TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 667 di Mercoledì 3 agosto 2016

 
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MOZIONI SULLE LINEE DELLA POLITICA EUROPEA ED ESTERA DELL'ITALIA ALLA LUCE DELLE RECENTI EMERGENZE INTERNAZIONALI

   La Camera,
   premesso che:
    il 27 febbraio 2015 alla Camera dei deputati si è svolto un ampio e utile dibattito a seguito delle comunicazioni del Governo in materia di politica estera italiana, con conseguente presentazione di risoluzioni da parte dei gruppi parlamentari;
    tuttavia, è trascorso circa un anno e mezzo da allora e a livello internazionale si sono susseguiti una serie di tragici accadimenti, purtroppo con molte vittime, che hanno stravolto il quadro generale e, pur con diversa intensità rispetto agli altri partner europei, anche il nostro Paese assiste alla crescente instabilità del vicinato, alla crisi migratoria, all'acuirsi della minaccia terroristica, alle riemergenti turbolenze finanziarie;
    come è stato piuttosto evidente in questi anni, la politica estera italiana ha cercato sostanzialmente di mantenere per lo più alcuni punti fermi adottati negli ultimi decenni: il contributo al processo di integrazione europea, la partecipazione all'Alleanza Atlantica, il ruolo nelle Nazioni Unite (per il solo 2017 ha ottenuto di poter sedere nel Consiglio di sicurezza come membro non permanente di turno, avendolo dovuto dividere con l'Olanda, la qual cosa dice molto sul «peso» internazionale dell'Italia), la presenza nel «gruppo di testa» delle maggiori potenze industrializzate, ancorché in qualità di media potenza;
    come si accennava, questo scenario è da qualche tempo in pieno mutamento e motivo costante di riflessione globale sulla tenuta nel tempo di questi capisaldi ma anche sulla loro stessa natura; si è in presenza, infatti, di una mutevolezza degli equilibri verso una direzione sempre più multipolare, dimensione nella quale il nostro Paese fatica a definire una coerente strategia di politica estera;
    si tratta evidentemente di sfide che, per ottenere una risposta efficace, devono essere affrontate necessariamente a livello europeo;
    il nostro Paese, alla ricerca di una nuova governance economica, ha provato a spingere per una ridefinizione delle priorità e della strategia complessiva dell'Unione europea a favore di una maggiore flessibilità nelle politiche di bilancio nazionali; tuttavia, come è noto, ha dovuto fare i conti con tre ostacoli principali: l'eccessivo rigorismo della Germania e di altri Paesi (guarda caso gran parte dei quali non mediterranei) con poca propensione a accettare nuovi meccanismi di solidarietà; l'esplodere di altre emergenze, quali la crisi migratoria e l'ondata di attacchi terroristici in Europa, di fatto diventate più prioritarie relegando in secondo piano le strategie di riforma economica; lo scarso ruolo propulsivo delle istituzioni europee, in particolare della Commissione europea;
    in tal senso, di fronte all'inasprirsi della crisi di fiducia all'interno dell'Unione europea (l'esito della «Brexit» rischia di essere solo un primo tassello) e all'incapacità delle sue istituzioni di darvi una risposta adeguata, occorrerebbe rilanciare l'avvio di una più ampia riforma della stessa per ridarle legittimità e consentire un approfondimento dell'integrazione fra i Paesi dell'eurozona;
    in ordine alla crisi migratoria, la definizione di politiche migratorie certe e credibili diviene ogni giorno più pressante e irrinunciabile in ragione del continuo aggravarsi della situazione internazionale, come dimostrano i dati forniti dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni, che quantificano in oltre un milione i migranti giunti nell'Unione europea nel 2015, superando di quattro volte il numero registrato nel 2014, senza peraltro accennare a miglioramenti. Che si tratti di un problema sistemico, al quale è necessario dare una risposta complessiva e di lungo periodo, lo dimostra anche il complicarsi della crisi migratoria derivante dalla diversificazione delle rotte e dei mezzi attraverso i quali i migranti giungono nell'Unione europea. Si arriva non più e non solo via mare attraverso la rotta mediterranea, ma anche, ad esempio, via terra attraverso la cosiddetta rotta balcanica. È, inoltre, comprovato che la rete di illegalità che gestisce questo ignobile traffico di esseri umani alimenti l'instabilità e il rischio di infiltrazione terroristica;
    peraltro, è noto che il crescere dei flussi dei rifugiati e richiedenti asilo è dovuto in larga parte all'incapacità della comunità internazionale di dare una soluzione a conflitti complessi, quali in primo luogo in Siria e Libia, associati alla destabilizzazione di altri Stati di notevole rilevanza geopolitica;
    il 15 ottobre 2015 la Commissione europea ha presentato un piano d'azione congiunto tra l'Unione europea e la Turchia, che mira a rafforzare le frontiere esterne e a gestire il flusso migratorio sia regolare che irregolare, ed è corredato di un aiuto straordinario di 3 miliardi di euro. In cambio di tale aiuto, si è stabilito di rilanciare il processo di adesione della Turchia all'Unione europea. Quest'ultima, infatti, ha acquisito ufficialmente lo status di Paese candidato all'adesione nel 2005 ed in virtù di questo riceve dall'Unione europea ingenti finanziamenti volti alla convergenza socio-economica con gli altri Stati membri. Solo nell'attuale settennio programmatico 2014-2020 si tratta di 4,5 miliardi di euro per IPA II, di cui 1,5 miliardi di euro specificamente destinati a stabilizzare lo stato di diritto e migliorare il livello dei diritti umani e delle libertà fondamentali a essi connesse. Appare, pertanto, evidente la necessità di subordinare e condizionare i predetti aiuti a un effettivo rispetto e miglioramento di questi diritti e libertà, oltre che ai principi su cui l'Unione europea si basa;
    a tal proposito, nell'accordo siglato tra l'Unione europea e la Turchia a marzo 2016, si è concordato di far rientrare, a spese dell'Unione europea, tutti i nuovi migranti irregolari che hanno attraversato la cosiddetta «rotta balcanica»; far sì che, per ogni siriano che la Turchia riammette dalle isole greche, un altro siriano sia reinsediato dalla Turchia negli Stati membri dell'Unione europea, nel quadro degli impegni esistenti; accelerare l'attuazione della tabella di marcia per la liberalizzazione dei visti con tutti gli Stati membri in vista della soppressione dell'obbligo del visto per i cittadini turchi al più tardi entro la fine di giugno 2016; accelerare l'erogazione, per assicurare il finanziamento di una prima serie di progetti entro la fine di marzo 2016, dei 3 miliardi di euro inizialmente stanziati e prendere una decisione in merito a un ulteriore finanziamento destinato allo strumento per i rifugiati siriani; prepararsi alla decisione di aprire quanto prima nuovi capitoli dei negoziati di adesione sulla base delle conclusioni del Consiglio europeo dell'ottobre 2015; collaborare con la Turchia in eventuali sforzi comuni volti a migliorare le condizioni umanitarie all'interno della Siria in modo da consentire alla popolazione locale e ai rifugiati di vivere in zone più sicure;
    tuttavia, le drammatiche e tragiche vicende turche degli ultimi giorni legate al fallito «golpe» rischiano palesemente di far naufragare questi intenti, poiché è evidente, al di là dell'inevitabile ricorso alla vituperata e sempre adottata realpolitik, che occorrerà dare risposte urgenti alle azioni ritorsive e antidemocratiche (che ricordano molto da vicino le famigerate «purghe staliniane») che il Presidente Erdogan sta ferocemente adottando, non ultima la proposta di ripristinare la pena di morte in Europa, quello stesso luogo politico e economico nel quale la Turchia vorrebbe entrare; nel frattempo, si sta appunto assistendo a una vera e propria epurazione di massa di proporzioni notevoli: a oggi, risultano sospesi quasi diecimila agenti di polizia, oltre tremila magistrati, 100 agenti dei servizi segreti, 15.200 insegnanti e 492 imam allontanati. Le persone arrestate, militari soprattutto, sono salite a 9.322, ma sono numeri destinati a modificarsi purtroppo;
    la Siria dal 15 marzo 2011 vive una terribile guerra per procura alimentata da terroristi provenienti da 89 Paesi, dove, finora, sono morte più di 250.000 persone tra civili e militari;
    sul territorio siriano si sono sviluppate, grazie anche al supporto logistico, finanziario e di armamenti, le organizzazioni terroristiche di Jhabbat al-Nusra, filiale di al-Qaeda in Siria, e il sedicente Stato islamico (Daesh);
    la situazione di stallo con il Parlamento di Tobruk e l'incapacità di Al Sarraj, l'uomo che la «comunità internazionale» ha scelto come nuovo capo del «Governo nazionale libico», di essere un soggetto credibile per la popolazione e la ricostruzione del Paese richiedono un profondo ripensamento della strategia finora adottata dall'Italia in un Paese strategicamente chiave per il futuro di tutta l'area mediterranea;
    il fallimento di Al Sarraj dimostra che l'unica via per il riconoscimento di un interlocutore nazionale credibile sia rappresentato da libere elezioni che l'Onu dovrebbe promuovere, in seguito ad un patto tra le parti e attraverso un cessate il fuoco generalizzato, per promuovere un processo realmente democratico includente e popolare;
    l'Alleanza atlantica, sorta sul concetto di «difesa collettiva», ha, con l'implosione dell'Unione sovietica nel 1991 e lo scioglimento del Patto di Varsavia, perso il motivo alla base della sua esistenza e si è trasformata, con l'adozione del nuovo concetto strategico della Nato, da strumento di «difesa» ad aggressore, come dimostrano le guerre di Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Somalia, Sudan, Libia, Siria, Ucraina. Queste guerre della Nato hanno finito per rendere ancora più insicuro il pianeta, destabilizzando intere aree e funzionando da straordinario propellente, sul quale hanno prosperato i vari terrorismi di matrice religiosa e settaria. Il sistema «di sicurezza» della Nato espone l'Italia a gravissimi rischi, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, violando la Costituzione (articolo 11) e trattati internazionali fondamentali, come il Trattato di non proliferazione nucleare;
    in ordine agli esiti del recente vertice Nato tenutosi a Varsavia, occorre sottolineare che l'Alleanza atlantica viveva già un momento estremamente delicato in merito alle tensioni e minacce sia sul suo fianco est che su quello sud. Dal «fianco est» la stessa scelta di tenere il vertice nella capitale polacca è stata certamente percepita dalla Russia come dimostrazione che l'agenda dell'Unione europea e della Nato hanno messo questo fronte come il principale sul quale impegnarsi. La permanente instabilità in Ucraina, le condizioni per un negoziato di pace tra il Governo ucraino e le regioni secessioniste, delineate con l'accordo «Minsk II», appaiono ancora difficili da soddisfare. Ciò conferisce al conflitto ucraino un profilo di «conflitto congelato» ai confini dell'Europa, che si associa alla perdurante instabilità della stessa scena politica di Kiev. Tale situazione costituisce un fattore permanente di attrito con la Russia, con la quale da due anni perdura un rapporto segnato da tensioni e provocazioni che è ormai in parte indipendente dalla situazione in Ucraina;
    il progressivo isolamento economico, politico e diplomatico tra la Russia e i Paesi dell'Unione europea e delle altre forze occidentali indebolisce il fronte comune che la comunità internazionale deve invece costituire al fine di intraprendere le necessarie azioni di contrasto ai fenomeni terroristici;
    nell'ottica di allargare la cooperazione extra Unione europea, il quadro risulta particolarmente grave se si considera che, ad esempio, non risulta allo stato esistente alcuna forma di coinvolgimento e/o cooperazione tra i servizi di intelligence dei Paesi dell'Unione europea con quelli russi, collaborazione che, come più sopra accennato, appare indispensabile soprattutto per prevenire nuovi attentati da parte di gruppi jihadisti;
    in ordine alla minaccia terroristica, le modalità con le quali si sono susseguiti gli ultimi tragici attentati di matrice jihadista destano grande preoccupazione soprattutto in considerazione del fatto che gruppi organizzati e armati (ma anche i cosiddetti «lupi solitari») riescono, ormai, a muoversi con estrema facilità e in tutta tranquillità nella capitali europee, mettendo in esecuzione delle vere e proprie operazioni militari e bypassando, con apparente semplicità, le misure di protezione in atto;
    già all'indomani dei tragici fatti di Parigi del novembre 2015, i Ministri dell'interno dei Paesi dell'Unione europea si sono riuniti e hanno concordato di rafforzare la lotta contro il terrorismo jihadista attraverso un maggiore controllo delle frontiere esterne, il blocco dei contenuti trasmessi dagli estremisti su internet, nonché sulla necessità di migliorare il sistema di raccolta dati che i viaggiatori forniscono alle compagnie aeree (il cosiddetto pnr). Al contempo, si discute da tempo in merito ad una direttiva europea in materia di sicurezza cibernetica (cybersecurity);
    la presenza di combattenti stranieri (foreign terrorist fighters), spesso definiti come «volontari stranieri», si è palesata tragicamente soprattutto tra le file dei miliziani ribelli che si oppongono alle truppe governative siriane. Questi combattenti, spesso giovanissimi, provengono in massima parte dall'Europa e sono nati nei Paesi dell'Unione europea, figli di immigrati storici integrati in Europa da decenni;
