TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 502 di Mercoledì 14 ottobre 2015

 
.

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER ASSICURARE ADEGUATE RISORSE AL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE E PER L'INTRODUZIONE DEL SISTEMA DEI COSTI STANDARD QUALE PRESUPPOSTO PER L'EFFETTIVITÀ DEL DIRITTO ALLA SALUTE

   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge «enti locali» approvato nel mese di agosto 2015, taglia 2,3 miliardi di euro al fondo sanitario, ridotto a 109,7 miliardi di euro per il 2015. Nel 2010 era di 112,6 miliardi di euro. I settori colpiti sono: beni e servizi – dispositivi medici, farmaceutica, appropriatezza (prestazioni di specialistica e riabilitazione), ospedali (chiusura con meno di 40 posti letto, personale, pubblici e privati);
    appare importantissimo togliere il velo su di un equivoco: non c’è alcuna spending review. I 2,3 miliardi di euro tagliati dal 2015 in poi da questo Esecutivo sono, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, i soliti tagli lineari;
    questi 2,3 miliardi di euro non sono affatto un anticipo della spending review, ma tagli già inseriti nel bilancio 2015 dalla legge di stabilità per il 2015 per coprire gli 80 euro: in sostanza, il Governo ha concordato con le regioni un taglio 4 miliardi di euro, motu proprio. La sanità rappresenta il 75 per cento dei budget regionali: alla fine i governatori si sono accordati con l'Esecutivo per tagliare dal Servizio sanitario nazionale questi 2,3 miliardi di euro, l'accordo è datato 2 luglio 2015. Lo stesso Governo aveva però firmato un «Patto per la salute» con le regioni in cui si diceva che tutti i risparmi nella sanità restavano nella sanità: invece servono anche a ridurre il deficit o, se va bene, ad abolire l'Imu;
    era il 15 novembre 2012 quando scadeva il termine per sottoscrivere il patto per la salute 2013-2015, determinando, senza alcuna mediazione delle regioni, l'applicazione delle misure di contenimento della spesa pubblica che hanno sottratto alla sanità oltre 30 miliardi di euro. Negli anni successivi, il rapido avvicendarsi di tre Esecutivi, l'assenza di programmazione sanitaria e l'entità rapidità dei tagli hanno causato uno sconquasso senza precedenti nella sanità pubblica, tanto da indurre la Camera dei deputati e il Senato della repubblica ad avviare parallelamente due indagini sulla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale;
    il 10 luglio 2014 Governo e regioni sottoscrivono il Patto per la salute che fissa le risorse per la sanità e definisce la programmazione sanitaria per il triennio 2014-2016 con due fondamentali precisazioni. Con la prima – «salvo eventuali modifiche che si rendessero necessarie in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e a variazioni del quadro macroeconomico» – non si esclude la possibilità di nuovi tagli per esigenze di finanza pubblica. Con la seconda – «i risparmi derivanti dall'applicazione delle misure contenute nel Patto rimangono nella disponibilità delle singole Regioni per finalità sanitarie» – il Patto per la salute lancia tra le righe il principio di disinvestimento (da sprechi e inefficienze) e riallocazione (in servizi essenziali e innovazioni), precisando che quanto recuperato dalle regioni in ambito sanitario non deve essere «distratto» verso altri settori;
    da allora professionisti sanitari e cittadini hanno assistito impotenti alla progressiva scadenza degli adempimenti del Patto per la salute sotto il segno di una «schizofrenia» legislativa che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, ha permesso al Governo di depauperare le risorse del Servizio sanitario nazionale scaricando sempre le proprie responsabilità;
    i numeri del comparto del settore sanitario dimostrano la contrazione della dotazione della spesa pubblica: nel 2010 il Servizio sanitario nazionale veniva finanziato con 112,6 miliardi di euro (circa il 7,1 per cento del prodotto interno lordo dell'epoca), con 110 miliardi di euro nel 2012 e circa 111 miliardi di euro nel 2014 (6,9 per cento del prodotto interno lordo);
    per capire le dimensioni dell'impoverimento del Servizio sanitario nazionale si deve tenere conto di due fattori. Esiste – ha scritto la Camera dei deputati alla fine di un'indagine conoscitiva – un «aumento considerato inevitabile in tutti i sistemi sanitari, intorno al 2 per cento annuo, dovuto al combinato disposto di nuove tecnologie e invecchiamento progressivo». In secondo luogo, va tenuto conto anche dell'aumento generale dei prezzi. I numeri veri sono questi: nel 2016 i tagli sommati dei vari Governi ammonteranno a 30 miliardi di euro in sei anni, gli investimenti a zero euro. La spesa sanitaria dal 2010 a oggi è calata in ogni comparto, personale compreso, con l'unica eccezione dei farmaci ospedalieri;
    i confronti internazionali dimostrano l'assunto certificato dall'Ocse: nel 2013 la spesa sanitaria complessiva (pubblica e privata) era l'8,8 per cento del prodotto interno lordo, quella tedesca l'11 per cento, quella francese il 10,9 per cento, quella greca e portoghese il 9 per cento (nel frattempo si è tagliato ancora). Se si volesse investire, in percentuale, quanto la Germania, il fondo del Servizio sanitario nazionale dovrebbe costare 30 miliardi di euro in più. La spesa sanitaria nazionale pro capite (3.077 dollari contro i 3.453 della media Ocse) tra il 2009 e il 2013 è calata in media dell'1,6 per cento l'anno, come quella spagnola. Peggio dell'Italia solo Portogallo (- 3,3 per cento), Irlanda (-4 per cento) e Grecia (-7,2 per cento);
    al fine di evitare che anche le regioni «virtuose» siano continuamente oggetto di tagli lineari la soluzione invocata è quella dei costi standard che rappresentano il nuovo modello economico di riferimento sul quale fondare il finanziamento integrale dell'attività pubblica afferente l'erogazione ai cittadini dei principali diritti sociali (sanità, assistenza sociale e istruzione, nonché trasporto pubblico locale);
    il concetto dei costi standard è legato a due fondamentali scopi: quello di ottimizzare e omogeneizzare i valori produttivi e, attraverso di essi, contenere i prezzi, e quello di valutare gli scostamenti dei costi reali e, con essi, lo stato di efficienza del sistema produttivo;
    se in tutto il Paese venissero applicati i costi sanitari pro capite della regione Lombardia, pari a 1240 euro, si avrebbe un risparmio strutturale di 27 miliardi di euro all'anno corrispondenti all'ammontare di un'intera manovra finanziaria, che ben supera la copertura per iva ed Imu; con le ingenti risorse liberate si potrebbero assumere iniziative di defiscalizzazione per le imprese;
    recentemente si è aggiunta la stretta riguardante 208 prestazioni su 1700 erogate dal Servizio sanitario nazionale; il medico che violerà la disposizione verrà punito con un taglio dello stipendio: una sanzione del genere costringe il medico a non svolgere appieno la propria funzione;
    una recente ricerca ha evidenziato che, con il perdurare della crisi economica, il 46 per cento delle famiglie rinuncia ad alcune cure sanitarie primarie perché non è in grado di sostenerne i costi. Il 14 per cento del reddito familiare annuo è destinato alle spese mediche; ogni famiglia spende circa 2000 euro all'anno per prestazioni essenziali e il 13 per cento si indebita per curarsi. Il 38 per cento dei concittadini rinuncia alle cure odontoiatriche, il 22 per cento a quelle oftalmiche e il 15 per cento alla riabilitazione,

impegna il Governo:

