TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 477 di Martedì 8 settembre 2015

 
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INTERPELLANZA E INTERROGAZIONI

A) Interpellanza

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   guadagnano 2 euro e 50 centesimi l'ora e lavorano tra le 12 e le 14 ore al giorno. Nessuno versa loro i contributi e non hanno alcun diritto riconosciuto. È questa la vergognosa realtà degli «invisibili» extracomunitari delle campagne del Fucino (provincia dell'Aquila). Sono oltre 2 mila le aziende agricole del territorio e sono impiegati 9.500 braccianti. Il fenomeno del caporalato è particolarmente accentuato nel Fucino perché ci sono molti immigrati non in regola con il permesso di soggiorno, che, di conseguenza, non possono far valere i loro diritti: questi «invisibili» delle campagne del Fucino non hanno nome e per questo spesso non possono essere aiutati;
   dalla Marsica, partono insalate e ortaggi destinati ai mercati del Nord Europa e a prevalere non sarebbe la legge del mercato, ma quella della malavita che impone prezzi e regole. Ci sono 400 mila persone in tutta Italia che vivono in questa situazione, 100 mila dei quali rischiano la schiavitù: i braccianti sono costretti ad accettare il volere del caporalato senza poter dire una parola perché hanno bisogno di quei soldi. La maggior parte dei braccianti impiegati nelle terre del Fucino è di origine marocchina, romena e albanese;
   secondo uno studio del sindacato ci sarebbero attualmente 9.500 braccianti a rischio «schiavitù» nel Fucino. L'Inail ha comunicato che una quota rilevante dei finanziamenti destinati all'adeguamento delle cabine dei trattori riguarda l'Abruzzo: su un totale di 5 mila domande ben 1.200 interessano il Fucino. Secondo il direttore dell'Inps Abruzzo, «nel Fucino ci sono molti casi di “agricoltori” che lavorano e hanno dipendenti irregolari, senza neanche avere un campo di proprietà. L'attività ispettiva nella Marsica è stata molto intensa e ci siamo resi conto che ci sono molte truffe difficili da scoprire»;
   secondo il sindacato c’è un legame strettissimo tra il Fucino, l'Agro pontino e il Casertano: molti braccianti vengono assunti qui perché le aziende usufruiscono degli sgravi dell'Abruzzo e poi vanno a lavorare a Caserta o a Fondi. Vi sono state delle segnalazioni di lavoratori con regolare contratto di lavoro ai quali viene corrisposto però il 30 per cento del compenso dovuto, un vero e proprio ricatto che viene fatto per permettere loro di avere poi la disoccupazione agricola. Lo sfruttamento e il caporalato nella Marsica sono una realtà drammatica;
   vi sono numerose vertenze aperte di aziende che non pagano i contributi a centinaia di lavoratori coinvolti –:
   se non intendano intervenire coinvolgendo regione Abruzzo, enti locali e parti sociali per mettere in campo strumenti volti a far emergere e sconfiggere la piaga del caporalato nella zona del Fucino.
(2-00973) «Melilla».
(13 maggio 2015)