    la via del reclutamento passa soprattutto attraverso il web e consiste in un processo capillare di indottrinamento, selezione, fidelizzazione e invio nel califfato, gestito da rappresentanti dell'Islam radicale non più solo attraverso la frequentazione di moschee radicali (già sotto sorveglianza), ma anche nelle carceri, nelle palestre o alle manifestazioni;
    al contempo, è bene comunque ricordare che il terrorismo islamico o religioso rimane ancora minoritario. Le ragioni o radici vanno ricercate in una pluralità di motivazioni, incluse quelle dell'ideologia politica o di una rivendicazione secessionista. Pertanto, oltre a combattere la radicalizzazione religiosa, risulta irrinunciabile migliorare collegamenti di intelligence che permettano di fermare qualsiasi tipologia di terrorismo;
    sempre più sovente emerge il tema della connessione tra elementi della criminalità organizzata, anche italiana, ed alcune organizzazioni terroristiche di matrice islamica che si esplica nel transito delle droghe verso l'Europa dall'Asia minore e dal vicino Oriente, nel contrabbando delle opere d'arte antiche e nella tratta degli esseri umani, fattori che si legano alle rotte del traffico illegale delle armi. Il problema nella fase attuale è la ricerca di meccanismi che ne indeboliscano la trama;
    il gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle, anche in sede istituzionale, ha da tempo evidenziato quali possano essere le strade da percorrere per cercare di combattere definitivamente i fenomeni terroristici, ritenendo innanzitutto necessario interrompere ogni possibile canale di finanziamento a questi gruppi e, nello specifico, all'Isis, e, conseguentemente, ridimensionare i rapporti istituzionali e commerciali con quei Paesi, come Arabia Saudita, Qatar e Turchia, che hanno dimostrato di averlo sostenuto;
    in tal senso, diviene di fondamentale importanza bloccare, contestualmente, l'esportazione di armi verso i Paesi del Golfo che fomentano guerre e instabilità politica attraverso la corretta e immediata applicazione in tutti gli Stati membri dell'Unione europea del protocollo mirante a stabilire i principi da rispettarsi nell'esportazione di armi, rafforzato ed esteso attraverso la posizione comune 2008/944/PESC e due decisioni del Consiglio 2009/1012/PESC e 2012/711/PESC, così come del Trattato sul commercio delle armi dell'Onu (Arms trade treaty-Att) già ratificato dall'Italia e supportato dall'Unione europea;
    nell'ultimo anno è, infatti, triplicata la vendita di armi italiane all'estero e sono aumentate le forniture verso Paesi in guerra: in particolare, quelle verso l'Arabia Saudita che, alla testa di una coalizione sunnita, partecipa alla guerra in Yemen, motivo per il quale il Parlamento europeo ha chiesto un embargo sulla vendita di armamenti. Cresce anche l'intermediazione finanziaria delle principale banche italiane nel traffico di armi, Intesa e Unicredit, e tra i piccoli istituti coinvolti compare ancora la Banca popolare dell'Etruria;
    la relazione annuale del Governo italiano sull’export militare italiano 2015 mostra un aumento del 200 per cento per le autorizzazioni all'esportazione definitiva di armamenti, il cui valore complessivo è salito a 7,9 miliardi di euro dai 2,6 miliardi di euro del 2014; il valore dell’export di armi «made in Italy» verso l'Arabia Saudita autorizzato nel 2015 è salito a 257 milioni di euro dai 163 milioni di euro del 2014. Un aumento del 58 per cento attribuibile in gran parte alle tonnellate di bombe aeree prodotte nello stabilimento sardo di Domusnovas della Rwm Italia s.p.a. e spedite via aerea e navale da Cagliari tra le proteste e le denunce – anche alla magistratura – di parlamentari e pacifisti;
    a ciò si aggiunge il forte incremento del valore delle esportazioni di armi italiane verso l'Arabia Saudita che rientrano tra i programmi intergovernativi di cooperazione militare, saliti nel 2015 a 212 milioni di euro dai 172 milioni di euro del 2014. Il principale programma riguarda i cacciabombardieri Eurofighter usati ogni giorno dalla Royal Saudi air force nei suoi raid in Yemen. La fornitura, iniziata anni fa, riguarda l'Italia non solo per la sua partnership industriale nel consorzio europeo (con Finmeccanica), ma anche perché questi aerei, assemblati negli stabilimenti inglesi della Bae system, vengono consegnati facendo scalo all'aeroporto bolognese di Caselle. Nonostante la legge n. 185 del 1990 vieti anche il transito di armi destinate a Paesi in guerra. In questi giorni, inoltre, è stato reso noto l'accordo tra Leonardo Finmeccanica e un Paese del Medio Oriente, presumibilmente l'Arabia Saudita, per la fornitura dei nuovi droni Falco Evo;
    anche le forniture belliche italiane verso gli altri Paesi che partecipano alla guerra in Yemen a fianco dei sauditi sono proseguite o aumentate: gli Emirati arabi uniti si confermano il principale cliente mediorientale (con 304 milioni di euro come l'anno prima), mentre c’è stato un forte incremento di vendite al Bahrain (da 24 a 54 milioni di euro) e soprattutto al Qatar (da 1,6 a 35 milioni di euro). Il Kuwait, nel 2015 ancora tra i clienti minori, è destinato a scalare la classifica dopo la firma, poche settimane fa, di un contratto multimiliardario sottoscritto alla presenza della Ministra Pinotti per la fornitura di 28 cacciabombardieri prodotti da Finmeccanica;
    si tratta, dunque, di un vero e proprio boom di export verso tutti i Paesi in guerra, a cominciare da un clamorosa new entry: l'Iraq; finora, infatti, questo Paese mai comparso tra i clienti italiani nell'epoca post Saddam, esordisce nel 2015 con vendite per 14 milioni di euro (armi leggere e munizioni, quindi Beretta). È da registrare anche un'impennata di vendite: verso la Turchia (da 53 a 129 milioni di euro), che bombarda i curdi fuori e dentro i suoi confini con gli elicotteri T129 costruiti su licenza Finmeccanica, e verso il Pakistan (da 16 a 120 milioni di euro) in perenne conflitto con talebani, indipendentisti baluci e con l'India (anch'essa con forniture belliche italiane in aumento da 57 a 85 milioni di euro, nonostante la crisi dei marò e la guerra contro la ribellione contadina naxalita). Nel 2015 sono incrementate, inoltre, le vendite all'Egitto pre-caso Regeni (da 32 a 37 milioni di euro), comprese le armi leggere e i lacrimogeni usati dalla polizia del Cairo nelle repressioni di piazza. Insomma, l'Italia, con il suo fiorente commercio delle armi, continua a esportare insicurezza e destabilizzazione,

impegna il Governo:

   a promuovere una riflessione sulla sostanziale e incontrovertibile inadeguatezza delle politiche promosse, degli interessi tutelati e dell'impianto istituzionale dell'Unione europea nel rispondere alle necessità e ai bisogni reali dei cittadini europei, innescando in tal modo il rifiuto dell'unità e della messa in comunione delle politiche;
   in ordine alle questioni legate alla lotta al terrorismo:
    a) a promuovere la concentrazione delle risorse dell'Unione europea destinate alla lotta al terrorismo per migliorare la sicurezza interna dei cittadini europei attraverso il potenziamento delle reti di intelligence nazionale e l'armonizzazione dei quadri normativi relativi all’intelligence, favorendo, altresì, la collaborazione in tal senso con la Federazione russa e con i Paesi del Nord Africa, al fine di utilizzare appieno le capacità tecnico-operative attuali;
    b) ad attivarsi per concordare modalità efficaci per rafforzare le frontiere esterne dell'Unione europea, inclusa quella italiana, in modo da massimizzare la sicurezza senza ledere in alcun modo i diritti delle persone e preservando, al contempo, la libertà di circolazione interna all'Unione europea, in particolare affinando le misure atte a rendere efficaci i controlli, inclusi quelli concernenti i flussi migratori in entrata;
    c) ad attivarsi, nelle opportune sedi, per la costruzione di una rete di intelligence che monitori le rotte dei traffici illeciti che finanziano il terrorismo internazionale, al fine di definire efficaci azioni operative transnazionali;
    d) a proporre l'elaborazione di un piano europeo per la sicurezza cibernetica quale utile strumento per il contrasto al terrorismo internazionale nel rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini europei quali privacy e libertà di espressione, come riconosciuti nella Carta dei diritti dell'Unione europea e dalla giurisprudenza, anche recente, della Corte di giustizia dell'Unione europea;
    e) a definire un piano d'azione condiviso con gli altri Stati membri volto a contrastare il radicalismo e la propaganda jihadista attraverso il coinvolgimento attivo dei Paesi in cui si incentra il radicalismo e degli attori internazionali maggiormente interessati, quali la Lega araba e l'Unione africana, favorendo l'avvio di piani per uno sviluppo sostenibile di lungo periodo miranti, in primo luogo, a incrementare il benessere sociale e la diffusione della cultura;
   in ordine alla crisi migratoria:
    a) ad assumere iniziative per istituire un'agenzia internazionale per i richiedenti asilo direttamente nei territori di transito e partenza, superare il regolamento di Dublino e concordare con i Paesi di provenienza e transito un piano comune di gestione dei flussi migratori, anche nell'ottica di prevenzione della criminalità;
   in ordine alle sanzioni alla Russia:
    a) a promuovere e sostenere iniziative finalizzate alla revoca del reiterato regime di sanzioni alla Russia per evitare che vengano colpiti ancora più duramente gli interessi nazionali;
   in relazione alla crisi turca:
    a) ad attivarsi affinché sia sospeso l'accordo siglato tra la Turchia e l'Unione europea in relazione ai migranti e contestualmente siano sospesi sia gli aiuti economici da esso previsti sia il processo di liberalizzazione dei visti ivi definito, sino a quando la Turchia: 1) non rispetterà pienamente e integralmente i diritti umani sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e stabiliti dalle altre convenzioni internazionali siglate, incluso l'articolo 38 della direttiva 2013/32/UE, sia nei confronti dei migranti che dei cittadini turchi; 2) non cesserà qualsiasi tipo di violenza nei confronti delle minoranze (religiose, linguistiche e altre); 3) non ripristinerà integralmente la libertà di stampa e garantirà piena libertà di espressione e di manifestazione delle idee; 4) non prenderà una chiara posizione nel confronti del terrorismo internazionale e del problema dei foreign fighters;
    b) ad adoperarsi perché siano sospesi l'accordo di pre-adesione all'Unione europea firmato nel 2005 con la Turchia e, contestualmente, gli aiuti a esso connessi;
    c) a promuovere, in sede Nato, una necessaria e opportuna riflessione sulla permanenza della Turchia nell'Alleanza atlantica;
    d) a condannare senza reticenze le iniziative di repressione e di guerra nel Kurdistan turco operato dal regime di Erdogan e a richiedere un immediato cessate il fuoco tra le parti, nonché la liberazione dei prigionieri politici incarcerati per la professione delle proprie idee e la ripresa delle trattative di pace unilateralmente interrotte con il Pkk;
   in ordine alla situazione di guerra nella Repubblica araba di Siria:
    a) a riconoscere e ripristinare le relazioni diplomatiche con la Repubblica araba siriana; a condannare gli atti di terrorismo compiuti ai danni della popolazione siriana; a intervenire nelle sedi internazionali, quali Onu e Unione europea, affinché sia rispettata la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu n. 2170 che prevede misure per ostacolare ogni tipo di supporto, finanziamento e armamento ai terroristi dello Stato islamico (Daesh), nei confronti del fronte terroristico Jabhat al-Nusra e del flusso di terroristi in Siria e in Iraq; a dissociarsi e a contribuire, in sede europea, alla rimozione delle inique sanzioni economiche alla Repubblica araba siriana;
   in ordine alla situazione in atto in Libia:
    a) ad agire, in sede Onu, per arrivare ad un processo di riconciliazione che consenta l'indizione in Libia, di libere elezioni in un arco di tempo determinato;
    b) a supportare e ad individuare, come soggetti referenti per la ricostruzione del Paese e per la gestione dei flussi migratori, le attuali amministrazioni locali libiche;
   in ordine alle questioni riguardanti la Nato:
    a) a sottoporre al Parlamento un'agenda per il progressivo disimpegno dell'Italia da tutte le azioni della Nato in aperto contrasto con la lettera e lo spirito dell'articolo 11 della Costituzione; a comunicare al comandante in carica in Europa della Nato l'indisponibilità a consentire l'utilizzo del territorio italiano per il deposito e transito di armi nucleari, batteriologiche e chimiche;
    b) ad attivarsi nelle sedi internazionali affinché i Paesi membri della Nato siano inclusi nella ripartizione delle quote dei flussi migratori;
    c) a salvaguardare la sacralità dell'articolo 11 della Costituzione, secondo il quale «L'Italia ripudia la guerra», utilizzando le Forze armate esclusivamente per difendere i confini nazionali e per missioni in ambito Onu che non si configurino come missioni di guerra mascherate;
   in ordine all’export delle armi in particolare nel Medioriente:
    a) ad assumere iniziative finalizzate a interrompere immediatamente la vendita di armi all'Arabia Saudita e agli altri Paesi della coalizione sunnita che partecipano ai bombardamenti in Yemen, nel rispetto della legge n. 185 del 1990;
    b) a promuovere una rigorosa applicazione della posizione comune firmata da tutti gli Stati europei nel 2008 che prevede il divieto di vendita di armi e di finanziamenti per Paesi – come Arabia Saudita, Qatar e Paesi del Golfo – che alimentano guerre civili o sostengono anche indirettamente il terrorismo.
