TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 665 di Lunedì 1 agosto 2016

 
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MOZIONE SULLE LINEE DELLA POLITICA EUROPEA ED ESTERA DELL'ITALIA ALLA LUCE DELLE RECENTI EMERGENZE INTERNAZIONALI

   La Camera,
   premesso che:
    il 27 febbraio 2015 alla Camera dei deputati si è svolto un ampio e utile dibattito a seguito delle comunicazioni del Governo in materia di politica estera italiana, con conseguente presentazione di risoluzioni da parte dei gruppi parlamentari;
    tuttavia, è trascorso circa un anno e mezzo da allora e a livello internazionale si sono susseguiti una serie di tragici accadimenti, purtroppo con molte vittime, che hanno stravolto il quadro generale e, pur con diversa intensità rispetto agli altri partner europei, anche il nostro Paese assiste alla crescente instabilità del vicinato, alla crisi migratoria, all'acuirsi della minaccia terroristica, alle riemergenti turbolenze finanziarie;
    come è stato piuttosto evidente in questi anni, la politica estera italiana ha cercato sostanzialmente di mantenere per lo più alcuni punti fermi adottati negli ultimi decenni: il contributo al processo di integrazione europea, la partecipazione all'Alleanza Atlantica, il ruolo nelle Nazioni Unite (per il solo 2017 ha ottenuto di poter sedere nel Consiglio di sicurezza come membro non permanente di turno, avendolo dovuto dividere con l'Olanda, la qual cosa dice molto sul «peso» internazionale dell'Italia), la presenza nel «gruppo di testa» delle maggiori potenze industrializzate, ancorché in qualità di media potenza;
    come si accennava, questo scenario è da qualche tempo in pieno mutamento e motivo costante di riflessione globale sulla tenuta nel tempo di questi capisaldi ma anche sulla loro stessa natura; si è in presenza, infatti, di una mutevolezza degli equilibri verso una direzione sempre più multipolare, dimensione nella quale il nostro Paese fatica a definire una coerente strategia di politica estera;
    si tratta evidentemente di sfide che, per ottenere una risposta efficace, devono essere affrontate necessariamente a livello europeo;
    il nostro Paese, alla ricerca di una nuova governance economica, ha provato a spingere per una ridefinizione delle priorità e della strategia complessiva dell'Unione europea a favore di una maggiore flessibilità nelle politiche di bilancio nazionali; tuttavia, come è noto, ha dovuto fare i conti con tre ostacoli principali: l'eccessivo rigorismo della Germania e di altri Paesi (guarda caso gran parte dei quali non mediterranei) con poca propensione a accettare nuovi meccanismi di solidarietà; l'esplodere di altre emergenze, quali la crisi migratoria e l'ondata di attacchi terroristici in Europa, di fatto diventate più prioritarie relegando in secondo piano le strategie di riforma economica; lo scarso ruolo propulsivo delle istituzioni europee, in particolare della Commissione europea;
    in tal senso, di fronte all'inasprirsi della crisi di fiducia all'interno dell'Unione europea (l'esito della «Brexit» rischia di essere solo un primo tassello) e all'incapacità delle sue istituzioni di darvi una risposta adeguata, occorrerebbe rilanciare l'avvio di una più ampia riforma della stessa per ridarle legittimità e consentire un approfondimento dell'integrazione fra i Paesi dell'eurozona;
    in ordine alla crisi migratoria, la definizione di politiche migratorie certe e credibili diviene ogni giorno più pressante e irrinunciabile in ragione del continuo aggravarsi della situazione internazionale, come dimostrano i dati forniti dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni, che quantificano in oltre un milione i migranti giunti nell'Unione europea nel 2015, superando di quattro volte il numero registrato nel 2014, senza peraltro accennare a miglioramenti. Che si tratti di un problema sistemico, al quale è necessario dare una risposta complessiva e di lungo periodo, lo dimostra anche il complicarsi della crisi migratoria derivante dalla diversificazione delle rotte e dei mezzi attraverso i quali i migranti giungono nell'Unione europea. Si arriva non più e non solo via mare attraverso la rotta mediterranea, ma anche, ad esempio, via terra attraverso la cosiddetta rotta balcanica. È, inoltre, comprovato che la rete di illegalità che gestisce questo ignobile traffico di esseri umani alimenti l'instabilità e il rischio di infiltrazione terroristica;
