TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 533 di Martedì 1° dicembre 2015

 
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INTERPELLANZA E INTERROGAZIONE

A) Interpellanza

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   l'uso degli autovelox per accertare il superamento dei limiti di velocità è diventato per molti enti locali, di fatto, uno strumento sicuro per garantirsi entrate supplementari destinate agli scopi più disparati, essendo tali apparecchiature assai di frequente utilizzate in modo subdolo dai comuni, non tanto a scopo preventivo o dissuasivo, quanto al puro scopo di multare il maggior numero di automobilisti e aumentare in questo modo le entrate derivanti dalle sanzioni in favore dei bilanci degli enti;
   i limiti di velocità su diversi tratti stradali sono spesso discutibili e altalenanti, e la collocazione degli impianti di rilevazione automatica risulta talvolta arbitraria, se non, in qualche caso, persino pericolosa, poiché induce gli automobilisti a bruschi rallentamenti della velocità;
   la Corte costituzionale (sentenza n. 113 del 2015) ha stabilito che gli strumenti tecnici di misurazione elettronica sono di dubbia funzionalità se non sono sottoposti a manutenzione e a verifiche periodiche e che «fenomeni di obsolescenza e deterioramento possono pregiudicare non solo l'affidabilità delle apparecchiature, ma anche la fede pubblica che si ripone in un settore di significativa rilevanza sociale, quale quello della sicurezza stradale»;
   molti comuni, poi, per evitare il contraccolpo di impopolarità prodotto da queste condotte sulla popolazione residente, installano queste macchine di rilevazione automatica principalmente sui tratti delle strade statali che attraversano il loro territorio di competenza, in modo da poter colpire il maggior numero possibile di automobilisti di passaggio;
   a questo genere di cattive prassi si contrappongono comportamenti di segno opposto, come quello messo in atto dal sindaco di Padova, che ha annullato decine di migliaia di sanzioni, provenienti da autovelox, ritenendo prima necessario procedere a una verifica della regolarità degli impianti;
   secondo la previsione di legge, i comuni stessi dovrebbero inviare ogni anno una relazione telematica al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e al Ministero dell'interno su quanto incassano con queste multe e destinare una quota del 50 per cento di queste entrate, provenienti da sanzioni comminate attraverso l'utilizzo degli autovelox, al miglioramento della sicurezza stradale: entrambi i suddetti obblighi restano spesso disattesi e non sanzionabili –:
   quali iniziative, anche normative, il Governo intenda assumere per mettere fine al più presto a questo utilizzo distorto degli strumenti per la sicurezza degli automobilisti, impropriamente finalizzati ad alimentare le entrate nelle casse dei comuni, e per fare rispettare la legge sia in merito alla relazione telematica che i comuni stessi devono inviare ogni anno ai Ministeri delle infrastrutture e dei trasporti e dell'interno, sia in ordine all'obbligo di destinare il 50 per cento di questi proventi alla sicurezza stradale, anche introducendo un nuovo sistema sanzionatorio, efficace e applicabile ai comuni che non adempiano agli obblighi previsti.
(2-01162)
«Baldelli, Giacomoni, Polverini, Nizzi, Fucci, Marti, Palmizio, Archi, Picchi, Petrenga, Squeri, Catanoso, Lainati, Milanato, Palese, Sandra Savino, De Girolamo, Biasotti, Ciracì, Latronico, Prestigiacomo, Bianconi, Luigi Cesaro, Russo, Chiarelli, Valentini, Vella, Castiello, Elvira Savino, Occhiuto, Biancofiore, Giammanco, Fabrizio Di Stefano, Bergamini, Alberto Giorgetti».
(27 novembre 2015)

B) Interrogazione

   BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale n. 7 Ferrandina-Matera è un asse viario molto importante in quanto collega la strada statale 407 Basentana alla città capoluogo di provincia e dall'ottobre 2015 è stata nominata capitale europea della cultura per l'anno 2019;
   la strada in questione, oltre ad essere ad unica carreggiata a doppio senso di marcia che mal sopporta l'enorme mole di traffico soprattutto nei giorni feriali per via dei mezzi pesanti che la percorrono, è in pessime condizioni strutturali;
   un fondo stradale sconnesso e pieno di avvallamenti pericolosi per gli automobilisti soprattutto nel tratto tra lo svincolo di Pomarico e quello di Miglionico, una galleria, quella in prossimità di Pomarico che dovrebbe essere maggiormente illuminata, sterpaglie ed erba alta a bordo strada, sono alcuni degli elementi che la rendono altamente insicura;
   purtroppo si verificano spesso una serie di incidenti;
   in considerazione dell'incremento del traffico legato al richiamo turistico della città di Matera, si rendono necessari interventi di manutenzione straordinaria che la mettano in sicurezza prima di qualsiasi studio di fattibilità per un possibile e necessario raddoppio;
   la stessa segnaletica è lacunosa e non degna di una strada che collega una città importante come Matera e i paesi dell’hinterland; occorrerebbe effettuare interventi per facilitare la vita ai turisti –:
   se e quali iniziative il Governo intenda attivare affinché l'Anas metta in sicurezza e migliori la viabilità lungo la strada statale 7 Matera-Ferrandina al fine di renderla adeguata a consentire l'accesso ad una capitale europea della cultura e meno pericolosa per i tanti pendolari che quotidianamente la percorrono. (3-01879)
(27 novembre 2015)
(ex 5-05928 del 1o luglio 2015)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA CURA DEI TUMORI RARI

