TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 507 di Mercoledì 21 ottobre 2015

 
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MOZIONI IN MATERIA DI AUTORIZZAZIONE ALLA COMMERCIALIZZAZIONE E ALL'UTILIZZO DEI PRODOTTI FITOSANITARI

  La Camera,
   premesso che:
    da alcuni anni la direzione generale igiene e sicurezza degli alimenti e nutrizione del Ministero della salute autorizza, in «situazioni di emergenza sanitaria», alcuni prodotti fitosanitari in virtù dell'articolo 53 del regolamento (CE) 1107/2009; negli ultimi anni, il ricorso a questa procedura di autorizzazione speciale in Italia è stato esponenziale: secondo quanto indicato sul sito del Ministero della salute sono 31 le istanze di «autorizzazioni eccezionali», ma in alcuni casi si vedono reiterare, di anno in anno, le stesse richieste per gli stessi prodotti, le stesse patologie e le stesse colture; i prodotti fitosanitari autorizzati in deroga sarebbero stati 41 nell'anno 2012, 60 nell'anno 2013 e 75 nell'anno 2014;
    la maggior parte di queste sostanze attive non sono più o non sono ancora autorizzate dall'Unione europea (ad esempio, 1,3 dicloropropene; chloropicrin; pretilachlor; propanil; propargite; quinclorac; terbacil) e il meccanismo dell’«autorizzazione eccezionale» consente di non effettuare l’iter previsto dal sistema autorizzativo, che prevede, fra l'altro, la verifica dell'impatto (ambientale e sulla salute), non essendo, le richieste, corredate della documentazione necessaria a tali scopi, come previsto nelle autorizzazioni all'immissione in commercio dai prodotti;
    le autorizzazioni eccezionali sono utilizzate, in particolare, per fitosanitari che nelle schede di sicurezza indicano principi attivi con classi di rischio nocive e tossiche per l'uomo e l'ambiente, tanto è vero che la maggior parte di questi non ha superato le procedure di autorizzazione europee; tale rischio, molto spesso, è più che ridimensionato nelle etichette approvate con i decreti dirigenziali;
    l'interrogazione n. 4-04948, ancora in attesa di risposta, riporta alcuni esempi di prodotti fitosanitari autorizzati; il regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 ottobre 2009, all'articolo 30, comma 1, indica che «uno Stato membro può dare un'autorizzazione provvisoria se la Commissione non è giunta a una decisione entro 30 mesi dalla accettazione dell'applicazione – l'autorizzazione provvisoria ha validità per tre anni»;
    a parere dei firmatari del presente atto d'indirizzo, i decreti non appaiono quindi conformi alla legge n. 150 del 2012; inoltre, l'articolo 30 del regolamento (CE) n. 1107/2009 è stato di fatto stravolto, visto che le autorizzazioni eccezionali si sono perpetuate ben oltre i 3 anni previsti; appare inoltre scorretto il reiterarsi annuale dell'emergenza che, diventando prassi, perde di fatto la sua caratteristica fondante, come pure rischia di diventare un abuso il ricorso, anno dopo anno, all'articolo 53 del regolamento (CE) n. 1107/2009, relativo a «situazioni di emergenza fito-sanitaria»;
    con l'interrogazione n. 4-05032 sono stati interrogati, senza ancora riceverne risposta, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali in merito alle carenze riscontrate nella normativa di recepimento della direttiva n. 2009/128/CE, sia il decreto legislativo che il piano d'azione, in particolare sui troppi rinvii a decreti attuativi che tale impianto normativo prevede, sull'inconsistenza dell'impianto sanzionatorio e delle misure previste dalla lotta integrata obbligatoria, sulla mancata individuazione degli obiettivi, sulle azioni di tutela dell'ambiente acquatico e delle fonti di approvvigionamento di acqua potabile da applicare in campo agricolo;
    per alcuni decreti attuativi e per alcune misure risulta sia scaduto il termine previsto, in particolare: l'articolo 25, comma 3, del decreto legislativo n. 150 del 2012, che prevede un decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali da emanarsi entro il 12 agosto 2014, con cui determinare le tariffe ed il relativo versamento per i controlli delle attrezzature di applicazione dei prodotti fitosanitari; l'articolo 10, comma 4, del decreto legislativo n. 150 del 2012, che prevede un decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, da emanarsi entro il 26 novembre 2013, per adottare specifiche disposizioni per l'individuazione dei prodotti fitosanitari destinati ad utilizzatori non professionali; il paragrafo A.3.10 del piano di azione nazionale, che preveda un decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, da emanarsi entro 6 mesi dall'approvazione del piano di azione nazionale, per la costituzione di una banca dati nazionale relativa ai controlli effettuati sulle macchine di distribuzione dei fitofarmaci ed il ruolo di Enama, organismo di supporto al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali; l'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 150 del 2012, che prevede, entro il 30 aprile 2013, la trasmissione al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali delle misure messe in atto dalle regioni e dalle province autonome, per rendere possibile l'applicazione dei principi generali della difesa integrata obbligatoria; l'articolo 19, comma 7, del decreto legislativo n. 150 del 2012, che prevede, entro il 30 giugno 2013, la trasmissione del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali alla Commissione europea di una relazione sullo stato di attuazione delle misure messe in atto dalle regioni per rendere possibile l'applicazione dei principi generali della difesa integrata obbligatoria; l'articolo 16, comma 1, del decreto legislativo n. 150 del 2012, che prevede, entro il 30 ottobre 2012, la trasmissione delle regioni al Ministero della salute ed al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali dell'elenco dei soggetti autorizzati alla vendita di prodotti fitosanitari;
    fa seguito a questi atti e misure una serie di altre questioni che il piano di azione nazionale affida ad ulteriori decreti attuativi, da emanare entro 1 anno dall'entrata in vigore dello stesso, quindi entro il 13 febbraio 2015. Tra questi, la messa a disposizione per le regioni delle informazioni più rilevanti sulla tossicità, ecotossicità, il destino ambientale e gli aspetti fitosanitari dei prodotti in commercio;
    all'articolo 14 del decreto legislativo n. 150 del 2012 si specifica che il piano di azione nazionale definisce le misure appropriate per la tutela dell'ambiente acquatico e delle fonti di approvvigionamento di acqua potabile dall'impatto dei prodotti fitosanitari e che le regioni assicurano l'attuazione delle misure previste dal piano, informando ogni anno il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministero della salute sulle misure adottate. A questo proposito, la Commissione europea, nella riunione bilaterale del 24 settembre 2013, ha chiesto all'Italia la precisa definizione delle misure da applicare in campo agricolo per la tutela delle acque;
    al paragrafo A5 del piano di azione nazionale, riferito agli articoli 14 e 15 del decreto legislativo n. 150 del 2012, si stabilisce che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ed il Ministero della salute, su proposta del consiglio, entro 12 mesi dall'entrata in vigore del piano, predispongano linee guida di indirizzo per la tutela dell'ambiente acquatico e dell'acqua potabile e per la riduzione dell'uso di prodotti fitosanitari e dei relativi rischi in aree specifiche;
    oltre a quanto innanzi citato, altre misure e decreti attuativi dovranno far seguito al piano di azione nazionale, per i quali tuttavia non è stato definito un termine temporale, come, ad esempio, le misure per disciplinare la vendita di prodotti fitosanitari on line;
    l'articolo 24 del decreto legislativo n. 150 del 2012, infine, stabilisce le sanzioni per la mancata applicazione delle prescrizioni stabilite dal decreto stesso. Tuttavia, risulta evidente che la maggior parte delle sanzioni interessa la parte della distribuzione e della formazione professionale, trascurando, ad esempio, quelle relative all'articolo 11 su informazione e sensibilizzazione, all'articolo 14 sulla tutela dell'ambiente acquatico e delle acque potabili, all'articolo 15 sulla tutela delle aree specifiche, all'articolo 17 sulla manipolazione e stoccaggio dei prodotti fitosanitari e trattamento dei relativi imballaggi e delle rimanenze, ma soprattutto all'articolo 19 in merito all'applicazione dei principi generali della difesa integrata obbligatoria, di cui all'allegato III del decreto legislativo n. 150 del 2012, argomento principale della norma;
    in alcune regioni d'Italia (Veneto, Piemonte, Lombardia) i prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro vengono autorizzati ininterrottamente dal 2008 anno dopo anno per l'irrorazione aerea, nonostante l'articolo 9 della direttiva 2009/128/CE, recepita in Italia con il decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, lo vieti e limiti la deroga solo in condizioni estremamente circoscritte e controllate, per esempio nel caso in cui non ci fossero alternative praticabili rispetto all'uso degli elicotteri oppure in caso di evidenti vantaggi per la salute umana e l'ambiente rispetto all'applicazione dei fitosanitari da terra;
    le autorizzazioni speciali annuali fanno riferimento al regolamento (CE) n. 1107/2009, che all'articolo 53, «situazioni di emergenza fitosanitaria», recita: «In deroga all'articolo 28, in circostanze particolari uno Stato membro può autorizzare, per non oltre centoventi giorni, l'immissione sul mercato di prodotti fitosanitari per un uso limitato e controllato, ove tale provvedimento appaia necessario a causa di un pericolo che non può essere contenuto in alcun altro modo ragionevole»; a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo le deroghe si ispirano impropriamente a tale regolamento, in quanto non sussisterebbero né tale emergenza fitosanitaria, né la necessità, dimostrata, del provvedimento di autorizzazione «a causa di un pericolo che non può essere contenuto in alcun altro modo ragionevole»;
    la normativa vigente, tra cui il piano d'azione nazionale, indica una serie di misure di gestione dei rischi che i soggetti autorizzati e le autorità competenti devono attuare a tutela dell'ambiente e della popolazione, come, per esempio, l'obbligo di avviso preventivo dei residenti e le prescrizioni per la riduzione dell'effetto deriva; il piano d'azione nazionale esclude l'utilizzo di prodotti fitosanitari classificati tossici e molto tossici che riportano in etichetta determinate frasi di rischio, presenti anche nei prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro; inoltre non si ravviserebbero gli estremi di pericolo non contenibile in altri modi ragionevoli, così come indicati nella norma in parola;
    con l'interrogazione n. 4-04886, ancora in attesa di risposta, si portava a conoscenza del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, del Ministro della salute e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la situazione della provincia di Treviso, dimostrando l'assenza delle condizioni che giustificherebbero la deroga, in quanto vi sarebbero alternative praticabili, rispetto all'uso degli elicotteri, e inoltre l'irrorazione aerea non comporterebbe alcun vantaggio per la salute umana e l'ambiente, rispetto all'applicazione dei fitosanitari da terra;
    l'utilizzo del mezzo aereo sarebbe giustificato dal fatto che la pendenza delle colline non consentirebbe i trattamenti da terra; ciononostante avvengono regolarmente (in stagione) tutti i trattamenti da terra raccomandati con cadenza quindicinale, come, per esempio, gli interventi antiperonosporici o acaricidi e la raccolta; l'irrorazione aerea sarebbe quindi l'alternativa praticabile, facendo quindi decadere la condizione che giustifica la deroga; a dimostrazione che le alternative sono possibili, 9 dei 15 comuni del consorzio docg Prosecco hanno vietato i trattamenti aerei sull'intera area comunale;
    nella provincia di Treviso, in alcuni comuni del consorzio docg Prosecco, zona nella quale avvengono spesso le irrorazioni aeree in deroga, le case, le scuole, gli orti privati, le strade sono confinanti con i vigneti e pare che siano molte le segnalazioni di residenti e turisti che lamentano di essere stati «irrorati» insieme ai vigneti, di non essere stati avvisati preventivamente e di non essere mai stati informati del tempo di carenza di 48 ore, prima di poter accedere alla zona irrorata dall'elicottero; inoltre, nelle aree trattate non è mai stata posta adeguata e visibile segnalazione, così come previsto dal punto A.5.6 del piano d'azione nazionale;
    considerando che la deriva della nuvola irrorata dai trattamenti a terra non è controllabile, a maggior ragione la deriva risulta ancor più incontrollabile, quando l'irrorazione avviene a 40 e più metri da terra e con correnti d'aria non misurabili; l'irrorazione aerea amplifica i rischi per la salute umana e per l'ambiente, in quanto le irrorazioni dall'elicottero ovviamente sono molto più invasive; la deriva dell'elicottero si estende oltre i limiti del vigneto trattato; grazie all'azione del vento le gocce più piccole vengono trasportate molto più lontano; quindi, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'irrorazione aerea non può rappresentare alcun vantaggio per la salute umana e per l'ambiente rispetto all'applicazione di pesticidi a terra, facendo decadere la condizione che giustifica la deroga;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo appare estremamente difficoltoso il rispetto delle prescrizioni specifiche di cui all'articolo A.4.5 del piano d'azione nazionale, soprattutto per quanto riguarda il controllo del diametro medio delle gocce delle miscele irrorate e l'applicazione della scala di Beaufort, essendo prevista per misurazioni in pianura e non per le misurazioni in collina;
    i due prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro hanno una composizione che è nota solo in parte: 1'85 per cento dell’Aviozolfo e il 20 per cento dell’Aviocaffaro; le percentuali sconosciute sono coformulanti, che la dottoressa Maristella Rubbiani dell'Istituto superiore di sanità definisce come «spesso più pericolosi dei principi attivi»; entrambe i prodotti hanno frasi di rischio vietate dal piano d'azione nazionale;
    con l'interrogazione n. 4-05099, in attesa di risposta, si portava a conoscenza del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, del Ministro della salute e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un'iniziativa dell'associazione Wwf AltaMarca, che ha proposto ai cittadini dei comuni dell'area docg Prosecco Conegliano Valdobbiadene di chiedere ai propri sindaci i dati relativi agli erbicidi utilizzati nelle aree urbane; dalle risposte ottenute dalle amministrazioni risulta che, come documentato nell'interrogazione citata, alcuni comuni abbiano utilizzato prodotti che il piano d'azione nazionale vieta all'articolo A.5.6.1; lo stesso articolo prevede, inoltre, nelle zone frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili, il divieto dei trattamenti diserbanti, da sostituire con metodi alternativi;
    inoltre, al punto A.5.6 vengono indicate le misure obbligatorie per i trattamenti eseguiti in aree agricole in prossimità di aree frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili; in particolare, si indica la distanza minima da tali aree, 30 metri, e le caratteristiche dei prodotti che possono essere utilizzati;
    in alcuni comuni dell'area docg Prosecco Conegliano Valdobbiadene, come, per esempio, il comune di Farra di Soligo, le abitazioni sono confinanti con i vigneti irrorati con erbicidi e fungicidi vietati dal piano d'azione nazionale; anche il traffico pedonale e automobilistico è a diretto contatto con i vigneti irrorati; trattasi, quindi, di zone costantemente frequentate dalla popolazione e gruppi vulnerabili, come citati nel piano d'azione nazionale all'articolo A.5.6; allo stesso articolo vengono indicate le suddette misure per la riduzione dei rischi derivanti dall'impiego dei prodotti fitosanitari nelle aree frequentate dalla popolazione o gruppi vulnerabili, conferendo alle autorità locali competenti il potere di determinare misure più restrittive;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo è evidente la mancanza di un controllo e di relative sanzioni efficaci sulle aree nelle quali il mezzo chimico può essere usato, che garantisca il rispetto della normativa vigente a tutela della salute dei cittadini e del loro ambiente; peraltro, l'estrema vicinanza uomo-vigneti, di fatto, annulla la distinzione tra ambiente urbano e ambiente agricolo, che il piano d'azione nazionale distingue; trattasi, infatti, di un unico ambiente nel quale le due entità coesistono, richiedendo, per questo, attenzioni particolari che, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, si traducono nell'utilizzo di mezzi non chimici e controllo biologico; anche a livello terminologico manca un'adeguata definizione degli ambienti in cui è assente il confine agricolo/urbano; per esempio, non è chiaro se i casi di vigneti a ridosso delle abitazioni siano da considerarsi ambiente urbano o agricolo; è altresì necessario definire in modo univoco chi siano concretamente le autorità locali competenti dovranno disporre del personale e dei mezzi di controllo del territorio; il cittadino infatti ha necessità di rivolgersi ad un'unica autorità ben definita, per sollecitare controlli puntuali ed eventualmente per segnalare infrazioni alla normativa vigente, con la certezza di avere risposte certe ed adeguate;
    il piano d'azione nazionale, nell'indicare i divieti o le prescrizioni, fa più volte riferimento alle frasi di rischio indicate in etichetta, per esempio agli articoli A.5.6, A.5.6.1 e A.5.6.2; anche le autorizzazioni in deroga dei prodotti fitosanitari, disposte dall'articolo 53 del regolamento (CE) 1107/2009, fanno riferimento alle etichette dei prodotti, che si trovano nel database dei prodotti fitosanitari del Ministero della salute e vengono allegate ai decreti dirigenziali;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo il riferimento alle etichette è pericoloso e fuorviante per l'utilizzatore e per il cittadino che volesse informarsi correttamente, in quanto le informazioni appaiono incomplete e quindi scorrette. Per esempio, riportano una parziale composizione dei prodotti (tralasciando spesso proprio i principi attivi maggiormente presenti nel preparato e i coformulanti) e solo alcune frasi di rischio, tralasciando inoltre le frasi R;
    con l'interrogazione n. 4-05077, ancora in attesa di risposta, si riportavano alcuni esempi di dati riportati nelle etichette di alcuni prodotti, confrontati con i dati delle corrispettive schede di sicurezza del medesimo prodotto; dall'osservazione di numerose etichette messe a confronto con le schede di sicurezza si nota che le etichette indicano normalmente un solo componente della miscela e non sempre il più rappresentativo della tossicità o quello presente in maggior percentuale; inoltre, le frasi di rischio sono riferite al componente dichiarato, mentre quelle relative ai componenti non citati (spesso i più pericolosi e/o maggiormente presenti nella miscela) sono tralasciate; in alcuni casi viene riportata una sola frase di rischio nonostante il prodotto ne abbia più di una; questo fatto appare più evidente in alcune etichette autorizzate in deroga con decreto dirigenziale, spesso le frasi di rischio mancanti in etichetta rientrano tra quelle vietate dal piano d'azione nazionale; di fatto queste etichette ridimensionano la classe di rischio ben evidenziata, invece, nelle schede di sicurezza che riportano anche istruzioni dettagliate; informazioni che ogni utilizzatore deve assolutamente conoscere;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo è di fondamentale importanza che, a tutela della salute pubblica e dell'ambiente, i riferimenti informativi a disposizione degli utilizzatori dei prodotti e dei cittadini, cui fa riferimento il Ministero e il piano d'azione nazionale, siano affidabili e contengano tutte le informazioni complete e corrette sui prodotti fitosanitari;
    lo studio della dottoressa Maristella Rubbiani, primo ricercatore dell'Istituto superiore di sanità, dal titolo «La problematica relativa alla presenza di coformulanti pericolosi nei preparati antiparassitari di uso agricolo o domestico», spiega come questi coformulanti, spesso più pericolosi della sostanza attiva autorizzata, vengano utilizzati come solventi, adesivanti, bagnanti, tensioattivi ed altro, nei preparati antiparassitari di uso agricolo, domestico o civile;
    la normativa vigente non prevede, per alcuni di questi agenti, l'obbligatorietà della dichiarazione in etichetta relativamente all'identità ed alla concentrazione della sostanza utilizzata come coformulante all'interno del preparato; infatti, mentre per legge solo l'ingrediente attivo deve essere specificato in etichetta con nome e percentuale in peso presente nel prodotto finito, per i coformulanti è sufficiente il nome collettivo («coformulanti e solventi») e la percentuale cumulativa presente nel prodotto, senza l'identificazione specifica di ogni sostanza; alcune sostanze possono essere utilizzate come ingredienti attivi in certi prodotti specifici, ma fungere da solventi, ed essere quindi considerati coformulanti, in altri preparati;
    talvolta, in caso di intossicazione, risulta estremamente difficoltoso risalire alla vera causa del danno tossicologico non potendo sapere cosa fa più male, se il principio attivo studiato o il coformulante di cui non si conosce la natura ed il pericolo;
    secondo un recente studio i principali pesticidi sono più tossici per le cellule umane rispetto ai corrispondenti principi attivi dichiarati. Essi contengono adiuvanti, la cui composizione spesso viene mantenuta confidenziale. Tali sostanze sono considerati inerti da parte delle aziende produttrici e in genere solo il principio attivo dichiarato viene testato. Gli scienziati hanno testato la tossicità di nove pesticidi, confrontando gli effetti dei principi attivi con quelli dell'intera formulazione (principio attivi + audiuvanti), su tre linee cellulari umane. In otto casi su nove la formulazione (il prodotto finale) è risultata fino a mille volte più tossica del suo principio attivo. Gli esperti concludono che i risultati mettono in discussione la rilevanza della dose giornaliera accettabile per i pesticidi, perché questa viene calcolata sulla tossicità del solo principio attivo e non considera l'intera formulazione;
    il rapporto nazionale pesticidi dell'Ispra-edizione 2014 rileva nelle acque la presenza di 175 sostanze, definendolo un cocktail i cui effetti non sono ancora ben conosciuti. Nei campioni sono stati rilevati spesso miscele di sostanze diverse, fino 36 contemporaneamente. Come segnalato fino 36 dai comitati scientifici della Commissione europea, il rischio derivante dall'esposizione a miscele di sostanze è sottostimato dalle metodologie utilizzate in fase di autorizzazione, che valutano le singole sostanze e non tengono conto degli effetti cumulativi;
    il 22 dicembre 2009 il Consiglio «ambiente» dell'Unione europea adottò le conclusioni sugli effetti combinati delle sostanze chimiche, esortando la Commissione europea e gli Stati membri ad intensificare le attività di ricerca nel settore, anche rivedendo la base dati di ricerca esistente. Esistono lacune conoscitive riguardo agli effetti di miscele chimiche e, conseguentemente, risulta difficile realizzare una corretta valutazione tossicologica in caso di esposizione contemporanea a diverse sostanze (Backhaus, 2010). Gli studi dimostrano che la tossicità di una miscela è sempre più alta di quella del componente più tossico presente (Kortenkamp ed altri, 2009); nel 2012 sono state pubblicate le conclusioni sulla tossicità delle miscele di tre comitati scientifici della Commissione europea. In particolare, nel documento si afferma che esiste un'evidenza scientifica per cui l'esposizione contemporanea a diverse sostanze chimiche può, in determinate condizioni, dare luogo ad effetti congiunti che possono essere di tipo additivo, ma anche di tipo sinergico, con una tossicità complessiva più elevata di quella delle singole sostanze. Nel documento, inoltre, si evidenzia come principale lacuna la limitata conoscenza riguardo alle modalità con cui le sostanze esplicano i loro effetti tossici sugli organismi;
    il rapporto Ispra segnala, inoltre, una disomogeneità fra le regioni del Nord e quelle del Centro-Sud, dove il monitoraggio è generalmente meno rappresentativo dello stato di qualità delle acque e la necessità, quindi, di un aggiornamento complessivo dei programmi di monitoraggio, per tenere conto delle nuove sostanze. Sarebbero circa 200, infatti, le sostanze immesse sul mercato in anni recenti e non incluse nei programmi di monitoraggio, 44 di queste sono classificate pericolose, in particolare 38 sono pericolose per l'uomo o per l'ambiente; si palesa, quindi, la necessità di inserire nei protocolli regionali alcune sostanze che, ove ricercate, sono responsabili del maggior numero di casi di non conformità, quali il Glifosate e l’Ampa. Ci sarebbe, quindi, uno sfasamento tra lo sforzo di ricerca, che si concentra soprattutto su alcuni erbicidi e sui loro principali metaboliti, e le sostanze più frequenti nelle acque, gran parte delle quali non figurano tra le più cercate. Le regioni cercano in media 55 sostanze nelle acque superficiali e 68 in quelle sotterranee, meno che nel 2010;
    le sostanze che determinano il maggior numero di casi di superamento dei limiti sono Glifosate e il metabolita Ampa, che sono cercati esclusivamente nella regione Lombardia; essendo l'erbicida largamente impiegato, è probabile che il suo inserimento nei programmi di monitoraggio possa determinare un sensibile aumento dei casi di non conformità nelle regioni dove ora non viene cercato;
    il glifosato, in particolare, è il pesticida che più di ogni altro determina il superamento degli standard di qualità ambientale nelle acque superficiali, non a caso una ricerca sul cancro dell'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) inserisce questo diserbante nella classe 2A – che precede quella dei «cancerogeni certi» – come «probabilmente cancerogeno per gli esseri umani»; per tali ragioni a livello europeo, l'International society of doctors for environment (Isde), presente in 27 Paesi, ha chiesto all'Europarlamento e alla Commissione europea di vietare immediatamente la produzione, il commercio e l'uso del glifosato, su cui si attende la procedura di rivalutazione entro la fine del 2015;
    il rapporto 2014 evidenzia che non c’è ancora un quadro nazionale completo della presenza di residui di pesticidi nelle acque per una serie di cause: copertura incompleta del territorio, disomogeneità del monitoraggio, assenza dai protocolli regionali delle sostanze immesse sul mercato negli anni più recenti, affermando che si è ancora in una fase transitoria in cui l'entità e la diffusione dell'inquinamento non sono sufficientemente noti, tenendo conto, ovviamente, che il fenomeno è sempre in evoluzione per l'immissione sul mercato di nuove sostanze;
    il rapporto 2014 segnala, inoltre, che il calo delle vendite di prodotti fitosanitari registrato nel periodo 2001-2012 non si riflette ancora nei risultati del monitoraggio, che continua a segnalare una presenza diffusa dei pesticidi nelle acque, con un aumento delle sostanze rinvenute. Fra le molte ragioni elencate, la causa più preoccupante e segnalata è la persistenza di certe sostanze, che insieme alle dinamiche idrologiche molto lente (specialmente nelle acque sotterranee) rende i fenomeni di contaminazione ambientale difficilmente reversibili,

