TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 608 di Lunedì 18 aprile 2016

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE, IN AMBITO NAZIONALE E SOVRANAZIONALE, PER IL CONTRASTO DI TUTTE LE FORME DI SURROGAZIONE DI MATERNITÀ

   La Camera,
   premesso che:
    la surrogazione della maternità consiste nella cessione a terzi, e per sempre, di un neonato da parte della donna che lo ha partorito; una cessione puntualmente regolata da apposito contratto stipulato fra gestante e committenti in un momento precedente al concepimento del nato;
    il contratto che regola la gestazione e la successiva cessione del bambino non può che essere intrinsecamente vessatorio nei confronti della gestante, considerando che l'obiettivo è quello di far consegnare ai committenti il neonato, imponendo alla donna di portare avanti la gravidanza secondo modalità che i committenti arbitrariamente decidono essere le migliori per il nascituro: oltre a regolare dettagliatamente la vita della gestante per tutto il periodo della gravidanza, vengono quindi imposti esami clinici e comportamenti personali della madre surrogata che includono anche importanti restrizioni della libertà personale e che prevedono sia l'aborto in caso di malformazioni del feto, sia la cosiddetta riduzione fetale in presenza di gravidanze gemellari non richieste;
    il contratto di maternità surrogata, per sua stessa natura, ha contenuto patrimoniale e carattere oneroso, tenuto conto della gravosità del periodo di gravidanza e dell'evento del parto, cui si sottopone la mamma surrogata: il corrispettivo previsto nel contratto in favore della madre surrogata è infatti diretto a retribuire il sacrificio richiesto a quest'ultima;
    tale contratto, nella forma di surroga ad oggi maggiormente diffusa, include anche l'acquisto di gameti femminili da una donna diversa dalla madre surrogata, perché senza legame genetico con il nascituro sia più facile per la gestante considerarlo appartenente ai committenti, e cederlo alla nascita: il nato in questo caso ha due madri biologiche (una genetica e una gestazionale) e di solito la madre legalmente riconosciuta è ancora una terza, il che determina un'inquietante frammentazione della figura materna e associa la maternità surrogata alla compravendita di gameti, con tutti gli aspetti economici, antropologici e sociali connessi, primo fra tutti la «scelta» dei «donatori» su appositi cataloghi di, biobanche in base al fenotipo (colore della pelle, di occhi e capelli, aspetto fisico);
    una donna che cede a terzi, dietro corrispettivo in denaro, il proprio neonato, a prescindere dalla presenza di un contratto di diritto privato vincolante fra le parti, compie un gesto perseguito come reato in gran parte del mondo, pertanto il contratto di surrogazione, nei Paesi in cui è ammesso, rappresenta a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo un'ingiustificata e incomprensibile eccezione;
    sottrarre un neonato alla donna che lo ha tenuto in gestazione e partorito integra in tutto il mondo a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, oltre che un crimine, una condotta di estrema crudeltà, una sorte generalmente destinata alle schiave nelle civiltà arcaiche;
    il legittimo desiderio di avere bambini non è un diritto esigibile;
    il contratto di surrogazione di maternità è evidentemente una nuova forma di mercato di esseri umani, e rientra per i firmatari del presente atto di indirizzo nella «tratta degli esseri umani», così come definita dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani, quando indica che «il reclutamento (...) di persone (...) con l'abuso (...) della condizione di vulnerabilità (...) a fini di sfruttamento (che) comprende pratiche simili alla schiavitù e specifica che, in questi casi, il consenso della vittima allo sfruttamento è irrilevante»;