    peraltro, è noto che il crescere dei flussi dei rifugiati e richiedenti asilo è dovuto in larga parte all'incapacità della comunità internazionale di dare una soluzione a conflitti complessi, quali in primo luogo in Siria e Libia, associati alla destabilizzazione di altri Stati di notevole rilevanza geopolitica;
    il 15 ottobre 2015 la Commissione europea ha presentato un piano d'azione congiunto tra l'Unione europea e la Turchia, che mira a rafforzare le frontiere esterne e a gestire il flusso migratorio sia regolare che irregolare, ed è corredato di un aiuto straordinario di 3 miliardi di euro. In cambio di tale aiuto, si è stabilito di rilanciare il processo di adesione della Turchia all'Unione europea. Quest'ultima, infatti, ha acquisito ufficialmente lo status di Paese candidato all'adesione nel 2005 ed in virtù di questo riceve dall'Unione europea ingenti finanziamenti volti alla convergenza socio-economica con gli altri Stati membri. Solo nell'attuale settennio programmatico 2014-2020 si tratta di 4,5 miliardi di euro per IPA II, di cui 1,5 miliardi di euro specificamente destinati a stabilizzare lo stato di diritto e migliorare il livello dei diritti umani e delle libertà fondamentali a essi connesse. Appare, pertanto, evidente la necessità di subordinare e condizionare i predetti aiuti a un effettivo rispetto e miglioramento di questi diritti e libertà, oltre che ai principi su cui l'Unione europea si basa;
    a tal proposito, nell'accordo siglato tra l'Unione europea e la Turchia a marzo 2016, si è concordato di far rientrare, a spese dell'Unione europea, tutti i nuovi migranti irregolari che hanno attraversato la cosiddetta «rotta balcanica»; far sì che, per ogni siriano che la Turchia riammette dalle isole greche, un altro siriano sia reinsediato dalla Turchia negli Stati membri dell'Unione europea, nel quadro degli impegni esistenti; accelerare l'attuazione della tabella di marcia per la liberalizzazione dei visti con tutti gli Stati membri in vista della soppressione dell'obbligo del visto per i cittadini turchi al più tardi entro la fine di giugno 2016; accelerare l'erogazione, per assicurare il finanziamento di una prima serie di progetti entro la fine di marzo 2016, dei 3 miliardi di euro inizialmente stanziati e prendere una decisione in merito a un ulteriore finanziamento destinato allo strumento per i rifugiati siriani; prepararsi alla decisione di aprire quanto prima nuovi capitoli dei negoziati di adesione sulla base delle conclusioni del Consiglio europeo dell'ottobre 2015; collaborare con la Turchia in eventuali sforzi comuni volti a migliorare le condizioni umanitarie all'interno della Siria in modo da consentire alla popolazione locale e ai rifugiati di vivere in zone più sicure;
    tuttavia, le drammatiche e tragiche vicende turche degli ultimi giorni legate al fallito «golpe» rischiano palesemente di far naufragare questi intenti, poiché è evidente, al di là dell'inevitabile ricorso alla vituperata e sempre adottata realpolitik, che occorrerà dare risposte urgenti alle azioni ritorsive e antidemocratiche (che ricordano molto da vicino le famigerate «purghe staliniane») che il Presidente Erdogan sta ferocemente adottando, non ultima la proposta di ripristinare la pena di morte in Europa, quello stesso luogo politico e economico nel quale la Turchia vorrebbe entrare; nel frattempo, si sta appunto assistendo a una vera e propria epurazione di massa di proporzioni notevoli: a oggi, risultano sospesi quasi diecimila agenti di polizia, oltre tremila magistrati, 100 agenti dei servizi segreti, 15.200 insegnanti e 492 imam allontanati. Le persone arrestate, militari soprattutto, sono salite a 9.322, ma sono numeri destinati a modificarsi purtroppo;