B) Interrogazioni

   ANTIMO CESARO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   l'entrata in vigore della «legge Delrio» (legge 7 aprile 2014, n. 56, «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni»), che rinnova l'assetto istituzionale degli enti locali italiani ridefinendone confini e competenze, rischia di compromettere la sopravvivenza di decine di musei, biblioteche e archivi di enti locali presenti sul territorio italiano e, in particolare, nella regione Campania;
   in base alle nuove disposizioni legislative, infatti, tutti i beni e i servizi culturali, fino ad ora di competenza provinciale, dovranno essere amministrati e finanziati da altri enti che non sono stati ancora individuati;
   le sezioni nazionali delle principali associazioni di musei, archivi e biblioteche (Icom, Anai, Aib) hanno aderito e promosso una campagna di mobilitazione nazionale («A chi compete la cultura ?») per portare in luce i problemi introdotti dalla «riforma Delrio» sulla gestione del patrimonio culturale delle province, segnalando la necessità di scongiurare il pericolo che un'assegnazione non oculata delle competenze comprometta definitivamente la conservazione, la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale dei territori;
   costituiscono doveri istituzionali improrogabili:
    a) tutelare il funzionamento di centinaia di musei, biblioteche, archivi, istituti e sistemi culturali in tutta Italia, fino a oggi di competenza delle province e la salvaguardia del patrimonio da loro conservato e valorizzato;
    b) garantire l'apertura, la continuità, la qualità dei servizi culturali dei suddetti istituti e il funzionamento delle tante reti e sistemi che gravitano attorno ad essi;
    c) salvaguardare le competenze di centinaia di operatori culturali;
    d) garantire continuità ai progetti europei e agli accordi nazionali e internazionali che questi istituti culturali hanno in essere;
    e) garantire che gli enti e le istituzioni chiamati a decidere in merito alla gestione dei beni culturali delle province riformate effettuino scelte gestionali che non depotenzino o dequalifichino gli istituti culturali coinvolti;
   in data 9 marzo 2015 durante l'esame del disegno di legge di riforma costituzionale presso la Camera dei deputati è stato accolto l'ordine del giorno n. 44, a prima firma dell'onorevole Rampi, che impegna il Governo «a valutare l'opportunità di adottare utili iniziative, in un quadro di competenza condivisa con le Autonomie, in cui la tutela dell'interesse pubblico, soddisfatto da queste istituzioni, trovi nel Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo il riferimento per definirne il futuro» –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare in merito alle problematiche sopra esposte. (3-01396)
(25 marzo 2015)

   PICCOLI NARDELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   i musei, le biblioteche, gli archivi, gli edifici storici e gli istituti culturali sono parte fondamentale del patrimonio culturale italiano;
   l'Esecutivo ha più volte sottolineato come la crescita economica del nostro Paese passi anche dal rilancio dello straordinario patrimonio culturale italiano;
   con l'entrata in vigore della legge 7 aprile 2014, n. 56, recante «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», tutte le strutture e i servizi culturali – ovvero musei, biblioteche, archivi, istituti e sistemi culturali in tutta Italia – dal 1o gennaio 2015 sono passati dalla competenza provinciale a quella di altri enti, regioni e comuni, che hanno responsabilità amministrativa riguardo i finanziamenti, la gestione delle attività e del personale;
   alla data odierna pochissime amministrazioni pubbliche hanno deliberato facendosi carico delle strutture e dei servizi culturali precedentemente di competenza delle loro province;
   per sensibilizzare la pubblica amministrazione su un tema così urgente per i beni culturali italiani, molte importanti associazioni del settore, tra le quali l’International council of museum – Unesco Italia, l'Associazione italiana biblioteche, l'Associazione nazionale archivistica italiana, il Mab (Coordinamento permanente di musei, archivi e biblioteche) hanno lanciato il 17 gennaio 2015 sul web e su alcuni social network la petizione pubblica «A chi compete la cultura?» indirizzata alle principali istituzioni coinvolte, che ha già raccolto migliaia di firme e che chiede la salvaguardia delle centinaia di musei, biblioteche, archivi diffusi su tutto il territorio nazionale;
   le organizzazioni fondatrici del coordinamento Mab, nella lettera inviata il 5 marzo 2015 alle autorità competenti, sollecitando una risposta sulla sorte dei servizi culturali svolti dalle province in materia di musei, biblioteche e archivi, a seguito dell'applicazione della sopra citata legge, hanno sottolineato che: «si riconoscono nelle posizioni assunte da Anci e Upi là dove esse prevedono che la gestione dei beni e delle attività culturali debba essere “di norma attribuito ai comuni” e ritengono altrettanto “essenziale ed imprescindibile sviluppare – e non smantellare – le azioni di sistema che le province e città metropolitane svolgono a supporto degli istituti culturali locali, in particolare per quelli situati nei comuni più piccoli”, elaborando “formule gestionali e modalità di sostegno al comune capoluogo interessato affinché il servizio bibliotecario o museale possa essere garantito”»;
   sarebbe opportuno: concertare con le associazioni degli enti locali soluzioni gestionali dei beni culturali valide per l'intero territorio nazionale nel quadro dei nuovi scenari istituzionali in corso di definizione; scongiurare il rischio di interrompere servizi pubblici di reti bibliotecarie, di sistemi bibliotecari, di sistemi museali e di reti archivistiche; predisporre soluzioni organiche alla loro gestione;
   il rischio concreto è che per molti dei beni culturali, delle reti di collaborazione e dei progetti nati attorno ad essi, l'applicazione della legge 7 aprile 2014, n. 56, si traduca in una drammatica chiusura o in un drastico ridimensionamento dei servizi essenziali offerti al pubblico;
   gli organi di stampa nazionale già da tempo danno ampia informazione sulle difficoltà dei beni culturali ex provinciali: 4 biblioteche ex provinciali della Puglia rischiano la chiusura e già da qualche giorno hanno dovuto ridimensionare i servizi e gli orari di apertura nonostante siano frequentate da 270.000 utenti ogni anno, posseggono 685.000 documenti fra libri e carte d'archivio; la rete delle biblioteche bellunesi, così come anche alcune delle biblioteche presenti in Cadore, rischiano di chiudere o fortemente ridimensionare un servizio che nel 2014 ha garantito a 17 mila utenti di ottenere 151 mila prestiti di libri, dvd o cd musicali, realizzando un risparmio per la collettività di quasi 3 milioni di euro; la biblioteca provinciale «M. Delfico» di Teramo, la più antica e duratura istituzione culturale del territorio, che nel 2014 ha celebrato il duecentesimo anniversario della propria esistenza, rischia di scomparire per inadempienze della propria amministrazione di competenza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle problematiche esposte in premessa e, in tal caso, quali iniziative intenda avviare al fine di scongiurare l'interruzione delle attività di tutela e valorizzazione dei beni culturali, nonché dei servizi per la pubblica fruizione di musei, archivi e biblioteche. (3-01676)
(ex 5-05136 del 25 marzo 2015)

