TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 568 di Venerdì 12 febbraio 2016

 
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INTERPELLANZE URGENTI

A)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   in data 13 gennaio 2016 il peschereccio italiano «Mina» veniva sequestrato dalle autorità giudiziarie francesi mentre era impegnato nella pesca al gambero rosso al confine tra Francia e Italia, con la motivazione di aver sconfinato nelle acque territoriali d'Oltralpe; le autorità francesi giustificavano il sequestro sulla base dei nuovi confini stabiliti con l'accordo bilaterale tra Italia e Francia il 21 marzo 2015;
   Italia e Francia non avevano mai stabilito confini ufficiali in mare; unico elemento in materia è una nota scritta del 1892 che regolava la pesca. Dalla fine del ventesimo secolo, con l'aumentare degli interessi economici in mare, per turismo, pesca e ambiente, l'Italia fu la prima, nel 2011, a creare una zona economica esclusiva (ZEE) i cui confini sono stati stabiliti temporaneamente, in attesa di un accordo definitivo con la Francia;
   nel 2012, anche la Francia stabilì una zona economica esclusiva; a questo punto, si ritenne di dover stabilire un accordo per i confini dei due Stati in mare, usando i criteri della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos) del 1982. La Unclos, recependo gli indirizzi derivanti dalla giurisprudenza della Corte e dalla prassi pattizia degli Stati, prevede il principio per cui la delimitazione della piattaforma continentale e della ZEE deve farsi per mezzo di accordo in modo da raggiungere una soluzione equa, senza doversi attenere ad alcun metodo prefissato, ma avendo di mira unicamente il risultato della trattativa;
   durante le negoziazioni, durate sei anni e portate avanti in segreto dai precedenti Governi Prodi, Berlusconi e Monti, l'Italia sembrerebbe aver acconsentito ad uno scambio: la cessione di un'area del Mar Ligure, inclusa la «fossa del cimitero», nota zona di pesca di gamberi rossi, in Cambio dell'area del Mar Tirreno, inclusa tra le isole Capraia, Elba e Corsiva. Contemporaneamente, la marineria di Sanremo perde le zone di pesca sulle rotte del pesce spada;
   tale accordo è stato firmato il 21 marzo 2015, senza alcuna comunicazione né da fonti ufficiali dei Ministeri italiani, né da fonti di stampa. La firma veniva apposta, presso l'Abbaye aux Dames Caen, da Laurent Fabius, Ministro degli affari esteri e sviluppo internazionale francese e il suo omologo italiano, Paolo Gentiloni, accompagnato dalla Ministra della difesa Roberta Pinotti. Durante questa visita sono stati affrontati anche argomenti di attualità internazionale, come i conflitti, le relazioni con la Tunisia, l'Iran, l'Ucraina; sembrerebbe che l'accordo, sebbene considerato già valido dal Governo francese, secondo la controparte italiana debba essere ratificato dal Parlamento italiano e che quindi non sia ancora effettivo e possa essere modificato –:
   se non si intenda fornire ogni utile elemento circa il contenuto di tale accordo e chiarire se sia effettivamente applicabile oppure no;
   se non si intendano rendere pubbliche le valutazioni in base alle quali è stato concluso tale accordo, incluse le valutazioni inerenti ai dati delle marinerie italiane che ne verrebbero a guadagnare o a perdere;
   se non si intendano assumere iniziative per rivedere con la controparte francese il contenuto di tale accordo, poiché non ancora ratificato dal Parlamento italiano, e quindi ancora modificabile a maggior vantaggio delle marinerie italiane.
(2-01268) «Benedetti, Basilio, Massimiliano Bernini, Grande, Simone Valente, Del Grosso, Grillo, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sorial, Spadoni, Spessotto, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».
