogiorno di quel ruolo chiave di snodo dei traffici tra l'Europa, l'Oriente e i Paesi del bacino del Mediterraneo;
    in uno Stato dove tutte le regioni dovrebbero essere dotate degli stessi strumenti e delle stesse infrastrutture si assiste invece ad una continua rivisitazione di quello che dovrebbe essere il documento per eccellenza, la cosiddetta legge obiettivo. La riprogrammazione risulta del tutto chiara: nel Mezzogiorno si ridimensionano gli interventi e si reimpiegano risorse già ad esso destinate in altri ambiti programmatici; in parte le risorse si trasferiscono al Centro-Nord;
    ciò appare evidente da una lettura dei due ultimi rapporti della Camera dei deputati, dai quali si evince come nel Centro-Nord la programmazione si sia concentrata soprattutto su nuovi collegamenti autostradali in ppt, sul completamento della rete ferroviaria alta velocità/alta capacità nazionale e la connessione con quella europea, sulle metropolitane delle principali città e sugli interventi riguardanti l'Expo 2015. Nel Mezzogiorno, invece, si continua con l'estenuante completamento della Salerno-Reggio Calabria, della strada statale 106 jonica, delle autostrade siciliane e della rete metropolitana campana;
    nel Mezzogiorno, dunque, l'attività infrastrutturale si è limitata ad interventi di modesta dimensione, che, per loro natura, non sono in grado di infittire la rete infrastrutturale e consolidare i nodi logistici in modo da garantire una dimensione sistemica all'apparato meridionale. Il pericolo reale, a questo punto, è che il divario tra Nord e Sud da incolmato divenga incolmabile;
    la crisi finanziaria ha colpito il Sud e le politiche congiunturali anche in altri versanti, in quanto, davanti alle stringenti necessità della finanza pubblica, risorse assegnate allo sviluppo del Mezzogiorno, come il fondo per le aree sottoutilizzate, sono state distratte per altre finalità;
    per lungo tempo si è assistito, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, a dissennati tagli operati sulla dotazione del fondo per le aree sottoutilizzate per finanziare interventi di diversa natura, non sempre corrispondenti a finalità di sviluppo e quasi sempre non localizzati nel Mezzogiorno;
    i dati sull'andamento dell'occupazione hanno evidenziato come proprio nelle regioni del Sud si siano concentrate le riduzioni più significative di posti di lavoro, legate, soprattutto, al fenomeno della desertificazione industriale. Nel Mezzogiorno una persona su due è fuori dal mercato del lavoro regolare: in valori assoluti, sette milioni di uomini e donne che convivono con lavori in nero o precari. Inoltre, è al Sud che vive un esercito di oltre due milioni di giovani e delle giovani, i cosiddetti neet (acronimo che sta per «not in education, employment or training», ovvero che non lavorano, non studiano e non seguono corsi di formazione), che sono praticamente invisibili poiché vivono in una zona grigia fatta di lavoro irregolare, occupazione estemporanea e lavori saltuari e che rappresentano la faccia più impietosa della crisi economica;
    la quota dei neet sul totale della popolazione è arrivata nel 2013 al 27 per cento e il 55 per cento è al Sud. Con la crisi, la condizione dei neet si è estesa anche ai giovani e alle giovani con titoli di studio più elevati: tra gli inattivi al Sud i diplomati e le diplomate sono il 37,5 per cento e i laureati e le laureate il 32,4 per cento;
    per quanto riguarda le donne, il rapporto Svimez rileva impietosamente che, a fronte di un tasso di occupazione che in Europa raggiunge nel 2013 mediamente il 66 per cento, nelle regioni del Sud si attesta a malapena al 38 per cento in Puglia, al 37 per cento in Calabria e Campania, per poi scendere al 35 per cento in Sicilia;
    la disoccupazione ufficiale al Sud è quasi 2,5 volte quella del Nord: l'insieme di persone in cerca di occupazione e forza lavoro potenziali nel primo trimestre del 2014 si avvicina ai 7 milioni, di cui 3,7 milioni solo nel Mezzogiorno;
    con riferimento alle imprese del Mezzogiorno, il sistema produttivo è legato a fattori strutturali di debolezza che riguardano le dimensioni piccole o piccolissime delle imprese di quest'area, spesso a gestione familiare, operanti prevalentemente in settori a basso valore aggiunto e con una conseguente scarsa propensione a investire nell'innovazione e in ricerca e sviluppo. Tra le condizioni di contesto capaci di favorire, nel medio periodo, la crescita del sistema economico meridionale c’è senza dubbio anche la crescita degli investimenti in ricerca ed innovazione, unica risposta lungimirante rispetto alla perdita di competitività delle produzioni e dei servizi rispetto a quelle dei Paesi emergenti e a quelle dei Paesi tecnologicamente più avanzati; occorre, pertanto, mettere a regime forme di credito d'imposta automatico sugli investimenti in ricerca, innovazione e formazione, nell'ambito di un più vasto sistema di fisco premiale per le imprese disposte ad investire nel Mezzogiorno;
    la mancata soluzione al problema della sicurezza complica ogni ipotesi di sviluppo per le regioni meridionali. Permane, infatti, una forte presenza della criminalità organizzata, che tenta di infiltrarsi nei grandi appalti per opere pubbliche e tenta di condizionare l'attività d'impresa, e della microcriminalità, che peggiora la qualità della vita nei centri urbani, aumentando il disagio sociale. Questa situazione richiede un impegno forte da parte dello Stato per assicurare condizioni di legalità e di sicurezza alle imprese e alle cittadine e ai cittadini; occorre salvaguardare e rilanciare il patrimonio produttivo meridionale, scongiurando la fuga dell'industria manifatturiera e l'ampliarsi dei fenomeni di delocalizzazione e intervenendo sulla promozione d'impresa, sostenendo con servizi innovativi i settori d'eccellenza, quali il turismo sostenibile, l'agroalimentare tipico, le attività ad alto contenuto tecnologico; la capacità di realizzare politiche di sviluppo mirate, in particolare ottimizzando l'utilizzo dei fondi europei, è divenuta il principale motore della crescita di molti Paesi europei, simili al Mezzogiorno per storia, tradizioni, condizioni economiche e collocazione geografica;
    il dualismo del sistema economico italiano continua ad essere una costante, che ha, però, assunto negli ultimi anni valenze differenti, in considerazione dei vincoli e delle opportunità connessi ai processi di integrazione europea e di globalizzazione; tutti gli indicatori economici lasciano presagire che nel prossimo biennio le regioni centro-settentrionali saranno caratterizzate da un forte impulso produttivo, che permetterà loro di raggiungere le performance europee, mentre il Mezzogiorno resterà penalizzato, dati i ritardi strutturali che da sempre ne condizionano lo sviluppo economico;
    si rende necessario individuare formule di intervento verso il Mezzogiorno efficaci e, soprattutto, capaci di supportare la ripresa di uno sviluppo durevole e non assistenzialistico, così, grazie alla posizione geografica ed alla dotazione di porti e aeroporti, il Sud potrebbe svolgere un ruolo di cerniera negli scambi commerciali tra Europa, Mediterraneo e Paesi del far east e raccogliere le nuove opportunità del contesto competitivo internazionale. Per il Sud italiano, così come per altri Sud europei, potrebbe aprirsi una prospettiva inedita, rappresentata dai crescenti flussi commerciali e finanziari provenienti dall'Asia e dall'Africa, da Medio Oriente, Cina, India, Giappone, Oceania e che potrebbero trasformarlo in uno dei principali poli dello sviluppo mondiale di questo nuovo secolo,

impegna il Governo:

   a promuovere una politica di sviluppo che, sulla base della rilevata inefficacia degli interventi effettuati per il Mezzogiorno nell'ultimo decennio, tenda a privilegiare interventi infrastrutturali in una logica di concentrazione settoriale delle risorse;
   ad attuare un piano di recupero di efficienza e competitività territoriale delle regioni del Mezzogiorno, attraverso la realizzazione ed il completamento definitivo di opere infrastrutturali di indubitabile importanza sotto il profilo della riduzione dei costi logistici totali di mobilità di merci e persone, integrate con le reti infrastrutturali di regioni e Paesi del Mediterraneo, grazie alle quali il Mezzogiorno potrebbe realmente rappresentare un'area strategica di operatività logistica a servizio non solo del sistema endogeno meridionale ed italiano, ma principalmente quale territorio di concentrazione e smistamento di traffico lungo le direttrici Asia-Europa e Asia-Medio Oriente-Nord-Africa;
   ad assumere iniziative per riformare i programmi regionali del fondo per le aree sottoutilizzate, modificando, al contempo, la governance dell'utilizzo dei fondi e introducendo lo strumento del contratto istituzionale di sviluppo che definisce tempi, modalità e responsabilità per l'attivazione degli investimenti finanziati con i fondi europei e nazionali destinati alle politiche di sviluppo e coesione territoriale, così come delineato nei documenti della Commissione europea relativi all'approvanda riforma della politica regionale dell'Unione europea;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative volte a promuovere, all'interno delle regole del patto di stabilità interno, meccanismi premiali finanziati con le risorse del fondo europeo per lo sviluppo regionale a favore delle regioni meridionali che si impegnano a ridurre la spesa corrente a favore di quella in conto capitale;
   ad assumere un impegno straordinario per sconfiggere la criminalità organizzata e tutti quei fenomeni di illegalità, dal lavoro sommerso alla microcriminalità, che determinano un ambiente sfavorevole agli investimenti ed allo sviluppo;
   a favorire lo sviluppo nelle regioni meridionali di un sistema creditizio e finanziario che sia in grado di accompagnare e promuovere la crescita dimensionale delle imprese, l'innovazione e l'internazionalizzazione;
   a qualificare e semplificare, per quanto di competenza, la pubblica amministrazione, specie nelle aree meridionali, in maniera tale che diventi fornitrice di servizi efficienti alle imprese e alle cittadine e ai cittadini;
   a valutare l'opportunità di definire progetti finalizzati al rientro nelle regioni di provenienza delle giovani e dei giovani ad alta ed altissima qualificazione universitaria e post-universitaria, contribuendo in tal modo ad invertire i consistenti flussi di emigrazione che coinvolgono in modo preoccupante le migliori energie intellettuali del Mezzogiorno.
