TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 473 di Venerdì 31 luglio 2015

 
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INTERPELLANZE URGENTI

A)

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   in queste ore si è formalmente perfezionato l'annunciato acquisto di Tirrenia da parte dell'armatore Vincenzo Onorato, per la somma complessiva – così trapela da fonti giornalistiche – di 100 milioni di euro;
   attraverso la liquidazione dei tre ex soci del gruppo – fondo Clessidra, Gip e Shipping Investment – Onorato acquisisce il 100 per cento della proprietà azionaria della compagnia di navigazione e, congiungendo il nuovo acquisto alla proprietà di Moby Lines, realizza il controllo assoluto del 95 per cento dei collegamenti marittimi tra la Sardegna e la penisola;
   in questa maniera si conclude la singolare parabola del processo di privatizzazione della ex compagnia di navigazione dello Stato: dal monopolio pubblico della navigazione al monopolio privato, dopo anni nei quali le tariffe della Tirrenia privatizzata sono schizzate progressivamente alle stelle, senza che mai vi fosse una corrispondente implementazione della qualità e quantità del servizio;
   il monopolio privato delle tratte marittime della Sardegna oggi è formalmente una realtà, quindi anche la palese infrazione della logica che ispira e delle norme che regolano la libera concorrenza, sistema ideologico sulla base del quale iniziò vent'anni fa l'era delle privatizzazioni;
   al di là della palese violazione della «filosofia» del libero mercato, va ribadito che esiste un diritto alla mobilità di ogni cittadino della Repubblica, che trae ispirazione dai valori e principi inscritti nella Costituzione, perciò anche di coloro che vivono in un'isola;
   tale diritto dei cittadini sardi risulta palesemente limitato, innanzitutto, da una condizione di insularità che – incredibilmente ancora nel 2015 – condiziona pesantemente gli spostamenti da e verso la Sardegna, in secondo luogo dai disservizi, dalle carenze qualitative e quantitative del servizio e dal progressivo incremento delle tariffe;
   la politica della cosiddetta «continuità territoriale» – quella aerea e quella marittima – fin qui non solo non ha funzionato, ma si è dimostrata un vero e proprio fallimento, incidendo pesantemente sia sul comparto turistico, che in questi ultimi anni ha subito importanti contrazioni laddove al peggioramento generalizzato delle condizioni di vita delle persone si è aggiunta l'esplosione delle tariffe (per una famiglia venire in nave in Sardegna oggi può costare fino a 1000 euro), che su quello commerciale, fortemente penalizzato sia nell’export che nelle importazioni dal costo esorbitante del trasporto merci;
   in Sardegna il dato saliente della cosiddetta crisi economica è la sua strutturalità, in quanto non si tratta di una fase transitoria ma di un dato ormai – in assenza di un mutamento di segno nella considerazione dello Stato – consolidato: da una parte, il collasso del sistema produttivo sardo, la chiusura della maggior parte degli impianti produttivi industriali e la crisi generalizzata di tutti i comparti, dall'altra, l'oggettiva impossibilità che l'economia sarda possa riorganizzarsi e risorgere, in assenza di una strategia pubblica di rinascita economica e sociale della Sardegna, innanzitutto di una politica del trasporto pubblico delle persone e delle merci;
   in questi giorni cresce la preoccupazione nell'isola circa il rischio che il neonato monopolio privato della navigazione possa ulteriormente produrre un aggravio nei costi e un peggioramento della situazione esistente;
   il 6 luglio 2015 la regione Sardegna, che già aveva espresso – insieme con la grande parte della rappresentanza politica sarda – forte preoccupazione per la trattativa in corso fra Onorato e i soci di Tirrenia, ha depositato un esposto all'Autorità garante della concorrenza e del mercato nella quale si mette in evidenza il «rischio» di monopolio –:
   se con riferimento ai collegamenti fra la Sardegna e la penisola non ritenga di dover assumere ogni iniziativa di competenza per promuovere la concorrenza, la riduzione delle tariffe e l'effettiva esigibilità del diritto alla mobilità per tutti i cittadini.
(2-01042)
«Piras, Zaccagnini, Franco Bordo, Quaranta, Duranti, Ricciatti, Nicchi, Scotto».
(21 luglio 2015)