impegna il Governo:

   a ripensare l’iter di autorizzazione dei prodotti, in relazione sia ai criteri in base ai quali vengono emanate tali autorizzazioni e quindi alla relativa situazione di emergenza sanitaria, sia all'assunzione delle eventuali responsabilità, valutando di prediligere, in ogni caso, soluzioni alternative a quella dell'autorizzazione eccezionale che dovrebbe essere considerata l'ultima possibilità;
   ad interrompere le autorizzazioni eccezionali perpetuate ben oltre i 3 anni previsti dall'articolo 30 del regolamento (CE) n. 1107/2009;
   a valutare la possibilità di rendere maggiormente stringente il ricorso a tali deroghe, così da non alterare il vero significato di emergenza sanitaria che, a causa del continuo ricorso allo strumento della deroga, rischia di perdere completamente il suo significato e il suo scopo;
   ad adottare, entro 6 mesi dall'approvazione del presente atto, gli atti e le misure previste dal decreto legislativo n. 150 del 2012 e dal piano di azione nazionale non emanati, per i quali risultino già scaduti i termini, nonché ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché le regioni e le province autonome che non abbiano ancora provveduto trasmettano le informazioni di cui agli articoli 19, comma 6, e 16, comma 1, del decreto legislativo n. 150 del 2012, per le quali i termini risultano già trascorsi; a rendere noti ai competenti organi parlamentari lo stato dei lavori sulla predisposizione degli atti, delle misure e delle linee guida previsti dal decreto legislativo n. 150 del 2012 e dal piano di azione nazionale, per i quali è prevista scadenza entro il 13 febbraio 2015 o per i quali non è stato individuato alcun termine temporale;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per implementare l'articolo 24 del decreto legislativo n. 150 del 2012 con un apparato sanzionatorio più esaustivo che racchiuda anche misure sanzionatorie per la mancata osservanza di quanto prescritto dagli articoli 11, 14, 15, 17 e 19 e relativi approfondimenti contenuti nel piano di azione nazionale;
   ad interrompere le autorizzazioni dei prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro per l'irrorazione aerea, nonché a verificare la reale sussistenza delle condizioni che, ad oggi, hanno consentito le deroghe per tali autorizzazioni;
   a riconsiderare le prescrizioni specifiche di cui all'articolo A.4.5 del piano d'azione nazionale, soprattutto per quanto riguarda il controllo del diametro medio delle gocce delle miscele irrorate e l'applicazione della scala di Beaufort, essendo prevista per misurazioni in pianura e non per le misurazioni in collina;
   ad integrare il piano di azione nazionale nelle parti in cui si fa riferimento alle frasi di rischio riportate in etichetta, aggiungendo il riferimento alle schede di sicurezza;
   ad allegare ai decreti dirigenziali, che autorizzano in deroga i prodotti fitosanitari, anche le schede di sicurezza, inserendole inoltre nel database ministeriale dei prodotti fitosanitari;
   a promuovere la revisione delle etichette dei prodotti fitosanitari, completando le parti relative alla composizione e alle frasi di rischio;
   a prevedere le modalità e i criteri per l'introduzione della responsabilità estesa del produttore del prodotto contenente fitosanitari, nonché di qualsiasi persona fisica o giuridica che professionalmente sviluppi, fabbrichi, trasformi, tratti, venda o importi tali prodotti destinati a divenire rifiuto, affinché sia attivato un virtuoso sistema di riciclo dei rifiuti di imballaggio contenenti fitosanitari, anche attraverso sistemi di restituzione degli imballaggi divenuti rifiuto che prevedano per i produttori l'obbligo di accettazione dei prodotti dopo il loro utilizzo;
   ad attuare le misure di tutela a salvaguardia dell'uomo e del suo ambiente, nei territori in cui ambiente agricolo e urbano non abbiano confini definiti ma siano integrati, dando nuova definizione a questi ambienti;
   a promuovere ed attuare, per quanto di competenza, tutte le misure affinché nei territori avvengano tutti i controlli necessari a garanzia del rispetto della normativa vigente e dell'attivazione di tutte le misure previste per la gestione dei rischi, a salvaguardia della salute umana e dell'ambiente;
   a porre in essere tutte le iniziative di competenza affinché le norme, attualmente in vigore in materia di prodotti fitosanitari, siano rispettate in tutte le loro parti e siano indicate con maggior chiarezza le autorità preposte al controllo sulle sostanze utilizzate ai fini del rispetto della normativa vigente, nonché i relativi ruoli e responsabilità;
   ad assumere iniziative anche normative dirette a definire un'unica autorità che sia di riferimento per i cittadini, con funzione di coordinamento di tutte le autorità di controllo previste, nonché a prevedere un'implementazione del sistema di verifica sull'effettiva attività svolta dalle autorità locali competenti;
   ad assumere iniziative normative per rendere obbligatoria l'indicazione della dichiarazione in etichetta relativamente all'identità ed alla concentrazione della sostanza utilizzata come coformulante all'interno del preparato;
   ad adoperarsi affinché la tossicità dei prodotti fitosanitari sia calcolata non solo analizzando il principio attivo ma l'effettiva formulazione del prodotto, andando quindi a considerare l'aumentata tossicità dovuta agli effetti sinergici;
   ad intensificare e sostenere le attività di ricerca nel settore e, in particolare, sugli effetti cumulativi dei pesticidi, aggiornando contestualmente le metodologie di autorizzazione e i programmi di monitoraggio;
   ad attivarsi affinché tutte le sostanze immesse sul mercato siano gradualmente incluse nei programmi di monitoraggio, a partire dal Glifosate e il metabolita Ampa;
   a sostenere, a livello europeo, in vista della scadenza – il 31 dicembre – dell'autorizzazione del glifosato, una posizione contraria a una nuova eventuale autorizzazione, tenendo in considerazione gli elementi scientifici a disposizione;
   ad adottare politiche per disincentivare l'utilizzo del glifosato, soprattutto nell'ambito dell'agricoltura intensiva, mediante iniziative volte a definire norme più severe e misure sanzionatorie, nonché a prevederne il divieto per ogni altro impiego diverso da quello agricolo;
   a promuovere, in applicazione del principio di precauzione, iniziative per vietare in maniera permanente la produzione, la commercializzazione e l'impiego di tutti i prodotti a base di glifosato, in ambito agricolo, nel trattamento delle aree pubbliche e nel giardinaggio.
(1-00720) (Ulteriore nuova formulazione) «Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Parentela, Rostellato, Busto, Basilio, Businarolo, Ciprini, Daga, Da Villa, Terzoni, Ferraresi, Fraccaro».
(22 gennaio 2015)