    la surrogazione di maternità viola altresì secondo i firmatari del presente atto di indirizzo la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948: all'articolo 1, che recita: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti», visto che per i nati da maternità surrogata, a differenza di tutti gli altri bambini del mondo, si decide fin da prima del concepimento che non cresceranno con la donna che li ha partoriti, cioè la madre, ma con persone che vi hanno stipulato un contratto commerciale e l'hanno indotta ad abbandonarlo alla nascita; all'articolo 4, ove si afferma che «Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma», considerando le condizioni vessatorie contrattuali che stabiliscono nei minimi dettagli la vita della gestante e ne definiscono gli obblighi, primo fra tutti la cessione del neonato alla nascita;
    la surrogazione di maternità viola altresì per i firmatari del presente atto di indirizzo la Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, che, all'articolo 8, stabilisce che «Gli Stati parti si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a preservare la propria identità», e che, all'articolo 32, dispone che «Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo di essere protetto contro lo sfruttamento economico»;
    la surrogazione di maternità costituisce inoltre per i firmatari del presente atto di indirizzo una forma di violenza contro le donne secondo la definizione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (la cosiddetta Convenzione di Istanbul), in cui, con l'espressione «violenza nei confronti delle donne», si intende designare una violazione dei diritti umani comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica;
    la surrogazione di maternità contrasta a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo esplicitamente con convenzioni internazionali e pronunciamenti di istituzioni europee: la Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina (1997), che, all'articolo 21 stabilisce che «Il corpo umano e le sue parti non debbono essere, in quanto tali, fonte di profitto»; principio ribadito dall'articolo 3 della Carta europea dei diritti fondamentali (2000) sul diritto all'integrità della persona, in particolare quando prevede che si rispetti «il divieto di fare del corpo umano e sue parti in quanto tali una fonte di lucro»; la risoluzione del Parlamento europeo del 5 aprile 2011 che impegna gli Stati membri a «riconoscere il grave problema della surrogazione di maternità, che costituisce uno sfruttamento del corpo e degli organi riproduttivi femminili»;
    il Comitato nazionale per la bioetica, riunito in seduta plenaria, ha approvato il documento «mozione su maternità surrogata a titolo oneroso». Il Comitato nazionale per la bioetica, che si è espresso più volte contro la mercificazione del corpo umano (mozione sulla compravendita di organi a fini di trapianto, 18 giugno 2004; mozione sulla compravendita di ovociti, 13 luglio 2007; parere sul traffico illegale di organi umani tra viventi, 23 maggio 2013), ritiene che la maternità surrogata sia un contratto lesivo della dignità della donna e del figlio sottoposto come un oggetto a un atto di cessione. Il Comitato nazionale per la bioetica ritiene inoltre che l'ipotesi di commercializzazione e di sfruttamento del corpo della donna nelle sue capacità riproduttive, sotto qualsiasi forma di pagamento, esplicita o surrettizia, sia in netto contrasto con i principi bioetici fondamentali che emergono anche dai documenti sopra citati,

impegna il Governo

ad assumere iniziative, a livello nazionale e soprattutto internazionale, in tutte le sedi istituzionali sovranazionali, affinché la surrogazione di maternità, in ogni sua modalità e variante contrattuale, sia riconosciuta come nuova forma di schiavitù e di tratta di esseri umani, e sia quindi reato universalmente perseguibile.
(1-01195)
«Lupi, Buttiglione, Binetti, Calabrò, Bosco, Pagano, Scopelliti».