(1-00764)
«Di Lello, Catalano, Fava, Di Gioia, Locatelli, Pastorelli, Currò, Furnari, Pinna, Tacconi».
(24 marzo 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    il periodo attuale di crisi economica, la peggiore dal dopoguerra ad oggi, sta determinando in tutto il Paese e soprattutto al Sud Italia una forte emergenza sociale dovuta al crollo dei livelli occupazionali e produttivi, che evidenziano il reale rischio di una desertificazione industriale causata dal crescente numero di imprese che chiudono la loro attività;
    l'analisi del periodo 2007-2014, preso a riferimento dalle recenti ricerche portate a termine da diversi istituti, evidenzia un quadro di insieme fortemente negativo del Sud Italia segnato da una crisi strutturale consolidata che accentua le proprie differenze in termini economici, sociali e di sicurezza rispetto al Centro-Nord, che invece sta registrando timidi segnali di ripresa;
    la situazione economica del Mezzogiorno a fine 2014 si è ulteriormente aggravata rispetto al resto del Paese e le prospettive per il 2015 sono in netto peggioramento, come si evince dalle stime elaborate da Istat, Svimez e da ultimo da Confindustria. Quella del Mezzogiorno è una crisi economica e sociale che nel suo evolversi negli anni ha sempre sofferto la mancanza di una programmazione a medio-lungo termine di interventi efficaci e di provvedimenti strutturali da parte dello Stato. I ritardi consolidatisi al Sud hanno generato, in questo grave momento di crisi, un clima di sfiducia nel sistema delle imprese, che si traduce in mancanza di investimenti, rilevante calo occupazionale, elevata emigrazione di giovani che non trovano lavoro e che smettono di cercarlo, con il contestuale paradosso di risorse dello Stato e dell'Unione europea che colpevolmente non vengono utilizzate o lo sono con gravi ritardi;
    l'indice sintetico della situazione del Mezzogiorno, riportato nell'analisi elaborata da Confindustria e da Srm-Studi e ricerche per il Mezzogiorno (centro studi del gruppo Intesa Sanpaolo), è nettamente inferiore al dato di partenza del 2007 ed in calo ulteriore rispetto al minimo già registrato nel 2013. A deprimere l'indice sono gli investimenti pubblici e privati, stimati in calo di quasi 29 miliardi di euro tra il 2007 ed il 2014, il prodotto interno lordo ridottosi di oltre 51 miliardi di euro, l'occupazione, ben al di sotto della soglia psicologica dei 6 milioni, ed un tasso di disoccupazione che ha superato il tetto del 20 per cento;
    Confindustria segnala che nel Mezzogiorno imprese e lavoratori sono, ovviamente, i soggetti che per primi e in modo più diretto risentono degli effetti della crisi che si conferma «crisi di domanda interna», caratterizzata, cioè, da minori consumi e minori investimenti. Nel 2013 hanno cessato la propria attività (cancellandosi dal registro delle imprese) 121 mila imprese e nei primi nove mesi del 2014 altre 88 mila imprese hanno chiuso ad un ritmo di 326 cessazioni al giorno. Nel complesso, tra il 2007 e il 2013 il numero di imprese attive nel Mezzogiorno è calato di circa 31 mila unità: secondo le stime, nel 2014 si prevede la chiusura di ulteriori 10 mila aziende;
    se, da un lato, molte aziende chiudono ed escono dal mercato, dall'altro, quelle che stanno «sopravvivendo» alla crisi registrano un progressivo peggioramento nei propri conti economici e finanziari. In media, infatti, le imprese manifatturiere meridionali hanno perso l'1,2 per cento del fatturato nel 2012 rispetto al 2011 e, successivamente, l'1,8 per cento nel 2013 (-0,1 per cento per il Centro-Nord). Il ridotto «giro d'affari» ha, altresì, determinato un calo nella redditività delle imprese: il return on investment medio delle imprese manifatturiere meridionali, pari al 4,9 per cento nel 2007, si è ridotto all'1,6 per cento nel 2013, ben più del Centro-Nord. Flussi di cassa sempre più esigui determinano anche un maggior ricorso all'indebitamento (finanziario e commerciale) da parte delle imprese: tra il 2007 e il 2013 i valori iscritti a debito nelle imprese meridionali sono aumentati complessivamente del 13,8 per cento;
    il rapporto di Confindustria evidenzia un Mezzogiorno stretto in una morsa costituita da una domanda interna in calo e da una pressione fiscale giunta a livelli insostenibili. Al Sud, infatti, ancor più che nel Centro-Nord, il calo della domanda interna sta influendo in modo negativo sulle capacità economiche e finanziarie delle imprese, al pari dell'imposizione fiscale: le imprese in perdita nel Mezzogiorno sono circa un terzo del totale ed il 5,5 per cento è in perdita dopo il pagamento delle imposte. Tutto questo è causa di margini sempre più esigui ed evidenzia una pressione fiscale, soprattutto locale, significativa e sempre più insostenibile in questo stato di crisi: come certifica la Banca d'Italia, nel 2011-12 le entrate fiscali sono aumentare dell'1,7 per cento all'anno nel Mezzogiorno, dove ormai il rapporto tra gettito fiscale e prodotto interno lordo è ormai prossimo a quello del Centro-Nord, nonostante gli obiettivi di riequilibrio territoriale. La crescita delle sofferenze bancarie, ben oltre quota 36 miliardi di euro, certifica questo stato di difficoltà delle imprese;
    la ridotta attività economica del Mezzogiorno sta, altresì, disperdendo il «capitale umano» delle regioni meridionali. Tra il 2007 e il 2013 è stata registrata una perdita di oltre 600 mila posti di lavoro, con una variazione di -9,5 per cento. In base agli ultimi dati disponibili (II trimestre 2014) il numero di occupati è ulteriormente calato nel 2014 (-1,5 per cento rispetto al II trimestre 2013). Il tasso di disoccupazione nel Mezzogiorno è così salito al 19,7 per cento nel 2013 (era pari all'11 per cento nel 2007) e risulta superiore sia al valore medio italiano (12,2 per cento) sia a quello dell'Unione europea a 28 (10,8 per cento). In base agli ultimi dati disponibili (II trimestre 2014) il tasso di disoccupazione nel Mezzogiorno ha addirittura superato la soglia del 20 per cento. Dal 2008 al 2013 in Italia hanno perso il lavoro 985 mila persone, delle quali 583 mila sono al Sud dove, nel solo 2013, si sono persi 282 mila posti di lavoro, pari ad oltre il 50 per cento del totale nel suddetto periodo. Il numero degli occupati al Sud per la prima volta dal 1977 è sotto i 6 milioni, attestandosi nel 2103 a 5,8 milioni;
    il calo dell'occupazione, la riduzione del reddito medio disponibile, un welfare non in grado di supportare pienamente le persone in strutturale o temporanea difficoltà economica hanno comportato nel corso degli ultimi anni un acuirsi del livello di «povertà»; il numero di persone che vivono in condizioni di povertà assoluta nel Mezzogiorno è più che raddoppiato tra il 2007 e il 2013, passando da 1,2 a 3 milioni di individui: il 50 per cento del totale delle persone in povertà assoluta in Italia è nel Mezzogiorno;
    secondo la ricerca e le stime elaborate da Svimez, l'andamento produttivo dell'Italia nel 2013 rimane stagnante ed anche gli indicatori congiunturali del 2014 non mostrano segni di miglioramento. Il Sud Italia è da considerarsi in recessione, non solo per il 2014 ma anche per il 2015. Le previsioni porterebbero a otto gli anni consecutivi nei quali il prodotto interno lordo meridionale è stato negativo, con un crollo dei redditi al Sud del 15 per cento tra il 2008 e il 2013;
    in particolare, nel Mezzogiorno, tra il 2008 e il 2013, il forte calo occupazionale, mediamente di quattro volte superiore a quella del Centro-Nord, ha generato un crollo dei consumi delle famiglie di quasi 13 punti percentuali (-12,7 per cento), di oltre due volte maggiore di quello registrato nel resto del Paese (-5,7 per cento). Tutti i settori dell'economia meridionale sono in crisi, assumendo, in particolare, dimensioni «epocali» nell'industria in senso stretto, crollata al Sud nel 2008-2013 addirittura del 53,4 per cento, più che doppia rispetto a quella, assai grave, del Centro-Nord (-24,6 per cento). Un così massiccio fenomeno di riduzione drastica di investimenti ha ulteriormente aggravato la già scarsa competitività dell'area e ha comportato un forte ridimensionamento dell'estensione e delle dimensioni dell'apparato produttivo, favorendo nella sostanza un processo di downsizing e al tempo stesso di desertificazione dei territori meridionali;