   a garantire il diritto alla salute per i cittadini previsto dall'articolo 32 della Costituzione attraverso la ridefinizione dei tagli previsti al fondo per la sanità e la revisione dei recenti tagli alle prestazioni sanitarie;
   ad assumere iniziative per un'immediata introduzione del sistema dei costi standard essendo il presupposto fondamentale per garantire il diritto alla salute, facendo sì che il costo ragionevole dei servizi e degli strumenti sanitari, a parità di disponibilità finanziarie, diventi il riferimento nazionale nell'ambito delle politiche sanitarie.
(1-01008) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».
(6 ottobre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    in Italia, nonostante si possano annoverare anche risultati di eccellenza, la spesa sanitaria è di dimensioni contenute, sia in rapporto assoluto che in rapporto al prodotto interno lordo. Il Servizio sanitario nazionale ha dovuto subire negli ultimi anni, in piena continuità da parte dei Governi che si sono succeduti, una forte restrizione delle risorse, in termini finanziari, di personale e strutturali;
    la crisi economica e le restrizioni operate sulla sanità pubblica, un vero «bancomat» nell'approccio del Governo, hanno pregiudicato e non poco le condizioni di accesso e fruibilità ai complessivi servizi sanitari sia di prevenzione che di cura, da parte della popolazione più svantaggiata e debole economicamente, aggravando di fatto le già persistenti disuguaglianze territoriali esistenti;
    in particolare, nelle regioni soggette ai piani di rientro chiamate a contribuire alla riduzione della spesa si sono evidenziati effetti negativi sia sulla capacità di erogare servizi, sia sul funzionamento degli stessi;
    i vincoli imposti alla spesa e alla dotazione del personale, in particolare il blocco del turnover, hanno di fatto indebolito il servizio sanitario in tutte le regioni, anche se con un peso diversificato da regione a regione, tanto che da più parti si chiede di introdurre elementi di flessibilità;
    l'informatizzazione e le tecnologie digitali possono e devono contribuire non solo a migliorare l'integrazione dei servizi ma anche a garantire sempre più la trasparenza delle informazioni, anche in relazione alla gestione del Servizio sanitario nazionale. Da questa innovazione i benefici attesi secondo recenti studi potrebbero produrre, anche nel breve termine, un risparmio annuo di circa 6 miliardi di euro di spesa sanitaria, migliorando al contempo i livelli di assistenza, da qui la necessità di procedere all'attuazione integrale dell'articolo 14 del Patto per la salute;
    in Italia, pochi dati possono rendere meglio di tante parole quale è stata l'incidenza della riduzione delle risorse: nel 2012 la spesa sanitaria complessiva sia pubblica che privata è scesa al 9,2 per cento, mentre nel 2009 era del 9,4 per cento; la spesa sanitaria continua ad essere soggetta a riduzioni; infatti dai 112,5 miliardi di euro del 2010 si è giunti ai circa 109 miliardi di euro nel 2013;
    il Documento di economia e finanza del 2015 prevede una riduzione della spesa sanitaria al 6,8 per cento nel 2015 per arrivare al 6,5 per cento del prodotto interno lordo nel 2019. Se non bastasse questo, si è previsto un taglio di circa 2,3 miliardi di euro al Fondo sanitario nazionale a decorrere dal 2015;
    il decreto-legge n. 78 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2015, ha rivisto l'elenco di visite ed esami a carico del Servizio sanitario nazionale, con il risultato che il 12 per cento delle prestazioni (208) oggi gratuite saranno mutuabili secondo le condizioni del paziente, limitando di fatto i medici nella loro attività al fine di evitare eventuali sanzioni per la violazione del nuovo criterio di appropriatezza;
    si assiste, inoltre, al fatto che le regioni risparmiano più di quanto loro richiesto dalle manovre di finanza pubblica, questo per evitare di essere loro a dover coprire le spese in eccesso e da questo deriva una pesante ricaduta sui cittadini;
    il Governo ha affermato che non si tratta di tagli lineari ma di razionalizzazioni che produrranno maggiore efficienza ed efficacia del Servizio sanitario nazionale; appare evidente che se i risparmi derivassero dalla lotta agli sprechi e ai privilegi, dall'applicazione omogenea di costi standard e dalla centralizzazione degli acquisti e se questi restassero nelle disponibilità del Servizio sanitario nazionale, si potrebbe ipotizzare, ad esempio, il rinnovo dei contratti del personale sanitario e lo sblocco del turnover, il finanziamento dell'informatizzazione effettiva dell'intero Servizio sanitario nazionale, l'aumento delle risorse per il fondo per le non autosufficienze, il finanziamento del piano per la disabilità e lo sviluppo della rete territoriale dei servizi;
    in campo sanitario si pone la necessità di una maggiore attenzione verso le misure da attuare nel settore socio-sanitario, in particolare relativamente al sostegno alle persone disabili, soprattutto al fine di attuare il programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità (in particolare la linea di intervento 1) adottato dal Consiglio dei ministri nel novembre 2013 e mai finora finanziato in alcuna delle parti che lo compongono;
    la prima relazione dell'Unione europea sulla lotta alla corruzione, pubblicata il 3 febbraio 2014, indica l'Italia tra i Paesi in cui il fenomeno è più grave, tanto che il giro degli affari relativo alla corruzione nel nostro Paese è valutato in circa 60 miliardi di euro l'anno; la stessa Guardia di finanza nell'ultimo rapporto ha evidenziato nella sanità pubblica un danno erariale accertato di circa 800 milioni di euro nel solo primo semestre 2015;
    dalle stesse citate indagini della Guardia di finanza condotte in 18 regioni emerge che solo 83 dirigenti della sanità hanno prodotto un danno erariale di 6 milioni di euro, evidenziando così come anche il sistema di nomina politica e valutazione incida sullo sperpero di risorse pubbliche;
    la riforma del citato titolo V della parte II della Costituzione ha di fatto complicato l'attuazione dei costi standard e della centralizzazione degli acquisti, che ad oggi non trova ancora rapida ed efficace applicazione. Non esiste giustificazione alcuna per cui un presidio sanitario di uso comune debba avere differenze di prezzo, anche nella misura di cinque volte, da una regione all'altra. Sistemi europei di centralizzazione degli acquisti per la pubblica amministrazione sono attivi da anni e hanno dimostrato di essere il metodo più efficace e rapido per ridurre la spesa per garantire la qualità dei prodotti sanitari. La mancata applicazione in Italia di tali processi, anche a causa delle reticenze delle regioni e degli enti locali, determina uno sperpero di denaro pubblico ingiustificabile, che deve al più presto essere interrotto;
    in realtà, la contrazione delle risorse ha prodotto un'offerta sanitaria pubblica che ha ridotto i posti letto, ha reso le condizioni degli operatori sempre più difficili a fronte anche di un'anzianità di servizio sempre più elevata, ha ridotto i servizi e ha spinto o indotto chi poteva economicamente a rivolgersi ai servizi privati, che non a caso sono in aumento, e questo comporta anche un travaso di risorse pubbliche a privati convenzionati;
    nel 2013 l'11 per cento della popolazione ha dichiarato di avere rinunciato ad almeno una prestazione sanitaria mentre il 5,6 per cento ha dichiarato che la rinuncia era dovuta a motivi economici. Di fatto, almeno tre milioni di italiani hanno evitato il ricorso all'assistenza sanitaria per motivi economici in particolare nel Sud e nelle isole;
    nelle stesse regioni con piani di rientro aumentano le persone che pagano per intero gli accertamenti sanitari proprio dove l'offerta di servizi ha subito maggiori limitazioni e la compartecipazione dei cittadini è più elevata;
    lo stesso project financing, che consiste nel coinvolgimento di soggetti privati nella compartecipazione ai costi per le opere pubbliche, in particolare nella sanità, rappresenta una voragine sulla quale intervenire in quanto tali interventi non lasciano di fatto traccia nei bilanci pubblici, non risultando né tra gli investimenti, né tra i debiti che gli addetti ai lavori, con stime prudenti, quantificano come indebitamento implicito per decine di miliardi di euro,

impegna il Governo:

   a prevedere il superamento effettivo della riduzione sistematica delle risorse destinate al Servizio sanitario nazionale e del taglio delle prestazioni da erogare attraverso le seguenti iniziative:
    a) condurre a termine, entro la prossima legge di stabilità, l’iter di attuazione dei costi standard e della centralizzazione degli acquisti, uniformando le spese e la variazione dei costi per l'acquisto e la fornitura di dispositivi, farmaci ospedalieri, materiali, apparecchiature e servizi in ambito sanitario;
    b) ritirare la tabella recante le condizioni di erogabilità delle 208 prestazioni specialistiche e le sanzioni economiche previste per i medici, al fine di procedere alla definizione di un programma nazionale e di linee guida per la promozione dell'appropriatezza, di concerto con le regioni, con le società scientifiche accreditate, le associazioni dei cittadini e dei pazienti e le competenti Commissioni parlamentari, sentite l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), l'Istituto superiore di sanità e l'Agenzia italiana del farmaco;
    c) prevedere che i risparmi derivanti dalla spending review in ambito sanitario e socio-sanitario vengano reinvestiti esclusivamente nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, al fine di ampliare ulteriormente i servizi erogati ai cittadini dal comparto sanitario;
    d) emanare provvedimenti efficaci e sistematici volti a prevenire i meccanismi e le prassi amministrative che favoriscono l'insorgenza di fenomeni di corruzione che incidono o determinano condizioni di inefficacia e inefficienza nell'erogazione dei servizi di tutela della salute, nonché gli sprechi di risorse pubbliche, in particolare in relazione alla gestione delle aziende sanitarie locali;
    e) rendere trasparenti le forme di utilizzo delle risorse pubbliche, nonché dei pagamenti effettuati, dando concreta attuazione alle normative già esistenti in favore della trasparenza, in particolare al decreto legislativo n. 33 del 2013, che si focalizza sulla pubblicazione on-line delle informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni;
    f) completare il programma di informatizzazione del Sistema sanitario nazionale previsto dall'articolo 14 del Patto per la salute, entro e non oltre le scadenze programmate dall'Agenda digitale, con particolare riferimento al fascicolo sanitario elettronico, alle ricette digitali, alla dematerializzazione di referti e cartelle cliniche e alle prenotazioni e ai pagamenti on-line;
    g) ai fini dell'effettiva razionalizzazione ed efficacia della spesa sanitaria, intraprendere il processo di sperimentazione del socc – lo strumento operativo di controllo per il monitoraggio dei livelli di corruzione sviluppato dall'Istituto per la promozione dell'etica in sanità (Ispe) –, o comunque di qualsiasi altro modello gestionale analogo messo a punto da équipe indipendenti di esperti nel settore da sviluppare e applicare anche in via sperimentale, inizialmente anche solo in talune regioni selezionate;
    h) verificare gli effetti, soprattutto in termini economico-finanziari, dell'utilizzo del cosiddetto project financing per l'edilizia ospedaliera, e promuovere la riforma del citato istituto al fine di prevenire il dilagare di fenomeni corruttivi e lo spreco di risorse a danno della finanza pubblica connessi alla sua applicazione;
    i) provvedere tempestivamente, in seno alla Conferenza tra Stato, regioni e province autonome di Trento e di Bolzano, alla revisione del Patto per la salute 2014-2016 nella parte in cui all'articolo 6 «Assistenza socio-sanitaria», ai commi 1 e 2, sancisce un'ingiustificabile limitazione all'erogazione degli interventi relativi alla non autosufficienza, alla disabilità, alla salute mentale adulta e dell'età evolutiva, alle dipendenze, all'assistenza ai minori ed altro nei limiti delle risorse programmate per il sistema sanitario regionale;
    l) promuovere la riforma della normativa che disciplina il processo di nomina e valutazione dei direttori generali delle aziende sanitarie tenuto conto dei sistemi «check and balance»;
    m) al fine di produrre risparmi della spesa pubblica, intraprendere la riforma delle modalità di accertamento dell'invalidità, in particolare eliminando o riducendo inefficienze e iniquità, tramite l'introduzione in sede di verifica, degli standard ICF (International classification of functioning, disability and health), come previsto dalla linea di intervento 1 del programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità adottato dallo stesso Governo;
    n) promuovere, per quanto di competenza, anche di concerto con la Conferenza delle regioni, la semplificazione e l'attuazione delle procedure di mobilità interregionale del personale sanitario in relazione alle piante organiche e alla garanzia di assicurare i livelli essenziali delle prestazioni in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale;
    o) garantire, per quanto di competenza, che la riduzione delle auto di servizio blu o grigie, in particolare nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, sia attuata senza ulteriori azioni dilatorie tese a mantenere un inutile privilegio oneroso per la finanza pubblica e dal quale potrebbero derivare risparmi per centinaia di milioni di euro.
(1-01009) «Di Vita, Grillo, Baroni, Colonnese, Silvia Giordano, Mantero, D'Incà, Lorefice, Dall'Osso».
(9 ottobre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni si è assistito ad un'evoluzione normativa finalizzata a razionalizzare la spesa degli enti del Servizio sanitario nazionale; da ultimo, ai fini del conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica di cui all'articolo 46, comma 6, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, e in attuazione di quanto stabilito dalla lettera e) dell'intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano in data 26 febbraio 2015, prevista dall'articolo 1, comma 398, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, e dall'intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano in data 2 luglio 2015, gli articoli 9-bis e seguenti del decreto-legge n. 78 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2015 – introdotti in sede di conversione con emendamento del Governo, hanno individuato specifiche misure di razionalizzazione della spesa sanitaria; in particolare, tali misure sono volte a:
     a) concorrere alla riduzione, su base annua del 5 per cento, della spesa per beni e servizi e dei dispositivi medici sostenuta dagli enti del Servizio sanitario nazionale; con un risparmio su base annua per l'anno 2015 di 788 milioni di euro e di 805 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016;
     b) introdurre disposizioni volte a disciplinare il meccanismo del «pay-back» in caso di superamento del tetto di spesa da parte dei fornitori dei dispositivi medici;
     c) prevedere, entro il 30 settembre 2015, la conclusione, da parte dell'Aifa, della rinegoziazione dei prezzi dei medicinali a carico del Servizio sanitario nazionale, con le aziende farmaceutiche, dei prezzi dei medicinali compresi nell'ambito dei raggruppamenti terapeuticamente assimilabili;
     d) rinviare a un decreto ministeriale, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, l'individuazione delle condizioni di erogabilità e le indicazioni prioritarie per la prescrizione appropriata delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale ad alto rischio di inappropriatezza; il risparmio complessivo stimato per tale misura è pari a circa 106 milioni di euro, a fronte di una riduzione complessiva di prestazioni stimate nel settore pubblico e privato per un valore tariffario di 192 milioni di euro;
     e) ridurre il numero dei ricoveri in regime di riabilitazione ospedaliera potenzialmente inappropriati sotto il profilo clinico e ridurre le giornate di ricovero oltre quelle definite appropriate;
    le misure sopra sintetizzate, unitamente a quelle già poste in essere – quali, ad esempio, il regolamento sugli standard ospedalieri – hanno il merito di essere finalizzate a garantire l'utilizzo etico delle risorse pubbliche, la riduzione degli sprechi e, quindi, la riduzione della spesa pubblica, senza pregiudicare o limitare la qualità delle prestazioni erogate dal Servizio sanitario nazionale;
    non vi è dubbio, infatti, che la tutela della salute, diritto fondamentale dell'individuo e della collettività, è garantita attraverso il Servizio sanitario nazionale; ma è pur vero che, nel rispetto delle vigenti disposizioni, devono essere posti a carico del Servizio sanitario nazionale le forme di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che presentano specifiche condizioni cliniche o di rischio, nonché evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute;
    va anche detto che parallelamente alla riduzione del livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui concorre lo Stato, di cui sopra, sono previste misure che possano consentire a tutte le regioni di efficientare il loro servizio sanitario regionale, dal momento che anche nelle regioni cosiddette «benchmark» possono esistere aree di inefficienza gestionale e/o aree di inappropriatezza nell'erogazione delle prestazioni sanitarie, tali da far ritenere che anche le regioni oggi più «performanti» (e in equilibrio di bilancio) possano ridurre i propri costi, mantenendo comunque inalterati i livelli e la qualità dei servizi. Ecco perché anche interventi in tema di inappropriatezza risultano essere necessari per un'ottimizzazione delle risorse destinate alla sanità, che consenta di aggredire ambiti del sistema sanitario ove sussistono sprechi;
    va ricordato che sprecare risorse equivale a sottrarre le stesse ad altri impieghi particolarmente necessari per la tutela della salute, come possono essere gli investimenti per i farmaci innovativi e per le malattie rare;
    peraltro, stante la normativa vigente in materia di ripianamento dei disavanzi, che pone l'intero onere della copertura a carico delle regioni, le misure di contenimento della spesa, dettate a livello nazionale, non possono che andare nella direzione di offrire alle regioni medesime gli strumenti necessari per rimanere in equilibrio economico-finanziario o, comunque, per non alterarlo;
    inoltre, gli interventi previsti dalla normativa citata vanno saldati anche con una politica che renda finalmente effettivi i costi standard, così da misurare le aree di inefficienza e di inappropriatezza e per verificare progressivamente gli sviluppi del sistema, con l'obbligo per le stesse regioni che hanno costi superiori a quelli delle regioni benchmark di efficientare il sistema;
    peraltro, le disposizioni sopra richiamate consentono, coerentemente con quanto convenuto nell'intesa del 2 luglio 2015, che le regioni, al fine di salvaguardare l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, possano comunque conseguire l'obiettivo economico-finanziario a loro carico, anche adottando misure alternative, purché assicurino l'equilibrio del bilancio sanitario con il livello del finanziamento ordinario;
    va tenuto conto di quanto già posto in essere con le misure di razionalizzazione della spesa sanitaria,

