TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 433 di Venerdì 22 maggio 2015

 
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INTERPELLANZE URGENTI

A)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   la catena francese di supermercati Auchan spa è una delle principali aziende attive nel settore italiano della grande distribuzione organizzata di beni alimentari e non alimentari, presente sul territorio italiano dal 1989;
   ad oggi il gruppo Auchan si è sviluppato a livello mondiale con punti vendita presenti in 16 Paesi che possono contare 330.700 dipendenti. In Italia dispone di 57 ipermercati in undici regioni, impiegando oltre 18.000 lavoratori;
   i marchi del gruppo, che in Italia sono Simply market, galleria Auchan, La bottega Sma, Auchan mobile e Iper simply, nel 2014 hanno fruttato a livello mondiale 63 miliardi di euro di fatturato;
   nel 2013 Immochan sa, la società immobiliare internazionale del gruppo Auchan, ha ceduto 13 centri commerciali e due retail park di proprietà di Gallerie commerciali Italia del gruppo francese Auchan, costituendo un fondo di investimento immobiliare dal valore di circa 635 milioni di euro gestito dalla Morgan Stanley sgr, società di gestione immobiliare del gruppo Morgan Stanley in Italia;
   la scelta di dismettere i 15 suddetti centri, continuando comunque a mantenere la proprietà dell'ipermercato di riferimento e permettere alla controllata Gallerie commerciali Italia di continuare a gestire le gallerie cedute, in quanto i centri permettono di ottenere un rendimento del 7,5 per cento, è stata finalizzata a finanziare l'ampliamento di altri immobili in Italia ritenuti strategici;
   a settembre 2014 un'operazione simile è stata conclusa tra Auchan spa ed Enpam, l'Ente nazionale di previdenza ed assistenza medici e odontoiatri, il quale ha sottoscritto l'80 per cento di un fondo immobiliare, gestito da Antirion sgr, dove la suddetta Immochan sa ha fatto confluire tre gallerie commerciali. Il fondo ha un patrimonio iniziale del valore di 266 milioni di euro, ma è estendibile fino a 700 milioni di euro, in quanto è stato costituito in modo da poter essere ampliato con successivi apporti;
   anche per quanto riguarda questa operazione il gruppo Auchan ha dichiarato, per voce del dottor Edoardo Favro, amministratore delegato di Gallerie commerciali Italia, di voler impiegare una parte degli introiti dell'operazione, quantificata in 150 milioni di euro, in operazioni finanziarie volte al reinvestimento in Italia. Nel mese di ottobre del 2014 Auchan spa ha siglato un accordo internazionale di collaborazione con Metro Ag, la grande multinazionale tedesca leader nella distribuzione e nel cash and carry, con l'obiettivo di realizzare sinergie e risparmi nel medio e lungo termine per aumentare la massa critica in fase di contrattazione con l'industria. L'accordo prevede anche l'acquisto congiunto di prodotti senza marca, che Metro Ag e Auchan spa potranno rivendere senza nome o sotto i propri marchi, aumentando in modo esponenziale i propri guadagni;
   il 24 novembre 2014 Auchan spa emette un comunicato stampa, per annunciare il proprio rafforzamento mediante un accordo con Sisa spa, un'azienda italiana della distribuzione organizzata con una rete di 1.558 punti di vendita, che recita «Auchan e Sma hanno siglato oggi un accordo di lungo periodo con Sisa. Il mandato all'acquisto conferito da Sisa alla centrale di acquisto Auchan-Sma entrerà in vigore da gennaio 2015 e porterà ad acquisti congiunti superiori a 8 miliardi di euro. La centrale d'acquisto Auchan, grazie a questa alleanza con Sisa e i propri partner, si afferma come terza centrale d'acquisto italiana»;
   durante lo svolgimento di queste fruttifere operazioni finanziarie, la multinazionale francese ha reso noto a molti suoi dipendenti sparsi in tutta Italia, la stragrande maggioranza dei quali appartengono al IV livello del contratto collettivo nazionale del commercio, di voler procedere ad una riduzione del personale;
   la causa di questi 1.100 licenziamenti, molti dei quali interesseranno la regione Campania, sarebbe da ricercare, secondo Auchan, nel calo dei consumi che colpisce tutta la grande distribuzione;
   nel 2014 il gruppo Auchan ha, di fatto, registrato una flessione del 12,5 per cento rispetto al 2013, ma ha visto in crescita il fatturato a cambi costanti al +1,5 per cento;
   non si può, però, parlare di una generica crisi della grande distribuzione organizzata, visto che altre grandi aziende operanti in questo settore hanno registrato un fatturato in crescita. Ad esempio, l’Esselunga ha registrato un +3,2 per cento sul margine operativo lordo, Conad ha ottenuto un fatturato in crescita del 4,9 percento rispetto al 2013, Crai registra nel 2014 un incremento del 24 per cento del fatturato dell'intera organizzazione, il gruppo Unicomm ha realizzato ricavi per 2 miliardi di euro e MaxDì ha realizzato un utile netto di oltre 12 milioni. In alcuni punti vendita del gruppo Auchan sono stati attivati già dal 2010 i contratti di solidarietà, con una riduzione di orario del 25 per cento e la conseguente riduzione stipendiale, andando a colpire sempre i livelli contrattuali più bassi. Un ricorso all'ammortizzatore sociale che ha consentito all'azienda di risparmiare una media di circa 800 mila euro per punto vendita per ogni anno in cui è stato attivato;
   successivamente, la situazione è andata peggiorando: recentemente la società francese ha rotto la trattativa aperta con i sindacati sulla vertenza degli esuberi di personale, annunciando che l'unica alternativa offerta in cambio dei preannunciati licenziamenti sia esclusivamente la sospensione del contratto integrativo aziendale in ogni sua parte, la definizione di una procedura di mobilità incentivata sull'intero perimetro aziendale avente i presupposti della volontaria adesione, un accordo a sostegno della mobilità volontaria che preveda l'abbassamento di un livello dell'inquadramento di tutto il personale come misura transitoria al Centro-Nord e definitiva al Sud e un anno di sospensione del pagamento della quattordicesima mensilità;
   dopo pesanti sacrifici da parte dei lavoratori per il ricorso agli ammortizzatori sociali e le riduzioni degli orari di lavoro contrattuali settimanali laddove il ricorso agli ammortizzatori sociali non era più consentito, viene ora chiesto ai lavoratori di accettare che la malattia venga pagata al 75 per cento e non più al 100 per cento, di rinunciare ai premi produzione, a quelli legati alla presenza e alla retribuzione delle pause, di rinunciare alla quattordicesima e, soprattutto, di acconsentire ad una riduzione dei salari per i livelli inferiori che potrà arrivare anche al 40 per cento, come nel caso dei punti vendita presenti in Campania;
   alcune sigle sindacali hanno presentato un esposto agli uffici giudiziari della procura della Repubblica di Taranto per contestare l'atteggiamento antisindacale adottato dalla multinazionale francese nei confronti dei dipendenti della struttura e dei loro rappresentanti sindacali, ma, soprattutto, per denunciare il fatto che, dopo aver disdetto gli accordi integrativi stabiliti nei contratti e in assenza di un accordo sindacale, l'azienda abbia fatto recapitare le lettere di trasferimento a quei lavoratori non intenzionati a firmare le condizioni imposte dalla direzione;
   oltre all'illegittima coercizione della firma dei dipendenti da parte di Auchan, riscontrabile non solo nel centro commerciale tarantino, le organizzazioni sindacali in questione hanno anche fatto presente al procuratore della Repubblica che la società d'oltralpe continuerebbe ad avvalersi di tirocini formativi e stage retribuiti dallo Stato, nonostante abbia dichiarato di aver dipendenti in esubero;
   durante la trattativa i sindacati hanno proposto al gruppo Auchan, ma senza esito positivo, una soluzione ai tagli draconiani dei salari e, soprattutto, dei diritti dei lavoratori, re-internalizzando alcuni servizi, ora affidati a ditte esterne, in modo da eliminare il numero degli esuberi. Come unico esempio si riporta il caso in cui a fine 2013 Auchan spa ha concluso con Manutencoop spa un contratto che sancisce la cessione del reparto manutenzione dei suoi punti vendita, che fino a quel momento era totalmente gestito internamente da Auchan –:
   quali urgenti iniziative i Ministri interpellati intendano adottare onde evitare che vengano messi in atto i tagli di personale e la diminuzione dei diritti dei lavoratori di cui in premessa da parte del gruppo Auchan;
   se i Ministri interpellati intendano, in concerto con la società e le organizzazioni sindacali, aprire un tavolo di trattativa per studiare un piano industriale che coinvolga tutti i centri commerciali italiani di proprietà di Auchan spa;
   se sia stata presa in considerazione la possibilità di concedere ai suddetti lavoratori una deroga agli ammortizzatori sociali fino a che non si addivenga ad un accordo in cui la società conceda condizioni nettamente più favorevoli ai propri dipendenti.
(2-00963) «Chimienti, Ciprini, Cominardi, Tripiedi, Dall'Osso, Lombardi, Agostinelli, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Businarolo, Busto, Cancelleri, Carinelli, Cecconi, Colletti, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo».