    Svimez ha analizzato a fondo il processo di riduzione del valore aggiunto, che ha toccato il picco nel settore delle costruzioni, che nella media cumulata del 2008-2013 ha ridotto il prodotto del 35,3 per cento contro il 23,8 per cento del Centro-Nord. In particolare, nel 2013, l'edilizia ha accusato un calo del 9,6 per cento nel Mezzogiorno, esattamente il doppio di quello del Centro-Nord (-4,8 per cento). Nel comparto terziario la perdita è stata nel 2014 del 2,3 per cento nel Sud, a fronte di una sola leggera flessione (-0.4 per cento) al Centro-Nord. Ancora in calo risulta nel 2013 l'agricoltura meridionale, che perde lo 0,2 per cento rispetto a un incremento dello 0,6 per cento nel Centro-Nord. Il settore industriale ha perso, nel 2013, 6 punti e mezzo percentuali, più del doppio del Centro-Nord (-2,7 per cento). Nella media cumulata del periodo di crisi 2008-2013, la contrazione del prodotto industriale ha raggiunto quasi il 25 per cento, dieci punti in più rispetto al Centro-Nord;
    nonostante tutto, il rapporto Confindustria-Srm individua segnali confortanti e contrastanti nelle esportazioni delle imprese del Sud Italia, dati che, però, da soli non consentono un'inversione di tendenza sufficiente, anche perché concentrati in alcune aree e con numeri ancora troppo esigui e, soprattutto, non supportati da un'azione pubblica convintamente anticiclica, se si eccettua l'effettivo saldo di buona parte dei debiti della pubblica amministrazione verso le imprese. Tra il 2009 e il 2013, infatti, la spesa in conto capitale nel Mezzogiorno si è ridotta di oltre 5 miliardi di euro, tornando ai valori del 1996, contribuendo alla riduzione del numero e del valore degli appalti pubblici. Di valore sempre più ridotto sono, inoltre, le gare di partenariato pubblico-privato bandite al Sud e pressoché dimezzati, rispetto all'anno precedente, i mutui concessi agli enti locali per il finanziamento degli investimenti. Si realizzano, dunque, sempre meno investimenti pubblici, sia che lo Stato li finanzi direttamente sia che li promuova indirettamente;
    nell'indagine annuale de Il Sole 24 ore sulla qualità della vita della 107 città italiane capoluoghi di provincia, le città del Sud sono nelle ultime posizioni per servizi, ambiente e salute, affari e lavoro e ordine pubblico;
    i suddetti dati, aggravatisi con la grave crisi attuale che investe prioritariamente l'economia più debole del nostro Paese che da sempre è quella meridionale, testimoniano che il Mezzogiorno non ha mai avuto una politica industriale e di investimenti ben programmata, che gli consentisse di recuperare il gap storico, che risale all'unità d'Italia, nei confronti del Centro-Nord;
    questo stato di fatto chiama in causa il tema della programmazione di bilancio dello Stato e della spesa delle risorse stanziate, ordinarie e straordinarie, destinate allo sviluppo del Paese e, in particolare, del Mezzogiorno ed impone di confrontarsi con numerose criticità che hanno ridotto e che possono ridurre ulteriormente l'efficacia dell'intervento pubblico;
    i fondi comunitari sono di fondamentale importanza per tutto il Paese, ma è necessario evidenziare che hanno una particolare rilevanza per il Sud Italia, in quanto sono molto spesso sostitutivi delle risorse statali per gli investimenti. Già nel rapporto strategico nazionale di dicembre 2009, prima ancora dei numerosi tagli che sono stati effettuati alle politiche di sviluppo (20 miliardi di tagli al fondo per le aree sottoutilizzate 2007-2013 destinato al Sud), il Ministero dello sviluppo economico dichiarava il mancato rispetto del principio di addizionalità previsto dai regolamenti europei. In quel periodo, infatti, il 15 per cento dei fondi europei fu utilizzato per sopperire alla mancanza di risorse nazionali;
    la Banca d'Italia, nel corso dell’Eurofi financial forum 2014, ha segnalato la necessità di «rilanciare gli investimenti pubblici e privati nazionali ed europei» per la ripresa economica e di affiancare alle riforme strutturali specifiche sul lato dell'offerta «una più ampia azione di politica economica per accelerare la costituzione di infrastrutture materiali ed immateriali indispensabili per un vero mercato unico europeo»; in particolare, sono due gli elementi di criticità che ostacolano ed inficiano l'effettiva redditività dei provvedimenti dello Stato finalizzate alle politiche di sviluppo;
    il primo elemento di criticità si rileva nella distorsione dell'utilizzo delle risorse della programmazione unitaria che sono state utilizzate come variabile di aggiustamento dei conti pubblici italiani nei provvedimenti di finanza pubblica adottati dal 2008 ad oggi. Circa un terzo (pari a 20 miliardi di euro) delle risorse dell'ex fondo per le aree sottoutilizzate (relative al periodo 2007-2013, ora denominato fondo per lo sviluppo e la coesione, sono state tagliate o destinate ad altre finalità. Tale distrazione ha determinato una forte incertezza sulle disponibilità finanziarie da utilizzare per le politiche di sviluppo;
    il taglio delle risorse destinate alla coesione territoriale è proseguito con la legge di stabilità per il 2015, che ha ridotto di 4,5 miliardi di euro l'importo delle risorse destinate al piano di azione e coesione, che finanzia in gran parte infrastrutture nel Mezzogiorno e ha ridotto di 1,8 miliardi di euro le risorse del fondo sviluppo e coesione, di cui 540 milioni di euro relativi alle 6 regioni del Mezzogiorno a statuto ordinario;
    il secondo elemento di criticità si ravvisa nei vincoli di finanza pubblica, con particolare riferimento al patto di stabilità interno di regioni, province e comuni, che hanno rallentato la spesa delle risorse stanziate, con la conseguenza che, a fine 2014, circa il 29 per cento dei fondi strutturali e più del 90 per cento delle risorse regionali dell'ex fondo per le aree sottoutilizzate devono ancora essere spese;
    secondo quanto si evince dalle analisi del bilancio dello Stato, risulta che, nel corso degli ultimi anni, si sia verificato una distrazione delle risorse destinate alle infrastrutture da una molteplicità di capitoli ordinari a pochi «maxi-capitoli», con una crescente concentrazione delle risorse nei maxi-capitoli dei fondi strutturali e del fondo per lo sviluppo e la coesione;
    le stime dell'Ance, di Confindustria e del Cresme evidenziano la grande portata delle risorse distratte dai capitoli ordinari: i due maxi-capitoli dei fondi strutturali e del fondo per lo sviluppo e la coesione rappresentano oggi tra il 40 ed il 45 per cento delle risorse destinate ogni anno dallo Stato alle infrastrutture e all'adeguamento del territorio. Appare, dunque, strategico il celere utilizzo di queste risorse proprio in ragione del contesto in cui versa il nostro Paese, nel quale le risorse pubbliche a disposizione dell'infrastrutturazione sono ai livelli minimi degli ultimi 20 anni;
    il rapporto annuale del Cresme sull'attivazione della «legge obiettivo» al 31 dicembre 2014 evidenzia una sperequazione tra gli investimenti infrastrutturali al Centro-Nord per 192.137 milioni di euro, pari al 67,4 per cento del totale, e per 90.469 milioni di euro per il Sud, pari al 31,7 per cento;