  La Camera,
   premesso che:
    con la comunicazione (COM (2006) 372) del 12 luglio 2006 veniva definita la «Strategia tematica per l'uso sostenibile dei pesticidi»; nell'introduzione, «Descrizione del problema ambientale», si afferma che: «(...) costituiti principalmente da prodotti fitosanitari e da biocidi, i pesticidi sono destinati a influenzare i processi di base degli organismi viventi e possono pertanto uccidere o controllare gli organismi nocivi come i parassiti. Allo stesso tempo possono provocare effetti negativi indesiderati su organismi non bersaglio, sulla salute umana e sull'ambiente. I possibili rischi associati al loro utilizzo sono accettati in certa misura a fronte dei benefici economici che ne derivano, se si pensa che i prodotti fitosanitari, ad esempio, contribuiscono a garantire un'offerta affidabile di prodotti agricoli di elevata qualità, salutari e a prezzi accessibili. Da tempo questi prodotti sono regolamentati nella maggior parte degli Stati membri e nella Comunità. Negli anni è stato istituito un sistema altamente specializzato per valutare i rischi per la salute umana e per l'ambiente connessi all'impiego dei pesticidi. Nonostante tutti i tentativi fatti per circoscrivere i rischi legati all'impiego dei pesticidi e per evitare effetti indesiderati, è ancora possibile ritrovare quantitativi indesiderati di alcuni pesticidi nelle varie matrici ambientali (e soprattutto nel suolo e nelle acque) e nei prodotti agricoli sono ancora presenti residui superiori ai limiti stabiliti per legge. È pertanto necessario ridurre per quanto possibile i rischi prodotti dai pesticidi alle persone e all'ambiente, riducendo al minimo o, se possibile, eliminando l'esposizione e incentivando attività di ricerca e sviluppo su alternative, anche non chimiche, meno dannose (...)»;
    la direttiva 2009/128/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, recepita con il decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, ha istituito un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei prodotti fitosanitari;
    in applicazione dell'articolo 6 del predetto decreto legislativo è stato predisposto il piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari. Il piano è stato adottato in data 22 gennaio 2014 a seguito dell'emanazione del decreto interministeriale;
    il piano di azione nazionale si propone di ridurre i rischi associati all'uso dei prodotti fitosanitari, promuovendo un processo di cambiamento delle tecniche di utilizzo dei prodotti verso forme più compatibili e sostenibili in termini ambientali e sanitari;
    sebbene con l'adozione del piano di azione nazionale vi sia una rinnovata attenzione sull'utilizzo e sui controlli dei prodotti fitosanitari, l'Istituto superiore per la ricerca e la protezione dell'ambiente, Ispra, lancia l'allarme con il «Rapporto nazionale pesticidi nelle acque. Dati 2011-2012. – edizione 2014», nel quale si rileva che, nonostante la vendita di pesticidi sia diminuita, nelle acque sono state registrate 175 diverse sostanze e in alcune rilevazioni fino a 36 sostanze contemporaneamente: un miscuglio chimico di cui, ad oggi, ancora non si conoscono precisamente gli effetti. In merito alla non adeguata conoscenza degli effetti, che un miscuglio di numerose sostanze può avere sugli ecosistemi, si legge dal dossier dell'Ispra che: «(...) nei campioni sono spesso presenti miscele di sostanze diverse: ne sono state trovate fino a 36 contemporaneamente. L'uomo, gli altri organismi e l'ambiente sono, pertanto, esposti a un cocktail di sostanze chimiche di cui non si conoscono adeguatamente gli effetti, per l'assenza di dati sperimentali (...)»;
    le modalità operative previste nel piano di azione nazionale per perseguire l'ottenimento degli obiettivi dati dall'Unione europea in tema di corretto utilizzo dei prodotti fitosanitari, sono: a) la formazione obbligatoria dei venditori, dei consulenti e degli operatori; b) l'informazione e la sensibilizzazione per la popolazione; c) i controlli funzionali sulle macchine per la distribuzione; d) l'adozione di misure specifiche per la tutela delle acque; e) misure specifiche per la riduzione dell'uso dei fitofarmaci; f) buone pratiche di manipolazione ed uso dei fitofarmaci durante tutto il loro «ciclo di vita»;
    nonostante le linee guida contenute nel piano di azione nazionale e la normativa sui prodotti fitosanitari siano molto stringenti riguardo alla loro immissione in commercio, alle modalità di vendita e di stoccaggio dei prodotti, ai residui negli alimenti, al divieto di trattamenti durante la fioritura per non causare danni alle api, si dice poco o niente sull'esecuzione dei trattamenti. Sono esplicitamente vietati solo i trattamenti in prossimità dei pozzi, mentre per i trattamenti in prossimità di abitazioni e giardini esistono alcuni regolamenti comunali e delibere che valgono naturalmente solo sul territorio del comune che li ha emanati, nonché le disposizioni del codice civile e del codice di procedura penale, in riferimento a danni a persone o cose determinati da modalità operative sconsiderate o comunque da negligenza nell'uso. Esistono, poi, le disposizioni sulla sicurezza sul lavoro di cui al decreto legislativo n. 81 del 2008 e al decreto legislativo n. 106 del 2009, che prevedono anche di evitare danni a persone terze, ad esempio vietando l'ingresso nell'area di un cantiere o, come nel caso in esame, evitando di disperdere nell'ambiente sostanze potenzialmente tossiche. Queste procedure possono variare da azienda ad azienda e possono essere sottoposte a verifica da parte degli uffici competenti delle aziende sanitari locali;
    visto il vuoto normativo, si è cercato anche nel piano di azione nazionale di risolvere il problema in via «amicale» con l'agricoltore, chiedendogli di adottare alcune attenzioni: evitare i trattamenti quando c’è vento; controllare che la nuvola dei trattamenti non raggiunga le zone abitate; avvisare prima dei trattamenti in modo che i residenti possano chiudere porte e finestre; raccogliere i panni stesi, coprire l'orto con teli e non sostare nelle vicinanze dell'appezzamento da trattare. Tuttavia, non vi è esplicito divieto o una normativa nazionale uguale per tutti i comuni, né una reale campagna di sensibilizzazione, informazione e formazione dell'agricoltore per espletare, idoneamente, i trattamenti e non recare danno alla popolazione immediatamente prossima ai terreni agricoli. La problematica si acuisce quando alcuni comuni sono soliti autorizzare trattamenti e irrorazioni con diserbanti nei parchi cittadini e nelle vicinanze di molte abitazioni;
    quando si esegue un trattamento fitosanitario, soltanto una parte esigua della miscela contenente la sostanza attiva raggiunge il bersaglio, mentre il resto viene disperso nell'ambiente;
    nel merito della domanda relativa alle distanze di sicurezza per il rischio di contaminazione, va precisato che qualcosa in merito lo si ritrova solo nel regolamento (CE) n. 889/2008 inerente alla produzione biologica, che, fra l'altro, non indica una distanza specifica di sicurezza;
    l'articolo 63, «Regime di controllo e impegno dell'operatore», del titolo IV («Controlli») del capo I («Requisiti minimi di controllo») fa, infatti, riferimento alle misure precauzionali da prendere per ridurre il rischio di contaminazione da parte di prodotti o sostanze non autorizzati e misure di pulizia da prendere nei luoghi di magazzinaggio e lungo tutta la filiera di produzione dell'operatore;
    in concreto, nel caso in cui gli appezzamenti coltivati secondo il metodo biologico siano contigui a coltivazioni convenzionali (possibili fonti di inquinamento per fenomeni di deriva) spetta all'agricoltore che produce in biologico adottare misure precauzionali (quali la predisposizione di barriere sui confini a rischio e/o fasce di rispetto) per ridurre il rischio di contaminazione da parte di prodotti o sostanze non autorizzate dai disciplinari tecnici. Dunque, in una normativa che si presenta alquanto debole per quel che concerne il biologico, sul fronte dell'utilizzo dei prodotti fitosanitari, è del tutto assente la previsione di una distanza di sicurezza ben definita;
    sulla rivista The lancet oncology, l'Organizzazione mondiale della sanità ha classificato tre pesticidi nella categoria 2A, cioè «probabilmente cancerogeni», l'ultimo livello prima di «sicuramente cancerogeni». La International agency for research on cancer ha preso in considerazione due insetticidi: il Diazinon e il Malathion, ma a suscitare scalpore è stato il parere espresso dall'agenzia sul Glisofato;
    il Glisofato è stato sintetizzato dalla Monsanto negli anni ’70 ed è il principio attivo del diserbante Roundup, il quale rappresenta l'erbicida più usato al mondo, oltre ad essere quello che si ritrova più spesso nell'ambiente; è presente in più di 750 prodotti destinati all'agricoltura, silvicoltura, usi urbani e domestici;
    alcuni esperimenti sugli animali hanno dimostrato che il diserbante provoca danni cromosomici, un maggiore rischio di tumore alla pelle, al tubolo renale e agli adenomi delle cellule pancreatiche. Tuttavia, la International agency for research on cancer ritiene che l'insieme della letteratura scientifica esaminata non permetterebbe di concludere con assoluta certezza che il Glisofato sia cancerogeno;
    il decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, all'articolo 5, prevede l'istituzione del consiglio tecnico-scientifico sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, istituito con il decreto interministeriale del 22 luglio 2013;
    il decreto interministeriale del 15 luglio 2015, in attuazione dell'articolo 22 del decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, stabilisce le «modalità di raccolta ed elaborazione dei dati per l'applicazione degli indicatori previsti dal piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari»;
    l'allegato al decreto interministeriale del 15 luglio 2015, al primo e al secondo capoverso, recita che: «l'articolo 22 del decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, prevede l'adozione di indicatori utili alla valutazione dei progressi realizzati attraverso l'attuazione del piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e specifica che tali indicatori, oltre a permettere “una valutazione dei progressi realizzati nella riduzione dei rischi e degli impatti derivanti dall'utilizzo di prodotti fitosanitari”, dovranno anche permettere di “rilevare le tendenze nell'uso di talune sostanze attive con particolare riferimento alle colture, alle aree trattate e alle pratiche fitosanitarie adottate”. Il decreto legislativo precisa che gli indicatori stabiliti saranno utilizzati, tra l'altro, i dati rilevati ai sensi del regolamento (CE) n. 1185/2009, sulle statistiche relative ai prodotti fitosanitari (...)»;
    il 14 dicembre 2009 è entrato in vigore il regolamento n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari che abroga le direttive del Consiglio 79/117/CEE (sul divieto di immissione nel mercato e di impiego di prodotti fitosanitari contenenti determinate sostanze attive) e 91/414/CEE (relativa all'autorizzazione e all'immissione sul commercio dei prodotti fitosanitari). L'applicazione del regolamento è avvenuta il 14 giugno 2011. Tra le innovazioni contenute nel nuovo regolamento europeo c’è l'introduzione dei criteri di cut-off che escludono a priori le sostanze attive identificate pericolose per la salute dell'uomo, degli organismi animali o dell'ambiente;
    le sostanze attive che possiedono caratteristiche intrinseche di pericolosità tali da destare preoccupazione verranno, invece, identificate come sostanze «candidate alla sostituzione». I prodotti fitosanitari contenenti tali sostanze attive dovranno essere sottoposti ad una procedura di «valutazione comparativa» che dovrà verificare la disponibilità, in commercio, di prodotti analoghi, o di metodi non chimici alternativi, con profilo tossicologico ed eco-tossicologico più favorevole;
    tale nuovo quadro normativo si inserisce in una situazione legislativa che ha visto, nel marzo 2009, la conclusione del programma europeo di revisione di tutte le sostanze attive fitosanitarie presenti sul mercato nel 1993 ai sensi della direttiva 91/414/CEE. La revisione ha interessato circa 1.000 sostanze e al termine circa 750 sono state escluse dal commercio in Europa;
    in Italia si stima che circa 200 sostanze attive fitosanitarie siano state revocate. Tra queste un numero rilevante ha riguardato sostanze impiegate diffusamente (ad esempio, i fosforganici), la cui sostituzione ha creato qualche problema richiedendo una ridefinizione delle strategie di difesa delle colture;
    in questo scenario si inseriscono, quindi, le importanti disposizioni previste dal nuovo regolamento n. 1107/2009 sull'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari che potrebbero portare, nei prossimi anni, all'esclusione dal commercio di altre sostanze attive, attualmente autorizzate (incluse nell'allegato I);
    infatti, il processo prevede che le sostanze attualmente autorizzate siano rivalutate, alla luce dei nuovi criteri di cut- off e di selezione delle sostanze candidate alla sostituzione, soltanto al momento della scadenza della loro autorizzazione al commercio. Quindi, solo fra diversi anni si potrà conoscere l'effettiva disponibilità delle sostanze attive;
    tale situazione di incertezza determina rilevanti criticità anche in sede di predisposizione ed aggiornamento dei disciplinari di produzione integrata a livello regionale. Nei disciplinari di produzione integrata sono, infatti, riportate le strategie di difesa integrata a cui devono attenersi le aziende agricole che aderiscono alle organizzazioni dei produttori e che rappresentano, quindi, le metodologie produttive che sono alla base delle attività di promozione e valorizzazione della qualità della maggior parte delle produzioni ortofrutticole regionali;
    l'articolo 30, paragrafo 1, del regolamento n. 1107/2009, indica che: «(...) in deroga all'articolo 29, paragrafo 1, lettera a), gli Stati membri possono autorizzare, per un periodo provvisorio non superiore a tre anni, l'immissione sul mercato di prodotti fitosanitari contenenti una sostanza attiva non ancora approvata, a condizione che:
     a) la decisione di approvazione non abbia potuto essere presa entro un termine di trenta mesi dalla data di ammissibilità della domanda, prorogato degli eventuali termini aggiuntivi fissati in conformità dell'articolo 9, paragrafo 2, dell'articolo 11, paragrafo 3, o dell'articolo 12, paragrafo 2 o 3;
     b) a norma dell'articolo 9 il fascicolo sulla sostanza attiva sia ammissibile in relazione agli usi proposti;
     c) lo Stato membro concluda che la sostanza attiva può soddisfare i requisiti di cui all'articolo 4, paragrafi 2 e 3, e che il prodotto fitosanitario può prevedibilmente soddisfare i requisiti di cui all'articolo 29, paragrafo 1, lettere da b) a h);
     d) siano stati stabiliti livelli massimi di residuo conformemente al regolamento (CE) n. 396/2005;
    il paragrafo 3 dell'articolo 30 del regolamento stabilisce che: “(...) le disposizioni di cui ai paragrafi 1 e 2 si applicano fino al 14 giugno 2016 (...)”»;
    in verità questo articolo così come l'articolo 53 (che prevede autorizzazioni in deroga per ragioni di emergenza fitoiatrica, la cui validità è di centoventi giorni) del medesimo regolamento stanno trovando una forte applicazione in contrasto con i caratteri di eccezionalità e in deroga alla norma comunitaria nella parte in cui trova difficile applicazione quanto stabilito dal regolamento (CE) n. 396/2005 sui livelli massimi di residui. Molte autorizzazioni concesse in riferimento all'articolo 30 del citato regolamento, di fatto, si sono anche spinte oltre i tre anni previsti, producendo delle vere e proprie distorsioni del sistema autorizzatorio, anche perché è difficile constatare l'interruzione, dopo i termini di scadenza, delle sostanze autorizzate e che cosa si intende per emergenza fitoiatrica;
    a tal riguardo, dal sito del Ministero della salute, dove tra l'altro vi è una lunga lista di sostanze autorizzate in base all'articolo 53, si legge che: «(...) la Commissione europea sta predisponendo una nuova linea guida ad uso degli Stati membri al fine di chiarire in quali circostanze una situazione può essere definita di emergenza fitoiatrica ed allo scopo di uniformare le procedure di rilascio di dette autorizzazioni da parte degli Stati stessi; saranno, inoltre, fornite indicazioni procedurali su come effettuare la richiesta di autorizzazioni eccezionali (...)»;
    alla luce di quanto poc'anzi descritto, appare evidente che l'impianto autorizzatorio in deroga (articoli 30 e 53 del regolamento n. 1107/2009) è carente delle definizioni guida che chiariscano che cosa si intende e quando si verifica un'emergenza fitoiatrica, come appare anche che le disposizioni del piano di azione nazionale, così come i suoi decreti attuativi sulla costituzione del consiglio tecnico-scientifico sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, e le modalità di raccolta ed elaborazione dei dati per l'applicazione degli indicatori previsti dal piano d'azione nazionale e il «Rapporto nazionale pesticidi nelle acque. Dati 2011-2012-edizione 2014» dell'Ispra evidenziano una vera e propria aporia finalistica del complesso normativo, tenendo conto anche del regolamento (CE) n. 396/2005 sui livelli massimi di residui;
    a precisa domanda posta dai firmatari del presente atto di indirizzo al Ministero della salute sull'esistenza di dati statistici delle autorizzazioni di cui all'articolo 30 del regolamento, la risposta è stata che il Ministero non possiede dati che consentano di capire quante e quali sono state le autorizzazioni rilasciate in merito al citato articolo,

impegna il Governo:

    ad assumere un'iniziativa normativa sull'utilizzo dei prodotti fitosanitari più stringente, rispetto a quella oggi in vigore, che introduca a livello nazionale divieti ed eventuali sanzioni, superando la logica delle raccomandazioni e sancendo distanze certe e determinate tra i luoghi oggetto di irrorazione con fitofarmaci e i centri abitati e le coltivazioni biologiche e biodinamiche, al fine di garantire il diritto alla salute;
    ad assumere iniziative normative per introdurre il divieto esplicito di utilizzo dei prodotti fitosanitari nei parchi pubblici, come già avviene in altri Paesi dell'Unione europea;
    ad adottare una campagna informativa più efficace, attraverso una cartellonistica chiara e leggibile, in grado di avvertire la popolazione circa il luogo in cui è stato fatto uso di pesticidi, indicando, tra l'altro, le eventuali malattie che essi comportano e il «periodo di carenza» al fine di evitare di cagionare danni alla salute umana, con il partenariato del Ministero della salute, sulla base di altre campagne messe già in atto come quella contro il fumo, avvalendosi anche del servizio pubblico radiotelevisivo e delle maggiori testate giornalistiche nazionali;
    ad assumere iniziative normative per introdurre specifiche distanze di sicurezza fra i campi coltivati dove sono utilizzati i prodotti fitosanitari e i campi dove non se ne fa utilizzo, che al momento non sono disciplinate a livello nazionale;
    ad effettuare, avvalendosi di enti pubblici e della collaborazione dei centri di ricerca e studi indipendenti, un monitoraggio sugli effetti a lungo termine di determinati prodotti impiegati, con particolare riguardo al «cocktail di fitosanitari», così come descritto nel dossier dell'Ispra;
    ad assumere un'apposita iniziativa normativa al fine di obbligare gli agricoltori che praticano l'agricoltura convenzionale, e quindi che utilizzano i fitofarmaci, al rispetto delle distanze di sicurezza fra le colture, al fine di evitare che le produzioni biologiche e biodinamiche vengano contaminate;
    a valutare la messa al bando del Glifosato dal territorio nazionale, al fine di applicare il «principio di precauzione» per salvaguardare le condizioni di vita e di lavoro degli operatori del settore, oltre alla salute pubblica e dell'ambiente, avendo quale punto di valutazione scientifica il parere dell’International agency for research on cancer e i numerosi studi di cancerogenicità fin ora esperiti, valutando, inoltre, anche l'esclusione delle sostanze di sintesi classificate come «probabilmente cancerogene»;
    a porre in essere iniziative concrete che limitino fortemente l'utilizzo delle deroghe sul territorio italiano e a dar seguito a quanto previsto dal piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, dalla «Strategia tematica per l'uso sostenibile dei pesticidi» e dalle norme di recepimento e attuative del complesso normativo;
    ad assumere iniziative affinché le attuali disposizioni degli articoli 30 e 53 del regolamento n. 1107/2009 vengano riviste in maniera più restrittiva e nel reale rispetto ed applicazione di fatto di quanto previsto dall'intero corpo normativo sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, garantendo che i livelli massimi di residui vengano rispettati;
    ad attivarsi in sede comunitaria affinché vengano emanate le mancanti linee guida che chiariscano che cosa si intende e in quali circostanze si verifica una emergenza fitoiatrica;
    ad avviare, per il tramite del competente Ministero, un'indagine con cui acquisire i dati statistici sulle autorizzazioni rilasciate di cui all'articolo 30 del regolamento n. 1107/2009;
    a realizzare una vera strategia nazionale con cui invertire le attuali politiche sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, che di fatto appartengono più a degli enunciati di buoni propositi che non alla realtà fattuale, creando un cluster agronomico-ambientale dove ricercare e sperimentare prodotti fitosanitari a base di sostanze naturali, al fine di diminuire, per poi eliminare dal territorio italiano, i prodotti fitosanitari di sintesi alla luce anche delle scelte, sempre maggiori, di conversione aziendale dall'agricoltura convenzionale a quella biologica.
(1-01019)
«Zaccagnini, Scotto, Pellegrino, Zaratti, Nicchi, Fratoianni, Franco Bordo».
(16 ottobre 2015)

  La Camera,
   premesso che:
    il sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente, istituito con la decisione n. 1600/2002 CE, ha previsto l'elaborazione di una strategia tematica per l'uso sostenibile dei pesticidi la cui attuazione si è sviluppata, in primo luogo, con la direttiva 2009/128/CE, volta ad istituire un quadro normativo comune ai Paesi dell'Unione europea, per un utilizzo sostenibile dei pesticidi. Tale misura è stata assunta tenendo conto del principio di precauzione, allo scopo di ridurre i rischi e gli impatti sulla salute e sull'ambiente derivanti dall'utilizzo di tali prodotti ed incoraggiare lo sviluppo e l'introduzione della difesa integrata e di tecniche o approcci alternativi;
    la direttiva riguarda, in particolare, i pesticidi che sono prodotti fitosanitari, intervenendo essenzialmente a disciplinare la fase di utilizzo di tali prodotti, ritenuta cruciale per la determinazione effettiva dei rischi;
    la stessa direttiva assegna agli Stati membri il compito di garantire l'implementazione di politiche ed azioni volte al perseguimento di tali obiettivi, prevedendo inoltre la predisposizione di appositi piani di azioni nazionali: la direttiva è stata di recente attuata nell'ordinamento italiano con il decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150;
    il decreto legislativo si applica ai prodotti fitosanitari, definiti come prodotti contenenti o costituiti da sostanze attive, antidoti agronomici o sinergizzanti, destinati ad uno dei seguenti impieghi: proteggere i vegetali o i prodotti vegetali da tutti gli organismi nocivi o prevenire gli effetti di questi ultimi; influire sui relativi processi vitali, conservare i prodotti vegetali medesimi, distruggere quelli indesiderati; controllare o evitare la loro crescita indesiderata;
    il provvedimento prevede inoltre l'adozione di un piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, che definisce gli obiettivi, le misure, le modalità ed i tempi per la riduzione dei rischi e degli impatti dell'utilizzo dei prodotti fitosanitari sulla salute umana, sull'ambiente e sulla biodiversità;
    il medesimo piano di azione nazionale promuove lo sviluppo e l'introduzione della difesa integrata e di metodi di produzione o tecniche di difesa alternativi, al fine di ridurre la dipendenza dai prodotti fitosanitari, anche in relazione alla necessità di assicurare una produzione sostenibile, rispondenti ai requisiti di qualità stabiliti dalle norme vigenti;
    gli obiettivi del piano riguardano i seguenti settori:
     a) la protezione degli utilizzatori dei prodotti fitosanitari e della popolazione interessata;
     b) la tutela dei consumatori;
     c) la salvaguardia dell'ambiente acquatico e delle acque potabili;
     d) la conservazione della biodiversità e degli ecosistemi;
    la normativa di recente entrata in vigore individua altresì diverse misure specifiche in tema di formazione e abilitazione degli operatori professionali, di utilizzo e vendita dei prodotti fitosanitari, di raccolta di dati, di informazione e di sensibilizzazione della popolazione, per la tutela dell'ambiente acquatico e dell'acqua potabile e per la riduzione dei rischi in aree specifiche;
    particolarmente rilevante appare la parte dedicata alla difesa fitosanitaria a basso apporto di prodotti fitosanitari, che include sia la difesa integrata, articolata in un regime obbligatorio e in uno volontario, che l'agricoltura biologica;
    il processo normativo europeo e nazionale che regola oggi le autorizzazioni e le modalità di utilizzo dei fitofarmac, offre alte garanzie e sicurezza per i consumatori, per gli utilizzatori, per la popolazione residente nelle aree di coltivazione e per l'ambiente;
    la produzione biologica e le ulteriori limitazioni «volontarie» operate dai produttori per mezzo «dei disciplinari di produzione integrata avanzata» contribuiscono ad aumentare i parametri di sicurezza nell'impiego dei fitosanitari;
    l'obiettivo di un'armonica convivenza tra produzione agricola e cittadini rappresenta oggi un'importante priorità. Si raccomanda, in particolare, una maggiore e forte azione di comunicazione da parte delle istituzioni, al fine di proporre alla collettività un quadro equilibrato e più rispondente alla realtà sull'alto grado di sicurezza del processo di produzione agricola, verso la salute del cittadino e la salvaguardia dell'ambiente;
    secondo l'Istituto superiore di sanità, su 40.000, casi di intossicazione da sostanze chimiche, solo il 5 per cento riguarda i fitofarmaci e comunque tali casi non coinvolgono cittadini comuni, ma esclusivamente gli operatori che manipolano tali prodotti e, in via accidentale, anche i loro familiari, quando lo stoccaggio non viene eseguito secondo le norme vigenti: nel 90 per cento dei casi, pertanto, si tratta di intossicazioni accidentali;
    il piano di azione nazionale è stato pubblicato ed adottato con il decreto 22 gennaio 2014 «Adozione del Piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, recante: “Attuazione della direttiva 2009/128/CE che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi”»;
    nel panorama dell'agricoltura europea, l'affermazione che l'Italia è il Paese che utilizza le quantità maggiori di prodotti fitosanitari risulta non congrua perché il valore non deve essere interpretato in senso assoluto ma in proporzione alle tipologie di colture presenti nei diversi Stati membri ed alle differenti avversità a parassiti che colpiscono le singole realtà agricole. Infatti, i Paesi del nord e del centro Europa non hanno una così ampia produzione di ortofrutta come l'Italia e le coltivazioni ortofrutticole sono quelle più esposte agli attacchi dei parassiti ed alle malattie;
    l'uso dei fitofarmaci dipende, in termini quantitativi, dalla maggiore o minore vulnerabilità delle colture rispetto alle fitopatie e da fattori climatici ed ambientali. L'agricoltura italiana, pertanto, sul piano della lotta fitopatologica, presenta caratteristiche molto diverse dai Paesi del nord e del centro Europa ed è esposta a maggiori problematiche fitosanitarie;
    secondo uno studio comparato con gli altri Paesi europei effettuato dalla European crop protection association (Ecpa), l'Italia è l'unico Stato membro che registra una netta diminuzione dei prodotti fitosanitari dovuto alla grande adesione da parte delle imprese italiane alle misure agroambientali previste dai piani di sviluppo rurale;
    i fitofarmaci, tra l'altro, sono immessi in commercio, in media, dopo dieci anni di sperimentazioni e valutazioni scientifiche effettuate dalla casa produttrice e dalla Commissione europea con il supporto dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ai sensi del regolamento (CE) n. 1107/2009 che stabilisce norme molto restrittive per la loro immissione in commercio;
    per quanto riguarda l'immissione in commercio dei fitofarmaci è da sottolineare che la politica europea di immissione in commercio degli stessi è decisamente improntata al miglioramento degli standard di sicurezza e di impatto sull'ambiente; infatti, il processo di revisione delle sostanze attive ha determinato una sostanziale riduzione delle sostanze attive disponibili per la difesa fitosanitaria, tanto che già oggi alcuni gruppi di parassiti risultano essere di difficile controllo a causa della mancata inclusione di sostanze attive utili nell'allegato I del regolamento comunitario che ha determinato l'assenza sul mercato di prodotti fitosanitari efficaci nella lotta di determinate fitopatologie;
    tale situazione viene fronteggiata in via temporanea con autorizzazioni straordinarie che rappresentano, per questi casi, l'unico percorso normativo percorribile, tenuto conto anche del fatto che per i medesimi prodotti tali autorizzazioni vengono concesse ogni anno in altri Paesi europei (Francia e Spagna), creando situazioni di concorrenza sleale nei riguardi delle produzioni italiane,