(12 maggio 2015)

B)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   gli eventi meteorici di straordinaria portata e costante intensità, che hanno colpito la regione Sicilia negli scorsi mesi, hanno causato danni ingenti sia alla popolazione che ai territori, per l'emergenza frane e il dissesto idrogeologico;
   in particolare, la pioggia intensa ha provocato danni alle abitazioni, si sono verificate frane e smottamenti, strade di primaria importanza risultano intransitabili rendendo isolati molti comuni, l'agricoltura è stata messa in ginocchio poiché le colture risultano danneggiate e i terreni allagati, molti fiumi sono straripati interrompendo i collegamenti viari e ferroviari;
   molti comuni dell'isola risultano isolati e molte famiglie sono state evacuate dalle loro abitazioni, risultando ancora oggi senza una casa;
   sono necessari interventi urgenti e immediati per ripristinare la viabilità soprattutto delle strade provinciali e comunali, oggetto di frane e smottamenti nonché per sostenere gli agricoltori e gli allevatori la cui annata agraria è pesantemente compromessa e per ripristinare le condizioni affinché le famiglie evacuate ritornino ad avere una dignitosa dimora;
   il blocco del traffico autostradale fra Palermo e Catania, a causa del collasso del viadotto Himera della A19, ha determinato un aumento del traffico nelle strade alternative provinciali e comunali, già peraltro in condizioni di totale abbandono e degrado, oggetto di mancata manutenzione negli ultimi anni;
   il servizio di protezione civile regionale ha stimato i sopradetti danni in svariati milioni di euro;
   lo stato di emergenza era già stato chiesto con l'interpellanza urgente del 18 marzo 2015 a prima firma del primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo;
   la regione siciliana, con successiva deliberazione 15 aprile 2015, n. 95, ha effettuato un'ulteriore e definitiva ricognizione dei danni provocati dai nubifragi per aggravamento criticità regionali a seguito degli eventi meteo avversi di cui alla deliberazione 12 marzo 2015, n. 76, per complessivi 345.643.990,130 euro;
   la settimana scorsa sono stati già effettuati i sopralluoghi da parte della Protezione civile nazionale, che ha potuto constatare la gravità dei danni;
   lo stato in cui versano le popolazioni siciliane è di totale abbandono e impotenza di fronte ai danni causati dall'emergenza maltempo che ha isolato molte comunità e reso impossibile i collegamenti viari –:
   se non ritenga urgente dichiarare lo stato di emergenza e intervenire con propria ordinanza di protezione civile a favore della popolazione siciliana (giusta richiesta del presidente della regione siciliana), affinché si rispristinino le normali condizioni di percorribilità delle strade di collegamento con i vari assi viari, intervenendo soprattutto nella viabilità secondaria, oggi l'unica in grado di assicurare i collegamenti tra le comunità e valutando nel contempo di assumere iniziative per concedere la deroga al patto di stabilità ai comuni che hanno la disponibilità di risorse proprie e limitatamente ai soli interventi per fronteggiare l'emergenza.
(2-00975) «Ribaudo, Culotta, Amoddio, Burtone, Lauricella, Giuliani, Marrocu, Porta, Chaouki, D'Ottavio, Rossomando, Gribaudo, Schirò, Boccuzzi, Coccia, D'Arienzo, Minnucci, Massa, Ventricelli, Capodicasa, Taranto, Causi, Cardinale, Piccione, Piccoli Nardelli, Moscatt, Berretta, Raciti, Zappulla, Greco, Albanella, Gullo, Vecchio, Iacono, Currò, Catalano, Rigoni, Parisi, Marantelli».
(13 maggio 2015)

C)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   il 16 aprile 2015, si è tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico l'incontro tra l'azienda Whirlpool e le rappresentanze sindacali, dove è stato presentato il piano industriale dell'azienda a seguito dell'acquisizione di Indesit company;
   come riportato da diversi organi di stampa e da fonti sindacali, Whirlpool ha proposto, a fronte di un piano di investimenti di cinquecento milioni di euro in quattro anni e la previsione di un incremento dei volumi produttivi complessivi in Italia, un piano di esuberi che coinvolgerebbe 1.350 lavoratori, oltre alla chiusura degli stabilimenti Indesit company di None (Torino), Albacina, dove però i 640 dipendenti dovrebbero confluire nel vicino stabilimento di Melano, entrambe in provincia di Ancona, e Carinaro nel casertano;
   il Governo ha immediatamente espresso sul punto la propria posizione, attraverso le parole della Ministra dello sviluppo economico che sul piano ha dichiarato: «presenta aspetti positivi come i nuovi investimenti per mezzo miliardo di euro e il rientro in Italia di alcune linee di produzione dall'estero; e aspetti fortemente negativi e inaccettabili come l'importante numero di esuberi, concentrati soprattutto sullo stabilimento di Caserta sul quale pesa la pesante crisi produttiva ereditata dalla Indesit». Il Governo «si è pertanto impegnato ad attivare fin da subito un confronto che porti a tutelare al massimo la salvaguardia dell'occupazione e dei siti produttivi del gruppo Whirlpool-Indesit in Italia» (Il Sole 24 Ore, 17 aprile 2015);
   il 18 aprile 2015, lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri Renzi, a margine della sua visita a Pompei, ha incontrato una delegazione di operai dello stabilimento Indesit di Carinaro, assicurando il suo personale impegno a mantenere le produzioni esistenti e a salvare tutti i posti di lavoro;
   il 5 maggio 2015, nonostante la proposta di una pausa di riflessione sulle trattative, avanzata dalla Ministra dello sviluppo economico Guidi, con proposta di rinvio all'8 maggio 2015, le organizzazioni sindacali hanno proseguito regolarmente il confronto con l'azienda;
   dall'incontro sopradetto è emerso un sostanziale stallo nelle trattative, dovuto alla fermezza delle parti nel voler mantenere in modo irremovibile le proprie posizioni di partenza: esuberi e chiusure per Whirlpool, richiesta di ritiro delle stesse per le organizzazioni sindacali;
   questo, nonostante il 4 maggio 2015 il presidente della regione Campania Caldoro abbia annunciato lo stanziamento di 50 milioni di euro da parte della regione per gli accordi di programma e le politiche del lavoro, al fine di evitare la chiusura dello stabilimento di Carinaro che impiega attualmente 815 lavoratori;
   in data 6 maggio 2015 la Ministra dello sviluppo economico Guidi e la Sottosegretaria di Stato al lavoro e alle politiche sociali Teresa Bellanova, in una nota congiunta riportata dalle maggiori agenzie di stampa hanno dichiarato: «Comprendiamo la preoccupazione e la rabbia dei lavoratori Whirlpool, consapevoli, come tutti noi, di quanto la vertenza e ancor più la posta in gioco sia importante e delicata». Secondo la nota i tre incontri che il Governo ha convocato presso il Ministero dello sviluppo economico dal 27 aprile 2015 ad oggi sono «incontri tecnici» per «un confronto di merito sul piano industriale», affermando inoltre che il Governo ha chiesto a Whirlpool un'attenta revisione del piano industriale con la priorità della salvaguardia dei livelli occupazionali. Nel frattempo, e sin dalla prima riunione, «ha vincolato l'azienda a non operare licenziamenti fino al 31 dicembre 2018» –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo per salvaguardare i livelli occupazionali degli stabilimenti coinvolti.
(2-00958) «Ricciatti, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Sannicandro, Zaratti, Zaccagnini».
(8 maggio 2015)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   in data 11 luglio 2014, il gruppo Indesit ha comunicato ufficialmente di aver sottoscritto un accordo per la cessione alla Whirlpool corporation del 66,8 per cento della partecipazione detenuta dalla holding Fineldo spa;
   in data 25 luglio 2014 l'agenzia Invitalia ha siglato un contratto di sviluppo con il gruppo Whirlpool, che prevede un investimento di 31 milioni di euro, 10 dei quali finanziati da Invitalia, per il potenziamento dello stabilimento di Napoli, con un impatto occupazionale di 588 addetti tra posti salvaguardati e posti nuovi (attualmente lo stabilimento occupa 540 dipendenti, la nuova occupazione stimata alla stipula del contratto era, dunque, di 48 unità);
   in data 16 aprile 2015, il gruppo Whirlpool ha annunciato un piano di riorganizzazione aziendale che prevede la chiusura del centro di ricerca di None e dello stabilimento di Carinaro in provincia di Caserta, in cui sono attualmente impiegati oltre 800 dipendenti;
   Invitalia, istituita dal decreto legislativo 9 gennaio 1999, n. 1, è una società per azioni non quotata partecipata interamente dal Ministero dell'economia e delle finanze ed opera attraverso vari strumenti, tra i quali la sottoscrizione dei cosiddetti contratti di sviluppo, istituiti con decreto ministeriale del 24 settembre 2010 e regolamentati dal decreto ministeriale del 14 febbraio 2014, successivamente modificato dal decreto ministeriale del 9 dicembre 2014;
   l'articolo 9, comma 4, lettera b), del decreto ministeriale del 9 dicembre 2014 prevede che per i programmi di sviluppo industriale, l'agenzia valuti «la coerenza industriale e la validità economica del programma di sviluppo con il relativo impatto occupazionale» degli stessi;
   i contratti di sviluppo sono strumenti per sostenere la crescita economica ed occupazionale nelle regioni identificate dalla Carta degli aiuti di Stato a finalità regionale (n. 117/10 Italia), approvata dalla Commissione europea il 6 luglio 2010 e pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea C. 215 del 18 agosto 2010;
   l'intervento dell'azienda Whirlpool in Campania ed il piano di riorganizzazione varata a seguita dell'acquisizione di Indesit (già annunciata al momento della stipula del contratto di sviluppo con Invitalia, seppur formalmente non completata al 25 luglio 2014) comporteranno una perdita netta di posti di lavoro nella regione (tenendo conto delle stimate 48 nuove assunzioni nello stabilimento di Napoli) di circa 767 posti di lavoro;
   poiché i termini e i dettagli dell'accordo tra Invitalia e Whirlpool non sono mai stati resi pubblici, non è possibile sapere se l'accordo con Invitalia sul finanziamento di 10 milioni di euro tenesse in qualche modo già in considerazione la riorganizzazione dello stabilimento di Caserta che sarebbe stata avviata di lì a poco e in quali termini;
   in ogni caso, qualora l'accordo non tenesse in considerazione lo stabilimento di Caserta, in virtù del fatto che al 25 luglio 2014 l'acquisizione di Indesit non era ancora completata seppur annunciata, l'azienda avrebbe dovuto ottenere una nuova autorizzazione da parte dell'agenzia Invitalia, erogante il finanziamento autorizzazione finalizzata a verificare che le operazioni societarie non alterassero o inficiassero le finalità ed i risultati del finanziamento erogato;
   l'articolo 19, comma 1, lettere e) e h), del citato decreto ministeriale del 9 dicembre 2014 prevede, infatti, che le agevolazioni concesse siano revocate, in tutto o in parte, secondo quanto previsto nella determinazione di concessione delle agevolazioni, qualora il soggetto beneficiario: non porti a conclusione, entro il termine stabilito, il progetto di investimento ammesso alle agevolazioni, salvo i casi di forza maggiore e/o le proroghe autorizzate dall'agenzia complessivamente di durata non superiore a dodici mesi, ovvero, qualora il programma di investimento sia eseguito in misura parziale e non risulti, a giudizio dell'agenzia, organico e funzionale (lettera e), ovvero qualora effettui operazioni societarie inerenti a fusione, scissione, conferimento o cessione d'azienda o di ramo d'azienda in assenza dell'autorizzazione dell'agenzia (lettera h);
   il comma 4 del medesimo articolo 19 del decreto ministeriale del 9 dicembre 2014 prevede, infine, che: «In caso di revoca delle agevolazioni disposta ai sensi del presente articolo, il soggetto beneficiario non ha diritto alle quote residue ancora da erogare e deve restituire in tutto o in parte il beneficio già erogato, maggiorato degli interessi e, ove ne ricorrano i presupposti, delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 123» –:
   quali siano i dettagli del contratto di sviluppo siglato tra Invitalia e Whirlpool il 25 luglio 2005 e se sia a conoscenza, in particolar modo, di qualsiasi riferimento alla possibile chiusura dello stabilimento di Carinaro e all'esubero di oltre 800 lavoratori conseguente alla già annunciata acquisizione di Indesit e dei suoi stabilimenti;
   se sia stata concessa l'autorizzazione da parte dell'agenzia Invitalia a Whirlpool per il prosieguo del contratto di sviluppo a seguito dell'acquisizione di Indesit e a quali condizioni;
   se non ritengano urgente avviare la procedura per la restituzione integrale dei finanziamenti erogati dall'agenzia Invitalia al gruppo Whirlpool a fronte di una complessiva perdita di posti di lavoro nella regione Campania ad opera della medesima azienda beneficiaria, contravvenendo pertanto all'obiettivo primario dei contratti di sviluppo;
   se non ritengano urgente avviare una profonda revisione delle norme sui finanziamenti alle imprese e sui contratti di sviluppo per evitare che imprese, beneficiarie di finanziamenti pubblici volti ad incentivare l'occupazione e lo sviluppo in un determinato territorio, riducano invece i livelli occupazionali nello stesso territorio e richiedano ulteriori risorse per il finanziamento degli ammortizzatori sociali collegati agli esuberi.