    la spesa dei fondi comunitari è prioritaria per la ripresa economica particolarmente nel Mezzogiorno. Infatti, questa zona ha subito pesantemente la crisi economica più di ogni altra area del Paese. Eurispes, nell'ultimo rapporto annuale, analizzando i dati economici dell'Italia, ha evidenziato che al Sud vi è una condizione molto critica con indicatori inferiori rispetto a quelli di altre aree e rispetto alle medie nazionali. Dal 2007, la crisi ha piegato il tessuto economico e produttivo del Sud, aumentando ulteriormente il divario con il Nord d'Italia. Nel Mezzogiorno le aziende registrano il peggior saldo del portafoglio ordini e della relativa variazione nel periodo. Non a caso, al Sud, dal 2007 ad oggi, ben 11.500 aziende (pari al 25 per cento del totale in Italia) hanno registrato una situazione di incapacità prolungata nel tempo di ripagare i propri debiti e hanno fatto richiesta di fallimento presso le cancellerie dei tribunali;
    è importante evidenziare che sugli investimenti finanziati con questi fondi grava non solo l'ostacolo rappresentato dal patto di stabilità interno delle regioni, ma anche quello rappresentato dal patto di stabilità interno degli enti locali (comuni e province), quando questi risultano destinatari dei finanziamenti della politica di coesione. Su questo punto, il legislatore non è intervenuto nella legge di stabilità, nonostante le reiterate richieste di «nettizzazione» di queste risorse nel calcolo del patto di stabilità interno;
    secondo le dichiarazioni rilasciate ad organi di stampa da rappresentanti del Governo, sarebbe allo studio una consistente riduzione delle risorse destinate al cofinanziamento degli interventi dei fondi strutturali per il periodo 2014-2020, rispetto ai circa 41 miliardi di euro che erano allo scopo previsti dal progetto di accordo di partenariato trasmesso alla Commissione europea il 22 aprile 2011;
    tale riduzione produrrebbe effetti positivi in termini di finanza pubblica, ma determinerebbe la rinuncia ad avvalersi di una quota consistente delle risorse assegnate alle regioni italiane nell'ambito della programmazione 2014-2020;
    nel corso dell'informativa urgente sulle linee di attuazione del programma di Governo del 16 settembre 2014, il Presidente del Consiglio dei ministri ha inteso evidenziare l'urgenza dell'investimento dei fondi comunitari, pronunciando queste parole: «Al termine dei mille giorni o spendiamo bene i fondi europei o i fondi europei porteranno via noi»;
    l'esclusione delle spese di investimento dal calcolo europeo del deficit, in particolare di quelle finanziate da fondi strutturali europei, appare sempre più la chiave di volta per rimettere in moto investimenti da troppo tempo bloccati e per ridare ai bilanci pubblici spazi di manovra senza i quali nessuna fase espansiva appare ipotizzabile. La sfida è costituita da una selezione attenta e mirata degli investimenti pubblici e privati, in alcune aree prioritarie e dal valore strategico: dalla ricerca e sviluppo alla competitività delle imprese, dalle risorse naturali e culturali all'istruzione, dall'efficienza energetica alle infrastrutture materiali e sociali e ai servizi che tali infrastrutture utilizzano;
    in questa direzione andrebbe orientata prioritariamente l'Agenzia di sviluppo e coesione nella sua attività di monitoraggio e, soprattutto, accompagnamento e supporto tecnico ai ministeri ed alle regioni titolari degli interventi finanziati dai fondi europei e dal fondo sviluppo e coesione;
    i dati di crisi del Mezzogiorno evidenziano quanto sia fondamentale l'immediata spesa delle risorse disponibili bloccate da adempimenti procedurali e burocratici o da inadempimenti degli enti beneficiari. Evidenziano, inoltre, l'urgente necessità di interventi strutturali dello Stato da aggiungersi agli impegni ed agli investimenti previsti dalle politiche dell'Unione europea per le aree di minor sviluppo. Tutto ciò al fine di favorire la ripresa puntando su settori che hanno tradizionalmente maggiore potenzialità in termini di crescita occupazionale e di coinvolgimento di molteplici attività produttive, quali innovazione, turismo, cultura, istruzione, agricoltura, infrastrutture e riqualificazione urbana, facendo emer- gere con orgoglio le realtà economiche nascoste nell'indifferenza e nella rassegnazione,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative dirette a riformare con estrema urgenza il patto di stabilità interno e le regole di finanza pubblica affinché sia possibile assicurare la spesa dei fondi europei nei tempi programmati, ricorrendo ai poteri sostitutivi del Governo nei confronti delle regioni inadempienti previsti dalle vigenti leggi in materia (decreto-legge n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 2013 ed articolo 12 del decreto-legge n. 133 del 2014), nonché garantire un'equilibrata politica di investimenti da parte degli enti territoriali;
   ad assumere iniziative per rifinanziate la misura che prevede l'esclusione di parte dei cofinanziamenti nazionali dai parametri del patto di stabilità interno e che ha esaurito, con positivi riscontri in termini di accelerazione della spesa, i propri effetti nel 2014 dopo un triennio di operatività, con lo stanziamento di 1 miliardo di euro all'anno, tenuto conto che tale provvedimento si è già rivelato determinante per impedire la paralisi completa della spesa comunitaria e nazionale;
   a ridistribuire gli obiettivi di finanza pubblica stabiliti a livello nazionale in favore di una politica di investimento degli enti locali del Mezzogiorno, accompagnata da una revisione delle regole del patto di stabilità a livello nazionale ed europeo, con l'introduzione di un'adeguata flessibilità per favorire gli investimenti;
   a garantire che la programmazione infrastrutturale rappresenti l'elemento centrale dei programmi dei fondi strutturali europei e del fondo per lo sviluppo e la coesione 2007-2013 e 2014-2020, evitando di utilizzare impropriamente questi fondi per finanziare altre esigenze nell'attuale difficile contesto di finanza pubblica;
   a rafforzare l'azione dell'Agenzia di sviluppo e coesione nel supportare efficacemente le regioni del Mezzogiorno nella programmazione dei fondi europei, affinché essa sia strutturata e coerente con gli obiettivi e soprattutto integrata tra le stesse regioni e affinché possa garantire la tempestiva redazione dei relativi progetti, promuovendo la semplificazione delle procedure di autorizzazione degli interventi e della conseguente spesa;
   a favorire, nel corso della programmazione 2014-2020, l'utilizzo di risorse del fondo sociale europeo per la realizzazione di politiche attive a carattere sociale e quindi di contrasto alla povertà crescente, di inserimento nel mondo del lavoro dei giovani disoccupati, nonché di sostegno per le famiglie socialmente ed economicamente disagiate;
   a favorire lo sviluppo di un sistema creditizio e finanziario di effettivo sostegno alle imprese in crisi per il mantenimento o l'incremento dei livelli occupazionali;
   a promuovere, con la supervisione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e dei suoi uffici territoriali, di concerto con il dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale, iniziative di servizio civile culturale destinato ai giovani del Mezzogiorno per la valorizzazione e la divulgazione dei beni culturali, architettonici e paesaggistici presenti nelle regioni del Sud;
   a promuovere l'adozione di protocolli multilaterali di facilitazione istituzionale, legislativa e amministrativa e di semplificazione procedurale che coinvolgano le regioni del Mezzogiorno ed altri Paesi o enti di interesse economico intenzionati a investire in progetti di riqualificazione di attività produttive o di ricerca ed innovazione tecnologica e scientifica che abbiano significativo impatto per le comunità locali, così come già avvenuto in occasione del protocollo tra Governo, regione Sardegna e il fondo Qatar foundation endowment per il recupero dell'ospedale ex San Raffaele di Olbia.