(9 febbraio 2016)

B)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
   il 17 dicembre 2015 la maggioranza di centrodestra della regione Liguria ha approvato il «piano casa», contingentando il dibattito e decidendo unilateralmente di non procedere con la discussione degli emendamenti presentati dalle opposizioni;
   l'epilogo del voto ha visto però un dibattito molto acceso nella società civile riportato dai media locali: domenica 18 ottobre 2015 il Secolo XIX titolava in prima pagina «Piano casa. In Liguria via libera al cemento». L'articolo faceva riferimento ad una prima lettura della bozza del Piano Casa che la giunta regionale di Toti avrebbe presentato nei giorni successivi. All'interno del quotidiano si legge: «Le principali novità, in un territorio così sensibile, dopo i ripetuti disastri alluvionali, faranno molto discutere. Perché l'impianto riprende e “potenzia” non poco le facoltà – in teoria provvisorie, studiate per contrastare la crisi – concesse dalla norma del 2009. Come? Estendendo le possibilità di costruzione nei Parchi naturali, ad esempio, e cancellando alcuni vincoli che erano diventati un incubo per i costruttori liguri». Vengono poi evidenziati cospicui incrementi volumetrici concessi in caso di riqualificazione e l'impossibilità dei sindaci di opporsi;
   pochi giorni dopo, il piano casa viene approvato in giunta con qualche modifica all'impianto originale. Un testo che il Secolo XIX giudica «spregiudicato» (Secolo XIX di martedì 20 ottobre). Quello che è evidente è che il piano casa riprende e potenzia quello della precedente giunta Burlando del 2009 a favore di una maggiore deregolamentazione: ammette la possibilità di costruire nei parchi, concede a chi riqualifica edifici residenziali un aumento dei volumi del 35 per cento, per quelli non residenziali ancora superiore, sparisce il vincolo di destinare il 29 per cento dei nuovi alloggi al social housing, prevede la possibilità di cambiamento di destinazione d'uso; i comuni e i sindaci avranno solo armi spuntate dal momento che tra le disposizioni che decadono c’è anche la facoltà dei comuni di potere individuare aree nelle quali le norme non si applicano;
   sono molte le critiche che da giorni accompagnano il disegno di legge. Tra i primi ad esprimersi è Salvatore Settis, archeologo e storico dell'arte che su Repubblica del 23 ottobre 2015 dichiara: «Fare un Piano casa del genere in una regione martoriata come la Liguria, con un eccesso di costruito e con un dissesto idrogeologico che la rende fragilissima, e che ha già prodotto purtroppo una sequenza di eventi luttuosi, la ritengo un'azione semplicemente irresponsabile» e invoca l'intervento di Renzi per impugnare l'atto. Dello stesso avviso è il presidente dell'Ente Parco delle Cinque Terre Vittorio Alessandro che così si esprime: «Il mio timore è che in quella legge il pregiudizio sia a favore del cemento. Temo che quel Piano non tuteli né riqualifichi la casa di tutti, inteso come bene comune, ma appesantisca soltanto il carico di cemento che la Liguria sopporta» (La Repubblica 21 ottobre 2015); Santo Grammatico presidente regionale di Legambiente sottolinea invece il carattere speculativo che il Piano Casa, se mantenesse queste caratteristiche, avrebbe: «Il piano casa non è lo strumento col quale si possa rilanciare l'edilizia, nella nuova legge è assente uno studio sullo stato del patrimonio edilizio e abitativo e per come è formulato risulta solo uno strumento per aggredire i territori di maggior pregio lungo la costa, favorendo le rendite e la speculazione. Per questo la novità più significativa è la forzatura sulle aree protette vista mare» (La Repubblica 25 ottobre 2015);
   particolarmente significativi risultano i dati contenuti nel report dell'ISPRA, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale che evidenziano come nell'area comunale genovese, il suolo consumato ha raggiunto il 20,4 per cento del territorio. I dati di territorio cementificato della Liguria sono leggermente superiori alla media: tra il 5,9 e l'8 per cento. Alla domanda se sia ipotizzabile pensare a un ulteriore sviluppo edilizio della regione, Michele Munafò, ricercatore responsabile del rapporto così risponde al giornalista: «Se si parla di nuovo suolo sicuramente no, il territorio è saturo. Si può invece intervenire con piani di riqualificazione e rigenerazione urbana»;
   nel cosiddetto piano casa appena varato dalla giunta Toti che sostituisce la precedente legge regionale del 3 novembre 2009, n.  49, della giunta Burlando in scadenza il 31 dicembre 2015, non è segnata alcuna data di scadenza;
   si tratta di un piano casa così dettagliato e specifico che indica persino i volumi precisi e deroga alla legge urbanistica generale sembra agli interroganti un'intrusione illegittima nella potestà amministrativa dei comuni, riconosciuta dall'articolo 118 della Costituzione, senza contare che in questo caso verrebbe a mancare l'aspetto di leale collaborazione a cui le regioni sono tenute rispetto ai rapporti con i relativi comuni;
   negli ultimi anni la Liguria ha fatto fronte a due alluvioni che ne hanno profondamente segnato il territorio. È stato inoltre evidenziato come i danni siano stati amplificati dalla cementificazione selvaggia presente su tutto il territorio regionale;
   a fronte di ciò, secondo gli interroganti il piano casa con le caratteristiche fino a qui descritte andrebbe in conflitto con gli articoli 9 e 32 della Costituzione, che tutelano le aree naturali protette (mentre aumentando le aree edificabili metterebbe a rischio centinaia di persone che vivono in aree già fortemente segnate dal dissesto idrogeologico), con l'articolo 117, terzo comma, tra le altre cose disattendendo la normativa quadro dello Stato in materia di parchi naturali, con la Strategia «Europa 2020» che pone obiettivi specifici nel campo dei cambiamenti climatici e della sostenibilità energetica e con la direttiva europea 2012/27/UE in materia di efficienza energetica in quanto nel piano non sono indicati una serie di obblighi a proposito di riduzione dei consumi energetici ed efficientamento dell'edilizia pubblica –:
   se possano garantire il più rigoroso esame della nuova normativa ligure in sede di Consiglio dei Ministri, valutando se sussistano i presupposti per impugnare la legge regionale n. 22 del 2015 dinanzi alla Corte costituzionale qualora siano confermate tutte le scelte sopra indicate, in contrasto con i principi costituzionali e gli obblighi dell'ordinamento europeo.