(1-01331)
(Nuova formulazione) «Manlio Di Stefano, Castelli, Frusone, Battelli, Del Grosso, Di Battista, Grande, Scagliusi, Sibilia, Spadoni, Basilio, Paolo Bernini, Corda, Rizzo, Tofalo, Baroni, Luigi Di Maio, Fraccaro, Petraroli, Vignaroli».
(26 luglio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    la conduzione della politica estera è responsabilità del Governo, ma il Parlamento può esprimere degli indirizzi ai quali improntarla, anche al di fuori delle circostanze nelle quali il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale rende proprie comunicazioni alle Camere su problemi o questioni più o meno contingenti;
    l'ambiente internazionale si presenta estremamente dinamico, fattore che contribuisce ad acuire la necessità di un confronto più frequente tra Governo e Parlamento in merito alle scelte fondamentali della politica estera;
    nel breve volgere di pochi mesi, sono numerose le novità intervenute in scacchieri di grande rilevanza per il nostro Paese;
    in Turchia, ad esempio, è fallito un tentativo di colpo di Stato, al quale l'esecutivo locale sta reagendo con una massiccia campagna repressiva, che sta assumendo le forme di un'epurazione di massa nei confronti di militari, magistrati, accademici, insegnanti e giornalisti, con sospetti abusi nei confronti di coloro che sono stati imprigionati e l'eventualità di una reintroduzione della pena di morte per i responsabili di quanto è accaduto;
    tali sviluppi in atto in Turchia costituiscono una palese smentita di quanto il Governo di Ankara asserisce essere stato fatto per agevolare l'ingresso del proprio Paese nell'Unione europea ed un giusto motivo per bloccare la continuazione delle trattative finalizzate a questo esito;
    la sospensione dei finanziamenti erogati dall'Unione europea per preparare la Turchia alla sua accessione all'Europa comunitaria sembra conseguentemente opportuna, anche come leva per cercare di condizionarne il comportamento liberticida. A considerazioni analoghe si presta anche la prosecuzione del programma che prevede la concessione di fondi alla Turchia in cambio del suo impegno a controllare i flussi migratori diretti verso il continente europeo;
    proseguono nel frattempo le ostilità in Siria e nelle regioni irachene ancora soggette al cosiddetto Stato Islamico, che tuttavia sta perdendo terreno, mentre sono sempre presenti altre forze più o meno riconducibili all'Islam politico radicale e al jihadismo, che combattono il legittimo governo siriano e cercano l'attivo supporto dei Paesi occidentali;
    in Libia, fatica intanto ad affermarsi la cosiddetta soluzione unitaria ed inclusiva, che dovrebbe portare l'Esecutivo diretto da Fayez al Serraj ad assumere il pieno controllo del Paese, con l'appoggio politico e militare delle Nazioni Unite ed alcuni Stati, occidentali e non;
    la Russia continua ad esser sottoposta ad un regime sanzionatorio piuttosto incisivo, che ha comportato l'adozione di contromisure specifiche da parte di Mosca, in ragione dell'annessione della penisola di Crimea e del conflitto in atto nel Donbass, mentre gli Stati Uniti ne cercano la collaborazione per porre fine al conflitto in atto in Siria e più in generale stabilizzare il Medio Oriente;
    alla Russia, incredibilmente, è tornata a guardare la stessa Turchia, che ha evidente necessità di evitare la completa compromissione della propria industria turistica e dei propri obiettivi di geopolitica energetica;
    proprio la strategia adottata da Mosca nei confronti della Turchia dopo l'abbattimento del jet russo che aveva sconfinato nei cieli turchi nel novembre 2015 costituisce interessante termine di paragone rispetto alla scelta europea di elargire fondi al Governo di Ankara affinché trattenga sul proprio territorio i migranti irregolari in fuga dall'Asia centro-meridionale e dal Medio Oriente;
    l'Alleanza Atlantica, fulcro della politica di sicurezza nazionale del nostro Paese dal 1949 ad oggi, ha iniziato a mostrare finalmente interesse per il cosiddetto fronte sud, anche se permane troppo forte la pressione esercitata al suo interno dal raggruppamento baltico, che sta imponendo alla Nato un pericoloso ritorno alla contrapposizione frontale con la Russia;
    il futuro dell'Unione europea è stato messo in dubbio dalla scelta degli elettori britannici che in un libero referendum si sono espressi in favore del «Brexit», ovvero l'uscita del Regno Unito dall'Europa comunitaria;
    proprio il voto britannico dovrebbe spingere l'Europa ad avviare una riflessione profonda sulle cause della disaffezione dei cittadini comuni nei suoi confronti, tra le quali tuttavia gli effetti dell'evidente supremazia tedesca, delle scelte finora troppo timide nel controllo dei flussi migratori illegali e dell'austerità hanno certamente svolto un ruolo importante, se non decisivo;
    i flussi migratori che il nostro Paese fronteggia derivano da una molteplicità di fattori, tra i quali primeggiano la forte instabilità ai confini dell'Europa, l'utilizzo della leva migratoria da parte di Stati e poteri informali in chiave strategica, per ottenere benefici o vantaggi politici, e la stessa crescita economica dell'Africa, che ha generato le risorse indispensabili a finanziare la mobilità di un crescente numero di persone;
    intensità e velocità raggiunti dai flussi migratori non sono compatibili con il mantenimento a lungo termine degli equilibri sociali interni ai Paesi europei;
    mentre è impossibile negare soccorso ed assistenza a chi davvero fugge da persecuzioni politiche o dalla guerra, appare conseguentemente necessario ribadire che le frontiere dell'Unione europea restano chiuse ai migranti irregolari che tentano di accedervi per ragioni economiche;
    la collaborazione degli Stati attraverso i quali passano migranti è indispensabile per poter procedere ad una scrematura preventiva in loco che permetta di individuare le persone che realmente possano aspirare alla tutela internazionale, isolandole dalle altre;
    i flussi migratori si stanno confermando altresì come una delle vie di accesso all'Europa per aspiranti terroristi jihadisti e persone comunque incaricate di compiere attentati sul nostro continente;
    la sicurezza europea è altresì minacciata gravemente dai giovani musulmani europei che la propaganda jihadista è riuscita a radicalizzare in questi anni, come hanno dimostrato le indagini condotte dopo gli attentati contro Charlie Hebdo, il Bataclan, l'aeroporto di Zaventem e, da ultimo, la Promenade des Anglais a Nizza;
    è quindi di grandissima importanza estendere la collaborazione con i Paesi le cui intelligence sono risultate finora più efficaci nel monitoraggio dei gruppi jihadisti, anche al di fuori dell'Alleanza Atlantica e dell'Unione europea, come la Russia ed alcuni Stati nord-africani, fra i quali spicca il Marocco, il cui Governo tra l'altro conduce da anni un programma di formazione controllata degli imam, interessante anche nella prospettiva del controllo delle moschee sorte nella nostra penisola;
    negli Stati Uniti d'America è in corso una campagna elettorale per determinare chi, tra Hillary Clinton e Donald Trump, succederà a Barack Obama alla guida del Paese. Ciascun candidato ha una propria visione dei rapporti tra il proprio Paese ed il resto del mondo che non spetta in questa fase ad alcun esponente dell'Esecutivo italiano di giudicare, sia perché ciò rappresenterebbe un'illegittima interferenza negli affari interni di un'altra nazione, sia per gli effetti che potrebbero conseguire all'eventuale sconfitta del candidato nei confronti del quale si sia manifestata una preferenza,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per avviare nell'Unione europea una profonda riflessione sugli errori che hanno convinto i cittadini britannici a votare in favore dell'uscita del Regno Unito dall'Europa comunitaria, approfittando della maggiore influenza che la nuova situazione sta regalando al nostro Paese per condurre un'azione più incisiva contro gli eccessi regolatori e la pratica di un'austerità che sta impoverendo molti Stati membri;
   a rivedere in profondità le proprie relazioni con la Turchia, condannando energicamente la repressione in atto dopo il fallito tentativo di colpo di Stato ed esigendo in sede europea il blocco dei negoziati per l'accessione dello Stato turco all'Unione europea nonché di tutti programmi ed accordi che comportino l'elargizione di fondi al Governo di Ankara;
   a continuare la propria azione finalizzata alla sollecita rimozione delle sanzioni alla Federazione Russa, evitando tuttavia in futuro i ripensamenti che hanno contraddistinto in passato l'esplicitazione della posizione di dissenso italiana, prima formalizzata e poi ritrattata in almeno una circostanza;
   a ribadire che gli Stati Uniti e l'Alleanza Atlantica rimangono il perno della nostra politica di sicurezza;
   a perseguire, contestualmente, all'interno della Nato un riequilibrio delle sue priorità, che ne sposti il fuoco di attenzione dall'Est europeo al Mediterraneo, agendo quindi contro il radicalizzarsi della contrapposizione con la Russia, che ha caratterizzato le ultime decisioni assunte anche in occasione del Summit di Varsavia, malgrado tra Stati Uniti e Federazione russa si sia stabilita un'importante cooperazione nella lotta al sedicente Stato Islamico e per porre fine alla guerra civile in corso in Siria;
   a condizionare conseguentemente alcune scelte italiane in ambito Nato all'esigenza di non contribuire all'aggravamento delle tensioni con la Federazione russa, imponendo ad esempio alcune restrizioni alle regole d'ingaggio stabilite per le unità militari italiane che vengono rischierate a ridosso della Federazione russa o nei pressi di dove operano le Forze armate di quest'ultima;
   a proseguire la partecipazione italiana, alla campagna militare in atto contro il cosiddetto Stato Islamico;
   sul fronte «interno» della lotta al terrorismo transnazionale di matrice jihadista, ad accrescere la collaborazione tra i servizi informativi e di sicurezza italiani e quelli dei Paesi europei, dei membri della Nato non europei, di altri Paesi «amici», come la Federazione Russa, e di alcuni Stati della Sponda Sud del Mediterraneo, alcuni dei quali si sono dimostrati in grado di prevedere meglio di altri l'effettuazione di alcuni attentati;
   in relazione al conflitto in atto in Siria, a proseguire sulla strada del ristabilimento di rapporti con il legittimo Governo di Damasco e ad evitare di offrire qualsiasi genere di sostegno a gruppi radicali delle più varie estrazioni, alcuni dei quali hanno vantato rapporti diretti con al Qaeda, malgrado recenti operazioni che appaiono ai firmatari del presente atto «cosmetiche» di rebranding siano state intraprese per farlo dimenticare, come nel caso del sanguinario fronte al Nusra;
   in rapporto alla crisi in corso in Libia, proseguire nello sforzo teso a far prevalere una soluzione unitaria, che permetta di tutelare al meglio i nostri interessi nazionali, avviando al contempo un processo di riconciliazione con l'Egitto, ferma restando l'urgenza di ottenere una versione credibile su quanto accaduto allo sfortunato Giulio Regeni;
   in materia di contrasto all'immigrazione illegale, ad esigere in tutte le competenti sedi internazionali l'adozione di politiche che rendano chiaro come nell'Unione europea non ci sia spazio per i migranti economici irregolari, effettuando respingimenti militarmente assistiti e operando affinché vengano creati nei Paesi di transito centri nei quali operare la selezione dei veri profughi meritevoli di ottenere tutela internazionale nell'Unione europea;
   ad evitare che membri del Governo dichiarino le proprie preferenze nella corsa alla Casa Bianca di qui all'8 novembre, anche allo scopo di predisporsi alla collaborazione con chiunque succederà a Barack Obama il 20 gennaio 2017.