B)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   per effetto della legge di stabilità 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190, articolo 1, comma 526), che reca disposizioni in materia di spese a carico dei comuni per gli uffici giudiziari, e, a seguito della modifica del secondo comma dell'articolo 1, della legge 24 aprile 1941, n. 392, viene disposto il trasferimento, a partire dal 1o settembre 2015, delle competenze in materia di uffici giudiziari e delle relative spese obbligatorie, dai comuni al Ministero della giustizia;
   il comune di Forlì, dopo approfondite verifiche e alla luce del parere espresso da parte degli uffici comunali competenti, ha dovuto assolvere all'obbligo imposto dalla legge e, di conseguenza, non potrà più farsi carico di oneri e servizi garantiti sino ad oggi, anche fronte dei pesanti tagli nei trasferimenti statali che, solo nel 2015 e in forza degli obblighi imposti, hanno colpito l'ente per oltre 7 milioni di euro;
   nonostante siano emersi con evidenza i problemi collegati al nuovo scenario così delineatosi, non sono ancora state rese note le modalità, le tempistiche e le risorse attraverso le quali lo Stato si farà carico dei costi e gestirà l'erogazione di quei servizi fino ad oggi garantiti dall'amministrazione presso il palazzo di giustizia;
   se questa situazione gravissima non dovesse cambiare (il comune infatti, pur confermando la massima disponibilità nella prima fase di transizione, non pagherà più le bollette) si rischierebbe in poche settimane la paralisi totale e, di conseguenza, la chiusura di un tribunale «macina fascicoli», al terzo posto in regione per produttività, che genera un notevole indotto;
   in occasione della «Giornata della giustizia», tribunale e procura hanno reso noti anche i dati dell'attività, aggiornati alla fine del 2014: una mole di lavoro incredibile, ma soprattutto un'operosità in netto contrasto con le accuse rivolte alla categoria, testimoniata dalla diminuzione dei fascicoli pendenti, nonostante i nuovi procedimenti aperti;
   l'accorpamento della soppressa sede distaccata di Cesena ha praticamente raddoppiato il carico di lavoro del tribunale che conta 61 dipendenti in servizio, a fronte di una pianta organica di 74 unità. A ciò va aggiunto che entro il 2016 sono previsti 9 pensionamenti, di cui 3 entro novembre 2015;
   allo stato, l'unico supporto previsto è l'assegnazione di tre amministrativi provenienti dalla provincia: personale ovviamente sprovvisto di competenze specifiche, che necessiterà di formazione da parte dei dipendenti più esperti –:
   se non intenda intervenire per salvaguardare la funzionalità e operatività del sistema giustizia forlivese, oltre che per ovviare alla carenza di personale amministrativo.
(2-01035) «Molea, Mazziotti Di Celso».
(14 luglio 2015)