impegna il Governo:

    a valutare l'opportunità che le procedure e le modalità per il rilascio delle autorizzazioni adottate da parte dei Ministeri interessati debbano rispondere ad esigenze di semplificazione e di celerità richieste dalle imprese;
    a valutare l'opportunità di intervenire a livello comunitario per l'adozione di provvedimenti che interdicano la messa in commercio e l'uso di sostanze per le quali si siano evidenziate, dopo la fase di autorizzazione, caratteristiche di nocività per la salute e per l'ambiente tali da essere incompatibili con i requisiti che la normativa europea impone;
    a valutare l'opportunità di predisporre specifiche iniziative al fine di garantire un'accurata formazione degli operatori agricoli in modo che gli stessi vengano messi a conoscenza dei rischi connessi all'utilizzazione di fitofarmaci in agricoltura che risultino nocivi per la salute e per l'ambiente;
    a valutare l'opportunità di impegnare risorse economiche idonee a sostenere il processo di innovazione e di ricerca di soluzioni sempre più adeguate, sicure e congrue sotto i diversi profili;
    a valutare l'opportunità di accompagnare l'attuazione del piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari con l'approvazione degli atti da adottare a livello nazionale che devono essere prodotti in tempo utile dai diversi Ministeri competenti;
    a valutare l'opportunità di predisporre campagne di informazione utili per i consumatori e a promuovere la predisposizione di etichette di più facile comprensione, in grado di assicurare la conoscenza dei prodotti fitosanitari utilizzati.
(1-01022) «Dorina Bianchi, Bosco».
(16 ottobre 2015)

  La Camera,
   premesso che:
    la direttiva 2009/128/CE costituisce uno dei quattro provvedimenti legislativi adottati a livello comunitario nel cosiddetto «Pacchetto Pesticidi » – Pesticide Package (regolamento (CE) n. 1107/2009 relativo all'immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari; regolamento (CE) n. 1185/2009 relativo alle statistiche sui prodotti fitosanitari; direttiva 2009/127/CE relativa alle macchine per l'applicazione dei prodotti fitosanitari) per dare attuazione alla strategia tematica per l'uso sostenibile degli agrofarmaci prevista dal sesto programma quadro comunitario di azione per l'ambiente;
    tale intervento di regolazione è nato dall'esigenza di normare ed armonizzare l'uso degli agrofarmaci, fino ad allora delegato alle normative dei singoli Stati membri, con l'obiettivo di istituire un quadro per «realizzare un uso sostenibile degli agrofarmaci riducendone i rischi e gli impatti sulla salute umana e sull'ambiente promuovendo anche l'uso della difesa integrata»;
    essa è volta ad armonizzare e normare i diversi ambiti che sono collegati alla fase d'uso degli agrofarmaci quali la formazione, l'ispezione delle attrezzature, la difesa integrata delle colture, la tutela dell'ambiente acquatico e delle aree specifiche, la manipolazione e lo stoccaggio degli agrofarmaci nonché il trattamento degli imballaggi e delle rimanenze;
    la direttiva 2009/128/CE, recepita in Italia con il decreto legislativo n. 150 del 2012, prevede che il singolo Stato membro adotti il proprio piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (Pan) per dare attuazione nel contesto nazionale agli obiettivi comunitari armonizzando tempistiche e metodologie;
    il piano di azione, adottato in Italia con decreto ministeriale del 22 gennaio 2014, nel regolamentare l'utilizzo dei prodotti fitosanitari, prevede tutta una serie di misure specifiche per la tutela dell'ambiente acquatico e dell'acqua potabile e per la riduzione dell'uso di tali prodotti in aree specifiche quali la rete ferroviaria e stradale, le aree frequentate dalla popolazione e le aree naturali protette;
    il piano di azione prevede limitazioni molto stringenti che vanno dal divieto di trattamenti erbicidi in tutte le zone frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili, quali, ad esempio, parchi e giardini pubblici, campi sportivi, aree ricreative, cortili e aree verdi nelle scuole, alla riduzione/eliminazione per quanto possibile dell'uso dei prodotti fitosanitari sulle e lungo le linee ferroviarie e le strade, ricorrendo a mezzi alternativi (meccanici, fisici e biologici), fino alla promozione dell'uso del diserbo meccanico e fisico in tutti i casi in cui esso possa sostituire il diserbo chimico, specialmente su scarpate ferroviarie o stradali adiacenti alle aree abitate o frequentate dalla popolazione, aree limitrofe ai ponti e alle stazioni di servizio lungo strade e autostrade con annessi punti di ristoro;
    l'autorizzazione all'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari è uniformemente disciplinata dal regolamento (CE) n. 1107/2009;
    il regolamento ha introdotto un sistema di autorizzazione a zone, nuove tempistiche dei processi autorizzativi (24 mesi), l'applicazione di criteri di esclusione a priori («cut off criteria») per la valutazione delle sostanze attive e un meccanismo di valutazione comparativa per i formulati esistenti; gli ultimi due punti nel tempo comporteranno l'esclusione dalla commercializzazione di alcuni prodotti, e la «candidatura alla sostituzione» di altri;
    per quanto riguarda il sistema di autorizzazione, il regolamento prevede la suddivisione del continente in tre zone e il principio del «mutuo riconoscimento», delegando la valutazione degli studi scientifici, presentati a supporto della domanda di autorizzazione, a un solo Paese relatore, che valuta e autorizza per primo la circolazione del prodotto fitosanitario. Gli altri Stati membri devono adeguarsi, mantenendo comunque la facoltà di fissare restrizioni;
    riguardo al «principio di sostituzione», il regolamento prevede che, laddove una sostanza attiva venga approvata per un periodo di sette anni come «candidata» alla sostituzione, i prodotti fitosanitari che la contengono sono sottoposti a una valutazione comparativa (o comparative assessment), con altri prodotti contenenti sostanze simili già approvate e che presentino rischi minori per la salute e per l'ambiente, a condizione che queste ultime mostrino pari efficacia contro le avversità da controllare;
    a marzo 2015, la Commissione europea ha pubblicato una lista di 77 sostanze attive candidate alla sostituzione;
    le autorizzazioni eccezionali sono una procedura prevista dal regolamento (CE) n. 1107/2009, all'articolo 53, con lo scopo di dotare il singolo Stato di uno strumento per la soluzione di problematiche di natura non prevedibile a fronte di patologie non trattabili con prodotti già autorizzati o con strumenti alternativi;
    nel nostro Paese le colture minori, così dette perché si tratta di coltivazioni che non raggiungono grandi superfici né elevate produzioni, rappresentano una caratteristica peculiare del sistema agro-alimentare, ne sono un esempio quelle relative a: mandorlo, noce, ciliegio, melanzana, cavoli, prezzemolo, basilico e sedano;
    le colture minori, proprio in considerazione delle limitate superfici coltivate, hanno difficoltà a trovare prodotti ad hoc; è per questo motivo che il regolamento (CE) n. 1107/2009 prevede all'articolo 51 una specifica procedura per l'estensione delle autorizzazioni per usi minori ma spesso i tempi sono eccessivamente lunghi;
    la direttiva europea e il piano di azione nazionale incoraggiano l'adozione della gestione integrata delle colture (conosciuta a livello internazionale come gestione integrata delle colture – integrated crop management o ICM), in quanto i sistemi agricoli che fanno uso delle tecniche di gestione integrata delle colture soddisfano i tre criteri di sviluppo agricolo sostenibile: redditività economica, accettazione sociale e compatibilità ambientale;
    con essa si punta a ottimizzare l'utilizzo delle risorse e dei mezzi tecnici sia per conseguire produttività, sia per conservare le risorse ambientali. La gestione integrata è una strategia a lungo termine che viene adattata alle locali condizioni del terreno e del clima e coinvolge tutto il processo produttivo: dalla scelta delle sementi alla cura delle colture e del suolo, dal corretto stoccaggio dei prodotti fino al riutilizzo del rifiuto e alla produzione di energia rinnovabile;
    inoltre, una formazione costante è essenziale per l'uso efficace e responsabile degli agrofarmaci ed è un requisito indispensabile per garantire l'applicazione delle buone pratiche agricole: la qualità dell'utilizzo degli agrofarmaci potrà migliorare se tutti gli utilizzatori professionali saranno formati;
    ma la formazione deve coinvolgere anche gli utilizzatori non professionali, che devono essere informati sul corretto impiego dei prodotti a essi destinati, e i distributori, sia perché forniscono consulenza agli agricoltori e sia perché essi stessi manipolano, trasportano e gestiscono grosse quantità di agrofarmaci;
    occorre, quindi, definire al più presto una lista di soggetti destinatari della formazione utile a orientare anche percorsi formativi;
    secondo i dati forniti da Agrofarma a livello europeo (UE 28) il mercato degli agrofarmaci ha fatto segnare, nel 2013, un aumento in valore del 4,8 per cento rispetto all'anno precedente, passando da 8,3 a 8,7 miliardi di euro. A livello mondiale, nel 2013, il mercato degli agrofarmaci ha fatto segnare un aumento in valore del 16 per cento rispetto al 2012, passando da 49,5 a 54,2 miliardi di dollari;
    in Italia sono circa 400 le sostanze attualmente utilizzate in agricoltura e nel 2012 sono state vendute 134.242 tonnellate di prodotti fitosanitari (Istat, 2013);
    uno degli obiettivi fondamentali del piano di azione nazionale riguarda la riduzione del rischio di inquinamento da fitofarmaci delle acque superficiali e sotterranee, conseguente a drenaggio e fenomeni di deriva;
    nel «Rapporto nazionale pesticidi nelle acque. Dati 2011-2012. Edizione 2014» l'Ispra rileva che nel 2012 nelle acque sono state registrate 175 diverse sostanze – un numero più elevato degli anni precedenti – e in alcune rilevazioni fino a 36 sostanze contemporaneamente;
    sono stati monitorati 3.500 punti di campionamento e 14.250 campioni. Nelle acque superficiali sono stati trovati pesticidi nel 56,9 per cento dei 1.355 punti controllati. Nelle acque sotterranee è risultato contaminato il 31 per cento dei 2.145 punti esaminati;
    le concentrazioni misurate sono spesso basse, ma il risultato complessivo indica un'ampia diffusione della contaminazione. I livelli sono generalmente più bassi nelle acque sotterranee, ma residui di pesticidi sono presenti anche nelle falde profonde naturalmente protette da strati geologici poco permeabili;
    gli erbicidi sono le sostanze rinvenute più spesso e rispetto al passato è aumentata significativamente la presenza di fungicidi e insetticidi, soprattutto nelle acque sotterranee;
    l'Ispra sottolinea la necessità di un aggiornamento complessivo dei programmi di monitoraggio, che oggi non tengono conto delle sostanze immesse sul mercato in anni recenti. Circa 200 sostanze di quelle attualmente in uso non sono incluse nei programmi di monitoraggio, 44 di queste sono classificate pericolose, in particolare 38 sono pericolose per l'ambiente acquatico;
    nel rapporto viene trattato il tema delle miscele di sostanze. La valutazione di rischio, infatti, nello schema tradizionale considera gli effetti delle singole sostanze e non tiene conto dei possibili effetti delle miscele che possono essere presenti nell'ambiente. C’è la consapevolezza, sia a livello scientifico, sia nei consessi regolatori, che il rischio derivante dalle sostanze chimiche sia attualmente sottostimato;
    maggiori attenzioni e approfondimenti in relazione agli effetti della poliesposizione chimica sono auspicati in particolare a livello di Unione europea (Consiglio dell'Unione europea 17820/09). Nel 2012 sono state pubblicate le conclusioni di tre comitati scientifici della Commissione europea sulla tossicità delle miscele. In particolare, nel documento si afferma che esiste un'evidenza scientifica per cui l'esposizione contemporanea a diverse sostanze chimiche può, in determinate condizioni, dare luogo ad effetti congiunti che possono essere di tipo additivo, ma anche di tipo sinergico, con una tossicità complessiva più elevata di quella delle singole sostanze. Nel documento, inoltre, si evidenzia come principale lacuna la limitata conoscenza riguardo alle modalità con cui le sostanze esplicano i loro effetti tossici sugli organismi,

impegna il Governo:

    a dare piena attuazione agli atti e alle misure previste dal piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e dal decreto legislativo n. 150 del 2012;
    a promuovere il costante dialogo tra tutti i soggetti chiamati ad applicare il piano di azione nazionale al fine di garantire uniformità nelle disposizioni attuate sul territorio italiano;
    ad aggiornare – secondo quanto richiesto dall'Ispra – i programmi di monitoraggio dei residui degli agrofarmaci nelle acque e nell'ambiente, tenendo conto delle sostanze immesse sul mercato in anni recenti;
    a promuovere, anche in sede europea, approfondimenti scientifici sulla tossicità delle miscele chimiche e sugli effetti della poliesposizione chimica;
    a porsi l'obiettivo di ridurre sempre più nei prossimi anni l'utilizzo delle autorizzazioni eccezionali di agrofarmaci previste dal regolamento (CE) n. 1107/2009;
    a favorire in modo diffuso l'adozione della gestione integrata delle colture (ICM), allo scopo di raggiungere l'obiettivo di uno sviluppo agricolo sostenibile e di ridurre sempre più nel tempo l'utilizzo di agrofarmaci;
    a definire al più presto una lista di soggetti destinatari della formazione, comprendente non solo gli utilizzatori professionali ma anche gli utilizzatori non professionali e i distributori di agrofarmaci, in considerazione del fatto che una formazione costante è essenziale per l'uso efficace e responsabile degli agrofarmaci ed è un requisito indispensabile per garantire l'applicazione delle buone pratiche agricole;
    ad individuare procedure semplificate che consentano una rapida concessione dell'estensione d'uso dei prodotti già registrati alle colture minori, ferma restando la tutela ambientale e della salute umana e animale;
    a promuovere ed attuare tutte le iniziative di competenza affinché nei territori avvengano tutti i controlli necessari a garanzia del rispetto della normativa vigente in materia di utilizzo di prodotti fitosanitari e dell'attivazione di tutte le misure previste per la gestione dei rischi, a salvaguardia della salute umana e dell'ambiente;
    a porre in essere ogni iniziativa di competenza affinché le leggi attualmente in vigore in materia di prodotti fitosanitari siano rispettate in tutte le loro parti, indicando con maggior chiarezza chi siano le autorità preposte al controllo sulle sostanze utilizzate e al rispetto della normativa vigente, nonché i relativi ruoli e responsabilità.
(1-01023)
«Oliverio, Lenzi, Terrosi, Luciano Agostini, Antezza, Ansaldi, Capozzolo, Carra, Cova, Dal Moro, Falcone, Fiorio, Lavagno, Marrocu, Mongiello, Palma, Prina, Romanini, Taricco, Tentori, Venittelli, Zanin, Amato, Argentin, Beni, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Burtone, Capone, Carnevali, Casati, D'Incecco, Fossati, Gelli, Grassi, Mariano, Miotto, Murer, Patriarca, Piazzoni, Piccione, Giuditta Pini, Sbrollini».
(19 ottobre 2015)