    la Siria dal 15 marzo 2011 vive una terribile guerra per procura alimentata da terroristi provenienti da 89 Paesi, dove, finora, sono morte più di 250.000 persone tra civili e militari;
    sul territorio siriano si sono sviluppate, grazie anche al supporto logistico, finanziario e di armamenti, le organizzazioni terroristiche di Jhabbat al-Nusra, filiale di al-Qaeda in Siria, e il sedicente Stato islamico (Daesh);
    la situazione di stallo con il Parlamento di Tobruk e l'incapacità di Al Sarraj, l'uomo che la «comunità internazionale» ha scelto come nuovo capo del «Governo nazionale libico», di essere un soggetto credibile per la popolazione e la ricostruzione del Paese richiedono un profondo ripensamento della strategia finora adottata dall'Italia in un Paese strategicamente chiave per il futuro di tutta l'area mediterranea;
    il fallimento di Al Sarraj dimostra che l'unica via per il riconoscimento di un interlocutore nazionale credibile sia rappresentato da libere elezioni che l'Onu dovrebbe promuovere, in seguito ad un patto tra le parti e attraverso un cessate il fuoco generalizzato, per promuovere un processo realmente democratico includente e popolare;
    l'Alleanza atlantica, sorta sul concetto di «difesa collettiva», ha, con l'implosione dell'Unione sovietica nel 1991 e lo scioglimento del Patto di Varsavia, perso il motivo alla base della sua esistenza e si è trasformata, con l'adozione del nuovo concetto strategico della Nato, da strumento di «difesa» ad aggressore, come dimostrano le guerre di Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Somalia, Sudan, Libia, Siria, Ucraina. Queste guerre della Nato hanno finito per rendere ancora più insicuro il pianeta, destabilizzando intere aree e funzionando da straordinario propellente, sul quale hanno prosperato i vari terrorismi di matrice religiosa e settaria. Il sistema «di sicurezza» della Nato espone l'Italia a gravissimi rischi, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, violando la Costituzione (articolo 11) e trattati internazionali fondamentali, come il Trattato di non proliferazione nucleare;
    in ordine agli esiti del recente vertice Nato tenutosi a Varsavia, occorre sottolineare che l'Alleanza atlantica viveva già un momento estremamente delicato in merito alle tensioni e minacce sia sul suo fianco est che su quello sud. Dal «fianco est» la stessa scelta di tenere il vertice nella capitale polacca è stata certamente percepita dalla Russia come dimostrazione che l'agenda dell'Unione europea e della Nato hanno messo questo fronte come il principale sul quale impegnarsi. La permanente instabilità in Ucraina, le condizioni per un negoziato di pace tra il Governo ucraino e le regioni secessioniste, delineate con l'accordo «Minsk II», appaiono ancora difficili da soddisfare. Ciò conferisce al conflitto ucraino un profilo di «conflitto congelato» ai confini dell'Europa, che si associa alla perdurante instabilità della stessa scena politica di Kiev. Tale situazione costituisce un fattore permanente di attrito con la Russia, con la quale da due anni perdura un rapporto segnato da tensioni e provocazioni che è ormai in parte indipendente dalla situazione in Ucraina;
    il progressivo isolamento economico, politico e diplomatico tra la Russia e i Paesi dell'Unione europea e delle altre forze occidentali indebolisce il fronte comune che la comunità internazionale deve invece costituire al fine di intraprendere le necessarie azioni di contrasto ai fenomeni terroristici;