C)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   era il 17 settembre 2013 quando l'allora Ministro per gli affari regionali, le autonomie e lo sport Graziano Delrio, partecipava, nel salone d'onore del Coni, alla presentazione dei mondiali di ciclismo che si sarebbero tenuti dal 22 al 29 settembre del 2013, in Toscana. All'evento erano presenti il presidente del Coni Giovanni Malagò, il precedente sindaco di Firenze (oggi Presidente del Consiglio dei ministri) Matteo Renzi con gli altri sindaci delle quattro città toscane attraversate dai mondiali e il presidente della Federazione ciclistica italiana, Renato Di Rocco;
   «un evento reso possibile da un grande lavoro collettivo – affermava il Ministro Delrio –, con pochi mezzi pubblici, realizzato grazie al Coni, a enti nazionali e locali, a privati, interessati a regalare all'Italia questa occasione»;
   sono passati due anni dalla fine dei mondiali di ciclismo, purtroppo però a Firenze ci sono ancora molte aziende che devono essere pagate per il lavoro compiuto in quell'evento sportivo: una stima, al ribasso, parla di almeno 1,5 milioni di euro che il comitato organizzatore deve ancora saldare ad almeno una ventina di piccole e medie imprese;
   la manifestazione ha portato lustro e visibilità alla Toscana, ma una volta spenti i riflettori sulla kermesse iridata un aspetto è apparso subito chiaro: regione e comuni hanno celebrato il successo della manifestazione a scapito di molti imprenditori toscani, che non hanno mai incassato ciò che era loro dovuto, da un minimo di 10 mila a un massimo di svariate centinaia di migliaia di euro, e che in qualche caso rischiano tuttora di dover chiudere l'attività per le fatture inevase dagli organizzatori del mondiale;
   anche se gli enti locali da parte loro hanno dichiarato di avere regolarmente pagato ciò che avevano messo a bilancio per la manifestazione, ciò non significa che debbano «lavarsi le mani» di fronte ai mancati pagamenti dei fornitori da parte del comitato organizzatore, anche perché molti imprenditori hanno accettato di lavorare per l'evento a fronte di acconti minimi, proprio per il ruolo di «garanzia» che avevano i comuni e la regione Toscana;
   il comitato ha sottolineato che i ritardi nell'erogazione del fondi ai creditori sono avvenuti a causa della mancanza di puntualità dei trasferimenti da parte degli enti locali e che, se questi fossero pervenuti regolarmente e tempestivamente, la situazione contabile sarebbe in perfetto equilibrio;
   giova ricordare che al comitato i comuni interessati hanno destinato 1,3 milioni di euro, mentre la regione Toscana ha contribuito con 400 mila euro dei 18,5 milioni di euro complessivi stanziati, serviti anche per riasfaltare le strade interessate dalle gare. Quello toscano è stato uno dei mondiali più costosi della storia: oltre 40 milioni di euro, a fronte degli 11 milioni di euro spesi per Mendrisio 2009 e dei 10 milioni di euro di Copenaghen 2010;
   a due anni di distanza dal mondiale, alcune aziende hanno intrapreso azioni legali, mentre altre hanno preferito seguire canali extragiudiziali nella speranza di rientrare del credito. Sembrerebbe inoltre che alcune aziende siano invece state pagate e perciò sarebbe interessante conoscere con quale criterio siano state scelte;
   la cifra che attualmente la Federazione ciclistica italiana sembra avere a disposizione, meno di 1,2 milioni di euro, non è sufficiente a risolvere la pesante situazione creditoria ancora pendente;
   in ogni caso sarebbe opportuno appurare effettivamente se i comuni e la regione Toscana siano ancora debitori nei confronti del comitato organizzatore dei mondiali di ciclismo 2013, evento sul quale il Governo di allora tanto aveva puntato, per dare lustro all'immagine del Paese e della Toscana in particolare, e per promuovere l'ulteriore diffusione di questo sport –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa e di quali ulteriori elementi disponga al riguardo;
   se il Governo sia consapevole della pesante ricaduta occupazionale negativa che avrebbe l'eventuale chiusura delle numerose aziende ancora creditrici, ove i diretti responsabili non decidano, senza ulteriori ritardi, di rimborsare i crediti tuttora esistenti nei confronti di numerose imprese che rischiano di chiudere le attività nel caso in cui non riescano a rientrare degli investimenti fatti in occasione dei mondiali di ciclismo svoltisi a Firenze nel 2013;
   se risulti al Governo che alcune aziende siano già state soddisfatte nei loro crediti e, in caso affermativo, se sia noto in base a quale criterio siano state individuate.
(2-01040) «Borghesi, Fedriga».
(21 luglio 2015)

