TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 549 di Lunedì 18 gennaio 2016

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER IL CONTRASTO DELLE INFEZIONI IN AMBIENTE OSPEDALIERO E SANITARIO

   La Camera,
   premesso che:
    le infezioni nosocomiali e la resistenza antimicrobica costituiscono due specifiche problematiche sanitarie richiamate nell'allegato 1 della decisione n. 2000/96/CE del 22 dicembre 1999 della Commissione europea relativa alle malattie trasmissibili da inserire progressivamente nella rete comunitaria in forza della decisione n. 2119/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio;
    la resistenza antimicrobica è la capacità di un microrganismo (batterio, virus o parassita) di resistere ad uno o più antimicrobici (multiresistenza) usati in via terapeutica o profilattica;
    i maggiori fattori causali di tale fenomeno sono l'abuso di antimicrobici (che finisce per esercitare una pressione ecologica sui microrganismi e contribuisce alla comparsa e alla selezione di elementi resistenti), la mutazione genetica degli stessi microrganismi, la loro diffusione/trasmissione crociata uomo-uomo, animale-animale e uomo-animale-ambiente;
    nell'ambito della mortalità per malattie infettive, il fenomeno dei microrganismi multiresistenti rappresenta un rischio sanitario assai rilevante, dal momento che le terapie alternative sono limitate o addirittura inesistenti e che esso presenta un'incidenza primaria nell'ambito delle prestazioni erogate negli ospedali, in particolare nelle situazioni più critiche, ad esempio nei reparti di terapia intensiva o dove si svolge chirurgia invasiva e/o in genere nelle situazioni associate all'assistenza sanitaria (reparti di lungodegenza, ricoveri per anziani, assistenza domiciliare e altro);
    oggi la mortalità per le cosiddette «infezioni ospedaliere» si aggira intorno al 25-30 per cento. L'entità di tale percentuale è talmente allarmante che l'Organizzazione mondiale della sanità ha ripetutamente dedicato negli ultimi anni documenti strategici e linee guida per quei Paesi che vogliono istituire sistemi di monitoraggio della resistenza antimicrobica e intraprendere interventi efficaci;
    come per tutti i microrganismi, anche in riferimento ai «batteri antibiotico resistenti» si parla di totale o quasi totale impotenza del contrasto farmacologico alla loro proliferazione. Questi batteri producono, infatti, degli enzimi che distruggono gli antibiotici appartenenti alla classe dei «carbapenemici» (imipenem e meropenem) usati nelle infezioni più gravi. La loro proliferazione, specie in ambito nosocomiale e sanitario, permane elevata e in alcune realtà europee, come la Grecia e l'Italia, addirittura in costante aumento;
    tra i batteri più insidiosi e mortali che agiscono in ambito nosocomiale, vi è la Klebsiella pneumoniae (KP), un enterobatterio della famiglia delle Enterobacteriaceae, che comunemente convive in modo opportunistico con l'organismo umano a livello di apparato intestinale;
    la Klebsiella pneumoniae può scatenarsi ed avere esiti fatali nell'entrare in contatto con il fisico defedato di persone affette da malattie severe e/o provate da terapie che ne hanno compromesso il sistema immunitario;
    la Klebsiella pneumoniae resistente (CRKP – carbapenem-resistent Klebsiella pneumoniae) rappresenta il paradigma della criticità del fenomeno testé descritto, anche sotto il profilo della sua crescente diffusione e difficoltà di contrasto. Da anni si registrano in tutto il mondo casi letali di Klebsiella pneumoniae e nemmeno le eccellenze ospedaliere sono risultate immuni dai contagi. I reparti più colpiti sono generalmente le rianimazioni, i centri grandi ustionati, le chirurgie ed i centri di trapianti di organi;
    la prima causa scatenante per la diffusione delle infezioni da batteri Gram negativi, produttori di carbapenemasi (CPE), è costituito dal trasferimento dei pazienti tra le diverse strutture sanitarie. Numerosi studi scientifici hanno evidenziato che i fattori di rischio per le infezioni da carbapenemasi sono: la gravità delle condizioni cliniche del paziente, il trasferimento da altre strutture ospedaliere, la permanenza, per un determinato periodo di tempo, in unità di terapia intensiva, un precedente intervento chirurgico, i trapianti di midollo o organi solidi, la presenza di ferite chirurgiche, il cateterismo delle vie biliari, la ventilazione assistita;
    le più recenti evidenze disponibili in letteratura suggeriscono che uno dei più sensibili segmenti di intervento per il contenimento dell'emergenza sanitaria legata alla trasmissione delle infezioni da carbapenemasi e, in particolare, da carbapenem-resistent Klebsiella pneumoniae rimane ancora un ricorso prudente di antimicrobici (vale a dire un uso limitato ai soli casi in cui è realmente necessario nel rispetto delle dosi, degli intervalli e della durata del trattamento);