impegna il Governo:

   pur confermando la validità delle misure adottate nel quadro dei finanziamenti al Servizio sanitario nazionale, di cui al decreto-legge n. 78 del 2015 (cosiddetto decreto enti locali), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2015, a proseguire nella promozione e nell'adozione di iniziative, anche normative, volte ad implementare interventi responsabili, da parte di tutti gli attori istituzionali coinvolti, a garanzia e a sostegno del diritto alla salute e alle cure dei cittadini, nonché a tutela del Servizio sanitario nazionale;
   ad assumere, già a partire dal prossimo disegno di legge di stabilità, specifiche iniziative dirette a garantire che l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e del nomenclatore protesico venga compiuto indifferibilmente entro il 2016;
   a proseguire, già nell'ambito del prossimo disegno di legge di stabilità, sul percorso avviato di stabilizzazione dei precari che da anni svolgono attività nell'ambito del Servizio sanitario nazionale;
   su di un piano più generale, a dare attuazione alle previsioni del Patto per la salute 2014-2016 che impongono di reinvestire in sanità, segnatamente per le finalità di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e del nomenclatore protesico, nonché per le esigenze connesse all'erogazione di farmaci innovativi, i risparmi derivanti da misure di razionalizzazione in campo sanitario.
(1-01010) (Nuova formulazione) «Dorina Bianchi, Calabrò, Roccella».
(12 ottobre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    da troppo tempo si sta assistendo a un'intollerabile «girandola» di dichiarazioni, tutte interne al Governo, che si contraddicono tra di loro e cambiano ogni giorno i numeri relativi al finanziamento del Servizio sanitario nazionale;
    il 30 settembre 2015, nell'Aula della Camera dei deputati, il Presidente del Consiglio dei ministri confermava quanto da lui stesso dichiarato nei giorni precedenti, ossia che il fondo sanitario nazionale poteva contare su 110 miliardi di euro per il 2015, e su 111 miliardi di euro nel 2016;
    15 giorni prima, il 15 settembre 2015, la Ministra Lorenzin dichiarava che per proprio per «la sostenibilità delle sfide che abbiamo in campo, sotto i 112 miliardi di euro non si può andare», dando così una cifra diversa da quella del Presidente del Consiglio dei ministri;
    peraltro nello stesso giorno in cui il Presidente del Consiglio dei ministri alla Camera dei deputati parlava di 111 miliardi di euro nel 2016, la medesima Camera stava esaminando la nota di aggiornamento al documento di economia e finanza presentata dal suo Governo, dove è scritto chiaramente che la spesa sanitaria per il 2016 sarà di 113,4 miliardi di euro. Un aumento programmato frutto dell'accordo in Conferenza Stato-regioni del 2 luglio 2015. Il Presidente del Consiglio dei ministri, quindi, oltre a contraddire la Ministra Lorenzin, smentiva di fatto se stesso, dando un importo per il Servizio sanitario nazionale di 2,4 miliardi di euro inferiore a quanto scritto nella nota di aggiornamento al documento di economia e finanza;
    il 1o ottobre 2015 ancora la Ministra della salute, rispetto alle dichiarazioni spiazzanti del Presidente del Consiglio dei ministri, dichiarava che: «L'aumento non è stato quanto ci aspettavamo (...), se me lo si chiede, per me ci vuole di più»;
    al di là di questo «balletto» di cifre, rimane il fatto che meno di un anno fa, la legge di stabilità per il 2015 aveva stabilito in 115,44 miliardi di euro per il 2016 il livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui concorre lo Stato;
    il decreto-legge n. 78 del 2015, approvato nell'agosto 2015, ha ridotto le risorse previste per il 2016 (e per gli anni successivi) per il Servizio sanitario nazionale di circa 2,35 miliardi di euro;
    il risultato finale, dopo le dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei ministri, è che per il 2016 si passerà dai 115,4 miliardi, previsti dalla legge di stabilità per il 2015, a 111 miliardi di euro;
    in pratica in meno di un anno le risorse assegnate dal Governo alla sanità pubblica si sono ridotte di oltre 4 miliardi di euro rispetto a quanto previsto;
    se poi si passa dai dati assoluti ai dati percentuali, si vede come la spesa per la sanità pubblica in rapporto al prodotto interno lordo andrà diminuendo negli anni. Infatti, le previsioni della suddetta nota di aggiornamento al documento di economia e finanza 2015, riguardo alla spesa sanitaria, confermano una crescita inferiore a quella del prodotto interno lordo, con un calo dal 6,8 per cento del 2015, al 6,7 per cento nel 2016 e 2017, al 6,6 per cento per il 2018, fino al 6,5 per cento per l'anno 2019, nel rapporto fra spesa sanitaria e prodotto interno lordo. È quindi evidente la riduzione in termini percentuali della spesa sanitaria per i prossimi anni;
    tutto ciò fa capire come il disegno di legge di stabilità per il 2016 in via di presentazione al Senato della Repubblica, porterà ad ulteriori riduzioni di risorse a danno del Servizio sanitario del nostro Paese. Insomma, il recente taglio di 2,352 miliardi di euro all'anno a decorrere dal 2015 non è stato sufficiente;
    il Governo persevera con la politica dei tagli al Servizio sanitario nazionale, senza ricordare che la spesa sanitaria pubblica italiana risulta inferiore a quella dei principali Paesi europei: poco meno di 2.500 dollari pro capite nel 2012, a fronte degli oltre 3.000 spesi in Francia e Germania;
    anche il recentissimo rapporto sullo stato sociale 2015 del dipartimento di economia e diritto de «La Sapienza», Università di Roma, ha confermato come i dati della spesa sanitaria italiana, sia in rapporto al prodotto interno lordo (7 per cento) che pro capite, indichino che di è sotto la media dei rispettivi valori dell'Unione europea a 15 (8,7 per cento); dopo l'Italia ci sono solo Spagna, Grecia e Portogallo;
    si è ancora molto lontani dall'uscire dal paradigma dei tagli ed entrare in quello della qualità. In questi ultimi anni, il nostro Paese è diventato più diseguale sul piano della garanzia delle cure, con territori periferici che negli anni si sono visti sottrarre servizi, tagliare prestazioni sanitarie e sociali, depauperare il sistema di protezione sociale. Con un sistema di prevenzione sempre più impoverito;
    si sta sempre più andando verso un sistema sanitario a due binari: uno pubblico sempre meno efficiente e non adeguato, e destinato alle fasce sociali medie e basse, e un sistema misto pubblico-privato di sanità integrativa, finanziato con assicurazioni sanitarie private o di categoria, e con prestazioni spesso quali-quantitativamente migliori destinate ai cittadini con maggiori possibilità economiche. Le politiche del definanziamento del Servizio sanitario nazionale e dei ticket di questi anni stanno, quindi, rendendo competitive le prestazioni private e mettono in crisi i diritti alle prestazioni sanitarie di larghe fasce di popolazione;
    a confermare la strada intrapresa, che, di fatto, conduce a soluzioni privatistiche di uscita dalla crisi, è la ricerca Censis-Rbm salute, presentata nei mesi scorsi a Roma, dal quale emerge come il servizio sanitario pubblico è sempre più ingolfato per le lunghe liste d'attesa e per gli italiani diventa più conveniente ricorrere alle strutture private. La scelta del privato spesso diventa un obbligo per accorciare i tempi. Così un miliardo di euro in più in un anno uscito dalle tasche degli italiani, per un totale di 33 miliardi di euro nel 2014 (+2 per cento rispetto all'anno precedente). A tanto ammonta la spesa sanitaria out of pocket. Mentre la spesa sanitaria pubblica supera i 110 miliardi di euro;
    il medesimo rapporto Censis evidenzia come «pagare diventa per tutti, anche per le persone con redditi bassi, la condizione per accedere alla prestazione in tempi realistici». Oltre 9 milioni di italiani hanno effettuato visite specialistiche nell'ultimo anno nel privato a pagamento intero (2,7 milioni di questi sono persone a basso reddito);
    a spingere sempre più cittadini a rivolgersi al privato, con sacrifici economici considerevoli, contribuiranno certamente le norme varate dal recente decreto-legge n. 78 del 2015, cosiddetto decreto enti locali;
    l'articolo 9-quater del suddetto decreto-legge n. 78 del 2015 prevede, in particolare, una serie di misure volte alla riduzione delle prestazioni sanitarie inappropriate. In pratica si interviene su prestazioni specialistiche e riabilitative ritenute non necessarie, ma prescritte ugualmente dai medici, con misure penalizzanti (riduzione della retribuzione), per i medici stessi qualora questi non rispettino le condizioni di erogabilità e le indicazioni per la prescrizione appropriata delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale;
    sono norme che nelle intenzioni del Governo dovranno produrre dei risparmi, ma che nei fatti finiranno per avere ricadute negative sulla prevenzione e per ridurre il perimetro del servizio sanitario nazionale;
    a pagarne le conseguenze sarà ancora una volta il cittadino che si vedrà «scaricare» la responsabilità di una prestazione sanitaria, che gli è stata prescritta ma che si giudica non appropriata. Al di fuori delle condizioni di erogabilità consentite, le prestazioni saranno, infatti, poste a totale carico dell'assistito, che si vedrà posto nella condizione di rivolgersi al privato, accollandosi così il relativo costo;
    è in via di emanazione, previo passaggio in conferenza Stato-regioni, e a conclusione di un confronto con i soggetti interessati, il previsto decreto del Ministero della salute di attuazione dell'articolo 9-quater del suddetto decreto-legge n. 78 del 2015, che individua 208 misure che saranno soggette a condizioni di erogabilità e indicazioni di appropriatezza prescrittiva;
    le suddette misure riguardano odontoiatria, radiologia, risonanze magnetiche, tac, esami di laboratorio e genetici, test allergici e molte altre. Chi vorrà sottoporsi alle prestazioni elencate nella bozza di decreto ministeriale potrà ottenerle a carico del Servizio sanitario nazionale solo a certe precise condizioni, altrimenti dovrà rivolgersi al privato e pagarle di tasca propria;
    si tratta di misure che, volendo affrontare il problema reale della medicina difensiva, finiscono per tradursi in disposizioni sostanzialmente punitive nei confronti dei pazienti e dei medici;
    tutto questo mentre nel nostro Paese è aumentata la povertà sanitaria. Sono raddoppiati i cittadini che hanno difficoltà ad acquistare medicinali, anche quelli con prescrizione medica. È uno scenario grave, che colpisce in modo profondo il diritto alla salute e l'accesso alla cura dei cittadini più esposti;
    in sede di esame al Senato della Repubblica della nota di aggiornamento al documento di economia e finanza 2015, è stato approvato un emendamento alla risoluzione della maggioranza, con il quale si chiede di salvaguardare i livelli essenziali di assistenza delle prestazioni sociali, assicurando qualità e quantità dei servizi,