   La Camera,
   premesso che:
    la Commissione affari sociali, dopo aver svolto dal marzo al luglio 2015 un'indagine conoscitiva sulle malattie rare – che si è conclusa il 28 luglio con l'approvazione del documento conclusivo –, nel settembre scorso ha approvato alla unanimità una risoluzione, sul presupposto del documento conclusivo approvato a luglio, in cui sono contenuti alcuni impegni al Governo che costituiscono al tempo stesso una tutela per i malati e un forte incentivo alla ricerca. Si tratta di due finalità strettamente collegate tra di loro anche in funzione della prossima creazione degli ERN (European Reference Network). Le malattie rare, identificate dall'Unione europea come settore di sanità pubblica per cui è fondamentale la collaborazione tra gli Stati membri, fin dal 1999, con l'adozione della decisione del Parlamento europeo e del Consiglio n. 1295, che adotta un programma d'azione comunitaria in tale ambito, sono state spesso oggetto di raccomandazioni comunitarie finalizzate all'adozione di programmi con obiettivi ampiamente condivisi. Il contesto in cui si collocano attualmente le malattie rare abbraccia infatti tutta l'Europa in una lunga sinergia di progetti come Europlan, Eurordis, Orphanet e dal prossimo 2016 le Reti di riferimento europee (ERN);
    come è emerso più volte durante le audizioni svolte nel corso della indagine conoscitiva, la scarsa consuetudine clinica e la scarsa disponibilità di conoscenze scientifiche, che derivano dalla rarità delle malattie, compresi i tumori rari, determina spesso lunghi tempi di latenza tra l'esordio della patologia e la diagnosi, nel caso delle malattie rare o diagnosi patologiche e trattamenti non idonei (nel caso dei tumori rari 1), incidendo negativamente sulla prognosi del paziente. Ma è proprio sul piano del diritto alla salute e più specificamente del diritto alle cure, che le richieste dei pazienti si fanno sempre più incalzanti e meno disposte alla rassegnazione nei confronti di un sistema burocratico a volte lento e farraginoso. L'Italia è stata presente fin dall'inizio in tutti gli organismi che si sono occupati di ricerca scientifica nel campo delle malattie rare a vari livelli: genetico, metabolico, farmacologico e assistenziale; dalla diagnosi precoce alla organizzazione della rete e dei servizi collegati, compresa l'integrazione tra le associazioni di malati. La competenza specifica e la disponibilità alla collaborazione del nostro Paese sono state oggetto di considerazione ed apprezzamento da parte di tutti i partner europei. E lo stesso è avvenuto in relazione ai tumori rari e alla rete di strutture di supporto che in questi anni si è andata formando, sia pure su base prevalentemente volontaristica;
    uno strumento di lavoro fondamentale in questo campo è infatti rappresentato proprio dalla rete, nelle sue diverse articolazioni e con i suoi obiettivi specifici. La Rete nazionale delle malattie rare, istituita in Italia nel 2001, prevedeva già da allora il Registro nazionale malattie rare (RNMR) e regolamentava l'esenzione da una serie di costi per le patologie inserite in una determinata lista, stabilita dal decreto ministeriale n. 279 del 2001. La lista da allora non è stata più aggiornata. All'istituzione della Rete nazionale delle malattie rare hanno fatto seguito due importanti accordi Stato-regioni, rispettivamente nel 2002 e nel 2007, dopo di che si è assistito ad un deciso rallentamento delle iniziative a favore di questi malati, considerati rari. L'assistenza ai malati rari richiede una serie molto complessa e articolata di interventi, che coinvolgono l'organizzazione, la programmazione e il finanziamento dell'intero sistema sanitario nazionale. Le difficoltà che i malati rari incontrano, per vedere soddisfatti i loro bisogni di presa in carico, dipendono da una molteplicità di fattori, quali la complessità delle azioni e degli interventi richiesti dalle specifiche patologie presentate dai pazienti, la necessità di coinvolgere un numero elevato di soggetti e specializzazioni per fornire loro un servizio adeguato, la differenza qualitativa che si registra nei servizi sanitari regionali del nostro Paese, nonché elementi strutturali, alcuni dei quali potrebbero essere fin da ora oggetto di azioni positive di miglioramento;
    l'Italia ha coordinato due progetti europei sui tumori rari, Surveillance of rare cancers in Europe (Rarecare) e Information network on rare cancers (Rarecarenet). Il primo, attraverso un processo di consenso, ha proposto la definizione di tumori rari ed ha prodotto una lista di 198 tumori rari. Il secondo progetto ha lavorato sulla definizione di centro di expertise per i tumori rari fornendo criteri generali e specifici per alcuni gruppi di tumori. Il Ministero della salute italiano ha supportato finanziariamente due progetti sui tumori rari, RITA (Surveillance of rare cancers in Italy) e RITA2 (Rare Cancers in Italy: surveillance and evaluation of the access to diagnosis and treatment), con gli obiettivi di fornire dati epidemiologici sui tumori rari in Italia e di raccogliere informazioni sulla qualità delle cure per alcuni tumori rari in Italia. Questi progetti sono stati basati sull'ampia collaborazione tra diversi esperti: patologi, oncologi, radioterapisti, chirurghi, epidemiologici, registri tumori di popolazione e volontariato oncologico (Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia – Favo);
    i tumori rari condividono con le malattie rare l'aspetto della rarità, ma sono diversi per il fatto che si qualificano come tumori e in quanto tali appartengono ad una delle patologie più frequenti in Italia. Gli stessi tumori rari sono rari, se presi singolarmente, ma non sono tali se considerati cumulativamente. Il progetto Surveillance of rare cancers in Italy (RITA) ha infatti calcolato che i 198 tumori rari corrispondono a circa il 23 per cento dei nuovi casi di tumore maligno in Italia (circa 1 tumore su 5 è un tumore raro);
    tra le principali differenze tra le malattie rare e i tumori rari se ne possono segnalare alcune per meglio comprendere la specificità dei due ambiti. I tumori rari sono tumori e quindi malattie sub-acute e vengono identificati in base all'incidenza ovvero al numero di nuovi casi/anno, mentre le malattie rare sono malattie croniche e quindi la prevalenza, che riflette il numero totale di casi in un determinato periodo nella popolazione, quantifica adeguatamente il peso che una malattia cronica ha a livello di popolazione. I tumori rari hanno una eziologia multifattoriale, mentre le malattie rare sono prevalentemente di origine genetica. I tumori rari hanno un andamento di tipo subacuto, caratterizzato da singoli eventi critici; mentre le malattie rare sono piuttosto malattie croniche, progressive e degenerative;
    nel loro insieme, i tumori rari costituiscono il 23 per cento dei nuovi casi di tumore maligno. Fanno parte dei tumori rari tutta la famiglia dei tumori pediatrici, molti della famiglia dei tumori ematologici, dieci famiglie di tumori solidi dell'adulto. In pratica, vi sono dodici famiglie di tumori rari, che sono seguite da comunità diverse di medici, pazienti, istituzioni di riferimento. Sono sarcomi; tumori rari della testa e collo; tumori del sistema nervoso centrale; mesotelioma e timoma; tumori delle vie biliari; tumori neuroendocrini; tumori delle ghiandole endocrine; tumori rari urogenitali maschili; tumori rari ginecologici; tumori degli annessi cutanei e melanoma delle mucose e dell'uvea;
    per queste famiglie, l'oncologia, in Italia ed in Europa, ha creato tipi diversi di collaborazioni, da quelle per la ricerca clinica, a quelle che producono linee guida per la pratica clinica; dalle collaborazioni su progetti ad hoc, alle reti di sorveglianza epidemiologica, per concludere con le reti di pazienti. In considerazione di queste realtà già presenti e funzionanti in buona parte dei Paesi europei, è necessario creare più Reti di riferimento europee (ERN) sui tumori rari, corrispondenti alle dodici famiglie di tumori rari che afferiscono alle relative comunità di medici, pazienti, istituzioni che se ne occupano. Il governo italiano dovrebbe sostenere con decisione a livello europeo che le Reti di riferimento europee corrispondano alle esistenti comunità di clinici, ricercatori, istituzioni, pazienti, cioè alle dodici famiglie di tumori rari e che – perché funzionino – siano definiti ed accreditati ufficialmente i centri di riferimento che le costituiscono, secondo i criteri che le diverse comunità scientifiche di riferimento avranno prodotto;
    i dati epidemiologici relativi all'Italia sono stati raccolti nell'ambito del progetto RITA2 e si basano sui registri tumori di popolazione italiani dell'AIRTUM (htpp://www.registri-tumori.it/cms/it). Attualmente infatti non esiste un registro nazionale dedicato i tumori rari, diversamente da quanto avviene per le malattie rare per le quali il decreto n. 279 del 2001 ha istituito un registro nazionale presso l'Istituto superiore di sanità. Quindi per i dati epidemiologici sui tumori rari ci si avvale dei registri tumori, fonte affidabile grazie all'esperienza ultradecennale nel fornire correntemente i dati epidemiologici su tutti i tumori. Resta comunque il problema che sebbene l'AIRTUM sia impegnata nella produzione di una monografia dedicata ai tumori rari, tuttora questi tumori non appaiono ancora nelle statistiche correnti né in Italia né in altri Paesi europei. Appare quindi importante garantire un costante aggiornamento dei dati epidemiologici volto anche ad aumentare le informazioni di base raccolte sui tumori rari in modo da poterle utilizzare, ai fini sia di una adeguata programmazione dei servizi sanitari che per la valutazione del loro impatto;
    in Italia, le reti dell'Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica (AIEOP) e del Gruppo italiano delle malattie ematologiche dell'adulto (GIMEMA) sostengono da anni la ricerca clinica, rispettivamente, nei tumori pediatrici e nei tumori ematologici, e contribuiscono a mantenere una buona qualità di cura tra centri di riferimento. Per quanto riguarda i tumori rari solidi dell'adulto (che corrispondono al 15 per cento di tutti i tumori rari e che sono molto meno presidiati da centri di riferimento specifici), dal 1997 la Rete tumori rari opera per migliorare la qualità di cura e diminuire la migrazione sanitaria attraverso la condivisione a distanza di singoli casi clinici;
    nel 2012 e nel 2013, gli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale del servizio sanitario nazionale ne hanno incorporato il progetto, con lo scopo di far divenire la Rete tumori rari una «risorsa permanente del sistema sanitario nazionale», interfacciata con le reti oncologiche regionali, attraverso una governance ed un finanziamento centrali, in collaborazione con le regioni. Questa rete ha costituito un punto di riferimento importante per una migliore assistenza ai malati di tumori rari ma, contrariamente a quanto stabilito negli obiettivi di carattere prioritario per il 2012 e 2013, la Rete tumori rari non è stata confermata negli ultimi obiettivi di carattere prioritario, rendendo privo di un progetto formale l'unico punto di riferimento in rete per i pazienti italiani con tumori rari solidi dell'adulto;
    al contrario, la relazione finale del gruppo di lavoro sulla Rete tumori rari del Ministero della salute, istituito con decreto ministeriale 14 febbraio 2013, ha proposto una serie di azioni, condivise dal Ministro, tra cui la formalizzazione a livello Stato-regioni della predetta Rete;
    il decreto ministeriale 14 febbraio 2013 aveva istituito un gruppo tecnico di lavoro sui tumori rari, che ha consegnato al Ministero della salute le sue conclusioni nel maggio 2015. Il gruppo di lavoro ha lavorato con il mandato di fornire elementi di analisi, identificare criticità e definire proposte in merito a quattro obiettivi:
     a) fornire indirizzi per la progettazione e valutazione dei progetti regionali attuativi, nell'ottica di promuovere la collaborazione permanente tra i centri oncologici distribuiti su tutto il territorio nazionale;
     b) formulare proposte per il pieno raggiungimento degli scopi della rete (RTR), che attualmente ha carattere prevalentemente tecnico-professionale, frutto di un processo di aggregazione spontanea che non va disperso, ma va potenziato e reso fruibile da tutti coloro che ne abbiano bisogno;
     c) elaborare proposte per aumentare l'accesso ai farmaci nel trattamento dei tumori rari, rivedendo i requisiti normativi delle evidenze scientifiche necessarie per accedere all'uso compassionevole dei farmaci (decreto ministeriale 8 maggio 2003), e indispensabili per circoscrivere gli usi off-label nei tumori rari a centri clinici di documentata esperienza in tal senso;
     d) stabilire criteri e metodi per la classificazione nosologica dei tumori rari, facendo riferimento allo studio «Surveillance of rare cancers in Italy»: la definizione di tumore raro va basata sulla incidenza, che è il miglior indicatore di frequenza e i tumori vanno distinti in base a caratteristiche anatomo-patologiche (OMS);
    le criticità maggiori emerse nell'ambito della cura e del trattamento dei tumori rari solidi dell'adulto riguardano quattro aspetti concreti:
     a) la necessità di poter accedere in tempi ragionevoli ad una seconda diagnosi, perché la prima nel 40 per cento dei casi si rivela inidonea;
     b) la necessità di accedere obbligatoriamente ad un centro di riferimento per il trattamento chirurgico, che rappresenta il cardine della cura e che – se condotto senza esperienza specifica – compromette seriamente le probabilità di guarire del singolo paziente;
     c) la possibilità di accedere con la formula «per uso compassionevole» a farmaci che abbiano mostrato risultati di attività ed efficacia anche qualora non siano disponibili studi formali di fase seconda, o non vi sia un'iniziativa di registrazione in corso da parte dell'azienda farmaceutica produttrice, o non vi siano sperimentazioni in corso, e altro (in molto Paesi ciò è già possibile);
     d) l'urgenza di disporre di una rete nazionale per i tumori rari, articolata secondo parametri condivisi, in cui sia possibile per i centri oncologici privi di un expertise iper-specialistico su un determinato tumore raro accedere a tele-consultazioni e condivisioni cliniche prolungate con centri di eccellenza;
    la Rete tumori rari, esattamente per la rarità delle patologie di cui si occupa, deve configurarsi come rete di respiro nazionale con caratteristiche e necessità specifiche. In particolare deve prevedere il coinvolgimento di tutte le regioni, in sede di accordo Stato-regioni e pubbliche amministrazioni; le caratteristiche vanno adeguatamente e strutturalmente specificate (criteri di identificazione dei nodi della rete) dalle regioni in modo tale che la Rete tumori rari possa essere facilmente riconoscibile; occorre implementare le funzioni di carattere nazionale, mediante la valorizzazione del sistema informativo/informatico e in coerenza con la normativa regionale delle «prestazioni per la rete»,