(1-01333)
«Gianluca Pini, Giancarlo Giorgetti, Fedriga, Picchi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Rondini, Saltamartini, Simonetti».
(1o agosto 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    da anni si assiste a una sequenza spietata di atti terroristici perpetrati da organizzazioni fondamentaliste islamiste, per un verso contro obiettivi e vittime occidentali, e per altro verso contro altri innocenti cittadini nel mondo arabo. L'elenco è ormai pressoché interminabile: dalle Due Torri a Madrid, da Londra a Copenaghen, da Parigi a Bruxelles, da Nizza alla Germania, dai turisti occidentali in Asia a quelli in Africa, fino al sacrilego atto di Rouen, con l'uccisione di un sacerdote, nel corso di una messa, sull'altare, dinanzi ai suoi fedeli;
    appare francamente inadeguato il tentativo di derubricare questi eventi, di volta in volta evocando l'irrilevanza del fattore religioso, oppure appellandosi a patologie mentali degli attentatori, oppure enfatizzando la reazione di panico (quasi fosse un sentimento inopportuno e fuori luogo) dell'opinione pubblica occidentale;
    occorre chiamare le cose con il loro nome. Purtroppo, in questo momento storico, nel mondo islamico sembrano prevalere il pensiero e l'azione di chi interpreta in modo violento, dogmatico e fondamentalista quel credo religioso. Quei gruppi, e il relativo « network» del terrore, si sono dati un obiettivo di lungo periodo – apertamente proclamato – e cioè la realizzazione di un grande califfato; nel cammino verso quel disegno di oppressione, perseguono intanto due strade intermedie: la semina di terrore attraverso azioni criminali diffuse (dirottamento ed esplosione di aerei, autobombe, attacchi suicidi in strade e aeroporti, assassinii plurimi anche in forme altamente simboliche e altro) e anche la destabilizzazione attraverso l'immigrazione di massa, peraltro con un forte rischio (finora largamente sottovalutato) di infiltrazioni fondamentaliste;
    finora, purtroppo, al di là di testimonianze molto minoritarie e marginali, non si è assistito a una dissociazione esplicita, di massa, inequivocabile, da parte del cosiddetto mondo musulmano «moderato». Da troppe parti e in troppi ambienti, prevale invece un silenzio inquietante;
    c’è un punto di fondo, «ideologico», che va messo a fuoco. Gli architetti del terrore non vogliono «solo» la nostra morte: rifiutano ogni altra legge ad eccezione della sharia, interpretata nel senso più violento ed estremista; rifiutano ogni distinzione tra religione e Stato; negano qualunque differenza tra peccato e reato; negano i diritti delle donne; negano il diritto stesso all'esistenza delle persone omosessuali; considerano alla stregua di una pratica perversa e decadente – quindi da punire – lo stile di vita occidentale; disprezzano la libertà, la democrazia, lo stato di diritto, i fondamenti stessi della civiltà occidentale, il lascito che viene da migliaia di anni di storia e tradizioni, passando per Atene, Roma e Gerusalemme;
    occorre dunque, prima di ogni altra cosa, una piena consapevolezza del quadro in cui ogni azione internazionale e nazionale deve inserirsi,

impegna il Governo:

   sul piano internazionale, a sostenere attivamente e anche a partecipare alle missioni internazionali volte a sradicare militarmente (in Medio Oriente e in Africa) Isis e le altre organizzazioni fondamentaliste, posto che dalla Siria alla Libia, i gruppi terroristici sfruttano da anni il vuoto e l'arretramento occidentale per avere basi logistiche, per gestire pezzi di territorio e lucrosi traffici petroliferi, per addestrare uomini, per ottenere supporto economico e logistico anche da entità statuali nel mondo arabo e che quindi una chiara sconfitta militare di Isis è una precondizione essenziale anche per evitare un più facile reclutamento di altri militanti estremisti, i quali saranno meno orientati ad aderire ad una causa perdente, sconfitta, battuta;
   sul piano interno, ad affiancare alla doverosa attività di sicurezza e intelligence, già in atto, alcune iniziative chiare ed esplicite ed in particolare quelle volte a pervenire: a) da un lato, alla chiusura immediata delle moschee irregolari, di ogni luogo di culto irregolare e senza controlli, e quindi l'apertura solo di moschee e luoghi di culto autorizzati e controllati, dove si predichi necessariamente in italiano; b) dall'altro, a una svolta in materia di immigrazione, ponendo fine ad una logica di accettazione senza limiti, e vincolando l'accettazione – come accade da anni in altri Paesi occidentali – a flussi rigorosamente predeterminati sia nella quantità di persone accoglibili, sia nella loro tipologia, in base a numeri e profili concretamente compatibili con le esigenze del mercato del lavoro (settore per settore), in modo che chi arriva possa essere positivamente assorbito e messo al lavoro, considerato che una diversa linea di accoglienza senza limiti, senza prospettive di sistemazione e di occupazione, sarebbe un fattore di caos, e anzi un favore ai trafficanti di esseri umani e agli eventuali infiltratori di cellule del terrore.
(1-01334)
«Capezzone, Palese, Altieri, Bianconi, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».
(1o agosto 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    l'intensificarsi degli attacchi terroristici da parte di gruppi di matrice islamica o da parte di singoli soggetti variamente ispirati dall'ideale jihadista costringe l'Italia e l'Europa a confrontarsi con le complessità di uno scenario internazionale che vede numerosi punti caldi e testimonia al contempo l'incapacità della comunità internazionale di risolvere i conflitti in atto attraverso processi di pacificazione politica;
    a sud dell'Europa sono nate forze regionali di grandissima influenza, oltre che di grandissima capacità finanziaria, che stanno indebolendo il ruolo europeo nello scenario internazionale;
    un ulteriore fattore di debolezza del «vecchio continente» è certamente da rinvenire nel fatto che la politica estera comune dell'Unione fatica a trovare visioni e posizioni condivise rispetto non solo alle modalità degli interventi ma anche rispetto alle priorità politiche;
    un esempio emblematico di questo è rappresentato dall'enorme flusso di denaro stanziato dall'Unione europea in favore della Turchia per congelare la rotta balcanica, frutto della prioritarizzazione solo di alcune Nazioni dell'Unione e che suscita enormi perplessità ora che il Presidente turco sta avviandosi di fatto a una gestione autoritaria del proprio potere;
    il fallito «golpe», infatti, è stato solo un utile pretesto per una ulteriore stretta rispetto ai diritti umani e una vastissima campagna poliziesca che ha portato in carcere quasi diecimila persone, sta dando luogo alla chiusura di università e giornali e all'intimidazione di tutti i rappresentanti dei maggiori poteri istituzionali quali la magistratura e le forze di difesa, i quali a migliaia stanno subendo arresti e limitazioni di ogni genere all'esercizio dei loro diritti e della loro libertà di pensiero e personale;
    la reintroduzione della pena di morte è solo l'esempio più clamoroso dell'attuale distanza tra la Turchia del Presidente Erdogan e i princìpi e diritti fondamentali sui quali poggia l'Unione europea, alla quale deve necessariamente fare seguito un atteggiamento di intransigenza da parte dell'Europa, anche e soprattutto con riferimento al processo di adesione all'Unione europea che la Turchia afferma di voler continuare a perseguire;
    la Turchia, inoltre, intrattiene una politica estera assai ambigua rispetto al fondamentalismo islamico e ai Paesi che lo sostengono e finanziano, nel cui quadro si colloca la sua collaborazione con l'Arabia saudita nel sostegno alla variegata opposizione siriana, e che appare, anch'essa, del tutto incompatibile con la lotta che l'Europa deve condurre contro simili organizzazioni;
    all'interno dell'Unione europea, con la decisione della Gran Bretagna di non farne più parte, stanno emergendo con sempre maggiore chiarezza segni di scontento e disaffezione che potrebbero dare l'avvio a un processo di sgretolamento dell'intero progetto europeo se non si interviene con tempestività e chiarezza al fine di rilanciare l'Unione e le sue istituzioni e avviare un percorso che conduca a una loro maggiore democratizzazione;
    occorre riscrivere i Trattati istitutivi e tutti quelli di maggiore rilevanza, garantendo attraverso di essi il pieno rispetto dei fondamenti della democrazia, il primato dei popoli sulle esigenze finanziarie, il rispetto e la tutela delle capacità economiche e produttive delle singole Nazioni e la gestione unitaria di servizi strategici come l'energia o la difesa;
    l'attuale assetto e l'attuale gestione dell'Unione europea, che, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'hanno resa schiava della tecnocrazia, vittima dello strapotere delle banche e delle lobby dei poteri forti, e l'hanno sottomessa al primato della finanza sulla politica e al gigantismo della Germania, segnano una distanza eclatante rispetto agli ideali dei padri fondatori, che sognavano un'unificazione politica e sociale del continente europeo che potesse scongiurare future guerre e cementare una comunione di ideali tra i suoi abitanti;
    gli errori commessi dalla comunità internazionale nell'approccio ai movimenti di rivolta popolare che hanno interessato il Medio Oriente e il Nord Africa a partire dalla fine del 2010, diventati noti come la «Primavera araba», hanno prodotto conseguenze devastanti sull'assetto di quell'area e hanno dato l'avvio a una situazione di instabilità, dalla quale alcuni di quegli Stati non sono ancora riusciti a uscire;
    mentre, infatti, in Tunisia c’è una seppur difficile transizione verso la democrazia, e in Egitto i militari si sono ripresi il potere dopo una breve parentesi di governo dei Fratelli Musulmani, in Libia, Yemen e Siria infuria la guerra;
    in Libia, nonostante l'accordo firmato nel dicembre 2015 in Marocco dai rappresentanti del Congresso di Tripoli e della Camera di Tobruk al fine della formazione di un governo di accordo nazionale sotto l'egida delle Nazioni Unite, e i progressi in atto nella lotta contro l'Isis, la situazione rimane critica;
    la Libia è una nazione di importanza strategica per il Mediterraneo e l'Italia deve svolgere un ruolo prioritario nella sua pacificazione, unica via per controllare i flussi migratori che dalle coste libiche si riversano sul territorio nazionale;
    l'inadeguatezza dimostrata sinora dai Governi italiani in ordine alla problematica dell'immigrazione irregolare impone un tempestivo cambio di rotta e una più concreta e decisa presa di posizione nell'ambito dell'Unione, per ora solo interessata a controllare i flussi in entrata nelle altre Nazioni europee;
    in Siria, dove a partire dal 2011 la guerra ha causato circa 280 mila morti e milioni di profughi e di sfollati, continua a essere sistematicamente violato da tutte le parti in conflitto l'accordo per il cessate il fuoco faticosamente raggiunto nell'ambito dei colloqui di Ginevra dello scorso mese di marzo;
    alla già drammatica situazione delle popolazioni si aggiunge il peso delle sanzioni introdotte nel 2011 e che rendono impossibile qualunque trasferimento di denaro, anche a favore delle associazioni che si trovano sul territorio per programmi di aiuto e assistenza, e che hanno costretto alla chiusura aziende e reparti ospedalieri, e bloccato l'attività di centrali elettriche e acquedotti, a causa dell'impossibilità di procurarsi un qualche pezzo di ricambio o la benzina;
    al contrario, le sanzioni non hanno affatto frenato il traffico clandestino di armi e hanno determinato la creazione di un diffuso commercio di contrabbando;
    la coalizione internazionale promossa contro Daesh nel settembre 2015 e che ha dato l'avvio a raid aerei contro l'Isis non sta dando i risultati attesi e, nonostante alcune sconfitte, il califfato continua a controllare quasi il quaranta per cento del territorio siriano, la maggior parte della frontiera con l'Iraq nell'est, Raqqa e una parte di Aleppo nel nord, e Palmira nel centro;
    nel quadro della lotta allo Stato islamico occorre ripensare la strategia globale di alleanze, includendo Nazioni come la Russia e l'Iran, il cui ruolo potrebbe rivelarsi determinante nella regione ma che sono finora state volutamente marginalizzate dall'Europa;
    occorre ripensare le sanzioni imposte alla Russia che, oltre a danneggiare enormemente l'economia nazionale, rischiano di spingere quella Nazione verso pericolose alleanze in materia di politica internazionale;