(2-00967) «Tinagli, Cinzia Maria Fontana, Salvatore Piccolo, Giorgio Piccolo, Lodolini, Parrini, Gribaudo, Giampaolo Galli, Di Salvo, Scuvera, Bruno Bossio, Vecchio, Librandi, Bombassei, Marazziti, Giuditta Pini, Capodicasa, Cimmino, Antimo Cesaro».
(12 maggio 2015)

D)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   a partire dal 2009 il Parlamento italiano ha portato avanti numerose iniziative legislative, di indirizzo politico e di indagine e volte a tutelare i prodotti del made in Italy e ad assicurare la giusta efficacia alla lotta alla contraffazione:
    a) l'articolo 16 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, ha chiarito che si intende realizzato interamente in Italia il prodotto o la merce, classificabile come made in Italy per il quale il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano, introducendo una precisa regolamentazione dell'uso di indicazioni di vendita che presentino il prodotto come interamente realizzato in Italia, quali «100 per cento made in Italy», «100 per cento Italia», «tutto italiano» o simili;

    b) l'articolo 15 della legge 23 luglio 2009, n. 99, ha introdotto norme che mirano a rafforzare la tutela della proprietà industriale e gli strumenti di lotta alla contraffazione, anche sotto il profilo penale;
    c) con la legge 8 aprile 2010, n. 55, sono state dettate disposizioni concernenti la commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri, anche con riferimento alla riconoscibilità e tutela dei prodotti italiani, prevedendo l'uso dell'indicazione made in Italy esclusivamente per i prodotti le cui fasi di lavorazione abbiano avuto luogo prevalentemente nel territorio italiano;
    d) la legge 3 febbraio 2011, n. 4, ha inserito norme sull'etichettatura dei prodotti alimentari con la finalità di difendere e promuovere il sistema produttivo italiano;
    e) la legge 14 gennaio 2013, n. 8, ha successivamente dettato le nuove regole per la definizione, la lavorazione e la commercializzazione dei prodotti di cuoio, pelle e pelliccia, ove si prevede che, per i prodotti ottenuti da lavorazioni in Paesi esteri che comunque utilizzano la dicitura italiana dei termini «cuoio», «pelle» e «pelliccia», l'etichetta debba indicare lo Stato di provenienza;
    f) nella seduta del 22 gennaio 2013 la Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale, istituita durante la XVI legislatura, ha approvato un'imponente relazione conclusiva, oltre alla relazione sulla pirateria digitale in rete e ad altri documenti settoriali;
    g) il 26 giugno 2014 la Camera dei deputati ha istituito la Commissione parlamentare d'inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo;
    h) la mozione n. 1-00529 del luglio 2014 ha impegnato il Governo a monitorare l’iter del regolamento relativo al made in, affinché il Consiglio dell'Unione europea proceda velocemente alla sua approvazione;
    i) l'articolo 30 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, ha introdotto il piano straordinario per il rilancio del made in Italy e l'attrazione degli investimenti, che è stato presentato dal Ministero dello sviluppo economico il 26 febbraio 2015 ed è articolato in complessive 10 misure, di cui 5 da attuarsi in Italia (potenziamento grandi eventi in Italia, voucher temporary export manager, formazione export manager, roadshow per le piccole e medie imprese, piattaforma e-commerce per le piccole e medie imprese) e 5 all'estero (piano gdo, piano speciale mercati d'attacco – ad esempio Uds –, piano «road to Expo», piano comunicazione contro Italian sounding, roadshow attrazione investimenti);
   la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del settembre 2010 ha precisato che tutte le disposizioni della citata legge 8 aprile 2010, n. 55, possono considerarsi applicabili solo successivamente all'esperimento della procedura di informazione comunitaria, ai sensi della direttiva 98/34/CE, e che tale legge non può considerarsi applicabile sino a quando non siano adottate le necessarie norme attuative previste dall'articolo 2 della legge medesima;
   la legge n. 55 del 2010 è in vigore dal 1o ottobre 2010, ma, ad oggi, risulta inattuata a causa delle perplessità sollevate, per ragioni formali e sostanziali, dalla Commissione europea, che ha evidenziato come la sua applicazione determinerebbe un conflitto tra norme nazionali e norme comunitarie, poiché nessun Paese membro può assumere autonomamente modalità tecniche di determinazione dell'origine divergenti rispetto a quelle europee in uso, poiché ciò significherebbe ostacolare la libera circolazione dei prodotti;
   la sospensione della disciplina dettata dalla legge n. 55 del 2010 si inquadra nello scontro aperto in Europa tra Paesi manifatturieri, soprattutto del Sud Europa (Italia, Francia, Spagna), e Paesi del Nord, che o producono molto all'estero (come la Germania) o non producono affatto, ma hanno i porti in cui arriva gran parte del nostro import da Cina e Far East e che in ogni caso, non vogliono troppa tracciabilità;
   tale scontro è dato dalla presentazione, il 16 dicembre 2005, di una proposta di regolamento presentata dalla Commissione europea (COM(2005)661), relativa all'indicazione del Paese di origine di alcuni prodotti industriali (come viti, bulloni, utensileria, tubi e rubinetterie, pneumatici, ceramica, tessili) importati da Paesi terzi, che non è mai stata discussa dal Consiglio;
   il Parlamento europeo dal 2007 al 2013 ha adottato numerose dichiarazioni e risoluzioni per sollecitare la Commissione europea e il Consiglio ad attuare una politica di tutela dell'origine dei prodotti europei, ma il 16 aprile 2013 la Commissione europea ha ritirato la proposta di regolamento sull'obbligo di indicazione dell'origine per alcuni prodotti importati da Paesi extra Unione europea (cosiddetto made in), presentata nel dicembre 2005 su iniziativa italiana, con l'obiettivo di rendere più trasparenti per i consumatori le informazioni sull'origine dei prodotti e assicurare parità di condizioni tra i produttori europei e quelli di Paesi terzi che già dispongono di una legislazione analoga;
   nel settore alimentare il regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, che si applica dal 13 dicembre 2014, obbliga alla fornitura di informazioni sugli alimenti, con particolare riguardo alla tabella nutrizionale e all'indicazione d'origine solo per una parte degli alimenti;
   ad eccezione delle regole che sono state fissate per alcuni settori e per le denominazioni di origine, per tutti gli altri prodotti si è preferito affermare un diverso principio, per cui l'indicazione obbligatoria è resa tale solo nel caso in cui la sua omissione possa indurre il consumatore in errore circa l'effettiva provenienza del prodotto alimentare, così come delineato dall'articolo 3 della direttiva 2000/13/CE, confermato dal regolamento (UE) n. 1169/2011;
   l'indicazione d'origine dei prodotti può essere positivamente conseguita anche con la diffusione di tecnologie in grado di offrire la tracciabilità dell'intera filiera attestata da sistemi non seriali e non replicabili, al fine di consentire ai consumatori finali di conoscere la vera origine dei prodotti italiani, alimentari e non alimentari, e di ricevere un'adeguata informazione sulla qualità dei componenti e delle materie prime, nonché sul processo di lavorazione delle merci e dei prodotti finiti e intermedi made in Italy o interamente realizzati in Italia;
   il 15 aprile 2014 il Parlamento europeo ha approvato con larghissima maggioranza (485 voti a favore, 130 contrari e 27 astensioni) il pacchetto legislativo per la tutela dei consumatori europei da prodotti falsi e nocivi. La nuova disciplina impone di apporre il made in sia ai prodotti non alimentari realizzati in Europa che a quelli extraeuropei, ma prima che l'obbligo diventi effettivo è necessaria l'approvazione del Consiglio dell'Unione europea;