impegna il Governo:

   al fine di evitare l'interruzione dell'operatività della attuale Rete nazionale delle malattie rare, conseguente alla decisione della Conferenza Stato-regioni, a promuovere rapidamente iniziative in grado di assicurarne la continuità così da «traghettare», come già previsto, l'inserimento della Rete tumori rari nel Servizio sanitario nazionale;
   a formalizzare una lista di tumori rari, sulla base di quella proposta dal gruppo di lavoro sulla Rete tumori rari, seguendo le conclusioni del progetto Rarecare;
   ad avviare un percorso che conduca alla definizione di criteri per l'accreditamento di centri di riferimento per i tumori rari, con l'obiettivo di centralizzarne il trattamento locale e raccordandone l'azione all'interno delle reti collaborative, così da massimizzarne l'efficacia;
   a costituire un gruppo di lavoro per l'avanzamento del progetto della Rete tumori rari, coinvolgendo i registri tumori di popolazione e le associazioni di volontariato oncologico;
   ad assicurare un più agevole accesso per i malati di tumore raro all'uso compassionevole dei farmaci attraverso l'aggiornamento del decreto ministeriale 8 maggio 2003 («Uso terapeutico di medicinale sottoposto a sperimentazione clinica»);
   ad investire sulla ricerca clinica e di sanità pubblica per i tumori rari, innanzitutto prevedendo una regolare sorveglianza epidemiologica dei tumori rari, a partire dal lavoro svolto nell'ambito di Rarecare e Rarecarenet dalla struttura di epidemiologia dell'Istituto nazionale tumori di Milano, in collaborazione con l'Associazione italiana registri tumori (AIRTUM);
   a valorizzare le eccellenze presenti nei centri di riferimento italiani, per realizzare un monitoraggio efficace degli standard di eccellenza, a livello scientifico, clinico-assistenziale ed organizzativo;
   a supportare la Commissione europea nella procedura di valutazione e selezione dei centri di riferimento italiani che entreranno a far parte delle European Reference Network su base rigorosamente meritocratica, con indicatori precisi e condivisi;
   a diffondere le informazioni relative alle European Reference Network, agli standard necessari per entrare a farne parte e alle opportunità che potrebbero scaturire fin da subito per la ricerca a vario livello, stimolando processi di autovalutazione della qualità del lavoro nel proprio centro;
   a proporre modelli di integrazione e di collaborazione tra i nodi di eccellenza delle reti e i diversi operatori del servizio sanitario nazionale, in modo da favorire la conoscenza reciproca e lo scambio di competenze necessarie per garantire un'attività scientifica e assistenziale sempre più efficace sull'intero territorio nazionale;
   a potenziare la capacità di ricerca e di formazione dei centri, attraverso la partecipazione a progetti di ricerca scientifica dedicati ai tumori rari sia sotto il profilo diagnostico-assistenziale che sotto quello della organizzazione dei servizi e dei modelli di presa in carico dei pazienti a livello individuale e familiare;
   a verificare che in tutti i tavoli di lavoro in cui si trattano i tumori rari siano presenti i rappresentanti delle associazioni di malati che hanno raggiunto livelli di esperienza e di competenza di riconosciuto valore;
   a investire sulla sicurezza dei pazienti affetti da tumori rari attraverso: elevata e comprovata competenza dei professionisti, riconosciuta qualità scientifica, capacità di giungere a diagnosi precoci in modo corretto, elevata esperienza specifica sul trattamento locale, inserimento dei pazienti in progetti di sperimentazione farmacologica ad elevata probabilità di successo, presenza di un monitoraggio costante e continuo delle procedure;
   a investire sull'aggiornamento dei pediatri di base e dei medici di medicina generale perché collaborino con i centri di riferimento nel riconoscimento di «sintomi sentinella», nella prevenzione primaria e secondaria, e attraverso un'opportuna diffusione dei fattori di protezione e dei fattori di rischio;
   a facilitare il riferimento dei pazienti ai centri della rete nelle fasi iniziali della cura, attraverso un capillare sistema informativo con il coinvolgimento del volontariato oncologico;
   ad assumere iniziative per facilitare la ricerca sul piano farmacologico attraverso misure di defiscalizzazione attrattive per gli investitori, soprattutto quando si tratta di «farmaci orfani» che potrebbero fungere da salvavita;
   a facilitare l'accesso dei pazienti ai farmaci off-label, utilizzando il cosiddetto fondo Aifa per la ricerca, anche attraverso un opportuno coinvolgimento dei medici curanti, in modo da garantire ai malati un costante ed efficace interessamento nei loro confronti, pur in assenza, per il momento, di soluzioni certe e definitive.
(1-01063)
«Binetti, Bosco, Pagano, Calabrò, Sammarco, Minardo, Garofalo, Vella, Tancredi, Scopelliti, Pizzolante, Cera, Palese».
(12 novembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    i tumori rari sono neoplasie che possono svilupparsi in diverse parti dell'organismo e avere caratteristiche molto differenti: la scarsa diffusione è l'unico elemento che accomuna tutti i tumori classificati come rari, che rappresentano una famiglia estremamente eterogenea di patologie;
    al momento non ci sono forme attendibili per stabilire in materia di tumori rari quanto siano realmente diffusi, poiché non esiste una definizione univoca sui numeri che caratterizzano questa «rarità»: una delle questioni principali da dirimere è la definizione di tumore raro ovvero quando è così poco comune da poter essere definito raro;
    la Rete tumori rari è una collaborazione tra centri oncologici italiani per migliorare l'assistenza ai pazienti con tumori rari ed utilizza la soglia di incidenza, ovvero il numero di nuovi casi in un anno, inferiore o uguale a 5 casi su 100.000, ma altre organizzazioni utilizzano soglie diverse e ciò complica il calcolo della diffusione di queste patologie;
    i tumori rari rappresentano oltre il 20 per cento di tutti i tumori diagnosticati ogni anno nell'Unione europea e riguardano nel territorio europeo oltre 4 milioni di persone;
    in Italia, secondo i dati dello studio RITA, dedicato proprio ai tumori rari, ogni anno sono circa 60.000 le nuove diagnosi di tumore raro;
    un tumore che sia raro non significa che sia incurabile o che le possibilità di guarigione siano più limitate rispetto a quelle di un tumore più comune: alcune neoplasie rare hanno infatti percentuali di guarigione o di controllo della malattia superiori a tumori molto più diffusi;
    i tumori rari sono una famiglia di neoplasie molto eterogenee. Ne esistono infatti molte tipologie che possono interessare ogni parte dell'organismo: i ricercatori del progetto Rarecare (Surveillance of rare cancers in Europe), un progetto europeo che si occupa di tumori rari, ne hanno individuate oltre 250;
    tra i tumori rari più noti anche alcune forme di leucemie e linfomi, tumori pediatrici come il retinoblastoma o tumori solidi dell'adulto come il tumore gastrointestinale stromale (GIST) e i tumori neuroendocrini (Pnet);
    non è possibile definire fattori di rischio comuni per tutti i tumori rari perché queste patologie sono molto numerose e molto diverse tra loro, ma anche perché le informazioni e gli studi clinici ed epidemiologici su un tumore raro sono spesso limitati proprio a causa della difficoltà di reperire una quantità sufficiente di dati sui quali basare la diagnosi;
    la diagnosi è un momento fondamentale nel percorso di una persona che si confronta con il tumore: una diagnosi precoce e precisa consente di affrontare la malattia con gli strumenti più adatti a sconfiggerla o a tenerla sotto controllo;
    nel caso dei tumori rari la diagnosi oggi spesso arriva in ritardo, dopo che il paziente si è sottoposto a diverse visite o esami clinici. La ragione principale di questo ritardo è la difficoltà che incontrano i medici a riconoscere una patologia rara, con la quale hanno a che fare raramente nel corso della loro carriera professionale;
    per diagnosticare una malattia rara, sia tumorale sia di altra natura, servono infatti competenze particolari che solo un esperto del settore può garantire e servono inoltre esami specifici per rendere la diagnosi veramente completa e affidabile. Potrebbe quindi essere necessario inviare i campioni prelevati in altri laboratori per effettuare tali esami, allungando ulteriormente il tempo necessario per giungere alla diagnosi finale;
    nel 1997, per esempio, ha preso il via presso l'Istituto nazionale dei tumori di Milano (INT) la Rete tumori rari, un progetto nato con lo scopo di migliorare l'assistenza alle persone affette da un tumore raro, con particolare attenzione a quelli che vengono definiti tumori solidi dell'adulto (non si occupa infatti di tumori del sangue e tumori pediatrici). Si tratta di una collaborazione coordinata dall'Istituto nazionale dei tumori di Milano alla quale hanno aderito circa 200 centri oncologici in tutta Italia;
    dal 2001 esiste una Rete nazionale delle malattie rare, istituita dalla Conferenza Stato-regioni, a cui fa capo anche quella oncologica;
    gli obiettivi della Rete tumori rari sono:
     a) creare una collaborazione permanente tra strutture sanitarie con lo scopo di migliorare la qualità di cura ai pazienti con tumore raro;
     b) che la diagnosi e il trattamento nei centri partecipanti avvengano secondo criteri comuni;
     c) condividere a distanza casi clinici fra i centri partecipanti, in modo da migliorare le capacità di cura dei medici aumentando il numero dei casi che si trovano a fronteggiare;
     d) promuovere un accesso razionale a centri di diagnosi e cura, limitando al minimo indispensabile gli spostamenti dei pazienti;
     e) contribuire alla ricerca clinica sui tumori rari;
     f) contribuire alla diffusione della conoscenza sui tumori rari;
     g) diventare un modello sia dal punto di vista dei metodi utilizzati sia da quello delle tecnologie per ulteriori collaborazioni nell'ambito oncologico;
    i tumori rari in Italia, contrariamente da quanto previsto in Europa, non sono ricompresi nell'elenco delle malattie rare, che ha un proprio registro nazionale presso l'Istituto superiore di sanità istituito con il decreto n. 279 del 2001, e quindi i pazienti non possono beneficiare dei vantaggi, anche se insufficienti, riconosciuti alle persone affette da una patologia rara;
    si riscontrano e vengono denunciate dalle associazioni che si occupano di persone con tumore raro, difficoltà e disparità di accesso ai trattamenti innovativi, a volte uniche terapie efficaci per queste gravi forme di tumore;
    nel 2013 in Italia i pazienti affetti della sola leucemia mieloide cronica erano 7.881, con un'incidenza annuale in aumento stimata del 12 per cento, ovvero pari a 930 nuovi casi di persone con tumore raro;
    è necessario utilizzare e rendere accessibili le migliori terapie disponibili quando il paziente è ancora in fase cronica, per evitare il passaggio alle fasi avanzate della malattia;
    è estremamente importante, in un terreno orfano di terapie diagnostiche e specifiche, un efficace coordinamento dei centri specializzati che operano sul campo, ed appare necessario ottimizzare le risorse e promuovere le eccellenze che non mancano, evitando in tal modo i cosiddetti viaggi della speranza;
    non si può fare una programmazione delle strutture sul territorio in materia oncologica, se non si ha una base di conoscenza reale e attendibile sull'incidenza di queste malattie sul territorio. Senza queste informazioni è elevato il rischio di sovrastimare o sottostimare le strutture operanti nel campo: danneggiando comunque il paziente, in termini economici o di assistenza medica;
    l'obiettivo da perseguire è investire sulle terapie più innovative, sulla diagnostica della cronicità, ma anche sulla prevenzione e sul contrasto alle cattive abitudini che alimentano la diffusione delle patologie neoplastiche;
    il decreto-legge n. 158 del 2012 (cosiddetto decreto Balduzzi), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012, impone la registrazione dei farmaci orfani entro 100 giorni a partire dall'avvio della procedura nazionale,