D)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   le sentenze della Corte di cassazione n. 14225 e n. 14226 pubblicate l'8 luglio 2015 escludono l'applicabilità dell'esenzione dall'Ici ad una scuola pubblica paritaria non lucrativa in ragione della presunta natura commerciale delle modalità con la quale la medesima svolge le sue pubbliche funzioni;
   pur vertendosi in materia relativa all'Ici per avvisi di liquidazioni afferenti gli anni 2004-2009, la suprema Corte di cassazione ha scelto di utilizzare, a fini della motivazione della decisione, la normativa intervenuta nel 2012 da parte del Governo pro tempore Monti per superare i sollevati dubbi di non conformità alla normativa europea in materia di aiuti di Stato della disciplina delle esenzioni in materia di imposta comunale sugli immobili;
   la Corte di cassazione fa menzione dell'articolo 91-bis del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, che aveva esteso l'esenzione limitatamente alle attività, seppure fiscalmente commerciali, ma svolte con modalità non commerciali. Non viene invece richiamato dalla Corte di cassazione il decreto ministeriale n. 200 del 2012 con il quale è stato precisato quando un'attività didattica, anche di natura fiscalmente commerciale, è svolta con modalità non commerciali; l'articolo 4 del citato decreto dispone infatti che lo svolgimento di attività didattiche si ritiene effettuato con modalità non commerciali se:
    a) l'attività è paritaria rispetto a quella statale e la scuola adotta un regolamento che garantisce la non discriminazione in fase di accettazione degli alunni;
    b) sono comunque osservati gli obblighi di accoglienza di alunni portatori di handicap, di applicazione della contrattazione collettiva al personale docente e non docente, di adeguatezza delle strutture agli standard previsti, di pubblicità del bilancio;
    c) l'attività è svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell'assenza di relazione con lo stesso;
   inoltre, nel modello di istruzioni delle dichiarazioni dei redditi derivanti da attività fiscalmente commerciali degli enti non commerciali, ciò viene specificato con chiarezza mediante il rinvio al seguente indirizzo web http://hubmiur.pubblica. istruzione.it/web/istruzione/dg-ordinamenti/scuola-non-statale-/imutasi ai fini della determinazione del costo medio per studente (che non è ancora il costo standard, ma ne è il progenitore) per stabilire la modalità non commerciale dell'attività didattica. In sostanza, si stabilisce che se il corrispettivo medio è inferiore o uguale al costo medio per studente significa che l'attività didattica è svolta con modalità non commerciali e quindi non è assoggettabile ad imposizione Imu;
   le scuole paritarie facenti parte del sistema nazionale integrato dell'istruzione pubblica certamente operano nell'ambito del no profit, atteso semmai che lo spazio concorrenziale è interesse delle scuole private operanti a fini di lucro. Le scuole pubbliche paritarie fanno servizio pubblico e lo fanno spesso proprio laddove il pubblico statale non arriva. Lo fanno per bambini ricchi e bambini poveri. Per bambini cattolici, valdesi, ebrei e musulmani. Lo fanno per tutti i bambini;
   oggi circa un milione di studenti risulta iscritto presso uno degli oltre 13 mila istituti scolastici paritari;
   di qui la necessità, tornando al caso di specie, che vi sia una corretta pronuncia da parte della commissione tributaria regionale della Toscana cui la Corte di cassazione ha rinviato il giudizio e che dovrà decidere definitivamente la vicenda tutta da valutarsi nell'ambito della visione europea;
   in verità, è proprio la visione europea, esplicitata in ben due risoluzioni del Parlamento europeo del 1984 e del 2012 in materia di libertà di scelta educativa, che indica la soluzione di fondo: in un quadro giuridico nazionale appropriato, le scuole che non sono gestite dallo Stato possono favorire lo sviluppo di un'educazione di qualità, e l'adeguamento dell'offerta formativa alla domanda delle famiglie. Per questo gli Stati sono tenuti ad accordare alle scuole (paritarie) le sovvenzioni pubbliche necessarie allo svolgimento dei loro compiti e all'adempimento dei loro obblighi in condizioni uguali a quelle di cui beneficiano gli istituti pubblici corrispondenti, senza discriminazione nei confronti degli organizzatori, dei genitori, degli alunni e del personale;
   ciò può avvenire, nel rispetto degli articoli 33 e 118, ultimo comma, della Costituzione, in forma analoga a quanto già si verifica in Italia per il Servizio sanitario nazionale, mediante l'individuazione del costo standard in materia di servizi pubblici essenziali quale appunto è quello dell'istruzione e con la conseguente determinazione e attribuzione della quota capitaria (ora prevista della delega di cui al comma 185 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015, «Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti»), per studente da conferirsi a tutti gli istituti scolastici pubblici e quindi anche a quelli paritari –:
   quali iniziative urgenti, se necessario anche di tipo normativo, intenda adottare al fine di evitare interpretazioni non aderenti al chiaro dettato normativo in materia fiscale citato in premessa e per accelerare la determinazione e l'attribuzione della quota capitaria prevista della delega di cui al comma 185 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015, al fine di adeguare il sistema nazionale dell'istruzione alle citate risoluzioni del Parlamento europeo, oltre che per evitare conseguenze negative sul piano della tenuta dei conti pubblici, derivanti dal dover eventualmente far fronte all'ingresso di circa un milione di studenti, attualmente iscritti nel sistema scolastico paritario ove, anche per effetto di pronunce giudiziali, le scuole paritarie si trovassero costrette a chiudere o a richiedere il pagamento di rette molto più alte rispetto agli attuali costi medi per studente individuati dal Ministero dell'economia e delle finanze.
(2-01049)
«Gigli, Rubinato, Sberna, Dellai, Rotta».
(28 luglio 2015)

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