    attualmente Daesh è l'organizzazione terroristica più pericolosa al mondo che può contare – secondo alcune stime di intelligence – su circa duecentomila miliziani sparsi in tutto il mondo e ottomila foreign fighters dislocati tra la Siria e l'Iraq, oltre ad avere cellule strutturate e preparate in numerosi altri Paesi, anche molto vicini all'Italia o nei quali abbiamo importanti interessi economici;
    in Libia, infatti, il gruppo Ansar Al Sharia, ex costola di Al Qaeda ora confluita nell'Isis, controlla parte del territorio ed è diventata una seria minaccia anche per chi controlla i giacimenti petroliferi della nazione;
    in Egitto è presente il gruppo Wilayat Sinai, responsabile dell'abbattimento dell'aereo civile russo nell'ottobre 2015, nelle Filippine si trova Abu Sayyaf, una delle organizzazioni più violente e banditesche del radicalismo islamico principalmente impegnata nei sequestri di persona, in Nigeria è tristemente noto il gruppo di Boko Haram colpevole di numerosi massacri e del rapimento avvenuto nel 2014 di circa duecento studentesse, e altre fazioni ben organizzate sono presenti in Libano, Yemen, Turchia e Tunisia;
    a queste si aggiungono le «cellule» prettamente europee, come quelle presenti in Belgio e in Francia, la cui altissima pericolosità è stata messa sotto gli occhi di tutto il mondo durante gli attentati di Bruxelles e Parigi;
    infine, è notizia delle ultime ore che in Kosovo esisterebbero ben cinque campi di addestramento dell'Isis, il più grande dei quali si troverebbe nelle immediate vicinanze di una base della Nato nella quale sono impiegati anche reparti italiani, fatto che rivela la crescente radicalizzazione che sta avendo luogo nel paese balcanico;
    la elevata diffusione di organizzazioni vicine all'Isis dimostra in maniera evidente da un lato come sia ormai inadeguato credere di poter fermare l'avanzata del Califfato solo attraverso un intervento nella zona siro-irachena e, dall'altro, la necessità di stroncare gli appoggi finanziari dei quali godono i jihadisti, primi tra tutti quelli che provengono dall'Arabia saudita e dal Qatar;
    in questo quadro vanno riviste anche le politiche commerciali, che dovranno essere improntate alla chiusura delle relazioni con le Nazioni che, a qualunque titolo, sostengono il Califfato e la scia di violenza e di terrore che lascia dietro di sé, e gli accordi che regolano la vendita di armi e munizioni;
    la minaccia terroristica che deriva all'Europa dal fondamentalismo islamico continua ad acuirsi e impone il potenziamento dello strumento militare che, invece, negli ultimi anni ha subito continue riduzioni di bilancio che non riconoscono il fatto che la difesa è una risorsa strategica;
    in occasione del vertice di Varsavia la Nato ha diffuso una nota di documentazione con i numeri su quanto spendono per la Difesa i governi dell'Alleanza dalla quale emerge come nel prossimo anno la funzione Difesa scenderà del 4 per cento e nel 2018 di un ulteriore 0,7 per cento, dopo aver stanziato per l'anno in corso 19,9 miliardi di euro, a fronte di 39,8 miliardi destinati al settore difesa dalla Francia e 37,1 miliardi dalla Germania,

impegna il Governo:

   ad impegnarsi, in ogni sede internazionale, affinché si provveda alla pacificazione dei conflitti in atto, con particolare attenzione alla situazione in Libia, rispetto alla quale l'Italia deve riappropriarsi di un ruolo di primo piano, anche intervenendo a sostegno delle azioni militari contro le basi dello Stato islamico site in quel territorio;
   ad esprimere una ferma posizione di condanna rispetto alla repressione in atto in Turchia, adoperandosi per il congelamento del processo di adesione di quello Stato all'Unione europea, almeno fino al momento in cui non torni a rispettare le regole fondamentali della democrazia;
   a promuovere l'avvio di un processo di riforma delle istituzioni che governano l'Unione europea, al fine di garantire maggiore democraticità al suo interno;
   ad assumere iniziative volte a potenziare il settore della difesa, riconoscendone il ruolo strategico e destinando ad esso maggiori stanziamenti;
   ad adottare iniziative per mettere in atto una maggiore e più incisiva attività di collaborazione tra le forze di intelligence in ambito europeo ed extraeuropeo, coinvolgendo tutte le Nazioni che contrastano l'Isis e le sue diverse articolazioni, e realizzando un servizio nazionale militare di volontari per le emergenze, formato da reparti periodicamente addestrati, aggregati a reparti già esistenti su base regionale e composti da cittadini italiani che intendano mettere la propria disponibilità al servizio della Nazione, con il compito prioritario della difesa della Patria, sancito dall'articolo 52 della Costituzione;
   a promuovere l'avvio di un processo in ambito europeo che sia volto all'inclusione di tutte le Nazioni che siano già impegnate o disponibili a impegnarsi nel contrasto all'espansione dello Stato islamico, tra le quali anche la Russia e l'Iran;
   in tale quadro, a sostenere in ambito europeo la necessità della cessazione delle sanzioni nei confronti della Russia;
   a chiudere ogni relazione commerciale con gli Stati che sostengono a qualunque titolo l'Isis e gli altri gruppi del fondamentalismo islamico, e ad interrompere le forniture di armi e munizioni attualmente in essere verso gli stessi Stati;
   ad assumere iniziative normative volte a realizzare una più efficace azione di prevenzione della diffusione del radicalismo islamico sul territorio nazionale, se del caso prevedendo l'introduzione di un reato specifico, e ad impedire l'afflusso di finanziamenti per centri culturali e moschee da parte di Stati che sostengono lo Stato islamico e il terrorismo jihadista;
   ad elaborare e mettere in atto interventi mirati a risolvere la problematica del costante flusso migratorio che interessa le coste italiane, a tal fine sollecitando nelle sedi opportune l'avvio della terza fase della missione EunavforMed.
(1-01335)
«Rampelli, Cirielli, La Russa, Maietta, Giorgia Meloni, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».
(2 agosto 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    lo scenario geopolitico attuale è in costante mutamento e l'instabilità regna sovrana. Secondo il Global Peace Index, nel 2016, il relativo indice ha subito un deterioramento dello 0,53 per cento rispetto all'anno precedente;
    guerre e conflitti hanno registrato una recrudescenza. Il numero totale dei conflitti è salito drasticamente, dai 31 del 2010 si è passati ai 40 del 2015. Anche il costo economico globale dei conflitti è rilevante. Nel 2015 è stato di 13,6 miliardi di dollari e rappresenta il 13,3 per cento dell'attività economica mondiale (prodotto mondiale lordo), ovvero 11 volte la dimensione degli investimenti diretti esteri a livello globale;
    secondo il rapporto annuale Global Trends dell'UNHCR, nel 2015 sono state 65,3 milioni le persone costrette ad abbandonare la propria casa, ossia il più alto numero dall'indomani della seconda Guerra mondiale. Di queste 21,3 milioni sono rifugiati, 40,8 milioni sfollati interni e 3,2 milioni richiedenti asilo. I bambini rappresentano il 51 per cento circa del totale;
    sempre secondo il citato rapporto, nel 2015 sono state 12,4 milioni le persone costrette ad abbandonare per la prima volta la propria abitazione a causa di un conflitto o di persecuzioni e la maggioranza di essi sono sfollati interni (8,6 milioni);
    nello stesso anno, le vittime degli attacchi terroristici sono aumentate dell'80 per cento e soltanto 69 Paesi al mondo non hanno registrato eventi di terrorismo all'interno del proprio territorio;
    il terrorismo è quindi un fenomeno globale e i terribili attacchi che hanno sconvolto l'Europa negli ultimi mesi sono la prova che la guerra è arrivata fin dentro le nostre società;
    oggi possiamo dire che abbiamo un fronte interno ed uno esterno ed è quest'ultimo che ha scatenato il corso degli eventi che ci hanno portato ai tragici eventi dei nostri giorni, anche in casa nostra;
    una guerra, oramai globale, iniziata dall'amministrazione nord americana Bush con l'attacco all'Afghanistan nell'ambito della «guerra al terrorismo», risposta sbagliata agli attentati dell'11 settembre 2001, continuata con la sciagurata invasione dell'Iraq nel 2003 e protratta con l'intervento militare in Libia;
    l'esperienza delle campagne militari in Afghanistan, Iraq e Libia mostra che aver intrapreso guerre senza avere un progetto politico condiviso con le forze e le popolazioni locali sul futuro è stata una prassi che ha peggiorato e non migliorato la sicurezza globale, e soprattutto ha condannato il popolo afghano, iracheno e libico alla follia distruttiva della violenza e del terrore che oggi si estende dal Medio Oriente all'Africa e attraversa il Mediterraneo e arriva fino al cuore dell'Europa;
    lo scenario attuale mostra che, in Afghanistan, i Talebani oggi sono in grado di operare in circa l'80 per cento del Paese e controllando larghe porzioni di territorio si sono imposti con un proprio ruolo di primo piano nel sud e nell'est del Paese, mentre l'ascesa di Daesh è sempre più evidente ed è diventata una valida alternativa, seducente e determinata nella forte e preoccupante instabilità politica dello Stato;
    a distanza di 13 anni dall'invasione USA, oggi l'Iraq è occupato per un considerevole pezzo del suo territorio da Daesh, seppur con importanti perdite degli ultimi mesi, e ora quel Paese rappresenta la calamita di tutte le destabilizzazioni regionali, Siria in primis fra tutte, mentre la Libia è un pantano con la presenza di centinaia di milizie, con un governo d'unità nazionale capeggiato da Fayez al Sarraj in rotta con Tobruk e osteggiato dal potente generale Khalifa Haftar, prossimo al fallimento e con una preoccupante presenza di Daesh;
    in Libia in queste ore sono ripresi i bombardamenti statunitensi su richiesta del Governo di al Sarraj, mettendo in imbarazzo la Francia che formalmente appoggia il governo di unità nazionale ma che di fatto con la sua presenza in territorio libico è al fianco del generale Haftar, con l'obiettivo di consolidare i suoi interessi energetici e di estendere la sua presenza sotto il Sahel;
    la lotta a Daesh in Libia, così come avvenuto in Siria, oltre a registrare il conflitto tra le varie milizie regionali, segue la logica fin qui seguita delle guerre per procura, lanciate in questo caso in base alle promesse di accordi economici petroliferi;
    la guerra ha travolto Stati e frontiere e ha inasprito la storica rivalità tra il mondo sunnita e sciita all'interno dell'Islam, all'ombra delle ambizioni commerciali, finanziarie e geopolitiche delle grandi potenze mondiali che credevano di creare nuove democrazie e che, in realtà, hanno prodotto solo maggiore instabilità che oggi mette a repentaglio tutta l'umanità;
    in questo quadro di devastazione e macerie in cui sono stati ridotti Paesi come la Siria, l'Iraq, lo Yemen, la Libia e l'Afghanistan, appare chiaro come il «Califfato» abbia deciso, con gli attacchi di Parigi e Bruxelles e poi con la rivendicazione degli atti emulativi di Nizza e Monaco, di radicalizzare lo scontro, ipotizzando una reazione occidentale e con il probabile obiettivo di infiammare una sollevazione anti-islamica dettata dall'emotività e quindi moltiplicare i proseliti anche in Europa;
    oggi non ci si può permettere di dare forza a questo scontro e ogni ipotesi, anche guardando all'esperienza di 15 anni di guerra al terrore, va fermata sul nascere e sostituita con una diversa idea di società e di convivenza universale, fondata sugli stessi valori che sono stati brutalmente attaccati in Francia: libertà, uguaglianza, fratellanza;
    questa idea deve partire dalla messa in discussione del modello di sviluppo che si arricchisce con la produzione e vendita di armi che alimentano la spirale di violenza e terrore che imperversa alle porte, nel Mediterraneo e nel vicino Oriente, e che poi si reprime con nuove armi e nuove guerre;
    negli ultimi cinque anni, mentre il Medio oriente bruciava, contemporaneamente cresceva del 30 per cento l’export di armi verso i Paesi dell'area medio orientale e del Nord Africa. Dalle relazioni inviate dal Governo alle Camere si evince che nel quinquennio 2010-2014 la meta principale delle armi italiane è stato il Medio Oriente. Secondo l'ultima relazione trasmessa nel 2015 le autorizzazioni all'esportazione degli armamenti italiani è aumentata del 200 per cento rispetto all'anno precedente, passando da 2,6 miliardi a 7,9 miliardi di euro, registrando un vero e proprio boom. Ad esempio le transazioni autorizzate con l'Arabia Saudita sono passate dai 163 milioni di euro del 2014 ai 257 milioni del 2015;