(2-01251) «Quaranta, Scotto, Pastorino, Ricciatti, Piras, Pellegrino, Zaratti».
(2 febbraio 2016)

C)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   pur riconoscendo l'importanza del potenziamento delle cure palliative domiciliari e residenziali (hospice), che appaiono essere le uniche considerate dagli standard ospedalieri, è altresì fondamentale la presenza delle cure palliative in ospedale per acuti;
   il nodo delle cure palliative ospedaliere, nell'ambito della rete delle cure palliative, costituisce un vero e proprio caposaldo, in quanto garantisce la palliazione del dolore e dei sintomi sin dal luogo primario ove solitamente inizia e prosegue la cura di tutte le gravi malattie (oncologiche e non);
   le gravi patologie, infatti, necessitano solitamente di iniziale ricovero ospedaliero in reparti per acuti, quindi di una lunga fase di trattamento e monitoraggio specialistico negli ambulatori e day hospital (tipico percorso delle malattie oncologiche) ai quali dovrebbe affiancarsi, come diritto garantito a tutti i malati (LEA), la palliazione dei sintomi disturbanti e del dolore spesso già presente all'esordio;
   tali attività sono svolte proprio dalle cure palliative ospedaliere essenzialmente nell'ambito di quelli che sono definiti come «servizi senza posti letto», ovvero sia in regime consulenziale per lenire la sofferenza acuta (nei reparti e nel pronto soccorso), sia in regime ambulatoriale, ove viene eseguito il monitoraggio delle sintomatologie che accompagnano in maniera altalenante le varie fasi di malattia, in affrancamento ai trattamenti specifici per la patologia di base;
   in tal modo sarà anche prontamente intercettato il volgere verso la terminalità, evitando o limitando inappropriati accessi in pronto soccorso, con avvio dei percorsi di cure palliative domiciliari (a partire dallo stesso ospedale come in molte realtà lombarde che beneficiano di maggior continuità di cura, oppure erogate da servizi esclusivamente territoriali) o residenziali (hospice, in alcune realtà presenti negli stessi ospedali);
   qualora sia intercettato invece un dolore suscettibile di metodiche invasive, il trattamento verrà affidato ai medici della terapia del dolore (talora ancora presenti nella stessa unità di cure palliative e terapia del dolore, altre volte in servizi separati) in grado di attuare le appropriate tecniche, anche chirurgiche risolutive;
   le cure palliative pertanto non sono solo i trattamenti del fine vita che si pongono in atto quando «non c’è più nulla da fare», ma sono delle vere e proprie cure estremamente utili ed efficaci in quanto volte, in ogni fase delle gravi patologie, al trattamento del sintomo che genera sofferenza (sofferenza e dolore considerabili come malattia in sé), al di là della possibilità o meno di cura eziologica della malattia di base che lo ha generato ed al di là della fase di malattia;
   la vera missione delle cure palliative è proprio quella «umanizzazione delle cure», posta come principio ispiratore di quegli stessi standard ospedalieri che poi purtroppo, per una verosimile svista, ne omettono la menzione;
   laddove tale controllo sintomatologico specialistico è assente od insufficiente a livello ospedaliero, accadrà facilmente che il paziente si trovi ad accedere in pronto soccorso per sintomi non tollerabili, dando luogo a ricoveri (peraltro molto costosi rispetto alle prestazioni di palliazione) potenzialmente evitabili, se sin dalla fase iniziale fosse stato posto in essere il trattamento palliativo a livello consulenziale e/o ambulatoriale;
   non è realisticamente pensabile che tali attività di palliazione divengano competenza esclusiva territoriale, poiché tali problematiche insorgono primariamente in ospedale, ove solamente è attuabile il confronto con gli altri specialisti di patologia che curano il paziente, fondamentale per erogare sinergicamente corrette cure palliative –:
   se i servizi sanitari regionali saranno ancora autorizzati ad accreditare specifiche unità di cure palliative ospedaliere (almeno senza posti letto), oppure se questo risulterà non essere più possibile, nel caso in cui la tabella delle discipline ospedaliere, allegata ai nuovi « standard ospedalieri», non dovesse essere emendata, includendo in qualche modo la disciplina delle stesse cure palliative;
   in tal caso, come potrà avvenire l'erogazione delle cure palliative anche negli ospedali, prevista proprio dalla legge n. 38 del 2010 e dall'intesa in sede di conferenza Stato-regioni n. 151 del 25 luglio 2012.