   l'etichetta made in sarà, quindi, obbligatoria per tutti i prodotti venduti nell'Unione europea, con alcune eccezioni come il cibo e i medicinali; secondo la proposta approvata, i produttori dell'Unione europea potranno scegliere se mettere sull'etichetta la dicitura made in EU oppure il nome del loro Paese. Per le merci prodotte fuori dall'Unione europea, il «Paese di origine» dovrà essere quello in cui il bene ha subito «l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata», che si sia conclusa con la «fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione» (come definito nel codice doganale dell'Unione europea);
   nella relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per il 2014, il Governo italiano ha ricordato l'importanza che annette, ai fini della competitività del sistema industriale italiano, all'introduzione di un'indicazione di origine dei prodotti non alimentari, ma l'obbligatorietà di tale indicazione – contenuta all'articolo 7 della proposta di regolamento relativa alla sicurezza dei prodotti – non ha incontrato, tuttavia, l'unanime accordo degli Stati membri;
   alla luce di ciò, l'Italia, durante il proprio semestre di presidenza, ha accordato ai Paesi del Nord Europa l'esecuzione di uno studio di impatto sui costi/benefici dell'introduzione del made in, studio che non è stato ancora ufficialmente diffuso, ma che secondo fonti di stampa avrebbe dato pareri discordanti in base ai settori merceologici, nei quali sarebbero favorevoli, soprattutto, i comparti di ceramica, calzature e tessile/abbigliamento;
   secondo le stesse notizie di stampa, il Governo italiano avrebbe chiesto al Presidente Juncker di rinviare la decisione dei commissari al Consiglio competitività previsto il 28 maggio 2015, dove il Viceministro dello sviluppo economico (con delega al commercio internazionale), Carlo Calenda, presenterà una proposta di mediazione consistente nella possibilità di un made in circoscritto ad alcuni settori, che diventerebbero cinque – ceramica, calzature, tessile, ma anche legno-arredo e oreficeria – senza distinzione tra piccole o grandi imprese e un periodo di sperimentazione dell'etichetta obbligatoria di tre anni, per poi fare il punto della situazione;
   il 6 maggio 2015, secondo indiscrezioni provenienti dalla Commissione europea, sarebbe stato deciso di proporre per il Consiglio di competitività dell'Unione europea previsto il 28 maggio 2015 una soluzione di compromesso che prevederebbe l'applicazione del regolamento in questione limitatamente a tre settori (tessile-abbigliamento, ceramico e calzaturiero);
   tale compromesso, se confermato, penalizzerebbe altri due settori certamente non secondari per l'industria manifatturiera nazionale, quello del legno-arredo e quello dell'oreficeria –:
   quali siano le informazioni in possesso del Governo sull’iter del regolamento relativo al made in e quali siano le richieste dell'Italia al Consiglio competitività dell'Unione europea per tutelare e valorizzare i prodotti dell'industria manifatturiera italiana il cui export, secondo i dati forniti dal Viceministro Calenda, ha raggiunto nel 2014 la cifra record di 398 miliardi di euro.
(2-00966) «Benamati, Taricco, Tidei, Taranto, Carra, Bini, Senaldi, Cenni, Scuvera, Lacquaniti, Venittelli, Bargero, Romanini, Antezza, Mongiello, Galperti, Terrosi, Arlotti, Martella, Portas, Berretta, Baruffi, Camani, Basso, Bazoli, Bergonzi, Paola Bragantini, Brandolin, Vico, Cani, Capone, Marrocu, Bonomo, Capozzolo, Ginefra».
(12 maggio 2015)

E)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   ad ottobre 2012 il Governo italiano ha aderito, insieme ad altri dieci Paesi membri dell'Unione europea (Austria, Belgio, Estonia, Francia, Germania, Grecia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Spagna) al progetto di cooperazione rafforzata, autorizzata dal Consiglio economia e finanza dell'Unione europea il 22 gennaio 2013, per l'introduzione di una tassa europea sulle transazioni finanziarie;
   la tassazione delle transazioni finanziarie (TTF), se efficacemente introdotta negli 11 Paesi dell'Unione europea partecipanti: assicurerebbe il giusto contributo del settore finanziario per programmi di stimolo e di rilancio delle economie, nonché una più giusta parità di trattamento con altri settori produttivi soggetti, ad oggi, a prelievo fiscale di maggiore entità; garantirebbe la riscossione di un gettito prevedibile permettendo di stabilire politiche di medio-lungo periodo sia per far fronte alle conseguenze sociali della crisi, recuperando risorse per azioni di lotta alla povertà in Italia, sia per sostenere programmi di aiuto allo sviluppo dei Paesi poveri e di contrasto ai cambiamenti climatici a livello internazionale; frenando la speculazione, diminuirebbe l'instabilità dei mercati con ricadute positive anche per le imprese, in termini di minor rischio valutario e minori incertezze sui prezzi delle materie prime;
   il 14 febbraio 2013 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva COM(2013)71 per delineare il modello di tassa da implementare e tale proposta è da più di due anni oggetto di negoziato tra gli 11 Stati membri aderenti alla procedura di cooperazione rafforzata;
   nel corso dell'ultimo vertice Ecofin sotto il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, svoltosi il 9 dicembre 2014, i Paesi aderenti alla procedura di cooperazione rafforzata sulla tassazione delle transazioni finanziarie hanno confermato l'impegno di proseguire i lavori negoziali per arrivare alla definizione del modello di tassa entro i primi mesi del 2015;
   un recente studio dell'autorevole German institute for economic research (DIW Berlin) pubblicato a marzo 2015 ha approfondito i profili di gettito fiscale derivanti dalla tassazione delle transazioni finanziarie europea; secondo le conclusioni dello studio una tassa con ampia base imponibile, ovvero applicata alla più ampia gamma di strumenti finanziari (secondo l'impianto della direttiva proposta dalla Commissione europea), con il ricorso al doppio principio di tassazione (di residenza dell'operatore/intermediario e di nazionalità del titolo) e con aliquote dello 0,1 per cento per le azioni e dello 0,01 per cento, per i derivati porterebbe nelle casse dello Stato italiano dai 3 ai 6 miliardi di euro all'anno, risorse vitali che l'Italia potrebbe impiegare sul versante della lotta alla povertà a livello nazionale ed internazionale;
   l'introduzione di un'efficace tassa sulle transazioni finanziarie è sostenuta da un vasto movimento globale ed anche in Italia è attiva la campagna ZeroZeroCinque che riunisce oltre 50 organizzazioni della società civile, tra cui le principali sigle sindacali, associazioni del terzo settore e organizzazioni non governative di sviluppo; un milione di cittadini hanno sottoscritto la petizione internazionale a sostegno della tassazione delle transazioni finanziarie europea, rivolta agli 11 capi di Stato e di Governo dei Paesi della cooperazione rafforzata –:
   quale sia ad oggi lo specifico posizionamento della delegazione negoziale italiana sul disegno della tassazione delle transazioni finanziarie europea in termini di azioni, obbligazioni e classi di strumenti derivati da includere nella base imponibile, aliquote e principi di tassazione da adottare, inclusione del regime intraday ed esenzioni per i market-makers, e quale sia lo stato di avanzamento dei lavori negoziali e l'orizzonte temporale per il raggiungimento di un accordo sull'impianto della tassazione delle transazioni finanziarie europea, nonché la disponibilità del team negoziale italiano a promuovere un comune impegno di destinazione del gettito della tassazione delle transazioni finanziarie europea, in parte per le politiche di lotta alla povertà a livello nazionale ed, in parte, per sostenere l'aiuto allo sviluppo ed il contrasto ai cambiamenti climatici a livello internazionale.
(2-00955) «Quartapelle Procopio, Raciti, Salvatore Piccolo, Giorgio Piccolo, Zampa, Rampi, Giuditta Pini, Porta, Realacci, Piccoli Nardelli, Preziosi, Scanu, Sereni, Prina, Zanin, Taricco, Rossi, Albanella, Antezza, Ginato, Berlinghieri, Gnecchi, Cuperlo, Cassano, Capone, Patriarca, Beni, Lacquaniti, Garavini, Chaouki, Stella Bianchi, Montroni, Tentori, Marchetti, Mazzoli, Mattiello, Piazzoni, Guerra, Monaco».
