TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 483 di Mercoledì 16 settembre 2015

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN SEDE EUROPEA E INTERNAZIONALE PER LA PROTEZIONE DEI PERSEGUITATI PER MOTIVI RELIGIOSI

   La Camera,
   premesso che:
    in ampie aree del mondo, dall'area mediorientale – Iraq, Siria, Libia, Palestina – a quella del Nord e del Centro dell'Africa – Libia, Nigeria, Somalia, Kenya – si sono intensificate le persecuzioni nei confronti dei cristiani. Le continue violazioni della libertà religiosa, ispirate dall'odio ultrafondamentalista causano morte, sofferenze, l'esilio, perdita delle persone care e dei propri beni;
    i cristiani al mondo che in questo momento subiscono persecuzioni sono stimati in non meno di 100 milioni e le uccisioni, secondo le valutazioni più prudenti, sono almeno 7.000 all'anno (ma per qualcuno si dovrebbe aggiungere uno zero);
    le violazioni della libertà religiosa non riguardano solo i cristiani: la follia omicida dell'Isis, per esempio, colpisce con eguale crudeltà gli yazidi, i musulmani sciiti e anche i musulmani sunniti che non accettano le prevaricazioni dei terroristi. Sono rase al suolo non soltanto le chiese, ma anche i templi, le moschee e i minareti. I cristiani, tuttavia, vantano il triste primato di essere circa l'80 per cento del totale dei perseguitati per ragioni religiose;
    il terribile destino riservato ai ventuno coopti decapitati nei giorni scorsi sulle coste libiche, espiando la «colpa» di essere cristiani, a poche centinaia di miglia dalla Sicilia, ha esplicitato nel modo più turpe che si tratta di una tragedia molto prossima a noi;
    il rischio è che la moltiplicazione delle notizie di uccisioni, di massacri, di distruzioni provochi non un incremento della capacità di reagire da parte dell'Occidente, dell'Europa e dell'Italia, ma un incremento dell'assuefazione, come se fossero eventi inevitabili, qualcosa che comunque deve succedere;
    la risposta a un'aggressione ingiusta deve essere intelligente e adeguata al contesto. È, dunque, necessario che un eventuale intervento sia multilaterale, non di sole potenze «occidentali», coinvolgendo possibilmente anche Paesi musulmani;
    ogni azione, compreso l'intervento militare, sarebbe efficace soltanto se coerente con l'atteggiamento culturale. È fondamentale pertanto respingere l'idea che tutto l'Islam è il male assoluto, quasi fosse una guerra finale fra l'Occidente e un miliardo e mezzo di musulmani. L'unico modo di disinnescare l'ultrafondamentalismo islamico e il terrorismo è trovare dei musulmani che aiutino a farlo: fuori e dentro i confini nazionali;
    quel che è certo è che non può proseguire una indifferenza di fatto, che concorre ad aumentare i lutti, le violenze e le distruzioni,

impegna il Governo:

   a rendersi promotore e a sostenere nelle sedi europee e internazionali ogni iniziativa necessaria ad assicurare la concreta protezione dei perseguitati per motivi religiosi, in coerenza con le deliberazioni delle Nazioni Unite sulla libertà di religione o credo e con gli indirizzi già approvati dal Parlamento italiano;
   ad assumere e partecipare a iniziative in sede europea e internazionale, tese a rafforzare la collaborazione con i principali attori regionali e le autorità locali, a tutela della libertà di religione o credo, onde reagire alle violenze più efferate e a tutelare le popolazioni e comunità oggetto di massacri e di persecuzioni per ragioni di fede religiosa;
   ad aggiornare periodicamente la Camera dei deputati sullo stato dei lavori e sui risultati ottenuti.
(1-00760)
(Nuova formulazione) «Dambruoso, Pagano, Capezzone, Catania, Fauttilli, Bernardo, Binetti, Bueno, Centemero, Antimo Cesaro, Chiarelli, D'Agostino, Fabrizio Di Stefano, Ermini, Galati, Galgano, Riccardo Gallo, Gigli, Laffranco, Latronico, Maietta, Marazziti, Marotta, Matarrese, Molea, Palese, Piepoli, Piso, Rabino, Romele, Santerini, Tancredi, Vargiu».
(12 marzo 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    la libertà religiosa è la madre di tutte le libertà, in quanto investe la libertà di coscienza, di pensiero e di professione pubblica della fede di ciascuno. Come tale fa parte dei diritti fondamentali ed inalienabili dell'uomo, espressi nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Tale diritto, pertanto, include la libertà di cambiare religione o credo e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico sia in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti;
    la libertà religiosa rappresenta senz'altro lo sfondo dove ricercare un'efficace politica sociale attenta alle differenze, dove incoraggiare scelte segnate da una tolleranza genuina che non camuffi le diversità e da un'azione che sostenga l'integrazione, il dialogo plurale per il bene comune, la tutela dei diritti umani e la partecipazione democratica;
    la storia dimostra che non solo la libertà religiosa è il pilastro portante di tutte le libertà, ma che l'intolleranza religiosa porta inevitabilmente alla violazione di diritti umani fondamentali e, molto spesso, a conflitti cruenti e devastanti;
    purtroppo, come documentano troppi eventi, il diritto alla libertà religiosa è ancora oggi messo in discussione: gli atti di violenza commessi in nome della religione continuano, infatti, a dominare la scena internazionale, generando intolleranza spesso alimentata e strumentalizzata per motivi politici ed economici, che sempre più di frequente producono azioni collettive aberranti a danno delle minoranze;
    in molti Paesi, vi sono ancora discriminazioni di ordine giuridico o costituzionale oppure vere e proprie ostilità religiose, spesso legate a tensioni etniche o tribali. In diversi casi, vi è un gruppo religioso che opprime o, addirittura, cerca di eliminarne un altro, o c’è uno Stato autoritario che tenta di limitare le attività di un particolare gruppo religioso;
    in questo contesto, la grave mancanza di libertà religiosa di cui soffrono i cristiani in molti Paesi provoca ancora vittime innocenti, perpetrando una vera e propria persecuzione, che rappresenta un'offensiva condotta con violenza sistematica e indiscriminata contro la presenza cristiana in vaste aree del mondo. Si tratta di una tragedia umanitaria di proporzioni drammatiche che si consuma ogni giorno: casi di cristiani perseguitati solo a causa della loro fede, trucidati in nome del fanatismo e radicalismo religioso;
    il termine «cristianofobia» è quello che descrive più compiutamente questo fenomeno di portata universale e come tale è stato adottato dall'Onu sin dal 2003 e dal Parlamento europeo nel 2007. Con questa espressione si vuole qualificare la peculiarità di una persecuzione che si manifesta in odio cruento in Paesi dove il cristianesimo è minoranza, ma trova fertile terreno anche in Occidente da parte di chi vuole negare la pertinenza pubblica della fede cristiana;
    il Novecento è stato il secolo dell'eccidio dei cristiani: in cento anni ci sono stati più «martiri» che nei duemila anni precedenti. Sono circa cento milioni i cristiani perseguitati in tutto il mondo: nel 2014 si stimano 4.344 vittime e 1.062 chiese attaccate. In media ogni mese 322 cristiani vengono uccisi nel mondo a causa della loro fede, 214 tra chiese ed edifici di proprietà dei cristiani sono distrutti e danneggiati e 722 sono gli atti di violenza perpetrati nei loro confronti. Le statistiche sono di opendoorsusa.org, un'organizzazione no profit evangelica che assiste cristiani perseguitati di tutte le confessioni in più di sessanta Paesi;
    nel 2014 e nel primo trimestre 2015 i cristiani si confermano, dunque, come il gruppo religioso maggiormente perseguitato: dalla Nigeria all'Africa subsahariana, dalla Siria all'Iraq, al Pakistan, è lunga la scia di sangue che li vede sempre più sotto attacco con arresti, deportazioni, torture, stupri e decapitazioni;
    tra i crimini recenti più efferati, si ricorda la barbara uccisione dei 21 cristiani copti, rapiti a Sirte, in Libia, dai miliziani affiliati allo Stato islamico;
    il 10 aprile 2015, in Pakistan un adolescente di 14 anni di religione cristiana è stato arso vivo da alcuni giovani musulmani ed ora lotta tra la vita e la morte, in ospedale a Lahore, con gravi ustioni su tutto il corpo;
    le limitazioni alla libertà religiosa conoscono un triste primato in Darfur, teatro di violenti stupri di massa, ma ancora più agghiaccianti sono i massacri compiuti in Nigeria dai fondamentalisti islamici di Boko Haram; lo stesso gruppo terroristico si è reso protagonista di uno degli episodi più raccapriccianti: il rapimento, nella notte del 14 aprile 2014, di 275 ragazze cristiane, studentesse della scuola secondaria del villaggio di Chibok. Alcune decine di loro riuscirono a scappare, ma in grandissima misura (più di 200) mancano ancora all'appello, molto probabilmente gettate nelle fosse comuni;
    non sono da meno i tormenti inflitti ai cristiani in Medio Oriente: in Iraq, dall'estate del 2014, sono centinaia di migliaia quelli costretti a fuggire dalle loro case sotto l'incalzare dell'avanzata dei jihadisti dell'Isis;
    vi sono poi Paesi come il Kenya, in cui i cristiani rappresentano la maggioranza della popolazione, ma che, a causa delle tensioni religiose, connesse ad una situazione politica complessa, sono vittime di atti di persecuzione. Risale, infatti, a giovedì santo l'episodio di violenza jihadista degli estremisti somali Al Shabaab contro un campus universitario, che ha provocato la morte di almeno 147 persone;
    nel mese di marzo 2015, davanti agli attentati mossi dinnanzi a due chiese in Pakistan, che hanno provocato 15 morti e 80 feriti, Papa Francesco ha parlato di una «persecuzione contro i cristiani che il mondo cerca di nascondere»;
    e ancora recentemente, in occasione della messa per gli armeni, il Papa ha avuto modo di ricordare che «oggi stiamo vivendo una sorta di genocidio causato dall'indifferenza generale e collettiva», «una terza guerra mondiale a pezzi», in cui «sentiamo il grido soffocato e trascurato di tanti nostri fratelli e sorelle inermi, che a causa della loro fede in Cristo o della loro appartenenza etnica» vengono perseguitati;
    non si può rimanere indifferenti davanti a tutto questo, soprattutto in un momento storico in cui il fronte dell'intolleranza sta toccando così tante nazioni nei diversi continenti e, soprattutto, nelle occasioni più incredibili. Basti pensare che solo qualche giorno fa, su un barcone di immigrati diretto verso il nostro Paese, durante la traversata del Canale di Sicilia, è scoppiata una rissa per motivi religiosi, in cui i musulmani avrebbero sopraffatto i cristiani scaraventandoli fuori bordo e provocando la morte di alcuni di loro;
    in questo clima, ciò che più colpisce è il silenzio delle istituzioni, nonché la mancanza di un'iniziativa forte e decisa a carico della diplomazia internazionale;
    l'integrazione europea, per essere autentica, deve fondarsi sul rispetto delle identità dei popoli dell'Europa, che vedono tra le sorgenti della propria civiltà il Cristianesimo, che è all'origine dell'idea di persona e della sua centralità;
    lo stesso principio di laicità dello Stato, che rappresenta una delle conquiste più importanti delle democrazie liberali e pluraliste, non implica indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato stesso per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale;
    la libertà religiosa assume, quindi, un ruolo fondamentale anche a garanzia del principio supremo di laicità dello Stato, sul quale si struttura il concetto di democrazia;
    di fronte a ciò che sta accadendo, anche a tutela dei principi che fondano le democrazie che la compongono, l'Europa, in particolare, ha il dovere di rivendicare con orgoglio i propri valori e la propria identità, senza rinunciare ad affermare le sue radici giudaico-cristiane, con piena consapevolezza delle origini culturali delle proprie idee e istituzioni democratiche,

impegna il Governo:

   a promuovere ogni azione, a livello internazionale e nei rapporti bilaterali, volta a riconoscere la persecuzione nei confronti dei cristiani come priorità assoluta, affinché sia condannata e contrastata con ogni mezzo;
   a porre in essere ogni iniziativa affinché i Governi dei Paesi alleati e dei Paesi che sostiene con gli strumenti della cooperazione internazionale forniscano adeguata protezione ai cristiani e garantiscano il loro diritto ad esercitare e a professare la loro fede in sicurezza e libertà;
   ad adottare ogni iniziativa utile a garantire la tutela delle minoranze cristiane anche attraverso azioni dirette, da realizzare in collaborazione con le rappresentanze diplomatiche italiane e consolari;
   a far valere, nelle relazioni diplomatiche ed economiche, bilaterali o multilaterali, la necessità di un effettivo impegno degli Stati per la tolleranza e la libertà religiosa, in particolare dei cristiani e delle altre minoranze perseguitate, laddove risulti minacciata o compressa per legge o per prassi, direttamente dalle autorità di Governo o attraverso un tacito assenso che implichi l'impunità dei violenti;
   ad adoperarsi affinché analogo principio sia fatto valere a livello di Unione europea e di qualsiasi altro organismo internazionale per l'assegnazione di aiuti agli Stati;
   a promuovere nelle competenti sedi internazionali, di concerto con i partner dell'Unione europea, iniziative atte a rafforzare il rispetto del principio di libertà religiosa, la tutela delle minoranze religiose, la lotta contro la cristianofobia e il monitoraggio delle violazioni, dando concreta attuazione agli strumenti internazionali esistenti.
(1-00827)
«Carfagna, Brunetta, Centemero, Prestigiacomo, Palmieri, Gelmini, Garnero Santanchè, Giammanco, Ravetto, Milanato, Sandra Savino, Distaso, Polidori, Vella, Elvira Savino, Altieri, Marotta, Bianconi, Bergamini, Biancofiore, Castiello, Abrignani, Nizzi, Calabria, Occhiuto».
(22 aprile 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    «la difesa della libertà religiosa è la cartina di tornasole per verificare il rispetto di tutti gli altri diritti umani in un Paese». Così disse Giovanni Paolo II nell'ottobre del 2003 ai partecipanti all'Assemblea parlamentare dell'Osce. Se in un Paese la libertà religiosa non è rispettata, difficilmente lo saranno gli altri diritti umani;
    in quella, come in molte altre occasioni, Wojtyla sottolineò «la dimensione internazionale del diritto alla libertà di religione e la sua importanza per la sicurezza e la stabilità della comunità delle nazioni», incoraggiandone la difesa e la promozione da parte dei singoli Stati e di altri organismi internazionali;
    oggi circa il 74 per cento della popolazione mondiale – quasi 5,3 miliardi di persone – vive in Paesi in cui la libertà religiosa è soggetta a più o meno gravi violazioni e limitazioni, che si traducono spesso in vere e proprie persecuzioni religiose. Sono 116 i Paesi nel mondo in cui si registrano violazioni della libertà religiosa;
    recenti studi dimostrano che circa i tre quarti dei casi di persecuzioni religiose nel mondo riguardano i cristiani. Sono almeno 500 milioni i cristiani che vivono in Paesi in cui subiscono persecuzione, mentre altri 208 milioni vivono in Paesi in cui sono discriminati a causa del proprio credo;
    anche il numero di cristiani uccisi ogni anno in ragione della propria fede è tristemente elevato. Le stime variano da 100 mila a poche migliaia. Non è, tuttavia, rilevante sapere se vi è un cristiano ucciso in odio alla fede ogni cinque minuti, oppure ogni giorno. È comunque troppo;
    tra i colpevoli di discriminazioni e persecuzioni ai danni di gruppi religiosi vi sono numerosi Governi. «La libertà religiosa è qualcosa che non tutti i Paesi hanno – ha ricordato Papa Francesco rientrando dal suo viaggio in Terra Santa –. Alcuni esercitano un controllo, altri prendono misure che finiscono in una vera persecuzione. Ci sono martiri oggi, martiri cristiani, cattolici e non cattolici. In alcuni posti non puoi portare un crocifisso, avere una Bibbia, o insegnare il catechismo ai bambini. E io credo che in questo tempo ci siano più martiri che nei primi tempi della Chiesa»;
    in Cina il controllo dello Stato sulle attività religiose è andato tristemente aumentando negli ultimi anni, così come il numero degli arresti di cristiani, buddisti e musulmani e la distruzione di edifici religiosi. Recentemente nella provincia di Zhejang oltre sessanta chiese sono state demolite o danneggiate. La Costituzione riconosce sulla carta la libertà di religione, ma autorizza le sole attività religiose «normali», senza tuttavia fornirne alcuna definizione. Chiunque partecipi a riunioni o manifestazioni religiose non «autorizzate» è arrestato e può subire torture e abusi. Stessa sorte è toccata ai numerosi cattolici che, per fedeltà al Papa, hanno rifiutato di aderire all'Associazione patriottica cattolica cinese;
    lo stretto controllo governativo limita in modo rilevante la libertà religiosa anche in altri Paesi asiatici, quali Laos, Vietnam, Malesia, Kazakhistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Vietnam;
    uno dei Paesi in cui la libertà religiosa è meno tutelata è senza dubbio il Pakistan. Qui lo strumento d'elezione per la discriminazione e la persecuzione delle minoranze religiose è la cosiddetta legge anti-blasfemia – corrispondente ad alcuni articoli del codice penale pachistano – che punisce con la pena di morte chi insulta il profeta Maometto e con il carcere a vita chi profana il Corano. In Pakistan sono detenute 36 delle 43 persone arrestate con l'accusa di blasfemia in tutto il mondo. 17 di queste sono state condannate alla pena capitale, mentre le altre stanno scontando una pena detentiva a vita. Senza contare le migliaia di omicidi extra-giudiziali compiuti a causa di tale norma. Ne sono un tragico esempio i due coniugi cristiani gettati vivi in una fornace il 4 novembre del 2014, a seguito di un'accusa di blasfemia;
    anche se tra gli accusati non mancano appartenenti alla maggioranza musulmana, i dati dimostrano come la legge – che non prevede l'onere della prova per chi accusa e si presta dunque facilmente a un uso improprio – è soprattutto utilizzata per colpire le minoranze religiose. Nel 2013 su 32 casi registrati, 12 hanno riguardato imputati cristiani: si tratta del 40 per cento delle denunce, in un Paese in cui la minoranza cristiana rappresenta appena il 2 per cento della popolazione;
    un'altra piaga che colpisce le minoranze religiose del Pakistan è il rapimento e la conversione forzata all'Islam di adolescenti e bambine. Secondo i dati ufficiali, ogni anno circa 750 giovani cristiane e 250 indù sarebbero rapite e obbligate a convertirsi per contrarre matrimonio islamico. Ma, dal momento che la percentuale dei crimini riportati è minima, si ritiene che i casi siano almeno il doppio;
    nei mesi scorsi il caso di Meriam Yahya Ibrahim Ishaq, la donna sudanese condannata a morte per apostasia, ha portato all'attenzione internazionale il dramma in atto nei Paesi in cui è vietato convertirsi dall'Islam ad altra religione. In 21 Paesi il reato di apostasia è regolato dal codice penale e alcuni di questi, tra cui Iran, Sudan, Arabia Saudita, Egitto, Somalia, Afghanistan, Qatar, Yemen, Pakistan e Mauritania, contemplano la pena di morte per questo tipo di reato;
    gravi sono le violazioni alla libertà religiosa nei Paesi in cui la legge islamica è fonte di diritto, sia che questa venga applicata a tutti i cittadini – come ad esempio in Sudan – sia che sia fatta distinzione tra musulmani e non musulmani. In 17 dei 49 Paesi a maggioranza islamica, l'Islam è riconosciuto come religione di Stato. Un primato sancito dalla Costituzione che implica molteplici conseguenze: dall'esclusione delle minoranze dalla pratica religiosa – è questo il caso dell'Arabia Saudita – fino a forme di tolleranza vincolate a rigidi controlli delle attività religiose;
    in Medio Oriente, in seguito alla cosiddetta primavera araba, si è assistito ad un aumento della pressione di gruppi fondamentalisti ed una crescente ostilità nei confronti della minoranza cristiana. In Egitto nel solo 2013 sono stati distrutti o danneggiati oltre 200 tra chiese, edifici religiosi e attività gestite da cristiani;
    in alcune aree di diversi Paesi del mondo arabo – tra cui Egitto, Iraq e Siria – gli estremisti pretendono dai cristiani il pagamento della jizya, la tassa imposta ai non musulmani durante l'impero ottomano;
    la radicalizzazione dei gruppi fondamentalisti ha contribuito ad alimentare il massiccio esodo di cristiani dal Medio Oriente. Se appena un secolo fa essi rappresentavano circa il 20 per cento della popolazione mediorientale, oggi raggiungono a stento il 4 per cento. Tra i fattori che spingono i cristiani ad abbandonare il proprio Paese vi è la concezione, tradizionalmente diffusa nelle società islamiche, che i non musulmani siano cittadini di seconda classe. Tale concezione non di rado porta a gravi discriminazioni in ambito scolastico e lavorativo e perfino a disparità nell'applicazione della giustizia;
    uno dei Paesi simbolo delle difficoltà cristiane nell'area è senza dubbio l'Iraq, che negli ultimi 25 anni ha visto diminuire la propria comunità cristiana da un milione e mezzo di fedeli a poco più di 300 mila. La conquista di vaste aree del Paese da parte dello Stato islamico rischia oggi di porre fine alla millenaria presenza cristiana. Più di 120 mila cristiani sono fuggiti nel Kurdistan iracheno ed ora versano in drammatiche condizioni, stipati nelle scuole, negli edifici abbandonati e condividendo in più famiglie uno stesso appartamento;
    anche in molte aree dell'Africa la pressione dei gruppi fondamentalisti islamici è andata fortemente aumentando, con gravi conseguenze per la popolazione locale e in particolar modo per i non musulmani. Caso emblematico è quello della Nigeria, dove dal 2009 ad oggi si sono intensificati gli attacchi della setta islamica Boko Haram. Nel Nord a maggioranza islamica i fondamentalisti hanno distrutto o danneggiato centinaia di chiese e ucciso migliaia di persone, oltre 2 mila soltanto negli ultimi 12 mesi. Da una ricerca condotta nell'ottobre del 2012 è risultato che su 1.201 cristiani uccisi in odio alla fede durante l'anno, ben 791 avevano trovato la morte in Nigeria. Dal 2001 all'ottobre 2013 nel Paese sono stati uccisi 32 mila cristiani, di cui 12 mila tra il 2011 e l'ottobre 2013. Il Governo è stato più volte accusato di non aver saputo reagire in maniera adeguata, anche a causa della dilagante corruzione che caratterizza l'apparato statale;
    molti dei Paesi citati sono firmatari della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, la quale esige dai Paesi firmatari il rispetto di diritti civili e politici, incluso quello alla libertà religiosa;
    la Dichiarazione universale dei diritti umani, all'articolo 18, stabilisce che: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti»,