(22 marzo 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    con il termine maternità surrogata, o utero in affitto, oppure gestazione per altri, si intende quella pratica basata sulla disponibilità del corpo di una donna, per realizzare un progetto di genitorialità altrui, per cui si intraprende una gravidanza con l'intento di affidare il nascituro a terzi all'atto della nascita;
    molti sono i Paesi nel mondo in cui non vige un divieto generalizzato di tale pratica. A voler riportare la situazione a livello comunitario, da alcuni dati del Parlamento europeo (resi pubblici a maggio 2013) si rivela che in quasi più della metà degli Stati membri dell'Unione europea non vi è un espresso divieto (è il caso del Belgio, della Danimarca, della Grecia, del Regno Unito, dei Paesi Bassi, solo per citarne alcuni), così come in quasi nessuno degli Stati esiste una legge specifica che disciplini il fenomeno;
    se la situazione europea ancora oggi presenta numerose disomogeneità, altrettanto variegata e complessa sembra essere la situazione nel resto del mondo, dove la maternità surrogata è ammessa e praticata in Paesi estremamente diversi per cultura e ricchezza – si pensi alla Thailandia, al Messico, all'India, al Nepal rispetto agli Usa e al Canada – e dove altrettanto diversi sono gli orientamenti giuridici e le leggi in materia;
    in Canada e negli Stati Uniti, per esempio, la materia è regolamentata in modo dettagliato, affrontando la questione soprattutto da un punto di vista commerciale e creando dei distinguo tra «gestazione altruistica» e «gestazione lucrativa»; così, se nel caso canadese è permesso solo il primo tipo, in alcuni degli otto Stati degli Usa in cui tale pratica è ammessa, si può ricorrere ad entrambe le formule (ad esempio, California e Florida);
    la pratica della maternità surrogata non è solo una tecnica riproduttiva, ma tocca molti diritti umani e temi etici;
    secondo il principio dell'indisponibilità del corpo umano, l'acquisto, la vendita o l'affitto dello stesso sono fondamentalmente contrari al rispetto della sua dignità. La mercificazione del bambino e la strumentalizzazione del corpo della donna sono anch'essi contrari alla dignità umana. Tuttavia, alcune donne acconsentono ad impegnarsi in un contratto che aliena la loro salute e la loro dignità, a vantaggio dell'industria e dei mercati della riproduzione, sotto la spinta di molteplici pressioni, spesso di natura esclusivamente economica. E, in particolare in quei Paesi dove vige una regolamentazione molto dettagliata, si è sviluppato un fiorente «mercato della riproduzione» che vanta un fatturato annuo di svariati miliardi di dollari;
    la pratica della maternità surrogata viene realizzata da imprese che si occupano di riproduzione umana, in un sistema fortemente organizzato che comprende cliniche, medici, avvocati e agenzie di intermediazione. Questo sistema ha bisogno di donne come mezzi di produzione in modo che la gravidanza e il parto diventino delle procedure funzionali, dotate di un valore d'uso e di un valore di scambio, e si iscrivano nella cornice della globalizzazione dei mercati che hanno per oggetto il corpo umano;
    la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 ha affermato il principio della difesa della dignità umana come obiettivo primario da perseguire, oltre che nel perimetro di sovranità dei singoli Stati, anche nello spazio delle relazioni internazionali, con ciò escludendo la legittimità di ogni pratica mercantile di scambio che abbia ad oggetto gli esseri umani;
    la Convenzione sui diritti dell'infanzia approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 (ratificata dall'Italia con legge del 27 maggio 1991, n. 176) impegna gli Stati ad adottare tutti i provvedimenti legislativi e amministrativi necessari per attuare i diritti riconosciuti dalla stessa Convenzione e, in particolare, il diritto dei bambini a non essere privati degli elementi costitutivi della loro identità (articolo 8) e il diritto ad essere protetti contro ogni forma di sfruttamento economico (articolo 32);
    la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea sancisce, all'articolo 3, il «divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro»;