(5 maggio 2015)

F)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi, la scorsa settimana, davanti alla platea della Borsa italiana, avrebbe garantito che «nelle prossime settimane» troverà realizzazione il provvedimento «per le sofferenze delle banche italiane», cioè la bad bank per alleggerire gli istituti dal peso di crediti bloccati;
   Renzi si sarebbe limitato a dire che il Governo sta «negoziando con l'Unione europea sui dettagli», nonostante gli fosse stato richiesto di spiegare tale operazione anche da Gian Maria Gros-Pietro, vicepresidente dell'Abi, che chiedeva maggiori dettagli;
   nel frattempo, la scorsa settimana, Banca d'Italia, lavorando insieme al Ministero dell'economia e delle finanze e alla Presidenza del Consiglio dei ministri sul progetto, ha affidato senza gara, con procedura negoziata per l'urgenza che caratterizza la definizione del progetto, al consulente Boston consulting group l'affidamento di un servizio di consulenza finalizzato alla costituzione di un’asset management company per la gestione delle sofferenze bancarie, ovvero la bad bank, pagando 379.500 euro iva esclusa;
   una bad bank di sistema è una società che, usando denaro pubblico, si farebbe carico di aiutare gli istituti di credito a liberarsi dalle sofferenze, assumendosi la gestione dei loro crediti anomali, cioè i prestiti difficili o impossibili da recuperare, come quelli che attualmente sembrerebbero ingolfare i bilanci delle banche italiane;
   il Ministro dell'economia e delle finanze Pier Carlo Padoan, in una recente intervista a la Repubblica, ha confermato che il Governo sta «esaminando varie opzioni, anche tenendo conto delle implicazioni sulle regole europee sugli aiuti di Stato» e riflettendo sul modo in cui «introdurre degli strumenti che vanno sotto il nome generico di bad bank»;
   la Commissione europea, sia pure con qualche perplessità, non avrebbe opposto pregiudiziali all'ipotesi di una bad bank di sistema italiana;
   secondo fonti di stampa, prima della crisi economica i crediti in sofferenza all'interno dei bilanci delle banche italiane ammontavano a circa 42 miliardi di euro, mentre oggi si conta un'ammontare di 183 miliardi di euro; se si considera anche che molti debitori non sono ancora tecnicamente insolventi ma rischiano di diventarlo in tempi più o meno stretti, l'insieme delle sofferenze diventa una frana capace di seppellire il sistema bancario: il totale di tutti i prestiti cosiddetti «deteriorati» arriva, infatti, a 315 miliardi di euro, ovvero il 16,6 per cento dei crediti concessi complessivamente dagli istituti;
   in un recentissimo paper del Fondo monetario internazionale riportato da Il Sole 24 ore, si mostra che solo Irlanda, Cipro e Grecia hanno rapporti fra sofferenze e prestiti maggiori del nostro; sempre il Fondo monetario internazionale calcola che, dato il modesto ritmo di uscita dei crediti deteriorati dal bilancio delle banche italiane (nel 2013 solo il 7 per cento), il peso delle sofferenze sul portafoglio prestiti continuerà a crescere fino al 2019, frenando inevitabilmente la propensione a concedere nuovi prestiti;
   se questa operazione della bad bank andrà in porto, anche se si verificherà l'ipotesi, che già circola, appoggiata da Padoan, che il Ministero dell'economia e delle finanze abbia una quota di minoranza, mentre della maggioranza si dovrebbero fare carico le banche interessate, un costo da pagare ci sarà comunque: se il valore dei crediti trasferiti nella bad bank è più basso dei soldi che verranno effettivamente recuperati in futuro, la perdita iniziale potrebbe ricadere anche sullo Stato;
   e tutto questo anche se la montagna di crediti in sofferenza è stata creata anche per scelte sbagliate delle banche, che, con poche cautele, hanno prestato soldi alle loro cerchie clientelari;
   invece, per quanto riguarda il risultato sperato, ovvero che le banche finalmente ricomincino ad erogare credito all'economia reale, è d'obbligo sempre e comunque il condizionale; infatti, anche se le banche venissero risanate completamente, la fine del credit crunch non sarebbe affatto certa;
   durante la sua audizione del 26 marzo 2015 presso le Commissioni riunite finanze, bilancio e politiche dell'Unione europea della Camera dei deputati, il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, ha detto che la Banca centrale europea «guarda con molto favore a iniziative per ridurre il peso delle partite deteriorate nei bilanci delle banche in modo da liberare risorse» a beneficio delle imprese, riferendosi alla possibile nascita di una bad bank di sistema per liberare dalle sofferenze gli istituti di credito;
   sempre durante l'audizione alla Camera dei deputati, il presidente della Banca centrale europea, promotore del quantitative easing, ha anche affermato che nel 2014 è stata portata a termine un'operazione di scrutinio e pulizia dei bilanci delle banche che erano «malate» per via del peso dei crediti deteriorati; nonostante ciò, le banche non hanno ricominciato a erogare prestiti all'economia reale, anzi, quando è stata la volta della prima operazione «tltro», non avendo vincoli in tal senso, hanno utilizzato tutte le risorse messe a disposizione per speculazioni finanziarie, come ricordato dallo stesso Draghi;
   secondo l'economista Marco Onado, «negli Stati Uniti, il premio Nobel Joseph Stiglitz denuncia che con una distribuzione del reddito così squilibrata come quella attuale, ci vorranno almeno 13 anni per tornare al pieno impiego: figurarsi in Europa dove la ripresa è ancora più stentata. Ma nell'agenda politica questi temi non entrano, se non sotto forma di mere dichiarazioni di principio: basta guardare alle campagne presidenziali di Stati Uniti e Francia, per capire che tutti si muovono allineati e coperti dietro una strategia basata solo sull'arma monetaria e che ha come unico corollario certo il salvataggio delle banche. Il resto è solo speranza. E i banchieri centrali sono i veri signori della crisi»;
   mentre il credit crunch colpisce soprattutto le piccole imprese, una recente analisi del centro studi Unimpresa su dati della Banca d'Italia ha mostrato che il peso delle sofferenze bancarie è legato, soprattutto, ai grandi prestiti che difficilmente vengono rimborsati: su tre rate non onorate, due sono relative a crediti di alto importo: il 66,1 per cento del totale dei crediti difficili da riscuotere (107 miliardi di euro) si riferisce a finanziamenti superiori a 500 mila euro, mentre il 33,9 per cento (54,9 miliardi di euro) fa capo a crediti compresi tra i 250 mila e i 500 mila euro. In una platea di oltre 1,2 milioni di clienti in ritardo sui pagamenti, su appena 457 soggetti pesano sofferenze per 20,3 miliardi. Detto in altri termini, oltre il 66 per cento dei crediti dubbi si riferiscono a una piccolissima percentuale di debitori: il 3,9 per cento del totale;
   Diego Valiante, responsabile della ricerca su mercati finanziari, Centre for European policy studies di Bruxelles, ha scritto su Il fatto quotidiano che la bad bank «è un intervento con cui si separano gli attivi che hanno poche probabilità di recupero da quelli che hanno ancora un valore di mercato. La banca con gli asset tossici, la bad bank appunto, è mantenuta in vita di solito tramite garanzie statali, in attesa che questi attivi recuperino un valore di mercato. È la principale alternativa alla nazionalizzazione diretta delle banche durante una grave crisi finanziaria, come nell'autunno del 2008 (...) La proposta di una bad bank in questo contesto macroeconomico ha il sapore di una minestra riscaldata, con la quale si pospone un intervento risolutivo nel breve e si salvano elegantemente un po’ tutti quelli che quell'ignoto meccanismo di autoconservazione nel nostro Paese conoscono molto bene. Si salvano, pertanto, i principali azionisti delle banche italiane, che si contano oramai sulle dita di una mano, da una pesante svalutazione di capitale scaricata in gran parte sui cittadini tramite le garanzie statali sul capitale della bad bank. Si salva il management, che ricicla se stesso mettendo in curriculum la capacità (più politica che manageriale) di aver protetto gli azionisti dalla diluizione del capitale e i creditori più importanti da perdite eccessive nella ristrutturazione della banca. Si salva il Governo, che diventa paladino dell'italianità del sistema bancario, limitando nell'arco della sua breve legislatura l'impatto di una ristrutturazione del sistema bancario sul costo del debito pubblico. La patata bollente passerà intanto al prossimo Esecutivo. Si salva una parte della classe politica, che sulle commistioni con la governance delle banche ha costruito la sua intoccabilità»;
   il beneficio più evidente dell'operazione bad bank, su cui preme Banca d'Italia, sarebbe quello strettamente legato al credit crunch, ovvero la stretta creditizia verso famiglie e imprese: eliminare dai bilanci delle banche i crediti in sofferenza potrebbe significare ridare ossigeno alle banche e, quindi, liberare risorse che potrebbero andare a finanziare famiglie e imprese, soltanto che non ci sono garanzie che questo poi avverrà;
   secondo Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente alla Sda della Bocconi, una bad bank a partecipazione pubblica, in Italia, sarebbe «una cattiva idea. Anzi, pessima, in queste condizioni di contesto: non è affare dello Stato costituire banche o enti affini», perché se il Governo vuole davvero aiutare le banche a smobilizzare i crediti deteriorati, «la cosa più efficace che può fare è agire sui processi della giustizia civile, riducendo drasticamente tempi e complessità dei contenziosi» e intervenendo «sulle condizioni tecnologiche e normative che migliorano la trasparenza e l’accountability dei bilanci aziendali»; per di più, sempre secondo il professore Carnevale Maffè, «aiutare banche fragili, senza serie prospettive di competitività sostenibile a medio-lungo termine, rischia di essere accanimento terapeutico e di avere l'indesiderabile effetto di prolungare la crisi del credito all'economia reale». Mentre gli istituti più grandi e solidi «sanno provvedere meglio da soli, utilizzando soluzioni di mercato e in competizione tra loro», come sta già facendo Unicredit;
   le associazioni dei consumatori sono del tutto contrarie all'ipotesi della bad bank: il Codacons annuncia battaglia e ricorsi in sede europea parlando di «ennesimo regalo alle banche, verso cui lo Stato corre ogni volta in soccorso scaricando come al solito i costi finali sui cittadini contribuenti», «una follia», perché «l'efficiente funzionamento del sistema bancario dovrebbe essere garantito prima di tutto dalle autorità di vigilanza, cui spetta il compito di controllare le banche e il loro corretto operato»;
   secondo Adusbef e Federconsumatori «se il Governo ed il Ministro dell'economia e delle finanze Padoan non dovessero pretendere un'equa retribuzione sulla garanzia statale prestata alla bad bank per cartolarizzare prestiti allegri spesso erogati ad amici e compari ai quali le banche hanno affidato prestiti incauti, lasciando scoperte proprio quelle sofferenze causate dalla crisi sistemica prodotta dai banchieri, sarebbe un vero e proprio regalo di Stato, che cercheremo di contrastare in tutte le sedi». «Sarebbe inaccettabile», prosegue la nota, «premiare gratis istituti di credito e banchieri che hanno sbagliato, in buona parte, a concedere fidi con criteri privi dei requisiti prudenziali nella corretta gestione del credito e del risparmio» –:
   se il Governo sia consapevole dei problemi relativi all'operazione di costituzione della bad bank e in che modo abbia intenzione di adoperarsi per far sì che, nel caso questa operazione venisse messa in atto, la perdita finanziaria iniziale non ricada anche sullo Stato e, dunque, sulle tasche dei cittadini;
   se il Governo non abbia intenzione, nel caso in cui si ponesse in atto con o senza bad bank un'operazione di risanamento delle banche dai crediti «malati» da parte dello Stato, di selezionare gli istituti di credito meritori di questo intervento, in modo da premiare i comportamenti virtuosi e allo stesso tempo evitare di spendere risorse per realtà bancarie che hanno messo in atto scelte sbagliate, con poche cautele, prestando fondi alle proprie cerchie clientelari;
   in che modo il Governo intenda attivarsi per garantire, visto il precedente comportamento delle banche in tal senso, che, qualora avvenisse il risanamento degli istituti di credito per opera dello Stato, questo comporti davvero come diretta conseguenza la fine del credit crunch e, dunque, il ritorno al finanziamento dell'economia reale;
   di quali elementi disponga il Governo circa l'affidamento del delicato compito di costruire un’asset management company per la gestione delle sofferenze bancarie ad una realtà esterna, la Boston consulting group, nonché in ordine ai criteri secondo cui è stata effettuata la selezione, visto che l'affidamento è avvenuto senza gara;
   se il Governo non consideri, altresì, importante promuovere processi di ristrutturazione finanziaria e di rafforzamento patrimoniale, necessari per una parte ampia del sistema imprenditoriale italiano, rilanciando finalmente gli investimenti produttivi.