impegna il Governo:

   ad incrementare, già dal disegno di legge di stabilità per il 2016, le risorse per il fondo sanitario nazionale e per la non autosufficienza, o perlomeno a confermare lo stanziamento di 113,4 miliardi di euro, come peraltro previsto dalla stessa nota di aggiornamento al documento di economia e finanza 2015, al fine di riportare dette risorse ai livelli della media dell'Unione europea e dell'Ocse;
   ad assumere iniziative per prevedere, come peraltro promesso in molte occasioni dalla Ministra della salute, che ulteriori risparmi e tagli di risorse a carico del Servizio sanitario nazionale siano effettivamente reinvestiti nella sanità pubblica per una sua reale difesa e riqualificazione, a garanzia della piena applicazione dei livelli essenziali di assistenza e quindi della sua universalità ed equità;
   a mettere in atto tutte le iniziative necessarie finalizzate allo sblocco del turnover e alla stabilizzazione dei precari – che spesso assicurano i livelli essenziali di assistenza – al fine di consentire la riorganizzazione e riqualificazione del Servizio sanitario nazionale e sociale;
   ad assumere iniziative volte a individuare altre modalità di risparmio rispetto a quanto previsto dall'articolo 9-quater del decreto-legge n. 78 del 2015 e a sospendere conseguentemente l'emanazione del decreto ministeriale di cui in premessa, al fine di rivedere profondamente, attraverso un preventivo percorso di consultazioni e di serio confronto con gli operatori e i soggetti interessati, le misure in materia di prescrizioni sanitarie ritenute non appropriate;
   ad attivare opportune ed efficaci iniziative, anche normative, volte a intensificare il contrasto alle frodi e alla corruzione, purtroppo troppo presente in questo settore, anche al fine di liberare risorse importanti per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale;
   a promuovere, per quanto di competenza, un sistema di accreditamento più rigoroso e di qualità all'interno della programmazione pubblica e con valutazione dei risultati.
(1-01011) «Nicchi, Fratoianni, Scotto, Melilla, Marcon».
(12 ottobre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 32 della Costituzione stabilisce che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività. Si tratta dunque di una norma che è, al contempo, programmatica, poiché impegna il legislatore a promuovere idonee iniziative volte all'attuazione di un compiuto sistema di tutela adeguato alle esigenze di una società che cresce e progredisce;
    l'instabilità governativa, dovuta all'avvicendamento di diversi Esecutivi in un breve lasso temporale, e la rapidità con cui sono stati approvati i relativi tagli alla sanità, specie nella presente legislatura, hanno comportato un'evidente assenza di programmazione sanitaria nonché notevoli problematiche all'intero sistema sanitario;
    alla luce del riordino imposto dalla cosiddetta legge Delrio, il decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (cosiddetto decreto enti locali), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, ha previsto una serie di misure concernenti i bilanci degli enti locali tra cui la riduzione della spesa sanitaria;
    nello specifico, il decreto-legge sopracitato ha previsto un taglio di 2,3 miliardi di euro al fondo sanitario nel 2015 e altrettanti nel 2016 e nel 2017. La parte maggiore dei risparmi consisterà in una riduzione di 1,3 miliardi di euro sull'acquisto di beni e servizi, un taglio di 308 milioni di euro per anno alla spesa farmaceutica ed un'ulteriore stretta sulle prestazioni di specialistica ambulatoriale e sui ricoveri di riabilitazione;
    nel decreto-legge è stata recepita l'intesa siglata il 2 luglio 2015 dal Governo e dalle regioni, in sede di Conferenza Stato-Regioni, sulla spesa sanitaria e sulla revisione del Patto triennale per la salute 2014-2016. Intesa che ha previsto una riduzione del livello complessivo del finanziamento del Servizio sanitario nazionale pari a 2.352 milioni di euro annui, a decorrere dal 2015, cifra già concordata in una precedente intesa tra Stato e regioni del 23 febbraio 2015, attuativa della legge di stabilità n. 190 del 2014;
    il Patto per la salute sottoscritto da Governo e regioni il 10 luglio 2014, con valenza triennale, ha stabilito le risorse necessarie per la sanità nonché per la programmazione sanitaria per il triennio 2014-2016 precisando, contestualmente, che gli stanziamenti sono destinati al fondo sanitario nazionale «salvo eventuali modifiche che non si rendessero necessarie in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e a variazione del quadro macroeconomico», rendendo in questo modo possibile, in qualsiasi momento, una variazione degli stanziamenti per un settore che riveste un ruolo cruciale per il Paese;
    l'Ocse nel secondo report «Health Statistics 2015» che ha mappato la spesa sanitaria dei 34 Paesi dell'organizzazione e delle economie emergenti mostra come la spesa sanitaria ha continuato a ridursi in Grecia, Italia e Portogallo. In rapporto al prodotto interno lordo la spesa sanitaria italiana è più bassa di quella greca nonostante la crisi del paese ellenico: addirittura nel 2013 la Grecia ha investito in sanità, tra pubblico e privato, il 9,2 per cento del prodotto interno lordo, mentre l'Italia si è fermata all'8,8 per cento;
    a livello europeo, la situazione sanitaria del nostro Paese non sembra migliorare, anzi, continua a perdere punti nella classifica dell'indice europeo health consumer (EHCI). L'Italia con 648 punti su 100 si presenta al ventunesimo posto della classifica, perdendo un punto rispetto al 2014, con l'Olanda che resta al primo posto con un punteggio di 898 su 100, seguita da Svizzera, Norvegia, Finlandia e Danimarca;
    a destare preoccupazione vi è anche la percentuale di italiani che per problemi economici sono costretti a rinunciare alle spese mediche. Le ultime statistiche, infatti, mostrano che la percentuale di famiglie, tra quelle con un reddito inferiore a 1.550 euro al mese, che rinuncia alle cure si attesta al 61 per cento e il 46 per cento degli italiani deve rinunciare ad almeno una cura l'anno;
    alla luce della precaria situazione della sanità pubblica e al fine di evitare che le regioni siano oggetto di continui tagli lineari, la soluzione invocata è quella di ricorrere ai costi standard consentendo la rideterminazione del fabbisogno ideale, necessario per assicurare a tutti i cittadini le prestazioni ed i servizi essenziali;
    le esigenze di razionalizzazione e di risparmio sono evidenti, ma bisogna evitare il susseguirsi continuo di tagli che non seguono una logica e non consentono, in definitiva, di realizzare quella che è la vera esigenza della sanità italiana, ovvero un organico piano di rivisitazione del Servizio sanitario nazionale;
    il settore nel quale appaiono urgenti la definizione e l'adozione dei costi standard è certamente quello della sanità, che rappresenta la voce di gran lunga più importante della spesa regionale e, al contempo, quella su cui è più pregnante il vincolo di assicurare i livelli essenziali di assistenza in tutto il Paese;
    come se non bastasse, recentemente, il Ministero della salute ha stilato un elenco di 205 prestazioni sanitarie ritenute non necessarie, che dovranno essere sostenute direttamente dal cittadino stesso, e per di più i medici che violeranno tali disposizioni rischieranno il taglio dello stipendio;
    l'approccio del Governo sulla sanità risulta, quindi, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo sbagliato e inadeguato poiché la riduzione dei costi deve passare, innanzitutto, dall'introduzione dei costi standard e da una centrale unica di acquisto in ogni regione, comprese quelle a statuto speciale;
    è altresì necessario completare il processo di digitalizzazione introdotto dal Governo Berlusconi, riferito a ricette mediche digitali, prescrizioni mediche digitali e esami digitali, così da ottenere una riduzione dei costi, lo snellimento della burocrazia ed un aumento della qualità del servizio al cittadino,

impegna il Governo:

   a garantire il diritto alla salute, così come previsto dall'articolo 32 della Costituzione, valutando l'opportunità di assumere iniziative per una revisione dei tagli alla sanità previsti nel cosiddetto decreto-legge enti locali;
   ad assumere le opportune iniziative volte ad introdurre nel sistema sanitario i costi standard, al fine di ottimizzare e omogeneizzare i valori produttivi e, attraverso di essi, procedere ad un contenimento dei costi su scala nazionale.
(1-01012) «Palese».
(12 ottobre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    secondo la nota di aggiornamento al documento di economia e finanza 2015 si prevede un rialzo, per la prima volta dal 2010, delle stime di crescita del prodotto interno lordo: in aumento dello 0,9 per cento nel 2015 e dell'1,6 per cento nel 2016 (rispettivamente contro lo 0,7 per cento e l'1,4 per cento stimato ad aprile 2015);
    sempre secondo nota di aggiornamento al documento di economia e finanza, per la sanità le stime della spesa dal 2015 al 2019 ipotizzano un aumento annuo vicino al 2 per cento per ciascuno degli anni in esame, mentre l'incidenza sul prodotto interno lordo passa dal 6,8 del 2015 al 6,5 del 2019; per il 2016 la spesa sanitaria è stimata a 113,3 miliardi di euro: + 1,9 per cento sul 2015;
    nello specifico, per quanto riguarda la sanità, la nota di aggiornamento prende atto delle nuove misure approvate con il decreto-legge di agosto 2015 e pubblica una nuova tabella sull'evoluzione della spesa a legislazione vigente, che prevede: per il 2014 111,028 miliardi di euro, per il 2015 111,289 miliardi di euro e per il 2016 una stima pari a 113,372 miliardi di euro;
    secondo i dati pubblicati sul sito web del Ministero della salute gli importi finali del finanziamento per gli anni 2011-2014, intesi come risultato dello stanziamento iniziale al netto di tutte le manovre intervenute successivamente fino alla legge di stabilità per 2014, risultano essere: nel 2010 pari a 106,9; nel 2011 pari a 106,905; nel 2012 pari a 107,961; nel 2013 pari a 107,004;
    secondo l'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) nel suo ultimo rapporto «Health statistics 2015», che ha mappato la spesa sanitaria dei 34 Paesi dell'organizzazione e delle economie emergenti, in Italia la spesa sanitaria pubblica e privata si assesta rispetto al prodotto interno lordo su una percentuale nel 2013 pari all'8,8 per cento, mentre quella tedesca all'11 per cento, quella francese al 10,9 per cento, quella greca e portoghese al 9 per cento prodotto interno lordo;
    sempre secondo il rapporto dell'Ocse, «La spesa sanitaria ha continuato a ridursi in Grecia, Italia e Portogallo nel 2013. La maggior parte dei Paesi dell'Unione europea ha riferito la spesa sanitaria pro capite reale al di sotto dei livelli del 2009». Il tutto mentre, al di fuori dell'Europa, la spesa sanitaria è cresciuta di circa il 2,5 per cento l'anno dal 2010. In generale, tra tutti i Paesi in esame la spesa sanitaria è stimata essere aumentata dell'1 per cento in termini reali tra i Paesi Ocse nel 2013, dopo lo 0,7 per cento del 2012 e lo 0 per cento del 2010;
    nonostante una diminuzione dell'investimento in sanità rispetto al prodotto interno lordo, il rapporto dell'Ocse «Reviews of health care quality: Italy 2014» evidenzia come gli indicatori di salute della popolazione italiana siano tra i migliori nell'area Ocse. L'Italia è al quinto posto tra i Paesi Ocse nell'aspettativa di vita alla nascita, 82.3 anni. I tassi di ricovero ospedaliero per asma, malattie polmonari croniche (bronco pneumopatia cronica ostruttiva) sono tra i più bassi dell'area Ocse e quelli di mortalità a seguito di ictus o infarto sono ben al di sotto della media Ocse; l'Italia ha una buona assistenza fornita ad un prezzo contenuto, 3.027 dollari pro capite: l'Italia spende, infatti, molto meno dei Paesi limitrofi, quali Austria (4.593 dollari), Francia (4.121 dollari) e Germania (4.650 dollari). Il sistema delle cure primarie ha tradizionalmente fornito un'assistenza primaria di alta qualità, come dimostrato da indicatori di qualità, come il ricovero ospedaliero evitabile; i livelli di soddisfazione del paziente sono anch'essi alti;
    il rapporto Ocse evidenzia come l'Italia abbia fatto un passo importante verso il maggiore coordinamento e l'integrazione dell'assistenza con la «legge Balduzzi» (legge n. 189 del 2012), che incoraggia la creazione di reti di assistenza territoriale; il personale sanitario offre, nel complesso, un'assistenza di alta qualità; molte sono state le iniziative che a livello nazionale hanno costituito il quadro giuridico attraverso il quale garantire un'assistenza sanitaria di qualità: il Patto per la salute, i livelli essenziali di assistenza, il sistema nazionale di verifica e controllo sull'assistenza sanitaria, il programma nazionale per la promozione permanente della qualità nel Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia italiana del farmaco;
    lo stesso rapporto evidenzia, però, alcune criticità come il fatto che il miglioramento della qualità e la riorganizzazione del sistema hanno assunto un ruolo secondario quando la crisi economica ha iniziato a colpire e il risanamento delle finanze è divenuto priorità assoluta, nonostante i bisogni di salute evolvano rapidamente;
    sempre secondo il rapporto l'Italia deve confrontarsi con un crescente invecchiamento della popolazione ed un aumentato carico delle patologie croniche, che probabilmente si tradurranno in aumentati costi dell'assistenza ed ulteriore pressione sul settore delle cure primarie; attualmente il progresso verso un modello di sistema sanitario in cui la prevenzione e la gestione di tali patologie siano in primo piano è piuttosto lento; i servizi per l'assistenza di comunità, a lungo termine e di prevenzione sono poco sviluppati rispetto agli altri Paesi Ocse (l'Italia spende meno di un decimo di quanto spendono Olanda e Germania per la prevenzione; presenta la più bassa percentuale di operatori per l'assistenza a lungo termine osservabile nei Paesi dell'Ocse, in rapporto alla popolazione con 65 anni di età e oltre);
    più fonti, oltre all'Osce, nonché il comune convincimento che la frammentarietà dei livelli decisionali, a partire dalle regioni, comporta inaccettabili disuguaglianze, fanno sì che le iniziative nazionali volte al miglioramento della qualità dell'assistenza non vengano applicate in maniera omogenea a livello regionale; c’è uno scarso coordinamento da parte delle agenzie centrali delle diverse attività regionali connesse alla qualità; sono poco sviluppate o mancano del tutto alcune strategie chiave relative alla qualità;
    secondo l'Ocse, quindi, l'Italia si trova ad affrontare due sfide principali: la prima è quella di garantire che gli sforzi in atto per contenere la spesa in campo sanitario non vadano a intaccare la qualità quale principio fondamentale di governance; la seconda è quella di sostenere le regioni e province autonome che hanno una infrastruttura più debole, affinché possano erogare servizi di qualità pari alle regioni con le performance migliori. È necessario un approccio più solido e ambizioso al monitoraggio della qualità e al miglioramento a livello di sistema;
    il nuovo Patto per la salute, siglato tra le regioni e lo Stato il 10 luglio 2014 ed inserito per alcune sue parti nella legge di stabilità per il 2015, testimonia l'impegno congiunto di Governo e regioni di attuare importanti e concrete misure di programmazione della spesa sanitaria, con l'obiettivo di razionalizzarla, creando spazi finanziari da reinvestire nel settore della sanità;
    il nuovo Patto considera la salute non più come una fonte di costo, bensì come un investimento economico e sociale, delineando per questo percorsi chiari di interazione con i territori e le altre amministrazioni centrali;
    da ultimo, proprio con l'obiettivo di ridurre ed efficientare la spesa sanitaria, il decreto-legge n. 78 del 2015, «decreto enti locali», ha previsto che con decreto del Ministero della salute, da adottare entro 30 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge, vengono individuate «le condizioni di erogabilità e le indicazioni di appropriatezza prescrittiva delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale». Le prestazioni che non rispettano questi criteri dovranno essere pagate interamente dai cittadini. A controllare saranno gli enti del Servizio sanitario nazionale e, in caso di prescrizioni non conformi alle indicazioni fissate dal Ministero, i medici dovranno risponderne all'azienda sanitaria di riferimento e, se le giustificazioni saranno ritenute insufficienti, subiranno penalizzazioni economiche;
    la bozza di schema del decreto ministeriale individua 208 prestazioni tra odontoiatria, radiologia, laboratorio soggette ai criteri selettivi di erogazione previsti dal decreto-legge n. 78 del 2015;
    è generalmente condivisibile l'obiettivo di assumere il principio di appropriatezza, per cui si sottopone il paziente all'esame o all'intervento giusto per lui, sulla base delle migliori evidenze scientifiche, non di più ma neanche di meno;
    questo obiettivo richiede un cambiamento culturale profondo, lo sviluppo di maggiore collaborazione tra i medici di medicina generale e gli specialisti, un'adeguata informazione alla popolazione, la consapevolezza da parte di tutti che il Servizio sanitario nazionale non ha risorse infinite ed è necessario usarle in modo corretto ed oculato;
    sembra difficile, e non ci sono evidenze scientifiche, sociologiche o pedagogiche in tal senso, ottenere questi risultati usando solo la leva della sanzione,

impegna il Governo:

   al fine di una completa e corretta funzionalità del sistema sanitario nazionale, ad assumere iniziative per aumentare le risorse economiche del fondo sanitario per il 2016 già a partire dal prossimo disegno di legge di stabilità;
   a garantire l'entrata in vigore in tempi rapidi e comunque entro la fine del 2015 dei nuovi livelli essenziali d'assistenza, nonché del nomenclatore tariffario delle protesi e degli ausili;
   a proseguire nell'attuazione del Patto della salute firmato tra le regioni e il Governo nel luglio 2014, anche sollecitando i tavoli di lavoro insediati a portare a termine i compiti loro assegnati;
   a proseguire sulla strada dell'appropriatezza delle prestazioni sanitarie, favorendo il cambiamento culturale, l'aggiornamento dei professionisti, nonché la collaborazione tra medici di famiglia e specialisti, rinviando, dopo un periodo di sperimentazione e di monitoraggio di due anni, la definizione delle misure sanzionatorie nei confronti dei medici che dovessero prescrivere prestazioni inappropriate;
   a predisporre ogni iniziativa atta a sbloccare il turn-over ed a superare il precariato sia nel settore medico che in quello infermieristico.
(1-01013) «Lenzi, Gelli, Miotto, Amato, Argentin, Beni, Capone, Carnevali, D'Incecco, Fossati, Mariano, Murer, Patriarca, Sbrollini».
(13 ottobre 2015)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   DURANTI, MARCON, SCOTTO, PIRAS, RICCIATTI, SANNICANDRO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, MELILLA, PALAZZOTTO, PANNARALE, ZACCAGNINI e ZARATTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   a quanto si apprende da notizie di stampa, con particolare riferimento alla testata Il Sole 24 ore, in questi giorni a Roma è presente Patrick Dewar, executive vicepresident dell'azienda Lockheed Martin, azienda americana attiva nel settore aerospaziale e della difesa;
   Dewar nello specifico parteciperà ad un dibattito «sulle sfide della sicurezza in Europa e nel Mediterraneo», in cui si discuterà, fra le altre, cose delle collaborazioni industriali fra l'Italia e la Lockheed Martin;
   nel corso di un'intervista il dirigente dell'azienda americana ha riferito che l'Italia si è impegnata all'acquisto di 32 F-35, nonostante da fonti ufficiali il nostro Paese risulta aver firmato un contratto di acquisto di soli 8 velivoli;
   il progetto di acquisto degli F-35 da parte dell'Italia prevedeva inizialmente 130 velivoli, successivamente ridotti a 91 con l'intervento dell'allora Ministro della difesa Giampaolo Di Paola. Inoltre con la mozione del 9 settembre 2014 (la n. 1-00586), a prima firma dell'onorevole Scanu, il Governo si è impegnato a riesaminare l'intero programma F-35 con il dimezzamento dei costi dello stesso;
   in applicazione della mozione stessa, i costi del programma dovrebbero scendere quindi dai 13 ai 6,5 miliardi di euro, che consentirebbero al massimo l'acquisto di non oltre una ventina di velivoli oltre i nove già acquisiti;
   nonostante l'approvazione della mozione sopra citata, il Ministero della difesa non ha mai reso noti i dettagli della riduzione dei costi della operazione F-35 e del conseguente ridimensionamento dei futuri ordini di acquisto –:
   se non intenda rendere una relazione dettagliata ed aggiornata, anche alla luce di quanto dichiarato dal vice presidente della Lockheed Martin, circa il programma di acquisizione degli aerei F-35, mantenendo gli impegni presi con l'approvazione della mozione n. 1-00586. (3-01759)
(13 ottobre 2015)