C) Interrogazione

   LATRONICO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi tempi l'intensità e la violenza delle precipitazioni meteorologiche hanno provocato numerosi episodi con frane e smottamenti di terreno, che hanno determinato l'interruzione forzata della viabilità su diverse infrastrutture stradali in provincia di Matera e Potenza;
   la strada statale n. 407 Basentana attraversa interamente in Basilicata e rappresenta un'arteria stradale fondamentale per la viabilità regionale, in quanto mette in collegamento il Tirreno e lo Jonio, congiungendo l'A3 Salerno-Reggio Calabria alla strada statale n. 106 Jonica dove sorgono circa 100 viadotti con circa 100 campate, la gran parte dei quali in pessimo stato di conservazione;
   in particolare, nel tratto che attraversa i territori di Calciano, Grassano, Garaguso è necessario effettuare verifiche ed indagini tecniche sui viadotti e cavalcavia per il diffuso dissesto del suolo che è un pericolo serio e pone problemi di sicurezza per i cittadini, le attività agricole e produttive. Ci sono voluti 3 anni e 7 mesi per riaprire al traffico il cavalcavia «Calciano 2», dopo un periodo di disagi per gli automobilisti che ha diviso la regione, bloccando i collegamenti tra Potenza e Matera;
   lungo il tratto del raccordo autostradale Potenza-Sicignano degli Alburni si registrano numerosi disagi per gli automobilisti perché da circa tre anni ci sono limitazioni, deviazioni e chiusure visti i nuovi lavori per la messa in sicurezza dei viadotti. L'Anas nei giorni scorsi ha reso noto l'esito di una gara per un investimento di oltre 10 milioni di euro, per il ripristino strutturale dei viadotti Marmo, Torre I e Torre II;
   ne sono conseguite ripetute e gravi difficoltà per le popolazioni di quei territori nei collegamenti stradali e nelle mobilità. Il perdurare dei disagi, oltre a rappresentare concreti pericoli per la sicurezza della circolazione e dei trasporti, comportano, in vista della stagione estiva, un consistente pregiudizio economico per gli operatori turistici, già colpiti dalla crisi economica –:
   quali iniziative intenda adottare al fine di garantire la messa in sicurezza delle reti stradali in Basilicata e dotare la regione di una rete viaria che sia effettivamente a servizio dell'intero territorio.
(3-01463)
(24 aprile 2015)