(2-00964) «Sorial, Pesco, Villarosa, Alberti, Castelli, Caso, Brugnerotto, Cariello, Colonnese, D'Incà, Ruocco, Fico, Pisano, Corda, Cozzolino, Dadone, Daga, Zolezzi, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Uva, Ferraresi».
(12 maggio 2015)

G)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
   la legge 11 agosto 2014, n. 125, ha istituito la nuova «disciplina generale sulla cooperazione allo sviluppo»;
   il percorso attuativo della citata legge prevede, tra le altre cose, in particolare tre regolamenti attuativi, previsti dagli articoli 16, comma 1, 17, comma 13, e 20, comma 1, rispettivamente per l'istituzione del Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo, per l'adozione dello statuto dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo nel quale sono disciplinate le competenze e le regole di funzionamento dell'agenzia e per il riordino e il coordinamento delle disposizioni riguardanti il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale in coerenza all'istituzione dell'Agenzia;
   il decreto 28 novembre 2014 del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 10 dicembre 2014, ha istituito il Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo, dando attuazione a quanto previsto dall'articolo 16, comma 1, della legge;
   nello spirito della legge il nuovo Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo rappresenta lo strumento permanente di partecipazione, di consultazione e di proposta sulle scelte politiche, sulle strategie e sulla programmazione, nonché sulle forme di intervento, la loro efficacia e la valutazione delle stesse;
   la legge prevede che esso «esprime pareri», quindi, ad opinione degli interpellanti e considerata la sua istituzione prima del compimento degli altri atti attuativi, sarebbe stato opportuno nominare i suoi componenti e convocare il Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo per consultarlo sul processo attuativo in quanto «strumento permanente di partecipazione, consultazione e proposta» così come previsto dalla legge;
   il Vice Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Pistelli, in un'intervista al magazine Vita del 19 dicembre 2014 aveva dichiarato che «entro fine anno, massimo inizio dell'anno prossimo, il Consiglio verrà convocato affinché inizi a pronunciarsi sulle nomine»;
   a circa 5 mesi dalla sua istituzione non è mai stato convocato e i suoi rappresentanti, circa cinquanta membri titolari, individuati tra quelli che la nuova legge definisce gli attori del sistema italiano della cooperazione, non sono ancora stati nominati;
   gli altri due regolamenti previsti dalle citate disposizioni della legge dovevano essere emanati entro 180 giorni dall'approvazione della legge 11 agosto 2014, n. 125; entro lo stesso termine doveva essere approvato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che determinava la dotazione organica dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo;
   il Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo (Cics) previsto dall'articolo 15 della legge non risulta essere mai stato convocato, così come non risulta essere approvato, come prevede la legge entro il 31 marzo 2015, previa acquisizione dei pareri delle Commissioni parlamentari, il Documento triennale di programmazione e di indirizzo della politica di cooperazione allo sviluppo –:
   quale sia lo stato di attuazione della legge n. 125 del 2014 alla luce delle considerazioni esposte in premessa e con particolare riferimento alla Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, alla riorganizzazione della direzione generale per la cooperazione allo sviluppo e al Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo.
(2-00979) «Palazzotto, Marcon, Melilla, Scotto».
(19 maggio 2015)

H)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro della difesa, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   la continuità politica e programmatica dei Governi Monti, Letta e Renzi impone l'esigenza di valutare realisticamente gli atti concreti relativi alla cosiddetta vertenza Sardegna;
   è fin troppo evidente che sulla già complessa questione sarda si registrano ulteriori gravi e colpevoli ritardi legati a mancate decisioni del Governo e, in alcuni casi, a decisioni che appaiono contrarie alla risoluzione dei problemi stessi;
   l'esigenza di affrontare con urgenza tali problemi riveste priorità assoluta al fine di non pregiudicare in modo irreversibile le questioni oggetto della vertenza Sardegna;
   in particolar modo appaiono sin troppo evidenti le questioni relative:
    a) alla questione trasporti, con l'esigenza improcrastinabile di revocare la convenzione con la Tirrenia per palese contrasto con l'interesse pubblico e contributo di Stato di dubbia legittimità, non commisurato e non giustificato rispetto ad un servizio inadeguato e con costi proibitivi per i residenti e i non residenti;
    b) alla questione relativa alla continuità territoriale aerea con un'inaccettabile limitazione a soli nove mesi della tariffa unica e con continue limitazioni alla disponibilità di posti sulle tratte da e per la Sardegna, oltre alla limitazione delle tratte di collegamento tra l'isola e il resto del Paese;
    c) alla questione energetica con la pesantissima ricaduta sul sistema economico industriale della Sardegna, dalla mancata realizzazione del metanodotto Sardegna Algeria a favore di quelle che gli interpellanti ritengono lobby protese a realizzare rigassificatori con un gravissimo impatto sia sul fronte costiero che nell'entroterra, con la distribuzione su gommato del gas, per arrivare alla mancata definizione di un regime tariffario, attraverso contratti bilaterali e regimi di riequilibrio, al fine di consentire la competitività, ora negata, delle attività industriali della Sardegna;
    d) alla vertenza Equitalia e al rischio di fallimento per decine di migliaia di imprese sarde e ai pignoramenti di migliaia di aziende agricole per le quali è indispensabile un periodo di moratoria di almeno un anno al fine di definire procedure in grado di attivare percorsi economico finanziari in grado di salvaguardare la ripresa produttiva e occupazionale;
    e) alla questione insularità e all'esigenza di dare attuazione all'articolo 22 della legge n. 42 del 2009, considerato che, sino ad oggi, il divario insulare non solo non è stato limitato ma risulta gravemente ampliato da scelte che hanno anche sul piano infrastrutturale totalmente escluso la Sardegna, come per esempio l'ultimo documento di economia e finanza;
    f) alle questioni industriali della Sardegna: dalla chiusura dell'Alcoa, alla mancata realizzazione del sistema integrato miniera Carbosulcis centrale, alla definizione della ripresa produttiva della società Eurallumina, alla ripresa produttiva della Vinilys di Porto Torres, alla definizione dell'assetto energetico per gli stabilimenti energivori del Sulcis e quelli della Ottana Energia, ex Enichem di Ottana;
    g) alla questione infrastrutturale sarda con la definizione degli interventi nell'ambito della piastra logistica euromediterranea e degli interventi in grado di eliminare il grave gap infrastrutturale sul fronte ferroviario, stradale e connettivo strategico;
    h) alla definizione di un nuovo regime di entrate per la Sardegna, in considerazione della sua condizione insulare con l'attuazione della zona franca integrale come strumento di riequilibrio del divario industriale;
    i) alla definizione concreta della «partita» delle entrate oggetto di ricorsi alla Corte costituzionale in relazione ai quali, ad avviso degli interpellanti, è risultato inaccettabile il comportamento dello stesso Governo in carica;
    j) alla dismissione del patrimonio militare relativo a immobili ubicati in aree strategiche per lo sviluppo delle comunità locali e occupate da servitù militari inutilizzate o sottoutilizzate, compresa la riconversione delle aree oggetto di servitù militari di cui la Sardegna continua ad essere gravata;
   ad oggi, su questi temi si registra un gravissimo arretramento non solo sostanziale ma anche procedurale considerato che nessun serio e concreto atto è stato messo in campo dal Governo e anzi tutte le vertenze languono senza alcuna prospettiva di soluzione –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri non intenda predisporre con somma urgenza iniziative concrete che affrontino in modo efficace e immediato le vertenze che costituiscono la più ampia questione Sarda;
   se il Governo non intenda disporre, in base all'articolo 15 della convenzione con la Tirrenia, la revoca della stessa per manifesta inadempienza rispetto all'interesse pubblico con gravissime limitazioni al servizio di continuità marittima e l'utilizzo di un contributo di 72 milioni di euro che appare sotto ogni punto di vista ingiustificabile e di dubbia legittimità, avviando procedure corrette di evidenza pubblica per la gestione della continuità territoriale marittima da e per la Sardegna;
   se non si intendano assumere iniziative con somma urgenza per revocare la limitazione a soli 9 mesi all'anno della tariffa unica per la continuità territoriale e disporre l'immediata attivazione di procedure al fine di estendere il regime di continuità territoriale anche su altre rotte da e per la Sardegna;
   se non si intenda dare continuità a quanto sostenuto dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale relativamente alla realizzazione del metanodotto Sardegna Algeria, anche in considerazione dell'approvvigionamento sempre più problematico sia con la Libia che con la Russia, anche al fine di non favorire lobby diverse protese a realizzare rigassificatori con un gravissimo impatto sia sul fronte costiero che nell'entroterra, con la distribuzione su gommato del gas;