impegna il Governo:

   al fine di assicurare specifiche forme di tutela ai soggetti affetti da tumori rari, ad implementare e dare continuità alla Rete nazionale per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi e la terapia delle malattie rare inserendo in tale ambito i tumori rari;
   a definire in maniera chiara e condivisa i tumori che devono essere riconosciuti come rari;
   ad individuare i centri di eccellenza per la prevenzione, diagnosi, cura e terapia dei tumori rari, con particolare riferimento alla loro presenza uniforme sul territorio nazionale;
   a predisporre l'elenco dei tumori rari nell'ambito dell'elenco delle malattie rare;
   a prevedere che l'elenco dei tumori rari sia una «lista dinamica» in grado di accogliere e aggiornare l'elenco via via che siano diagnosticate anche le nuove patologie definite come rare ai fini delle opportune tutele per i pazienti di tumori rari;
   a sviluppare la capacità di ricerca in tale ambito, anche destinando ad essa specifiche linee di finanziamento, e prevedendo un'adeguata formazione per chi opera in tali centri, attraverso la partecipazione a progetti di ricerca scientifica a livello nazionale ed europeo, dedicati ai tumori rari sia sotto il profilo diagnostico -assistenziale, che sotto quello della organizzazione dei servizi e dei modelli di presa in carico dei pazienti a livello individuale e familiare;
   a promuovere la defiscalizzazione delle spese sostenute in Italia per la ricerca clinica e pre-clinica relativa ai «farmaci orfani» e ai tumori rari, con particolare attenzione e che progetti di ricerca in tale ambito siano rivolti anche al territorio delle regioni con disavanzo sanitario e sottoposte a piani di rientro;
   a garantire e favorire l'utilizzo off-label di farmaci per la cura dei tumori rari di cui è accertata l'efficacia, sulla base di evidenze scientifiche, anche al fine del loro inserimento nella lista del decreto-legge n. 536 del 1996, convertito dalla legge n. 648 del 1996, favorendo lo sviluppo da parte dell'Agenzia italiana del farmaco di un'attenzione particolare ai tumori rari così come previsto per le malattie rare;
   ad aggiornare i dati relativi all'incidenza, sopravvivenza e prevalenza di ciascun tumore raro, tenuto conto dei dati relativi ai registri tumori AIRTUM;
   a verificare la possibilità di integrazione e validazione reciproca dei dati della Rete tumori rari (RTR) e dei dati dei registri tumori (AIRTUM);
   a prevedere la diffusione di informazioni sui tumori rari attraverso la collaborazione con le associazioni dei pazienti, coinvolgendo esperti, ricercatori, medici, associazioni di pazienti nel progetto informativo;
   a promuovere e favorire, anche attraverso apposite iniziative normative, l'istituzione di un registro nazionale tumori che comprenda, obbligatoriamente, i dati epidemiologi relativi ai tumori rari in riferimento agli elenchi citati in premessa;
   ad assumere iniziative affinché le attività di raccolta e analisi dei dati raccolti dai distretti e dalle aziende sanitarie locali, relativi a eziologia multifattoriale, eziologia generica o incerta possano essere attività correlate e connesse a quelle relative ai tumori rari;
   a intraprendere ogni iniziativa per il potenziamento della prevenzione primaria, da considerarsi attività di informazione e diffusione rispetto ai fattori di rischio, attraverso il coinvolgimento delle scuole e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, relativamente alle abitudini e ad un corretto stile di vita associato alla maggiore incidenza di patologie tumorali con particolare riferimento ai tumori rari;
   a garantire che, nell'ambito dell'attività di ricerca dell'Istituto superiore di sanità, sia garantito un finanziamento totalmente pubblico relativamente alla prevenzione primaria, secondaria e terziaria dei tumori rari.
(1-01073)
«Baroni, Silvia Giordano, Colonnese, Di Vita, Grillo, Lorefice, Mantero, Zolezzi, D'Incà».
(30 novembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    i tumori rari sono neoplasie che si sviluppano in un numero ristretto di persone, perciò talvolta vengono impropriamente associati alle malattie rare. Unica differenza con tutti i tumori è la scarsa diffusione, anche se superano il 20 per cento del totale. Nonostante non sia semplice riscontrare una definizione univoca, viene utilizzata la prevalenza, che la Rete tumori rari indica come soglia di incidenza – numero di nuovi casi in un anno – in 6 casi su 100.000 persone. Il numero totale delle persone affette da tumore raro è molto elevato perché sono circa 200 i tumori rari. In Italia, si stimano in circa 60.000 le nuove diagnosi di tumore, ogni anno;
    la rarità incide sulla difficoltà di effettuare la diagnosi perché non sempre si incrocia il medico veramente esperto nella scelta e nella gestione della terapia, atteso che non è facile condurre studi clinici su numeri di pazienti contenuti: ciò impone una particolare attenzione nella programmazione di azioni efficaci per consentire a tutte le persone malate di accedere alle cure appropriate;
    in occasione della conclusione di una indagine conoscitiva condotta nella XII Commissione (Affari sociali) della Camera dei deputati sulle malattie rare, nel luglio scorso, è stato affermato: «per quanto concerne specificatamente la rete dei tumori rari, essa funziona dal 1997 come collaborazione permanente tra centri oncologici distribuiti sul territorio nazionale. Nel 2012 la linea progettuale n. 4 degli obiettivi del Piano sanitario nazionale intendeva istituzionalizzare la Rete come risorsa permanente. Gli obiettivi di Piano del 2013 hanno ribadito il progetto dell'anno precedente, prevedendo un finanziamento globale di euro 55.000.000 per la Rete tumori rari e Rete malattie rare». Dal 2014, nel riparto del fondo sanitario è venuto meno lo stanziamento dedicato e vincolato, con il rischio di indebolire la Rete che faticosamente era stata creata, anche alla luce di quanto prevede il Piano nazionale sulle malattie rare 2013-2016 che, al punto 2.2, afferma: «Al momento i tumori rari sono in gran parte esclusi dall'elenco delle malattie rare, allegato al decreto ministeriale n. 279 del 2001, tuttavia è necessario rivalutare tale situazione anche alla luce dei risultati delle sperimentazioni in corso, al fine di integrare modelli organizzativi e processi assistenziali tra le reti esistenti in analogia a quanto avviene negli altri paesi europei»;
    in verità, l'Italia partecipa a progetti europei significativi, come ricorda – Associazione italiana registri tumori (AIRTUM) – indicando nel progetto RITA (sorveglianza sui tumori rari) una linea di ricerca importante per conoscere l'impatto dei tumori rari in Italia. I registri tumori sono uno strumento importante per conoscere la frequenza e la sopravvivenza della patologia tumorale, tuttavia per i tumori rari la qualità della informazione non è mai stata studiata sistematicamente. Il progetto ha avuto lo scopo di migliorare la raccolta delle informazioni ed è stato integrato con il progetto europeo Rarecare. Il progetto, concluso nel 2010, ha prolungato e approfondito la ricerca con il progetto RITA 2 che consente di affermare che sono circa 200 i tumori rari e superano il 20 per cento dei nuovi casi di tumore maligno in Italia;
    si è inoltre alle porte di un nuovo importante appuntamento europeo: nel 2016 nasceranno le Reti di riferimento europee – European Reference Network (ERN) – che saranno le sedi ove si forniranno input per la formulazione delle linee guida, nonché dei criteri per l'accreditamento per la ricerca, la prevenzione e la cura delle malattie rare;
    è interesse dei pazienti e del nostro Sistema sanitario fare in modo che ci siano centri italiani in grado di ottenere il riconoscimento di idoneità per l'ammissione nelle Reti di riferimento europee. Si potranno così far circolare le informazioni e le competenze evitando le migrazioni ai pazienti;
    le regioni hanno presentato il 20 ottobre 2015, una proposta operativa al Ministero della salute che individua i criteri per selezionare i presidi e le modalità per costituire i Consorzi, quali soggetti giuridici che parteciperanno nelle Reti di riferimento europee: è un impegno che si ritiene strategico per l'intera rete dei servizi impegnati nella oncologia italiana e nelle malattie rare;
    infine occorre ricordare che l'intergruppo parlamentare sulle malattie rare ha recentemente prodotto un documento che sottopone al Ministro della salute alcune linee prioritarie di azione che sono largamente condivise anche dalle società scientifiche e dalle associazioni di volontariato,