(1-00765)
«Matarrese, Mazziotti di Celso, D'Agostino, Dambruoso, Vargiu, Antimo Cesaro, Cimmino, Molea, Vecchio, Piepoli, Vezzali».
(24 marzo 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    la crescita economica, sociale e culturale del Mezzogiorno è la vera sfida sulla quale si gioca il futuro dell'Italia;
    gli ultimi dati Istat e Svimez sono a questo proposito allarmanti: aumenta il divario con il Centro-Nord, mancano investimenti pubblici e privati, si assiste ad un impoverimento del capitale umano. In questo quadro sarà difficile che il Sud possa agganciare la ripresa e la sua lentezza potrebbe rivelarsi un deterrente per lo sviluppo di tutto il Paese;
    l'Italia sconta gli effetti negativi di un grande divario territoriale: un dualismo economico che si sta ampliando e che minaccia di essere una palla al piede di qualsiasi ipotesi di ripresa nazionale;
    di questo il rapporto Svimez 2014 sull'economia del Mezzogiorno, presentato nel mese di ottobre 2014, aveva già lanciato un avvertimento, delineando uno scenario preoccupante: l'aumento dell'emigrazione (+116 mila abitanti nel 2013), un basso indice di natalità(continuano nel 2013 a esserci più morti che nati), l'aumento della povertà(+40 per cento di famiglie povere nell'ultimo anno) perché manca il lavoro (al Sud si è perso l'80 per cento dei posti di lavoro nazionali tra il primo trimestre del 2013 e del 2014); l'industria continua a soffrire di più (-53 per cento degli investimenti in cinque anni di crisi, -20 per cento degli addetti); i consumi delle famiglie crollano di quasi il 13 per cento in cinque anni; gli occupati arrivano a 5,8 milioni, il valore più basso dal 1977 e il dato corretto sulla disoccupazione sarebbe il 31,5 per cento invece che il 19,7 per cento;
    uno scenario che secondo Svimez rischia di divenire strutturale: anche quando, dopo l'inizio della crisi nel 2008, il Centro-Nord aveva fatto segnare una limitata ripresa, con un aumento del prodotto interno lordo dal 2011 al 2012 del 3,8 per cento, il Sud aveva continuato a perdere prodotto, con una diminuzione dello 0,9 per cento. In totale, nonostante la crisi, il prodotto interno lordo del Centro-Nord dal 2001 al 2013 è aumentato del 2 per cento, mentre quello del Sud è sceso del 7,2 per cento;
    i conti economici territoriali dell'Istat, riferiti al periodo 2011-2013 e pubblicati il 9 gennaio 2015, confermano il quadro sopra descritto: il prodotto interno lordo per abitante nel 2013 risulta pari a 33,5 mila euro nel Nord-ovest, a 31,4 mila euro nel Nord-est e a 29,4 mila euro nel Centro. Il Mezzogiorno, con un livello di prodotto interno lordo pro capite di 17,2 mila euro, presenta un gap molto ampio con il Centro-Nord, dove si registra un livello di prodotto interno lordo pro capite di 31,7 mila euro; il valore registrato nel Mezzogiorno è quindi inferiore del 45,8 per cento rispetto a quello del Centro-Nord;
    i dati sopra evidenziati si traducono in un impoverimento dell'apparato produttivo a causa del calo degli investimenti: dal 2008 al 2013, gli investimenti in agricoltura sono calati del 44,6 per cento nel Mezzogiorno e del 14,5 per cento nel Centro-Nord; quelli nell'industria del 49,4 per cento nel Mezzogiorno e del 26,6 per cento nel Centro-Nord. Al tempo stesso gli investimenti in opere pubbliche sono scesi a un quinto di quelli di 20 anni fa, mentre nel Centro-Nord sono rimasti sostanzialmente invariati;
    dal punto di vista demografico, la fotografia dell'Istat è impietosa. I dati riferiti all'anno 2014, pubblicati il 12 febbraio 2015, dicono che nel Sud si fanno sempre meno figli e si assiste a un forte esodo di migranti verso le altre regioni del Paese e verso l'estero. Il Nord ha assorbito (al netto delle ripartenze) 2,4 migranti ogni mille residenti tra esteri e italiani da altre regioni; il Mezzogiorno, a causa della minore attrattività per l'immigrazione e dei flussi verso le regioni settentrionali e l'estero, ha perso 2,1 abitanti ogni mille. Dal 2001 al 2013 se ne sono andati, al netto dei rientri, 708 mila emigranti, di cui 494 mila giovani tra i 15 e i 34 anni e 188 mila laureati: una perdita enorme per lo sviluppo futuro del Mezzogiorno, a totale beneficio di altri territori. Di questo passo, conferma il rapporto Svimez, nei prossimi cinquant'anni il Sud scenderà dal 34,3 per cento della popolazione italiana al 27,3 per cento, perdendo quattro milioni di abitanti;
    è significativo, altresì, quello che accade in sanità, dove il rapporto annuale Istat 2014 evidenzia – se mai ce ne fosse bisogno – che per quanto il Servizio sanitario nazionale abbia migliorato il suo livello di accountability, attraverso la riduzione del debito accumulato, e i suoi standard di appropriatezza, si registrano aspetti ancora problematici sul fronte dell'equità, per la quale gli indicatori segnalano persistenti divari di genere, sociali e territoriali sia in termini di esiti di salute sia di accessibilità alle cure;
    nel Mezzogiorno, infatti, la speranza di vita è più bassa(79 anni per gli uomini e 83,7 per le donne, contro rispettivamente il 79,9 e l'84,8 del Nord), la prevalenza di patologie croniche gravi si attesta al 16,1 per cento contro il 14,2 per cento registrato al Nord, e aumenta, infine, la disabilità: non si può parlare, in generale, di un peggioramento delle condizioni di salute bensì di un incremento della popolazione esposta al rischio di ammalarsi con il conseguente aumento per il futuro della pressione sul Servizio sanitario nazionale a causa dell'incremento delle persone bisognose di cure e assistenza;
    il Servizio sanitario nazionale è nel Mezzogiorno anche meno equo che nel resto del Paese come testimonia la percentuale di persone che, pur in presenza di un bisogno di salute, rinunciano alla prestazione sanitaria: a questo riguardo, nel 2012, se a livello nazionale la quota di cittadini che ha rinunciato alle cure si attesta all'11,1 per cento (in prevalenza le donne sono il 13,2 per cento, mentre gli uomini sono il 9,0 per cento), nel Mezzogiorno la percentuale è del 14,4 per cento (anche in questo caso le donne sono il 16,5 per cento, mentre gli uomini il 12,2 per cento). La motivazione addotta è prevalentemente quella economica(50,4 per cento, in media);
    la sanità nel Mezzogiorno risulta penalizzata sotto più aspetti. Alla minore speranza di vita alla nascita si accompagna una maggiore mortalità, rispetto al resto del Paese, per malattie cardiovascolari, che costituiscono la prima causa di morte. Per quanto riguarda la mortalità per tumori, alcune regioni del Sud, anche in presenza di un'incidenza della malattia inferiore rispetto alle regioni del Nord, registrano tassi di mortalità analoghi; questo a testimoniare che coloro che si ammalano di tumore nel Mezzogiorno hanno una probabilità di sopravvivere sensibilmente inferiore rispetto ad un cittadino del Nord. Sul versante delle dotazioni finanziarie, negli ultimi anni, il settore sanitario si è caratterizzato per una diminuzione della spesa per investimenti, un dato che rischia di diventare allarmante nel Sud dove le strutture e la strumentistica medico-ospedaliera risultano in molti casi vecchie ed obsolete. Di conseguenza, risultano insufficienti i servizi per la prevenzione, come pure molti servizi specialistici. Carenze importanti riguardano i servizi territoriali per la medicina di base, per la salute della donna, per la salute mentale, per l'assistenza domiciliare agli anziani e alle persone non autosufficienti. Un settore caratterizzato da una situazione di particolare emergenza è quello oncologico, nel quale manca circa la metà degli strumenti di radioterapia necessari a servire la popolazione locale;