  La Camera,
   premesso che:
    secondo quanto risulta, da recenti analisi effettuate dalle principali organizzazioni agricole nazionali, in Italia non si può parlare di uso massiccio di prodotti fitofarmaci, in quanto gli ultimi dati Istat pubblicati nell'ultimo rapporto del 20 gennaio 2015 evidenziano come, nel periodo 2002-2013, la quantità dei prodotti distribuiti per uso agricolo sia diminuita complessivamente di 76 tonnellate (-45,2 per cento);
    il suindicato rapporto evidenzia, altresì, come attualmente la distribuzione dei principi attivi per ettaro di superficie (negli anni 2012 e 2013), sia stabile al Nord, con 1,08 chilogrammi per ettaro di superficie, mentre al Centro risulta essere di 0,17 chilogrammi e nel Mezzogiorno di 0,52 chilogrammi;
    i dati numerici in precedenza richiamati (sebbene si riferiscano soltanto al biennio 2012 e 2013) confermano, pertanto, la diminuzione dell'utilizzo dei principi attivi contenuti nei prodotti fitosanitari per ettaro di superficie trattabile (come peraltro risulta dall'analisi effettuata su oltre 5.500 campioni ortofrutticoli in cui risulta che nel 99,2 per cento dei casi sono stati rispettati i limiti sui residui previsti dalla legge), tuttavia, il firmatario del presente atto di indirizzo rileva come da alcuni anni in Italia l'eccessivo ricorso all'utilizzo di prodotti fitosanitari autorizzati in deroga, da parte del Ministero della salute, in osservanza dell'articolo 53 del regolamento (CE) n. 1107/2009, stia determinando una serie di complessità connesse ai livelli di sicurezza ambientale ed alimentare;
    al riguardo, il perpetuarsi del ricorso a tali autorizzazioni eccezionali (41 nell'anno 2012, 60 nell'anno 2013 e 75 nell'anno 2014), le cui procedure consentono di non effettuare l’iter previsto dal sistema autorizzativo (che indica, fra l'altro, la verifica dell'impatto ambientale e sulla salute), rischia di causare gravi difficoltà sui controlli nei confronti dei delicati equilibri degli ecosistemi e dell'ambiente;
    le suindicate autorizzazioni in deroga di prodotti fitosanitari rilasciate per ragioni di emergenza fitoiatrica sono utilizzate, in particolare, per sostanze le cui schede di sicurezza indicano peraltro principi attivi con classi di rischio nocive e tossiche per l'individuo e l'ambiente;
    i permessi per la produzione, il confezionamento dei prodotti fitosanitari (autorizzati dal Ministero della salute) e quanto disposto dall'articolo 30 del regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, per alcuni fitosanitari, consentono agli Stati membri l'immissione sul mercato di prodotti fitosanitari contenenti una sostanza attiva non ancora approvata, per un periodo provvisorio non superiore a tre anni, a condizione che la decisione di approvazione sia adottata entro un termine di trenta mesi dalla data di ammissibilità della domanda;
    a giudizio del firmatario del presente atto di indirizzo, la suindicata disposizione comunitaria è stata effettivamente disattesa, considerando che le autorizzazioni eccezionali si sono perpetuate oltre i 3 anni previsti ed inoltre risulta irregolare il reiterarsi dell'emergenza oramai in via di prassi, così come altrettanto rischia di diventare un abuso il ricorso annuale all'articolo 53 del regolamento (CE) n. 1107/2009, relativo alle autorizzazioni provvisorie di prodotti fitosanitari rilasciate per ragioni di emergenza fitoiatrica;
    ulteriori profili di criticità si rinvengono, a parere del firmatario del presente atto di indirizzo, dall'inosservanza relativa ai termini per le scadenze di una serie di decreti attuativi e d'interventi indicati nel decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150 (di attuazione della direttiva 2009/128/CE che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi) nell'ambito della definizione di misure per un uso sostenibile dei pesticidi, intesi come prodotti fitosanitari definiti all'articolo 3, comma 1, lettera a), del medesimo provvedimento;
    secondo recenti rapporti elaborati dalle associazioni agricole e ambientali più rappresentative a livello nazionale, è stato confermato un quadro complessivo relativamente rassicurante, nell'ambito della diffusione e dell'utilizzo di prodotti fitosanitari destinati alle colture agrarie e all'agricoltura;
    al riguardo, la manifestazione universale dell'Expo 2015 di Milano è stata l'occasione per ribadire l'impegno di tutta la filiera agricola per un'agricoltura sostenibile a tutela della salute del consumatore grazie anche al costante impegno nella ricerca scientifica da parte delle aziende produttrici di agrofarmaci, finalizzato a mettere a disposizione degli agricoltori agrofarmaci sempre più mirati e sicuri per i consumatori e l'ambiente;
    ciononostante, rileva il firmatario del presente atto di indirizzo, emergono ancora una serie di criticità che richiedono interventi mirati se si considera come il 42 per cento dei campioni analizzati (su un totale di 7132) risulti contaminato da uno o più sostanze chimiche e il multiresiduo (ovvero la presenza concomitante di più residui chimici in uno stesso campione alimentare), inoltre risulta aumentato di cinque punti percentuale dal 2012 al 2014, passando dal 17,1 per cento al 22,4 per cento: cinque residui nelle mele, otto nelle fragole, quindici nell'uva da tavola, ovvero in alimenti dalle note proprietà nutrizionali che finiscono sulle tavole carichi di pesticidi;
    l'adozione di misure risolutive in grado di definire un quadro generale volto a rafforzare le regole (sebbene la normativa vigente preveda sistemi di controllo stringenti sull'uso corretto dei pesticidi in agricoltura), in particolare per il fenomeno del multiresiduo e delle autorizzazioni in deroga, come in precedenza richiamato, risulta pertanto urgente e necessario, al fine di garantire una migliore sicurezza alimentare delle produzioni agricole ed elevati standard qualitativi delle produzioni agroalimentari, peraltro, già costantemente vigilati;

impegna il Governo:

    ad assumere iniziative al fine di rivedere il sistema delle autorizzazioni dei prodotti fitosanitari in deroga rilasciate per ragioni di emergenza fitoiatrica disposte ai sensi dell'articolo 53 del regolamento (CE) n. 1107/2009, valutando l'opportunità di interrompere le autorizzazioni eccezionali protratte oltre i 3 anni indicati dall'articolo 30 della medesima disciplina comunitaria;
    a prevedere conseguentemente una linea guida più rigorosa, attraverso una riduzione del ricorso alle deroghe al fine di non stravolgere la reale finalità di emergenza fitoiatrica che, a causa del continuo ricorso allo strumento della deroga, rischia effettivamente di perdere completamente il suo significato e il suo scopo reale;
    ad adottare, entro dodici mesi, gli atti e le misure di competenza previste dal decreto legislativo n. 150 del 2012 e dal piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari non ancora emanati, per i quali risultano già scaduti i termini, nonché ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché le regioni e le province autonome che non abbiano ancora provveduto trasmettano le informazioni indicate all'interno del decreto legislativo n. 150 del 2012, per le quali i termini risultano già trascorsi;
    ad intervenire al fine di incrementare il sistema dei controlli in maniera più stringente sull'uso corretto dei pesticidi in agricoltura con particolare riferimento al fenomeno del multiresiduo e delle sue possibili ripercussioni sulla salute dei consumatori e dell'ambiente, la cui normativa continua a considerare sempre un solo principio attivo, nonostante se ne riscontrino più di dieci, con potenziali effetti sinergici negativi;
    a rendere noto alle Commissioni parlamentari competenti lo stato dei lavori sulla predisposizione degli atti, delle misure e delle linee guida previsti dal decreto legislativo n. 150 del 2012 e dal piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari.
(1-01024) «Palese».
(19 ottobre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    l'agricoltura italiana ha raggiunto importanti risultati sulla direzione dell'impiego sostenibile dei prodotti fitosanitari e del ricorso a pratiche agronomiche che mirano al minor utilizzo di sostanze chimiche, i cui risultati si possono misurare nella diminuzione della quantità di prodotti distribuiti per uso agricolo, nella continua spinta all'utilizzo di nuovi principi attivi a ridotto impatto ambientale e nei positivi dati, relativi alla presenza di residui negli alimenti;
    i risultati ufficiali per il controllo sui residui di prodotti fitosanitari negli alimenti, relativi all'anno 2013, hanno confermato a tal fine, l'impegno della filiera agricola italiana, per assicurare i più elevati standard quantitativi e qualitativi delle produzioni agroalimentari, anche grazie alla diligenza della ricerca scientifica, finalizzata a garantire agrofarmaci sempre più mirati e sicuri per i consumatori e l'ambiente;
    l'Esposizione universale di Milano Expo 2015 al riguardo è stata l'occasione per ribadire, nel corso di numerosi incontri ufficiali, come, nonostante l'uso della chimica in agricoltura sia ancora presente, nel complesso si evidenzi il costante aumento delle superfici coltivate con metodo biologico (+23 per cento del 2010 al 2013) e la maggiore diffusione di pratiche agricole e sostenibili (soltanto lo 0,7 per cento dei campioni di prodotti agricoli e derivati analizzati da laboratori pubblici regionali risulta «fuori legge» per la presenza di tracce di determinate sostanze chimiche vietate dalla normativa attuale);
    nell'ambito delle autorizzazioni all'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari rilasciate per ragioni di emergenza fitoiatrica disposte ai sensi dell'articolo 53 paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1107/2009, i firmatari del presente atto di indirizzo segnalano tuttavia un eccessivo ricorso allo strumento della deroga consentito dal Ministero della salute, a seguito delle richieste presentate da varie associazioni di categoria agricole, con le quali è stata segnalata la necessità di poter disporre di prodotti fitosanitari contenenti sostanze chimiche, per le operazioni di applicazione riferite alle avversità da fronteggiare;
    il meccanismo di autorizzazione eccezionale per la maggior parte delle sostanze attive utilizzate (alcune delle quali in attesa di autorizzazione delle istituzioni comunitarie) prevede un iter eccessivamente rapido che non contempla, fra l'altro, la verifica dell'impatto (ambientale e sulla salute) non essendo le richieste corredate della documentazione necessaria a tali scopi, come previsto nelle autorizzazioni all'immissione in commercio dai prodotti;
    i decreti dirigenziali che consentono la deroga risultano inoltre in contrasto, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, con le disposizioni previste dal decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, di attuazione della direttiva 2009/128/CE che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei prodotti fitosanitari;
    i termini per l'emanazione di numerosi decreti attuativi risultano inoltre scaduti, come ad esempio per la determinazione delle tariffe ed il versamento per i controlli delle attrezzature di applicazione dei prodotti fitosanitari; così come il piano di azione nazionale che prevedeva un decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (da emanarsi entro sei mesi) per la costituzione di una banca dati nazionale relativa ai controlli effettuati sulle macchine di distribuzione dei fitofarmaci risulta non ancora operativo;
    ulteriori ritardi, inoltre, si rinvengono proprio nell'ambito degli interventi contenuti all'interno del piano di azione nazionale; la mancata adozione dei decreti attuativi rende di fatto impraticabile una serie di misure indicate, tra le quali: le linee guida per la tutela dell'ambiente acquatico e dell'acqua potabile, per la scelta delle misure da inserire nei piani di gestione e delle misure di conservazione dei siti Natura 2000 e delle aree protette, nonché per mettere a disposizione delle regioni le informazioni più rilevanti sulla tossicità e gli aspetti fitosanitari dei prodotti in commercio;
    il suindicato piano di azione nazionale (Pan), finalizzato ad un uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e considerato fondamentale per l'individuazione e la diffusione di approcci a minore impatto per produttori, consumatori e ambiente, risulta carente nell'ambito della definizione di un termine temporale per la verifica degli obiettivi previsti, tra i quali anche la definizione di un manuale di orientamento sulle tecniche per la difesa fitosanitaria a basso impatto ambientale e strategie fitosanitarie sostenibili o misure per disciplinare la vendita di prodotti fitosanitari on line;
    l'eccessivo ricorso alle autorizzazioni eccezionali di prodotti fitosanitari rilasciate per ragioni di emergenza fitoiatrica, unitamente ad una serie di carenze riscontrate nell'ambito delle misure previste dal decreto legislativo n. 150 del 2012, il cui impatto normativo si è rivelato per alcune parti problematico, evidenzia, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, la necessità di misure volte a rivedere il sistema delle deroghe e, al contempo, a potenziare ulteriormente il sistema dei controlli e le relative sanzioni, in particolare su quelle aree nelle quali il prodotto chimico può essere utilizzato, affinché si possa stabilire un migliore coordinamento normativo in materia di autorizzazione e commercializzazione dei prodotti fitosanitari, per favorire un uso limitato a quanto strettamente necessario e per garantire la sicurezza alimentare delle produzioni agricole e la tutela della salute dei consumatori e dell'ambiente,

impegna il Governo:

    ad assumere iniziative per riconsiderare l'impianto normativo relativo al sistema delle autorizzazioni eccezionali di prodotti fitosanitari rilasciate per ragioni di emergenza fitoiatrica ai sensi dell'articolo 53 del regolamento (CE) n. 1107/2009, rendendolo più rigoroso, in considerazione del fatto che il continuo ricorso alle deroghe per l'immissione nel commercio si è rivelato eccessivo, causando una serie di complessità nei sistemi dei controlli e nelle verifiche dell'impatto sulla salute degli individui e dell'ambiente;
    ad assumere iniziative per riesaminare il quadro regolatorio previsto dal decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150 di attuazione della direttiva 2009/128/CE che definisce le misure per un uso sostenibile dei pesticidi, in considerazione dei ritardi nell'applicazione di una serie di decreti attuativi e d'interventi previsti per ridurre i rischi e gli impatti sulla salute umana, sull'ambiente e sulla biodiversità, al fine di armonizzare il sistema normativo con le disposizioni in deroga previste dal regolamento (CE) n. 1107/2009;
    ad incrementare il sistema delle verifiche nell'ambito dei piani di controllo dei residui di fitosanitari negli alimenti, predisposti a livello europeo e nazionale, con riferimento al fenomeno del multi residuo e alle possibili ripercussioni sulla salute dei consumatori;
    ad assumere iniziative per introdurre il principio di precauzione al fine di escludere dai disciplinari di produzione e commercializzazione il glisofato (pericoloso erbicida classificato come cancerogeno per gli animali e a rischio per l'uomo) e da qualsiasi premio nei Piani di sviluppo rurale (Psr) le aziende che ne fanno uso;
    ad informare entro dodici mesi le Commissioni parlamentari competenti sui risultati conseguiti con riferimento all'emanazione dei decreti e alle misure previste dal decreto legislativo n. 150 del 2012 e dal piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, i cui termini risultano già scaduti;
    a prevedere una campagna d'informazione volta a potenziare il modello di agricoltura sostenibile a partire da quella biologica, nonché il sistema dei controlli sul corretto uso dei prodotti fitosanitari, nonostante il livello di sicurezza per i consumatori e l'ambiente rimanga il più elevato d'Europa, come evidenziato in un recente rapporto dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa).
(1-01026)
«Faenzi, Abrignani, Borghese, Bueno, D'Alessandro, Galati, Merlo, Mottola, Parisi, Francesco Saverio Romano».
(20 ottobre 2015)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER RAFFORZARE LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO A FAVORE DEI PAESI AFRICANI, ANCHE NELLA PROSPETTIVA DELLA RIDUZIONE DEI FLUSSI MIGRATORI

  La Camera,
   premesso che:
    i fenomeni migratori che, attraverso il Mare Mediterraneo, interessano l'intera Europa hanno origine soprattutto nell'Africa sub-sahariana e trovano sbocco oggi nella Libia, a causa del vuoto di potere che caratterizza il Paese;
    i migranti sbarcati sul territorio italiano nel corso del 2015 (secondo dati aggiornati a metà luglio 2015) provengono da: Eritrea (20.392); Nigeria (9.619); Somalia (6.966); Sudan (4.668); Gambia (4.206); Senegal (3.245); Mali (3.112); Costa d'Avorio (1.854); Siria (4.953); Bangladesh (2.697); altre provenienze (21.220);
    l'immigrazione dall'Africa non può essere comunque considerata come un fenomeno transitorio, ma, al contrario, costituisce un fatto strutturale, destinato con ogni probabilità ad aggravarsi nei prossimi anni a causa dell'aumento della pressione demografica e del probabile permanere di condizioni di conflitto locali e regionali che si sommano a storiche e irrisolte situazioni di povertà;
    oltre agli interventi volti alla limitazione dei flussi migratori irregolari dall'Africa all'Europa e alla distribuzione dei migranti aventi status di rifugiati tra i diversi Paesi dell'Unione europea, interventi già posti in essere dalla stessa Unione europea grazie alle pressioni del Governo italiano, occorre cominciare a lavorare in modo organico ad una politica finalizzata al miglioramento strutturale delle condizioni di vita nei Paesi dai quali hanno origine i flussi stessi;
    l'Italia ha approvato nel 2014 la legge di riforma del sistema della cooperazione allo sviluppo (legge n. 125 del 2014), che la mette in linea con i più elevati standard europei ed internazionali, ne allarga lo spettro di azione anche grazie al contributo di soggetti privati e ha consentito al Presidente del Consiglio dei ministri di porre al Paese l'ambizioso obiettivo di divenire nel 2017 il quarto donatore in seno al G7 quanto a percentuale di prodotto interno lordo destinata all'aiuto internazionale allo sviluppo;
    l'Unione europea e i suoi Paesi membri rappresentano, nel loro complesso, il principale donatore mondiale nel campo della cooperazione allo sviluppo, con oltre 50 miliardi di euro all'anno di fondi dedicati;
    questi fondi vengono in larga misura destinati ad altri soggetti, quali la Banca mondiale o altri fondi internazionali dei quali l'Unione europea non riesce spesso a controllare le strategie o ad intervenire sulle stesse indicando le proprie priorità programmatiche;
    gli aiuti tradizionali ai Paesi partner, e in particolare ai Paesi africani, finiscono per essere inefficaci se frammentati e non inseriti in un quadro strategico complessivo, coordinato e condiviso tra tutti i donatori internazionali, secondo i principi di Busan;
    i fenomeni di corruzione nei Paesi destinatari degli aiuti, uniti alla carenza di effettivi controlli sul reale utilizzo dei finanziamenti internazionali, ne riducono di gran lunga l'efficacia;
    le grandi istituzioni internazionali, come l'Onu e le sue articolazioni (Fao, Unicef e altre) e la stessa Banca mondiale, appaiono ancora spesso prigioniere di logiche superate, non sempre improntate alla reale misurazione dei risultati e talora carenti di una visione strategica complessiva;
    l'Africa possiede enormi risorse naturali ed umane, che ne fanno il bacino di sviluppo potenzialmente più grande dell'intero pianeta;
    molti Paesi africani sono ormai consapevoli della necessità di progredire nella direzione di reali e radicali riforme strutturali sul piano politico-istituzionale, ammodernando al tempo stesso i propri sistemi educativi e produttivi, onde porre fine a storici processi di sfruttamento delle risorse da parte di realtà straniere ed evitare forme di neocolonialismo economico, ma necessitano, per realizzare questi scopi, di una forte interlocuzione e di un reale sostegno da parte dell'Europa e di tutti i Paesi occidentali;
    altri Paesi, che non hanno ancora raggiunto questa maturità, sono considerati «Stati fragili», con problemi di stabilità interna e vanno per questo sostenuti nello sforzo di superare la debolezza istituzionale e l'inadeguatezza del quadro normativo interno, attraverso interventi sempre più orientati all’institution e al capacity building, che vadano oltre l'aiuto tradizionale e il semplice trasferimento di risorse economiche;
    il controllo geopolitico dell'Africa, senza un'efficace azione europea, rischia di dare luogo a fenomeni di neocolonialismo che si realizzano attraverso le leve economico-finanziarie, da parte di altre potenze emergenti, in particolare la Cina, attraverso l'investimento di ingenti capitali;
    l'incremento delle relazioni istituzionali e commerciali tra l'Italia e i Paesi africani può costituire un elemento determinante nella promozione della crescita e dello sviluppo dei Paesi stessi;
    l'Unione africana costituisce un interlocutore fondamentale per la realizzazione di vere sinergie istituzionali finalizzate alla crescita del continente africano,

impegna il Governo:

   ad elaborare una strategia specificatamente volta allo sviluppo e al co-sviluppo dei Paesi africani, a partire da quelli dai quali provengono i principali flussi migratori verso l'Italia, auspicabilmente nella forma di un libro bianco da inserire nel documento di programmazione triennale della cooperazione previsto dalla legge n. 125 del 2014, e che consideri in modo integrato gli aspetti relativi allo sviluppo economico, alle relazioni commerciali, alla finanza, alle riforme istituzionali, ai conflitti, alle migrazioni, all'impiego dei fondi per la cooperazione, alla rete di relazioni internazionali e alle condizioni geopolitiche regionali;
   a condividere in sede di Unione europea tale strategia, chiedendo che l'intera Unione europea metta in atto, nell'ambito della partnership strategica con l'Africa e della Joint Africa-EU strategy, una politica di medio-lungo periodo volta anche a ridurre l'impatto strutturale dei fenomeni migratori dal continente africano verso l'Europa;
   ad assumere iniziative per rafforzare l'efficacia e l'efficienza, nonché la trasparenza, dell'azione e degli interventi delle grandi organizzazioni internazionali, a partire dall'Onu e dalla Banca mondiale, sia individuando priorità e sinergie che si adeguino rapidamente ai mutevoli scenari economici e geopolitici, sia migliorando ulteriormente i sistemi di controllo sull'utilizzo dei fondi, sia attuando serie misure di contrasto alla corruzione, tutto ciò anche con la finalità di contribuire a rimuovere le cause all'origine dei fenomeni di emigrazione dal continente africano;
   a rafforzare i partenariati istituzionali e commerciali con i Paesi individuati come prioritari, tenendo conto delle specifiche condizioni locali e delle prevalenti problematiche politiche e di sicurezza;
   a dare seguito, già con il prossimo disegno di legge di stabilità, all'impegno di incrementare i fondi per la cooperazione internazionale allo sviluppo, secondo il percorso di riallineamento dell'aiuto italiano allo sviluppo previsto dalla legge di riforma e confermato dal Documento di economia e finanza recentemente approvato, destinando le risorse soprattutto a progetti strategici mirati al sostegno dei Paesi più critici per l'Italia sotto il profilo delle migrazioni e della sicurezza internazionale;
   a dedicare particolare attenzione e a dare rilievo prioritario ai progetti di institution e capacity building;
   ad attivare i più efficaci controlli sulla reale destinazione e sull'utilizzo dei propri fondi, con particolare riguardo alla lotta ai fenomeni corruttivi nei Paesi destinatari degli aiuti;
   a continuare a stimolare gli investimenti privati nei Paesi individuati come prioritari, lavorando al tempo stesso per favorire le condizioni di stabilità politico-istituzionale indispensabili per garantire la necessaria sicurezza per gli investitori, tenendo conto delle specifiche condizioni locali e delle prevalenti problematiche politiche e di sicurezza;
   a sollecitare le aziende italiane operanti nei Paesi africani, e quelle che in futuro vi opereranno, e realizzare una presenza che sappia coniugare la logica di mercato con la capacità di contribuire in modo reale allo sviluppo locale, in un'ottica di responsabilità sociale d'impresa;
   a rafforzare l'interlocuzione con l'Unione africana, anche promuovendo nell'ambito dell'Unione europea, la necessità di condividere con essa priorità strategiche e modalità di rapporto istituzionale che supportino una reale crescita del continente africano;
   ad informare compiutamente il Parlamento entro 6 mesi circa l'evoluzione delle strategie richiamate nella presente mozione.
(1-00956)
(Nuova formulazione) «Alli, Quartapelle Procopio, Locatelli, Lupi, Cicchitto, Amendola, Nicoletti, Chaouki, Pagano».
(23 luglio 2015)