impegna il Governo:

   ad assicurare la partecipazione italiana al massimo livello alle Reti di riferimento europee (ERN);
   ad assicurare la revisione dei registri tumori affinché siano evidenziate le informazioni sui tumori rari;
   ad assicurare la continuità alla Rete tumori rari coinvolgendo le associazioni di malati e di volontari che operano nel settore;
   ad inserire negli obiettivi di Piano il finanziamento degli interventi per i tumori rari;
   a dare attuazione alle conclusioni cui è pervenuto il gruppo di lavoro istituito dal Ministero della salute il 14 febbraio 2013 consegnate nel maggio 2015, ed in particolare a potenziare la ricerca e facilitare l'accesso ai farmaci.
(1-01074)
«Miotto, Lenzi, Amato, Burtone, Grassi, Casati, Piazzoni, Capone, Paola Boldrini, Bini, D'Incecco».
(30 novembre 2015)

MOZIONI CONCERNENTI L'ANNUNCIATO PROCESSO DI PRIVATIZZAZIONE DI FERROVIE DELLO STATO ITALIANE S.P.A.

   La Camera,
   premesso che:
    Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. è la più importante società operante nel trasporto ferroviario italiano, con un fatturato di 8,4 miliardi di euro, 70.000 dipendenti e un totale di 16.700 chilometri di rete Ferroviaria;
    Ferrovie dello Stato italiane spa ha chiuso i primi sei mesi del 2015 con un fatturato di oltre 2 punti percentuali rispetto all'anno 2014, anno in cui ha segnato un Ebitda di 2,1 miliardi di euro, per un totale di 4,3 miliardi di euro di investimenti (in crescita fino a 6,5 miliardi di euro nel 2016);
    il Gruppo conta circa 70.000 dipendenti, di cui circa 5.000 in Germania (Netinera). La linea ferroviaria e lunga 16.726 chilometri, di cui circa 1.000 ad alta velocità. Il sistema alta velocità-alta capacità parte da Torino e arriva fino a Salerno (Torino-Milano-Bologna-Roma-Napoli-Salerno). Ulteriori tratti sono tra Milano e Treviglio e tra Padova e Mestre. Attualmente, si sta completando il tratto Milano-Verona-Venezia per disegnare la cosiddetta «T». La frequenza è di 8.000 treni al giorno di cui circa 7.000 regionali e 1.000 tra alta velocità, media e lunga percorrenza e treni merci;
    le Ferrovie dello Stato nacquero nel 1905 dopo la statalizzazione di numerose ferrovie italiane. Già dal 1945 azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato, sotto il controllo del Ministero dei trasporti, nel 1986 si trasforma in ente pubblico economico. Nel 1992 l'ente fu trasformato in società per azioni con partecipazione statale totale attraverso il Ministero dell'economia e delle finanze. Nel 1999 ha inizio la divisionalizzazione della società con la nascita di Trenitalia nel 2000 e di Rfi nel 2001. Il 24 maggio del 2011 le Ferrovie dello Stato divengono Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a., in breve FS Italiane;
    Trenitalia è l'impresa di trasporto passeggeri e merci mentre Rete Ferroviaria Italiana (Rfi) è la società che si occupa della gestione dell'infrastruttura: entrambe sono partecipate al 100 per cento di Ferrovie dello Stato italiane;
    secondo i dati Mediobanca del 2015 il Gruppo Ferrovie dello Stato italiane è la seconda azienda italiana per investimenti, quinta per dipendenti, decima per redditività e tredicesima per fatturato. Infine, Ferrovie dello Stato italiane quest'anno ha conquistato il primo posto nella classifica delle aziende dove i giovani neolaureati desiderano lavorare ed è risultata prima nel ranking «Best Employer of Choice 2015»;
    nel Documento di economia e finanza (DEF) 2014, approvato in via definitiva dalle Camere il 17 aprile 2014, il Governo aveva già manifestato l'intenzione di attuare un piano di privatizzazioni mediante la dismissione di partecipazioni in società controllate anche indirettamente dallo Stato e l'attivazione di strumenti per consentire le dismissioni anche da parte degli enti territoriali; come riportato nel programma nazionale di riforma contenuto nello stesso documento, le società coinvolte nell'operazione includono società a partecipazione diretta quali ENI, STMicroelectronics, ENAV, nonché società in cui lo Stato detiene partecipazioni indirettamente tramite Cassa depositi e prestiti, quali SACE, FINCANTIERI, CDP Reti, TAG (Trans Austria Gastleitung Gmbh) e, tramite Ferrovie dello Stato, in Grandi Stazioni – Cento Stazioni;
    il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio, ha annunciato recentissimamente che sarà avviata la procedura di privatizzazione di Ferrovie dello Stato, specificando che, comunque, non potrà andare oltre il 40 per cento. In particolare, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Delrio ha dichiarato che si tratta di un percorso che tiene presenti alcune questioni per cui l'infrastruttura ferroviaria dovrà rimanere pubblica e dovrà essere garantito l'accesso a tutti in maniera uguale. Il 40 per cento potenzialmente alienabile andrà a un azionariato diffuso e investitori istituzionali;
    considerato che le privatizzazioni in Italia sono state sempre caratterizzate da un percorso particolarmente complesso, pieno di fallimenti e di incognite in cui spesso si sono intrecciate operazioni finanziarie poco trasparenti, per cui lo Stato quasi mai ne ha tratto vantaggio né dal punto di vista economico, né tanto meno sotto il profilo della competitività;
    con riferimento alla privatizzazione di Ferrovie dello Stato italiane, si è sempre parlato in questi mesi della possibile attuazione di due strategie. La prima, battezzata del «carciofo da sfogliare», è caratterizzata da una vendita di pezzi del Gruppo ferrovie dello Stato italiane, in prospettiva lasciando in mano pubblica solo la rete ferroviaria – d'importanza strategica per il Paese e bisognosa di forti investimenti – per collocare subito sul mercato alta velocità e trasporto merci, servizi già redditizi o potenzialmente tali. La seconda consiste nella la vendita secca di una quota di minoranza della holding che controlla il Gruppo, riportando direttamente allo Stato la rete ferroviaria o comunque regolandone la gestione da parte di Rete ferroviaria italiana in modo da garantire l'accesso paritario agli operatori;
    sotto tale profilo si evidenzia che qualunque strategia avesse voluto intraprendere il Governo, il Parlamento, innanzitutto, avrebbe dovuto esercitare una, funzione di controllo e indirizzo politico importante al riguardo in quanto Ferrovie dello Stato italiane non è solo società controllata dallo Stato, ma una grande impresa partecipata pubblica la cui privatizzazione potrebbe determinare l'indebolimento di rilevanti potenzialità industriali nazionali in termini di riconversione ecologica, civile e tecnologica del sistema economico italiano, senza peraltro un sostanziale effetto di diminuzione del debito pubblico, ma con una riduzione delle entrate fornite al bilancio dello Stato dai dividendi della stessa società;
    qualsiasi disegno di privatizzazione che coinvolga il gruppo ferrovie dello Stato italiane appare infatti delicato e destinato a suscitare preoccupazioni, oltre che interessi, anche e soprattutto per il valore patrimoniale dei ricchi asset di cui dispone che per la redditività economica della gestione industriale. Si tratta, infatti, di una società dal voluminoso valore patrimoniale che viene da una storia ultra secolare e resta fondamentale per la mobilità integrata del sistema Paese;
    le ferrovie rappresentano un bene strategico per il Paese ed una risorsa per tutti gli italiani, ma l'attuale Governo, nel farsi promotore e forte sostenitore della privatizzazione delle Ferrovie dello Stato italiane, sembra dimenticare i temi ancora caldi da sciogliere a partire dal rapporto con Rete ferroviaria italiana (la controllata che gestisce la rete) e Trenitalia con i vari contratti (dalla lunga percorrenza sino a tutta la partita del trasporto locale). Soprattutto, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, il timore è che il Gruppo Ferrovie dello Stato verrebbe, in sostanza, svuotata di valore e di contenuti e il tutto per raccogliere pochi miliardi di euro (tra i 5 e i 10 miliardi a quanto risulta) che non sono assolutamente nulla rispetto ai 2000 miliardi di debito pubblico accumulati dal nostro Paese;
    in buona sostanza, appare inspiegabile il motivo per cui si intenda in controtendenza a quanto accade in altri Paesi europei come la Francia e la Germania, privatizzare una società solida e in crescita come Ferrovie dello Stato, capace di operare sul mercato italiano e di aprirsi ad una competitività nel trasporto ferroviario e alla logistica anche a livello continentale per garantirsi nell'immediato quella che sembrerebbe una modesta entrata economica, mettendo a repentaglio profitti, livelli occupazionali e qualità professionali;