    le insufficienze strutturali e, soprattutto, la carenza di tecnologie avanzate e di divisioni specialistiche di eccellenza costringono i cittadini residenti nel Mezzogiorno a spostarsi per ricevere cure adeguate: le statistiche la definiscono mobilità sanitaria (ovvero il diritto del cittadino di ottenere cure, a carico del proprio sistema sanitario, anche in un luogo diverso da quello di residenza), ma in questo specifico caso – in cui la decisione di curarsi fuori dalla propria regione non è la conseguenza di una scelta ma di una necessità – è più corretto parlare di migrazione sanitaria: non è un caso, infatti, che – come certifica la settima edizione di «Noi Italia 2015. 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo» a cura dell'Istat, la maggior parte delle regioni del Mezzogiorno abbiano un alto indice di emigrazione ospedaliera. Le regioni del Sud mostrano, altresì, un basso indice di attrazione (inferiore ad uno), ovvero un deficit tra i flussi di entrata e di uscita rispetto ai ricoveri dei propri residenti. L'indice di attrazione conferma il dualismo tra alcune regioni del Centro-Nord, che registrano un valore significativamente più elevato di uno e quasi tutte le regioni del Mezzogiorno, con un indice pari o inferiore a 0,7;
    un quadro problematico, quello appena descritto, dal quale si discosta l'approccio alla tematica ambientale. Secondo i dati Istat – relativi al triennio 2010-2012 e pubblicati il 21 gennaio 2015 – la spesa per interventi di protezione dell'ambiente e di uso e gestione delle risorse naturali erogata complessivamente dalle amministrazioni regionali italiane nel 2012 ammonta a 3.825 milioni di euro, pari a 64,2 euro per abitante, con un'incidenza sul prodotto interno lordo dello 0,23 per cento;
    dallo scorporo dei dati, emerge che le amministrazioni regionali del Nord-ovest, del Nord-est e del Centro presentano una spesa ambientale per abitante inferiore alla media nazionale (rispettivamente 26,54, e 40 euro per abitante), mentre quelle del Mezzogiorno dedicano risorse pari a 113 euro per abitante: un dato incoraggiante, anche se l'Istat precisa che esso riflette la maggior presenza nel meridione di spese realizzate a valere sui fondi strutturali, nonché quelle connesse ad accordi di programma quadro in materia di servizi e infrastrutture ambientali. In ogni caso, rispetto al 2011, solo nel Mezzogiorno la spesa ambientale è aumentata (+0,6 per cento), mentre, rispetto al 2010, la spesa ambientale segna una diminuzione molto marcata nel Nord-ovest, Centro e Nord-est (-33 per cento, -24,9 per cento, -18,6 per cento rispettivamente) e un calo contenuto nel complesso delle amministrazioni regionali del Mezzogiorno (-2,9 per cento);
    in relazione alla tipologia, nel 2012 la quota prevalente della spesa ambientale (circa 3.825 milioni di euro) erogata nel triennio di riferimento è assorbita da attività e interventi finalizzati alla salvaguardia dell'ambiente (65 per cento del totale della spesa ambientale, circa 2.491 milioni di euro) e da interventi di uso e gestione delle risorse naturali (1.334 milioni di euro, 35 per cento del totale). Le amministrazioni regionali del Nord-ovest e del Nord-est riservano la quota maggiore della spesa ambientale a interventi per la protezione della biodiversità e del paesaggio (rispettivamente il 23,5 per cento e 24,7 per cento del totale nel 2012). Nel Centro una parte significativa della spesa ambientale è destinata a interventi di protezione e risanamento del suolo, delle acque del sottosuolo e delle acque di superficie (21,3 per cento del totale). Nel Mezzogiorno il 41,4 per cento del totale della spesa ambientale si ripartisce quasi in uguale misura tra interventi di protezione e risanamento del suolo, delle acque del sottosuolo e delle acque di superficie (21,5 per cento) e interventi di gestione delle risorse idriche (19,9 per cento);
    altro segnale in controtendenza: secondo la Coldiretti, che ha rielaborato i dati Istat relativi all'andamento economico ed occupazionale nel Mezzogiorno d'Italia nel 2013, l'agricoltura è l'unica attività economica che nel Mezzogiorno resiste alla crisi con una sostanziale stabilità sia del valore aggiunto (-0,3 per cento) che nel numero di occupati (-0,9 per cento) rispetto al crollo generalizzato: Coldiretti, infatti, sottolinea che nello stesso periodo la performance dell'agricoltura nel Centro-nord è peggiore(-2,4 per cento del numero di occupati) che al Sud, dove – è bene ricordarlo – il settore primario, pur in presenza di grandi potenzialità (due terzi delle coltivazioni biologiche nazionali con quasi la metà delle imprese agricole nazionali, il 10 per cento del territorio coperto da parchi e aree protette) sconta difficoltà infrastrutturali e di mercato;
    i segnali positivi sull'economia italiana si rafforzano e per il primo trimestre 2015 è previsto il ritorno alla crescita del prodotto interno lordo: questo è quanto certificato dall'Istat nella nota mensile pubblicata il 27 febbraio 2015;
    in questo quadro – reiterando quanto già detto all'inizio – è indiscutibile che la prossima ripresa economica sociale e culturale dell'Italia sarà tanto più immediata e strutturale quanto più efficaci saranno le politiche messe in campo affinché anche il Mezzogiorno agganci – questa volta davvero – la ripresa;
    un obiettivo fondamentale per il raggiungimento del quale – è bene sottolinearlo – non si parte da zero. Al di là della freddezza oggettiva dei numeri, infatti, si sa che nel Mezzogiorno d'Italia, pur con le difficoltà sopradescritte, sono presenti realtà produttive solide e – purtroppo – semisconosciute, o peggio ignorate, dalle istituzioni nazionali;
    si parla di realtà economiche che si fanno strada come fiori attraverso il manto di cemento dell'indifferenza politica: non si devono definirle «isole felici», perché non costituiscono «monadi» in un deserto. Sono il volano, o i driver se si preferisce, del riscatto del Mezzogiorno e della ripresa del Paese intero;
    la regione Puglia può essere considerata il paradigma di questa vivacità produttiva ed economica, a dispetto delle condizioni generali: già il rapporto Svimez 2012 sull'economia del Mezzogiorno (dati 2011), in un focus dedicato alla regione aveva certificato – in uno scenario di declino da brivido per la macro area - una sua modesta ma significativa ripresa pur in presenza di importanti punti di debolezza (calo dei consumi, basso reddito pro capite, alto livello di disoccupazione, in particolare femminile e giovanile, arretramento del prodotto interno lordo previsto per il 2012);
    il rapporto finale 2014 dell'Osservatorio Mezzogiorno di «The European House – Ambrosetti», dopo aver rilevato come la Puglia abbia perso nell'ultimo quinquennio ben il 10 per cento del prodotto interno lordo, colloca la regione in un quadro economico e produttivo caratterizzato dalla contestuale presenza di una perdurante situazione di crisi e di deboli segnali di ripresa da verificare, in particolare, nel biennio 2013-2014;
    la valutazione è confermata anche nel rapporto «Economie regionali – L'economia della Puglia» della Banca d'Italia, secondo il quale nei primi mesi del 2014 in Puglia si è attenuata la fase recessiva, anche se l'attività industriale rimane debole, con un fatturato ulteriormente ridotto per il calo della domanda interna. Il mercato del lavoro risente ancora della debole congiuntura e il numero degli occupati continua a diminuire. Dalla fine del 2012 il tasso di disoccupazione in regione è progressivamente cresciuto, raggiungendo il 21 per cento, oltre otto punti percentuali in più rispetto alla media nazionale;
    secondo il citato rapporto dell'Osservatorio Mezzogiorno di «The European House - Ambrosetti» – l'Osservatorio nasce nel 2006 proprio come «Osservatorio Puglia» – la regione Puglia deve anche essere pronta ad afferrare l'occasione che le si presenta in relazione al nuovo ciclo di programmazione dei fondi comunitari 2014-2020;
    nel nuovo ciclo della politica di coesione l'Europa investirà 351,8 miliardi di euro e l'Italia riceverà complessivamente 32,2 miliardi di euro, ovvero il 9,3 per cento del totale delle risorse europee;