    il network di sorveglianza europea sul consumo degli antimicrobici (EuropeanSurveillance of antimicrobial consumption – Esac), operativo nell'ambito del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie di Stoccolma (Ecdc), ha recentemente messo in luce proprio quest'ultimo fattore e la preoccupante esistenza di un ampio range tra i Paesi dell'Unione europea e dell'area economica europea per uso di antimicrobici. In rapporto alla popolazione, Grecia e Cipro registrano, per la cura dei pazienti ambulatoriali, un uso per abitante/anno 3 volte maggiore rispetto ai Paesi Bassi. Questa circostanza non è casuale, laddove la Grecia risulta essere il primo Paese dell'Unione europea nella graduatoria negativa della resistenza antimicrobica alla Klebsiella pneumoniae;
    ai fini del controllo e del contenimento della trasmissione crociata dei microrganismi resistenti agli antimicrobici, Esac ha inoltre evidenziato l'inderogabile necessità di implementare tutte le precauzioni igieniche ed i protocolli di sicurezza in uso negli ospedali e nelle strutture sanitarie;
    il 5 giugno 2012 il Ministero della salute ha presentato le «Indicazioni contenenti le misure di prevenzione e controllo delle infezioni da CPE» e, in particolare, da Klebsiella pneumoniae resistente. Da tali indicazioni è emersa la necessità di implementare le precauzioni igieniche e, in particolare, rafforzare:
      a) l'utilizzo scrupoloso delle precauzioni da contatto da parte del personale sanitario, attraverso una maggiore igiene delle mani prima e dopo il contatto con il paziente colonizzato o infetto da carbapenemasi, l'uso di guanti e sovra-camicie, l'intensificazione dell'igiene ambientale;
     b) l'isolamento dei pazienti colonizzati/infetti in stanza singola con bagno dedicato o loro raggruppamento in aree dedicate dell'ospedale («cohorting»);
     c) l'assistenza dei pazienti colonizzati/infetti da carbapenemasi da parte di personale sanitario dedicato;
     d) l'educazione/formazione del personale sanitario sulle misure di sorveglianza e controllo contro le infezioni da carbapenemasi;
    il 18 novembre di ogni anno il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie di Stoccolma organizza la «Giornata europea degli antibiotici», che si inserisce in una più ampia iniziativa europea per la prevenzione ed il controllo delle malattie infettive;
    i dati più recenti diffusi dal Centro europeo di Stoccolma confermano che nell'area dell'Unione europea il numero di pazienti infetti da batteri resistenti sia in continuo aumento e che la resistenza agli antibiotici rappresenti un problema emergente di sanità pubblica. Le cifre riportate dal focus sull'Italia dovrebbero indurre le istituzioni sanitarie ad innalzare la soglia di attenzione e di sorveglianza per quanto attiene, in particolare, alla diffusione della Klebsiella pneumoniae, la cui trasmissione permane elevata ed è addirittura in aumento;
    nel triennio 2010-2013, la resistenza antimicrobica della Klebsiella pneumoniae è cresciuta infatti in 5 Stati su 9 (Grecia, Italia, Repubblica ceca, Francia e Spagna). Nel nostro Paese, il trend segue un andamento assai preoccupante: 1,3 per cento nel 2009, 16 per cento nel 2010, 26,7 per cento nel 2011 e del 13 per cento nel 2013. Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie di Stoccolma riporta che l'Italia stessa si è dichiarata in una situazione di endemicità per tale resistenza antimicrobica;
    il 22 gennaio 2013 il Ministro Balduzzi rispondeva ad un atto di sindacato ispettivo in relazione al caso di tre pazienti deceduti in un brevissimo arco temporale (dal 30 gennaio all'8 febbraio 2012), all'ospedale San Bassiano, a Bassano del Grappa, per un'infezione originata dal batterio Klebsiella pneumoniae e riconosceva che: «(...) le infezioni da batteri Gram negativi produttori di carbapenemasi, soprattutto delle specie Klebsiella pneumoniae e Escherichia coli, rappresentano sicuramente una problematica emergente per la sanità pubblica in particolare negli ultimi dieci anni»;
    il 26 febbraio 2013 il Ministero della salute ha pubblicato la circolare n. 4968 in materia di «Sorveglianza e controllo delle infezioni da batteri produttori di carbapenemasi (CPE)», contenente le linee di indirizzo da seguire in materia di:
     a) sorveglianza passiva, attraverso la rilevazione di batteriemie da ceppi di carbapenemasi;