    l'imminente alienazione di quote di Ferrovie dello Stato italiane non sembra, infatti, considerare i rischi derivanti da una affrettata privatizzazione soprattutto sotto il profilo della salvaguardia del mantenimento dei diritti e delle tutele per le lavoratrici ed i lavoratori operanti nel comparto ferroviario che rappresenta il prerequisito per la sicurezza e il buon funzionamento del sistema ferroviario e per servizi di alta qualità nei confronti delle persone. Senza contare che, con l'estensione della concorrenza nel trasporto ferroviario di passeggeri nazionale, il processo di privatizzazione e la possibile pressione finalizzata al taglio dei costi, l'attuale situazione di crisi economica in cui versa il Paese potrebbe ulteriormente aggravarsi con inevitabili conseguenze sul piano della riduzione del numero dei dipendenti, il maggior ricorso all’outsourcing e al subappalto dei servizi, l'aumento dei contratti atipici, l'incremento dell'utilizzo dei lavoratori in somministrazione, l'intensificazione dei carichi e della pressione sul lavoro, l'aumento degli orari di lavoro flessibili, del frazionamento dei turni di lavoro e del ricorso al lavoro straordinario;
    le recenti affermazioni del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Delrio, infine, appaiono ai firmatari del presente atto d'indirizzo non tenere minimamente conto dei rischi da un'ulteriore e affrettata liberalizzazione e frammentazione del servizio ferroviario italiano, soprattutto rispetto alla necessità di garantire ai milioni di utenti attraverso prezzi sostenibili e la certezza di non vedersi tagliare o ridurre ulteriormente le corse su linee che potrebbero venire considerate non redditizie, ma fondamentali per garantire un trasporto pubblico che, come tale, deve garantire i collegamenti con tutte le aree del Paese, includendo anche le cosiddette zone periferiche,

impegna il Governo:

   ad astenersi nell'immediato dal procedere alla messa sul mercato di quote pubbliche afferenti al gruppo Ferrovie dello Stato italiane S.p.a., quantomeno fino a quando il Governo non avrà illustrato alle Camere in modo puntuale tutti gli aspetti e i risvolti economici, industriali, occupazionali e sociali conseguenti all'annunciato piano di privatizzazione del gruppo;
   a presentare al Parlamento, prima di procedere a qualsiasi iniziativa di alienazione di quote di società direttamente o indirettamente di proprietà dello Stato, una relazione contenente i dati finanziari e industriali degli effetti della alienazione sul bilancio dello Stato e i minori dividendi versati al bilancio dello Stato in conseguenza dell'alienazione.
(1-01068)
«Franco Bordo, Scotto, Fassina, Airaudo, Fava, Placido, Gregori, Ricciatti, D'Attorre, Ferrara, Marcon, Carlo Galli, Duranti, Piras, Folino, Fratoianni, Melilla, Quaranta, Zaccagnini, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Sannicandro, Zaratti».
(24 novembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a. è la più importante società operante nel trasporto ferroviario italiano, con un fatturato di 8,4 miliardi di euro, 70 mila dipendenti che gestiscono 8 mila treni al giorno, 600 milioni di passeggeri e 50 milioni di tonnellate-merci all'anno ed un totale di 16.700 chilometri di rete ferroviaria;
    Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a. ha chiuso i primi sei mesi del 2015 con un fatturato in crescita di oltre 2 punti percentuali rispetto all'anno 2014. Grande rilievo ha assunto il nuovo sistema «alta velocità», di alto valore strategico, che ha costituito una vera rivoluzione nelle abitudini di vita e di lavoro degli italiani accorciando le distanze e dando un forte impulso alla crescita ed allo sviluppo del Paese. Negli ultimi anni, tra l'altro, Ferrovie dello Stato Italiane spa ha esteso la sua presenza, con acquisizioni e partnership ad altri grandi mercati come Germania, Francia, Olanda e Nord-Est Europa;
    il processo di liberalizzazione del trasporto ferroviario ha comportato una complessa ridefinizione giuridica ed organizzativa dell'assetto dell'azienda autonoma delle ferrovie dello Stato, resasi necessaria anche a seguito della crisi maturata nel corso degli anni ’60 e'70 dovuta principalmente alla inefficienza organizzativa e produttiva dell'azienda. L'azienda è stata trasformata con legge n.  210 del 1985 in Ente Ferrovie dello Stato ed ha successivamente acquisito l'identità di ente pubblico economico. Successivamente, alla luce dell'evoluzione della disciplina comunitaria, è stata trasformata con delibera Cipe, in società per azioni «Ferrovie dello Stato – Società di trasporti e servizi per azioni» cui sono state demandate le funzioni relative ai servizi di trasporto ferroviario sulla rete nazionale; al Ministro dell'economia e delle finanze è stata attribuita la titolarità delle azioni; al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è stata assegnata la competenza a definire le modalità ed i contenuti delle concessioni intestate alla società;
    per quanto riguarda l'assetto societario, con il contratto di programma 1994-2000 e con le direttive del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 gennaio 1997 e del 18 marzo 1999 si è scelto di procedere alla separazione delle attività di gestione dell'infrastruttura da quelle di gestione dei servizi di trasporto. Il processo di separazione societaria è stato completato dopo la realizzazione del processo di «divisionalizzazione» con la costituzione, il 1o giugno 2000, di una società che svolge l'attività di trasporto (Trenitalia S.p.a.) cui ha fatto seguito il 1o luglio 2001, la costituzione di un'ulteriore società per la gestione dell'infrastruttura (RFI – Rete ferroviaria italiana S.p.a.) entrambe interamente possedute da Ferrovie dello Stato S.p.a;
    lo schema organizzativo delle Ferrovie dello Stato è quindi quello di una holding, FSI S.p.a., cui fanno capo sia la società di gestione delle infrastrutture, RFI S.p.A., che l'impresa di trasporto, Trenitalia S.p.a., la cui separazione legale, amministrativa, contabile e gestionale è garantita e vigilata dallo Stato;
    alla società Ferrovie dello Stato italiane S.p.a., (in base alla concessione di cui al decreto ministeriale 26 novembre 1993, n. 225) era stato attribuito l'esercizio del servizio ferroviario di trasporto pubblico per la durata di settanta anni. Successivamente il decreto ministeriale 31 ottobre 2002, n. 138 ha abrogato il precedente decreto, attribuendo la concessione a RFI ai soli fini della gestione dell'infrastruttura ferroviaria nazionale, per un periodo di sessanta anni;
    gli strumenti che regolano i rapporti tra Ferrovie dello Stato italiane S.p.a e lo Stato sono:
     a) il contratto di programma ed il contratto di servizio con il gestore dell'infrastruttura che individuano, da un lato gli investimenti necessari allo sviluppo e al mantenimento in efficienza dell'infrastruttura ferroviaria e gli oneri di gestione della medesima posti a carico dello Stato, dall'altro, la manutenzione ordinaria della rete ferroviaria;
     b) il contratto di servizio con l’ impresa di trasporto, che individua gli obblighi di servizio pubblico posti a carico di quest’ ultima con riferimento al servizio universale;
    Ferrovie dello Stato italiane ha svolto negli ultimi anni un grande lavoro di razionalizzazione e di risanamento. Ha portato avanti un piano di ristrutturazione, ma anche operazioni di investimento e di sviluppo. La dirigenza di Ferrovie dello Stato italiane ha inoltre operato per rendere più efficiente e più produttiva l'azienda con risultati positivi. Oggi, infatti, il gruppo rappresenta una realtà di sicuro affidamento;
    il Consiglio dei ministri ha approvato in via preliminare, un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, predisposto dal Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, relativo alla cessione di non oltre il 40 per cento di quote della società Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A. ai sensi della normativa sulle privatizzazioni;
    con tale schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri viene regolamentata l'alienazione di una quota della partecipazione nella società non superiore al 40 per cento disponendo che tale cessione potrà essere effettuata anche in più fasi. Il 40 per cento alienabile andrà ad un azionariato diffuso ed a investitori istituzionali;
    lo schema di decreto, inoltre, prevede che al fine di favorire la partecipazione all'offerta, possono essere previste per i dipendenti del gruppo ferroviario forme di incentivazione;
    il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha chiarito che questa operazione dovrà tenere presenti alcune questioni fondamentali: la proprietà dell'infrastruttura ferroviaria, che dovrà rimanere pubblica, la garanzia di accesso a tutti in maniera uguale, l'indipendenza completa del gestore della rete, la garanzia degli obblighi del servizio pubblico e la piena maggioranza dell'azionariato dello Stato,