impegna il Governo:

   a promuovere l'istituzione di una giornata europea dei martiri cristiani per ricordare i tanti cristiani del nostro tempo uccisi in odio alla fede;
   a rendere il rispetto della libertà religiosa uno dei requisiti necessari alla concessione di aiuti a Paesi terzi e all'instaurazione con questi di relazioni di carattere economico;
   ad organizzare con regolarità incontri tra rappresentanti del Governo ed esponenti delle minoranze religiose di diversi Paesi per acquisire informazioni dirette e poter realizzare interventi più efficaci;
   ad inserire il tema del rispetto della libertà religiosa nell'agenda di incontri tra il Presidente del Consiglio dei ministri ed il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ed i loro omologhi di altri Paesi, specie se in questi Paesi tale diritto non è pienamente garantito;
   ad assumere iniziative affinché parte degli aiuti destinati ad altri Paesi siano devoluti a progetti per la promozione delle minoranze religiose, con particolare attenzione all'educazione (esempio: borse di studio per appartenenti alle minoranze religiose);
   ad esercitare una chiara e dichiarata forma di pressione diplomatica ed economica verso quei Paesi che non garantiscono o non tutelano il diritto alla libertà religiosa, in particolare dei cristiani e di altre minoranze perseguitate, dove essa risulti minacciata o compressa, per legge o per prassi, sia direttamente dalle autorità di Governo sia attraverso un tacito assenso e che vedano l'impunità degli autori di violenze, arrivando, laddove necessario, all'interruzione delle relazioni diplomatiche e commerciali;
   a stabilire come principio imprescindibile alla negoziazione e conclusione di qualsiasi accordo internazionale la garanzia della controparte che al proprio interno sia assicurata la libertà di professare qualunque religione e la libertà di cambiare religione o credo;
   a farsi promotore, nelle sedi comunitarie ed internazionali, della sospensione di ogni accordo multilaterale verso i Paesi nei quali è applicata, anche parzialmente o su porzioni di territorio, la legge islamica, fino alla reale rimozione da parte di questi Paesi di ogni impedimento alla libera professione religiosa e alla cessazione di episodi di violenza contro comunità o singoli non islamici presenti sul territorio.
(1-00692)
«Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Marguerettaz, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Simonetti».
(22 dicembre 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    in data 2 luglio 2014 la Camera dei deputati ha approvato a grandissima maggioranza una mozione unitaria che aveva come oggetto la tutela della libertà religiosa: la mozione impegnava il Governo su vari fronti, che hanno ancora piena attualità, anche perché nel tempo sono andati moltiplicandosi gli episodi di intolleranza, con grave pregiudizio non solo per la libertà, ma anche per la vita delle persone;
    la mozione approvata il 2 luglio 2014 sollecitava il Governo a denunciare ogni forma di persecuzione nei confronti delle minoranze religiose, in particolare quelle cristiane che vivono in alcuni contesti in cui sono maggiormente vulnerabili; a promuovere misure di prevenzione dell'intolleranza, in particolare nei confronti delle diverse esperienze religione; a sostenere iniziative che promuovano il dialogo interreligioso; a rafforzare le politiche per la cooperazione internazionale, specialmente nei Paesi in cui le minoranze religiose, in particolare quelle cristiane, sono pesantemente discriminate; ad adottare le opportune iniziative, anche in sede Onu, in, materia di libertà religiosa, per monitorare gli episodi di persecuzione religiosa, impegnando i diversi Stati ad intervenire tempestivamente nella prevenzione dell'intolleranza e del fanatismo religioso; ad assumere iniziative presso il Governo del Pakistan per rafforzare il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo e, in particolare, del diritto di libertà religiosa; infine, ad assumere iniziative a sostegno delle minoranze religiose con particolare attenzione all'educazione;
    all'Onu l'11 marzo 2015 Heiner Bielefeldt, relatore speciale sulla libertà di religione o di credo durante la 28.ma sessione del Consiglio dei diritti umani a Ginevra, ha affermato: «Esistono violenze commesse in nome della religione e questo può portare a massicce violazioni dei diritti umani, compresa la libertà di religione o di credo». Il rapporto è in realtà un atto di accusa contro gli Stati che, implicitamente o esplicitamente, appoggiano violenze commesse in nome della religione, le tollerano sul loro territorio o ne hanno istituzionalizzato, anche, il funzionamento. L'analisi delle cause di questo tipo di violenza è l'essenza del rapporto. Si parla, infatti, di gruppi armati terroristici barbari o della strumentalizzazione della religione per fini di potere o politici; altre volte si tratta di politiche di esclusione etnica o religiosa, oppure della mancanza di uno Stato di diritto che garantisca pace e stabilità ed eviti l'emergere di forme di radicalizzazione religiosa. Altre cause, però, risiedono nella mancanza di istruzione, della quale approfitta l'irrazionalità della violenza religiosa, o nei media stessi che si trasformano in vettori di violenza. Infine, le autorità religiose e politiche che non condannano le barbarie commesse in nome della religione, complici nel promuovere e far crescere tali atti violenza;
    le persecuzioni contro i cristiani sono cresciute in modo esponenziale nell'attuale situazione in Iraq e in altri Paesi del Medio Oriente dove il sedicente «califfato» islamico marchia con una «N» come nazareni le case dei cristiani, costretti a fuggire in massa. La lettera «N» da marchio d'infamia è diventata simbolo di una battaglia di libertà religiosa. Un marchio della vergogna non per chi lo subisce ma per gli jihadisti che lo impongono, come è avvenuto sulle case dei cristiani a Mosul: «N» come nazareno, cioè cristiano;
    fino al 1990, anno della prima guerra del Golfo, i cristiani in Iraq erano circa 600.000, il 3,2 per cento della popolazione, stimata in 18 milioni. Con gli anni dell'embargo (1990-2003) inizia il calo: sono circa 554.000 nel 2003, così ripartiti: 370.000 caldei; 100.000 siriaci cattolici e ortodossi; 50.000 assiri; 20.000 armeni; 10.000 protestanti; 4.000 latini. Nel 2003, con l'occupazione dell'Iraq e l'inizio degli attentati contro chiese e clero, si accelerano l'esodo verso nord e l'emigrazione all'estero. Nel 2010 i cristiani sono stimati attorno ai 400.000. Con l'occupazione di Mosul e di parte della piana di Ninive, la presenza cristiana è a rischio estinzione. Oggi i cristiani sono stimati attorno ai 250.000, meno dell'1 per cento della popolazione;
    «La difesa della libertà religiosa è la cartina di tornasole per verificare il rispetto di tutti gli altri diritti umani in un Paese». Così disse Giovanni Paolo II nell'ottobre del 2003 ai partecipanti all'Assemblea parlamentare dell'Osce (Organization for security and co-operation in Europe). «Se in un Paese la libertà religiosa non è rispettata, difficilmente lo saranno gli altri diritti umani». In quella, come in molte altre occasioni, Papa Wojtyla sottolineò «la dimensione internazionale del diritto alla libertà di religione e la sua importanza per la sicurezza e la stabilità della comunità delle nazioni», incoraggiandone la difesa e la promozione da parte dei singoli Stati e di altri organismi internazionali;
    oggi circa il 74 per cento della popolazione mondiale – quasi 5,3 miliardi di persone – vive in Paesi in cui la libertà religiosa è soggetta a gravi violazioni e limitazioni, che si traducono spesso in vere e proprie persecuzioni religiose. Recenti studi dimostrano che almeno i tre quarti dei casi di persecuzioni religiose nel mondo riguardano i cristiani. Sono almeno 500 milioni i cristiani che vivono in Paesi in cui subiscono persecuzione, mentre altri 208 milioni vivono in Paesi in cui sono discriminati a causa del proprio credo;
    anche il numero di cristiani uccisi ogni anno in ragione della propria fede è tristemente elevato. Le stime variano da 100 mila a poche migliaia. Non è, tuttavia, rilevante sapere se vi è un cristiano ucciso in odio alla fede ogni cinque minuti, oppure ogni giorno. Anche un solo cristiano che sia reso martire per la propria fede è comunque troppo, soprattutto in una civiltà che si definisce pluralista e che fa della tutela dei diritti umani la vera cifra della modernità;
    tra i colpevoli di discriminazioni e persecuzioni ai danni di gruppi religiosi vi sono numerosi Governi. «La libertà religiosa è qualcosa che non tutti i Paesi hanno – ha ricordato Papa Francesco rientrando dal suo viaggio in Terra santa – Oggi ci sono martiri cristiani, cattolici e non cattolici. In alcuni posti non puoi portare un crocifisso, avere una Bibbia, o insegnare il catechismo ai bambini. E io credo che in questo tempo ci siano più martiri che nei primi tempi della Chiesa»; in Corea del Nord la libertà religiosa è completamente negata. Il Governo controlla le attività religiose e chiunque partecipi ad attività religiose non autorizzate è arrestato e soggetto a torture o perfino esecuzioni. Migliaia di nordcoreani sono internati nei campi di lavoro per motivi religiosi – almeno 15 mila su un totale di 150 mila prigionieri – e se rifiutano di rinunciare alla loro fede, subiscono abusi perfino peggiori di quelli cui sono soggetti gli altri detenuti. Molto simile la situazione dell'Eritrea, nota non a caso come la «Corea del Nord d'Africa», dove si contano dai 2 mila ai 3 mila prigionieri arrestati a causa del loro credo religioso. Prigionieri che subiscono atroci torture e sono costretti a vivere in condizioni disumane;
    in Cina il controllo dello Stato sulle attività religiose è andato tristemente aumentando negli ultimi anni, così come il numero degli arresti di cristiani, buddisti e musulmani e la distruzione di edifici religiosi. Recentemente nella provincia di Zhejang oltre sessanta chiese sono state demolite o danneggiate. La Costituzione riconosce sulla carta la libertà di religione, ma autorizza le sole attività religiose «normali», senza tuttavia fornirne alcuna definizione. Chiunque partecipi a riunioni o manifestazioni religiose non «autorizzate» è arrestato e può subire torture e abusi. Stessa sorte è toccata ai numerosi cattolici che, per fedeltà al Papa, hanno rifiutato di aderire all'Associazione patriottica cattolica cinese;
    lo stretto controllo governativo limita in modo rilevante la libertà religiosa anche in altri Paesi asiatici, quali Laos, Vietnam, Malesia, Kazakhistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Vietnam;
    uno dei Paesi in cui la libertà religiosa è meno tutelata è senza dubbio il Pakistan. Qui lo strumento d'elezione per la discriminazione e la persecuzione delle minoranze religiose è la cosiddetta legge anti-blasfemia, corrispondente ad alcuni articoli del codice penale pachistano che punisce con la pena di morte chi insulta il profeta Maometto e con il carcere a vita chi profana il Corano. In Pakistan sono detenute 36 delle 43 persone arrestate con l'accusa di blasfemia in tutto il mondo. 17 di queste sono state condannate alla pena capitale, mentre le altre stanno scontando una pena detentiva a vita. Senza contare le migliaia di omicidi extra-giudiziali compiuti a causa di tale norma;
    anche se tra gli accusati non mancano appartenenti alla maggioranza musulmana, i dati dimostrano come la legge – che non prevede l'onere della prova per chi accusa e si presta, dunque, facilmente ad un uso improprio – è soprattutto utilizzata per colpire le minoranze religiose. Nel 2013, su 32 casi registrati, 12 hanno riguardato imputati cristiani: si tratta del 40 per cento delle denunce, in un Paese in cui la minoranza cristiana rappresenta appena il 2 per cento della popolazione;
    un'altra piaga che colpisce le minoranze religiose del Pakistan è il rapimento e la conversione forzata all'Islam di adolescenti e bambine. Secondo i dati ufficiali, ogni anno circa 750 giovani cristiane e 250 indù sarebbero rapite e obbligate a convertirsi per contrarre matrimonio islamico. Ma, dal momento che la percentuale dei crimini riportati è minima, si ritiene che i casi siano almeno il doppio;
    in questi giorni il caso di Meriam Yahya Ibrahim Ishaq, la donna sudanese condannata a morte per apostasia, ha portato all'attenzione internazionale il dramma in atto nei Paesi in cui è vietato convertirsi dall'Islam ad altra religione. In 21 Paesi il reato di apostasia è regolato dal codice penale e alcuni di questi, tra cui Iran, Sudan, Arabia Saudita, Egitto, Somalia, Afghanistan, Qatar, Yemen, Pakistan e Mauritania, contemplano la pena di morte per questo tipo di reato;
    gravi sono le violazioni alla libertà religiosa nei Paesi in cui la legge islamica è fonte di diritto, sia che questa venga applicata a tutti i cittadini – come, ad esempio, in Sudan – sia che sia fatta distinzione tra musulmani e non musulmani. In 17 dei 49 Paesi a maggioranza islamica, l'Islam è riconosciuto come religione di Stato. Un primato sancito dalla Costituzione che implica molteplici conseguenze: dall'esclusione delle minoranze dalla pratica religiosa – è questo il caso dell'Arabia Saudita – fino a forme di tolleranza vincolate a rigidi controlli delle attività religiose; in Medio Oriente, in seguito alla cosiddetta primavera araba, si è assistito ad un aumento della pressione di gruppi fondamentalisti e ad una crescente ostilità nei confronti della minoranza cristiana. In Egitto nel solo 2013 sono stati distrutti o danneggiati oltre 200 tra chiese, edifici religiosi e attività gestite da cristiani; in alcune aree di diversi Paesi del mondo arabo – tra cui Egitto, Iraq e Siria – gli estremisti pretendono dai cristiani il pagamento della jizya, la tassa imposta ai non musulmani durante l'impero ottomano;
    la radicalizzazione dei gruppi fondamentalisti ha contribuito ad alimentare il massiccio esodo di cristiani dal Medio Oriente. Se appena un secolo fa essi rappresentavano circa il 20 per cento della popolazione mediorientale, oggi raggiungono a stento il 4 per cento. Tra i fattori che spingono i cristiani ad abbandonare il proprio Paese vi è la concezione, tradizionalmente diffusa nelle società islamiche, che i non musulmani siano cittadini di seconda classe. Tale concezione non di rado porta a gravi discriminazioni in ambito scolastico e lavorativo e perfino a disparità nell'applicazione della giustizia;
    uno dei Paesi simbolo delle difficoltà cristiane nell'area è senza dubbio l'Iraq, che negli ultimi 25 anni ha visto diminuire la propria comunità cristiana da un milione e mezzo di fedeli a poco più di 300 mila; anche in molte aree dell'Africa la pressione dei gruppi fondamentalisti islamici è andata fortemente aumentando, con gravi conseguenze per la popolazione locale e in particolar modo per i non musulmani. Caso emblematico è quello della Nigeria, dove dal 2009 ad oggi si sono intensificati gli attacchi della setta islamica Boko Haram. Nel Nord a maggioranza islamica i fondamentalisti hanno distrutto o danneggiato centinaia di chiese e ucciso migliaia di persone, oltre 2 mila soltanto negli ultimi 12 mesi. Da una ricerca condotta nell'ottobre del 2012 è risultato che su 1.201 cristiani uccisi in odio alla fede durante l'anno, ben 791 avevano trovato la morte in Nigeria. Il Governo è stato più volte accusato di non aver saputo reagire in maniera adeguata, anche a causa della dilagante corruzione che caratterizza l'apparato statale; nonostante i cristiani subiscano le maggiori persecuzioni in Paesi di religione islamica, non si può dimenticare che nei Paesi islamici ci sono anche molti moderati che desiderano dialogare con la popolazione cristiana per dare vita ad iniziative politiche e sociali condivise; il dialogo con loro è fondamentale per costruire modelli nuovi di convivenza e di pace, a vantaggio di tutti, in Italia e nei diversi Paesi; molti dei Paesi citati sono firmatari della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, la quale esige dai Paesi firmatari il rispetto di diritti civili e politici, incluso quello alla libertà religiosa;
    la Dichiarazione universale dei diritti umani, all'articolo 18, stabilisce che: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti»,

impegna il Governo:

   a promuovere l'istituzione di una giornata europea per ricordare coloro che sono stati uccisi a causa della propria fede religiosa;
   ad adoperarsi affinché i diritti umani e le libertà fondamentali siano al centro delle politiche di aiuto allo sviluppo fermo restando il rispetto dei principi guida dell'aiuto umanitario: imparzialità, neutralità, indipendenza ed umanità;
   ad organizzare e a partecipare a incontri con i rappresentanti delle minoranze religiose presenti in Italia per acquisire informazioni dirette sulle loro condizioni e potere, quindi, realizzare interventi umanitari più efficaci;
   ad inserire il tema del rispetto della libertà religiosa nell'agenda degli incontri internazionali tra i membri del Governo italiano e i Governi di altri Paesi, specie se in questi Paesi tale diritto non è pienamente garantito;
   ad assicurare protezione ai perseguitati per motivi religiosi, in coerenza con le deliberazioni delle Nazioni Unite;
   ad assumere iniziative affinché parte degli aiuti destinati ad altri Paesi siano devoluti a progetti per la promozione delle minoranze religiose, con particolare attenzione all'educazione, fermo restando l'impegno dell'Italia a rispettare i principi guida dell'aiuto umanitario: imparzialità, neutralità, indipendenza e umanità;
   ad assumere e partecipare, in particolare, a iniziative politiche in sede europea e internazionale per rafforzare la collaborazione con i principali attori regionali e le autorità locali a tutela della libertà di religione o credo e atte a reagire alle violenze più efferate e a tutelare popolazioni e comunità oggetto di massacri e di persecuzioni per ragioni di fede religiosa;
   ad aggiornare periodicamente la Camera dei deputati sullo stato dei lavori e sui risultati ottenuti.
(1-00483)
(Ulteriore nuova formulazione) «Binetti, Buttiglione, Gigli, Fauttilli, Calabrò, De Mita, Cera, Preziosi, Pagano, Sberna, Piepoli, Fitzgerald Nissoli, Fucci, Bueno, Adornato, D'Alia».
(4 giugno 2014)