    il 70 per cento delle risorse assegnate all'Italia è allocato a favore delle regioni dell'Obiettivo convergenza (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia): circa 22,2 miliardi di euro;
    sono 5,12 i miliardi di euro provenienti dall'Europa, in aggiunta alla quota di cofinanziamento nazionale, che la Puglia sarà chiamata ad impegnare in progetti per tradurre l'obiettivo europeo per il 2020 di uno sviluppo sostenibile, inclusivo e intelligente;
    tali risorse aggiunte, come si diceva, a quelle nazionali, possono realmente imprimere una svolta positiva all'economia della Puglia;
    nonostante le criticità che hanno continuato ad interessare il sistema economico pugliese, il citato rapporto 2014 dell'Osservatorio Mezzogiorno di «The European House - Ambrosetti» rileva come il sistema produttivo regionale sia caratterizzato da una particolare dinamicità con aziende dotate di importanti capacità di resilienza alla crisi in termini di fatturato e di redditività;
    emblematico a questo proposito è il caso della provincia di Taranto e del comune capoluogo, in particolare, in cui – pur in presenza di un quadro economico caratterizzato da indicatori economici e produttivi negativi – si possono iniziare a percepire i segnali di una ripresa certamente non immediata ma possibile;
    nella relazione previsionale e programmatica 2015 redatta dalla camera di commercio di Taranto, infatti, si rileva come, tenuto conto della gravità dello scenario economico generale e locale e le difficoltà quotidianamente vissute dalle aziende, risulta interessante la capacità di sopravvivenza del sistema produttivo locale nel suo complesso. Tuttavia, precisa il documento, tutto ciò sembrerebbe il risultato di pesanti e spesso dolorosi aggiustamenti nell'utilizzo delle risorse (economico – finanziarie, umane ed altro), con la conseguenza di un decremento della redditività e dell'occupazione e, in ultima analisi, un effettivo depauperamento del tessuto imprenditoriale, non tanto e non solo in termini numerici quanto sostanziali;
    una conferma con riguardo all'occupazione arriva dal sistema informativo Excelsior Unioncamere relativo ai programmi occupazionali delle imprese per il primo trimestre 2015. A differenza di quanto accade in Italia, nei primi mesi del 2015 in Puglia è prevista una variazione negativa dell'occupazione: il «saldo» occupazionale atteso in regione è pari, infatti, a -1.140 unità, in miglioramento, comunque, rispetto alle -1.700 di un anno prima. Dal punto di vista territoriale, considerando sempre sia il lavoro dipendente che quello atipico, saldi occupazionali positivi si prevedono soltanto nella province di Foggia (+290) e Lecce (+50), mentre a Taranto (-330), Brindisi (-490)e Bari (-660) si registrano decrementi significativi;
    in una situazione occupazionale già difficile, dunque, il territorio tarantino è interessato attualmente da numerose vertenze lavorative tra le quali spicca quella relativa al call center di Teleperformance, la seconda realtà produttiva della provincia di Taranto dopo l'Ilva. A fronte degli undicimila posti dello stabilimento siderurgico, infatti, Teleperformance garantisce occupazione a circa duemila dipendenti ai quali si aggiungono circa mille contratti a progetto. I lavoratori coinvolti sono per lo più donne sole, con figli. A giugno 2015 scadranno gli ammortizzatori sociali garantiti dall'accordo firmato nel gennaio 2013, che ha permesso di scongiurare temporaneamente i licenziamenti e a quel punto, senza una strategia che permetta di evitare contraccolpi lavorativi, il futuro occupazionale dei lavori del call center si presenta piuttosto cupo;
    mentre nel 2013 la citata relazione previsionale e programmatica della camera di commercio di Taranto sottolinea che il saldo tra imprese nuove iscritte e cessazioni, pur restando in area negativa, registra nella provincia performance migliori rispetto alla media regionale e delle singole province pugliesi; nel 2014 lo stesso dato risulta negativo: -0,09 per cento. Dal confronto dei dati a disposizione di Movimprese sulla natimortalità delle aziende, emergono le forti criticità territoriali. La camera di commercio sottolinea, altresì, come Taranto sconti la vicenda Ilva nel suo complesso e il previsto e temuto effetto domino; tuttavia, tutti i comparti produttivi sono in sofferenza: in agricoltura, il saldo tra nuove imprese e chiusure è di -259 unità, nelle attività manifatturiere -103 unità, nelle costruzioni -131 unità e nel commercio -324 unità;
    proprio la presenza dell'Ilva fa sì che il territorio tarantino presenti un quadro abbastanza complesso anche dal punto di vista sanitario ed ambientale strettamente connesso. Il comune di Taranto a partire dal 1987, insieme ai comuni di Statte, Crispiano, Massafra e Montemesola, è inserito in un'area definita dall'Organizzazione mondiale della sanità «ad elevato rischio ambientale» ed è ormai da tempo oggetto di studio per la stima del rischio di salute conseguente all'esposizione dell'area abitata del comune alle emissioni provenienti dall'adiacente area insidiata dal più grande stabilimento siderurgico a ciclo integrato d'Europa. Nell'area di Taranto indagini ambientali ed epidemiologiche hanno documentato una compromissione dell'ambiente e dello stato di salute dei residenti. Sono stati osservati eccessi di mortalità, a livello comunale, per malattie dell'apparato respiratorio, cardiovascolare e per diverse sedi tumorali. Nella coorte dei residenti, nei quartieri più vicini alla zona industriale, anche al netto dei differenziali sociali, sono stati misurati eccessi della mortalità e delle ospedalizzazioni per malattie dell'apparato respiratorio, cardiovascolare e per tumori. Questi dati – elaborati all'interno del progetto «Indagine epidemiologica nel sito inquinato di Taranto» (IESIT), finanziato dalla provincia – sono stati successivamente confermati nella loro gravità dallo studio Sentieri curato dall'Istituto superiore di sanità, il quale ha, altresì, evidenziato come la problematica riguardi anche la fascia pediatrica (0-14 anni): a questo proposito è stato osservato un eccesso di mortalità per tutte le cause e di ospedalizzazione per le malattie respiratorie acute, ed un eccesso di incidenza per tutti i tumori (54 per cento). Nel corso del primo anno di vita è stato rilevato un eccesso di mortalità per tutte le cause (20 per cento) ascrivibile all'eccesso di mortalità per alcune condizioni morbose di origine perinatale (45 per cento), mentre per questa stessa causa si osserva un eccesso di ospedalizzazione;
    dal punto di vista ambientale, lo stato di emergenza ormai acclarata nell'area di Taranto ha portato il Governo ad emanare nel breve arco di due anni (a partire dal 2012) ben sette provvedimenti urgenti al fine di fronteggiare e risolvere la situazione, in un'ottica di salvaguardia della salute dei cittadini e della rinascita della città;
    sono provvedimenti in cui – in massima parte – è mancata una visione di insieme sia delle problematiche che gravano sulla città di Taranto e sull'area ad essa circostante, sia delle soluzioni da adottare e nei quali, soprattutto, si è voluto pervicacemente continuare a legare il destino della città a quello dell'Ilva;
    solo di recente, con il decreto-legge 5 gennaio 2015, convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 4 marzo 2015, n. 20, sembra si sia avviata una nuova fase per lo sviluppo della città e dell'area di Taranto;
    lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri, in occasione dell'approvazione definitiva presso la Camera dei deputati del citato decreto-legge n. 1 del 2015, ha, infatti, parlato di un «progetto Taranto», con particolare riferimento alla cultura, al porto, alle bonifiche e alla salute e non più solo all'Ilva;