D) Interrogazioni

   DI LELLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dei fatti accaduti presso il tribunale di Milano, ove sono state uccise tre persone, sono stati adottati diversi provvedimenti finalizzati a garantire maggiori livelli di tutela e sicurezza presso i tribunali italiani;
   tali provvedimenti, seppur in astratto idonei, a Napoli si sono rivelati del tutto improvvisati e inefficaci per carenza di organizzazione e di idonei mezzi strumentali, tanto che si sono verificati forti momenti di tensione provocati dalle nuove disposizioni che hanno rallentato e rallentano tutt'oggi l'accesso al tribunale da parte degli operatori di giustizia;
   episodi, questi, che la stampa nazionale e locale e testate radiotelevisive hanno riferito a giudizio dell'interrogante in modo non aderente al reale svolgersi degli accadimenti raccontati, dipingendo in maniera vergognosa il comportamento degli avvocati partenopei i quali hanno subito passivamente un provvedimento che li ha costretti a numerose e snervanti code prima di poter esercitare la loro funzione di difesa costituzionalmente garantita;
   a fronte di questa situazione gli unici dati oggettivi che vanno rilevati e sottolineati sono la carenza di strumentazione (metal detector), nonché l'insufficienza numerica dei varchi di ingresso al palazzo di giustizia di Napoli, principali cause del crearsi di code, i cui tempi di attesa si aggirano intorno alle tre ore; ciò inevitabilmente compromette il regolare svolgimento delle udienze, con conseguente danno irreparabile per i cittadini, i quali già sono ampiamente vessati a causa dei tempi e dei costi della giustizia –:
   se il Governo intenda assumere, per quanto di competenza, urgenti e appropriate iniziative, anche di carattere normativo, al fine di:
    a) garantire i più elevati livelli di sicurezza a cittadini e operatori nei luoghi ove si amministra la giustizia;
    b) rimuovere le disfunzioni di carattere organizzativo, causa in più parti del Paese di gravissime situazioni, come quella manifestatasi presso il tribunale di Napoli, scongiurandone in futuro ogni loro possibile riproposizione. (3-01672)
(5 agosto 2015)

   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la mattina del 9 aprile 2015 presso il tribunale di Milano si è verificata una gravissima tragedia che ha condotto alla morte di tre persone, tra cui un giudice e un giovane avvocato, per mano di un imputato;
   in seguito a tale tragico evento, che si è potuto verificare a causa di una falla nel sistema di accesso al palazzo di giustizia del capoluogo lombardo, nei tribunali di tutta Italia sono stati repentinamente inaspriti i controlli per l'accesso;
   in particolare, così come segnalato all'interrogante dall'Unione dei giovani penalisti di Napoli, presso il nuovo palazzo di giustizia del capoluogo partenopeo, «le recenti misure adottate in materia di sicurezza (...) impediscono il regolare svolgimento delle udienze con grave lesione del diritto di difesa del cittadino»;
   peraltro, come evidenziato dall'ordine degli avvocati di Napoli con delibera del 14 aprile 2015, le attuali modalità operative e la scarsa ed irrazionale predisposizione di mezzi (solo tre metal detector per controllare l'afflusso di oltre 5.000 persone al giorno) non consentono la presenza dei difensori al procedimento, impedendo loro di accedere tempestivamente all'udienza e, quindi, di parteciparvi, con conseguente mortificazione del giusto processo e del complessivo esercizio della giurisdizione; per protestare contro tale gravissima situazione, l'ordine degli avvocati di Napoli ha proclamato lo stato di agitazione l'astensione dalle udienze civili e penali per tre giorni –:
   alla luce di quanto delineato in premessa, se i Ministri interrogati non ritengano di doversi attivare, per quanto di rispettiva competenza, al fine di risolvere l'ingestibile situazione che si è venuta a creare presso gli accessi al nuovo palazzo di giustizia di Napoli, anche valutando l'istituzione di varchi dedicati all'accesso degli avvocati. (3-01675)
(ex 4-08817 del 16 aprile 2015)

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