   La Camera,
   premesso che:

    la Dichiarazione universale dei diritti umani, all'articolo 18, stabilisce che: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti»;
    dall'intensificazione delle violazioni subite dai fedeli di ogni credo e non solo dai cristiani si evince chiaramente che il rispetto della libertà religiosa nel mondo continua a diminuire, benché sia, per sua stessa natura, un diritto da garantire a chiunque; circa il 74 per cento della popolazione mondiale (quasi 5,3 miliardi di persone) vive in Paesi in cui la libertà religiosa è soggetta a più o meno gravi violazioni e limitazioni, che si traducono spesso in vere e proprie persecuzioni religiose;
    nella XII edizione del rapporto sulla libertà religiosa nel mondo del 2014, redatto dalla fondazione di diritto pontificio, la Acs, è stato fotografato il grado di rispetto della libertà religiosa in 196 Paesi, in 116 dei quali si è registrato «un preoccupante disprezzo per la libertà religiosa, ovvero quasi il 60 per cento (...) in 14 dei 20 Paesi dove si registra un elevato grado di violazione della libertà religiosa, la persecuzione dei credenti è legata all'estremismo islamico: Afghanistan, Arabia Saudita, Egitto, Iran, Iraq, Libia, Maldive, Nigeria, Pakistan, Repubblica centrafricana, Somalia, Sudan, Siria e Yemen. Negli altri sei Paesi, l'elevato grado di violazione della libertà religiosa è legato all'azione di regimi autoritari, quali quelli di Azerbaigian, Birmania, Cina, Corea del Nord, Eritrea e Uzbekistan»;
    è indubbio che i cristiani si confermano il gruppo religioso maggiormente perseguitato; minoranza oppressa in numerosi Paesi, molte delle terre in cui i cristiani abitano da secoli, se non da millenni, sono oggi sconvolte dal terrorismo; ad oggi risultano almeno 500 milioni i cristiani che vivono in Paesi in cui subiscono persecuzione, mentre altri 208 milioni vivono in Paesi in cui sono discriminati a causa del proprio credo;
    gravi sono le violazioni alla libertà religiosa nei Paesi in cui la legge islamica è fonte di diritto, sia che questa venga applicata a tutti i cittadini, come, ad esempio, in Sudan, sia che sia fatta distinzione tra musulmani e non musulmani. In 17 dei 49 Paesi a maggioranza islamica, l'Islam è riconosciuto come religione di Stato. Un primato sancito dalle Costituzioni che implica molteplici conseguenze: dall'esclusione delle minoranze dalla pratica religiosa, è questo il caso dell'Arabia Saudita, fino a forme di tolleranza vincolate a rigidi controlli delle attività religiose;
    uno dei Paesi simbolo delle difficoltà cristiane nell'area è senza dubbio l'Iraq, che negli ultimi 25 anni ha visto diminuire la propria comunità cristiana da un milione e mezzo di fedeli a poco più di 300.000; gli attacchi contro i cristiani e le altre minoranze non rappresentano una dinamica degli ultimi mesi in Iraq. Molto prima della crescita in termini di potere del sedicente Stato islamico (Is) in tutto questo tempo le comunità cristiane e sciite (che, tra l'altro, rimane la comunità di maggioranza in Iraq) sono considerate dagli estremisti sunniti come infedeli e ladri e sono disprezzate in ogni modo;
    in Iraq le minoranze perseguitate non sono solo quelle cristiane, ma anche quelle di yazidi, shabak (una minoranza sciita di origine curda), baha'i, armeni, comunità di colore, circassi, kaka'i, curdi faili, palestinesi, rom, turkmeni, mandei e sabei. Si tratta di un mosaico ricco di tessere etniche e religiose, tenute insieme da secoli di convivenza e tolleranza, ridotto in frantumi dai dettami fondamentalisti dei jihadisti sunniti, un'immensa ricchezza umana, culturale e storica che ha sempre fatto dell'Iraq un Paese plurietnico e multireligioso e che oggi rischia di essere cancellato dal fondamentalismo religioso e settario nemico dell'umanità;
    la conquista di vaste aree del Paese da parte dello Stato islamico rischia oggi di porre fine alla millenaria presenza cristiana. Più di 120.000 cristiani sono fuggiti nel Kurdistan iracheno e ora versano in drammatiche condizioni, stipati nelle scuole e negli edifici abbandonati, condividendo in più famiglie uno stesso appartamento;
    anche in molte aree dell'Africa la pressione dei gruppi fondamentalisti islamici è andata fortemente aumentando, con gravi conseguenze per la popolazione locale e, in particolar modo, per i non musulmani. Caso emblematico è quello della Nigeria, dove dal 2009 a oggi si sono intensificati gli attacchi della setta islamica Boko Haram, o quello somalo di al-Shabaab,

impegna il Governo:

   ad attivarsi al fine di rendere il rispetto e la tutela della libertà religiosa uno dei requisiti necessari alla concessione di aiuti a Paesi terzi, attraverso gli strumenti della cooperazione internazionale, e all'instaurazione con questi di relazioni di carattere economico, soprattutto in occasione della stipula di trattati o accordi soggetti alla ratifica da parte del Parlamento;
   ad organizzare con regolarità incontri tra rappresentanti del Governo ed esponenti delle minoranze religiose di diversi Paesi per acquisire informazioni dirette e poter realizzare interventi più efficaci per assicurare la concreta protezione dei perseguitati per motivi religiosi;
   ad inserire il tema del rispetto della libertà religiosa tra le tematiche da trattare durante gli incontri tra il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e i loro omologhi di altri Paesi, soprattutto se in questi Paesi tale diritto non è pienamente garantito;
   ad esigere che parte degli aiuti destinati ad altri Paesi siano devoluti a progetti per la promozione e la tutela delle minoranze religiose, con particolare attenzione all'educazione e ai diversi livelli dell'istruzione;
   a prevedere lo sviluppo di ulteriori programmi di integrazione nazionale che riguardino anche l'ambito religioso in funzione di un'educazione alla tolleranza sia per gli italiani che per gli stranieri.
(1-00849)
«Grande, Manlio Di Stefano, Scagliusi, Spadoni, Del Grosso, Sibilia, Di Battista».
(8 maggio 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    la libertà di religione è una delle libertà caratteristiche dello Stato di diritto e trova la sua affermazione nei più importanti documenti costituzionali sin dalla fine del Settecento: ad iniziare dal I emendamento della Costituzione degli Usa del 1787, dall'articolo 10 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789, dall'articolo 5 della Costituzione francese del 1814, l'articolo 5 della Costituzione francese del 1830; gli articoli 14 e seguenti della Costituzione del Belgio del 1831, l'articolo 7 della Costituzione francese del 1848, gli articoli 144 e seguenti della Costituzione di Francoforte del 1849. Nel ventesimo secolo è stata prevista agli articoli 135 e seguenti nella Costituzione della Germania 1919, la cosiddetta Costituzione di Weimar, l'articolo 4 della legge fondamentale della Germania del 1949, l'articolo 16 della Costituzione di Spagna del 1978, l'articolo 15 della Costituzione svizzera del 1999, oltre vedere tale libertà riconosciuta nelle dichiarazioni internazionali e sovranazionali dei diritti come nell'articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, l'articolo 9 della Carta europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, l'articolo 18 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, l'articolo 10 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
    si ricorda che storicamente la libertà di religione si sviluppò in corrispondenza dell'affermazione del principio di laicità dello Stato poiché l'esistenza di una religione di Stato impedisce un pieno riconoscimento della libertà di religione dei singoli;
    con riguardo alla nostra Costituzione, le disposizioni di riferimento per la tutela della libertà di religione sono contenute agli articoli 19 e 20: in base ad essi, viene garantito a tutti, cittadini e stranieri, il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, sia in forma associata che in forma individuale, di farne propaganda e di esercitarne il culto, sia in pubblico che in privato. A questo proposito, ci si è chiesti se queste disposizioni tutelino anche gli agnostici e gli atei: di fronte di un'opinione maggioritaria favorevole, fatta propria anche dalla giurisprudenza costituzionale, ve ne è un'altra contraria, che sottolinea come l'ateismo trovi piuttosto la sua tutela nella libertà di coscienza e, in particolare, nell'articolo 21 della Costituzione. Diretta conseguenza del principio della libertà di religione è poi l'articolo 20 della Costituzione, che vieta tutte quelle pratiche vessatorie nei confronti degli enti a sostegno delle confessioni organizzate, in quanto finirebbero per costituire degli ostacoli indiretti alla possibilità di professare la fede, celebrare riti e fare proselitismo;
    per quanto riguarda i limiti che incontra la libertà di religione, l'articolo 19 della Costituzione fa riferimento al buon costume (generalmente inteso come legato al comune senso del pudore) e a questo limite, si aggiunge ovviamente il limite generale dell'ordine pubblico;
    un caso particolare di esercizio della libertà di religione è quello che riguarda la cosiddetta obiezione di coscienza, cioè il rifiuto da parte di un individuo di compiere atti prescritti dall'ordinamento giuridico sulla base delle proprie convinzioni (in primis religiose), tanto che nel nostro ordinamento l'obiezione di coscienza è ammessa anche per quanto riguarda gli obblighi militari;
    ciò è quanto prodotto in termini di norme giuridiche domestiche, nonostante la realtà fattuale sia diversa e specificamente analizzata sotto, ma la libertà religiosa deve essere conquistata non solo nel nostro Paese dando effettiva vigenza alle norme giuridiche poste a tutela della libertà religiosa, siano esse nazionali o sovranazionali, cercando di far aderire norma e fatto. L'Italia deve occuparsi di questa fondamentale libertà con ottica nazionale, globale e sovranazionale;
    solo per fare alcuni esempi che saranno meglio analizzati dappresso, dal Tibet all'Iran, dal Turkmenistan al Vietnam del Nord, dal Laos alla Cina, i diritti umani sono negati in più di un quarto dei Paesi del mondo. L'Occidente non può continuare nel suo silenzio, le istituzioni nazionali, europee e tutti i popoli d'Europa, primo tra tutti il popolo italiano, devono agire perché consapevoli che salvaguardando la libertà di tutti si difende anche la nostra libertà;
    non si può restare indifferenti alla privazione dei diritti fondamentali di centinaia di milioni di persone, non si può esprimere solo generiche solidarietà e pacato buonismo, non basta più. Occorre dimostrare il deciso convincimento nel sostenere il diritto alla libertà religiosa, da cui discendono molte altre libertà e diritti delle genti, convinti che le libertà della persona, a partire da quella religiosa, dovranno diventare una priorità internazionale;
    si devono analizzare le violazioni subite dai fedeli di ogni credo a causa del credo professato e, considerata la situazione di moltissimi gruppi religiosi, si deve guardare con nuovi occhi a questo diritto fondamentale, che è condizione imprescindibile di ogni società libera, perché sia consentita a chiunque un'alternativa libera, una libertà positiva, un diritto effettivo;
    grazie ad un rapporto redatto da giornalisti, esperti e studiosi, nel quale è preso in esame il periodo compreso tra l'ottobre 2012 e il giugno 2014, dei 196 Paesi analizzati, si sa che in ben 116 di essi si registra un preoccupante disvalore per la libertà religiosa, pari a quasi il 60 per cento;
    nel periodo in esame sono stati rilevati cambiamenti in 61 Paesi, purtroppo soltanto in sei di questi – Cuba, Emirati Arabi Uniti, Iran, Qatar, Taiwan e Zimbabwe – tali trasformazioni hanno coinciso con un miglioramento della situazione;
    in 14 dei 20 Paesi dove si registra un elevato grado di violazione della libertà religiosa, la persecuzione dei credenti è legata all'estremismo islamico. Negli altri sei Paesi, l'elevato grado di violazione della libertà religiosa è legato all'azione di regimi dittatoriali. Le violenze a sfondo religioso – che contribuiscono in modo determinante al costante aumento dei flussi migratori – sono legate al regresso della tolleranza e del pluralismo religioso;
    l'Asia si conferma il continente dove la libertà religiosa è maggiormente violata. Nei Paesi in cui vi è una religione di maggioranza si riscontra un incremento del fondamentalismo non soltanto islamico, ma anche indù e buddista. Analizzando la situazione del Medio oriente si nota come i Paesi in cui la libertà religiosa è negata offrono un terreno fertile all'estremismo e al terrorismo;
    in Africa, la tendenza più preoccupante degli ultimi due anni è senza dubbio la crescita del fondamentalismo islamico – sotto l'impulso di gruppi come Al Qaeda nel Maghreb islamico, Boko Haram e al Shabaab – e si riscontra un aumento di casi di intolleranza religiosa;
    la situazione mondiale è in continua evoluzione e la tradizione culturale e spirituale del Paese, oltre alla posizione geografica, deve indurre ad essere promotori di un'azione che coinvolga innanzitutto l'Unione europea per estendere il coinvolgimento di tutte le istituzioni internazionali e sovranazionali al fine di operare concretamente perché il flagello della conculcata libertà possa scomparire, come già accaduto per altri atteggiamenti illiberali che nel corso dei secoli hanno afflitto il mondo e dai quali ci si è liberati;
    si riportano i fatti di più grave discriminazione religiosa compiuti in 64 Paesi:
     a) Europa:
      1) l'Albania è uno Stato laico, ma al tempo stesso pone l'accento sul ruolo delle religioni nella storia del Paese, in particolare quelle tradizionali come l'islam sunnita, il bektashi – una confraternita Sufi –, il cattolicesimo e l'ortodossia. Il quadro generalmente positivo è tuttavia segnato da un aumento dell'Islam radicale, che si va affermando per opera di giovani imam formatisi in Paesi quali Arabia Saudita e Turchia. Un radicalismo d'importazione che ha ovviamente ripercussioni sulla società albanese;
      2) in Belgio nel periodo in esame si sono verificati episodi significativi riguardanti la libertà religiosa il più grave dei quali, avvenuto il 24 maggio 2014, ha visto protagonista un uomo armato di kalashnikov che ha aperto il fuoco contro il Museo ebraico di Bruxelles, uccidendo tre persone sul colpo e ferendone una quarta che è deceduta due settimane dopo in ospedale;
      3) formalmente la Bosnia-Erzegovina è uno Stato laico, ma dalla fine della guerra la religione ha cominciato ad assumere un ruolo sempre più importante. La maggiore criticità riguardante la vita religiosa deriva dalla diffusa sovrapposizione dei concetti di etnia e di religione che genera discriminazioni sociali e amministrative ai danni delle minoranze. Molti musulmani conservatori accettano la comunità islamica e l'autorità del Governo bosniaco. Esistono però piccoli gruppi salafiti che non accettano l'autorità della comunità islamica o dello Stato bosniaco e sono invece favorevoli all'introduzione della Sharia;
      4) in Bulgaria la Costituzione definisce «religione tradizionale» la Chiesa ortodossa, che a differenza degli altri gruppi religiosi non è tenuta a registrarsi legalmente e riceve sovvenzioni statali per le sue comunità religiose. Secondo la Costituzione, partiti politici su basi religiose o etniche sono vietati. I Testimoni di Geova e i musulmani lamentano diverse difficoltà nell'ottenimento dei permessi di costruzione per edifici di culto, mentre membri di comunità cristiane non-tradizionali denunciano numerosi casi di arbitrarie limitazioni nella diffusione di documenti e testi religiosi. Negli ultimi anni si è registrata una forte influenza dei predicatori islamici estremisti sulla locale comunità musulmana sunnita di origine turca;
      5) in Croazia la libertà religiosa è tutelata dalla Costituzione e non vi è una religione di Stato. Attualmente nel Paese sono registrate 44 comunità religiose, ma la Chiesa cattolica ha una posizione di rilievo rispetto alle altre confessioni in virtù di quattro concordati firmati dal Governo croato con la Santa Sede che le assicurano un importante sostegno finanziario. La Chiesa ortodossa serba, invece, non è ancora riuscita a ottenere la restituzione di alcuni beni e terreni confiscati;
      6) in Danimarca, la Costituzione riconosce la Chiesa evangelica luterana come la Chiesa nazionale (Folkekirken), alla quale deve appartenere il sovrano, sebbene soltanto il 2 per cento degli aderenti alla Chiesa nazionale si dichiari praticante. Negli ultimi anni sono aumentati gli episodi di intolleranza religiosa, soprattutto in seguito alla pubblicazione da parte degli organi di stampa danesi di alcune vignette che irridevano il profeta Maometto. Sono stati inoltre denunciati alcuni episodi di antisemitismo. Secondo le stime del Centro comunitario ebraico (Mosaisk Trossamfund) sarebbero stati almeno 37 nel solo 2012;
      7) in Francia, nel periodo in esame, fonte di grandi polemiche discriminatorie è stata la legge Taubira, promulgata il 23 maggio 2013 dopo aver ottenuto l'approvazione del Consiglio costituzionale, che legalizza i matrimoni omosessuali e concede alle coppie gay il diritto di adottare bambini. Gli oppositori al disegno di legge hanno attivato numerose proteste discriminatorie, in particolare, da parte dell'associazione La Manif pour tous. All'inizio dell'anno scolastico 2012-2013, su ordine del Ministro dell'istruzione pubblica, è affissa nelle scuole la cosiddetta carta della laicità. La carta si compone di 15 articoli, tra i quali anche il divieto assoluto di indossare simboli religiosi in classe (come il velo per le musulmane o la croce per i cristiani). In tutto il Paese, nel corso del 2012, sono stati compiuti attacchi a luoghi di culto cristiani, come quello che, nella notte tra il 4 e il 5 febbraio 2015, ha distrutto il presbiterio e l'attigua chiesa della città di Épiais. Nel periodo in esame, la violenza antisemita ha fatto registrare un aumento così come il numero di attacchi o insulti verbali ai danni di fedeli e istituzioni islamiche. Grande eco ha poi suscitato l'attacco terroristico fondamentalista alla sede del giornale satirico Charlie Hebdo in seguito al quale sono stati uccisi 8 giornalisti, 2 agenti, un ospite e il portiere dello stabile mentre cinque sono stati i feriti gravi, tutte vittime di un gruppo di terroristi islamici nati e cresciuti nella Francia stessa;
      8) in Grecia si segnalano sempre più reati contro la libertà religiosa, soprattutto contro le comunità religiose non ortodosse, dovuti principalmente all'identificazione tra nazionalità greca e Chiesa greco-ortodossa. L'articolo 3 della Costituzione definisce il cristianesimo greco-ortodosso come la religione predominante e la Chiesa greco-ortodossa gode di vantaggi istituzionali e finanziari rispetto alle altre religioni. Sebbene l'articolo 13 garantisca la libertà religiosa, in pratica questa è limitata da una serie di altre disposizioni, quali il divieto di «proselitismo» e delle pratiche religiose che «disturbano l'ordine pubblico o offendono i principi morali». L'insegnamento religioso greco-ortodosso è obbligatorio in tutte le scuole pubbliche. La minoranza musulmana è vittima di discriminazione religiosa. I musulmani sono sottorappresentati nel pubblico impiego e negli alti gradi delle forze armate e soltanto il clero islamico di nomina governativa è ufficialmente riconosciuto (e sostenuto) dallo Stato;
      9) la libertà di religione in Irlanda è prevista dall'attuale Costituzione, che risale al 1937, ma è stata modificata nel tempo. La legge consente l'istruzione religiosa nelle scuole pubbliche, provvedimento quasi inutile poiché la maggior parte delle scuole elementari e medie sono confessionali. In base alla Costituzione, il Ministero della pubblica istruzione ha l'obbligo di fornire un finanziamento paritario alle scuole confessionali. Le scuole confessionali hanno il diritto di rifiutare l'ammissione a studenti che non appartengono alla loro confessione;
      10) in Italia nonostante la Costituzione affermi il principio della libertà religiosa, di fatto si elude il principio stesso poiché sono tutt'ora vigenti le norme di epoca fascista sui cosiddetti ’culti ammessi’ i quali non garantiscono a pieno i principi costituzionali in materia. In Italia, nonostante la presunzione di laicità dello Stato, la blasfemia contro la religione e le divinità cattoliche è punita ancora oggi. Basta una bestemmia per essere multati, basta esporre un manifesto che contenga il libero convincimento che Dio non esiste per rischiare l'incriminazione. Ad avviso dei firmatari del presente atto, sono poi numerose le aree nelle quali il Vaticano esprime forti interessi materiali al potere politico come nel caso della scuola, dei beni culturali, della cooperazione internazionale, ove molti appartenenti al potere esecutivo sono fortemente influenzati da persone vicine alla gerarchia ecclesiastica. Ciò è causa della sostanziale cancellazione dell'esistenza stessa nella società italiana di una delle due confessioni diverse dal cattolicesimo, quella protestante. Una componente minoritaria ma che, come quella ebraica, è presente nel Paese fin dal Cinquecento. Al risultato si è giunti anche attraverso un sapiente uso politico-religioso dei mezzi televisivi che secondo i firmatari del presente atto di indirizzo ha annullato il pluralismo e la pluralità delle voci. In materia di opinioni e sensibilità religiosa il dato è evidente perché monitorato. La Chiesa cattolica gode di un'autentica e secondo i firmatari del presente atto di indirizzo ingiustificata posizione dominante perché la Rai sostanzialmente trasmette un solo messaggio, quello dei cattolici, mentre lo spazio riservato ad altre concezioni del mondo è estremamente limitato e quello riservato alle opinione atee e agnostiche è, di fatto, addirittura assente. I dati parlano chiaro: la Chiesa cattolica, fra messe in diretta, presenze nei telegiornali, programmi di approfondimento e presenze di vario tipo, occupa più del 95 per cento dello spazio dedicato dalla Rai all'informazione religiosa, come risulta dal dossier sulla presenza delle confessioni religiose in tv realizzato da una nota fondazione liberale con il contributo della Chiesa valdese;
      11) in Lettonia la Costituzione garantisce la libertà religiosa nonostante un concordato siglato nel 1923 tra lo Stato e la Chiesa cattolica riconosca l'autonomia di quest'ultima riguardo alle proprie attività. La Chiesa ortodossa ha chiesto invece senza alcun successo il riconoscimento del Natale ortodosso come festa nazionale; la proposta è stata presentata in Parlamento dal gruppo di opposizione Centro Armonia, ma è stata respinta per pochi voti;
      12) in Moldova non vi è una religione di Stato, quindi non dovrebbero esservi disparità di trattamento tra i gruppi religiosi. Tuttavia, nella prassi, la Chiesa ortodossa moldava riceve un trattamento preferenziale – anche per quanto riguarda la restituzione delle proprietà confiscate durante il periodo comunista – e il suo ruolo particolare nella storia e nella cultura del Paese viene fortemente sottolineato dalle istituzioni politiche;
      13) a Monaco, la costituzione del Principato stabilisce che la religione cattolica è la religione di Stato;
      14) nel Regno Unito un rapporto ufficiale del Governo scozzese ha evidenziato, nel biennio 2011-2012, un incremento del 26 per cento (le denunce sono state 876) dei crimini aggravati a sfondo religioso, diretti per lo più contro cattolici e protestanti. Secondo la BBC i musulmani sembrerebbero subire discriminazioni nell'ambito delle assunzioni. In generale, si registra un aumento delle violenze e delle discriminazioni ai danni di tutti musulmani e specialmente degli imam. Atti di antisemitismo hanno inoltre colpito tutte le varie figure della comunità ebraica, dagli ortodossi ai riformati e perfino persone di origine ebraica, ma non praticanti. Rispetto al 2012, un rapporto della Community Security Trust ha mostrato un aumento dei casi del 5 per cento nel 2012;
      15) nella Repubblica Ceca durante il periodo preso in esame si sono verificati alcuni incidenti di matrice antisemita e antislamica causati da piccoli ma ben organizzati gruppi di estrema destra;
      16) in Romania, i rapporti tra la Chiesa ortodossa rumena e la Chiesa greco-cattolica sono tesi, principalmente a causa della restituzione delle proprietà della Chiesa greco-cattolica, che sono state confiscate nel 1948 dal regime comunista e consegnate alla Chiesa ortodossa rumena; la Chiesa ortodossa rumena, inoltre, detiene una posizione dominante nel campo dell'istruzione. I membri del Baha'i hanno presentato una denuncia contro un libro scolastico religioso ortodosso, perché descrive i testimoni di Geova, i mormoni e i Baha'i come sette pericolose, mentre la Chiesa greco-cattolica viene definita un prodotto del «proselitismo cattolico» del XVIII secolo;
      17) in Russia la costituzione riconosce la libertà religiosa, ma leggi e politiche pubbliche impongono severe restrizioni a questa libertà. Secondo la legge sulla libertà di coscienza e le associazioni religiose del 2007, lo Stato riconosce solo il cristianesimo ortodosso orientale, l'ebraismo, l'islam e il buddismo come «religioni tradizionali» della Russia. È dunque ignorato il ruolo storico svolto dalla Chiesa cattolica e dalle comunità protestanti in Russia già dal XVI secolo;
      18) in Slovenia durante il periodo in esame si sono verificati atteggiamenti discriminatori nei confronti delle forze politiche che hanno proposto norme per adottare un più adeguato diritto di famiglia, poi varato dal governo nel giugno 2011, che ha equiparato le relazioni fra persone dello stesso sesso al matrimonio tradizionale. In reazione a questa scelta, si è formato un movimento discriminatorio fondato su motivi religiosi chiamato «Iniziativa Civile per la Difesa della Famiglia e dei Diritti dei Minori». Fortunatamente il Presidente Danil Türk ha saputo resistere alle indebite pressioni ricevute da parte di esponenti del clero, ribadendo il principio di laicità dello Stato;
      19) in Spagna i rapporti tra Chiesa cattolica e Stato sono retti da accordi con la Santa Sede, risalenti al 1979 che garantiscono l'esenzione alla sola Chiesa cattolica dal pagamento delle imposte su beni ecclesiastici. Per quanto riguarda invece le altre religioni, la commissione islamica di Spagna ha denunciato il fatto che lo Stato non abbia ancora garantito l'insegnamento dell'islam nelle scuole. Analogamente, secondo l'osservatorio della libertà religiosa e di coscienza, nessun imam musulmano può prestare servizio di assistenza spirituale negli ospedali, come invece previsto dall'accordo di cooperazione del 1992 siglato dallo lo Stato e la Cie. Intanto la comunità islamica continua a richiedere alle autorità, senza successo, un maggior numero di luoghi di culto e di sepoltura;
      20) l'Ucraina sta vivendo dei cambiamenti politici e sociali radicali con la possibilità di importanti implicazioni per la libertà religiosa nel Paese. Nel periodo in esame la situazione relativa alla libertà religiosa risulta nettamente peggiorata e diverse centinaia di migliaia di cittadini ucraini rischiano di essere perseguitati a causa dei vari conflitti locali tra denominazioni maggioritarie e minoritarie. Il Paese ha una composizione confessionale frammentata, trovandosi il Paese al confine tra cristianesimo orientale e quello occidentale;
      21) la nuova Costituzione ungherese, entrata in vigore nel 2012, fa esplicito riferimento all'eredità cristiana della nazione di fatto discriminando tutte le altre. Nel periodo in esame, sono stati segnalati 87 casi di vandalismo contro cimiteri ebraici. È da notare inoltre che il partito Jobbik, che ha riscosso un ampio consenso nel Paese, diffondendo concetti antisemiti;
     b) Africa:
      1) l'attuale Costituzione definisce l'Algeria «terra d'islam», indicando tale religione come «religione di Stato». Nella Carta mancano inoltre disposizioni che garantiscano la libertà di religione o consentano la conversione dall'Islam ad altra religione, inoltre l'insegnamento dell'islam obbligatorio nelle scuole di ogni ordine e grado;
      2) in Angola, nonostante il fatto che la Costituzione reciti: «Lo Stato riconosce e rispetta le diverse confessioni religiose, che sono libere di organizzare ed esercitare le loro attività, a condizione d'essere conformi alla Costituzione e alle leggi», nel novembre 2013 il Ministro della cultura Rosa Cruz e Silva ha annunciato la decisione governativa di vietare la religione islamica;
      3) nella Repubblica Centroafricana è in corso una crisi iniziata nel dicembre del 2012, quando la coalizione ribelle Seleka lanciò la sua offensiva nel Nord-Est occupando una città dopo l'altra prima di prendere d'assalto la capitale Bangui nel marzo 2013. Da allora si sono susseguiti numerosi attacchi, violenze, saccheggi e omicidi, che hanno colpito le comunità cristiane. A fine 2013 sono state costituite le milizie cristiane anti-Balaka, che hanno compiuto rappresaglie sia contro la coalizione Seleka che contro persone di etnia Peul, ritenute colpevoli di aver aiutato la Seleka in diversi attacchi contro le case di cristiani e di animisti;
      4) in Egitto si sono inoltre registrate numerose uccisioni, violenze e intimidazioni ai danni dei cristiani copti;
      5) in Eritrea la Costituzione del 1997 garantisce la libertà di religione nonostante essa non sia entrata in vigore. Lo Stato riconosce soltanto quattro comunità religiose: la Chiesa ortodossa eritrea, la Chiesa evangelica luterana di Eritrea, la Chiesa cattolica e l'Islam. Il Governo controlla i vertici della Chiesa ortodossa e della comunità musulmana vigilando sulle loro attività e risorse finanziarie. Molti dei detenuti nei campi di prigionia sono reclusi per motivi di ordine religioso. Secondo l'Alleanza evangelica eritrea, sarebbero 1.200 gli evangelici attualmente in carcere. Tutti i prigionieri sono detenuti in condizioni spaventose, in celle sotterranee o in capanne di metallo esposte al sole del giorno e al freddo della notte. Numerosi ex detenuti raccontano le brutalità e le torture subite, che avevano il principale intento di costringerli ad abbandonare la loro fede evangelica;
      6) in Etiopia varie minoranze religiose – soprattutto musulmani e protestanti – lamentano di aver subito ingiustizie a livello locale e discriminazioni nella concessione di prestiti per la costruzione di edifici per uso religioso. I musulmani, in particolare, affermano che il procedere delle loro richieste per costruire moschee nel nord del Paese, regione prevalentemente cristiano ortodossa, è stato ostacolato;
      7) in Guinea Equatoriale secondo l'istituto di ricerca Freedom House l'esercizio della libertà religiosa è «a volte limitato dalla repressione politica presente nel Paese». In concreto l'esercizio di tale libertà deve essere visto in un contesto caratterizzato da una politica repressiva e dalla mancanza del rispetto dei diritti umani fondamentali;
      8) in Kenia la Costituzione del 2010 garantisce il diritto alla libertà di religione, tuttavia durante il periodo in esame, la situazione è nettamente peggiorata. La regione è scossa da movimenti secessionisti, alcuni dei quali sono motivati dalla religione come il Consiglio Repubblicano di Mombasa. Questo tipo di movimento è legato a gruppi islamici che vogliono recidere i legami con le autorità centrali ritenute colpevoli di discriminare la popolazione musulmana;
      9) dopo la caduta del regime di Muhammar Gheddafi, la Libia si trova ancora in uno stato di transizione istituzionale. Le autorità provvisorie si trovano ad affrontare enormi difficoltà nel mantenere il rispetto della legge e l'ordine pubblico, anche all'interno della capitale, Tripoli. In tutto il Paese, continuano ad essere attive numerose milizie armate, molte delle quali sono state già coinvolte nella guerra civile iniziata nel 2011. Gli attacchi contro le minoranze religiose sono iniziati nell'ottobre 2011 e sono proseguiti per tutto il 2012 e il 2013. Pur essendo garantita dalla «Dichiarazione costituzionale intermedia» promulgata il 3 agosto 2011 dal Consiglio Nazionale di Transizione (CNT) la libertà religiosa è di fatto estremamente limitata. Il divieto di proselitismo è regolato da severe sanzioni e la libertà di assistere alle funzioni religiose è gravemente compromessa. Durante il periodo preso in esame vi è stato inoltre un aumento degli attacchi contro i luoghi di culto, soprattutto cristiani. Questo perché i vari gruppi jihadisti, molti dei quali sono costituiti da milizie islamiste radicali, esercitano il controllo de facto su gran parte del Paese;
      10) fino a poco tempo fa il Mali era un Paese di pace e di tolleranza religiosa. Tuttavia in seguito al colpo di Stato del 2012 e la conquista da parte di gruppi islamisti di più di due terzi del territorio, la situazione è profondamente peggiorata;
      11) in Mauritania la legge islamica, la Sharia, è osservata in tutto il Paese ed il reato di apostasia, ovvero l'abbandono dell'Islam per un'altra religione, può essere punito con la pena di morte, sebbene finora tale condanna non sia mai stata applicata. Si segnala inoltre che i salafiti, un gruppo islamico ultraconservatore, stanno guadagnando una sempre maggiore influenza nel Paese in virtù dei loro sforzi per imporre rigide regole morali;
      12) nelle Isole Mauritius non vi è persecuzione in senso stretto. Tuttavia, si riscontrano discriminazioni e tensioni, generalmente ai danni dei non induisti;
      13) in Nigeria la situazione della libertà religiosa è palesemente peggiorata nel periodo in esame. La persecuzione dei cristiani varia da regione a regione. Negli Stati del nord (in particolare Kano, Kaduna, Bauchi, Gombe, Yobe, Katsina), quasi tutti i cristiani – specie del gruppo Boko Haram – sono in costante pericolo d'esser uccisi, cacciati dalle loro case, derubati, o vittime di stupro. Più a sud, questa deriva è meno marcata, ad eccezione dello Stato di Nassarawa. La persecuzione anti-cristiana non fa differenze tra le varie denominazioni che assume;
      14) in Ruanda si registrano particolari restrizioni governative ai danni di gruppi religiosi di minoranza, quali i Testimoni di Geova;
      15) in Somalia la libertà religiosa è negata alla minuscola minoranza cristiana del Paese, che continua ad essere perseguitata. Tuttavia anche i molti musulmani non radicali che vivono nelle regioni controllate dai radicali islamisti di al Shabaab, versano in condizioni identiche;
      16) in Tanzania, la Costituzione, approvata nel 1977, riconosce la libertà religiosa come diritto di ognuno ad avere una fede liberamente scelta. Tuttavia nel 2011, alcune chiese protestanti sono state incendiate sulle isole di Zanzibar e Pemba;
      17) in Uganda preoccupano le severe misure antiterrorismo che hanno portato i musulmani a sentirsi perseguitati, molestati e oppressi dalle forze di sicurezza;
     c) Asia:
      1) in Arabia Saudita il wahhabismo è la sola forma di Islam permessa dalla dinastia regnante e non vi è una Costituzione. La Sunna, la tradizione islamica, occupa un posto privilegiato nella formulazione delle leggi del Paese e la Sharia è fonte di diritto. Nessun altro culto religioso islamico al di fuori del wahhabismo è consentito, nemmeno in privato, e dal momento che tutta l'Arabia Saudita è considerata una grande moschea, i luoghi di culto di altre religioni non possono esservi costruiti;
      2) in Bahrein la rivolta della maggioranza sciita contro il governo sunnita esplosa nel 2011 sulla scia delle primavere arabe non sembra ancora appianata e la comunità sciita continua a essere sottoposta a pesanti controlli e misure di sicurezza da parte della polizia;
      3) in Iran il primato dell'Islam pervade ogni settore della società e la Costituzione prescrive che «la religione ufficiale dell'Iran è l'islam e la setta seguita è quella dello sciismo giafarita»;
      4) in Siria l'odio religioso ha giocato un ruolo importante nella guerra civile iniziata nel 2011. A dimostrazione del fatto che il settarismo religioso è alla base del conflitto, vi sono le frequenti profanazioni di chiese e moschee, le uccisioni e i rapimenti di imam, vescovi e altri esponenti religiosi e gli attacchi mirati contro le comunità religiose. Di conseguenza, nel periodo in esame, la libertà religiosa ha sofferto, così come tutti i diritti umani fondamentali, un drastico peggioramento. I sunniti segnalano gravi persecuzioni da parte del presidente Assad e delle forze lealiste, mentre gli alawiti denunciano attacchi ai propri danni. Le comunità cristiane sono vittime di violenze sistematiche. In molti casi il movente è religioso; in altri, la causa è la presunta affiliazione politica delle vittime;
      5) in Cina, la violenta repressione contro le comunità buddiste tibetane continua, come la soppressione dei musulmani uiguri e delle sette evangeliche. L'impegno a rivedere lo statuto degli ebrei e dei cristiani ortodossi, per includerli tra le religioni riconosciute dallo Stato, non è ancora stato mantenuto;
      6) nella Corea del Nord si afferma che la libertà religiosa non esiste e il 75,7 per cento dichiara che le attività religiose sono punite con l'arresto e il carcere. Le conversioni riguardano per lo più coloro che – dopo essere fuggiti in Cina varcando il confine – entrano in contatto con missionari cristiani impegnati nell'accoglienza dei rifugiati; va peraltro segnalato che la Cina attua una politica di rimpatrio forzato, al quale seguono, da parte delle autorità nordcoreane, stringenti interrogatori volti innanzitutto a verificare se i fuggiaschi siano entrati in possesso di materiale religioso. Nucleo del sistema repressivo sono i brutali campi di prigionia, noti come kwan-li-so e talvolta indicati con la parola gulag. Si stima che in essi siano internati oltre 200 mila prigionieri detenuti in condizioni terribili, vittime di sistematiche e terribili torture, alimentati con razioni minime di cibo e sottoposti a un duro regime di lavori forzati;
      7) in India proseguono gli atti di violenza reciproca tra gruppi estremisti induisti e musulmani;
      8) in Indonesia ci sono state numerosi casi di gravi violenze e persecuzioni, in particolare contro le «comunità Ahmadiyya» e degli sciiti musulmani. Anche i buddisti hanno subito attacchi da parte di islamisti radicali che hanno colpito templi buddisti indonesiani in reazione alla violenza anti-musulmana in Birmania;
      9) da quando i comunisti hanno conquistato il potere nel 1975, con la conseguente espulsione di tutti i missionari stranieri, la minoranza cristiana in Laos è sottoposta a severi controlli statali e vi sono evidenti limiti alla libertà religiosa. I casi più frequenti di persecuzione religiosa si sono verificati nelle comunità protestanti;
      10) in tutta la Birmania, i cristiani e i musulmani continuano a subire discriminazioni, restrizioni e in alcune zone del Paese una violenta campagna persecutoria. Le persecuzioni più violente si concentrano nelle aree abitate da talune etnie, come quella dei Kachin. Tra i gruppi maggiormente colpiti dalle violenze anche i Rohingya, un'etnia prevalentemente di fede islamica;
      11) in Nepal l'opposizione sociale e politica al diritto di propagare la propria religione permane. Gruppi induisti e monarchici accusano i cristiani di offrire denaro e ad altri benefici materiali per convertire gli induisti al cristianesimo;
      12) in Pakistan, gli attacchi contro luoghi e fedeli cristiani sono numerosi, sebbene il timore di ritorsioni riduca il numero delle denunce presentate dalle vittime. Obiettivo della violenza settaria sono anche altre minoranze religiose, come gli indù e quelle islamiche degli sciiti e degli ahmadi. Particolarmente grave appare la situazione delle donne appartenenti alle minoranze religiose, spesso rapite, violentate e costrette a convertirsi;
      13) a Palau, gli uiguri musulmani lamentano difficoltà nel trovare lavoro a causa dell'ostracismo della popolazione, per il 75 per cento cattolica;
      14) nel Tagikistan, per tentare di consolidare il proprio potere, lo Stato esercita uno stretto controllo su ogni forma di attività religiosa. Le autorità di Governo mantengono uno stretto controllo su tutti i gruppi musulmani del Paese e permangono le politiche di soppressione delle scuole islamiche non autorizzate e delle moschee non ufficiali;
      15) nel Turkmenistan, l'attuale Presidente, Gurbanguly Berdymukhamedov, è salito al potere nel 2007 dopo la morte del suo predecessore, Saparmurat Niyazov – ex-dirigente comunista che ha guidato il Paese in modo assolutista dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica coltivando un forte culto della personalità – e, da quel momento, egli esercita il potere in modo incontrastato, rendendo il Turkmenistan uno dei Paesi più repressivi del mondo, anche in materia di libertà religiosa; il Paese è praticamente chiuso a ogni verifica indipendente. I media e la libertà religiosa sono soggetti a restrizioni draconiane, mentre i difensori dei diritti umani e altri attivisti devono confrontarsi con la costante minaccia di rappresaglie da parte del Governo;
      16) in Uzbekistan, la legge restrittiva sulla libertà di coscienza e le organizzazioni religiose, promulgata nel 1998, criminalizza tutte le attività religiose non registrate, bandisce la produzione e distribuzione di pubblicazioni religiose non ufficiali e impedisce ai minori di far parte di organizzazioni religiose;
      17) il 1o gennaio 2013 è stata introdotta in Vietnam una nuova legge sulla libertà di fede e di religione, il cosiddetto decreto 92. Secondo i promotori, il provvedimento serve a tutelare la libertà religiosa. In realtà, secondo esperti e critici, non è altro che la conferma dell'evidente desiderio del governo di Hanoi di controllare tutte le religioni. Il decreto 92, entrato in vigore all'inizio del 2013, è sembrato subito un tentativo di soffocare la libertà religiosa. I primi a denunciare i pericoli del nuovo provvedimento sono stati i membri dell'Ufficio informativo internazionale buddista (Ibib), un'organizzazione che ha sede a Parigi. Il nuovo decreto, hanno segnalato, è stato fonte di «profondo sconcerto» perché limita le attività dei cittadini e consente alle autorità un «maggior margine di manovra» per colpire chiunque non voglia sottomettersi alle direttive dell'unico partito di Stato. Secondo l'Ibib, la nuova decisione «stende una patina di legittimità» a una politica di «repressione religiosa pianificata dalle più alte sfere del Partito Comunista e dello Stato»;
     d) Americhe:
      1) in Argentina all'inizio del 2013, il Presidente Cristina Kirchner ha promesso l'introduzione di una nuova normativa che riconoscerebbe alle comunità protestanti, finora registrate come associazioni, di avere personalità giuridica religiosa. È prevista inoltre una legge atta a modificare l'attuale registro delle associazioni religiose, accordando a tutte un maggior riconoscimento. Finora, la Chiesa cattolica era l'unica a godere di un trattamento preferenziale;
      2) in Brasile la Chiesa cattolica rappresenta il gruppo religioso più numeroso, seguita dalle comunità protestanti (metodisti, episcopaliani, pentecostali, luterani e battisti). Ci sono poi minoranze non cristiane (ebrei, musulmani e buddisti) e gruppi ancor più minoritari di rastafariani e seguaci del Candomblé, dell'Umbanda e dello spiritualismo. Negli ultimi anni si sono registrati diversi casi di attacchi ai membri di movimenti religiosi come l'Umbanda e il Candomblé;
      3) in Costa Rica la Costituzione definisce il cattolicesimo religione di Stato. A differenza delle altre religioni, in virtù del suo speciale status giuridico la Chiesa cattolica non è registrata come associazione;
      4) a Cuba le scuole religiose non sono autorizzate, ad eccezione di due seminari cattolici e di alcuni centri di formazione interreligiosi;
      5) in Ecuador la locale comunità musulmana ha denunciato discriminazioni in ambito lavorativo e scolastico, mentre sono stati registrati episodi di violenza ai danni della comunità cattolica, da imputare probabilmente ad alcuni protestanti evangelici;
      6) nella Guyana il reato di blasfema comporta una possibile pena detentiva di un anno;
      7) ad Haiti esponenti della comunità vudù e della comunità musulmana sostengano di non godere della stessa tutela giuridica dei cristiani. Alcuni gruppi musulmani lamentano inoltre il mancato riconoscimento da parte del Governo dei matrimoni musulmani a differenze delle unioni cristiane,