   se il Governo non intenda, attraverso iniziative normative urgenti, arrivare alla definizione di un regime tariffario, attraverso la promozione di contratti bilaterali che norme funzionali all'attuazione di regimi di riequilibrio tariffario elettrico, al fine di consentire la competitività, ora negata, delle attività industriali della Sardegna;
   se il Governo non intenda, valutata la gravissima situazione, con il rischio di fallimento per decine di migliaia di imprese sarde e con il pignoramento di migliaia di aziende agricole, predisporre una iniziativa normativa urgente che preveda un periodo di moratoria di almeno un anno al fine di definire procedure in grado di attivare percorsi economico finanziari in grado di salvaguardare la ripresa produttiva e occupazionale;
   se non ritenga il Governo di affrontare con una concreta iniziativa normativa la questione dell'insularità e l'esigenza di dare attuazione all'articolo 22 della legge n. 42 del 2009, considerato che sino ad oggi il divario insulare non solo non è stato ridotto ma risulta gravemente ampliato da scelte che hanno anche sul piano infrastrutturale totalmente escluso la Sardegna, come per esempio l'ultimo documento di economia e finanza, dove la Sardegna, a giudizio degli interpellanti, è completamente omessa;
   se il Governo non intenda agire concretamente sulle questioni industriali della Sardegna, considerato che ad oggi nessuna di queste non solo non è stata risolta ma risulta gravemente compromessa, dalla chiusura dell'Alcoa, alla mancata realizzazione del sistema integrato miniera Carbosulcis centrale, alla definizione della ripresa produttiva della società Eurallumina, alla ripresa produttiva della Vinilys di Porto Torres, alla definizione dell'assetto energetico per gli stabilimenti energivori del Sulcis e quelli della Ottana Energia, ex Enichem di Ottana;
   se il Governo non ritenga di dover attivare per Alcoa procedure analoghe a quelle adottate per l'Ilva, a partire dal riconoscimento strategico dell'alluminio primario e il conseguente riavvio commissariale degli impianti;
   se il Governo non ritenga di rimodulare le risorse dei vari piani infrastrutturali a favore del riequilibrio verso la Sardegna con la definizione degli interventi nell'ambito della piastra logistica euro mediterranea e interventi in grado di eliminare il grave gap infrastrutturale sul fronte ferroviario, stradale e connettivo strategico;
   se il Governo non ritenga urgente definire un'apposita iniziativa normativa per la definizione di un nuovo regime di entrate per la Sardegna in considerazione della sua condizione insulare con l'attuazione della zona franca integrale come strumento di riequilibrio del divario industriale;
   se il Governo non ritenga di dover assumere iniziative per definire concretamente la partita delle entrate oggetto di ricorsi alla Corte costituzionale per le quali il comportamento dello stesso Governo in carica è risultato a giudizio degli interpellanti inaccettabile;
   se non ritenga di dover predisporre iniziative concrete tese all'attuazione dell'articolo 14 dello statuto speciale della Sardegna con l'immediata dismissione del patrimonio militare relativo a immobili ubicati in aree strategiche per lo sviluppo delle comunità locali e occupate da servitù militari inutilizzate o sottoutilizzate;
   se il Governo non ritenga di dover far cessare, per quanto di competenza, la distruzione ambientale e naturalistica nelle aree militari della Sardegna e di dover predisporre un piano di riconversione delle aree oggetto di servitù militari di cui la Sardegna continua ad essere gravata;
   se non ritenga di adottare iniziative normative di rango costituzionale, nel rispetto delle procedure previste dall'ordinamento, volte a prevedere l'effettuazione di un referendum popolare, analogo a quello svoltosi in altri Paesi europei, teso a sottoporre ai cittadini sardi il quesito circa la possibilità di un processo di conseguimento di più intense e significative forme di autodeterminazione.
(2-00969) «Pili, Pisicchio».
(12 maggio 2015)

I)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   nel 1994 L'Unità spa in capo al Pds va in liquidazione;
   nella legge 11 luglio 1998, n. 224, «Trasmissione radiofonica dei lavori parlamentari e agevolazioni per l'editoria», all'articolo 4, successivamente abrogato dal decreto-legge 1o ottobre 2007, n. 159, si legge:
    a) la corresponsione delle rate di ammortamento per i mutui agevolati concessi ai sensi dell'articolo 12 della legge 25 febbraio 1987, n. 67, e dell'articolo 1, comma 1, della legge 14 agosto 1991, n. 278, può essere effettuata anche da soggetti diversi dalle imprese editrici concessionarie, eventualmente attraverso la modifica dei piani di ammortamento già presentati dalle banche concessionarie, purché l'estinzione dei debiti oggetto della domanda risulti già avvenuta alla data della stessa e comunque prima dell'intervento del soggetto diverso. In tale evenienza, ferma restando la trasferibilità della garanzia primaria dello Stato già concessa ai sensi dell'articolo 2 della legge 8 maggio 1989, n. 177, e dell'articolo 1, comma 3, della legge 14 agosto 1991, n. 278, viene parimenti modificata in conformità la corresponsione delle rate di contributo in conto interessi a carico dello Stato;
    b) la garanzia concessa a carico dello Stato applicata per capitale, interessi anche di mora ed indennizzi contrattuali è escutibile a seguito di accertata e ripetuta inadempienza da parte del concessionario ovvero a seguito di inizio di procedure concorsuali;
   il 14 febbraio 1998 il Pds al termine degli stati generali della Sinistra, con larga maggioranza confluisce nei Democratici di Sinistra «Ds»;
   secondo le rivelazioni del servizio «Paga Pantalone» trasmesso dal programma tv Report, andato in onda il 10 maggio 2015, i debiti del Pds nel 2000 ammontavano a 82.585.000 euro con Banca nazionale del lavoro, 32.645.000 euro con Banca Imi (ora Banca Intesa) e 10.124.000 euro con Efi Banca (ora Banco Popolare), per un totale di 125.000.000 euro;
   nello stesso anno i Ds concordano con le banche creditrici la possibilità di ristrutturare il debito, caricando sui propri bilanci le rate concordate per l'estinzione della totalità del debito;
   nel 2001 i debiti ammontavano a 82.585.000 euro con Banca nazionale del lavoro, 32.645.000 euro Banca Imi (ora Banca Intesa) e 10.124.000 euro con Efi Banca (ora Banco Popolare), per un totale di 125.000.000 euro;
   nel 2007 gli immobili di proprietà dei Ds vengono trasferiti alla «Fondazione duemila» e nel 2008, dopo la trasformazione del partito Ds in una nuova compagine chiamata Pd, viene interrotto il pagamento delle rate concordate con le banche creditrici;
   nel 2007 con il decreto-legge 1o ottobre 2007, n. 159, viene abrogato l'articolo 4 della legge 11 luglio 1998, n. 224;
   oltre che a Bologna e in Emilia-Romagna, sembra che le stesse operazioni di trasferimento con modalità analoghe siano state effettuate in altre regioni italiane e, in base all'inchiesta giornalistica, il patrimonio immobiliare trasferito sembra essere pari a circa 500 milioni di euro;
   dall'inchiesta di Report gli interpellanti vengono a conoscenza di un documento allegato alla rendicontazione contabile dei Ds datato 24 gennaio 2002, nel quale vengono indicate strane richieste di intervento «politico» e, in particolare, una frase riportata in calce nel documento conferma: «effettuare un intervento “politico” sul debito del partito derivante da mutui editoria al fine di trasferire tale debito allo Stato, il quale peraltro ne è già garante»;
   il giornalista Emanuele Stefano Bellano, nella trasmissione Report «La causa persa» chiede all'ex tesoriere dei Pds, ora senatore Sposetti, vero artefice del trasferimento degli immobili: «mi viene da pensare che questa è stata una strategia, una mossa calcolata e strategica?»; il senatore Sposetti afferma «che cosa vuole dire (...) che sono stato bravo?»; inoltre, il senatore afferma: «il debitore è morto. Se il debitore muore che succede? Il debitore è morto. Scusate, voi ragionate (...) Voi andate alla ricerca non si sa di che cosa (...) Ci sono le norme, ci sono i rogiti, ci sono le autorità preposte e in questo caso un magistrato civile ha detto: guarda signor Stato che devi pagare tu! Chiaro?»;
   ancora più grave a detta degli interpellanti sembrano queste affermazioni dell'ex tesoriere, oggi senatore del Pd, partito che detiene la maggioranza parlamentare in questo momento, quando afferma: «Se lei da una garanzia a me che mi garantisce fino al 2020 (...) cosa vuole da me (...) la garanzia l'ha data lei (...) le banche quindi vengono a cercare lei (...) è chiaro questo, non le faccia queste cose non dia garanzia (...) e non le conceda vengono a cercare lei (...) cioè se Sposetti chiede la garanzia non le conceda che vengono a cercare lei»;
   il debito risultante ad oggi sembra essere pari a 110.000.000 di euro;
   la società Nuova iniziativa editoriale spa (Nie) è editrice della testata L'Unità ed è dal 1o agosto 2014 sottoposta alla procedura di concordato preventivo innanzi al tribunale di Roma;
   la Nuova iniziativa editoriale spa (Nie), proprietaria della testata editoriale L'Unità dal 2001, è composta da seguenti azionisti: Matteo Fago, per euro 1.350.006 (18 per cento); Gunther reform holding spa, per euro 1.038.466 (13,98 per cento); Montevredi srl, per euro 918.242,00 (12,36 per cento); Società partecipazioni editoriali sa, per euro 129.808 (1,75 per cento); Renato Soru, per euro 115.961 (1,56 per cento); Chiara srl, per euro 81.629 (1,10 per cento); Eventi Italia srl, per 519 euro (0,01 per cento);