    queste armi sono state vendute in Medio Oriente e attraverso la «triangolazione» con Paesi «nostri alleati», ma anche «alleati e finanziatori del Daesh», sono arrivati nelle mani dei terroristi e quindi si è al paradosso che combattiamo contro le armi che noi stessi abbiamo venduto in Medio Oriente;
    secondo l'Unodc, l'agenzia dell'Onu che si occupa di criminalità e droga, il 90 per cento dei traffici illegali di armi proviene dal commercio legale. Frutto della triangolazione o dell'aver armato gruppi che poi cambiano alleanze, come avvenuto in Iraq e Siria. La legge italiana lo vieterebbe, ma nei fatti, una volta che sono vendute ad acquirenti ufficiali, ad esempio le Monarchie del Golfo, possono facilmente finire nelle mani sbagliate, ovvero i gruppi terroristici;
    secondo l'Istituto universitario di alti studi internazionali e dello sviluppo che ha condotto la ricerca Small Arms Survey, Daesh ha avuto disponibilità di armi provenienti dall'Arabia Saudita e la stessa accusa grava sul Qatar. A quest'ultimo Emirato è bene ricordare che dal 2012 al 2014 l'Italia ha esportato armi per 146 milioni di euro e 35 milioni soltanto nel 2015. Il committente era quindi il Paese che per David Cohen, vicesegretario Usa al Tesoro con delega per il terrorismo e l’intelligence finanziaria, ha «un habitat permissivo che consente ai terroristi di alimentarsi». Queste dichiarazioni venivano rese a marzo del 2014, mentre a luglio dello stesso anno il Qatar, che ospita l'avveniristico quartier generale Usa in Medio Oriente di Al Udeid, inviava una commessa da 11 miliardi agli Usa in armamenti, inclusi elicotteri Apache, batterie di Patriot e missili anticarro Javelin;
    oltre a rifornire di armi i vari gruppi ribelli o apertamente terroristici, i Paesi sunniti del Golfo, come il Qatar, Arabia Saudita e Kuwait – quest'ultimo sempre, secondo David Cohen, definito «l'epicentro del finanziamento dei gruppi terroristi in Siria» – formalmente nostri alleati nella coalizione anti-Daesh, in maniera più o meno indiretta, hanno finanziato attraverso donazioni i gruppi islamici dell'opposizione siriana, inclusi quelli estremistici come Al Nusra e Daesh;
    oggi Daesh, così come altre milizie e organizzazioni dell'arcipelago jihadista, ha in mano pozzi di petrolio, opere d'arte e anche caveau di banche conquistate nel conflitto, ma per arrivare fino a questo punto ha sfruttato le capacità di riciclaggio della finanza del Golfo e quindi ha beneficiato di donazioni «private» provenienti soprattutto dai Paesi del Golfo e transitate dal Kuwait;
    il sistema bancario del Kuwait – ossia il Paese che ha firmato un memorandum d'intesa sulla difesa con il nostro Paese l'11 settembre 2015, e che ha siglato un accordo per l'acquisizione di 28 caccia Eurofighter da un consorzio europeo in cui Finmeccanica, di cui il Ministero dell'economia e delle finanze è il principale azionista, avrà una commessa da 4 miliardi di euro, la più grande commessa mai ottenuta dall'azienda italiana – ha norme antiriciclaggio poco trasparenti e permette anche l’hawala, il trasferimento di denaro, anche all'estero, da individuo a individuo senza alcuna tracciabilità;
    in questi mesi è stata da più parti documentata la responsabilità del Governo turco e delle forze di intelligence turche nell'aver permesso che membri di Daesh e di altri gruppi jihadisti entrassero in Turchia e potessero muoversi liberamente nel Paese, così come sono note le responsabilità della Turchia nell'aver aperto i valichi di frontiera ai terroristi; nell'aver permesso il rifornimento di armi, munizioni e supporto logistico;
    la Turchia quindi, alleato e membro della Nato, ha favorito in questi anni il passaggio di migliaia di foreign fighter europei, aprendo quella che è stata denominata come l’«autostrada della jihad» mentre al tempo stesso conduceva una «guerra sporca» contro le organizzazioni curde in Siria e in Iraq, che sono tra le poche forze che hanno causato una serie di sconfitte a Daesh e che hanno dato vita ad un'esperienza di convivenza pacifica tra curdi, arabi, assiri, caldei, aramaici, turcomanni, armeni, ceceni e altre minoranze;
    la stessa Turchia, che ha vissuto ore drammatiche durante il tentativo di golpe, poi fallito e al successivo contro-Golpe voluto dal presidente Erdogan che ha prodotto decine di migliaia di arresti e purghe a tutti i livelli dello Stato;
    i numeri dell'ondata repressiva scatenata in Turchia dalle autorità di Governo hanno allarmato l'Europa e gli Stati Uniti, che dalla solidarietà espressa al presidente turco e al Governo sono rapidamente passati alla preoccupazione per il rispetto dei diritti umani, a partire dalla possibilità che venga reintrodotta la pena di morte;
    immediatamente alla fine del golpe si è assistito a disumane scene di vendetta di piazza ed episodi di giustizia arbitraria, mentre da più parti è stata espressa profonda preoccupazione per la deriva autoritaria imposta al Paese dalle massime autorità turche al Governo del Paese man mano che venivano mostrate all'opinione pubblica mondiale le foto dei militari arrestati seminudi, legati mani e piedi, ammassati per terra;
    da mesi, come documentato dagli atti più volte portati all'attenzione della Camera dei deputati, il Governo turco ha iniziato una guerra contro le opposizioni democratiche e le minoranze presenti nel Paese; ha imposto il coprifuoco in numerose città dell'Anatolia del Sud Est (Kurdistan Bakur), colpendo i suoi stessi civili, provocando migliaia di morti e centinaia di migliaia di sfollati; ha fatto arrestare e incriminare giornalisti, giudici ed oppositori di ogni tipo;
    le misure repressive post-golpe, gestite direttamente dal presidente Recep Tayyip Erdoğan, stanno facendo scivolare il Paese velocemente verso un regime oppressivo e mettono a rischio la stabilità della Turchia stessa;
    la Turchia oggi non è un Paese sicuro e l'accordo Unione europea-Turchia sui rifugiati (o pseudo tale, in quanto sotto il profilo giuridico deve considerarsi alla stregua di una decisione dei Capi di Stato e di Governo e non un vero e proprio accordo dell'Unione europea) vìola gravemente il diritto europeo e tradisce i fondamenti democratici ispirati alla tradizionale tutela dei diritti umani nell'Unione europea e in Italia;
    quanto emerge dall'applicazione concreta di questo pseudo accordo è che in cambio di denaro si esternalizzano le frontiere dell'Unione europea, chiudendo gli occhi sul rispetto dei diritti umani, sulla repressione delle libertà fondamentali, nonché sulla forte repressione anti-curda che il Governo turco sta mettendo in piedi negli ultimi mesi, addirittura dimenticando le gravi responsabilità di quest'ultimo nel supporto a Daesh appena citate;
    oggi l'Unione europea viene addirittura ricattata dal Governo turco, che minaccia di far saltare l'accordo se non verranno soddisfatte le sue richieste e quindi non si approvi il suo regime. È preoccupante che lo stesso modello di «accordo» con la Turchia si sta poi nei fatti applicando con le peggiori dittature del mondo: l'Egitto, l'Eritrea, il Sudan, la Somalia, il Gambia, solo per citarne alcune;
    oggi occorrerebbe istituire corridoi umanitari per agevolare l'arrivo in sicurezza di chi decide di scappare dalla sua terra e stabilire la possibilità di ottenere visti umanitari, che consentano anche il passaggio nei Paesi di transito, in luoghi attrezzati vicini alle zone di fuga; invece sorgono muri in tutta Europa. Come un tempo esisteva la Cortina di ferro, in Ungheria e Croazia oggi i muri assumono la forma fisica di rete metallica e filo spinato, mentre in Francia, Austria, Svezia e Germania vengono chiamati «momentanea sospensione di Schengen», che di fatto ripristinano le frontiere;
    anche l'Europa non è immune al mutato scenario geopolitico che mette a repentaglio la conquistata pace, l'affermazione della democrazia e la tutela dei diritti umani; in Europa oramai il dibattito politico è dominato da connotati fortemente nazionalistici e a tratti esplicitamente xenofobi, da veleni ideologici, da paure indotte, dagli stessi rigurgiti nazionalisti che hanno alimentato il consenso degli antieuropeisti britannici durante la campagna sul «Brexit»;
    le decisioni della NATO prese all'ultimo vertice tenuto a Varsavia devono ritenersi le più importanti dalla fine della guerra fredda soprattutto per una serie di misure politiche e militari preventive nei confronti della Russia; una delle principali questioni trattate al vertice di Varsavia riguarda il parziale superamento di un accordo stipulato con la Russia nel 1997, in cui si stabiliva che l'alleanza atlantica non può mantenere le proprie truppe da combattimento in modo permanente nei Paesi a est della Germania, a meno che le condizioni di sicurezza degli Stati alleati non siano in pericolo. Evidentemente, i rappresentanti dei Paesi dell'alleanza atlantica considerano cambiate queste condizioni, e nei fatti programmano delle azioni militari lungo quello che viene già chiamato «fronte orientale»;
    il vertice di Varsavia ha anche segnato una importante novità nelle relazioni NATO-Unione europea con la pubblicazione del primo comunicato congiunto tra la NATO, attraverso il segretario generale, Jens Stoltenberg, e l'Unione europea, nelle persone del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, con l'intento di annunciare il nuovo piano strategico di partnership;
    in questi anni poco o nulla è stato fatto per tagliare i canali tra Daesh, la galassia jihadista e i suoi Stati finanziatori. Nulla è stato fatto per svuotare il Medio Oriente di un po’ di armi né per supportare le richieste di democrazia che nascevano dalle primavere arabe e dalle esperienze positive di convivenza tra i popoli che emergevano nel vicino oriente che, al contrario, sono state brutalmente attaccate dalla follia distruttiva della violenza e del terrore. Di contro, si è prestato colpevolmente – per interessi – il fianco a piccoli conflitti che sono cresciuti fino a diventare, nel tempo, incontrollabili;
    Daesh è un cancro e va estirpato, si vuole incutere terrore, suscitare una risposta repressiva e dimostrare così la non praticabilità della democrazia e l'inadeguatezza dei principi democratici, liberali e laici su cui si fonda l'Europa;
    è bene non dimenticare che i terroristi delle recenti stragi di Parigi e Bruxelles sono nati e cresciuti nelle città occidentali, in Europa, e che oltre alla repressione occorre una nuova grande opera di prevenzione. Sarebbe necessario lavorare sulle periferie trascurate, e sempre più dimenticate dalle istituzioni, che sono il luogo dove attecchiscono le parole dei predicatori dell'odio in assenza dello Stato;
    occorre per questo avere cura delle comunità e promuovere il dialogo interculturale e interreligioso, fermando i predicatori d'odio da qualunque parte vengano, compresa la cultura del razzismo e il rischio di una crescente islamofobia. Si hanno a disposizione le «armi» del diritto e della democrazia per impedire che le società alzino muri invalicabili che producano discriminazioni e divisioni, e conducano a quanto sta drammaticamente accadendo al di là del Mar Mediterraneo e nel vicino Oriente;
    non è più rimandabile l'avvio nel nostro Paese di una strategia di contro-radicalizzazione mediante la formazione di operatori qualificati e una campagna di prevenzione che coinvolga la società civile e le istituzioni a tutti i livelli, partendo dalle scuole, vero primo livello dell'integrazione nella società, per l'individuazione del disagio e la prevenzione del rischio di radicalizzazione dei ragazzi e con l'obiettivo di creare una vera e propria rete sociale che, partendo proprio dalla scuola, coinvolga famiglie, associazionismo, istituzioni e accompagni i bambini, sin dai primi anni di vita, nel loro percorso di sviluppo del pensiero critico;
    bisogna invece intervenire nelle aree di crisi per trovare soluzioni di pace, senza alimentare ulteriori guerre, o sostenere nuovi e vecchi dittatori e senza sostenere le posizioni di organizzazioni terroristiche, promuovendo concretamente i processi di composizione dei conflitti e le transizioni democratiche con la società civile, il dialogo tra le diverse comunità,

impegna il Governo:

   a sostenere la composizione della storica questione mediorientale e del conflitto israelo-palestinese, dando attuazione alle mozioni votate in Parlamento il 27 febbraio 2015, a partire dal riconoscimento dello Stato di Palestina come impulso alla ripresa dei negoziati di pace;