     b) sorveglianza attiva dei contatti dei pazienti infetti o colonizzati, di tutti i pazienti identificati in precedenza come infetti o colonizzati che accedono una seconda volta in ospedale, di tutti i pazienti provenienti da Paesi endemici (Grecia, Cipro, Pakistan, Colombia, India e altri), di pazienti che vengono ricoverati o trasferiti in reparti a rischio quali terapia intensiva, oncologia, ematologia, neuro-riabilitazione, unità spinale, chirurgia dei trapianti;
     c) misure di controllo attraverso l'adozione di precauzioni da contatto (che ricalcano le indicazioni del Ministero della salute del 5 giugno 2012);
    sono trascorsi ormai due anni dalla circolare sopra ricordata e dal tentativo delle istituzioni sanitarie italiane di instaurare un sistema di sorveglianza delle infezioni ospedaliere resistenti. Le preannunciate azioni di contrasto, avviate dal Governo, appaiono meri, seppur meritori, propositi mai divenuti concretamente operativi, a giudizio dei presentatori del presente atto di indirizzo, nelle corsie degli ospedali italiani e comunque del tutto inadeguati alla serietà della situazione in atto, soprattutto sul versante della deterrenza del consumo di antibiotici e del contenimento delle infezioni nosocomiali;
    è sempre più urgente un efficace ed adeguato piano di interventi volti al controllo e al contenimento delle infezioni ospedaliere, dell'allarmante fenomeno dell'antibiotico-resistenza e dell'epidemiologia delle resistenze batteriche in relazione a tutte le infezioni da carbapenemasi e della Klebsiella pneumoniaein particolare;
    il rischio che negli ospedali italiani si possa profilare presto un’«emergenza sanitaria» è oggi molto alto e ad aggravare tale previsione è la consapevolezza che sono pochissime le sostanze attualmente in fase di ricerca e sviluppo che potrebbero avere efficacia contro il batterio-killer della Klebsiella pneumoniae e che comunque tali farmaci non potrebbero essere in commercio prima dei prossimi 5-10 anni,

impegna il Governo:

   a potenziare il sistema nazionale di raccolta di informazioni omogenee sulle infezioni ospedaliere resistenti, rendendo obbligatoria la notifica dei ceppi resistenti, al fine di poter disporre di un accurato monitoraggio della loro incidenza nel nostro Paese, propedeutico all'adozione delle indispensabili misure di intervento;
   a dare piena attuazione al disposto della circolare n. 4968 del 2013 del Ministero della salute, anche adeguandone il contenuto alle nuove emergenze sanitarie e istituendo il sistema di sorveglianza nazionale, obbligatorio e comprensivo per i ceppi resistenti come richiesto dal Consiglio europeo (raccomandazione del Consiglio 2002/77/CE e successive raccomandazioni);
   ad assumere iniziative per prevedere un percorso guidato di coinvolgimento delle regioni che garantisca la piena attuazione delle esigenze di sorveglianza sulla resistenza antibiotica, secondo le indicazioni del Ministero della salute;
   a promuovere l'attivazione dei programmi di formazione professionale specifica, in particolare rivolti agli operatori nosocomiali, che consentano di certificare il livello di qualità di tutte le specifiche procedure ospedaliere e di segnalare eventuali errori e «quasi errori» che consentano di perfezionare i percorsi di risk management;
   ad adottare iniziative urgenti ed efficaci, volte ad elevare e standardizzare la qualità di tutti i protocolli di sicurezza in uso negli ospedali italiani, in linea con i dossier sanitari europei e con le linee guida internazionali dell'Organizzazione mondiale della sanità;
   ad adottare iniziative efficaci che mirino alla riduzione del consumo degli antibiotici in ambito ospedaliero e comunitario, limitandone l'uso esclusivamente alle situazioni nelle quali ce ne sia reale necessità come, tra l'altro, raccomandato dal Consiglio dell'Unione europea (raccomandazione 2002/77/CE);
   ad assumere iniziative per redigere, finanziare adeguatamente ed adottare, in collaborazione con gli esperti del settore, un vero «piano nazionale di prevenzione e controllo», con l'obiettivo di contrastare l'allarmante fenomeno della trasmissione di casi di infezione o colonizzazione da batteri antibiotico resistenti e, in particolare, Gram negativi, produttori di carbapenemasi in ambiente ospedaliero e sanitario;
   ad implementare un sistema di sorveglianza dell'antibioticoresistenza integrato fra gli aspetti di sanità umana e sanità animale, che comprenda i dati generati nel settore veterinario (sia per gli animali da reddito, che per gli animali d'affezione), attraverso la rete degli istituti zooprofilattici, che miri all'ottenimento del consumo prudente degli antibiotici in ambito agroalimentare e veterinario.