  La Camera,
   premesso che:
    ormai da mesi l'Italia sta fronteggiando una situazione drammatica: sulle coste italiane continuano ad arrivare barconi pieni di migranti provenienti dall'Africa e dal Medio Oriente, che fuggono da scenari di guerra o di rivolte popolari e soprattutto da reiterata violazione dei diritti umani, fame e povertà, fenomeno che non può più essere considerato come transitorio o eccezionale e che non riguarda soltanto le iniziative umanitarie e il controllo delle frontiere, ma passa anche attraverso la cooperazione economica con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo;
    d'altronde l'immigrazione non può essere arrestata, perché è parte della storia dell'umanità, ma va gestita nell'interesse dei Paesi di origine e di quelli di destinazione dei flussi migratori, anche e soprattutto per impedire il rischio di una deriva razzista;
    gli sbarchi quotidiani di migranti stanno determinando una vera e propria emergenza umanitaria che non può e non deve essere una questione solo italiana, ma europea, delle istituzioni dell'Unione europea e di tutti gli Stati membri in una visione solidaristica e di condivisione delle responsabilità;
    per controllare i flussi migratori che dalle aree di crisi si riversano sull'Europa «non si può solo alzare un muro, né bastano solo le azioni di cooperazione: serve una strategia di lungo termine» che mescoli la cooperazione con i Paesi in difficoltà alla ricostruzione di Paesi «vicini al collasso totale», parole pronunciate dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione, Paolo Gentiloni, al termine della conferenza interministeriale sul nesso tra cooperazione economica e controllo dei flussi immigratori che si è tenuta a Roma nel 2014, il cosiddetto Processo di Khartoum sull'immigrazione dall'Africa orientale (EU-Horn of Africa migration route initiative), in attuazione del precedente Processo di Rabat, ovvero il foro di dialogo regionale tra l'Unione europea e i Paesi dell'Africa occidentale, centrale e mediterranea, nato nel 2006 su impulso di Spagna, Francia e Marocco al fine di affrontare le sfide poste dalle migrazioni lungo la rotta migratoria Africa sub-sahariana-Unione europea, secondo un approccio di responsabilità condivisa tra Paesi d'origine, transito e destinazione dei flussi migratori;
    il Processo di Khartoum è un accordo firmato il 28 novembre 2014 a Roma tra i Paesi dell'Unione europea e i Paesi di origine e di passaggio dei migranti che, dal Corno d'Africa e dall'Africa dell'Est si riversano sulle coste della Libia per raggiungere l'Europa, approdando nel nostro Paese, scappando da Somalia, Eritrea, Darfur/Sudan, Etiopia e dunque da situazioni di conflitto decennali, da violazioni di diritti umani documentati in innumerevoli rapporti di organizzazioni della società civile; nel corso della citata conferenza è stata sancita la volontà tra i Paesi partecipanti di collaborare per combattere il traffico di esseri umani, intervenire sui fattori scatenanti dell'emigrazione, cercare di garantire dei percorsi più strutturati per chi emigra, tutelando le fasce più vulnerabili e i richiedenti asilo e, per arrivare a questi obiettivi, occorrono accordi che portino a scambi d'informazioni, a sviluppo di capacity building, assistenza tecnica e buone pratiche per sostenere lo sviluppo sostenibile nei Paesi d'origine e di transito, creare strategie comuni di lotta alle reti criminali che gestiscono il traffico di migranti, regolare i flussi migratori e, là dov’è possibile, prevenirli;
    occorre, dunque, innanzitutto favorire un processo di revisione e miglioramento della qualità e efficacia degli interventi volti allo sviluppo (sostenibile) da parte delle grandi organizzazioni internazionali, a partire da Onu e Banca mondiale, con particolare riferimento a quei Paesi ove ha origine il flusso migratorio;
    è evidente che la stabilizzazione delle aree di conflitto, da cui ha origine la forte pressione migratoria, non può prescindere da strategie di cooperazione finalizzate alla riduzione della povertà e al conseguimento della sicurezza alimentare, attraverso lo sviluppo agricolo locale da sostenere mediante investimenti in infrastrutture e innovazione volti a generare, nel rispetto dell'uso sostenibile delle risorse naturali, un livello di modernizzazione in grado di contrastare gli effetti negativi del cambiamento climatico e a superare l'agricoltura di sussistenza con la diffusione di pratiche agricole capaci di assorbire forza lavoro qualificata e di creare filiere produttivo-commerciali;
    secondo la Banca mondiale, tra i Paesi emergenti, si è in presenza di una riduzione significativa di quelli molto poveri (scesi da oltre 60 a 34), tuttavia aumentano però quelli considerati «fragili» (36 secondo l'Ocse), ovvero condizionati e messi in difficoltà sul versante dello sviluppo economico a causa di conflitti (dovuti soprattutto a insipienza e irresponsabilità internazionali), debolezze istituzionali, inadeguatezza delle reti sociali e imprenditoriali;
    infine, il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, a margine del suo intervento alla sessione dell'Onu tenutasi a settembre 2015, ha assicurato che l'Italia metterà a disposizione più risorse per i programmi a sostegno della lotta alla fame, alla povertà, alle malattie e al sottosviluppo: «Da qui al 2017 saremo al quarto posto nel G7 per gli investimenti nella cooperazione internazionale»;
    il nostro Paese si è impegnato, in maniera attiva nel corso del lungo iter diplomatico che ha portato all'adozione del Trattato internazionale sul commercio delle armi, affinché esso fosse in linea con quanto da sempre sostenuto nell'ambito della tutela, rispetto e promozione dei diritti umani, del disarmo, della cooperazione allo sviluppo e nel rispetto delle norme di diritto internazionale umanitario e con il richiamo all'obbligo di risolvere le controversie internazionali con mezzi pacifici;
    la legge n. 185 del 1990 rappresenta una delle più avanzate normative sul controllo dei materiali di armamento e, con il recepimento anche di successive direttive sul controllo dei trasferimenti dei materiali di armamento, il sistema normativo italiano è risultato pienamente in grado di poter attuare il citato Trattato; peraltro, in questa legge, con la lettera d) del comma 6 dell'articolo 1, viene vietata l'esportazione e il transito di materiali di armamento verso i Paesi i cui Governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell'Unione europea o del Consiglio d'Europa,

impegna il Governo:

    a predisporre una seria strategia di politica estera dell'Unione europea più flessibile e adeguata nel rispondere alle minacce e alle sfide emergenti in settori quali la sanità, l'energia, i cambiamenti climatici, l'accesso all'acqua o il processo di desertificazione, fattori che spingono le popolazioni africane coinvolte verso altri Paesi e che si legano inevitabilmente all'aumento dei flussi migratori, attraverso l'adozione di misure e proposte per la riduzione dell'impatto ambientale e del consumo delle risorse, per una cooperazione allo sviluppo che non sia sinonimo di sostentamento, per la risoluzione di conflitti non basata sul solito interventismo militare;
    a potenziare le strutture consolari di assistenza sociale nei Paesi africani, in modo che esse possano farsi carico di un primo orientamento in loco dei nuovi migranti con la costituzione di appositi sportelli all'interno degli uffici consolari;
    a far sì che l'approccio al dramma dei profughi e dei flussi migratori dall'Africa sia affrontato dall'Unione europea nel solco dei processi di Rabat e di Khartoum, ovvero con una nuova politica dell'Unione europea nei confronti del continente africano in grado di affrontare le cause remote (povertà, crisi e conflitti), anche tramite il miglioramento delle situazioni della sicurezza, umanitarie e dei diritti umani e delle condizioni socio-economiche nei Paesi di origine, e di rafforzare la cooperazione con i Paesi di transito per il controllo dei flussi, per un contrasto efficace dei trafficanti e per rafforzarne le capacità in modo da consentire alle autorità locali di affrontare la questione in maniera più proficua;
    ad assumere iniziative per implementare con fatti concreti il cosiddetto Processo di Khartoum, adoperandosi affinché l'intera Unione europea non si caratterizzi esclusivamente con missioni militari come Eunavfor Med, Frontex o Active Endeavour, ma si decida a intervenire sui problemi strutturali dell'immigrazione dall'Africa attraverso un consistente piano di cooperazione allo sviluppo che rafforzi le economie locali;
    a rendere effettivi gli impegni assunti, nel quadro dei citati processi, attraverso un approccio di maggiore generosità in termini di stanziamenti nella cooperazione allo sviluppo con questi Paesi, implementando contestualmente più serrati controlli sulla destinazione di tali fondi e sui fenomeni di corruzione inevitabilmente correlati;
    ad assumere iniziative per continuare a rafforzare la partnership tra Unione europea e l'Unione africana e con le organizzazioni regionali africane, con i Paesi di origine e di transito dei flussi migratori, con l'Organizzazione internazionale per le migrazioni e l'Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite;
    a intraprendere, anche in collaborazione con i Governi dei Paesi riceventi, ogni utile iniziativa volta a incrementare i fondi per la cooperazione pubblica allo sviluppo nel settore agricolo locale, al fine di sostenere investimenti volti alla diffusione di modelli di produzione in grado di generare occupazione, di consentire agli operatori di accedere a mercati più ampi di quelli strettamente locali, di attivare meccanismi che permettano loro di recuperare la maggior parte possibile del valore di ciò che producono e di capitalizzare le risorse naturali, specie nelle aree a forte rischio ecologico, dove i servizi agricoli, come l'irrigazione, sono insoddisfacenti e il cambiamento climatico influisce in maniera significativa sulla disponibilità di cibo e sulla stabilità della sua offerta, il suo accesso e il suo utilizzo, alimentando, di fatto, espulsioni e progetti migratori;
    considerata l'evidente correlazione tra conflitti, traffico d'armi e flussi migratori, in specie provenienti dall'Africa, ad adottare ogni utile iniziativa affinché sia interrotta immediatamente l'esportazione di armi a tutti i Paesi che non rispettano i fondamentali diritti umani nel rispetto della legge n. 185 del 1990 e, parallelamente, a farsi promotore, nelle sedi bilaterali e in quelle multilaterali, di tutte le iniziative diplomatiche necessarie a limitare comunque il commercio con tutti questi Paesi.
(1-01018)
«Spadoni, Grande, Manlio Di Stefano, Sibilia, Di Battista, Scagliusi, Del Grosso».
(16 ottobre 2015)

  La Camera,
   premesso che:
    dal rapporto della Banca mondiale (The World Bank: Global economic perspective, gennaio 2013) emerge un'Africa a doppia velocità: da una parte il Nord Africa, i cui Paesi investiti dalla primavera araba, dopo la brusca caduta del 2,4 per cento del 2011, mostrano una crescita del prodotto interno lordo tra il 2 per cento (Egitto e Tunisia) e il 3 per cento (Algeria e Marocco). Dall'altra parte, l'Africa sub-sahariana, che nel 2012 ha fatto registrare un tasso medio di crescita del prodotto interno lordo del 4,6 per cento e dove il tasso stimato di crescita media per i prossimi anni si aggira intorno al 6 per cento, grazie soprattutto all'alto prezzo delle risorse naturali, che continuano a far aumentare il valore delle esportazioni e alimentano il flusso degli investimenti esteri. Anche il tasso medio d'inflazione conferma la doppia velocità: il Nord Africa viaggia intorno al 5 per cento, l'Africa sub-sahariana ha un valore doppio;
    un ulteriore elemento che caratterizza, differenzia e condiziona pesantemente le economie sub-sahariane è la dipendenza dalla domanda cinese. Tale mercato rappresenta da solo circa il 50 per cento delle esportazioni di metalli industriali e minerali (Zambia, Botswana, Namibia e Repubblica democratica del Congo) ed è altresì la destinazione finale delle quote più rilevanti dei prodotti petroliferi (Angola e Sudan). La dipendenza dalla Cina è diventata sostanziale anche sotto il profilo dei flussi degli investimenti: la Repubblica cinese movimenta circa un terzo del flusso netto di capitali nell'area (il Focac – Forum per la cooperazione tra Cina e Africa – ha recentemente annunciato l'attivazione di una linea di credito di oltre 20 miliardi di dollari per lo sviluppo di infrastrutture, agricoltura e manifattura);
    accanto a rischi interni (situazione politica) ed esterni (stabilizzazione dei mercati finanziari, ripresa economica nell'area dell'euro, caduta dei prezzi delle materie prime, aumento dei prezzi dei prodotti alimentari) condivisi, l'Africa sub-sahariana mostra, dunque, una specifica criticità: l'elevata dipendenza dalla domanda e dagli investimenti cinesi, la cui riduzione o, peggio ancora, il suo venir meno, produrrebbe un vero e proprio disastro economico e finanziario nelle economie della regione, con immediate conseguenze sulle stime di crescita economica e sui flussi migratori;
    al di là di queste contrastanti valutazioni economico-finanziarie della Banca mondiale e dei passi in avanti socio-economici registrati da alcuni Stati africani, il profondissimo divario tra gli standard di vita dei Paesi dell'Africa sub-sahariana e quelli dei Paesi occidentali, insieme alle instabilità politiche e ai rischi bellici, costituisce ancora una delle motivazioni centrali dei flussi migratori che investono l'intera Europa;
    è senz'altro apprezzabile, ma necessita di potenziamento, il cambio di passo del Governo italiano che, negli ultimi 18 mesi, ha fortemente rafforzato la sua azione nell'ambito della cooperazione internazionale e delle relazioni bilaterali con i Paesi dell'Africa sub-sahariana;
    i dati del Ministero dell'interno, aggiornati al luglio 2015, quantificano a 82.932 i migranti sbarcati nel 2015 in Italia attraverso il Mediterraneo, di cui: 20.392 dall'Eritrea; 9.619 dalla Nigeria, 6.966 dalla Somalia, 4.668 dal Sudan, 4.206 dal Gambia, 3.245 dal Senegal, 3.112 dal Mali, 1.854 dalla Costa d'Avorio, 4.953 dalla Siria, 2.697 dal Bangladesh e 1.220 da altre provenienze;
    secondo i massimi esperti economici e dell'immigrazione, la povertà, i bassissimi standard sociali, sanitari e ambientali, l'instabilità politica e le guerre civili che contraddistinguono una vastissima area che va dall'Iraq alla Libia, nonché la forte disparità tra questi standard e quelli dei Paesi occidentali rappresentano storicamente i più potenti push factor (fattori attrattivi) delle migrazioni clandestine attraverso il Mediterraneo, indipendentemente dalle politiche contingenti di controllo delle frontiere, di contrasto agli sbarchi clandestini e di gestione dei flussi migratori. Conseguentemente, fintanto che non vi sarà un efficace impegno degli Stati più avanzati a ridurre quel gap, non verranno intaccate le cause profonde ed immanenti di uno dei più imponenti fenomeni migratori della storia;
    tali fattori attrattivi non rappresentano un fenomeno ciclico, ma sono al contrario elementi strutturali di carattere planetario e per questo saranno destinati ad aggravarsi nei prossimi anni;
    i fattori economico-sociali e di salute pubblica (longevità e aspettativa di vita, tasso di mortalità infantile, tasso di ospedalizzazione e di accessibilità alle cure, tasso di vaccinazione e di malattie infettive, tasso di alfabetizzazione ed altri) rappresentano, insieme ai fattori politici, gli indicatori statistici di «benessere» adottati come parametri internazionali di misurazione dello standard di vita di una popolazione;
    in modo particolare, l'allungamento delle aspettative di vita – inteso sia in termini di bassi tassi di mortalità in età infantile o giovanile che come riduzione dei tassi di mortalità evitabile – costituisce l'indicatore imprescindibile che funge da specchio dello stato sociale, ambientale e sanitario in cui vive una collettività;
    la speranza di vita alla nascita in molti Paesi dell'area sub-sahariana risulta fatalmente condizionata dal bassissimo rapporto medici/abitanti (mediamente 1 su 1.000 e talvolta scivola a 1 ogni 30.000-40.000 persone), dallo scarso accesso alle terapie mediche, dalla scarsa disponibilità d'acqua (in alcune aree assolutamente ridotta: 200 millimetri cubici in Libia e Mauritania, 500 in Tunisia e Capo Verde, poco di più in Kenya, Algeria, Burundi, Botswana) e dallo scarso apporto nutritivo;
    secondo i report statistici annuali dell'Organizzazione mondiale della sanità, confermati dal Cia-World factbook 2014, nei Paesi occidentali sviluppati un bambino nato nel 2012 può attualmente aspettarsi di vivere fino all'età di circa 76 anni, cioè 16 anni in più rispetto a un bambino nato in un Paese di maggiore arretratezza (dove l'aspettativa è mediamente di 60 anni). Per le bambine, la differenza è persino maggiore: un divario di 19 anni separa l'aspettativa di vita nei Paesi ad alto reddito (82 anni) da quella nei Paesi a basso reddito (63 anni). Il gap è ancora più macroscopico in nove Paesi dell'Africa sub-sahariana: Angola, Repubblica centrafricana, Ciad, Costa d'Avorio, Repubblica democratica del Congo, Lesotho, Mozambico, Nigeria e Sierra Leone, dove l'aspettativa di vita, sia per le donne che per gli uomini, è tuttora inferiore ai 55 anni; o addirittura si attesta ai 50 nel Ciad, nella Guinea-Bissau e nello Swaziland; per salire ai 51 di Zambia e Somalia e ai 52 di Namibia e Nigeria;
    un altro fattore fortemente impattante sulle aspettative di vita nei Paesi africani è rappresentato dalle malattie infettive (febbre gialla, colera, morbillo, aids, ebola ed altre) e dalle patologie ad esse correlate, che, secondo gli ultimi report dell'Organizzazione mondiale della sanità, costituiscono ancora oggi la causa del 70 per cento degli anni di vita persi dagli abitanti di quel continente;
    mentre i sistemi di controllo occidentali sono in grado di fronteggiare un eventuale caso di contagio (con protocolli di isolamento nei centri attrezzati degli ospedali), analoghe strutture e misure di allerta mancano completamente nei Paesi dell'Africa sub-sahariana;
    permane, tuttavia, il rischio che, in assenza di adeguati programmi di screening sanitario, le popolazioni di migranti possano introdurre o reintrodurre nei Paesi occidentali patologie infettive, anche sostenute da ceppi resistenti, assai subdole nella loro diffusione;
    l'ultima «emergenza di salute pubblica a livello internazionale», dichiarata nel marzo 2014 dall'Organizzazione mondiale della sanità in relazione alla malattia da virus ebola, esplosa in Guinea, Liberia e Sierra Leone ed arrivata anche in Mali, Nigeria e Senegal, è, in tal senso, emblematica della necessità di migliorare e potenziare la prevenzione direttamente in quelle aree geografiche ove originano tali epidemie ed ha messo in luce come l'unico vero strumento idoneo a contrastare le cicliche emergenze sanitarie di provenienza africana permanga in primo luogo un sistematico ed organico intervento sul posto, attraverso: forme di monitoraggio e cooperazione internazionale, di coordinamento con le autorità locali finalizzate al rigoroso rispetto dei protocolli sanitari per limitare il rischio di contagio, mediante l'allestimento e l'attivazione dei centri di isolamento negli ospedali; la messa a disposizione, anche attraverso la formazione professione degli operatori sanitari locali, di risorse umane specialistiche e di know-how (di cui il nostro Paese dispone con punte di eccellenza internazionalmente riconosciute); fornitura di strumentazioni mediche di massima protezione (maschere ffp3, tute di sicurezza classe 3, termometri funzionanti a distanza) e così via;
    nel 2014, il contributo italiano al fondo globale per la lotta all'aids, alla tubercolosi e alla malaria è stato di 1,049 miliardi di dollari (pari al 3,1 per cento del totale) ed ha posto il nostro Paese all'ottavo posto tra i donatori mondiali. Un analogo segnale non è stato, invece, registrato in concomitanza alla recente emergenza ebola. L'Italia, infatti, non risulta tra le nazioni che hanno contribuito maggiormente con risorse finanziarie a contrastare tale epidemia. In cima alla lista ci sono gli Stati Uniti con 750 milioni di dollari; la Banca mondiale con 400 milioni di dollari; il Regno Unito con 201 milioni di dollari; la African development bank con 150 milioni di dollari; la Germania con 130 milioni di dollari; la Francia con 89 milioni di dollari; il Canada con 57 milioni di dollari; il Giappone con 40 milioni di dollari; la Cina con 33 milioni di dollari e l'India con 12 milioni di dollari (Independent, 22 ottobre 2014);
    la cronologia delle epidemie da ebola dal 1976 al 2012 (così come quella delle altre malattie infettive che trovano origine in Africa) ed il fatto che nei prossimi anni continueranno a susseguirsi con ritmo crescente gli sbarchi sulle coste italiane di immigrati e profughi provenienti dalle aree a maggior rischio epidemico dovrebbero indurre il Governo e le autorità sanitarie a tenere sempre alta la soglia di attenzione e prevenzione, non solo sul territorio nazionale ma soprattutto implementando il supporto specialistico ai sistemi di sanità pubblica dei Paesi africani;
    il fenomeno degli sbarchi, dei flussi migratori e in genere la presenza sempre più strutturale e consolidata di immigrati nel nostro Paese genera una serie di paure non collegate solo all'aspetto sanitario sopra descritto, ma connesse alla percezione che l'immigrazione costituirebbe un «peso» per il sistema di welfare e, in particolare, per il sistema pensionistico italiano;
    i dati ufficiali tenderebbero a smentire tale percezione: in Italia risiedono circa 5 milioni di immigrati regolari (il 9 per cento della popolazione) che garantiscono il 12 per cento del prodotto interno lordo italiano. La categoria di spesa su cui i costi per gli stranieri incide di più è quella carceraria (oltre un terzo della spesa totale destinata ai detenuti). In tutte le altre voci (istruzione primaria e secondaria, sanità, pensioni, disoccupazione, esclusione e protezione sociale), la spesa per gli stranieri non è mai superiore al 15 per cento del totale (Istat 2011);
    complessivamente, gli immigrati beneficiano di 15 miliardi di euro in servizi e prestazioni sociali, poco più del 3,4 per cento sul totale della spesa pubblica considerata, questo anche perché, in termini assoluti, gli stranieri hanno un'età media inferiore della popolazione italiana che, al contrario, è portatrice di numerosi e diversificati bisogni di cura sanitaria, oltre che di richieste di prestazioni pensionistiche (ricerca, Istituto superiore di sanità, della Fondazione Ismu-Istituto per lo studio della multietnicità e Simm-Società italiana di medicina delle migrazioni, 2013);
    attualmente, l'immigrazione sta dunque fornendo un prezioso contributo al sistema pensionistico italiano e sta risanando la relazione tra lavoratori attivi e pensionati, oggi fortemente sbilanciata, in termini di numero di soggetti coinvolti, a favore dei secondi. Il contributo degli immigrati sul versante previdenziale è stato più che positivo: secondo i dati forniti dall'Inps nel 2011, i contributi versati dagli stranieri hanno raggiungo infatti i 9 miliardi di euro;
    in definitiva, le conclusioni del V rapporto annuale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, «I migranti nel mercato del lavoro in Italia» di luglio 2015, dimostrano una realtà, sia pur nella sua complessità e dinamicità, molto diversa dalla percezione negativa dei cittadini, con un trend che certifica come il lieve recupero occupazionale registrato nel 2014 sia da attribuirsi in gran parte alla manodopera straniera, anche in relazione alla vocazione da parte della popolazione immigrata a dare risposta ad esigenze del mercato del lavoro non considerate appetibili e conseguentemente non presidiate dai nativi italiani;
    l'Italia, anche nel confronto con gli altri Paesi europei, continua a rappresentare un unicum. L'originalità del caso italiano è dato, in particolare, dalla presenza di un tasso di occupazione dei cittadini stranieri più alto di quello dei nativi, dalla presenza di trend dell'occupazione asimmetrici tra le diverse nazionalità (si contrae il numero di lavoratori italiani e cresce la platea dei lavoratori comunitari ed extracomunitari), dalla contemporanea crescita dell'occupazione, della disoccupazione e dell'inattività della popolazione straniera;
    le complesse dinamiche del mercato del lavoro sono, dunque, in grado di orientare nuove riflessioni sui fenomeni migratori di questi ultimi anni, al punto che, nel caso di alcune specifiche mansioni, per i cittadini stranieri è possibile parlare di indispensabilità, visto anche l'effetto compensativo che essi svolgono in alcuni settori sottoposti a robusti processi di erosione della base occupazionale;
    la complessa situazione sopra descritta, sia in relazione all'inevitabile aumento della spinta migratoria proveniente dall'Africa sub-sahariana per il permanere di conflitti regionali sommati a storiche ed irrisolte situazioni di povertà e bassissimi standard di vita, che in relazione alla ben nota crisi economica in atto da anni nel mondo occidentale, di cui ha pesantemente risentito anche la stessa manodopera straniera residente in Europa e in Italia, rende oggettivamente limitato lo spazio politico di intervento da parte dei Governi occidentali per rendere coerenti i flussi migratori alle reali possibilità di assorbimento e di integrazione nelle società più avanzate,