    nell'ottica di allargare la cooperazione extra Unione europea, il quadro risulta particolarmente grave se si considera che, ad esempio, non risulta allo stato esistente alcuna forma di coinvolgimento e/o cooperazione tra i servizi di intelligence dei Paesi dell'Unione europea con quelli russi, collaborazione che, come più sopra accennato, appare indispensabile soprattutto per prevenire nuovi attentati da parte di gruppi jihadisti;
    in ordine alla minaccia terroristica, le modalità con le quali si sono susseguiti gli ultimi tragici attentati di matrice jihadista destano grande preoccupazione soprattutto in considerazione del fatto che gruppi organizzati e armati (ma anche i cosiddetti «lupi solitari») riescono, ormai, a muoversi con estrema facilità e in tutta tranquillità nella capitali europee, mettendo in esecuzione delle vere e proprie operazioni militari e bypassando, con apparente semplicità, le misure di protezione in atto;
    già all'indomani dei tragici fatti di Parigi del novembre 2015, i Ministri dell'interno dei Paesi dell'Unione europea si sono riuniti e hanno concordato di rafforzare la lotta contro il terrorismo jihadista attraverso un maggiore controllo delle frontiere esterne, il blocco dei contenuti trasmessi dagli estremisti su internet, nonché sulla necessità di migliorare il sistema di raccolta dati che i viaggiatori forniscono alle compagnie aeree (il cosiddetto pnr). Al contempo, si discute da tempo in merito ad una direttiva europea in materia di sicurezza cibernetica (cybersecurity);
    la presenza di combattenti stranieri (foreign terrorist fighters), spesso definiti come «volontari stranieri», si è palesata tragicamente soprattutto tra le file dei miliziani ribelli che si oppongono alle truppe governative siriane. Questi combattenti, spesso giovanissimi, provengono in massima parte dall'Europa e sono nati nei Paesi dell'Unione europea, figli di immigrati storici integrati in Europa da decenni;
    la via del reclutamento passa soprattutto attraverso il web e consiste in un processo capillare di indottrinamento, selezione, fidelizzazione e invio nel califfato, gestito da rappresentanti dell'Islam radicale non più solo attraverso la frequentazione di moschee radicali (già sotto sorveglianza), ma anche nelle carceri, nelle palestre o alle manifestazioni;
    al contempo, è bene comunque ricordare che il terrorismo islamico o religioso rimane ancora minoritario. Le ragioni o radici vanno ricercate in una pluralità di motivazioni, incluse quelle dell'ideologia politica o di una rivendicazione secessionista. Pertanto, oltre a combattere la radicalizzazione religiosa, risulta irrinunciabile migliorare collegamenti di intelligence che permettano di fermare qualsiasi tipologia di terrorismo;
    sempre più sovente emerge il tema della connessione tra elementi della criminalità organizzata, anche italiana, ed alcune organizzazioni terroristiche di matrice islamica che si esplica nel transito delle droghe verso l'Europa dall'Asia minore e dal vicino Oriente, nel contrabbando delle opere d'arte antiche e nella tratta degli esseri umani, fattori che si legano alle rotte del traffico illegale delle armi. Il problema nella fase attuale è la ricerca di meccanismi che ne indeboliscano la trama;
    il gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle, anche in sede istituzionale, ha da tempo evidenziato quali possano essere le strade da percorrere per cercare di combattere definitivamente i fenomeni terroristici, ritenendo innanzitutto necessario interrompere ogni possibile canale di finanziamento a questi gruppi e, nello specifico, all'Isis, e, conseguentemente, ridimensionare i rapporti istituzionali e commerciali con quei Paesi, come Arabia Saudita, Qatar e Turchia, che hanno dimostrato di averlo sostenuto;
    in tal senso, diviene di fondamentale importanza bloccare, contestualmente, l'esportazione di armi verso i Paesi del Golfo che fomentano guerre e instabilità politica attraverso la corretta e immediata applicazione in tutti gli Stati membri dell'Unione europea del protocollo mirante a stabilire i principi da rispettarsi nell'esportazione di armi, rafforzato ed esteso attraverso la posizione comune 2008/944/PESC e due decisioni del Consiglio 2009/1012/PESC e 2012/711/PESC, così come del Trattato sul commercio delle armi dell'Onu (Arms trade treaty – Att) già ratificato dall'Italia e supportato dall'Unione europea;