impegna il Governo:

   a promuovere ogni azione, a livello internazionale e nei rapporti bilaterali, volta a riconoscere la persecuzione nei confronti dei professanti qualsiasi religione come priorità assoluta, affinché sia condannata e contrastata con ogni mezzo;
   a porre in essere ogni iniziativa affinché i Governi dei Paesi alleati e dei Paesi che sostiene con gli strumenti della cooperazione internazionale forniscano adeguata protezione ai tutti i fedeli di qualsiasi confessione religiosa e garantiscano il loro diritto ad esercitare e a professare la loro fede in sicurezza e libertà;
   ad adottare ogni iniziativa utile a garantire la tutela di tutte le minoranze religiose anche attraverso azioni dirette, da realizzare in collaborazione con le rappresentanze diplomatiche italiane e consolari;
   a far valere, nelle relazioni diplomatiche ed economiche, bilaterali o multilaterali, la necessità di un effettivo impegno degli Stati per la tolleranza e la libertà religiosa, in particolare delle minoranze perseguitate, laddove risulti minacciata o compressa per legge o per prassi, direttamente dalle autorità di Governo o attraverso un tacito assenso che implichi l'impunità dei violenti;
   ad adoperarsi affinché analogo principio sia fatto valere a livello di Unione europea e di qualsiasi altro organismo internazionale per l'assegnazione di aiuti agli Stati;
   a promuovere nelle competenti sedi internazionali, di concerto con i partner dell'Unione europea, iniziative atte a rafforzare il rispetto del principio di libertà religiosa, la tutela delle minoranze religiose, la lotta contro la discriminazione religiosa e il monitoraggio delle violazioni, dando concreta attuazione agli strumenti internazionali esistenti.
(1-00856)
«Bechis, Mucci, Artini, Baldassarre, Barbanti, Matarrelli, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco».
(11 maggio 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    i drammi che i popoli hanno vissuto per poter affermare il culto delle proprie religioni tornano tristemente vivi. Più e più volte nella storia le minoranze religiose sono state oggetto di persecuzioni molto violente, gli anni che si vivono non sono da meno e l'evoluzione delle società e delle culture non è riuscita a tenere sotto controllo questi atroci fenomeni di intolleranze religiose;
    nel Medio Oriente si sta consumando quella che molti definiscono una vera e propria guerra di religione: il nuovo sedicente califfato Isis sta consumando un vero e proprio genocidio ogni giorno in nome di Allah e i venti di questa guerra stanno soffiando sempre più forti sino in Europa, dove ancora una volta gli ebrei vengono colpiti per la sola colpa di essere minoranza religiosa, mentre in Medio Oriente e in Africa i cristiani sono sotto costante attacco;
    il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha condannato le persecuzioni contro i cristiani nel nord dell'Iraq, sottolineando che i provvedimenti adottati dal califfato contro le minoranze religiose potrebbero essere considerati crimini di guerra. Il Consiglio, con una dichiarazione approvata all'unanimità, ha condannato «la sistematica persecuzione di membri di minoranze e di quanti in Iraq rifiutano l'ideologia estremista dell'Isis e dei gruppi armati associati». I membri del Consiglio di sicurezza ribadiscono che i diffusi e sistematici attacchi diretti contro i civili a causa della loro etnia, del loro credo religioso o della loro fede potrebbero costituire un crimine contro l'umanità;
    in questa guerra particolare rilievo assume la persecuzione che stanno subendo i cristiani: decine di migliaia di cristiani, curdi e yazidi sono in cerca di una via di fuga. Donne, bambini, anziani, e con loro sacerdoti e suore, sono in marcia per cercare di trovare rifugio dopo essere stati costretti a lasciare le loro case. La minaccia del califfato dell'Isis è solo l'ultima nei loro confronti; basti pensare che negli ultimi 11 anni sono fuggiti dall'Iraq oltre 2/3 dei 2 milioni e mezzo di cristiani e ora le persone in fuga sono oltre 200.000;
    in queste ore circa 300 mila cristiani soffrono e guardano al proprio futuro con angoscia e preoccupazione senza alcuna via di fuga, come sta accadendo ai cristiani iracheni che vivono a Mosul, ai quali è impedito anche di celebrare la messa, a causa dell'offensiva dell'Isis;
    secondo il Center for the study of global christianity di South Hamilton, nel Massachusetts, su scala internazionale il numero dei cristiani uccisi, in quanto tali, tra il 2000 e il 2010 è stato di circa un milione, 100.000 all'anno;
    la radicalizzazione dei gruppi fondamentalisti ha contribuito ad alimentare il massiccio esodo di cristiani dal Medio Oriente. Se appena un secolo fa essi rappresentavano circa il 20 per cento della popolazione mediorientale, oggi raggiungono a stento il 4 per cento;
    i dati riguardo la libertà religiosa nel mondo sono davvero allarmanti: circa il 74 per cento della popolazione mondiale (quasi 5,3 miliardi di persone) vive in Paesi in cui la libertà religiosa è soggetta a più o meno gravi violazioni e limitazioni, che si traducono spesso in vere e proprie persecuzioni religiose. Recenti studi dimostrano che circa i tre quarti dei casi di persecuzioni religiose nel mondo riguardano i cristiani. Sono almeno 500 milioni i cristiani che vivono in Paesi in cui subiscono persecuzione, mentre altri 208 milioni vivono in Paesi in cui sono discriminati a causa del proprio credo;
    il divieto di cambiare religione è tuttora in vigore in 39 Paesi, la quasi totalità dei quali appartenenti al consesso dell'Onu;
    accade con troppa facilità ormai che i diritti umani siano violati in nome della fede, invece ogni Stato dovrebbe garantire il rispetto e la possibilità di professare la propria fede, qualunque essa sia. La trappola degli estremisti è voler far credere che la religione sia fonte di divisione, invece è e deve essere parte fondante della pace tra i popoli, unica vera garante di uno sviluppo umano ed economico globale;
    in questo crescente clima di odio e di intolleranza le organizzazioni internazionali, a cominciare dall'Organizzazione delle Nazioni Unite, l'Unione europea, gli Stati tutti devono far sentire la loro voce e tenere alta l'attenzione su questa tematica così importante e così foriera di pace o di guerra;
    in data 8 novembre 2014 ad Oslo, presso il Centro dei Nobel per la pace, 30 parlamentari provenienti da ogni parte del mondo hanno sottoscritto la «carta della libertà di religione e credo» come impegno alla promozione della medesima nel proprio ruolo di parlamentari e attraverso la cooperazione globale tra istituzioni rappresentative;
    il Parlamento e il Governo italiani non possono chiamarsi fuori da questa sfida, per la tradizione, la reputazione, l'identità universalmente riconosciute al nostro Paese, come nazione impegnata nella costruzione della pace e del dialogo tra le religioni;
    in Italia sono presenti fedeli di religione ebraica da oltre duemila anni e, seppure nel recente passato si sono avuti episodi di intolleranza, questo rappresenta per tutte le istituzioni un monito a contrastare, senza riserve, gli episodi di antisemitismo riemersi prepotentemente negli ultimi tempi;
    esiste una libertà religiosa cosiddetta «positiva», che consta nella possibilità di professare e manifestare la propria fede;
    esiste una libertà religiosa cosiddetta «negativa», che consta nell'impossibilità di negare, in nome del proprio credo, la libertà religiosa altrui;
    un appello alla comunità internazionale è stato rivolto anche da Papa Francesco per «porre fine al dramma umanitario in atto» e perché la comunità internazionale «si adoperi a proteggere i minacciati di qualunque religione»,

impegna il Governo:

   a rafforzare, in vista dell'entrata in vigore della nuova agenda per lo sviluppo sostenibile, l'applicazione della libertà di religione e della protezione delle minoranze religiose nei Paesi a rischio, nel rispetto della Dichiarazione universale del diritti dell'uomo;
   a rendere il tema della reciprocità religiosa e del rispetto delle minoranze un tema di discussione nell'ambito delle negoziazioni diplomatiche e culturali bilaterali con i Paesi dove questi diritti non sono tutelati;
   a destinare parte dei fondi per la cooperazione allo sviluppo per il sostegno di progetti di tutela delle minoranze religiose e per la promozione di una cultura di tolleranza religiosa.
(1-00857)
(Nuova formulazione) «Preziosi, Berlinghieri, Ermini, Giuliani, Quartapelle Procopio, Monaco, Piccoli Nardelli, Tidei, Gianni Farina, Ascani, Amoddio, Cova, Prina, Piccione, Locatelli».
(11 maggio 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    la libertà religiosa è uno dei diritti fondamentali della persona che ogni Stato dovrebbe tutelare, oltre che riconoscere;
    la Costituzione, all'articolo 19, riconosce in modo ampio la libertà di religione, intesa quale diritto di ogni individuo di professare liberamente la propria fede e farne propaganda, nonché di esercitare in privato e in pubblico il culto e, all'articolo 8, riconosce che tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge;
    nella dichiarazione dell'Onu del 1948 tutti gli Stati che ne fanno parte si impegnano a garantire non tanto e non solo una mera tolleranza religiosa verso le minoranze, bensì una piena libertà religiosa per tutte e per tutti; in particolare, l'articolo 18 stabilisce che: «ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti»;
    negli ultimi anni la libertà religiosa è in netto declino con una crescente ondata di persecuzioni mirate anche a marginalizzare le comunità religiose. Dati recenti testimoniano che il 70 per cento della popolazione mondiale vive in Paesi caratterizzati da restrizioni o persecuzioni a causa della religione professata;
    nella lista degli Stati in cui si registrano gravi violazioni della libertà religiosa, i Paesi musulmani ne rappresentano la maggioranza con gravissime violazioni dove la persecuzione è legata all'estremismo islamico: Afghanistan, Arabia Saudita, Egitto, Iran, Iraq, Libia, Maldive, Nigeria, Pakistan, Repubblica Centrafricana, Siria, Somalia, Sudan e Yemen;
    fortissime limitazioni alla libertà religiosa si riscontrano anche in numerosi Stati autoritari come l'Azerbaigian, il Myanmar, la Cina, la Corea del Nord, l'Eritrea e l'Uzbekistan;
    la libertà religiosa è in declino nei Paesi occidentali a maggioranza cristiana o di tradizione cristiana. In Europa, ad esempio, sono crescenti i fenomeni di antisemitismo e islamofobia, spesso fomentati da chi contrasta l'inevitabile modello pluriconfessionale ed eterogeneo della società;
    occorre per cui contrastare queste tendenze con forti politiche di inclusione sociale e attivarsi in ogni sede, europea ed internazionale, affinché si attuino provvedimenti orientati al massimo rispetto di tutte le fedi e di tutte le opinioni e si prendano misure efficaci a contrastare ogni forma di violenza,

impegna il Governo:

   ad assicurare protezione internazionale ai perseguitati per motivi religiosi;
   a rendersi promotore, nell'ambito dell'Unione europea e presso gli organismi internazionali cui l'Italia partecipa, di iniziative volte a riaffermare i principi di libertà religiosa oltre che di rispetto dei diritti civili e a favorire il dialogo tra i popoli e il dialogo interreligioso, nonché di iniziative da attuare nei confronti dei Governi che impediscono la libertà religiosa per far cessare le persecuzioni religiose;
   ad adoperarsi presso gli Stati europei, nell'ambito dell'Unione europea e nelle sedi internazionali, al fine di ampliare il fronte di solidarietà contro le esortazioni alla violenza di esponenti del radicalismo di qualsiasi natura e delle organizzazioni di quasi natura e tipo che incitano all'odio religioso ed etnico;
   a riferire periodicamente sugli obiettivi raggiunti, a partire dagli impegni presi dal Governo a seguito delle mozioni approvate dalla Camera dei deputati il 2 luglio 2014.
(1-00859)
«Palazzotto, Scotto, Fratoianni, Kronbichler, Costantino, Quaranta».
(12 maggio 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti umani riconosce ad ogni individuo «il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti»;
    la violenza a sfondo religioso è legata al declino della tolleranza religiosa, del pluralismo religioso e del diritto all'autodeterminazione religiosa e, soprattutto, nel mondo in via di sviluppo continua ad affermarsi la tendenza ad allontanarsi dal pluralismo religioso, mentre in varie parti del medio e dell'estremo oriente inizia a comparire il fenomeno degli Stati monoconfessionali;
    in base ai dati raccolti dalla Fondazione pontificia ACS nel rapporto sulla libertà religiosa nel mondo nel periodo compreso tra l'ottobre del 2012 e il giugno 2014, il rispetto della libertà religiosa nel mondo continua a diminuire;
    dal rapporto emerge che in quasi il sessanta per cento dei 196 Paesi analizzati si registra un preoccupante disprezzo per la libertà religiosa e che nel trenta per cento dei Paesi la situazione è peggiorata anche in modo significativo rispetto al biennio precedente;
    in totale, il rapporto ha identificato venti Paesi come luoghi di elevato grado di violazione della libertà religiosa, in quanto in essi la libertà religiosa non esiste, suddividendoli tra quelli in cui le persecuzioni a sfondo religioso sono legate all'estremismo islamico e quelli in cui le stesse sono perpetrate da regimi autoritari;
    nel primo gruppo rientrano Afghanistan, Arabia Saudita, Egitto, Iran, Iraq, Libia, Maldive, Nigeria, Pakistan, Repubblica Centrafricana, Siria, Somalia, Sudan e Yemen, mentre del secondo fanno parte Azerbaigian, Myanmar, Cina, Corea del Nord, Eritrea e Uzbekistan;
    ad oggi, i cristiani continuano ad essere il gruppo religioso maggiormente perseguitato, sia a causa della loro presenza in quasi tutti i continenti, dove rappresentano spesso una minoranza all'interno di culture molto diverse dalla loro, sia a causa del fatto che molte delle terre in cui abitano da secoli, se non da millenni, sono oggi sconvolte dall'estremismo e dal terrorismo;
    inoltre, in molti luoghi in cui cristiani e musulmani avevano convissuto insieme per secoli, ora il gruppo religioso dominante cerca, attraverso l'imposizione della Sharia o con atti legislativi ispirati dalla supremazia di una religione sull'altra, di imporre un conformismo universale nelle pratiche religiose;
    secondo i dati contenuti nella World Watch List 2014, pubblicata nel mese di gennaio 2015 dall'associazione Open Doors International, in ben trentaquattro nazioni la persecuzione dei cristiani è aumentata rispetto all'anno precedente, mentre solo in cinque è diminuita;
    anche i musulmani subiscono considerevoli persecuzioni e discriminazioni, da parte di regimi autoritari e, soprattutto, di altri gruppi musulmani, tra le quali si inquadrano in particolar modo quelle che originano dallo storico contrasto tra sunniti e sciiti;
    si registra, inoltre, una drammatica acutizzazione di violenze e persecuzioni per motivi religiosi nei territori in cui si sta affermando lo Stato islamico, che ha cacciato tutti i gruppi religiosi, musulmani non sunniti compresi, concedendo ai cristiani come unica alternativa per rimanere quella della conversione forzata all'islamismo;
    lo Stato islamico ha altresì costretto alla fuga almeno quarantamila yazidi, una minoranza curdofona seguace di una religione pre-islamica, dall'Iraq dopo che nell'agosto del 2014 ha conquistato Sinjar, la città irachena situata a 50 chilometri dalla frontiera con la Siria, e ha dato il via a violenze inaudite nei loro confronti;
    le forme di estremismo e persecuzione contribuiscono in modo significativo al crescente fenomeno delle migrazioni di massa e, a fronte del fatto che le minoranze religiose mediorientali vanno riducendosi già da molti anni, negli ultimi anni la crisi umanitaria è drammaticamente peggiorata, portando, ad esempio, il numero di cristiani in Siria a un calo di oltre il trenta per cento in tre anni, e in Iraq la diminuzione è stata ancora più evidente;
    in Africa, la tendenza più preoccupante degli ultimi due anni è rappresentata dalla crescita del fondamentalismo islamico sotto l'impulso di gruppi come Al Qaeda nel Maghreb islamico, Boko Haram in Nigeria e nei Paesi confinanti, e al Shabaab, che ha la sua roccaforte in Somalia;
    anche in Asia si registrano pesanti limitazioni della libertà religiosa ai danni di comunità cristiane, musulmane, indù e sikh, che culminano in aperte violenze contro gruppi quali gli ahmadi e i sufi,