(1-01055)
«Capua, Lenzi, Nizzi, Calabrò, Locatelli, Sbrollini, Piazzoni, Amato, Argentin, Beni, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Burtone, Capone, Carnevali, Casati, D'Incecco, Fossati, Gelli, Grassi, Mariano, Miotto, Murer, Patriarca, Piccione, Giuditta Pini, D'Agostino, Monchiero, Vargiu, Quintarelli, Matarrese, Galgano, Catania, Oliaro, Bombassei, Rabino, Palladino, Prataviera, Caon, Marcolin, Matteo Bragantini, Fitzgerald Nissoli, Longo, Palmieri, Picchi, Dorina Bianchi, Binetti».
(6 novembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    le infezioni ospedaliere costituiscono una grande sfida ai sistemi di salute pubblica, perché sono un insieme piuttosto eterogeneo di condizioni diverse sotto il profilo microbiologico, fisiologico ed epidemiologico che hanno un elevato impatto sui costi sanitari e sono indicatori della qualità del servizio offerto ai pazienti ricoverati;
    si definiscono così le infezioni insorte durante il ricovero in ospedale, o dopo le dimissioni del paziente, che al momento dell'ingresso non erano manifeste clinicamente, né erano in incubazione. Sono l'effetto della progressiva introduzione di nuove tecnologie sanitarie, che se da una parte garantiscono la sopravvivenza a pazienti ad alto rischio di infezioni, dall'altra consentono l'ingresso dei microrganismi anche in sedi corporee normalmente sterili. Un altro elemento cruciale da considerare è l'emergenza di ceppi batterici resistenti agli antibiotici, visto il largo uso di questi farmaci a scopo profilattico o terapeutico;
    negli ultimi anni l'assistenza sanitaria ha subito profondi cambiamenti. Mentre prima gli ospedali erano il luogo in cui si svolgeva la maggior parte degli interventi assistenziali, a partire dagli anni ’90 sono aumentati sia i pazienti ricoverati in ospedale in gravi condizioni (quindi a elevato rischio di infezioni ospedaliere), sia i luoghi di cura extra-ospedalieri (residenze sanitarie assistite per anziani, assistenza domiciliare, assistenza ambulatoriale). Da qui la necessità di ampliare il concetto di infezioni ospedaliere a quello di infezioni correlate all'assistenza sanitaria e sociosanitaria;
    le infezioni sono causate da microrganismi opportunistici presenti nell'ambiente, che solitamente non danno luogo a infezioni. Le infezioni ospedaliere possono insorgere su pazienti immunocompromessi durante il ricovero e la degenza o, in qualche caso, anche dopo la dimissione del paziente e possono avere diverso grado di gravità, fino ad essere letali. Le infezioni ospedaliere possono interessare anche gli operatori sanitari che lavorano a contatto con i pazienti, e quindi misure adeguate devono essere prese non solo per trattare le persone ricoverate, ma anche per prevenire la diffusione delle infezioni ospedaliere tra il personale che fornisce assistenza e cura;
    nonostante l'elevato impatto, sia sociale che economico, dovuto alle infezioni ospedaliere, i sistemi di sorveglianza e di controllo e le azioni per ridurne gli effetti sono invece ancora piuttosto disomogenei da Paese a Paese e a livello nazionale, anche se negli ultimi anni sono stati messi a punto e implementati numerosi programmi. Gli studi effettuati indicano che è possibile prevenire il 30 per cento delle infezioni ospedaliere insorte, con conseguente abbassamento dei costi e miglioramento del servizio sanitario. Incidendo significativamente sui costi sanitari e prolungando le degenze ospedaliere dei pazienti, le infezioni ospedaliere finiscono con l'influenzare notevolmente la capacità dei presidi ospedalieri di garantire il ricovero ad altri pazienti;