   con specifico riferimento alla Siria, a promuovere con gli altri partner internazionali la ricostruzione delle aree liberate dalla presenza dello Stato Islamico nel Rojava e nel resto del nord della Siria, facendo sì che la Turchia apra le frontiere per permettere il passaggio dei convogli umanitari, al contempo favorendo il dialogo tra le forze democratiche del Paese e gli attori regionali, lavorando per la ripresa dei negoziati di pace e quindi la road map tracciata dal vertice di Vienna a cui devono essere invitate anche le altre parti in conflitto, le istituzioni autonome del Rojava-Siria del nord e le Forze siriane democratiche (SDF);
   con riferimento all'Iraq, a favorire la composizione di un governo inclusivo che non discrimini le minoranze non-sciite del Paese;
   a intraprendere urgenti iniziative per impedire la vendita di armi ai Paesi responsabili di aver supportato direttamente o indirettamente Daesh e a proporre in sede europea e nei consessi internazionali una moratoria sulla vendita di armi e un embargo ai Paesi coinvolti direttamente o indirettamente nei conflitti o che sono sospettati di aver armato o finanziato gruppi terroristici;
   ad assumere iniziative, anche in collaborazione con gli altri partner internazionali, per interrompere i flussi di finanziamento a Daesh, prevedendo rigide sanzioni per gli Stati che finanziano direttamente o indirettamente il terrorismo o che facilitano, con legislazioni «opache», la raccolta di donazioni «private» destinate alle organizzazioni terroristiche;
   ad adoperarsi per impedire insieme alla comunità internazionale il commercio illegale che finanzia i gruppi terroristici, a cominciare da Daesh, prevedendo sanzioni per gli Stati che permettono il contrabbando del petrolio;
   ad arginare il flusso dei foreign fighters soprattutto assumendo ogni utile iniziativa nei confronti della Turchia e a chiedere che al confine tra Turchia e Siria venga dislocato un controllo internazionale della frontiera sotto mandato ONU e che la Turchia cessi immediatamente ogni forma di ostilità nei confronti delle milizie curde dello YPG/YPJ e dello HPG che stanno combattendo contro Daesh in Siria e Iraq;
   a riconoscere formalmente le istituzioni autonome della Rojava-Siria del Nord;
   ad adoperarsi con tutti i mezzi a propria disposizione affinché riprenda il processo di pace tra Turchia e Pkk e affinché quest'ultimo sia cancellato dalla lista delle organizzazioni terroristiche internazionali;
   ad avviare un'azione diplomatica nei confronti della Turchia, finalizzata al rispetto dei diritti umani, delle minoranze e dello Stato di diritto;
   a promuovere attività di spionaggio mirato anche con forme di intelligence tradizionali a discapito di una sorveglianza di massa, scarsamente efficace e costosa, non solo in termini di diritti civili, promuovendo attività coordinate tra le agenzie di intelligence degli Stati europei e aumentando i fondi ad esso destinati, anche riducendo le ingenti spese per le campagne militari all'estero, costose e controproducenti;
   a promuovere misure per il dialogo interculturale e interreligioso contro l'emarginazione, e quindi per l'integrazione e contro l'odio, avviando una vera strategia di contro-radicalizzazione, affinché si debellino le motivazioni e le radici che conducono alla radicalizzazione e al terrorismo;
   a sostenere la revoca dell'accordo Unione europea-Turchia per contrarietà al diritto europeo, alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, all'articolo 10, terzo comma, della Costituzione italiana e più in generale ai principi fondamentali della nostra civiltà giuridica e della nostra tradizione democratica e a promuovere l'apertura immediata di corridoi umanitari di accesso in Europa per garantire «canali di accesso legali e controllati» attraverso i Paesi di transito ai rifugiati che scappano da persecuzioni, guerra e conflitti per mettere fine alle stragi in mare e in terra, e quindi debellare il traffico di esseri umani;
   a sostenere, in sede europea, tutte le iniziative tese alla cancellazione o in subordine, all'alleggerimento significativo delle sanzioni dell'Unione europea nei confronti della Federazione russa;
   a chiedere in sede europea un approfondimento sulla partnership strategica tra Unione europea-NATO come definita dall'ultimo vertice di Varsavia, chiedendo che non ci debba essere mai una sovrapposizione della NATO e dell'Unione europea nella risoluzione dei conflitti, a partire dall'Ucraina e nel rapporto con la Russia;
   a lavorare per la stabilizzazione della Libia, coinvolgendo gli altri partner europei e membri della NATO, scongiurando ulteriori azioni militari e soprattutto con l'obiettivo di limitare gli interessi strategici stranieri in terra libica che sono alla base della destabilizzazione del Paese;
   ad adoperarsi per la ricomposizione della crisi in Tunisia, coinvolgendo i Paesi dell'Unione europea per la predisposizione di un programma di aiuti economici finalizzati alla stabilizzazione del Paese;
   a mettere in atto tutte le iniziative diplomatiche a disposizione per favorire la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Cuba, a partire dalla rimozione totale del «bloqueo», anche in considerazione degli accordi bilaterali sottoscritti dal nostro Paese il 13 luglio 2016 sul trattamento del debito di Cuba, attuativi dell'intesa multilaterale firmata a Parigi il 12 dicembre del 2015 da Cuba e da 14 Paesi creditori;
   a valutare iniziative diplomatiche finalizzate alla restituzione a Cuba della base navale statunitense di Guantanamo.
(1-01336)
«Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti, Zaccagnini».
(2 agosto 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    i tanti segnali di incertezza, di tensione o di vera e propria crisi internazionale che caratterizzano il 2016, con un acuirsi nelle ultime settimane, richiedono il massimo grado di razionalità e di responsabilità nella lettura degli accadimenti e nella prospettazione delle possibili azioni di ricomposizione, pena il rischio di accentuare gli effetti nefasti di quella che autorevolmente è stata definita una sorta di «tempesta perfetta»: a livello internazionale è in atto da tempo una tendenza negativa, di inedita intensità, che sottolinea la crisi di ogni ordine mondiale precedente e regolato da super potenze, nonché l'assenza di nuovi paradigmi o comuni punti di intesa, la risorgenza di pulsioni nazionalistiche o unilateralistiche e una crescente sfiducia delle opinioni pubbliche e delle classi dirigenti nella possibilità di una gestione comune delle sfide economiche e di sicurezza, come confermano fenomeni tra loro assai differenti ma tutti in vario modo dirompenti quali la Brexit, la mancata gestione europea dell'immigrazione o il dilagare del terrorismo;
    si esprime una forte preoccupazione per alcuni atteggiamenti della Russia e della Cina che ripropongono antiche tentazioni egemoniche con iniziative unilaterali ovvero con un multilateralismo muscolare che rischiano di rendere più fragile l'intero ordine internazionale;
    l'ormai cronica emergenza umanitaria legata alle migrazioni, la guerra siriana, il difficile processo di ricostruzione delle istituzioni libiche, gli attentati jihadisti in Europa e in oriente, il voto per la Brexit e più in generale la crisi del progetto di integrazione europea e il dilagare dei populismi, il tentativo di golpe in Turchia, lo stallo in cui versa il processo di pace israelo-palestinese, sono tutte minacce intrecciate che, da un lato rendono il Mediterraneo un crocevia di tensioni globali, insicurezza, terrorismo, crisi regionali, dall'altro, possono comportare l'indebolimento della risposta europea;
    in un contesto di tali complessità, l'unica reale prospettiva di incidenza per un Paese come l'Italia è quella di operare per il rafforzamento della rule of law a livello internazionale, nonostante la crisi delle istituzioni internazionali, nella prospettiva di realizzare un ordine mondiale basato sul rispetto dei diritti umani, sulla libertà e pari dignità dei popoli, sulla risoluzione democratica e pacifica delle controversie e su di una più equa distribuzione delle risorse; a tal fine l'Italia è impegnata a consolidare e a qualificare le alleanze e le coalizioni internazionali di cui fa parte, in primis l'Unione europea, la Nato e l'Onu, in continuità con la tradizione delle strategie internazionali perseguite dall'Italia, nel rispetto della lettera e dello spirito dell'articolo 11 della nostra Costituzione, che ricordiamo essere strutturato su tre parti armoniche e d'insieme: il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; il consenso a limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri pace e giustizia tra le nazioni, la promozione del multilateralismo sotto forma delle organizzazioni internazionali rivolte a pace e giustizia;
    per quanto attiene il rilancio del progetto europeo, dopo l'esito del referendum nel Regno Unito, è indispensabile affrontare quanto prima alcune questioni di fondo riguardanti le istituzioni comunitarie e alcuni meccanismi economici, quali il rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo, consolidando le sue funzioni legislative in tutti gli ambiti di azione dell'Unione e formalizzando il suo potere di nomina del presidente della Commissione europea, o la questione della revisione del patto di stabilità e del fiscal compact;
    l'uscita del Regno Unito dall'Unione europea apre per il continente una nuova fase, caratterizzata da incognite e incertezze, ma anche da nuove speranze fondate sull'esistenza di un patrimonio comune di valori, idee e tradizioni che ci unisce come europei e dal quale ripartire per un rilancio del progetto europeo. L'Unione europea dovrà continuare ad essere per i suoi cittadini un sogno di pace e di reciproca comprensione, di speranza della dignità umana, di libertà, democrazia, certezza del diritto, solidarietà e di umanismo. Questi valori sono il vero capitale per il nostro futuro comune, nella ferma convinzione che l'Unione europea rimane la migliore risposta alle sfide di oggi. Ciò implica una svolta nella politica economica europea, sulla quale anche il Fmi, nonché le opinioni pubbliche europee e il Parlamento europeo hanno aperto una riflessione critica nel senso che il rigore che deve riguardare la spesa pubblica corrente non può essere esteso agli investimenti, pubblici e privati; di qui la necessità di mettere in campo nuovi strumenti quali gli eurobond e di rimettere in discussione le caratteristiche del patto di stabilità e del fiscal compact;
    occorre proseguire nel sostegno alla strategia per rafforzare l'Unione europea e la sua azione esterna e di sicurezza di fronte alle sfide del XXI secolo, promossa dall'Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini. Da questo punto di vista, se da un lato la Brexit implica la perdita di uno Stato membro, con una rilevante dimensione militare, dall'altro, apre nuove opportunità e pone nuove esigenze per il rafforzamento della difesa europea;
    il vertice dei Capi di Stato e di Governo della Nato, che si è tenuto a Varsavia l'8-9 luglio 2016, ha affrontato un contesto molto delicato per la sicurezza euro-atlantica, caratterizzato da tensioni con la Russia sul «fianco est» e da una crisi migratoria e dal terrorismo internazionale jihadista, entrambi alimentati da crisi e conflitti, sul «fianco sud»;
    nell'ambito del difficile, ma indispensabile dialogo con la Russia, le pur necessarie misure dissuasive devono essere affiancate dal compimento di ogni sforzo per salvaguardare il rapporto di cooperazione con tale Paese, quale partner per la composizione delle crisi nel vicinato comune, nel bacino del Mediterraneo e nel Medio Oriente, mantenendo e rafforzando un approccio di fermezza e dialogo. Questa linea, insieme ferma e dialogante, deve puntare a favorire il superamento delle tendenze unilateralistiche e dunque aggressive presenti nella strategia del Governo russo;
    nell'ambito del cosiddetto «fianco sud», il medesimo vertice ha quindi accolto le richieste dell'Italia sulla necessità di contribuire a promuovere stabilità e sicurezza nel vicinato e in particolare nel Mediterraneo. A tale proposito è da menzionare che la nuova missione navale Sea Guardian sostituirà l'attuale Active Endeavour, con un ampio mandato per assolvere lo spettro completo di compiti associati alla sicurezza marittima, e inoltre che, per supportare l'Europa nell'affrontare la crisi migratoria, la Nato non solo continuerà ad assistere Grecia, Turchia e Frontex nell'Egeo ma potrà fornire supporto logistico, capacità di intelligence, ricognizione e sorveglianza, all'operazione UE Eunavfor Med Sophia;