impegna il Governo:

   ad intraprendere e sostenere ogni iniziativa in ambito europeo ed internazionale volta a sostenere il rispetto della libertà religiosa nel mondo e a contrastare le persecuzioni e le violenze;
   ad esercitare forme di pressione diplomatica ed economica verso quei Paesi che non garantiscono o non tutelano il diritto alla libertà religiosa, se del caso non sottoscrivendo accordi con nazioni che non garantiscano il pieno esercizio di tale libertà;
   a condannare in ogni sede le violenze nei confronti delle minoranze religiose e ad adoperarsi affinché queste siano scongiurate attraverso le opportune iniziative internazionali;
   ad impegnarsi nelle competenti sedi internazionali affinché sia riconosciuta la giusta importanza al tema delle persecuzioni per motivi religiosi e affinché l'argomento sia oggetto di un indirizzo condiviso tra i Paesi che possa formare la base per una collaborazione tra gli stessi anche nelle politiche di aiuto ai rifugiati.
(1-00862)
«Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».
(13 maggio 2015)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA TUTELA DEI DIRITTI DEI CONSUMATORI NEI CONFRONTI DEGLI OPERATORI DEL MERCATO DELL'ENERGIA ELETTRICA E DEL GAS

   La Camera,
   premesso che:
    molti cittadini hanno ricevuto «maxi-bollette» di luce e gas per pagare sostanziosi conguagli che, in molti casi, così come riportato anche da alcuni organi di informazione, sono stati il frutto di anni di addebiti dovuti a conteggi di consumi stimati, ma non effettivi, poiché spesso vengono ignorate le letture dei contatori, ad errori di valutazione o, comunque, a fatturazioni incongrue certamente non imputabili agli utenti;
    molti consumatori, non avendo strumenti idonei per difendersi e far valere i propri diritti o, più semplicemente, per non entrare nel complesso ed oneroso meccanismo per l'accertamento della verità per via amministrativa o giudiziaria, rischiano di trovarsi di fatto costretti a pagare cifre importanti di alcune migliaia di euro, per evitare il distacco dell'energia elettrica;
    a fronte di numerosi reclami e segnalazioni ricevuti anche da parte diverse associazioni dei consumatori, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato in data 13 luglio 2015 ha dato notizia di aver avviato quattro procedimenti istruttori nei confronti delle società per azioni Eni, Acea energia, Edison energia, Enel energia, Enel servizio elettrico;
    tale indagine è volta ad accertare eventuali violazioni del codice del consumo in merito a varie condotte degli operatori: la fatturazione basata su consumi presunti, la mancata considerazione delle autoletture, la fatturazione a conguaglio di importi significativi, anche a seguito di conguagli pluriennali, la mancata registrazione dei pagamenti effettuati, con conseguente messa in mora dei clienti fino talvolta al distacco, nonché il mancato rimborso dei crediti maturati dai consumatori;
    la crisi economica ha già colpito duramente tante famiglie italiane e queste «maxi-bollette» di conguaglio non fanno altro che peggiorarne la situazione finanziaria,

impegna il Governo:

   ad intervenire a livello legislativo varando al più presto una moratoria su queste «maxi-bollette» in modo da bloccare quanto prima i pagamenti di questi importi, fino a quando le autorità competenti non abbiano completato le verifiche sulla condotta dei suddetti operatori in merito alle eventuali violazioni del codice del consumo;
   ad intervenire a livello legislativo stabilendo che, nel caso in cui le autorità competenti ravvisassero comportamenti scorretti da parte dei gestori dei servizi, i cittadini interessati non siano tenuti a pagare queste bollette di conguagli per gli anni passati e che gli stessi gestori siano obbligati a rimborsare tempestivamente gli utenti, nel caso in cui questi ultimi avessero già versato, interamente o in parte, gli interi o i parziali importi indebitamente richiesti attraverso questo tipo di fatturazioni illegittime;
   ad assumere iniziative per stabilire a livello legislativo il principio per cui nessun utente-consumatore può essere chiamato a sostenere spese per conguagli concernenti consumi presunti anteriori ai due anni precedenti la data di fatturazione.
(1-00967)
«Baldelli, Bernardo, Matarrese, Allasia, Gigli, Rampelli, Rizzetto, Abrignani, Polverini, Alli, Saltamartini».
(31 luglio 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    come ampiamente evidenziato dalla stampa nazionale, sono molto frequenti i casi in cui vengono recapitate bollette di gas e luce di importi esorbitanti per conguagli risalenti a molti anni addietro e spesso il salatissimo conguaglio è dovuto all'inadempimento del fornitore o del distributore, che ha omesso di effettuare le letture periodiche del contatore oppure non ha emesso bollette periodiche. Un disservizio che persiste anche per anni e che comporta pesanti conseguenze per gli utenti, che si ritrovano a dover pagare, in un colpo solo, bollette così elevate da non potervi far fronte;
    al riguardo si evidenzia che, nonostante non possano essere pretese da parte degli utenti somme relative a consumi che il fornitore avrebbe potuto e dovuto pretendere oltre 5 anni prima dell'emissione della fattura in forza di quanto previsto dall'articolo 2948 del codice civile (ove si prevede che si prescrivano in cinque anni gli interessi e in generale tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi), per quanto risulta ai firmatari del presente atto di indirizzo i fornitori spesso sostengono che la prescrizione decorre da quando viene emessa la fattura di conguaglio, con ciò spostando a loro piacimento il termine da cui decorre la prescrizione e consentendo così di richiedere i conguagli anche dopo dieci o quindici anni e potenzialmente per l'eternità;
    quanto precede appare assolutamente inammissibile, perché se il fornitore omette di fatturare consumi per molti anni, perché non tiene conto delle letture del contatore o si è «dimenticato» di emettere bollette periodiche, dovrebbe perdere il diritto ad essere pagato, dato che non vi sono dubbi che tra le somme che devono pagarsi periodicamente, e quindi soggette a prescrizione quinquennale, vi siano anche le bollette relative ai consumi periodici di energia elettrica e gas;
    se così non fosse, l'istituto della prescrizione, che il codice civile prevede come norma imperativa e inderogabile, sarebbe del tutto aggirabile da parte dell'esercente, mentre secondo un ragionamento logico e sulla base dei principi generali dell'ordinamento, la prescrizione decorre da quando può essere fatto valere il diritto, ovvero da quando il fornitore può (e deve) fare la lettura dei contatori (generalmente per il tramite del distributore). È in quell'occasione che, rilevati consumi superiori a quelli addebitati in acconto sulla base di letture stimate, può pretendere il pagamento del conguaglio. Ed è, quindi, da quel momento che decorre la prescrizione quinquennale;
    per capire da quando decorre la prescrizione risulta assolutamente necessario capire quale sia il giorno entro il quale il gestore, per il tramite del distributore, dovrebbe effettuare la lettura del contatore, e di questo dovrebbe essere data massima evidenza nei confronti dell'utente-consumatore che troppo spesso non dispone di strumenti idonei ed efficaci per poter sostenere un contraddittorio;
    in passato sono state irrogate sanzioni per violazione delle norme poste a tutela della trasparenza dei consumi e dei costi relativi alla fornitura del servizio di distribuzione e di vendita dell'energia elettrica ai clienti del mercato regolato;
    nel provvedimento VIS 22/09 dell'Autorità per l'energia ed il gas e il sistema idrico si legge che l'autorità, dopo aver accertato l'inosservanza da parte di Enel dell'obbligo del tentativo di lettura annuale dei contatori presso tutti i clienti allacciati alla propria rete con potenza contrattualmente impegnata fino a 30 kW, ha irrogato alla società Enel una sanzione amministrativa pecuniaria pari a 2.053.000 euro. Nella delibera VIS 22/09 si legge che «l'illecito in questione è grave sia in ragione dell'interesse tutelato dalla norma violata sia perché ha avuto un'estensione notevole per quanto riguarda i clienti coinvolti e l'ambito territoriale interessato che coincide con l'intero territorio nazionale» e che «la mancata lettura dei contatori per lunghi periodi può danneggiare il cliente finale, dando luogo ad elevati conguagli»;
    l'Autorità per l'energia elettrica e il gas e il sistema idrico, anche a seguito di segnalazioni di altri clienti e associazioni di categoria, ha avviato, con deliberazione VIS 36/101, un procedimento per l'adozione di propri provvedimenti per violazione, tra l'altro, della disciplina in materia di periodicità di fatturazione prevista dalla regolamentazione in vigore (nel caso di contratti di fornitura di gas a condizioni regolate) o dai contratti di fornitura a condizioni di mercato libero;
    con il medesimo provvedimento, l'Autorità ha intimato all'esercente di: provvedere a ripristinare la regolare periodicità di fatturazione nel rispetto delle delibere dell'Autorità (per i clienti che hanno un contratto a condizioni regolate) e delle condizioni contrattuali sottoscritte dai clienti (per coloro che hanno un contratto di mercato libero), emettendo le relative fatture; corrispondere l'indennizzo automatico previsto dal codice di condotta commerciale gas emanato dall'Autorità ai clienti che hanno un contratto gas a condizioni di mercato libero e che ne abbiano il diritto; fornire risposta motivata ai reclami scritti inviati dai clienti aventi ad oggetto la mancata emissione delle fatture, indicando la data prevista per la ripresa;
    più recentemente, in data 13 luglio 2015, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, presieduta dal professor Giovanni Pitruzzella, ha avviato quattro procedimenti istruttori nei confronti delle società per azioni Acea energia, Edison energia, Enel energia, Enel servizio elettrico ed Eni;
    a fronte di numerosi reclami e segnalazioni, ricevute anche da diverse associazioni dei consumatori, tale indagine è volta ad accertare eventuali violazioni del codice del consumo in merito a varie condotte degli operatori, tra cui rientrano: la fatturazione basata sui consumi presunti; la mancata considerazione delle auto-letture; la fatturazione a conguaglio di importi significativi, anche a seguito di conguagli pluriennali; la mancata registrazione dei pagamenti effettuati, con conseguente messa in mora dei clienti fino talvolta al distacco; e, infine, il mancato rimborso dei crediti maturati dai consumatori. Nell'ambito di queste istruttorie, i funzionari dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato hanno svolto ispezioni nelle sedi delle società interessate dal procedimento a Roma, Milano e San Donato Milanese, con l'ausilio del nucleo speciale antitrust della Guardia di finanza,

impegna il Governo:

   ad adottare con urgenza ogni iniziativa, anche normativa, finalizzata a rafforzare le tutele dei diritti degli utenti del mercato dell'energia elettrica e del gas chiaramente vittime di comportamenti scorretti operati ai loro danni da parte di soggetti distributori che oggi, come pure in passato, hanno reclamato conguagli a distanza di anni;
   ad attivare un'indagine ministeriale nei confronti delle società a partecipazione pubblica italiana citate in premessa parallelamente ai procedimenti istruttori recentemente avviati dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato nei confronti di Acea energia, Edison energia, Enel energia, Enel servizio elettrico ed Eni, varando al più presto una moratoria del pagamento bollette di gas e luce di importi esorbitanti in attesa della conclusione degli accertamenti;
   ad attivarsi con le iniziative di competenza affinché il contesto competitivo nel settore della vendita dell'energia elettrica sul mercato libero impedisca il consolidarsi di posizioni di ingiustificata profittabilità per taluni operatori e il conseguente peggioramento delle condizioni economiche di migliaia di persone già colpite dalla crisi.
(1-00984)
«Ricciatti, Ferrara, Scotto, Zaratti, Pellegrino, Quaranta, Airaudo, Placido, Marcon, Duranti, Piras, Fratoianni, Melilla, Franco Bordo, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Zaccagnini, Sannicandro».
(11 settembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    secondo gli ultimi dati forniti dalle associazioni dei consumatori quasi un reclamo su due (il 46 per cento delle segnalazioni raccolte nell'intero settore energetico) è causato da «problemi con le fatturazioni»: bollette «sballate», fatture recapitate in ritardo e conguagli esorbitanti. Quest'ultimo aspetto, nel settore del gas, sarebbe causato dalla mancata o inesatta verifica dei misuratori da parte delle aziende di fornitura. Da un'indagine condotta dalla Federconsumatori sui reclami raccolti nel 2011 emerge che oltre il 10 per cento dei disservizi denunciati provengono da utenti che non sono in grado di ricostruire i propri consumi del gas perché il fornitore non effettua la periodica lettura del contatore;
    la mancata verifica a domicilio spesso poi ostacola il passaggio verso un altro operatore e innesca altre forme di contenzioso: oltre il 30 per cento delle lamentele raccolte infatti riguarda contestazioni sulla lettura del misuratore fornita dall'azienda;
    l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha avviato quattro procedimenti istruttori nei confronti delle società per azioni Acea Energia, Edison Energia, Enel Energia, Enel Servizio Elettrico ed Eni. Sotto la lente le modalità di fatturazione e i mancati rimborsi;
    si fa presente che da settembre 2015 i consumatori elettrici riceveranno una nuova tipologia di bolletta elettrica, in grado di assicurare una maggiore trasparenza e trasferire informazioni utili ai consumatori ma, allo stesso tempo, ancora non è stata fatta chiarezza sull'omologazione dei contatori elettrici installati nelle case degli italiani;
    la nuova bolletta sintetica indicherà il costo unitario del chilowattora riportando anche «la spesa per gli oneri di sistema», una voce che oggi viene pagata all'interno dei servizi di rete ma non ancora evidenziata nelle bollette. Nel settore elettrico sono, ad esempio, le voci relative agli incentivi alle fonti rinnovabili e assimilate e alle imprese manifatturiere energivore, i fondi necessari alla messa in sicurezza delle centrali nucleari o per la ricerca, valori che incidono per oltre il 22 per cento sulla spesa finale del cliente tipo servito in regime di maggior tutela;
    gli apparecchi di misurazione dei consumi installati nelle abitazioni, al contrario, non risulterebbero essere adeguati al compito di assicurare la necessaria trasparenza, certezza e imparzialità nel calcolo dei consumi, con il rischio che eventuali dati errati possano far pagare ai consumatori una bolletta più «salata» del previsto;
    nessuno degli enti preposti ha mai verificato la conformità normativa dei contatori elettrici che misurano il consumo di energia e l'Autorità per l'energia elettrica il gas ed il sistema idrico, fino ad oggi, si è concentrata esclusivamente sul modo di gestire il dato di consumo e di riportarlo in bolletta, tralasciando però la verifica della generazione di quel dato con il misuratore. Sembrerebbe proprio una delle più grandi falle nel sistema elettrico italiano, quasi 40 milioni di misuratori che non sono mai stati certificati da un ente terzo indipendente;
    si ricorda che nel 2004 è entrata in vigore la direttiva europea su «gli usi finali di energia, l'efficienza e i servizi energetici» (Mid – measurement instruments directive) che impone l'omologazione e la certificazione. Nel 2007 la direttiva viene recepita in Italia: ogni strumento che eroga elettricità ai consumatori deve avere una marcatura che ne attesti non tanto il corretto funzionamento, quanto che quel contatore sia identico al modello depositato presso l'ente notificatore europeo prescelto. Nel caso dell'Enel, ma solo dal 2007, per i contatori elettrici sono due, l'olandese Nmi e l'italiana Iqf, entrambi iscritti al Nando, la Gazzetta Ufficiale degli enti notificatori;
    il gruppo Movimento Cinque Stelle ha più volte sottoposto, attraverso atti di sindacato ispettivo, al Ministro dello sviluppo economico la problematica dei controlli metrologici dei contatori elettrici;
    inoltre si rileva che nell'ambito delle procedure d'infrazione avviate nel mese di febbraio 2015 la Commissione europea ha rilevato che «non è stato recepito l'obbligo secondo cui i contatori installati conformemente alle direttive 2009/72/CE e 2009/73/CE consentono informazioni sulla fatturazione precise e basate sul consumo effettivo»,

impegna il Governo:

   ad adottare immediate iniziative per adempiere agli obblighi prescritti dall'Unione europea sulla conformità normativa dei contatori elettrici come descritto in premessa evitando ulteriori aggravi sulle bollette degli utenti;
   ad attuare immediatamente i commi 6-ter e 6-quater dell'articolo 1 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, che prevedono rispettivamente:
    a) di rendere più facilmente confrontabili le offerte contrattuali rivolte ai clienti finali per l'acquisto di gas o energia elettrica, identificare le componenti di base di costo da esplicitare obbligatoriamente nelle stesse offerte e determinare le sanzioni a carico dei soggetti venditori in caso di inottemperanza;
    b) che i dati di lettura dei contatori stessi siano resi disponibili ai clienti in forma aggregata e puntuale, secondo modalità tali da consentire la facile lettura da parte del cliente dei propri dati di consumo, garantendo nel massimo grado e tempestivamente la corrispondenza tra i consumi fatturati e quelli effettivi con lettura effettiva dei valori di consumo ogni volta che siano installati sistemi di telelettura e determinando un intervallo di tempo massimo per il conguaglio nei casi di lettura stimata;
   ad assumere iniziative per sospendere ogni attività esecutiva di pretesa di pagamento di bolletta elettrica e gas esosa nei confronti degli utenti fino a quando le autorità competenti non abbiano completato le verifiche per accertare che la condotta degli operatori non abbia violato le norme del codice del consumo e non sia illegittima.
(1-00985)
«Ruocco, Crippa, Da Villa, Cancelleri, Della Valle, Fantinati, Vallascas, D'Incà».
(14 settembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    sono sempre più numerosi i casi di inefficienze denunciati dai consumatori relativi all'offerta di energia elettrica e del gas;
    addebiti eccessivi, doppia fatturazione, cambio non richiesto del fornitore, sovraccosti legati al cambio del contatore, sono soltanto alcuni dei problemi che quotidianamente affliggono i consumatori, costringendoli a svolgere lunghi adempimenti burocratici per dimostrare l'erroneità dei dati e a sostenere costi aggiuntivi e imprevisti;
    i consumatori, che non possiedono le informazioni necessarie per far valere i propri diritti, preferiscono, in molti casi, pagare le bollette energetiche, anche se con costi spropositati e non rispondenti ai consumi reali di energia, piuttosto che rimanere vittime del complesso sistema di accertamento amministrativo e/o giudiziario. Oltretutto il mancato pagamento delle bollette contestate determina in ogni caso il distacco dell'energia elettrica;
    sono poi frequenti i casi in cui vengono recapitate bollette energetiche di importi esorbitanti per conguagli risalenti ad anni passati. Molto spesso, il conguaglio eccessivo è dovuto a inadempimenti del fornitore o del distributore che, ad esempio, omette di effettuare le letture periodiche del contatore oppure non emette le bollette periodiche;
    una bolletta con costi smisurati, in questo momento di difficile congiura economica, può far saltare il bilancio di una piccola azienda, così come un conguaglio esorbitante può mettere seriamente in difficoltà la maggioranza dei cittadini e delle famiglie italiane;
    per gran parte dei consumatori le bollette energetiche appaiono documenti di non facile lettura e di difficile interpretazione, soprattutto per quanto concerne le voci di costo relative ai consumi e ai conguagli;
    l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha recentemente avviato diversi procedimenti istruttori nei confronti dei principali fornitori di energia al fine di accertare, a fronte di numerosi reclami e segnalazioni, eventuali violazioni del codice del consumo in merito a varie condotte degli operatori, dalla fatturazione basata su consumi presunti alla fatturazione a conguaglio di importi significativi, passando per la mancata considerazione delle autoletture,