(2-01253) «Binetti, Lupi».
(2 febbraio 2016)

D)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   sono di questi giorni le ultime, agghiaccianti notizie che riportano, brutalmente, al tema della violenza sulle donne;
   solo nella scorsa settimana sono state tre le donne vittime di violenza, uccise per mano di ex mariti e compagni di vita;
   si fa fatica a sconfiggere un fenomeno del quale purtroppo si continua ad avere conferma in termini di gravità e di pervasività, e che nel mondo colpisce milioni di donne, aggravato dal fatto che le forme più gravi e diffuse di violenza sono esercitate da partner, parenti o amici;
   la violenza maschile contro le donne deve continuare dunque, ad oggi, a rappresentare una priorità da affrontare nel nostro Paese, con il suo portato di infinita sofferenza;
   è il caso, solo per citarne uno tra i più orribili, di Chiara Insidioso Monda, aggredita brutalmente dal compagno, Maurizio Falcioni, ridotta in fin di vita e in coma per dieci mesi: la sua famiglia oltre al dolore, deve fare fronte a spese ingenti, oltre che alle difficoltà lavorative che spesso spettano a chi deve assistere un familiare così gravemente colpito;
   il 1o agosto 2014 è entrata in vigore la «Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica», meglio nota come Convenzione di Istanbul: essa prevede che venga fornita alle vittime di violenza ogni forma di protezione e supporto, anche economico, e costituisce il primo strumento internazionale vincolante sul piano giuridico per prevenire e contrastare la violenza contro le donne e la violenza domestica e si fonda su tre pilastri, prevenzione, protezione e punizione, ponendo particolare enfasi sui primi due, gli in grado di sradicare una violazione dei diritti umani ormai sistemica in Europa;
   il Governo ha adottato il 14 agosto 2013 il decreto-legge n.  93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n.  119, recante «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province»;
   nella Convenzione di Istanbul si prevede che, per il sostegno alle vittime di violenza, gli Stati si dotino di fondi e di tutte le misure finanziarie necessarie per il sostenere le vittime di violenza e le loro famiglie nel loro difficile percorso di ritorno alla vita –:
   se il Governo non ritenga, alla luce dell'evoluzione positiva del quadro normativo internazionale e nazionale, di assumere iniziative per introdurre misure specifiche volte a fornire assistenza sanitaria ed economica alle vittime di violenza di genere che, a seguito della violenza, si trovino in condizione di non poter provvedere a se stesse.
(2-01262) «Roberta Agostini, Fabbri, Pollastrini, Piccione, Cenni, Gasparini, Guerra, Cuperlo, Rubinato, Ferrari, Cinzia Maria Fontana».