    nell'ultimo anno è, infatti, triplicata la vendita di armi italiane all'estero e sono aumentate le forniture verso Paesi in guerra: in particolare, quelle verso l'Arabia Saudita che, alla testa di una coalizione sunnita, partecipa alla guerra in Yemen, motivo per il quale il Parlamento europeo ha chiesto un embargo sulla vendita di armamenti. Cresce anche l'intermediazione finanziaria delle principale banche italiane nel traffico di armi, Intesa e Unicredit, e tra i piccoli istituti coinvolti compare ancora la Banca popolare dell'Etruria;
    la relazione annuale del Governo italiano sull’export militare italiano 2015 mostra un aumento del 200 per cento per le autorizzazioni all'esportazione definitiva di armamenti, il cui valore complessivo è salito a 7,9 miliardi di euro dai 2,6 miliardi di euro del 2014; il valore dell’export di armi «made in Italy» verso l'Arabia Saudita autorizzato nel 2015 è salito a 257 milioni di euro dai 163 milioni di euro del 2014. Un aumento del 58 per cento attribuibile in gran parte alle tonnellate di bombe aeree prodotte nello stabilimento sardo di Domusnovas della Rwm Italia s.p.a. e spedite via aerea e navale da Cagliari tra le proteste e le denunce – anche alla magistratura – di parlamentari e pacifisti;
    a ciò si aggiunge il forte incremento del valore delle esportazioni di armi italiane verso l'Arabia Saudita che rientrano tra i programmi intergovernativi di cooperazione militare, saliti nel 2015 a 212 milioni di euro dai 172 milioni di euro del 2014. Il principale programma riguarda i cacciabombardieri Eurofighter usati ogni giorno dalla Royal Saudi air force nei suoi raid in Yemen. La fornitura, iniziata anni fa, riguarda l'Italia non solo per la sua partnership industriale nel consorzio europeo (con Finmeccanica), ma anche perché questi aerei, assemblati negli stabilimenti inglesi della Bae system, vengono consegnati facendo scalo all'aeroporto bolognese di Caselle. Nonostante la legge n. 185 del 1990 vieti anche il transito di armi destinate a Paesi in guerra. In questi giorni, inoltre, è stato reso noto l'accordo tra Leonardo Finmeccanica e un Paese del Medio Oriente, presumibilmente l'Arabia Saudita, per la fornitura dei nuovi droni Falco Evo;
    anche le forniture belliche italiane verso gli altri Paesi che partecipano alla guerra in Yemen a fianco dei sauditi sono proseguite o aumentate: gli Emirati arabi uniti si confermano il principale cliente mediorientale (con 304 milioni di euro come l'anno prima), mentre c’è stato un forte incremento di vendite al Bahrain (da 24 a 54 milioni di euro) e soprattutto al Qatar (da 1,6 a 35 milioni di euro). Il Kuwait, nel 2015 ancora tra i clienti minori, è destinato a scalare la classifica dopo la firma, poche settimane fa, di un contratto multimiliardario sottoscritto alla presenza della Ministra Pinotti per la fornitura di 28 cacciabombardieri prodotti da Finmeccanica;
    si tratta, dunque, di un vero e proprio boom di export verso tutti i Paesi in guerra, a cominciare da un clamorosa new entry: l'Iraq; finora, infatti, questo Paese mai comparso tra i clienti italiani nell'epoca post Saddam, esordisce nel 2015 con vendite per 14 milioni di euro (armi leggere e munizioni, quindi Beretta). È da registrare anche un'impennata di vendite: verso la Turchia (da 53 a 129 milioni di euro), che bombarda i curdi fuori e dentro i suoi confini con gli elicotteri T129 costruiti su licenza Finmeccanica, e verso il Pakistan (da 16 a 120 milioni di euro) in perenne conflitto con talebani, indipendentisti baluci e con l'India (anch'essa con forniture belliche italiane in aumento da 57 a 85 milioni di euro, nonostante la crisi dei marò e la guerra contro la ribellione contadina naxalita). Nel 2015 sono incrementate, inoltre, le vendite all'Egitto pre-caso Regeni (da 32 a 37 milioni di euro), comprese le armi leggere e i lacrimogeni usati dalla polizia del Cairo nelle repressioni di piazza. Insomma, l'Italia, con il suo fiorente commercio delle armi, continua a esportare insicurezza e destabilizzazione,