   BUSIN, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 13 giugno 2006, a un cenciaiolo, un commerciante di robivecchi ad Arsiero, nella frazione di Scalini, in provincia di Vicenza, era scattato l'allarme del ditta e, precipitatosi nel vicino deposito, il medesimo commerciante si era trovato davanti due intrusi, due nomadi che si erano introdotti in piena notte per rubare; infatti, i malviventi avevano già riunito la refurtiva, che consisteva in cavi in rame, e mentre gli brandivano contro, con fare minaccioso, delle spranghe, Ermes Mattielli sparò, con la pistola legittimamente detenuta, diversi colpi di arma da fuoco. Ermes fu processato in primo grado ed è stato condannato per lesioni colpose per eccesso di legittima difesa ad un anno di reclusione, pena sospesa, condizionata al pagamento di una provvisionale di 120 mila euro ai nomadi. La sentenza è stata annullata dalla corte d'appello di Venezia, che ha ritenuto invece che il signor Ermes Mattielli sparò, non per un errore di valutazione nell'esercizio di legittima difesa, ma con l'intento di uccidere. Sono stati quindi restituiti gli atti a Vicenza, per elevare l'accusa a duplice tentato omicidio volontario di Blu Helt e Cris Caris (entrambi i rei sono stati condannati a quattro mesi di reclusione). A distanza di nove anni l'odissea giudiziaria del signor Ermes Mattielli, passata dall'accusa di eccesso di legittima difesa a duplice tentato omicidio volontario, non è finita; infatti, il signor Ermes Mattielli è stato condannato dal tribunale di Vicenza a cinque anni e quattro mesi di reclusione ed a risarcire Blu Helt e Cris Caris a 135 mila euro, somma anch'essa dichiarata provvisoriamente esecutiva;
   tutta la famiglia Mattielli sta vivendo ore d'angoscia, stante secondo gli interroganti la palese ingiustizia che sta subendo, per aver difeso in piena notte, dai malviventi, dei beni di sua proprietà; fra i tanti ha avuto anche la solidarietà del benzinaio Graziano Stacchio, anch'esso imputato per eccesso colposo di legittima difesa, che non si capacita di una sentenza che ha condannato Ermes Mattielli ad una pena detentiva e al risarcimento ai malviventi per il danno che loro hanno subito;
   Ermes Mattielli è una persona conosciuta e stimata all'interno della comunità di Arsiero, tanto che sia cittadini che esponenti politici, in una comunione di intenti, si stanno ora mobilitando a favore di una persona che non ha fatto altro che difendere la propria casa e la vita della propria famiglia da una banda di delinquenti che lo volevano rapinare;
   già nell'aprile 2004 la Lega Nord aveva presentato una proposta di legge per modificare le norme in materia di legittima difesa, eccessivamente penalizzanti a fonte dell'aumento e dei sempre più efferati episodi di furti in abitazione e in esercizi commerciali, finché nel 2006, grazie all'impegno sempre del gruppo della Lega Nord, venne approvata la legge n. 59, «Modifica all'articolo 52 del codice penale in materia di diritto all'autotutela in un privato domicilio», che deve essere riconosciuto senza esitazione anche al caso di Ermes Mattielli;
   anche recentemente, come si apprende dalle notizie di stampa, sono in crescita i casi di assoluzione per vicende simili, nei quali i magistrati hanno riconosciuto la legittima difesa e assolto con formula piena chi ha difeso la propria incolumità, quella della famiglia o la propria abitazione nel corso di furti o rapine; ad esempio, il 23 gennaio 2014 è stato, infatti, assolto il commerciante di Caravaggio, in provincia di Bergamo, che aveva sparato dalla finestra di casa per intimidire un ladro di nazionalità romena che aveva tentato di rubare nella sua ditta, uccidendolo;
   a fronte dell’escalation di furti, dell'aumento esponenziale dei reati predatori in generale e del peggioramento della condizioni di sicurezza dei cittadini, anche a causa delle continue politiche di questo Governo che agli interroganti appaiono premiali nei confronti dei criminali, che vanno dai provvedimenti, di fatto, «salva-delinquenti» a provvedimenti di «mini-indulto», dove la persona offesa è stata, man mano, privata di ogni effettiva ed efficace tutela, in controtendenza, il 20 febbraio 2014 il gruppo consiliare della Lega Nord in regione Lombardia ha presentato, e poi all'unanimità è stata approvata, la legge regionale 24 giugno 2015, n. 17, che regola gli interventi per la prevenzione e il contrasto della criminalità organizzata e per la promozione della cultura della legalità, per tutelare i cittadini esasperati che difendono l'incolumità propria o dei familiari da ladri e delinquenti, e fra queste misure è stata prevista l'istituzione di un fondo volto a finanziare le spese per il patrocinio nei procedimenti penali per la difesa dei cittadini accusati di aver commesso un delitto per eccesso colposo in legittima difesa –:
   quali siano gli intendimenti del Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto delle prerogative degli altri soggetti istituzionali coinvolti, con riferimento alle questioni relative alla normativa di cui all'articolo 52 del codice penale, come modificato dalla legge n. 59 del 2006. (3-01760)
(13 ottobre 2015)

   CARFAGNA e BRUNETTA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 14 settembre 2015 a Terzigno (Napoli), Vincenza Avino, 35 anni, è stata uccisa da un proiettile alla schiena da una macchina in corsa, mentre era ferma in auto a bordo strada; a sparare, l'ex compagno della vittima, Nunzio Annunziata, 36 anni, arrestato all'alba seguente, a Poggiomarino, dai carabinieri di Torre Annunziata. L'accusa è di omicidio volontario;
   Nunzio Annunziata era stato arrestato il 10 luglio 2015 per stalking proprio contro la sua compagna, Vincenza. Nell'ordinanza di luglio 2015 si parla non solo di veri e propri «atti persecutori» (quasi tutti i giorni, il giovane seguiva la donna nell'istituto di San Giuseppe Vesuviano, dove lei frequentava un corso serale), ma anche di un lungo elenco di aggressioni e minacce che Vincenza Avino è stata costretta a subire per molto tempo;
   tra gli episodi più gravi di cui si è reso protagonista l'uomo, si ricorda quello della notte del 1o maggio 2015, quando, ubriaco, si è arrampicato fino all'appartamento della donna, al terzo piano, per poi trascinarla sul balcone, cercando di gettarsi nel vuoto insieme a lei;
   una decina di giorni dopo, la donna, ormai sfinita dagli atti persecutori e di violenza, si è recata nella caserma di Terzigno, ma anche lì è stata seguita da Annunziata. I carabinieri, nella relazione di servizio, hanno descritto il ragazzo «molto agitato, con una sudorazione accentuata, che si muoveva in maniera frenetica»;
   l'uomo non è apparso affatto intimorito dalla denuncia, tanto che il 22 giugno 2015 e l'8 luglio 2015, Vincenza Avino si era recata ancora una volta dai carabinieri per segnalare di essere stata nuovamente avvicinata e molestata in vario modo dal suo persecutore, il quale, benché consapevole di essere stato denunciato, sembrava tutt'altro che rassegnato alla separazione, continuando a pedinare l'ex compagna, alternando minacce alle dichiarazioni d'amore e stazionando costantemente sotto la sua abitazione, dove talvolta vi trascorreva l'intera notte dentro l'auto;
   il 9 luglio 2015 il giudice per le indagini preliminari di Nola Martino Aurigemma aveva descritto l'uomo, peraltro pregiudicato per tentata rapina, come una persona che «ha perso ormai qualunque forma di autocontrollo, dimostrando una completa, allarmante, mancanza di freni inibitori», «una personalità violenta e insofferente al rispetto delle regole del vivere civile». Inoltre, il giudice sottolineava che il suo era un comportamento che aveva assunto «i caratteri della vera e propria persecuzione, determinando nella persona offesa un perdurante stato di ansia e paura, inducendola a cambiare le proprie abitudini di vita ed ingenerando in lei un più che giustificato timore per la propria incolumità»;
   il 23 luglio 2015, quando Nunzio Annunziata era agli arresti domiciliari per violenza privata, stalking e violazione di domicilio nei confronti della ex compagna, con un provvedimento di tre cartelle l'ottava sezione penale del tribunale del riesame sostituiva gli arresti con il divieto di avvicinamento a tutti i luoghi abitualmente frequentati dalla vittima, in attesa del processo fissato per il mese di novembre 2015. Secondo il collegio del tribunale del riesame «non si può ritenere che, dagli atti sin qui acquisiti, emerga una personalità così allarmante e incontrollabile dell'indagato da far ritenere del tutto inimmaginabile un suo comportamento collaborativo» e «non vi è ragione per non limitare al minimo i sacrifici imposti all'indagato», applicando una misura che, pur idonea ad evitare altri reati, «sia la meno deteriore per la sua sfera familiare e lavorativa»;
   alla luce degli eventi, si può dedurre che l'unica misura in grado di contenere la violenza di Annunziata sarebbe stata la custodia in carcere, che, peraltro, per il reato di cui all'articolo 612-bis del codice penale («Atti persecutori») continua ad essere applicabile, anche dopo le modifiche introdotte all'articolo 280 del codice di procedura penale dal decreto-legge 1o luglio 2013, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 94;
   quella di Vincenza Avino è, dunque, una tragedia che poteva essere evitata, semplicemente rispettando le norme in vigore;
   tra le inefficienze giudiziarie sul drammatico caso riportato, va segnalato che, proprio in questi giorni, un difetto di notifica ha messo in libertà per pochi secondi Nunzio Annunziata. A bloccare la sua scarcerazione è arrivato un nuovo decreto di fermo emesso dalla procura di Nola, che ha di fatto congelato il ritorno in libertà dell'uomo. Per pochi istanti, quindi, un assassino che ha confessato il suo delitto è stato liberato per una banale, ma pericolosa, dimenticanza: in carcere, però, sono arrivati in contemporanea i due provvedimenti, che hanno lasciato in cella Annunziata. Nella mattinata di lunedì 12 ottobre 2015, infatti, dinnanzi al tribunale del riesame di Napoli era stata fissata l'udienza per discutere della richiesta di annullamento dell'ordinanza: un passaggio «normale», che quasi tutti i legali tentano per ottenere quantomeno il beneficio degli arresti domiciliari per il proprio assistito. Gli uffici giudiziari napoletani hanno, però, prima commesso un errore di notifica e poi sbagliato il calcolo dei giorni per la fissazione dell'udienza. La legge prevede un massimo di 10 giorni – domenica compresa – per fissare l'udienza. E in questo caso, il decimo giorno scadeva proprio di domenica, un giorno festivo in cui non si può celebrare alcun processo. L'errata fissazione al primo giorno feriale – il lunedì – ha di fatto portato all'annullamento «automatico» dell'ordinanza e alla conseguente scarcerazione dell'indagato, a cui si è potuto porre rimedio sono con il nuovo decreto di fermo della procura. Un episodio, quest'ultimo, che non va comunque trascurato e che non può che richiamare con forza la necessità di opportune verifiche sul caso da parte del Ministro interrogato;
   la vicenda di Terzigno, purtroppo, non rappresenta un caso isolato, in particolare negli ultimi tempi. Il 7 ottobre 2015, a Catania, una ragazza di 20 anni è stata uccisa con numerose coltellate dal suo ex fidanzato di 24 anni. Il ragazzo, durante l'interrogatorio, ha insistito nel negare la premeditazione, ribadendo che il movente è da collegare ad un raptus dovuto alla volontà della giovane di non revocare la denuncia per stalking nei suoi confronti, che quel giorno sfociava nella prima udienza per la richiesta di rinvio a giudizio davanti al giudice per le indagini preliminari di Catania;
   un altro dramma ha avuto luogo pochi giorni fa a Momigno, una frazione del comune di Marliana, piccolo centro in provincia di Pistoia, dove un uomo di 34 anni ha inferto una trentina di coltellate all'ex compagna di 25 anni. Anche lei aveva denunciato il giovane per stalking, al punto che questa estate gli era stato vietato di avvicinarsi. La giovane è ora ricoverata in prognosi riservata per un fendente che ha trafitto il polmone, dopo aver subito un lungo e delicato intervento chirurgico;
   alla luce dei casi sopra riportati, risulta fondamentale che la magistratura applichi in maniera adeguata le misure cautelari previste dal codice di procedura penale per questo tipo di reati, come la carcerazione preventiva, con totale rigore e massima severità, al fine di garantire piena tutela per le vittime e di prevenire reati più gravi, come violenze fisiche, stupri e omicidi –:
   se il Ministro interrogato intenda attivare i poteri ispettivi di cui dispone, con particolare riferimento alla vicenda della scarcerazione di Nunzio Annunziata, promuovendo le opportune azioni disciplinari del caso, e se, allo stesso modo, non intenda operare le dovute verifiche di competenza in merito agli ulteriori casi riportati in premessa. (3-01761)
(13 ottobre 2015)