    la Convenzione di Oviedo, sottoscritta il 4 aprile 1997, sui diritti dell'uomo e la biomedicina, all'articolo 21, stabilisce che «Il corpo umano e le sue parti non debbono essere, in quanto tali, fonte di profitto»;
    la risoluzione del Parlamento europeo sulla definizione di un nuovo quadro politico dell'Unione europea in materia di lotta alla violenza contro le donne del 5 aprile 2011 (2010/2209(INI)), impegna gli Stati membri a «riconoscere il grave problema della surrogazione di maternità, che costituisce uno sfruttamento del corpo e degli organi riproduttivi femminili»;
    il 17 dicembre 2015, il Parlamento europeo ha discusso e approvato la risoluzione per la Relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2014 e sulla politica dell'Unione europea in materia; al paragrafo 115 della risoluzione approvata, il Parlamento europeo «condanna la pratica della surrogazione, che compromette la dignità umana della donna dal momento che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usati come una merce; ritiene che la pratica della gestazione surrogata che prevede lo sfruttamento riproduttivo e l'uso del corpo umano per un ritorno economico o di altro genere, in particolare nel caso delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo, debba essere proibita e trattata come questione urgente negli strumenti per i diritti umani»;
    nella Commissione affari sociali, sanità e sviluppo sostenibile del Consiglio d'Europa si sta discutendo il rapporto «Human rights and ethical issues related to surrogacy», da cui emerge che l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa dovrebbe scoraggiare ogni forma di maternità surrogata per profitto;
    nel diritto internazionale ed europeo, non è comunque prevista alcuna disposizione giuridica che vieti in maniera universale la maternità surrogata;
    in Italia, la legge n. 40 del 2004 prevede espressamente il divieto di pratiche riconducibili al cosiddetto utero in affitto. Recita infatti l'articolo 12, comma 6, della citata legge: «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro»;
    le conseguenze sociali, economiche e giuridiche che derivano dal ricorso di sempre più coppie alla surrogata sono molteplici e di difficile gestione, anche in Italia, dove la pratica è formalmente vietata;
    è necessario attivarsi in tutte le sedi opportune per riconoscere e tutelare in maniera omogenea negli ordinamenti nazionali e internazionali i diritti delle donne e dei bambini oggetto di sfruttamento e di mercificazione e porre fine a questa moderna forma di schiavitù,

impegna il Governo:

   a richiedere, nelle opportune forme e sedi internazionali, il rispetto, da parte dei Paesi firmatari, delle convenzioni internazionali per la protezione dei diritti umani e del bambino;
   a promuovere la messa al bando universale di tutte le forme di legalizzazione della maternità surrogata, attraverso l'adozione di un'apposita convenzione internazionale, per sancire definitivamente i principi di indisponibilità del corpo umano e della protezione della vita e dell'infanzia.
(1-01187)
«Carfagna, Centemero, Prestigiacomo, Occhiuto, Brunetta, Archi, Biancofiore, Biasotti, Calabria, Castiello, Fabrizio Di Stefano, Garnero Santanchè, Gelmini, Giacomoni, Gullo, Laffranco, Palmieri, Polidori, Romele, Santelli, Elvira Savino, Squeri, Vella».
(7 marzo 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    l'utero in affitto è una pratica per cui una donna si impegna mediante contratto a sottoporsi a fecondazione assistita e a cedere per sempre a terzi il nato appena partorito;
    tali contratti di surrogazione di maternità dettagliano comportamenti personali ed obblighi della madre surrogata per tutto il periodo della gravidanza e sono finalizzati a garantire la salute del nascituro secondo criteri stabiliti dalla coppia (o singola persona) che commissiona la gravidanza, criteri che determinano un controllo strettissimo della vita della gestante e solitamente includono anche l'aborto nel caso di malformazioni del feto o l'aborto selettivo in caso di gravidanza multipla non prevista;
    è evidente che solo donne in condizioni di subalternità sociale, di vulnerabilità e di necessità economica possono consentire a tali pratiche, profondamente irrispettose della dignità della donna e lesive dei diritti del nascituro;