    oggi la situazione delle infezioni nosocomiali è davvero preoccupante in tutti gli ospedali italiani, specialmente a causa della diffusione di Klebsiella pneumoniae produttore di carbapenemasi KPC (un enzima che inattiva gran parte degli antibiotici). La Klebsiella, normalmente ospitata nell'intestino umano, colpisce per lo più i pazienti ricoverati nelle terapie intensive e esposti a ventilatori, i portatori di cateteri intravascolari o ammalati trattati a lungo con antibiotici. Le infezioni cui dà seguito sono polmoniti (di solito associate a ventilazione meccanica e tracheotomia), infezioni delle vie urinarie (da catetere) e sepsi correlate al catetere venoso centrale. Le opzioni terapeutiche sono molto limitate: tigeciclina, gentamicina, colistina e fosfomicina sono gli unici antibiotici che l'antibiogramma indica come attivi, ma alcuni di essi comportano effetti collaterali, altri sono difficili da reperire. Inoltre, poiché non possiedono una rapida e spiccata attività battericida ed hanno un profilo cinetico-dinamico modesto, vengono utilizzati in associazione e ad alto dosaggio;
    per controllare e ridurre le infezioni ospedaliere, è necessario che le strutture agiscano su più fronti: l'attuazione di misure di prevenzione di controllo delle infezioni ospedaliere attraverso azioni sulle strutture ospedaliere, sui sistemi di ventilazione e sui flussi di acqua, sull'igiene del personale e dell'ambiente; l'individuazione di personale dedicato alla sorveglianza; un protocollo di sorveglianza attiva delle infezioni che si manifestano e un appropriato flusso informativo che permetta l'identificazione e la quantificazione delle infezioni stesse nei diversi presidi; la formazione del personale dedicato al trattamento dei pazienti, soprattutto nelle aree critiche di terapia intensiva e chirurgica, e di quello dedicato alla raccolta e analisi dei dati;
    uno dei problemi relativi alle infezioni ospedaliere è la loro identificazione, classificazione e quantificazione. Per cercare di risolvere questo aspetto, sono state messe a punto definizioni di caso dai centri per la prevenzione e il controllo delle malattie americani, ma anche da programmi europei come Helics e Earss. Negli Stati Uniti e nel Nord Europa esiste un sistema di controllo e sorveglianza, mentre nel nostro Paese questo sistema non è ancora operativo. Gli studi italiani hanno però rilevato che le caratteristiche epidemiologiche delle infezioni ospedaliere individuate sono simili a quelle descritte dal sistema americano, il National nosocomial infections surveillance system (Nnis), che costituisce quindi un valido punto di riferimento,

impegna il Governo:

    ad attivarsi affinché gli ospedali moderni e di terzo livello siano dotati di servizi di microbiologia permanente che permettano di accorciare i tempi di isolamento ed identificazione dei microrganismi e quelli dei test di suscettibilità agli antibiotici;
    ad adoperarsi, attraverso la comunicazione a tutti i livelli, affinché l'appropriatezza terapeutica significhi usare gli antibiotici giusti e necessari, nelle giuste dosi e per il tempo adeguato, limitandone al massimo l'uso empirico, posto che combattere la spirale dell'empirismo (la sequenza febbre=infezione=antibiotico) è lo strumento più importante per limitare l'abuso di antibiotici e controllare l'emergenza delle resistenze batteriche;
    a promuovere la creazione di staff specialistici multidisciplinari (intensivisti, ematologi, infettivologi, microbiologi, farmacologi) che mettano a punto protocolli diagnostico-terapeutici mirati ai singoli gruppi di pazienti a rischio per contenere la resistenza antimicrobica, ridurre l'utilizzo dei farmaci, ridurre gli eventi avversi legati all'uso improprio degli antimicrobici e ridurre i costi.
(1-01092)
«Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».
(15 gennaio 2016)

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