impegna il Governo:

   ad adottare specifiche iniziative per la sospensione dei pagamenti delle bollette energetiche con importi spropositati e non rispondenti ai consumi reali di energia elettrica e del gas, fino al completamento delle verifiche avviate dalle autorità competenti sulle condotte adottate dalle società fornitrici in merito alle violazioni del codice del consumo;
   ad assicurare, attraverso idonee iniziative normative, le modalità di rimborso agli utenti degli importi già versati, qualora le fatturazioni, a seguito di accertamenti, risultassero illegittime e non rispondenti ai consumi reali di energia elettrica e del gas;
   ad adottare le iniziative di competenza al fine di un'efficace semplificazione della lettura delle bollette energetiche permettendo ai cittadini di individuare in modo chiaro e trasparente i dettagli dei costi che vengono loro addebitati.
(1-00986)
«Allasia, Fedriga, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».
(14 settembre 2015)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   OLIVERIO, SANI, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, ANZALDI, CAPOZZOLO, CARRA, COVA, DAL MORO, FALCONE, FIORIO, LAVAGNO, MARROCU, MONGIELLO, PALMA, PRINA, ROMANINI, TARICCO, TENTORI, TERROSI, VENITTELLI, ZANIN, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   a meno di 50 giorni dalla fine dell'Expo le immagini mostrano un afflusso intenso e costante di visitatori, con lunghe code per l'accesso ai padiglioni e folla sul decumano, il viale su cui si affacciano i padiglioni dei Paesi del mondo, che unisce simbolicamente il luogo del consumo di cibo (la città) a quello della sua produzione (la campagna);
   gli ultimi dati parlano di quasi un milione di visitatori a settimana; sabato 12 settembre 2015 si è toccato il record con circa 250.000 presenze, nel mese di agosto 2015 Milano ha registrato un incremento dell'affluenza turistica di quasi il 50 per cento rispetto allo stesso mese del 2014 e dal suo avvio, all'inizio di maggio 2015, l'Expo ha generato un indotto sul turismo di circa 100 milioni di euro, non solo a Milano ma anche a Roma, Venezia, Firenze e nelle località balneari;
   un successo che avrà positive ripercussioni nei prossimi anni anche sull’export agroalimentare, grazie agli accordi commerciali firmati e all'impareggiabile vetrina che l'Esposizione ha rappresentato per i prodotti italiani;
   Expo piace e coinvolge e il merito è in gran parte dell'argomento scelto. Nutrire il pianeta: energia per la vita è un tema che riguarda da vicino, nella quotidianità, ogni cittadino, ogni visitatore e al tempo stesso ha lanciato al mondo una sfida epocale, che chiama in causa i più influenti soggetti sociali, economici e istituzionali nell'ambizioso obiettivo di garantire il diritto ad un cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti: in altre parole l'obiettivo «fame zero»;
   in questo senso l'Expo di Milano dovrà necessariamente continuare dopo il 31 ottobre 2015, bisogna affrontare e vincere la sfida della sua eredità, tenere vive le idee nate in questi mesi e trasformarle in azioni concrete, in impegni globali vincolanti, in strategie che rivoluzionino gli attuali paradigmi di produzione, di distribuzione e di consumo dei prodotti agroalimentari per rendere effettivo quel diritto fondamentale al cibo che in molte zone del mondo è ancora drammaticamente negato;
   a partire dal documento-simbolo di Expo, quella Carta di Milano che il 16 ottobre 2015 – in occasione del World food day delle Nazioni Unite – sarà consegnata al Segretario generale dell'Onu Ban Ki-Moon come contributo alla stesura degli obiettivi di sviluppo del millennio; l'Italia dovrà continuare ad essere protagonista della sfida per la giustizia e la sostenibilità agroalimentare, mantenendo aperto il cantiere delle idee, delle proposte, della ricerca e delle sperimentazioni, per non disperdere il patrimonio che Expo rappresenta e per ampliarne la portata, raccogliendo ed elaborando le esperienze globali nel campo della nutrizione;
   nelle scorse settimane il dibattito sull'eredità dell'Expo si è fatto vivace e a tratti controverso, le proposte riguardanti sia il futuro utilizzo dell'area espositiva sia la gestione immateriale dei contenuti ideali e culturali sono oggetto di confronto e di grande interesse –:
   quali siano i dati più aggiornati riguardanti l'affluenza ad Expo, sia in termini assoluti sia in relazione alla nazionalità, e quali siano gli intendimenti del Ministro interrogato per declinare nei termini più efficaci il successo e l'eredità di Expo 2015. (3-01693)
(15 settembre 2015)

   TABACCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel novembre del 2011 l'Italia è arrivata ad un passo dal default finanziario, con un differenziale tra i rendimenti dei titoli di Stato tedeschi e quelli italiani pari a 575 punti base;
   per effetto della crescita fuori controllo dello spread, l'Italia alla fine del 2011 aveva perso ogni credibilità sia a livello economico-finanziario nei confronti dei mercati, sia a livello politico nei confronti degli altri partner europei;
   la crisi di Governo del 16 novembre 2011 fu una naturale conseguenza della perdita del controllo dei fondamentali dell'economia, già evidenziatasi nel corso dell'estate di quell'anno con un confuso e frenetico avvicendarsi di manovre economiche che venivano annunciate ufficialmente dal Ministro dell'economia e delle finanze pro tempore e smentite nell'arco di poche ore; il primo atto del nuovo Governo, varato in soli venti giorni a causa della gravissima emergenza in corso, è stato la riforma del sistema pensionistico;
   la riforma delle pensioni del 6 dicembre 2011 ha rappresentato l'architrave su cui l'Italia ha ricostruito la propria credibilità internazionale ed ha rimesso in equilibrio nell'immediato e negli anni a venire la propria spesa pensionistica; l'assoluta urgenza di intervenire sulla materia delle pensioni ha prodotto anche sviste ed errori dettati nella redazione dell'articolato della riforma che si sono concretizzati nel vuoto normativo in cui sono venuti a trovarsi alcune centinaia di migliaia di cittadini, successivamente identificati con un'efficace formula giornalistica, con il termine «esodati»;
   nel corso di questi anni si è provveduto a correggere gli errori e le sviste contenuti nel testo originale della riforma delle pensioni;
   negli ultimi mesi, anche da parte di autorevoli esponenti del Governo, sono state rilasciate interviste e dichiarazioni agli organi di stampa che hanno paventato l'intenzione di modificare la riforma delle pensioni del 2011 con interventi tesi a rimettere in discussione, sia pure parzialmente, la ratio di fondo della riforma stessa, secondo la quale l'età del ritiro del lavoro non può prescindere dall'innalzamento della speranza di vita media degli italiani;
   la necessità paventata da autorevoli esponenti del Governo e della maggioranza che lo sostiene di modificare la riforma delle pensioni sarebbe frutto della volontà di favorire, da un lato, l'uscita dal mondo del lavoro in anticipo di cittadini che siano disponibili ad accettare una decurtazione dell'assegno pensionistico e, dall'altro, dall'esigenza di rilanciare l'occupazione giovanile;
   rendere possibile un'uscita anticipata dal lavoro rappresenterebbe un intervento sulla struttura portante della riforma del 2011, che in una certa qual misura andrebbe a rimetterne in discussione la ratio di fondo;
   le grandi trasformazioni in atto in Italia e nel mondo stanno producendo sempre più la nascita di nuovi lavori e, al contempo, il venir meno di molti posti di lavoro in svariati settori, per cui sarebbe errato ritenere automatica la sostituzione dei lavoratori che decidessero di andare in pensione in anticipo rispetto a quanto previsto attualmente dalla legge, se fosse loro consentito, con l'assunzione di nuovi giovani lavoratori;
   l'aumento dell'occupazione più che dal turn over può essere innescato da una crescita del processo di sviluppo, determinata, oltre che da un contesto internazionale più favorevole, anche da un'efficace azione del Governo ed in tal senso l'Esecutivo ed il Parlamento hanno lavorato con chiarezza di vedute e dunque molto positivamente nell'ultimo anno; rimettere in discussione a distanza di soli quattro anni dal varo i pilastri fondamentali della riforma delle pensioni, cosa ben diversa dall'intervenire per correggere eventuali altre storture dell'impianto del 2011 che dovessero emergere, avrebbe un effetto negativo sulla credibilità internazionale del Paese –:
   se e in che misura il Ministro interrogato, e il Governo tutto, intendano intervenire in occasione dell'imminente sessione di bilancio, o con altro provvedimento, sulla riforma delle pensioni mettendo in discussione la sua ratio fondamentale che collega l'età del ritiro dal lavoro alla crescita della speranza di vita media dei cittadini. (3-01694)
(15 settembre 2015)

   CIPRINI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI, TRIPIEDI, CASO e GALLINELLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è noto che la cosiddetta riforma Fornero dell'anno 2011 ha modificato i presupposti per accedere al trattamento pensionistico, non consentendo di godere del diritto alla pensione a migliaia di persone che avevano provveduto al versamento dei contributi previdenziali;
   tale riforma ha, pertanto, determinato una serie di categorie di persone da salvaguardare con ulteriori interventi correttivi della «riforma Fornero», tra le quali, quella dei cosiddetti lavoratori esodati, ossia coloro che sono stati espulsi dalle aziende in forza di accordi tra le parti sociali in base alla normativa previgente la riforma e che ha impedito agli stessi di andare in pensione, sebbene prossimi al conseguimento dei requisiti pensionistici di vecchiaia o anzianità;
   per riparare a tale grave situazione, di notevole contenuto sociale, nel tempo l'Esecutivo ha adottato provvedimenti di «salvaguardia» per consentire ad alcune categorie di persone di accedere al trattamento previdenziale in base alla normativa previgente la «riforma Fornero»;
   sono stati adottati sei interventi di salvaguardia; l'ultimo si è concretizzato con la legge n. 147 del 2014, a tutela di una serie di lavoratori: da quelli in mobilità a quelli che hanno versato contributi volontari;
   tuttavia, ad oggi, sono rimaste ignorate, quindi non tutelate, ulteriori categorie di persone; si tratta di soggetti rimasti privi di qualsiasi sostegno economico, poiché all'entrata in vigore della riforma delle pensioni già non avevano un posto di lavoro o lo hanno perso in questi anni e, se non fosse stata attuata la «riforma Fornero», avrebbero avuto il diritto di accedere al trattamento pensionistico dal 2012/2013 entro l'intero anno 2016;
   il 9 settembre 2015, nel corso dell'incontro con i vertici Inps e i tecnici dei Ministeri del lavoro e delle politiche sociali e dell'economia e delle finanze svoltosi in Commissione XI lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati, per trovare una soluzione per i lavoratori esclusi dai precedenti provvedimenti, i tecnici del Ministero dell'economia e delle finanze hanno spiegato che non esistono risorse per garantire una settima salvaguardia di lavoratori esodati, ovvero rimasti senza impiego o ammortizzatori sociali utili per «traguardare» i nuovi requisiti di pensionamento introdotti dalla riforma del 2011;
   secondo il Ministero dell'economia e delle finanze le maggiori spese non effettuate in base alle previsioni sulle prime sei operazioni di salvaguardia non si traducono in risorse disponibili per effettuarne una nuova: la settima appunto;
   i tecnici Ministero dell'economia e delle finanze avrebbero in particolare escluso «risparmi» disponibili per 500 milioni di euro sugli anni 2013 e 2014, mentre l'Inps avrebbe indicato «risparmi» per 3,3 miliardi di euro fino al 2023 sulle dotazioni stanziate, pari a quasi 12 miliardi di euro;
   eppure, a parere degli interroganti, il «fondo esodati» – previsto dalla legge n. 228 del 2012 – attraverso la logica dei risparmi e delle compensazioni avrebbe potuto essere utilizzato per garantire nuove tutele aggiuntive in presenza di minori spese; infatti l'articolo 1, comma 235, della legge n. 228 del 2012 ha previsto che le eventuali economie accertate a consuntivo siano destinate ad alimentare le finalità del suddetto fondo e avrebbe potuto consentire al Ministero dell'economia e delle finanze, con l'adozione di un semplice decreto ad hoc, di utilizzare le risorse risparmiate per la tutela dei lavoratori esodati e per dare copertura finanziaria alla tanto attesa settima operazione di salvaguardia;
   ciò nonostante il Ministero dell'economia e delle finanze – a parere degli interroganti – con una posizione incomprensibile e inaccettabile ha ritenuto di non utilizzare le risorse risparmiate e stanziate nelle precedenti salvaguardie (una specie di «tesoretto») per finanziare le finalità del «fondo esodati» bensì di «inglobare» i risparmi frutto delle precedenti sei operazioni di salvaguardia nell'ambito della contabilità nazionale per coprire – forse – eventuali altre future esigenze di spesa;
   evidentemente il Ministero dell'economia e delle finanze non ha ritenuto meritevole salvaguardare quella platea di lavoratori esodati (25-26 mila potenziali candidati), senza lavoro e che non sono riusciti a maturare i requisiti pensionistici per effetto della «riforma Fornero», esclusi dalle sei salvaguardie finora approvate, tanto che il sindacato ha parlato di «un vero e proprio scippo agli esodati»;
   a parere degli interroganti è assurdo che il Governo, a quattro anni dalla riforma che l'attuale maggioranza ha condiviso ed approvato, tenga ancora centinaia di persone nel limbo, adducendo ragioni di copertura finanziaria ed indisponibilità di risorse –:
   quali siano le reali intenzioni del Governo in materia e se il Ministro interrogato intenda adottare urgentemente ovvero nel disegno di legge di stabilità per il 2016 iniziative normative che prevedano una settima e conclusiva salvaguardia per tutti i soggetti esclusi dalle precedenti sei salvaguardie, reperendo idonee risorse ovvero utilizzando a copertura degli oneri anche le risorse disponibili nel fondo di cui all'articolo 1, comma 235, della legge n. 228 del 2012, come derivanti dall'avanzo di amministrazione delle entrate già accertate e vincolate. (3-01695)
(15 settembre 2015)

   RIZZETTO, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le recenti posizioni assunte dal Ministro interrogato hanno determinato una situazione di grave stallo rispetto alla riforma delle pensioni, la salvaguardia degli esodati e la proroga del cosiddetto regime previdenziale «opzione donna»;
   la riforma del sistema previdenziale sembrava essere imminente, nell'ottica di inserire ragionevoli criteri di «flessibilità in uscita», agevolando il ricambio generazionale nel mondo del lavoro, invece, il Ministro interrogato sembra abbia bocciato attualmente tale manovra, affermando che non ci sono le risorse finanziarie necessarie. Eppure, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Poletti aveva, recentemente, confermato la volontà dell'Esecutivo di stanziare risorse per la manovra pensionistica, già nel disegno di legge di stabilità per il 2016;
   la riforma pensionistica è prioritaria per cominciare a fronteggiare concretamente il grave disagio sociale causato dalla «legge Fornero» e, con il medesimo obiettivo, è necessario procedere alla salvaguardia degli esodati e di tutti coloro che sono stati pregiudicati dall'improvvisa modifica dei requisiti per accedere al trattamento pensionistico;
   pertanto, va confermato e, dunque, prorogato il regime sperimentale «opzione donna» previsto dalla «legge Maroni», n. 243 del 2004. A riguardo, non può essere eccepito un problema di coperture, considerando che per questa manovra è stato stanziato l'importo di 1 miliardo e 684 mila euro, di cui sono stati spesi 707 milioni di euro con relativo «avanzo» di quasi un miliardo di euro. Quindi, queste risorse vanno obbligatoriamente utilizzate per il progetto in questione, a cui sono state destinate, per consentire alle lavoratrici, che volontariamente scelgono il ricalcolo contributivo dell'assegno, di poter accedere alla pensione anticipata;
   allo stesso tempo bisogna intervenire per l'inclusione in «opzione donna» dei lavoratori di sesso maschile, che ne hanno già fatto richiesta, altrimenti si determinerebbe una grave discriminazione in violazione del decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 145, con cui lo Stato italiano ha attuato la direttiva 2002/73/CE in materia di parità di trattamento tra uomini e donne, per quanto riguarda l'accesso al lavoro, la formazione e la promozione professionale e le condizioni di lavoro;
   vanno salvaguardati i diritti previsti dalla «riforma Amato» del 1992 dei cosiddetti lavoratori «quindicenni», che, entro la data del 31 dicembre 1992, hanno versato almeno quindici anni di contributi previdenziali e che dopo quel periodo non hanno più avuto contributi con l'uscita dal mercato del lavoro;
   restano, inoltre, ancora da salvaguardare i cosiddetti quota 96, ossia quei docenti e amministrativi che con l'introduzione della «riforma Fornero» sono stati costretti a rimanere in carica, pur avendo portato a compimento il proprio percorso contributivo;
   sono, dunque, di fondamentale rilevanza le questioni che deve urgentemente risolvere questo Esecutivo in materia previdenziale. Eppure si lascia passare il tempo senza intervenire, aggravando la situazione di tante persone che già hanno subito la lesione del proprio diritto alla pensione, continuando ad affermare che non ci sono i soldi per procedere alla riforma e alle salvaguardie, ma quello che appare è che le risorse stanziate per queste manovre sono state già o verranno utilizzate per altre manovre;
   in particolare, si fa presente che sulla «settima salvaguardia esodati», l'articolo 1, comma 235, della legge n. 228 del 2012 istituisce un fondo in cui devono essere inserite tutte le provenienze dalle precedenti salvaguardie. L'Inps ha conteggiato queste provenienze individuando un importo di 1 miliardo e 356 milioni di euro. Tali risorse per legge devono essere utilizzate per le ulteriori salvaguardie –:
   per quali motivi il Ministero dell'economia e delle finanze abbia fatto confluire parte di queste risorse, che quindi non risultano più essere disponibili per successive salvaguardie, nella contabilità generale. (3-01696)
(15 settembre 2015)