impegna il Governo:

   a proseguire la procedura di privatizzazione già avviata, garantendo che la proprietà della rete resti pubblica e, al contempo, assicurando gli obblighi del servizio pubblico e la maggioranza piena dell'azionariato dello Stato;
   ad informare compiutamente il Parlamento sui dati finanziari ed industriali degli effetti della privatizzazione.
(1-01070) «Dorina Bianchi, Garofalo».
(27 novembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. rappresenta una delle più grandi realtà industriali del Paese con un personale di circa settantamila persone chiamate a gestire oltre 8 mila treni al giorno, 600 milioni di passeggeri e 50 milioni di tonnellate-merci all'anno su un network di oltre 16.700 chilometri;
    nel primo semestre 2015 il risultato netto di periodo conseguito dal gruppo Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. si è attestato a 292 milioni di euro, segnando un incremento rispetto al medesimo periodo dell'esercizio precedente del 2,5 per cento, pari a 7 milioni di euro;
    i ricavi da mercato inerenti ai prodotti del traffico viaggiatori sono aumentati, sempre nel primo semestre 2015, di 74 milioni di euro rispetto al primo semestre 2014. Particolarmente produttivo è stato il settore della media e lunga percorrenza che ha chiuso il periodo con un incremento netto totale di 20 milioni di euro;
    a differenza dei ricavi da contratto di servizio che hanno chiuso il periodo con una flessione di 9 milioni di euro, a determinare il raggiungimento del risultato positivo di cui sopra hanno contribuito anche i ricavi da servizi di infrastruttura che hanno registrato una variazione positiva pari a 6 milioni di euro rispetto allo stesso periodo del 2014, grazie soprattutto all'aumento dei ricavi da vendita trazione elettrica;
    il 23 novembre 2015 il Consiglio dei Ministri ha avviato il processo di privatizzazione e di definizione delle modalità di parziale vendita della partecipazione detenuta dal Ministero dell'economia e delle finanze nel capitale di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a., approvando, in esame preliminare, un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri predisposto dal Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, relativo alla cessione di non oltre il 40 per cento di quote di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a. ai sensi della normativa sulle privatizzazioni (legge n. 474 del 1994 e legge n. 481 del 1995);
    suddetta operazione, sebbene non confermata nella nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza recentemente sottoposta alla Camera dei deputati, era già stata annunciata dal Governo e rientra nel non condivisibile piano di privatizzazioni attuato dall'Esecutivo che ha ultimamente portato in Borsa Poste Italiane e previsto la quotazione di Enav;
    nel Documento di economia e finanza 2015, tra le indicazioni contenute nella tabella relativa al cronoprogramma per le riforme, veniva infatti indicato in fase di avanzamento il processo di cessione di partecipazioni statali, che interessa Poste Italiane, Enav e STMicroelectronics Holding e Ferrovie dello Stato italiane, con riferimento alle società partecipate Grandi Stazioni e Cento Stazioni senza entrare ulteriormente nel merito di suddette procedure;
    coerentemente con quanto indicato nel Documento di economia e finanza, l'operazione di privatizzazione prevede innanzitutto la scissione, deliberata gli scorsi mesi dal consiglio di amministrazione, non proporzionale di Grandi Stazioni in tre aziende: GS Rail, GS Immobiliare e GS Retail, che costituisce la parte commerciale del gruppo. Per quest'ultima si è da ultimo dato il via alla prevista vendita del network di gallerie commerciali, con le relative concessioni, nei 14 scali chiave nazionali, passando così dal controllo pubblico a quello privato, con la pubblicazione di un bando internazionale per la vendita del 100 per cento di GS Retail, valutata in circa un miliardo, inclusi 150 milioni di euro di debito, per un incasso per le Ferrovie di almeno mezzo miliardo. La società è considerata un asset unico secondo l'opinione di investitori che mirano alla creazione di valore, in base al piano al 2020 disegnato dall'amministratore delegato di Gs Retail, puntando a raddoppiare la superficie a reddito con un investimento di 160 milioni di cui 100 a carico degli acquirenti, oltre gli investimenti in opere esterne per i quali sono stati allocati 330 milioni dal Cipe. È previsto tempo fino al 14 dicembre 2015 per le manifestazioni di interesse a Gs Retail e all’advisor Rothschild, scadenzando una prima selezione entro Natale, anche sulla base di un patrimonio netto di 400 milioni di euro e 500 milioni di euro di ricavi e prevedendo da gennaio 2015 la preparazione di offerte non vincolanti dei candidati, cui seguiranno quelle impegnative, per procedere alla vendita totale entro aprile 2015;
    in generale, tale percorso di privatizzazione è già stato dunque oggetto di critiche da parte del Gruppo Parlamentare Movimento 5 Stelle che aveva fatto notare come non fossero chiare le procedure che avrebbero dovuto guidare queste delicate operazioni di alienazione né, tantomeno, i reali benefici in termini economici potenzialmente derivanti;
    relativamente all'operazione di privatizzazione del gruppo Ferrovie dello Stato era stata inoltre evidenziata l'antitetica posizione, tutt'oggi irrisolta, dell'amministratore delegato uscente di Ferrovie dello Stato, Michele Elia, favorevole alla cessione di una quota della holding Ferrovie dello Stato italiane S.p.a., rispetto a quella dell'uscente presidente, Marcello Messori, incline a lasciare la rete ferroviaria in mano pubblica, privatizzando solo alcune attività giudicate contendibili quali il trasporto merci e l'alta velocità;
    lo stesso Messori, in una recente intervista, avrebbe affermato che privatizzare le ferrovie così come sono «rischia di tradursi in una svendita del gruppo Fs (3,5/4 miliardi per il 40 per cento delle quote proprietarie) (...) che porterebbe a incassi pubblici pari alla metà o a un terzo di quelli promessi dalla privatizzazione a stadi»;
    la scissione di cui sopra ha portato in data 26 novembre 2015 alle dimissioni di tutto il consiglio di amministrazione di Ferrovie dello Stato Spa compresi, dunque, sia il presidente del gruppo che l'amministratore delegato, aumentando, di fatto, il clima di incertezza che sta caratterizzando la procedura di privatizzazione di cui in parola e lasciando il gruppo temporaneamente privo di una guida;
    secondo indiscrezioni di stampa, il Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe vissuto questo dissidio interno al consiglio di amministrazione con grande distacco e senza la reale intenzione di trovare un accordo e mediare tra le diverse istanze, concentrandosi esclusivamente sulla ricerca del successore da designare piuttosto che cercando di programmare le fasi di privatizzazione avvalendosi di esperti e udendo le istanze delle parti;
    ricerca, quest'ultima, che risulta essere stata piuttosto facile vista non solo la fulminea nomina del dottor Mazzoncini all'indomani delle dimissioni del consiglio di amministrazione, ma soprattutto considerato il fatto che indiscrezioni di stampa, già da qualche mese, designavano quest'ultimo come prossimo successore del dottor Elia, anche alla luce della lunga conoscenza tra il dottor Mazzoncini e il Presidente del Consiglio dei ministri;
    Renato Mazzoncini era, infatti, prima della nomina appena avvenuta, amministratore delegato della controllata di Fs Busitalia e nel 2012, in tale veste, favorì l'accordo con l'allora sindaco di Firenze, Matteo Renzi, per la privatizzazione dell'Ataf, azienda tranviaria fiorentina;
    suddetta procedura di privatizzazione è stata definita dalla stampa «un capolavoro lessicale ben presto entrato nella mitologia renziana», visto che sarebbe stata realizzata vendendo ad una società statale, anche grazie alla «consulenza legale fornita dall'allora avvocato Maria Elena Boschi», oggi Ministro per le riforme costituzionali e i trasporti con il Parlamento;
    la privatizzazione di Ferrovie dello Stato rischia dunque di ricalcare, a livello nazionale, lo schema, fallimentare e poco risolutivo per le casse pubbliche, adottato per la società Ataf, con il ripresentarsi dei medesimi soggetti coinvolti all'epoca nel capoluogo toscano;
    sempre relativamente al dottor Mazzoncini, si segnala, inoltre, come lo stesso sarebbe stato, secondo indiscrezioni di stampa, già proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri, per la successione di Moretti subito dopo il passaggio di quest'ultimo al vertice di Finmeccanica. Operazione allora non riuscita visto l’endorsement dell'amministratore uscente nei confronti di Elia;
    l'incertezza che caratterizza questo percorso di alienazione che, proprio in quanto tale, andrebbe invece eventualmente intrapreso solo al termine di lunghe, trasparenti e oggettive valutazioni formulate da tecnici contabili in sinergia con tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento, e non solo in seno all'Esecutivo, come di fatto sta avvenendo, è rinvenibile ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, non esclusivamente nel dissidio interno tra Messori ed Elia, ma anche tra quest'ultimo e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
    in occasione del meeting di Comunione e Liberazione, svoltosi il 24 agosto 2015 a Rimini, il dimissionario amministratore delegato e l'attuale Ministro delle infrastrutture e dei trasporti avrebbero infatti assunto posizioni diverse confermando il primo la volontà di mantenere uniti la rete (Rfi) e i servizi di trasporto (Trenitalia), collocando in blocco in Borsa il 40 per cento delle azioni di Ferrovie dello Stato e, il secondo, invece, prospettando la possibilità di mantenere la rete ferroviaria patrimonio pubblico scorporandola da Trenitalia;
    poiché risulta essere totalmente assente, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, una politica seria di lungo periodo mirante all'abbattimento del debito pubblico, tali interventi di cosiddetta privatizzazione rischiano di non essere risolutivi ed essere, piuttosto, controproducenti, raggiungendo risultati effimeri e assolutamente limitati temporalmente,