impegna il Governo:

   a promuovere una riflessione sulla sostanziale e incontrovertibile inadeguatezza delle politiche promosse, degli interessi tutelati e dell'impianto istituzionale dell'Unione europea nel rispondere alle necessità e ai bisogni reali dei cittadini europei, innescando in tal modo il rifiuto dell'unità e della messa in comunione delle politiche;
   in ordine alle questioni legate alla lotta al terrorismo:
    a) a promuovere la concentrazione delle risorse dell'Unione europea destinate alla lotta al terrorismo per migliorare la sicurezza interna dei cittadini europei attraverso il potenziamento delle reti di intelligence nazionale e l'armonizzazione dei quadri normativi relativi all’intelligence, favorendo, altresì, la collaborazione in tal senso con la Federazione russa e con i Paesi del Nord Africa, al fine di utilizzare appieno le capacità tecnico-operative attuali;
    b) ad attivarsi per concordare modalità efficaci per rafforzare le frontiere esterne dell'Unione europea, inclusa quella italiana, in modo da massimizzare la sicurezza senza ledere in alcun modo i diritti delle persone e preservando, alcontempo, la libertà di circolazione interna all'Unione europea, in particolare affinando le misure atte a rendere efficaci i controlli, inclusi quelli concernenti i flussi migratori in entrata;
    c) ad attivarsi, nelle opportune sedi, per la costruzione di una rete di intelligence che monitori le rotte dei traffici illeciti che finanziano il terrorismo internazionale, al fine di definire efficaci azioni operative transnazionali;
    d) a proporre l'elaborazione di un piano europeo per la sicurezza cibernetica quale utile strumento per il contrasto al terrorismo internazionale nel rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini europei quali privacy e libertà di espressione, come riconosciuti nella Carta dei diritti dell'Unione europea e dalla giurisprudenza, anche recente, della Corte di giustizia dell'Unione europea;
    e) a definire un piano d'azione condiviso con gli altri Stati membri volto a contrastare il radicalismo e la propaganda jihadista attraverso il coinvolgimento attivo dei Paesi in cui si incentra il radicalismo e degli attori internazionali maggiormente interessati, quali la Lega araba e l'Unione africana, favorendo l'avvio di piani per uno sviluppo sostenibile di lungo periodo miranti, in primo luogo, a incrementare il benessere sociale e la diffusione della cultura;
   in ordine alla crisi migratoria:
    a) ad assumere iniziative per istituire un'agenzia internazionale per i richiedenti asilo direttamente nei territori di transito e partenza, superare il regolamento di Dublino e concordare con i Paesi di provenienza e transito un piano comune di gestione dei flussi migratori, anche nell'ottica di prevenzione della criminalità;
   in ordine alle sanzioni alla Russia:
    a) a promuovere e sostenere iniziative finalizzate alla revoca del reiterato regime di sanzioni alla Russia per evitare che vengano colpiti ancora più duramente gli interessi nazionali;
   in relazione alla crisi turca:
    a) ad attivarsi affinché sia sospeso l'accordo siglato tra la Turchia e l'Unione europea in relazione ai migranti e contestualmente siano sospesi sia gli aiuti economici da esso previsti sia il processo di liberalizzazione dei visti ivi definito, sino a quando la Turchia: 1) non rispetterà pienamente e integralmente i diritti umani sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e stabiliti dalle altre convenzioni internazionali siglate, incluso l'articolo 38 della direttiva 2013/32/UE, sia nei confronti dei migranti che dei cittadini turchi; 2) non cesserà qualsiasi tipo di violenza nei confronti delle minoranze (religiose, linguistiche e altre); 3) non ripristinerà integralmente la libertà di stampa e garantirà piena libertà di espressione e di manifestazione delle idee; 4) non prenderà una chiara posizione nel confronti del terrorismo internazionale e del problema dei foreign fighters;