   TAGLIALATELA, RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, GIORGIA MELONI, NASTRI e TOTARO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 7 ottobre 2015 nel comune di Ercolano, in provincia di Napoli, si è verificato un grave episodio di cronaca nera, quando un gioielliere, che aveva appena subito un tentativo di rapina, ha aperto il fuoco contro i due malviventi autori del tentato furto, uccidendoli;
   stando alle prime ricostruzioni degli investigatori, l'uomo è stato seguito dalla banca, dove poco prima aveva prelevato la somma di circa cinquemila euro, fino ad un negozio di bibite e detersivi di proprietà di alcuni amici, dove si è poi consumata l'aggressione;
   il gioielliere, un sessantottenne di Ercolano, è ora indagato per eccesso colposo di legittima difesa, ma ha sostenuto di aver sparato perché sentitosi in pericolo di vita;
   come riportato dai mezzi d'informazione i due rapinatori, Bruno Petrone e Luigi Tedeschi, avevano precedenti penali specifici, e pertanto appare quanto meno anomalo che fossero a piede libero, piuttosto che essere sottoposti a misure restrittive;
   nei giorni successivi al fatto sia il gioielliere che il proprietario del negozio dove si è verificato il tentativo di rapina hanno subito minacce da parte dei parenti dei due rapinatori uccisi, avvenute anche pubblicamente attraverso interviste televisive rilasciate a televisioni nazionali –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare con riferimento ai gravi fatti esposti in premessa, valutando anche la sussistenza dei presupposti per l'adozione di iniziative ispettive. (3-01762)
(13 ottobre 2015)

   CATALANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   come documentato anche dalla stampa di settore (ex pluribus, Trasporti-Italia del 23 settembre 2015), la Banca del Mezzogiorno-Mediocredito centrale, mandataria del gestore Rti, ha specificato, tramite apposita circolare n. 14 del 21 settembre 2015, che, a causa dell'esaurimento delle risorse disponibili, è sospesa l'operatività della sezione speciale per l'autotrasporto istituita con decreto del 27 luglio 2009 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e con il Ministero dello sviluppo economico, e successive modifiche e integrazioni;
   il fondo di garanzia ha rappresentato un sostegno importante per le imprese di un settore, che, oltre a essere gravato da profondi problemi strutturali, sconta oggi il prezzo della crisi e la forte concorrenza proveniente dall'Europa orientale;
   come denuncia Confartigianato trasporti, «nel primo semestre del 2015 l'autotrasporto merci ha usufruito di circa 10 milioni di euro di garanzia dallo Stato che hanno in pratica permesso di realizzare circa 180 milioni di euro di investimenti (...) Il venire meno di queste risorse significa ridurre la capacità di sfruttare appieno la ripresa economica»;
   quanto ai citati problemi strutturali, gli attuali finanziamenti all'autotrasporto non risultano ancora vincolati in modo soddisfacente all'incentivazione, all'ammodernamento tecnologico e ambientale o all'efficientamento delle filiere logistiche, così favorendo una modalità di trasporto foriera di importanti esternalità negative a scapito dell'innovazione tecnologica e dell'ammodernamento;
   con l'ordine del giorno n. 9/02679-bis-A/005 alla legge di stabilità per il 2015, il Governo ha accolto come raccomandazione la proposta di valutare l'opportunità, al fine di favorire la competitività e di razionalizzare il sistema del trasporto merci, di prevedere la ripartizione delle risorse destinate all'autotrasporto, e più in generale di tutte le risorse destinate al trasporto merci e alla logistica, tra le sole imprese che pongano in essere iniziative dirette a realizzare: l'aggregazione in rete delle aziende (...), la condivisione della flotta, l'utilizzo di sistemi informatici, telematici per la razionalizzazione del trasporto, l'acquisto di unità di carico, quali casse mobili, container e micro unità atte alla distribuzione urbana delle merci, la dotazione di sistemi integrati a bordo camion, la riduzione dei costi esterni ambientali –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative per porre in essere un intervento organico sull'autotrasporto, reperendo ulteriori risorse per garantire l'operatività del fondo nel settore, eventualmente elevando il plafond destinato all'autotrasporto con connessa diminuzione di quelli destinati ad altri settori con più ridotta domanda di accesso al fondo e prevedendo che la distribuzione delle risorse avvenga in forma di incentivi e non di sussidi, come da predetto ordine del giorno, e senza l'intermediazione delle associazioni di rappresentanza. (3-01763)
(13 ottobre 2015)

   SPESSOTTO, DELL'ORCO, LIUZZI, CARINELLI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   un rilevante articolo, apparso sulla stampa e intitolato «Pignorati i conti del Ministero di Lupi», riporta la preoccupante notizia per cui, a partire dal 14 gennaio 2015, sarebbe stato disposto il blocco giudiziario dei conti correnti appartenenti al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   la procedura giudiziaria avviata nei confronti dei conti correnti del dicastero trae le sue origini dal piano di ricostruzione post-bellica della città di Ancona, affidato in concessione all’Adriatica costruzioni srl dell'imprenditore marchigiano Edoardo Longarini;
   con decreto del Ministro dei lavori pubblici del 7 ottobre 1992 fu disposto l'annullamento nei confronti del gruppo di Longarini di tutti i rapporti concessori per i lavori relativi ai lotti di piani di ricostruzione della città di Ancona;
   a seguito dell'impugnazione degli atti di annullamento da parte del gruppo Longarini, la corte di appello di Roma, con sentenza depositata l'8 luglio 2014, si è espressa nel procedimento promosso per la quantificazione dei danni a favore di Edoardo Longarini, il quale ha richiesto al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un indennizzo di 1,2 miliardi di euro per gli appalti revocategli e che egli stesso ha sempre rivendicato;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, tramite l'Avvocatura generale dello Stato, ha quindi presentato un ricorso in Corte di cassazione contro l'esecuzione della sentenza della corte d'appello di Roma e del lodo arbitrale a favore di Longarini per chiedere «la sospensione dell'efficacia esecutiva e dell'esecuzione della sentenza della corte d'appello di Roma, nonché dei lodi arbitrali definitivo e non definitivo»;
   nel ricorso si lamenta che «dall'esecuzione del lodo e della menzionata sentenza deriva un danno grave e irreparabile per il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in quanto l'enorme importo della pronuncia di condanna, da valutare anche alla luce dell'attuale contingenza economica, caratterizzata dalla drastica riduzione delle disponibilità finanziarie di pertinenza del Ministero, rischierebbe di paralizzare l'esecuzione di opere pubbliche di rilevante interesse strategico nazionale, come rappresentato dal Ministero, e determinerebbe la perdita di circa 40 mila posti di lavoro»;
   per quanto di conoscenza degli interroganti, in base alle notizie di cronaca apparse sulla stampa, si apprende che, a seguito della notifica di un atto di pignoramento di rilevante importo, le disponibilità economiche esistenti sui conti correnti riferiti al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sarebbero state bloccate, dalle piccole spese d'amministrazione ai finanziamenti ai trasporti o addirittura ai cantieri in tutta Italia;
   tra i conti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sottoposti a pignoramento compare anche il conto di tesoreria centrale, sul quale erano disponibili le risorse anche per i lavori di completamento della variante alla strada provinciale n. 14 – circonvallazione al centro di Bojon, le cui procedure di affidamento dei lavori sono state conseguentemente interrotte;
   il Parlamento ha di recente approvato il disegno di legge di assestamento dello Stato per il 2015, il cui stato di previsione per il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di cui alla legge di bilancio, reca una previsione di spesa complessiva di competenza pari a 13.260,432 milioni di euro –:
   se quanto riportato in premessa corrispondesse al vero, attraverso quali risorse intenda far fronte al pagamento del credito per il quale si è proceduto al pignoramento, evidenziando nel dettaglio le eventuali riduzioni di autorizzazioni di spesa con indicazione delle missioni, programmi e capitoli oggetto delle suddette riduzioni. (3-01764)
(13 ottobre 2015)

   FAUTTILLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 7 novembre 2014 è stata sottoscritta la convenzione di concessione tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la società di progetto «Autostrada Ragusa-Catania», costituita da un'associazione di imprese composta da Silec spa, Mec spa, Egis projects sa, Tecnis spa, aggiudicataria della realizzazione del raddoppio del collegamento Catania-Ragusa compreso tra lo svincolo della strada statale n. 514 con la strada statale n. 115 e lo svincolo della strada statale n. 194 «Ragusana» con la strada statale n. 114;
   la convenzione prevede trentanove anni di concessione, di cui quattro e mezzo per la realizzazione di un collegamento di 68 chilometri tra il territorio di Ragusa e la futura autostrada Catania-Siracusa nel comune di Augusta. L'autostrada include 19 viadotti, 8 gallerie e 11 svincoli a livelli sfalsati;
   il raddoppio del collegamento stradale Catania-Ragusa (strada statale n. 514) costituisce un'opera importante e fortemente strategica per lo sviluppo del distretto sud-est della Sicilia e la sua mancata realizzazione avrebbe pesanti ricadute negative sull'economia della zona e della Sicilia tutta;
   senza tener conto di ciò, quest'opera viaria, unitamente ad altre, fra le quali l'autostrada Roma-Latina, collegamento strategico per la realizzazione del corridoio tirrenico meridionale, oggetto di un precedente atto di sindacato ispettivo dell'interrogante (l'interrogazione a risposta orale n. 3-01272 del 5 febbraio 2015), non è rientrata fra quelle inserite nel piano infrastrutture strategiche, contenuto nell'allegato infrastrutture al documento di economia e finanza, presentato il 10 aprile 2015 dal Governo;
   tali clamorose esclusioni sono il risultato di un deciso cambio di passo nel modello di realizzazione delle opere pubbliche, che ha visto l'archiviazione del primato della «legge obiettivo» e la drastica riduzione dell'elenco delle opere considerate strategiche;
   in merito alla Catania-Ragusa, così come all'autostrada Roma-Latina, in relazione alla quale si era già espresso in senso positivo il Ministro pro tempore Lupi in risposta all'atto di sindacato ispettivo sopra citato, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha recentemente precisato che «la loro esclusione (dall'allegato infrastrutture) non significa rinunciare alla loro realizzazione» e non saranno, dunque, accantonate;
   allo stato attuale la convenzione sopra citata non risulterebbe, tuttavia, ancora efficace a causa della mancata firma del decreto interministeriale di approvazione della medesima da parte del Ministero dell'economia e finanze e la sua successiva registrazione da parte della Corte dei conti;
   come segnalato in più occasioni dal «Comitato ristretto per la realizzazione del raddoppio della Catania-Ragusa», associazione di amministratori locali, imprenditori e cittadini, che da più di un decennio sta monitorando il lungo iter che dal bando di gara ha portato alla stipula della convenzione, sono forti le preoccupazioni del territorio e delle popolazioni interessate per la lentezza con la quale si sta procedendo all'espletamento della procedura per la realizzazione del raddoppio della strada statale n. 514 –:
   quali siano i motivi di tale ritardo e quali iniziative intenda adottare per velocizzare l’iter di approvazione della convenzione di concessione tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la società di progetto «Autostrada Ragusa-Catania». (3-01765)
(13 ottobre 2015)

   TINO IANNUZZI, OLIVERIO, TARTAGLIONE, MAGORNO, COVELLO, CAPOZZOLO, BATTAGLIA, CUOMO, FAMIGLIETTI, IMPEGNO, PARIS, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la modernizzazione dell'asse ferroviario Salerno-Battipaglia-Paola-Reggio Calabria e verso la Sicilia costituisce una priorità di assoluta valenza nazionale nella politica infrastrutturale e dei trasporti non solo del Mezzogiorno, ma di tutto il Paese;
   è indubbia e ben risalente negli anni la situazione di forte ed inaccettabile arretratezza dell'attuale sistema ferroviario meridionale, con tempi di percorrenza lunghissimi e di obiettivo e pesante ostacolo alle attività economiche;
   il potenziamento infrastrutturale e la velocizzazione di tale linea sono fondamentali e quanto mai urgenti per l'intero sistema dei collegamenti nazionali, per lo sviluppo delle attività economiche e produttive nel Meridione, per i processi di mobilità e per le stesse condizioni di vivibilità delle comunità meridionali;
   sono da anni previsti lavori di adeguamento e potenziamento della linea ferroviaria esistente per accrescerne gli standard prestazionali e tecnologici; gli interventi progettati comprendono la dotazione tecnologica uniforme e di alta qualità sull'intera linea; l'adeguamento di alcune gallerie; la velocizzazione degli itinerari di stazione; la realizzazione di nuove «sottostazioni» elettriche ed il rafforzamento di quelle esistenti; la costruzione di nuovi impianti di stazione;
   tali interventi consentiranno di eliminare alcune limitazioni di velocità in diversi punti della linea, rendendo così possibile un aumento consistente della velocità su queste tratte, sino a raggiungere i 200 chilometri orari; essi hanno un costo complessivo di circa 270 milioni di euro, già finanziati con il contratto di programma fra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Rete ferroviaria italiana s.p.a.;
   vi sono, tuttavia, tratte nelle quali l'andamento tortuoso del tracciato attuale e la situazione dei luoghi impongono non già solamente interventi di impiantistica e di adeguamento tecnologico, ma opere nuove e consistenti, al fine di rendere possibile un significativo ed indispensabile incremento della velocità della circolazione ferroviaria;
   in particolare, nell'ambito delle opere di carattere strutturale lungo questo asse ferroviario, è necessaria la realizzazione una variante di tracciato fra Ogliastro e Sapri, con una spesa di circa 3,7 miliardi di euro, allo stato da finanziare integralmente;
   tutti questi lavori, differenti ma strettamente collegati in un progetto più generale ed unitario, sono assolutamente necessari ed urgenti per velocizzare finalmente l'intera linea da Salerno a Reggio Calabria –:
   quali iniziative e quali provvedimenti il Governo intenda con sollecitudine adottare per il potenziamento infrastrutturale e tecnologico dell'asse ferroviario Salerno-Battipaglia-Paola-Reggio Calabria, sia con la rapida esecuzione sulla linea esistente dei lavori già progettati e finanziati di adeguamento tecnico e come tali da concludere con massima rapidità, sia con il finanziamento e la costruzione di quella variante di tracciato verso Sapri e di quegli interventi strutturali necessari per la velocizzazione di tutta la linea, consentendo così la circolazione del cosiddetto treno veloce capace di raggiungere i 200 chilometri orari e di assicurare un collegamento ferroviario assolutamente prioritario ed urgente. (3-01766)
(13 ottobre 2015)

   FAVA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore Enrico Letta, con decreto del 15 aprile 2013, ha posto in liquidazione la società per azioni Stretto di Messina spa;
   il Ministro dell'interno Angelino Alfano ha recentemente e pubblicamente annunciato la volontà di riprendere in considerazione la progettazione del ponte sullo Stretto di Messina, chiedendo al Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi la definizione di un calendario preciso di realizzazione dell'opera entro il 2018;
   in una mozione, a prima firma dell'onorevole Dorina Bianchi e approvata il 29 settembre 2015 con parere favorevole del Governo, si impegna il Governo «a valutare l'opportunità di una riconsiderazione del progetto del ponte sullo Stretto di Messina (...) quale possibile elemento di una strategia di riammagliatura del sistema infrastrutturale del Mezzogiorno»;
   tutto ciò senza che le gravi carenze di fattibilità e di sostenibilità economica siano mai state riconsiderate in una sede tecnica o istituzionale;
   il progetto definitivo del ponte sullo Stretto di Messina aveva già palesato significative carenze tecniche, al punto da essere sottoposto a ben 223 richieste di integrazioni da parte della commissione speciale di valutazione di impatto ambientale a cui la Stretto di Messina spa e il general contractor Eurolink, capeggiato da Impregilo, non avevano mai risposto conclusivamente;
   non è mai stato individuato, nonostante i ripetuti annunci e road show in Italia e all'estero, alcun partner privato disponibile a finanziare con propria quota un'opera il cui costo previsto era lievitato (dati di due anni fa) a 8,5 miliardi di euro, più del doppio di quello con cui il general contractor Eurolink aveva vinto la gara;
   sono stati già spesi 383 milioni di euro per il progetto e per il mantenimento della Stretto di Messina spa;
   l'insostenibilità economica del progetto è stata definitivamente dimostrata dagli studi degli advisor internazionali, che hanno stimato, nelle condizioni ottimali, un traffico automobilistico a regime – entro 25 anni dalla conclusione dell'opera – non superiore all'11 per cento della capacità complessiva del ponte, ovvero 11,6 milioni di auto l'anno, a fronte, appunto, di una capacità complessiva teorica dell'opera di 105 milioni di auto l'anno nelle due direzioni;
   l'insostenibilità dal punto di vista tecnico è stata sottolineata da molti recenti e accreditati studi che considerano un azzardo costruire un manufatto ad un'unica campata di 3.300 metri lunghezza a doppio impalcato stradale e ferroviario, sorretto da torri di circa 400 metri di altezza in una delle zone a più elevato rischio sismico del mondo;
   l'inutilità dal punto di vista infrastrutturale è conseguenza dell'estrema fragilità della rete di trasporti su rotaia a sud di Salerno, con la realistica previsione di poter ridurre non più del 10 per cento i tempi di percorrenza ferroviaria da Roma alla Sicilia nel caso di costruzione del ponte –:
   alla luce delle recenti affermazioni espresse e delle pubbliche posizioni assunte, quale sia l'orientamento del Ministro interrogato sull'ipotesi di riattivazione del progetto per il ponte sullo Stretto di Messina. (3-01767)
(13 ottobre 2015)

   GAROFALO, PISO e CAUSIN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse su vari organi di informazione risulta che regioni ed enti locali sarebbero interessati all'acquisizione di alcuni tratti autostradali, in particolare nel Nord Italia;
   ci si riferisce, nello specifico alla A22-Autostrada del Brennero ed alle Autovie venete spa (Autostrada A4 nel tratto Venezia-Trieste; A23 Palmanova-Udine; A28 Portogruaro-Pordenone-Conegliano; A34 raccordo Villesse-Gorizia);
   la notizia, se confermata, sarebbe in netta contraddizione con quanto sta avvenendo in molti settori del sistema economico e produttivo del Paese, come dimostrano anche operazioni di questi giorni;
   dopo la deliberazione da parte del Consiglio dei ministri di cedere il 49 per cento di Enav, è in corso la cessione di un'importante partecipazione dello Stato in Poste italiane spa e analoghe cessioni sono previste per quote di Enel e di Eni;
   in un quadro di compatibilità con la normativa comunitaria e con un'azione programmatica del Governo tesa a modernizzare e liberalizzare l'economia, notizie come quelle riportate in premessa creano sconcerto e preoccupazione nel Paese e tra gli operatori economici;
   lo Stato (fatto salvo l'esercizio di poteri speciali nei settori strategici) intende, peraltro, operare sulla via delle liberalizzazioni di settori importanti dell'economia e dell'assetto industriale al fine di assicurare servizi più efficienti e vantaggi di carattere economico agli utenti ed al Paese, nel quadro di una trasparente e ordinata concorrenza –:
   quali siano gli orientamenti del Governo su tali interventi che, qualora fossero confermate le notizie riportate in premessa, risultano in contraddizione con le linee programmatiche dell'Esecutivo in materia. (3-01768)
(13 ottobre 2015)

Per tornare alla pagina di provenienza azionare il tasto BACK del browser