impegna il Governo:

   a sospendere l'attuale procedura di privatizzazione in corso e a garantire la proprietà pubblica degli asset strategici;
   alla luce delle dimissioni rassegnate da tutti i componenti del consiglio di amministrazione di Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. e della recente nomina del nuovo amministratore delegato, ad assumere iniziative per rivedere, al più presto, le procedure di nomina degli organi sociali delle società direttamente o indirettamente partecipate dallo Stato al fine di garantire il conferimento di sopradetti incarichi a persone che abbiano una comprovata esperienza nel settore, escludendo l'appartenenza politica dai criteri di nomina;
   ad elaborare una nuova, più seria e più lungimirante politica di abbattimento del debito pubblico che non preveda l'alienazione del patrimonio pubblico, che secondo i firmatari del presente atto risulta invece essere dannosa e controproducente, dando luogo a degli effimeri e temporanei risultati di cassa, persino dannosi nel lungo periodo.
(1-01071)
«De Lorenzis, Liuzzi, Spessotto, Dell'Orco, Nicola Bianchi, Carinelli, Paolo Nicolò Romano, Cozzolino».
(30 novembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    lunedì 23 novembre 2015 il Consiglio dei Ministri ha approvato, in esame preliminare, un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, predisposto dal Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, che prevede la cessione di non oltre il 40 per cento di quote della società Ferrovie dello Stato italiane S.p.a.;
    Ferrovie dello Stato rappresenta una delle più grandi realtà industriali del nostro Paese, con 2.300 stazioni viaggiatori, circa 70 mila dipendenti, oltre 8mila treni al giorno, 600 milioni di passeggeri e 50 milioni di tonnellate-merci all'anno su un network di quasi 17000 chilometri, di cui 1.000 dedicati all'Alta velocità, oltre 11.900 elettrificati oltre 7.400 a doppio binario;
    Ferrovie dello Stato fa capo direttamente a 11 società operative, 8 delle quali partecipate al 100 per cento;
    la privatizzazione parziale di Ferrovie dello Stato, prevista nel corso del 2016, compatibilmente con le condizioni del mercato, è un passaggio fondamentale del piano di arretramento della presenza pubblica nell'economia, un piano che nel mese scorso ha portato alla quotazione in Borsa di Poste Italiane e che nella prima metà del 2016 interesserà anche Enav;
    la bozza di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri prevede che la privatizzazione, effettuabile in più fasi, si concretizzi attraverso un'offerta pubblica di vendita rivolta al pubblico dei risparmiatori in Italia, inclusi i dipendenti del gruppo Ferrovie dello Stato, a investitori istituzionali italiani e internazionali e quotazione sul mercato azionario;
    i termini di dettaglio dell'operazione, che secondo stime di alcune testate economiche potrà far entrare nelle casse dello Stato da 3 a 14 miliardi di euro a seconda del grado e dell'intensità della privatizzazione, sono ancora in corso di definizione;
    l'8 ottobre 2015 il Consiglio dei Ministri dei trasporti dell'Unione europea ha dato il via libera al pilastro politico del quarto pacchetto ferroviario che prevede un accesso non discriminatorio delle società ferroviarie dell'Unione europea alla rete in tutti i Paesi dell'Unione europea ai fini della prestazione di servizi di trasporto nazionale di passeggeri. L'accordo istituisce inoltre salvaguardie per evitare conflitti di interesse e aumentare la trasparenza dei flussi finanziari tra i gestori dell'infrastruttura e gli operatori del trasporto ferroviario;
    la rete infrastrutturale ferroviaria, sia convenzionale sia alta velocità, è un monopolio naturale. La sua gestione porta con sé un rilevante patrimonio di informazioni di rilevante interesse pubblico e privato, anche in un'ottica di ottimizzazione e razionalizzazione del trasporto;
    in presenza di un monopolio naturale, stante l'impossibilità di sviluppare un mercato concorrenziale, risulta opportuno che, soprattutto nella fase di avvio di un mercato concorrenziale, la gestione dell'infrastruttura resti in mano pubblica, per prevenire situazioni di monopolio e conflitto di interessi nell'accesso all'infrastruttura stessa;
    la privatizzazione del gruppo Ferrovie dello Stato, senza preventiva separazione della rete, darebbe vita a un monolitico blocco pubblico-privato, tale da ostacolare la concorrenza e impedire una reale parità di accesso ai servizi di tutti gli operatori del mercato;
    al fine di creare le condizioni necessarie per un miglioramento della qualità dei servizi e per la creazione di un vero mercato concorrenziale, è opportuno separare la rete, e la sua gestione, mantenendole sotto il controllo di un soggetto di natura pubblica, e privatizzare invece la parte del gruppo Ferrovie che fornisce servizi di trasporto;
    in un tale schema di privatizzazione, sarà possibile valutare anche l'integrale privatizzazione delle società di servizi, anziché del solo 40 per cento, con conseguente aumento dei proventi per lo Stato e completa apertura del mercato;
    nell'ambito di tale impostazione dovrà essere considerata prioritaria la privatizzazione dei servizi di trasporto ferroviario di merci, al fine di assicurare la piena apertura e concorrenzialità di tale mercato,

impegna il Governo:

   a procedere al piano di privatizzazione di Ferrovie dello Stato italiane S.p.a., con modalità idonee ad assicurare un reale sviluppo della concorrenza nel settore e lo sviluppo e l'ammodernamento dell'infrastruttura, anche sulle tratte secondarie;
   a valutare forme di privatizzazione del gruppo Ferrovie dello Stato tali da mantenere la gestione della rete infrastrutturale sotto un pieno, terzo e imparziale controllo pubblico;
   ad elaborare uno schema di privatizzazione che, anziché coinvolgere l'intero gruppo, preveda la separazione delle infrastrutture e della loro gestione, e l'ingresso dei privati nelle sole società del gruppo che erogano servizi di trasporto, partendo, prioritariamente, dalla privatizzazione dei servizi di cargo ferroviario;
   a valutare, in tale contesto, anche la privatizzazione di una quota azionaria superiore al 40 per cento.
(1-01072)
«Mazziotti Di Celso, Monchiero, Catalano, Quintarelli, Matarrese».
(30 novembre 2015)

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