   MELILLA, PAGLIA, SCOTTO e MARCON. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi giorni il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi, in più occasioni e ricorrendo ad un'espressione a parere degli interroganti poco felice, ha preannunciato agli italiani che il 16 dicembre 2015 «celebreranno il funerale» delle due imposte Imu e Tasi dovute per le abitazioni principali e che inoltre tale «shock fiscale» sarà corredato nel 2017 dall'abolizione di una buona parte dell'Ires e dal 2018 dalla rimodulazione degli scaglioni Irpef;
   volendo trascurare l'ingente flusso di risorse che le suddette imposte generano per l'erario, pari, con riferimento alla sola Tasi, a 3,4 miliardi di euro in ragione annua, un taglio indiscriminato e generalizzato delle imposte sulla casa comporterebbe dannosi effetti redistributivi, andando a tutto vantaggio dei decili di reddito più elevati, che da soli, come risulta da un'elaborazione dei dati sulla distribuzione delle abitazioni di residenza svolta dalla Banca d'Italia, concorrono ad oltre il 40 per cento del relativo gettito;
   sempre secondo la stessa fonte, la ricchezza netta media delle famiglie italiane è pari a circa 373 mila euro. Le attività reali rappresentano circa il 70 per cento (più di 6,2 mila miliardi di euro) e la ricchezza immobiliare è pari al 61,2 per cento. Fra le attività reali, poi, la ricchezza in abitazioni è circa 228 mila euro in media per famiglia; quasi il 77 per cento della ricchezza detenuta in immobili è rappresentato dalle prime case (4,2 mila miliardi di euro);
   tutti i dibattiti che si sono intrecciati negli ultimi tempi hanno ignorato il ruolo che le suddette imposte hanno svolto fino ad oggi e cioè quello di rappresentare una pragmatica ed immediata risposta, seppur non ottimale (per gli economisti la cosiddetta second best), all'esigenza di tassare il patrimonio in un Paese profondamente pervaso dall'evasione fiscale, nel quale il 30 per cento dell'attività economica è sommersa, ma anche nel quale, come si è visto, l'80 percento della popolazione vive in una casa di proprietà, seppur con un elevato grado di concentrazione. Molte famiglie, infatti, detengono livelli modesti o nulli di ricchezza, a fronte di un 10 per cento delle stesse che detiene il 41 per cento della ricchezza totale;
   sempre per capire come l'eventuale detassazione agirebbe sul tessuto sociale del Paese, si rilevano differenze anche sostanziali con riferimento alle fasce d'età. Il 76 per cento delle famiglie con una capofamiglia di più di 55 anni è proprietario di un'abitazione, situazione invece che è rovesciata nelle famiglie con capofamiglia fino ai 34 anni di età: tra i giovani solo il 44,7 per cento è soggetto a Tasi o Imu, tutti gli altri, che perciò corrispondono un canone di affitto, invece no ed in caso di abolizione del prelievo dovranno compensare con la quota a loro carico i comuni del mancato gettito;
   l'obiettivo di perseguire tout court una riduzione della pressione fiscale complessiva non deve però tradire quello di realizzare contestualmente una maggiore equità, progressività ed efficienza nella distribuzione del prelievo. Nel settore immobiliare per aumentare l'equità sarebbe cruciale la riforma del catasto, già prevista nella legge di delega fiscale, ma che il Governo secondo gli interroganti, accortosi dalle simulazioni sugli effetti dell'algoritmo che avrebbe dovuto rivedere i valori catastali che le rendite sarebbero cresciute in misura esponenziale, toccando quindi gli interessi dei pochi e facoltosi abbienti, ha preferito congelare;
   la mancata revisione dei valori catastali ha determinato, nel passaggio dell'aliquota standard dal 4 per mille (Imu 2012) all'1 per mille, salvo le variazioni deliberate dai comuni (Tasi 2014), da una parte un forte vantaggio per le abitazioni di maggior valore catastale e dall'altra, prevedendo anche un prelievo a carico degli affittuari, un peggioramento delle condizioni economiche di questi ultimi, spesso giovani coppie o studenti, a volte in misura anche superiore a quella dei proprietari stessi;
   del resto, i valori degli immobili riflettono la qualità dell'amministrazione e degli investimenti locali, rappresentando un appropriato indicatore per i comuni responsabili di fronte ai cittadini della tassazione immobiliare e che sono pertanto sono incentivati, al fine di accrescere il loro gettito, ad adottare una politica di servizi più efficace ed efficiente;
   la crisi ha fatto precipitare una situazione abitativa già critica ed in tale contesto è emersa una manifesta sottoutilizzazione del fondo di garanzia per l'accesso al credito per l'acquisto della prima casa da parte di giovani, segno dell'inadeguatezza di far fronte alla domanda di case di uno strumento anche poco promosso dagli stessi istituti di credito –:
   se, in caso di un'effettiva ed indiscriminata soppressione dell'imposizione sulle abitazioni principali, intenda adottare iniziative per intervenire sul meccanismo di solidarietà che attualmente vincola proprietario ed affittuario, superando la quota d'imposta a carico di quest'ultimo e che grava, come si è visto, soprattutto sulle generazioni più giovani. (3-01697)
(15 settembre 2015)

   BINETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è in corso di esame presso la Commissione affari sociali della Camera dei deputati il disegno di legge di iniziativa parlamentare «Disposizioni per la prevenzione, la cura e la riabilitazione della dipendenza dal gioco d'azzardo patologico», che prevede specificamente anche la revisione della normativa in materia di giochi;
   nonostante i ripetuti tentativi fatti dal Governo per giungere ad una norma quadro in materia di giochi, partendo dalla delega fiscale, il Governo sembra aver rinunziato a pubblicare, almeno per ora, il decreto di riforma del settore giochi;
   sono in molti a chiedersi a questo punto cosa accadrà di alcune decisioni prese a suo tempo; per esempio, sui famosi 500 milioni di euro che avrebbero dovuto pagare concessionari e gestori, ciascuno per quanto di sua competenza. Ci si chiede se sarà ancora esigibile oppure se ancora una volta cadrà nel vuoto. È una domanda che risuona in maniera predominante nel settore del gioco. Secondo alcuni questa cifra non sarà più esigibile. Anzi dovrebbero essere restituiti gli importi pagati come prima rata su tutta la filiera e qualcuno potrebbe perfino richiedere un risarcimento danni;
   la filiera del gioco legale, con la mancanza della riforma contenuta nella delega e senza una norma di riferimento chiara, rischia di vedere vanificato il lavoro importante fatto negli ultimi dieci anni, con il ritorno al caos diffuso e ignorato proprio perché illegale;
   le associazioni che si occupano a vario titolo delle persone affette da dipendenza grave dal gioco chiedono da tempo una legge che funga da contenimento alla diffusione del gioco d'azzardo in tutte le sue diverse manifestazioni: le videolotterie, le applicazioni, le new slot, senza dimenticare il continuo proliferare dei «gratta e vinci». I soggetti affetti da dipendenza grave, ancorché difficili da quantificare in modo esatto, sono in costante aumento, come confermano le strutture cliniche di riferimento, con tutte le conseguenze sociali che ne derivano –:
   se non ritenga opportuno che il Ministero dell'economia e delle finanze effettui specifici studi e valutazioni di competenza circa il reperimento e l'impiego di significative risorse destinate a sostenere una forte azione di contrasto alla dipendenza dal gioco d'azzardo patologico, che pare opportuno il Governo debba porre rapidamente in essere. (3-01698)
(15 settembre 2015)

   GUIDESI, BUSIN, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, ha introdotto nel nostro Paese la disciplina degli studi di settore quale strumento di lotta all'evasione fiscale: il precedente sistema tributario prevedeva, infatti, che il reddito d'impresa e di lavoro autonomo fosse determinato attraverso le scritture contabili. Gli accertamenti induttivi potevano essere esperiti soltanto in via del tutto eccezionale e in presenza di gravi irregolarità contabili commesse dai contribuenti; questo aveva creato la paradossale situazione di veder privilegiato il contribuente-evasore che riusciva a tenere in ordine le scritture contabili, a discapito del contribuente in regola, che, pur assolvendo tutte le obbligazioni tributarie, poteva incorrere in sanzioni molto onerose, per il solo fatto di aver commesso degli errori formali nella tenuta delle scritture;
   gli studi di settore consistono in un metodo finalizzato a misurare e a valutare la capacità di guadagno dei singoli settori economici, avvalendosi di una raccolta di dati afferenti al settore economico che si prende in esame. Lo studio stima, in via preventiva, le possibilità dei ricavi e compensi del contribuente al fine di poter avviare o meno la relativa procedura di accertamento da parte dell'amministrazione fiscale;
   le macroaree prese in considerazione dagli studi di settore sono quattro: servizi, commercio, manifatture e professionisti, applicandosi quindi alle partite iva indipendentemente dalla forma giuridica scelta o dal profilo fiscale;
   per verificare se i risultati della dichiarazione dei redditi sono allineati con i ricavi o i compensi previsti dalla metodologia degli studi di settore, i contribuenti sono tenuti a dichiarare i dati contabili e i dati extracontabili al fine di riscontrarne la congruità, ossia il confronto tra i ricavi o compensi dichiarati e quelli risultati dallo studio, e la coerenza dei principali indicatori economici che caratterizzano l'attività del contribuente;
   lo scopo dell'introduzione degli studi di settore era facilitare il fisco nella procedura di accertamento di casi di evasione, fornire uno strumento all'imprenditore e al professionista al fine di valutare la propria efficienza economica, disporre di uno strumento per monitorare le attività presenti sul territorio da utilizzare nelle scelte di programmazione economica ed evitare le situazioni di concorrenza sleale tra imprenditori onesti e coloro invece che potevano praticare prezzi più bassi grazie all'evasione;
   in realtà, questo meccanismo, collegando i redditi dei contribuenti a standard di riferimento, ha prodotto fin da subito effetti esattamente contrari a quelli previsti, sottoponendo il contribuente, in caso di dichiarazione di valori minori a quelli prefissati, a lunghe ed estenuanti indagini fiscali;
   lo studio di settore inverte l'onere della prova a danno del contribuente e ha, quindi, spinto una buona parte dei professionisti e degli imprenditori ad adeguarsi agli standard previsionali dell'amministrazione fiscale, con la grave conseguenza di dover assolvere ad obbligazioni tributarie maggiori;
   a ciò si aggiunge il fatto, duramente contestato dai contribuenti, che, nonostante si prendano in considerazione le variabili esterne, spesso queste, soprattutto quelle riferite alle particolarità territoriali, non risultano essere efficacemente aderenti alla realtà, facendo sorgere un enorme contenzioso tributario;
   negli ultimi anni, inoltre, i pesanti effetti della crisi economica su decine di migliaia di attività hanno aumentato lo scollamento tra gli standard previsti dall'amministrazione finanziaria e gli effettivi ricavi e compensi dei contribuenti. Per ovviare a ciò sono stati predisposti diversi adeguamenti verso il basso, a partire dal 2011 fino all'ultimo del 2015, ma gli interventi – arrivati in ogni modo tardivamente, poiché l'anno della prima revisione coincideva con il quarto anno consecutivo di crisi – non hanno prodotto i risultati sperati, posto che gli aggiustamenti non sono stati comunque coerenti con gli effetti reali che la crisi ha prodotto sul volume di affari di imprenditori e professionisti interessati dagli studi –:
   se, al fine di permettere all'economia del Paese di beneficiare dei primi, debolissimi segnali di fine della crisi economica internazionale, il Governo intenda assumere iniziative per prevedere l'immediata sospensione dell'applicazione degli studi di settore per i periodi di imposta 2015 e 2016, fino ad una completa revisione del sistema delle verifiche fiscali a fini anti-evasivi, in modo da evitare che i contribuenti siano costretti a dichiarazioni più alte degli effettivi incassi e a sottoporsi ad una maggiore imposizione per evitare quelle che appaiono agli interroganti vere e proprie vessazioni da parte dell'amministrazione finanziaria. (3-01699)
(15 settembre 2015)

   MONCHIERO e RABINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   desta enormi preoccupazioni in merito alla sostenibilità del servizio sanitario nazionale, la decisione della Corte costituzionale che a fine luglio 2015, accogliendo un ricorso della Corte dei conti, ha dichiarato l'illegittimità della legge regionale del Piemonte di approvazione del bilancio di assestamento 2013;
   è ben noto, infatti, che il servizio sanitario assorbe mediamente i 4/5 della spesa delle regioni e che un default generalizzato nei bilanci regionali avrebbe conseguenze devastanti sulla qualità e quantità delle prestazioni sanitarie rese ai cittadini;
   secondo autorevoli ricostruzioni giornalistiche, dopo questa sentenza rischiano la bocciatura della Corte dei conti i bilanci di tutte le altre regioni, con la sola eccezione della Lombardia;
   le modalità di contabilizzazione dei fondi stanziati dallo Stato per il pagamento dei debiti pregressi, giudicate illecite dalla Corte costituzionale, costituirebbero una prassi generalizzata che comporta il rischio di un buco, a livello nazionale, di 19,3 miliardi di euro. A rischiare di più, oltre al Piemonte (il deficit 2013 è stato ricalcolato da 300 milioni a 3,06 miliardi di euro), sono il Lazio (8,7 miliardi di euro a rischio), la Campania, il Veneto, ma anche Emilia-Romagna, Toscana e Puglia;
   i fondi dello Stato sembra siano serviti per pagare anche dei debiti fuori bilancio ed in alcuni casi, invece di essere compensati per cassa con i pagamenti, siano confluiti nei bilanci di competenza, gonfiando la capacità di spesa delle regioni;
   la Corte costituzionale, nella sentenza sul bilancio del Piemonte, scrive che: «Una legge dello Stato nata per porre rimedio agli intollerabili ritardi nei pagamenti ha subito una singolare eterogenesi dei fini, i cui più sorprendenti esiti sono costituiti dalla mancata spendita delle anticipazioni di cassa, dall'allargamento oltre i limiti di legge della spesa di competenza, dall'alterazione del risultato di amministrazione, dalla mancata copertura del deficit»;
   la legge n. 243 del 2012, che, nel titolo, si proponeva di dare attuazione al principio costituzionale del pareggio dei bilanci pubblici, ma che, in realtà, era principalmente finalizzata al pagamento di debiti pregressi, purtroppo non ha raggiunto gli effetti desiderati e richiede serie considerazioni;
   infatti, la legge n. 243 del 2012 prevede che regioni e comuni siano tenuti a rispettare l'obbligo di un «saldo non negativo» sia nel bilancio preventivo che in quello consuntivo, sia di cassa che di competenza, sia in rapporto alle entrate e alle spese finali che in rapporto a quelle correnti, e per le regioni, distintamente, anche per i conti della sanità. In aggiunta la legge prevede il divieto assoluto di indebitamento, se non per investire ed entro limiti strettissimi;
   queste norme molto severe e di dettaglio non affrontano il nodo essenziale: le difficoltà di cassa delle regioni lasciano supporre la presenza di rilevanti quantità di debiti non regolarmente contabilizzati;
   per quanto attiene il caso specifico del Piemonte, è intervenuta la legge di stabilità per il 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190) che, ai commi da 452 a 458 dell'articolo 1, detta norma atte a dare piena attuazione alla legge n. 243 del 2012, ma appare indispensabile verificare se tale obiettivo sia stato raggiunto;
   qualunque sia la soluzione che si intenda proporre per risolvere il problema dei debiti pregressi di regioni e aziende sanitarie è indispensabile conoscere la consistenza reale del fenomeno –:
   se le misure contenute nella legge di stabilità per il 2015, in merito alla situazione della regione Piemonte siano state applicate e in quali misura, e quali urgenti iniziative di competenza, anche normative o in sede di Conferenza Stato-regioni, il Governo intenda assumere per definire un quadro aggiornato della situazione finanziaria complessiva delle regioni e delle aziende sanitarie, con particolare riguardo all'accertamento di debiti fuori bilancio.
(3-01700)
(15 settembre 2015)

   RAMPELLI, TAGLIALATELA, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, GIORGIA MELONI, NASTRI e TOTARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il rapporto Svimez 2015 sull'economia del Mezzogiorno presentato nel mese di agosto 2015 ha disegnato lo scenario desolante di un Paese sempre più diviso e diseguale, in cui il Sud scivola sempre più nell'arretramento, con una crescita che è stata pari ad appena la metà di quella registrata nello stesso periodo in Grecia;
   in base ai dati pubblicati il Mezzogiorno, tra il 2008 ed il 2014 ha registrato una caduta dell'occupazione del 9 per cento, a fronte del -1,4 per cento del Centro-Nord, e il rischio povertà nelle sue regioni è il doppio di quello delle regioni settentrionali;
   il rapporto Svimez inoltre pone l'accento sulla grave questione demografica che porterà il Meridione nei prossimi cinquanta anni a perdere oltre quattro milioni di abitanti a causa del calo delle nascite e della migrazione interna ed internazionale;
   secondo l'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno, «la flessione dell'attività produttiva è stata molto più profonda ed estesa nel Mezzogiorno che nel resto del Paese, con effetti negativi che appaiono non più solo transitori ma strutturali, e che spiegano il maggior permanere delle difficoltà di crescita e la minore capacità di queste aree di agganciarsi alla ripresa internazionale. La crisi ha depauperato le risorse del Mezzogiorno e il suo potenziale produttivo: la forte riduzione degli investimenti ha diminuito la sua capacità industriale, che, non venendo rinnovata, ha perso ulteriormente in competitività; le migrazioni, specie di capitale umano formato, e i minori flussi in entrata nel mercato del lavoro hanno contemperato il calo di posti di lavoro. Non sarà facile disancorare il Mezzogiorno da questa spirale di bassa produttività, bassa crescita e quindi minore benessere» –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di risolvere la drammatica crisi economica e produttiva che affligge le regioni meridionali. (3-01701)
(15 settembre 2015)

   BRUNETTA, PALESE e OCCHIUTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, ha affermato in più occasioni che, dopo il semestre italiano di presidenza dell'Unione europea, il Governo ha ottenuto di poter fare fino a 17 miliardi di deficit in più, pari a oltre un punto di prodotto interno lordo;
   quanto sostenuto da Renzi vuol dire secondo gli interroganti che l'Italia, che avrebbe dovuto chiudere il 2016 con un rapporto deficit/prodotto interno lordo pari a -1,8 per cento, veleggerà, con il consenso europeo, serenamente verso il 3 per cento, e probabilmente anche oltre;
   quanto sostenuto da Renzi significa, di fatto, sforare, tanto l'obiettivo dell'1,8 per cento fissato nel documento di economia e finanza di aprile 2015, quanto il 3 per cento previsto dal «Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria» (cosiddetto Fiscal compact o Patto di bilancio);
   quanto sostenuto da Renzi significa non rispettare, senza giustificazione alcuna (nessuna circostanza eccezionale potrebbe essere eccepita), i vincoli e gli obiettivi di Bruxelles. Il tutto per fare tagli strutturali di tasse attraverso l'aumento del deficit. Cosa mai vista, inaccettabile tanto per le regole europee quanto per quelle di finanza pubblica italiane;
   l'Italia non ha ancora presentato alla Commissione europea né la nota di aggiornamento al documento di economia e finanza, il cui termine previsto dal semestre europeo è il 20 settembre 2015, né il disegno di legge di stabilità per il 2016, il cui termine è il 15 ottobre 2015: unici documenti su cui la Commissione europea è chiamata a pronunciarsi;
   le previsioni di crescita del prodotto interno lordo, ancorché modeste, fanno decadere la possibilità per il nostro Paese di eccepire le «circostanze eccezionali» di cui all'articolo 3, comma 3, lettera b), del Fiscal compact;
   pur aumentando la crescita reale del prodotto interno lordo da +0,7 per cento a +0,9 per cento nel 2015 e da +1,4 per cento a +1,6 per cento nel 2016, la crescita in termini nominali risulta più bassa di 0,3 punti nel 2015 e tra 0,3 e 0,5 punti nel 2016, in quanto l'inflazione in Italia nel 2015 si attesta a 0,2 per cento contro lo 0,7 per cento contenuto nel documento di economia e finanza di aprile 2015 e, ragionevolmente, nel 2016 non raggiungerà l'1,2 per cento previsto dal Governo –:
   se confermi oppure smentisca il quadro descritto in premessa. (3-01702)
(15 settembre 2015)

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