   da quanto appreso da fonti giornalistiche (puntata del 10 maggio 2015 del programma Report, in onda su Rai 2), il Partito democratico sembra abbia avuto un ruolo fondamentale nelle scelte gestionali della Nuova iniziativa editoriale spa (Nie). Anzi, il ruolo del Pd nell'amministrazione della società sarebbe andato ben oltre le effettive cariche societarie e amministrative avute all'interno della compagine sociale, alla quale parteciperebbe per il tramite della società Eventi Italia srl (con una partecipazione dello 0,01 per cento);
   dalle dichiarazioni rilasciate da Matteo Fago (socio di maggioranza della Nuova iniziativa editoriale spa), infatti, si apprende che il Pd avrebbe «in un modo o nell'altro» sempre imposto le proprie scelte, nonostante la partecipazione dello 0,01 per cento;
   tale ingerenza nella gestione, a fronte di una partecipazione dello 0,01 per cento, sarebbe stata resa possibile da un accordo riservato stipulato con i soci di Nuova iniziativa editoriale spa (Nie), in virtù del quale il Pd, per il tramite della Eventi Italia srl, avrebbe avuto il diritto di nominare un consigliere di amministrazione, a indicare il presidente, l'amministratore delegato e il direttore, nonché il compito di «autorizzare» l'approvazione dei bilanci e dei piani industriali della società;
   l'esistenza dell'accordo risulterebbe addirittura confermata da Matteo Orfini, attuale presidente del Pd, il quale non solo non ha ritenuto di smentirlo ma ha scaricato ogni responsabilità all'ex tesoriere del partito Antonio Misiani, che ha a sua volta ha confermato l'esistenza del patto parasociale (al fine di «tutelare il legame politico tra Partito democratico e un giornale che è la voce storica della sinistra italiana»);
   il ruolo del Pd nella gestione di Nuova iniziativa editoriale spa (Nie) è confermato anche dal decreto del tribunale di Roma del 24 marzo 2015, con il quale è stata dichiarata l'apertura della procedura di concordato preventivo, ove si legge che al fine di fronteggiare le perdite della società nell'anno 2010 «si avviava un restyling del formato del quotidiano, passando dal tabloid al berliner, concludendo un importante accordo con il Pd in relazione alla piattaforma editoriale Pdlive, che prevedeva il contributo del partito per 1,6, milioni di euro su base annua per il triennio 2013-2015, a fronte di 57.043 abbonamenti digitali giornalieri di minimo garantito. Tale contratto è stato modificato dal Pd con un notevole impatto economico e finanziario sulle prospettive di sviluppo della società»;
   l'attenzione degli interpellanti si pone sulle interviste di Report e, soprattutto, sullo scorcio riferito alle parole di Mian: «Noi ci mettemmo 3 milioni. Altri 4 milioni, che poi sono diventati 6 per la telefonata di Bersani a Miami il Natale del 2012, Natale del 2012, che lei mi ha detto “è, Bersani”. E crollava la società, non c'erano più soldi per gli stipendi, non c'era la cosa. Bersani dice “ma Maurizio bisognerebbe vedere, come si fa, dobbiamo cercare una maniera per vedere se possiamo sistemare queste cose, dobbiamo vedere come si fa, vedere (...)”. Dico “senti, guarda, io sono a Miami, che ti devo dire? Mandami qualcuno a Miami”. E lui dice “ma sì, ma sì, ma sì ti mando qualcuno a Miami, ti mando qualcuno lì”. Poi dopo ci siamo messi d'accordo: “senti è inutile che tu venga qui a Miami, tanto questi soldi ce li devo mettere”. Mi hanno detto: “grazie, grazie”»;
   parole con le quali in pratica Mian descrive come i vertici del Partito democratico, nello specifico l'ex segretario Pier Luigi Bersani, per tramite dell'attuale presidente del Partito democratico Orfini abbiano, secondo gli interpellanti, in modo scandaloso elemosinato il finanziamento della testata da parte del socio di minoranza Mian, il quale ha complessivamente versato nelle casse della testata giornalistica più di nove milioni di euro in quanto, così come si apprende dal seguito dell'intervista, era interessato ad aver degli spazi tematici all'interno della programmazione televisiva delle reti pubbliche, in particolare, a detta del giornalista di Report, per «promuovere un modello rivoluzionario di famiglia: non più moglie e marito, ma un gruppo di cinque: tre ragazze, due ragazzi e l'immancabile pastore tedesco. Dove la sessualità ha un ruolo centrale ed è praticata in una versione innovativa, programmata e promiscua e non esclude nemmeno il cane Gunther. Un modello che Mian vuole diffondere attraverso la tv»;
   appare ancora più scandaloso, sempre ad avviso degli interpellanti, il fatto che la testata giornalistica L'Unità, che fino al 2014 ha preso il contributo dello Stato come organo informativo del partito politico Democratici di sinistra, ora Partito democratico, attuale partito di Governo, il cui segretario e Presidente del consiglio dei ministri, Matteo Renzi, ha più volte affermato di voler attuare una vera lotta all'evasione fiscale, sia stato finanziato dallo stesso Mian grazie a risorse, inizialmente occultate al fisco, per le quali sempre Report ricorda: «Veri sono invece i 130 milioni che il suo padrone Maurizio Mian incassa vendendo la ditta farmaceutica di famiglia, l'Istituto Gentili di Pisa, all'americana Merck. Maurizio Mian sfrutta poi lo scudo fiscale e fa rientrare in Italia il tesoretto depositato in Liechtenstein. Crea una fondazione con sede alle Bahamas e vi pone come beneficiario il cane Gunther. Con i soldi di questa fondazione nel 2012 acquista le azioni de L'Unità. E diventa il socio di maggioranza del giornale fondato da Antonio Gramsci»;
   dalle interviste pubblicate da Report sembra dedursi che la stessa partecipazione del gruppo Veneziani e Pessina nella procedura di concordato, diretta all'acquisizione della testata giornalistica, sarebbe stata previamente concordata con il Pd;
   vi sarebbero state poi anche attività di dispersione del patrimonio aziendale, al fine di fuggire ad eventuali esecuzioni dei creditori, e che sarebbero state poste in essere nell'anno 2007 attraverso la costituzione di un'apposita fondazione (nella quale sarebbero confluiti i beni della società);
   inoltre, è emerso che la compagine sociale sarebbe composta da soci (nel servizio si fa riferimento alla Gunther reform holding spa) beneficiari dello scudo fiscale; circostanza questa inaccettabile ove si considerino i contributi pubblici ricevuti dal giornale;
   a tutto ciò si aggiunge il rischio che il debito della società finisca per gravare sui conti pubblici. Al riguardo, sempre dal servizio di Report si è appresa dell'emissione di tre decreti ingiuntivi da parte del tribunale di Roma (per complessivi 95 milioni di euro) che avrebbero condannato al pagamento del debito de L'Unità la Presidenza del Consiglio dei ministri. Circostanza questa che, se confermata, sarebbe davvero intollerabile considerato che L'Unità, al pari di altri giornali, ha già ricevuto contributi pubblici per milioni di euro –:
   se confermino i fatti in premessa, in particolare l'esistenza di decreti ingiuntivi a carico della Presidenza del Consiglio dei ministri per debiti relativi a L'Unità ed in generale il rischio che l'esposizione debitoria della società Nuova iniziativa editoriale spa (Nie), editrice della testata L'Unità, possa finire per gravare sui conti pubblici;
   se tale soluzione, qualora confermata, possa configurarsi come illecito aiuto di Stato e, quindi, comportare una sanzione da parte dell'Unione europea;
   se ritengano che possa sussistere una responsabilità pubblica in merito all'esposizione debitoria della testata giornalistica L'Unità e, conseguentemente, il rischio che tale esposizione possa gravare sulle casse dello Stato;
   se siano a conoscenza del patto parasociale che è stato stipulato dal Pd per la gestione interna della Nuova iniziativa editoriale spa (Nie);
   se siano a conoscenza delle richieste, riportate nel documento riservato richiamato in premessa, in quanto nella sezione «Interventi da avviare subito con effetti di medio periodo entro il 2004», al punto 1, si legge «effettuare un intervento “politico”, sul debito del partito derivante da mutui editoria al fine di trasferire tale debito allo Stato, il quale peraltro ne è già garante», e di quali ne siano gli eventuali esiti;
   se al Governo risulti quale sia il valore totale degli immobili trasferiti in capo a fondazioni o società immobiliari, che secondo l'inchiesta di Report, ammonterebbero a circa 500 milioni di euro;
   se la «Fondazione duemila», proprietaria dell'immobiliare «Porta di castello», riceva fondi pubblici nazionali o europei;
   se non intendano intervenire repentinamente sulla vigente normativa per porre fine alla possibilità per cittadini, società e partiti politici insolventi di nascondere e distrarre l'eventuale patrimonio aggredibile da parte dei creditori per trovare ristoro attraverso le fondazioni, eludendo in questo modo gli obblighi contrattuali;
   se, anche in seguito alle dichiarazioni rese dal senatore Sposetti, che, ad avviso degli interpellanti, documenterebbero la premeditazione delle azioni finalizzate alla costruzione dello strumento per la distrazione dei beni immobiliari, non intendano valutare se sussistano i presupposti di fatto e di diritto per rivalersi sul Partito democratico, che, tra l'altro, rappresenta il partito di maggioranza che sostiene il Governo;
   se possano confermare l'importo totale del debito ad oggi, che sembra essere pari a 110.000.000 di euro;
   se, qualora il Governo facesse ricorso avverso i decreti ingiuntivi e qualora tale ricorso fosse accolto, non ritengano che i crediti in sofferenza che ne deriverebbero possano rientrare tra quelli assegnati alla cosiddetta bad bank, al cui progetto il Governo sta lavorando, con ciò nuovamente trasferendo tale debito allo Stato.
(2-00982) «Villarosa, Alberti, Pesco, Cancelleri, Ruocco, Fico, Businarolo, Sorial».
(19 maggio 2015)

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