impegna il Governo:

   a intensificare gli sforzi strategici di collaborazione economico-commerciale con i Paesi sub-sahariani già avviati, soprattutto favorendo la presenza di imprese italiane nei settori della grande distribuzione e delle infrastrutture e promuovendo un miglior approvvigionamento delle materie prime per l'industria italiana in cambio di partenariati per la diffusione di know how per lo sviluppo locale;
   a chiedere con forza il coordinamento europeo di tutte le politiche di gestione dell'emergenza immigrazione, che renda possibile la piena condivisione delle responsabilità e delle linee di intervento tra tutti i Paesi membri dell'Unione europea;
   a potenziare la propria azione di stimolo delle istituzioni internazionali verso nuove politiche di sostegno della crescita economica endogena, di pacificazione politica e sociale, di sviluppo della risposta sanitaria, che possano agire direttamente sui fattori di «spinta» e di «attrazione» all'origine della migrazione internazionale dai Paesi africani sub-sahariani verso i Paesi dell'area Unione europea/Area economica europea (Eea);
   a verificare che le linee economiche di intervento a cui partecipa attivamente il nostro Paese abbiano un effettivo impatto sulla correzione dei fattori strutturali che sono alla base dell'emergenza immigrazione;
   a dedicare particolare attenzione ai programmi di miglioramento delle condizioni dell'organizzazione sanitaria nei Paesi dell'Africa sub-sahariana, nella convinzione che i relativi indicatori rappresentino marker assai attendibili dello sviluppo economico, sociale e civile delle nazioni interessate in modo prevalente dai fenomeni migratori;
   ad avviare un programma nazionale italiano, che valorizzi il know-how, le competenze e la tecnologia italiani per favorire rapporti di collaborazione, anche bilaterale, finalizzati al miglioramento degli standard di salute pubblica in quelle aeree, al fine di contrastare in loco le cicliche emergenze sanitarie;
   a sostenere le organizzazioni non governative e le organizzazioni internazionali che si pongono analoghi obiettivi di sviluppo dell'appropriatezza dei sistemi sanitari dei Paesi dell'Africa sub-sahariana;
   a favorire iniziative dell'Unione europea, con vincoli temporali chiari e obiettivi misurabili, rivolte a garantire l'autosufficienza sanitaria nei Paesi africani anche attraverso le seguenti azioni:
    a) realizzazione di un sistema di formazione, istruzione continua e addestramento a favore degli operatori sanitari dei Paesi in via di sviluppo, e di quelli sub-sahariani in particolare, che utilizzi le competenze specialistiche italiane e i canali di collaborazione offerti dalle istituzioni internazionali, basato sull'esperienza e sulle best practice;
    b) rafforzamento ed implementazione del coordinamento e del partenariato con le istituzioni e le autorità sanitarie locali, anche attraverso il potenziamento delle attività progettuali specifiche del Ministero della salute, del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
    c) consolidamento dei livelli di aiuto e di assistenza tecnico-finanziaria a favore dei Paesi impegnati nella progettazione e/o nella modernizzazione dei propri sistemi sanitari;
    d) progettazione e realizzazione di un sistema di accoglienza sanitaria e di screening sulle popolazioni di migranti che raggiungono il nostro Paese, che garantisca le migliori condizioni di sicurezza reciproca.
(1-01027)
«Vargiu, Monchiero, Capua, Catalano, D'Agostino, Dambruoso, Librandi, Matarrese, Quintarelli, Vecchio».
(20 ottobre 2015)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   GUIDESI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni il territorio italiano è esposto ad un susseguirsi di eventi calamitosi dovuti a eventi atmosferici eccezionali di particolare violenza, ma anche ad altri continui di minore intensità, che comunque provocano frane e allagamenti che devastano il paesaggio, inghiottiscono strade e auto, causano morti e dispersi, creano danni alle infrastrutture viarie e ferroviarie, alle reti gas e elettriche, ai beni pubblici e privati, allagano case, cantine, negozi e aziende;
   ne risente l'economia italiana poiché le aziende non riescono a risollevarsi, nonostante gli sforzi; i contributi pubblici che vengono assegnati ai territori alluvionati non sono mai sufficienti a far fronte alle calamità naturali e a permettere il ritorno alle normali condizioni di vita della popolazione;
   si rende indispensabile individuare una strategia politica rivolta maggiormente alla prevenzione, alla cura del territorio, all'adozione di pratiche di vigilanza attiva e di manutenzione costante del suolo e dei corsi d'acqua, che sia in grado di mantenere in uno stato di concreta sicurezza le aree più sensibili dal punto di vista di rischio idrogeologico;
   la causa di tanti disastri sta, purtroppo, nella mancata pulizia degli alvei dei fiumi e dei torrenti che provoca un innalzamento degli alvei, da cronica deposizione di sedimenti e di trasporto solido, riducendone la sezione, che non riesce più a contenere il volume d'acqua del bacino scolante;
   infatti, la pulizia dei fiumi e dei torrenti è bloccata da una normativa obsoleta, carica di inopportune ideologie ambientaliste, e da una burocrazia insostenibile, che mette in sofferenza i cittadini;
   fino ad oggi il Governo ha fatto continue promesse per il finanziamento di un programma di prevenzione contro il dissesto idrogeologico, anche il «collegato ambientale» alla legge di stabilità per il 2014, attualmente all'esame dell'Assemblea del Senato della Repubblica, prevede una serie di programmi per la definizione del quadro conoscitivo del demanio idrico, ma mancano azioni concrete verso misure gestionali capaci di ripristinare la continuità idromorfologica longitudinale, laterale e verticale degli alvei dei fiumi e dei torrenti ed evitare l'inondazione delle pianure italiane –:
   se il Governo abbia intenzione di intervenire per risolvere i problemi connessi al rischio alluvioni e alla pulizia dei fiumi e dei torrenti e con quali azioni concrete. (3-01777)
(20 ottobre 2015)

   RABINO e MONCHIERO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il fenomeno del dissesto idrogeologico rappresenta un problema estremamente diffuso nel nostro Paese, che risulta, infatti, soggetto a rapidi e periodici processi che ne alterano il territorio e producono conseguenze spesso devastanti; molto spesso si tratta di fenomeni connessi al defluire delle acque libere in superficie e nel sottosuolo che causano l'alterazione dello stato di stabilità dei terreni e dei pendii e/o l'esondazione dei corsi d'acqua per rilevanti e repentini aumenti di portata;
   da sempre l'Italia è costretta alla convivenza con catastrofi immani che hanno accompagnato la nostra storia. Probabilmente non esiste al mondo un Paese come il nostro, con caratteristiche morfologiche quasi uniche, con un'aggrovigliata geofisica del sottosuolo per la sua natura geologica in gran parte giovane, caratterizzata da terreni argillosi e sabbiosi incoerenti e/o malamente ancorati alla roccia dura e stabile che ci rende tra i Paesi più franosi del mondo (486.000 delle 700.000 frane in tutta l'Unione europea sono italiane);
   a questa situazione di dissesto si somma la carenza di pianificazione, con la quasi scomparsa delle manutenzioni, con abusi del suolo, con la scarsa percezione della dimensione dei pericoli e l'insufficiente conoscenza dei fenomeni;
   oggi le precipitazioni hanno un carattere «esplosivo»: in poche ore piove la pioggia che poteva cadere in mesi. Le chiamiamo «bombe d'acqua», e sono figlie di una meteorologia estremamente variabile che provoca altre emergenze: erosione costiera, cuneo salino, siccità e incendi boschivi;
   gli effetti del dissesto incidono sulla perdita di vite umane e provocano evidenti alterazioni ambientali e dei territori che si ripercuotono su tutte le attività dell'uomo, con rilevanti danni per le comunità colpite;
   il rischio idrogeologico nel nostro Paese è, inoltre, imputabile all'azione dell'uomo nella trasformazione ed edificazione dei territori. La densità della popolazione, la progressiva urbanizzazione, l'abbandono dei terreni montani, l'edificazione in aree a rischio, il disboscamento e la mancata o carente manutenzione dei corsi d'acqua e dei versanti e/o pendii a rischio di instabilità hanno sicuramente aggravato la situazione e messo ulteriormente in evidenza la fragilità del territorio italiano, aumentandone l'esposizione ai rischi di dissesto idrogeologico;
   dal 1950 ad oggi si contano 5.459 vittime in oltre 4.000 tra frane e alluvioni. Il dissesto idrogeologico è una delle ragioni dell'aumento del gap infrastrutturale nel nostro Paese. Non franano solo terreni o case provocando dei lutti, ma anche strade e autostrade, ferrovie, reti idriche ed elettriche. Il deterioramento del territorio costituisce una voce fortemente negativa nel bilancio economico del Paese ed accumula debito futuro. Anche in una visione strettamente ragionieristica è positivo investire in prevenzione;
   ad essere esposti a frane e dissesto del territorio è il 68,9 per cento dei comuni del nostro Paese, pari a 5.581;
   il 32 per cento dei comuni italiani registra aree franabili e aree alluvionabili, il 21,1 per cento aree a rischio frane, il 15,8 per cento aree alluvionabili;
   nel piano per la riduzione del rischio idrogeologico, redatto dall'Associazione nazionale consorzi gestione tutela territorio ed acque irrigue per il 2015, sono 3.335 gli interventi globali ritenuti necessari per mettere in sicurezza il territorio, per un valore di 8,4 miliardi di euro, con un incremento quasi del 5 per cento rispetto al 2014;
   ridurre e gestire il rischio non è un costo, ma un investimento chiave per far ripartire il Paese, sbloccare economie e lavoro, promuovere bellezza e qualità –:
   quale sia ad oggi lo stato dell'arte degli obiettivi della struttura di missione creata presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e quali siano le indicazioni del Governo sulle risorse da stanziare per tale obiettivo nel disegno di legge di stabilità per il 2016. (3-01778)
(20 ottobre 2015)

   SCOTTO, ZARATTI, PELLEGRINO e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   i comuni interessati da aree ad alta criticità idrogeologica, dai dati Ispra, sono 6.633, pari all'81,9 per cento dei comuni italiani su cui sorgono 6.250 scuole e 550 ospedali;
   le aree ad elevata criticità rappresentano il 9,8 per cento della superficie nazionale;
   il fabbisogno necessario per la realizzazione degli interventi per la sistemazione complessiva delle situazioni di dissesto è stimato in 44 miliardi di euro, di cui 27 per il Centro-Nord, 13 per il Mezzogiorno e 4 per il patrimonio costiero;
   puntualmente, con l'arrivo delle piogge, il nostro Paese si trova a dover fare i conti con smottamenti, frane, crolli di infrastrutture, argini che non riescono più a trattenere l'impatto con le acque e allagamenti che troppo spesso assumono le proporzioni di vere e proprie tragedie;
   le forti piogge che hanno interessato in questi ultimi giorni il Centro-Sud, la Sardegna e la Campania in particolare, hanno provocato due morti e prodotto ingentissimi danni;
   i sempre più frequenti fenomeni alluvionali che colpiscono il nostro Paese mettono in luce drammaticamente l'estrema fragilità del territorio italiano e la necessità di una sua ormai improcrastinabile messa in sicurezza complessiva, ma nella conferenza stampa del Presidente del Consiglio dei ministri di presentazione del disegno di legge di stabilità per il 2016, tutta a base di slide ed «effetti speciali», l'emergenza difesa del suolo non viene neanche sfiorata;
   a fronte dei circa 21 miliardi di euro chiesti dalle regioni contro il dissesto idrogeologico, il Governo ha promesso di mettere in campo oltre 7 miliardi di euro complessivi fino al 2020, ma per ora sono meno di un miliardo, e circa l'80 per cento dei lavori non parte perché si è ancora fermi allo studio di fattibilità o con progetti allo stadio preliminare;
   si tratta peraltro di risorse che, in buona parte, vengono spostate da una casella all'altra. Vecchi finanziamenti, fondi non spesi ed altro. Altre sono a valere sui fondi di sviluppo e coesione. Nessuna risorsa nuova;
   da recenti notizie di stampa emergerebbe poi la richiesta di inserire nel disegno di legge di stabilità per il 2016 anche un «supercondono» edilizio che riguarderebbe 75.000 costruzioni in Campania, altrimenti destinate a essere abbattute –:
   quali iniziative immediate si intendano adottare a favore dei territori colpiti dai recenti eventi meteorologici e se non si ritenga improcrastinabile stanziare nuove risorse pluriennali certe al fine di avviare un serio piano di messa in sicurezza del territorio nazionale, adottando iniziative per prevedere l'esclusione delle spese per contrastare il dissesto idrogeologico dai vincoli del patto di stabilità al fine di garantire la loro piena spendibilità da parte degli enti territoriali. (3-01779)
(20 ottobre 2015)