    b) ad adoperarsi perché siano sospesi l'accordo di pre-adesione all'Unione europea firmato nel 2005 con la Turchia e, contestualmente, gli aiuti a esso connessi;
    c) a promuovere, in sede Nato, una necessaria e opportuna riflessione sulla permanenza della Turchia nell'Alleanza atlantica;
    d) a condannare senza reticenze le iniziative di repressione e di guerra nel Kurdistan turco operato dal regime di Erdogan e a richiedere un immediato cessate il fuoco tra le parti, nonché la liberazione dei prigionieri politici incarcerati per la professione delle proprie idee e la ripresa delle trattative di pace unilateralmente interrotte con il Pkk;
   in ordine alla situazione di guerra nella Repubblica araba di Siria:
    a) a riconoscere e ripristinare le relazioni diplomatiche con la Repubblica araba siriana; a condannare gli atti di terrorismo compiuti ai danni della popolazione siriana; a intervenire nelle sedi internazionali, quali Onu e Unione europea, affinché sia rispettata la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu n. 2170 che prevede misure per ostacolare ogni tipo di supporto, finanziamento e armamento ai terroristi dello Stato islamico (Daesh), nei confronti del fronte terroristico Jabhat al-Nusra e del flusso di terroristi in Siria e in Iraq; a dissociarsi e a contribuire, in sede europea, alla rimozione delle inique sanzioni economiche alla Repubblica araba siriana;
   in ordine alla situazione in atto in Libia:
    a) ad agire, in sede Onu, per arrivare ad un processo di riconciliazione che consenta l'indizione in Libia, di libere elezioni in un arco di tempo determinato;
    b) a supportare e ad individuare, come soggetti referenti per la ricostruzione del Paese e per la gestione dei flussi migratori, le attuali amministrazioni locali libiche;
   in ordine alle questioni riguardanti la Nato:
    a) a sottoporre al Parlamento un'agenda per il progressivo disimpegno dell'Italia da tutte le azioni della Nato in aperto contrasto con la lettera e lo spirito dell'articolo 11 della Costituzione; a comunicare al comandante in carica in Europa della Nato l'indisponibilità a consentire l'utilizzo del territorio italiano per il deposito e transito di armi nucleari, batteriologiche e chimiche;
    b) ad attivarsi nelle sedi internazionali affinché i Paesi membri della Nato siano inclusi nella ripartizione delle quote dei flussi migratori;
    c) a salvaguardare la sacralità dell'articolo 11 della Costituzione, secondo il quale «L'Italia ripudia la guerra», utilizzando le Forze armate esclusivamente per difendere i confini nazionali e per missioni in ambito Onu che non si configurino come missioni di guerra mascherate;
   in ordine all’export delle armi in particolare nel Medioriente:
    a) ad assumere iniziative finalizzate a interrompere immediatamente la vendita di armi all'Arabia Saudita e agli altri Paesi della coalizione sunnita che partecipano ai bombardamenti in Yemen, nel rispetto della legge n. 185 del 1990;
    b) a promuovere una rigorosa applicazione della posizione comune firmata da tutti gli Stati europei nel 2008 che prevede il divieto di vendita di armi e di finanziamenti per Paesi – come Arabia Saudita, Qatar e Paesi del Golfo – che alimentano guerre civili o sostengono anche indirettamente il terrorismo.
(1-01331)
(Nuova formulazione) «Manlio Di Stefano, Castelli, Frusone, Battelli, Del Grosso, Di Battista, Grande, Scagliusi, Sibilia, Spadoni, Basilio, Paolo Bernini, Corda, Rizzo, Tofalo, Baroni, Luigi Di Maio, Fraccaro, Petraroli, Vignaroli».
(26 luglio 2016)

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