    il porto di Taranto situato nel cuore del Mediterraneo è la struttura ideale per il traffico commerciale tra l'Europa ed il resto del mondo e per il traffico a corto raggio nazionale ed europeo. Non si deve tuttavia considerare il porto solo per la sua tradizionale vocazione commerciale, bensì anche in un'ottica di integrazione con la città e di maggiore apertura ai traffici turistici;
    il nuovo piano regolatore del porto, adottato di recente, prevede, infatti, da un lato, di incrementare le aree destinate alle attività commerciali per consentire l'acquisizione di nuovi traffici e, dall'altro, di migliorare il rapporto con la città, aprendo ad essa nuove aree dell'ambito portuale. A questo proposito sono stati avviati i seguenti progetti: la piastra logistica, il consolidamento/adeguamento banchina terminal contenitori, dragaggi, nuova diga foranea, collegamenti ferroviari adattamento/riqualificazione del molo S. Cataldo e Calata 1; realizzazione di un nuovo terminal contenitori al 5o sporgente, il Distripark;
    nel 2012, l'autorità portuale di Taranto ha – altresì – avviato una programmazione mirata allo sviluppo della piena operatività del porto dal punto di vista turistico, in particolare per quanto riguarda il traffico crocieristico, alimentato dal bacino territoriale lucano (destinato ad assumere una dimensione internazionale e mondiale in seguito alla designazione di Matera capitale della cultura 2019) diretto in Nord Africa, in Medio ed Estremo Oriente e in tutti i porti del Mediterraneo. Sempre al fine di promuovere la competitività dello scalo tarantino nel settore turistico e del traffico passeggeri si segnalano le seguenti iniziative: la partecipazione ad eventi fieristici di settore, quale la fiera Seatrade Cruise and Shipping di Miami, memorandum of understanding con la regione Basilicata e il successivo memorandum of understanding con la provincia di Matera, la formulazione nel 2012 della domanda di acquisizione da parte dell'autorità portuale della banchina «ex Torpediniere», per l'utilizzazione della stessa ai fini della nautica da diporto e trasporto passeggeri, la realizzazione di un port exhibition center, da realizzare in ambito portuale con l'intento di valorizzare la vocazione tipicamente portuale di Taranto attraverso l'utilizzo di container marittimi per allestire un centro espositivo multimediale, la realizzazione, infine, del centro servizi polivalente, un edificio polifunzionale finalizzato alla riqualificazione del waterfront portuale;
    al fine di adeguare lo standard competitivo del porto di Taranto rispetto a quello dell'area mediterranea, l'autorità portuale sta puntando sulla diversificazione delle attività del porto. A questo proposito sono stati avviati cantieri per 377 milioni di euro destinati ad aumentare per progetti non legati alla monocultura industriale. Fra questi il progetto «Fresh Port», che mira ad individuare un percorso teso a valorizzare, in forma consorziata, l'intera catena produttiva e logistica del settore agroalimentare di alcune regioni del Sud Italia (Puglia, Basilicata, Calabria) e del Nord Africa, attraverso l'utilizzazione delle aree e dei servizi portuali e retroportuali di Taranto, e il riconoscimento nel maggio 2014 dell'area portuale di Taranto quale zona franca doganale non interclusa, gestita dalla stessa autorità portuale;
    Taranto ha anche l'arsenale militare marittimo, una struttura di grande potenzialità per la quantità e la qualità del personale impiegato (circa duemila e quattrocento dipendenti), per la consistenza e la funzionalità delle infrastrutture, degli impianti e dei mezzi ed attrezzature di lavoro in dotazione. I suoi compiti consistono principalmente nell'assicurare il supporto e l'efficienza delle unità navali, costituendo una struttura tecnico-logistica di grande rilievo. In aggiunta ai compiti istituzionali, l'arsenale è chiamato a svolgere, nei limiti e con le modalità previste dai regolamenti e dalle leggi in vigore, attività che, seppure di carattere secondario, sono altrettanto importanti e significative: assistenza alla protezione civile, interventi nelle calamità naturali, supporto alle unità navali appartenenti ad altre Forze armate ed alla Marina mercantile, assistenza ai barotraumatizzati;
    la struttura dell'arsenale deve essere messa al servizio della riqualificazione della città, non solo in un'ottica di sviluppo turistico e culturale – come previsto nel citato decreto-legge n.1 del 2015 – ma anche sociale,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità, compatibilmente con i vincoli di bilancio, di predisporre interventi di rilancio del sistema economico e produttivo del Mezzogiorno, incentivando lo sviluppo più completo delle potenzialità presenti nei relativi territori, attraverso interventi finalizzati:
    a) all'avvio di tempestive iniziative volte a salvaguardare gli attuali livelli occupazionali, con particolare attenzione all'occupazione giovanile e femminile;
    b) alla soluzione di tutte le vertenze lavorative aperte e con specifico riguardo alla vertenza Teleperformance e, più in generale, al personale impiegato nei call center, e a pervenire alla definizione, anche attraverso disposizioni di legge che rimandino a quanto previsto dalla contrattazione collettiva, di precise regole procedurali di confronto sindacale per la gestione delle crisi conseguenti a cambi di appalto, che possa condurre a configurare clausole sociali volte a salvaguardare la posizione dei lavoratori della società appaltatrice uscente, attraverso la configurazione di obblighi in capo all'appaltatore subentrante;
    c) a potenziare le strutture ospedaliere territoriali colmando le insufficienze strutturali e, soprattutto, la carenza di tecnologie avanzate, nell'ottica di un ammodernamento della strumentistica medica e dello sblocco del turnover del personale, con particolare attenzione per quelle zone in cui le evidenze epidemiologiche e scientifiche testimoniano un'elevata presenza di patologie oncologiche;
    d) a fronteggiare in maniera realistica ed incisiva l'emergenza ambientale, con particolare riguardo per quelle zone in cui tale allarme sia diretta conseguenza della presenza di realtà produttive di grandi dimensioni, valutando, in riferimento all'area di Taranto e alla presenza dell'Ilva, l'opportunità di assumere iniziative di carattere legislativo volte ad assicurare un aggiornamento quantomeno trimestrale della valutazione del danno sanitario prevista dall'articolo 1-bis, del decreto-legge n. 207 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231, in modo da avere stime puntuali e dati precisi a fronte di medie annuali;
    e) a valorizzare e a potenziare i sistemi logistico-intermodali del Mezzogiorno, in particolare quelli portuali, che, in virtù della centralità dell'Italia nei traffici marittimi intra-mediterranei e non solo, sono destinati ad avere un ruolo strategico nel rilancio dell'economia nazionale e del Mezzogiorno, valutando altresì l'opportunità di supportare con particolare attenzione i progetti finalizzati a diversificare le funzionalità delle strutture portuali, quali, ad esempio, quelli già avviati dall'autorità portuale di Taranto, dei quali si è dato conto nelle premesse del presente atto di indirizzo;
    f) a valutare l'opportunità di favorire intese, anche fra le diverse amministrazioni pubbliche, per mettere al servizio del territorio le strutture presenti e attualmente adibite a compiti istituzionali, sviluppandone le potenzialità al fine di promuovere il recupero e la riqualificazione sociale dei centri urbani, in particolare quelli soggetti ad un pesante degrado, con particolare riferimento all'uso per tale scopo dell'arsenale marittimo di Taranto.
(1-00766)
«Labriola, Pisicchio, Catalano, Pinna, Furnari, Capelli, Caruso, Lo Monte».
(25 marzo 2015)

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