(5 febbraio 2016)

E)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   la città di Vittoria è un comune di 62.000 abitanti sito nella provincia di Ragusa;
   l'economia del territorio si basa quasi esclusivamente sulla coltivazione di primizie di ortofrutta sotto serra;
   nel territorio di Vittoria esiste la cosiddetta «fascia trasformata» ovvero una estensione di terreno pari a circa 50.000.000 milioni di metri quadrati ove sono state costruite serre che danno lavoro a circa 30.000 persone;
   il sistema produttivo acquista per l'attività legata alle coltivazioni circa 500 milioni di euro di mezzi tecnici;
   della filiera produttiva fanno parte soprattutto vivai, rivenditori di fitofarmaci, industrie di film plastico, ma sul territorio sorgono anche industrie per il montaggio di serre, sia in ferro che in legname, ovvero imprese che danno lavoro ad un indotto di migliaia di persone;
   il fatturato di questo sistema produttivo è pari a circa un miliardo di euro annui;
   in conseguenza della grande capacità produttiva, nella città di Vittoria sorge un grande mercato ortofrutticolo che è formato da 74 rappresentanti dei commercianti all'ingrosso e all'interno del quale lavorano 800 persone;
   il fatturato del solo mercato ortofrutticolo è pari a circa 4 miliardi di euro annui;
   si riporta il dettaglio delle derrate movimentate e commercializzate nel mercato nel quadriennio 2011-2014 per dare una misura esatta della sua importanza: nel 2011 sono stati movimentati 3.154.265,10 quintali di frutta e ortaggi, nel 2012 3.240.995,98, nel 2013 3.321.645,14, nel 2014 3.094.905,89, per un totale nel quadriennio pari a 12.811.810 quintali;
   la grande quantità di merce in partenza dal mercato di Vittoria è trasportata su automezzi gommati per giungere sino ai mercati e alle piattaforme del nord Italia;
   gli autotrasportatori che vivono di ciò sono pari a numerose migliaia a cui si devono aggiungere centri di condizionamento dislocati su tutto il territorio che producono un fatturato pari a circa 2 miliardi di euro, dando un'occupazione stabile ad ulteriori migliaia di lavoratori;
   a causa di accordi presi dal Governo centrale con stati del bacino Mediterraneo, l'intero comparto agroalimentare di Vittoria sta attraversando un momento di grave crisi economica e finanziaria; tutti gli imprenditori della filiera descritta si vedono letteralmente costretti a vendere il prodotto ad un costo inferiore a quello di produzione, poiché la politica di prezzi molto bassi condotta dai paesi del nord Africa configura una sorta di concorrenza sleale, non consentendo alcuna redditività alle imprese siciliane;
   a motivo di questa importazione, gli agricoltori devono svendere il loro prodotto. Solo per fare un esempio, il costo di produzione di un chilogrammo di pomodoro ciliegino si aggira attorno agli 0,80 centesimi di euro al chilogrammo, prezzo al quale non può essere rivenduto a causa della politica di dumping sui prezzi adottata dai Paesi esportatori costringendo gli agricoltori siciliani a vendere sotto il costo di produzione la merce, nel caso di specie al costo 0,30 centesimi di euro il chilogrammo, con una perdita secca pari a 0,50 centesimi ogni chilogrammo di pomodorini prodotti;
   a causa del fenomeno descritto ormai quasi tutte le aziende del settore si sono indebitate o sono in procinto di subire la medesima sorte; esse sono in grave stato di crisi con il rischio effettivo di chiusura, di perdita di posti di lavoro, di perdita di prodotto interno lordo e di gettito fiscale e conseguente effettivo rischio di povertà per migliaia di lavoratori;
   nell'eventualità in cui non si adottino al più presto iniziative volte alla sospensione e alla dilazione del pagamento dei prossimi tributi, imposte e tasse e senza la previsione di sgravi fiscali per le famiglie e le imprese attraverso certi e subitanei finanziamenti, la maggior parte delle imprese sarà inevitabilmente destinata al fallimento, poiché, già ora, numerose di esse hanno dovuto prendere prestiti per anticipare i costi sostenuti per la produzione e mantenere i posti di lavoro esistenti e chiedere finanziamenti anche per pagare le imposte, le tasse e i contributi –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero, se il Governo ne sia a conoscenza e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intenda assumere al fine di arrestare la crisi in atto e attuare misure in grado di dare nuova vitalità ad un settore produttivo molto importante per non depauperare un patrimonio imprenditoriale prezioso e migliaia di posti di lavoro ancor più necessari perché a rischio di perdita in una regione già martoriata, ben più delle altre, dalla crisi economica ancora in atto;
   in particolare, considerate le innumerevoli difficoltà economiche che incolpevolmente questi imprenditori e lavoratori si sono trovati ad affrontare, se il Governo ritenga opportuno assumere iniziative urgenti contenenti sgravi e contributi fiscali finalizzati ad una eccezionale e temporanea detassazione e sospensione dei tributi al fine di scongiurare il pericolo descritto.
(2-01266) «Segoni, Artini, Baldassarre, Bechis, Turco, Pisicchio, Andrea Maestri, Brignone, Cristian Iannuzzi, Furnari».
(9 febbraio 2016)

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