    i nati da surrogazione di maternità hanno sempre – a parte rarissime eccezioni – una madre genetica diversa da quella gestazionale, in modo che la madre che partorisce non possa rivendicare, in caso di ripensamento, il bimbo come proprio, dato che esiste anche una madre biologica; il contratto di surroga prevede solitamente, quindi, anche l'acquisto di ovociti da parte dei committenti;
    i contratti di surroga hanno spesso connotazioni razziste: la scelta della madre genetica avviene a seconda delle caratteristiche desiderate (colore della pelle, degli occhi, qualità estetica, quoziente intellettivo, livello degli studi) e tali caratteristiche determinano il prezzo dei gameti, mentre per le madri surrogate è sufficiente un buono stato di salute, anzi sono spesso scelte tra donne di Paesi terzi, per motivi di convenienza economica e di minori garanzie per le gestanti;
    mentre la madre genetica, mediante analisi del dna, può teoricamente essere sempre rintracciabile da parte del nato, per le madri surrogate questo non può ovviamente avvenire e va ricordato che nella gran parte dei casi dei contratti di surroga non resta alcuna traccia nell'anagrafe dei nati;
    la surrogazione di maternità, per la molteplicità di figure committenti e genitoriali coinvolte a vario titolo, è una nuova forma di tratta di donne e bambini al di fuori di qualsiasi controllo, anche negli Stati dove è regolata da leggi, tanto che non esistono dati attendibili neppure sul numero dei nati con questa procedura e gli studi in proposito sono scarsi;
    le stime parlano comunque di un mercato internazionale fiorente e in continua crescita, intorno a vere e proprie organizzazioni internazionali con team di medici, legali e mediatori di vario tipo, che hanno basi anche nel nostro Paese, in aperta violazione della legge n. 40 del 2004, che, al comma 6 dell'articolo 12, recita: «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro»;
    il divieto e le sanzioni previste dalla legge vigente non sembrano essere applicate né alle coppie italiane che fanno ricorso all'utero in affitto all'estero (nonostante il reato commesso all'estero sia perseguibile attraverso il ricorso all'articolo 9 del codice penale anche quando la pena prevista sia inferiore ai tre anni), né a chi organizzi e pubblicizzi in Italia la maternità surrogata, predisponendo il ricorso alla pratica fuori dal nostro Paese;
    si assiste all'assidua presenza sui media di coppie che hanno fatto ricorso a una pratica vietata, aggirando o violando la legge italiana, in popolari trasmissioni di approfondimento e di intrattenimento, in cui della procedura di surrogazione di maternità si offre un'immagine nettamente positiva, ignorando tutti gli aspetti contrattuali, commerciali e di sfruttamento finora illustrati;
    in Italia si sta consolidando una prassi per cui i tribunali interpellati consentono alle coppie che hanno fatto ricorso all'utero in affitto all'estero di trascrivere l'atto di nascita dei nati con questa procedura senza incorrere in alcuna sanzione, ma, al contrario, riconoscendo le coppie committenti come genitori legali del nato,

impegna il Governo:

   ad assumere tutte le iniziative di propria competenza, in particolare alla luce dell'articolo 9 del codice penale, per far sì che possano essere applicate le sanzioni già previste dalla legge n. 40 del 2004 per la surrogazione di maternità;
   ad adottare iniziative per intervenire sul comma 6 dell'articolo 12 della legge n. 40 del 2004 al fine di evitare interpretazioni ambigue, estendendo in modo esplicito le sanzioni previste a chi realizzi e organizzi la pratica della surrogazione di maternità per se stesso;
   ad assumere iniziative volte a prevedere che, per consentire la trascrizione in Italia dell'atto di nascita dei nati a seguito di surrogazione di maternità all'estero, sia necessario fornire copia originale del contratto di surroga, da depositare all'anagrafe del nato, dal quale si evincano con chiarezza sia l'identità della madre surrogata sia gli estremi degli eventuali fornitori di gameti, in modo che al nato sia sempre garantita la possibilità di conoscere le modalità del proprio concepimento e le proprie origini biologiche, perché non vi siano discriminazioni in merito al diritto alle origini.
(1-01218)
«Roccella, Piso, Caon, Bueno, Prataviera, Matteo Bragantini, Vaccaro, Distaso, Fucci, Corsaro, Chiarelli, Palese, Laffranco, Palmieri».