   SBERNA e GIGLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 22 maggio 1978 veniva promulgata la legge n. 194, «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza»;
   uno degli articoli della legge n. 194 del 1978 prevede che ogni anno il Ministero della salute presenti una relazione sull'attuazione della legge: andamento del fenomeno, caratteristiche delle donne che fanno ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza, modalità di svolgimento e perfino un monitoraggio ad hoc su interruzione volontaria di gravidanza e obiezione di coscienza; nella relazione presentata il 15 ottobre 2014 si sottolinea più volte la riduzione del numero di interruzione volontaria di gravidanza, che ha subito un decremento del 4,2 per cento rispetto al 2012;
   il Ministero della salute ha più volte sostenuto che questo risultato sia molto positivo e lo lega direttamente all'efficacia della prevenzione, tanto da affermare, nella «Relazione al Parlamento sulla attuazione della legge contenente norme per tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria di gravidanza (legge 194/78)» del 15 ottobre 2014, che «la riduzione dei tassi di abortività osservata recentemente anche tra le donne immigrate sembra indicare che tutti gli sforzi fatti in questi anni, specie dai consultori familiari, per aiutare a prevenire le gravidanze indesiderate e il ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza stiano dando i loro frutti anche nella popolazione immigrata»;
   in data 22 settembre 2015 è stata pubblicata dalla testata giornalistica on line Espresso un'inchiesta sul cosiddetto «aborto fai da te». Prolificano, cioè, i siti che vendono farmaci per l'interruzione di gravidanza, che spiegano cioè come fare un aborto con pillole di uso comune (medicinali antiulcera e altro) che hanno lo stesso effetto della RU486, che consigliano l'acquisto del misoprostolo (conosciuto come Cytotec, Artrotec, Misodex, Misofenac), che causa delle forti contrazioni dell'utero, il distaccamento del feto dalla placenta e quindi la sua espulsione;
   siti che presentano la loro offerta in modo accattivante, garantendo poche domande, anonimato, prezzi scontati, tutela della privacy. E tacendo gli immani rischi che le pratiche suggerite comportano per la salute delle donne. Le conseguenze di questa pericolosa tendenza agli aborti «fai da te» sono scritte sui referti medici degli ospedali, che si sono poi trasformati in denunce in tutta Italia e che hanno già dato inizio a numerose inchieste giudiziarie (Genova – dove una diciassettenne alcuni mesi fa fu salvata dai medici per un soffio –, Torino, Pescara, solo per citarne alcune);
   si tratta di una pratica alla quale non ricorrono solamente le donne straniere non in regola con i documenti terrorizzate all'idea di rivolgersi a un consultorio o a un ospedale o le prostitute costrette dai loro «protettori», ma anche moltissime italiane, fra l'altro giovanissime. I dati Istat, infatti, rilevano un aumento degli aborti spontanei negli ultimi anni con punte del 67 per cento tra le giovanissime tra i 15 e i 19 anni;
   i farmaci originariamente destinati ad usi diversi sono andati ad alimentare un incontrollabile mercato nero e un floridissimo business su internet. Infatti, il rischio di incappare in medicinali contraffatti è altissimo. Spesso sono farmaci con un principio attivo minimo o con eccipienti nocivi per la salute, che sono stati lavorati in condizioni igieniche disastrose;
   ma questo espande il ricorso all'aborto clandestino che si voleva combattere e si traduce in una palese violazione della legge. Se essa infatti stabilisce che la RU486 venga somministrata solo in ospedale, ci deve essere un motivo;
   il numero degli aborti clandestini è enorme ed è quantificato – ottimisticamente, poiché non ci sono dati certi, con una ricognizione ferma al 2005 – tra i 12 mila e i 15 mila casi per le italiane e tra i tremila e i cinquemila per le straniere –:
   se il Ministro interrogato non ritenga doveroso indagare su un fenomeno che tutte le analisi reputano in crescita, indicando quali iniziative intenda porre in essere, nell'ambito delle proprie competenze, per sopperire alla carenza di serie campagne di sensibilizzazione che aiutino a non dare credito a siti che pubblicizzano in modo ingannevole e vendono il «kit per l'aborto», con serie conseguenze per la salute delle giovani donne coinvolte.
(3-01780)
(20 ottobre 2015)

   PALESE, CIRACÌ, DISTASO, FUCCI, MARTI, RICCARDO GALLO e PALMIZIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di settembre 2015, alla presenza dei delegati di oltre 25 Paesi, si è svolto a Como il primo convegno europeo sulla sindrome di Pandas (acronimo di Pediatric autoimmune neuropsychiatric disorders associated with streptococci) ovvero «disordine autoimmune pediatrico associato allo streptococco beta-emolitico di gruppo A», sigla coniata nel 1997 dalla dottoressa americana Susan Swedo;
   tale patologia consiste in un disturbo connesso ad una reazione autoimmune scatenata da malattie infettive dell'infanzia, in particolare la faringite da streptococco, che provoca un'infiammazione del cervello e può causare un esordio improvviso e acuto del disturbo ossessivo compulsivo, determinando sintomi quali: assunzione di cibo altamente restrittiva, ansia, depressione, tic motori e vocali, difficoltà nella scrittura, sintomi neurologici, disturbi nel sonno e della frequenza urinaria e altri sintomi psichiatrici;
   l'insorgere della malattia è subdolo, difficile da diagnosticare e attualmente sta determinando grandissimi disagi e preoccupazione sia tra le famiglie dei bambini colpiti (la Pandas è tuttora definita una malattia «pediatrica» che può insorgere attorno ai 5-7 anni) che tra i pediatri e gli neuropsichiatri, divisi tra l'effettiva esistenza della citata sindrome;
   secondo numerosi neurologi dell'infanzia e dell'adolescenza, che hanno partecipato al convegno di Como, la Pandas è considerata attualmente una tragedia, non perché manchino le opzioni terapeutiche, ma perché non si è in grado di riconoscerla e, inoltre, l'assenza di una comune ammissione dell'esistenza, in particolare da parte della pediatria italiana, rischia di accrescere le difficoltà per i pazienti colpiti, allungando i tempi per l'individuazione di un'esatta terapia –:
   quali orientamenti intenda esprimere il Ministro interrogato nei riguardi della citata sindrome di Pandas e se, in considerazione della diffusione di tale patologia non ancora riconosciuta ufficialmente e diagnosticata purtroppo in maniera confusa e non univoca dalla medicina e dalla comunità scientifica, non ritenga urgente e necessario attivare iniziative volte al coinvolgimento dei rappresentanti dell'Associazione italiana della Pandas e del mondo pediatrico, al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica sull'esistenza di tale sintomatologia, la cui insorgenza si attesta sin dalla giovanissima età. (3-01781)
(20 ottobre 2015)

   LENZI, GELLI, SBROLLINI, D'INCECCO, PIAZZONI, MURER, PAOLA BOLDRINI, PICCIONE, MIOTTO, PATRIARCA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA, BINI, BENI, CARNEVALI, CASATI e CAPONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero della salute ha pubblicato le coperture vaccinali a 24 mesi d'età relative all'anno 2014 (coorte di nascita 2012). Le coperture nazionali contro la poliomielite, il tetano, la difterite, l'epatite B e la pertosse, che nel 2013 – sottolinea l'Istituto superiore di sanità – erano di poco superiori al 95 per cento (valore minimo previsto dall'obiettivo del piano nazionale prevenzione vaccinale 2012-2014), nel 2014 sono scese al di sotto di tale soglia;
   la copertura per Haemophilus influenzae b (Hib), che nel 2013 era pari al 94,5 per cento, è rimasta sostanzialmente invariata mentre la copertura vaccinale per morbillo, parotite e rosolia è diminuita di quasi 4 punti percentuali rispetto ai dati aggiornati del 2013 (dal 90,3 per cento all'86,6 per cento);
   un'analisi retrospettiva delle coperture nazionali dal 2000 al 2014 evidenzia la presenza di due fasi temporali:
    a) il periodo 2000-2012, con coperture sostanzialmente stabili ad eccezione di quelle per l'Hib e il morbillo, per le quali si registra un incremento fino al 2007;
    b) il periodo 2012-2014, in cui si evidenzia un decremento di tutte le coperture vaccinali, ma più accentuato per morbillo, parotite e rosolia;
   l'analisi per regione – prosegue l'Istituto superiore di sanità – non evidenzia sostanziali differenze nella direzione del trend in tutte e due le fasi temporali e per tutte le vaccinazioni. Tuttavia, l'entità del decremento relativo nel periodo 2012-2014 appare maggiore nelle Marche, in Abruzzo e in Valle d'Aosta e, nel caso del morbillo, anche in Puglia;
   i dati del 2014 confermano che il calo registrato a partire dal 2012 non è una flessione temporanea, ma una tendenza che sembra consolidarsi di anno in anno. Sebbene il decremento sia limitato, la riduzione delle coperture vaccinali a 24 mesi che si è registrata in questi ultimi 2 anni per poliomielite, epatite B, difterite e pertosse può portare alla creazione di sacche di persone suscettibili, con conseguenze gravi a causa della perdita dei vantaggi della'immunità di gregge. Anche per malattie attualmente non presenti in Italia, come poliomielite e difterite, c’è sempre il rischio di casi sporadici;
   grazie alle vaccinazioni, malattie gravi che in passato hanno causato milioni di decessi e di casi di disabilità sono diventate rare. Molti genitori di oggi sono cresciuti senza avere alcuna cognizione dei rischi causati dalle malattie prevenibili con le vaccinazioni e dei benefici che derivano dall'immunizzazione per l'individuo e per la comunità: le precedenti generazioni ben comprendevano, invece, il valore dei vaccini, perché avevano avuto un'esperienza diretta o indiretta dei danni causati da queste malattie;
   il morbillo rimane una malattia molto frequente anche nel nostro Paese. In Italia dall'inizio del 2013 sono stati segnalati 4.094 casi di morbillo, di cui 2.258 nel 2013, 1.696 nel 2014 e 140 nei primi sette mesi del 2015. Di questi ultimi, il 79,7 non era stato vaccinato e il 17,3 per cento aveva effettuato una sola dose di vaccino. Il 17,1 per cento dei casi era di età inferiore ai 5 anni, fascia in cui è stata osservata l'incidenza più elevata (0,88 casi per 100.000). Circa il 30 per cento dei casi segnalati di morbillo è stato ricoverato in ospedale e un quarto dei casi ha avuto almeno una complicanza. Le coperture vaccinali a 24 mesi nel nostro Paese sono chiaramente insufficienti ad arginare la circolazione del morbillo e, anche se in alcune regioni si registra un incremento della proporzione di vaccinati ad età successive, la quota di bambini rimasti suscettibili al morbillo per un tempo inutilmente lungo continua a sostenere l'endemia;
   è stato presentato in questi giorni ed è al vaglio della Conferenza Stato-regioni il nuovo piano nazionale vaccini 2016/2018;
   organi di stampa riportano la notizia che da ora in poi vi sarebbe l'obbligo di essere vaccinanti per poter essere iscritti a scuola –:
   quali misure urgenti e concrete il Ministro interrogato intenda adottare per far sì che si torni ad avere una copertura vaccinale atta a garantire e a tutelare tutta la popolazione da malattie ormai debellate e se non ritenga necessario predisporre urgentemente campagne informative volte a fare chiarezza sulla necessità e sull'efficacia dei vaccini, nonché se risponda al vero che si possono prevedere sanzioni per quegli operatori sanitari che siano contrari alla somministrazione dei vaccini o che vi sia la possibilità per i bambini non vaccinati di non poter frequentare la scuola.
(3-01782)
(20 ottobre 2015)

   CALABRÒ. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito delle attività di monitoraggio delle vaccinazioni incluse nel piano nazionale di prevenzione vaccinale, i dati dell'Istituto superiore di sanità, pubblicati dal Ministero della salute, evidenziano che la copertura vaccinale nel nostro Paese è al limite della soglia di sicurezza;
   tali dati indicano un tasso di vaccinazione al di sotto degli obiettivi minimi previsti dal piano nazionale per la prevenzione vaccinale 2012-2014; scendono, infatti, al di sotto del 95 per cento le vaccinazioni per poliomielite, tetano, difterite ed epatite B e la percentuale scende ulteriormente per le vaccinazioni contro il morbillo, la parotite e la rosolia, che raggiunge una copertura dell'86 per cento, diminuendo di oltre 4 punti percentuali;
   questa situazione, che tende progressivamente a peggiorare, rischia di avere gravi conseguenze sia sul piano individuale che collettivo, poiché scendere sotto le soglie minime significa perdere via via la protezione della popolazione nel suo complesso e aumentare contemporaneamente il rischio che bambini non vaccinati si ammalino, che si verifichino epidemie importanti, che malattie per anni cancellate dalla protezione dei vaccini non siano riconosciute e trattate in tempo;
   anche l'Agenzia italiana del farmaco ha evidenziato che la riduzione delle vaccinazioni «rischia di generare serie conseguenze sulla salute pubblica compromettendo l'effetto immunità di gregge, qualora il numero dei soggetti vaccinati dovesse diminuire al di sotto della soglia minima per scongiurare la diffusione delle patologie» –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per fare fronte a questa preoccupante situazione. (3-01783)
(20 ottobre 2015)

   PARISI, ABRIGNANI, D'ALESSANDRO, FAENZI, GALATI, MOTTOLA, FRANCESCO SAVERIO ROMANO, BORGHESE, BUENO e MERLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel 2014 sono stati registrati in tutto il territorio nazionale 163 casi di malattia invasiva da meningococco, con un'incidenza pari a 0,27 casi per 100.000 abitanti, un dato in linea con gli anni precedenti, ma che risulta essere in consistente aumento nel 2015, nello specifico relativamente a casi di meningococco di tipo C in giovani adulti;
   se sino al 2014 l'incidenza media non mostrava scostamenti tra le regioni italiane, nel 2015 la Toscana sta registrando l'incremento maggiore dei casi di meningite: dai 12 del 2013, ai 16 del 2014 ai 35 del 2015 – più del triplo dell'incidenza toscana del 2014 e più del triplo di quella nazionale – con conseguente ed inevitabile allarme nell'opinione pubblica;
   dei 35 casi di meningite registrati in Toscana nel corso del 2015, l'ultimo venerdì 16 ottobre 2015, 28 derivano da meningococco C, il più virulento, 4 da meningococco B, meno grave ma solitamente più diffuso del precedente, 1 dal ceppo W, 1 pneumococcica, mentre un caso resta non noto. Se la diffusione del ceppo B rientra nella norma epidemiologica, ad allarmare è l'anomala diffusione del più grave ceppo C;
   alla data del 30 aprile 2015, l'Istituto superiore di sanità aveva ricevuto 56 segnalazioni di malattie invasive da meningococco nel 2015 e di queste oltre un terzo, 22, provenivano dalla Toscana;
   gli esiti sono stati purtroppo drammatici, con 7 decessi, di cui 6 per meningococco C (3 vittime di 12, 16 e 34 anni nell'azienda sanitaria locale 11 di Empoli, una di 82 anni nell'azienda sanitaria locale 10 di Firenze, una di 31 anni nell'azienda sanitaria locale 8 di Arezzo e una di 44 anni nell'azienda sanitaria locale 4 di Prato) ed uno per meningococco B, di 48 anni, nell'azienda sanitaria locale 1 di Massa Carrara;
   la regione Toscana ha rafforzato la rete di contatti con l'Istituto superiore di sanità che supporta le decisioni locali e regionali dall'alto dell'esperienza e della visione nazionale e internazionale dei fenomeni ed ha, inoltre, avviato una campagna straordinaria di vaccinazione. Ad oggi risultano essere state effettuate in Toscana oltre 150.000 vaccinazioni nella fascia di età dagli 11 ai 45 anni (di cui oltre 80.000 nella fascia 11-20 anni);
   pur tuttavia, secondo il parere di numerosi medici specializzati in malattie infettive, la percentuale di soggetti vaccinata è ancora molto bassa in confronto all'emergenza in corso; a somministrare i vaccini sono il 70 per cento dei pediatri ed il 55 per cento dei medici di famiglia, mentre i restanti non hanno aderito alla campagna straordinaria –:
   se il Ministro interrogato, anche attraverso l'attività dell'Istituto superiore di sanità, si sia attivato per individuare la presenza sul territorio toscano di batteri appartenenti a cloni diversi dal solito, mettendo in campo campagne di sensibilizzazione presso medici e famiglie volte a incrementare la somministrazione di vaccini contro la meningite, attivando il piano nazionale prevenzione vaccinale, in discussione presso la Conferenza Stato-regioni, che contiene norme specifiche a contrastare la diffusione della meningite in Toscana. (3-01784)
(20 ottobre 2015)

   GIORGIA MELONI, TAGLIALATELA, RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI e TOTARO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è in costante aumento la diffusione in Italia degli apparecchi da gioco denominati ticket redemption, apparecchi del tutto simili alle slot machine ma destinate ad un pubblico di bambini e minorenni;
   le ticket redemption, infatti, non erogando vincite in denaro, ma meramente dei tagliandini per continuare a giocare e delle vincite in premi su base casuale, sono sottratte al divieto di utilizzo da parte dei minori di diciotto anni;
   tali apparecchi, tuttavia, replicano meccanismi tipici del gioco d'azzardo, quali la premialità e la compulsività, e di fatto incentivano al gioco d'azzardo bambini anche molto piccoli, creando in essi l'abitudine al gioco «premiale»;
   le sale che ospitano le ticket redemption si trovano in luoghi aperti al pubblico e molto frequentati, come, ad esempio, centri commerciali, e frequentemente esse si trovano in locali attigui a sale da gioco per maggiorenni;
   il gioco d'azzardo patologico sta guadagnando sempre più attenzione, sia in ambito sanitario sia da parte del legislatore, e in Italia è stata già inserita all'interno dei livelli essenziali di assistenza a causa della crescente diffusione e gravità del fenomeno;
   secondo la «Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia», nella fascia d'età compresa tra i 15 e i 19 anni la pratica del gioco d'azzardo arriva al 49,4 per cento e oltre il 3 per cento di questi sono giocatori patologici;
   il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza vieta il gioco d'azzardo ai minori di diciotto anni e recentemente è stato sia previsto l'inasprimento delle relative sanzioni, sia introdotto il divieto di ingresso ai medesimi soggetti nelle aree destinate al gioco con vincite in denaro;
   la finalità di queste disposizioni è, evidentemente, quella di scongiurare l'accesso al gioco d'azzardo da parte dei minori, soggetti fragili e perciò meritevoli di una protezione ulteriore da parte dell'ordinamento;
   l'attività del bambino con le ticket redemption lo porta ad isolarsi ed alienarsi e rappresenta l'opposto di quelle funzioni fondamentali del gioco, quali la creatività, la socialità e la didattica;
   con le ticket redemption, invece, scopo del gioco diventa la vincita, intesa come possibilità di continuare a giocare, con l'effetto che più si gioca, più si può giocare, il tutto naturalmente calato in una logica commerciale, dove il rapporto tra il valore e la quantità dei premi corrisposti non è mai superiore a quanto speso in giocate;
   da notizie di stampa risulta che il disegno di legge di stabilità per il 2016 prevede che l'Agenzia delle dogane e dei monopoli espleti una gara per l'attribuzione di oltre ventimila nuove concessioni per l'esercizio del gioco pubblico –:
   se sia informato di quanto esposto in premessa e quali iniziative intenda assumere in merito al caso specifico e per il contrasto alla ludopatia. (3-01785)
(20 ottobre 2015)

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