(6 aprile 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    con l'espressione «procreazione medicalmente assistita» la legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), si riferisce a quel fenomeno comunemente conosciuto con il nome di «fecondazione artificiale», che può essere sinteticamente definito come l'insieme delle tecniche mediche che consentono di dare luogo al concepimento di un essere umano senza la congiunzione fisica di un uomo e di una donna, operando all'interno (fecondazione artificiale intracorporea o in vitro) oppure al di fuori (fecondazione artificiale extracorporea o in vitro o, come si dice più comunemente, in provetta) delle vie genitali della donna e impiegando gameti appartenenti alla stessa coppia che si sottopone alle tecniche (fecondazione omologa) oppure provenienti in tutto o in parte da donatori esterni (fecondazione eterologa);
    secondo l'articolo 12, comma 6, «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro»;
    allo stato attuale la maternità surrogata è consentita dalla legge con modalità differenti nei seguenti Paesi: Stati Uniti, Brasile, Canada, Repubblica ceca, Romania, Ucraina, Russia, Sudafrica, Armenia, India, Cambogia, Thailandia, Australia; mentre tra i Paesi membri dell'Unione europea la maternità surrogata a titolo gratuito è consentita con modalità legislative diverse in Danimarca, Regno Unito, Paesi Bassi, Belgio e Grecia;
    tra i Paesi membri del Consiglio d'Europa, la Russia non ha ancora firmato la Convenzione di Istanbul, mentre la Romania e l'Ucraina hanno provveduto solo a firmarla;
    la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e sulla lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul) è entrata in vigore in Italia nel giugno 2013;
    ai sensi dell'articolo 12, paragrafo 3 (capitolo III – prevenzione), della suddetta Convenzione «Tutte le misure adottate ai sensi del presente capitolo devono prendere in considerazione e soddisfare i bisogni specifici delle persone in circostanze di particolare vulnerabilità, e concentrarsi sui diritti umani di tutte le vittime»;
    ai sensi dell'articolo 18, paragrafo 3 (capitolo IV – sostegno e protezione), le Parti si accertano che le misure adottate in virtù del presente capitolo: siano basate su una comprensione della violenza di genere contro le donne e della violenza domestica e si concentrino sui diritti umani e sulla sicurezza della vittima; mirino ad accrescere l'autonomia e l'indipendenza economica delle donne vittime di violenze; soddisfino i bisogni specifici delle persone vulnerabili, compresi i minori vittime di violenze e siano loro accessibili;
    secondo l'articolo 47 (Condanne pronunciate sul territorio di un'altra Parte contraente) «Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per prevedere la possibilità di prendere in considerazione, al momento della decisione relativa alla pena, le condanne definitive pronunciate da un'altra Parte contraente in relazione ai reati previsti in base alla presente Convenzione»;
    il Consiglio dell'Unione europea ha approvato il rapporto annuale «Diritti umani e democrazia nel mondo nel 2014», redatto dal Servizio europeo per l'azione esterna. Il rapporto illustra il ruolo dell'Unione europea nel panorama comunitario e internazionale rispetto alla promozione dei diritti umani, sottolineando i risultati raggiunti e gli ostacoli incontrati;
    in primo luogo, il rapporto sottolinea il costante impegno dell'Unione europea nel promuovere, con 37 Paesi terzi e gruppi regionali, dialoghi e consultazioni sul tema dei diritti umani, così come indicato nelle linee guida del giugno 2001 sulla «Promozione dei diritti umani nelle azioni esterne dell'Unione europea». Lo stesso è stato fatto con la maggior parte dei 79 Paesi dall'Africa, Pacifico e Caraibi che sono parte della Convenzione di Cotonou;
    il 17 dicembre 2015, il Parlamento europeo ha discusso e approvato la risoluzione riguardo alla sopra citata relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2014 e sulla politica dell'Unione europea in materia;
    nell'ambito della tutela delle donne e delle ragazze, al paragrafo 115 della risoluzione approvata, il Parlamento europeo «condanna la pratica della surrogazione, che compromette la dignità umana della donna dal momento che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usati come una merce; ritiene che la pratica della gestazione surrogata che prevede lo sfruttamento riproduttivo e l'uso del corpo umano per un ritorno economico o di altro genere, in particolare nel caso delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo, debba essere proibita e trattata come questione urgente negli strumenti per i diritti umani»,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative affinché i Paesi membri e non del Consiglio d'Europa firmino, ratifichino e rispettino la Convenzione sulla prevenzione e sulla lotta alla violenza contro le donne e contro la violenza domestica (Convenzione di Istanbul), in particolare i Governi membri rumeno, ucraino e russo, prendendo in considerazione nello specifico l'articolo 47 della suddetta Convenzione;
   ad intervenire nelle sedi opportune affinché, nell'ambito del più ampio dialogo sul rispetto dei diritti umani e della tutela della donna, sia favorito, con i Paesi membri e non, un confronto riguardo alla pratica della maternità surrogata, come descritta nel citato paragrafo 115 della risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 17 dicembre 2015.
(1-01223)
«Spadoni, Di Vita, Grillo, Colonnese, Lorefice, Mantero, Silvia Giordano, Baroni, D'Incà».
(13 aprile 2016)

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