    in occasione del medesimo vertice di Varsavia è stata sottoscritta una Dichiarazione congiunta Ue-Nato, che lo stesso Segretario generale della Nato ha definito «storica», per garantire una più stretta cooperazione tra le due organizzazioni su temi sensibili come le minacce ibride, la cyber-sicurezza e la sicurezza marittima, lo scambio di informazioni e le esercitazioni comuni;
    sulla gestione dei flussi migratori, l'Italia, per collocazione geografica e per vocazione umanitaria e culturale, rappresenta il primo punto di riferimento per il sud del mondo e per la stessa Europa, un ruolo che svolge con generosità e intelligenza;
    oltre ad aver utilmente portato la sensibilità e l'attenzione della Nato sul Mediterraneo, nell'ultimo vertice di Varsavia, l'Italia ha coerentemente perseguito negli ultimi anni una politica di sensibilizzazione di tutta l'Unione europea al tema del governo delle migrazioni fino a proporre un piano complessivo, sia di misure immediate sia di medio lungo periodo per uscire dall'emergenza denominato « migration compact», fondato su un partenariato strategico con i Paesi africani del Sahel e dell'Africa subsahariana, che rappresentano le principali sorgenti dell'emigrazione da quel continente;
    importante tappa di questo processo è stata la prima Conferenza ministeriale Italia-Africa del 18 maggio 2016, organizzata dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con la partecipazione di oltre 40 Ministri dei Paesi africani di numerosi ambasciatori e rappresentanti di organizzazioni internazionali presenti e operanti in Africa;
    i recenti e drammatici episodi verificatisi in Europa, nei Paesi del Medio Oriente e in Asia, hanno evidenziato l'innalzamento della minaccia terroristica di matrice jihadista. In particolare, gli attentati terroristici in Francia, ideati e compiuti da cittadini regolarmente residenti sul territorio europeo e che all'interno dello stesso circolavano liberamente, mostrano ancora una volta quanto il contrasto al terrorismo internazionale va realizzato in maniera unitaria senza far distinzione tra sicurezza interna ed esterna;
    il terrorismo rappresenta una minaccia alla pace, alla sicurezza e alla stabilità di ciascun Paese, ma soprattutto ai diritti e alla libertà dei suoi cittadini e malgrado le accresciute misure di sicurezza a livello nazionale, europeo e internazionale, nonché la crescente cooperazione tra i Paesi europei ed extra europei, la minaccia terroristica in territorio europeo rimane altissima e sembra destinata a persistere nei prossimi anni;
    nel Medio Oriente e adesso anche in Francia Daesh ha messo nel mirino i cristiani vittime di assassini e di persecuzioni; specie in Francia l'integralismo islamico sta attaccando in varie forme gli ebrei parte dei quali stanno tornando in Israele; la determinazione nel colpire con una forte carica simbolica le altre religioni ha come obiettivo di generare una guerra di religione; gli interventi dei leader religiosi musulmani e del Papa hanno dato prova di grande equilibrio e lungimiranza nell'evitare questa trappola;
    l'azione di destabilizzazione militare portata avanti dal Daesh, in primo luogo in Siria, in Iraq e in Libia si affianca all'opera di proselitismo attraverso la rete e in particolare i social media alimentando il mito della sua presunta forza vincente. Un'opera che, per essere contrastata e sconfitta, necessita di una decisa azione non solo sul piano militare, che sta già conseguendo costanti e decisi successi, ma richiede un coinvolgimento delle comunità musulmane e dei Paesi islamici e un impegno sul piano sociale e culturale; per altro verso è indispensabile che le comunità musulmane non solo si esprimano in modo netto contro il terrorismo e si adoperino attivamente e pubblicamente per un contrasto alla radicalizzazione, isolando e denunciando i fiancheggiatori del terrorismo presenti al proprio interno, ma, come ha fatto il rettore di Al Azhar, contrappongano ad esso la interpretazione pacifica dell'Islam;
    da questo punto di vista, è sicuramente chiara, anche a fronte dei risultati ottenuti sul terreno, la necessità di rafforzare la coalizione che combatte contro Daesh in Iraq e Siria e a cui l'Italia partecipa con un ruolo di primo piano, tra l'altro sia con l'addestramento dei soldati e della polizia iracheni, sia con il coordinamento del gruppo internazionale di contrasto alle attività di finanziamento di Daesh; sia potenziando il sistema di collaborazione e di condivisione delle intelligence nonché di specifiche iniziative di investimento nella cybersecurity; ma altrettanto chiara deve essere una strategia di relazioni internazionali che porti a rimuovere alcune ambiguità e connivenze che caratterizzano l'azione di alcuni Paesi dell'area medio orientale;
    con il decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, convertito dalla legge n. 43 del 2015 il nostro Paese ha dato, all'indomani degli attentati alla rivista parigina Charlie Hebdo, una prima concreta ed efficace risposta alla minaccia del terrorismo jihadista e al contrasto del fenomeno dei foreign figthers attraverso la repressione dell'arruolamento e dell'organizzazione di trasferimenti con finalità di terrorismo, così come la repressione dell'istigazione e dell'apologia all'attentato terroristico sempre con l'aggravante dell'utilizzo di strumenti telematici o informatici, per arrivare alle intercettazioni preventive in caso di indagini sul terrorismo;
    le iniziative in corso sotto l'egida delle Nazioni Unite per promuovere il dialogo diretto fra le parti e la riconciliazione nazionale, mettere fine all'emergenza umanitaria e contrastare la presenza di gruppi jihadisti nelle regioni meridionali del Paese, devono consentire di porre fine all'intervento militare della coalizione di Paesi arabi richiesto dal Governo legittimo dello Yemen;
    pieno sostegno va assicurato da parte italiana alla piena attuazione delle varie risoluzioni e prese di posizione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, tra cui la risoluzione n. 2216, per l'avvio di una transizione politica. In questo contesto è necessario che tutte le parti rispettino gli obblighi del diritto internazionale umanitario e, in particolare, l'incolumità dei civili e del personale umanitario;
    la chiara condanna del golpe militare in Turchia, espressa dall'Italia e da tutta l'Europa, non può impedire un giudizio fermo e coerente di indisponibilità a giustificare vendette, epurazioni, violazioni dello Stato di diritto o limitazioni degli spazi democratici, tutte azioni incompatibili con il rispetto dei diritti umani e i pilastri della civiltà giuridica europea che la Turchia si è impegnata a rispettare con la firma della Convenzione europea dei diritti umani (CEDU). Tali azioni repressive indiscriminate rischiano, oltre che di peggiorare il contesto democratico del Paese – in prospettiva – e comprometterne la stabilità, di pregiudicare indefinitamente le prospettive della sua adesione all'Unione europea. Non è in alcun modo accettabile l'adozione di quelle misure repressive messe in atto in queste ultime settimane dal Governo turco, che, ben oltre i responsabili reali o presunti del golpe hanno colpito decine di migliaia di giudici, giornalisti, docenti, avvocati, responsabili unicamente di essere sospettati di scarsa lealtà verso il partito al potere. Tutto questo, pur tenendo in considerazione i danni provocati dalla incoerente ed intermittente politica di alcuni Stati membri nei confronti del processo di adesione della Turchia alla Unione europea;
    nei giorni successivi al fallito golpe per rovesciare il Presidente della Turchia Racep Tayyp Erdoğan, e precisamente il 22 luglio il segretario generale del Consiglio d'Europa Thorbjørn Jagland ha ricevuto una comunicazione ufficiale dal Governo turco, nella quale le autorità di Ankara annunciano la volontà di derogare alla CEDU. La possibilità di deroga è prevista dall'articolo 15 della Convenzione. Questo dà facoltà agli Stati che ne sono parte di sospendere temporaneamente l'applicazione di alcuni diritti «in caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione», e di prendere le misure necessarie per far fronte all'emergenza;
    lo stesso articolo 15 della CEDU prevede dei limiti a tale sospensione innanzitutto di tempo, ma anche che esistano dei diritti assolutamente inderogabili quali il diritto alla vita e la proibizione della tortura; a tale proposito preoccupano le intenzioni espresse dal Governo turco di ripristinare la pena di morte che la Turchia ha abolito in tutte le circostanze aderendo alla CEDU e in particolare al Protocollo n. 13;
    la Turchia, per la sua posizione strategica nell'area del Mediterraneo e per il ruolo che rappresenta all'interno della Nato e non ultimo per il ruolo nella gestione dei migranti che fuggono dalle guerre del Medioriente, non può essere una democrazia dimidiata, ma deve rafforzare lo Stato di diritto interno e la salvaguardia dei diritti umani; al tempo stesso le recenti prese di posizione polemiche espresse dal presidente Erdogan testimoniano un'assoluta mancanza di conoscenza dei princìpi fondativi della Costituzione della Repubblica italiana ai quali non solo non intendiamo rinunciare ma pensiamo possano essere riferimento anche fuori dai confini del nostro Paese;
    con la Conferenza di Roma del 2015, gli accordi di Skirat e la risoluzione n. 2259 delle Nazioni Unite e soprattutto con l'insediamento a Tripoli del Governo di accordo nazionale nel marzo di quest'anno, la situazione in Libia, anche grazie alla tenace determinazione del nostro Paese che ha coinvolto con successo la gran parte della comunità internazionale, ha cominciato a conoscere una svolta in direzione della stabilizzazione;
    a questo percorso di coinvolgimento internazionale l'Italia ha affiancato immediatamente quello per un rafforzamento del consenso intralibico al Governo Sarraj attraverso il coinvolgimento delle istituzioni locali e di quelle che governano le risorse petrolifere e una paziente opera di tessitura diplomatica finalizzata alla massima inclusione nel processo di stabilizzazione delle tribù e delle fazioni ancora in campo;
    l'Italia ha lavorato e continuerà a lavorare per l'integrità territoriale della Libia in ragione del fatto che una eventuale divisione del Paese aumenterebbe il conflitto interno strumentalizzato e strumentalizzabile da altre potenze regionali, e che solo una Libia unita può rappresentare una garanzia di stabilità per la popolazione libica e un interlocutore credibile e affidabile per l'Africa e per il Mediterraneo;
    l'insediamento del Governo Sarraj con l'avallo delle Nazioni Unite ha determinato le condizioni per l'arretramento di Daesh a Sirte, passato in un anno a controllare da 9000 a 20 chilometri quadrati di territorio grazie alla battaglia che vede protagoniste le milizie di Misurata insieme alla Petroleum Facilities Guard e, da ultimo, anche con il sostegno aereo a obiettivi mirati assicurato dagli Stati Uniti, su richiesta dello stesso Governo di accordo nazionale come previsto anche dalla risoluzione n. 2259 del Consiglio di sicurezza; la risoluzione n. 2259 delle Nazioni Unite, approvata all'unanimità dai membri del Consiglio di sicurezza dell'Onu il 23 dicembre 2015, con particolare riferimento al capoverso n. 12, legittima il rapido intervento in Libia degli Stati membri dell'ONU in risposta alle minacce terroristiche alla sicurezza di tale Paese e a sostegno del nuovo Governo libico impegnato a sconfiggere ISIL ed ogni suo alleato, e ciò sulla base della richiesta espressa da parte del Governo di accordo nazionale in tale senso e che è pervenuta nei giorni scorsi, come dichiarato dal Governo Sarraj, al fine di ottenere sostegno alle forze locali presenti sul terreno, per eliminare la minaccia terroristica rappresentata da Daesh, per il pieno successo dell'Accordo politico sulla Libia e per preservare la sovranità, l'indipendenza e l'integrità territoriale del Paese;
    l'Italia ha ospitato ripetutamente riunioni dei sindaci libici a dimostrazione di una strategia volta al coinvolgimento delle comunità e della società civile locali nel processo di stabilizzazione, di capacity building e di riconciliazione nazionale in Libia;
    l'insieme delle diverse situazioni di tensione ed i significativi impegni che vedranno nel prossimo futuro l'Italia protagonista negli organismi internazionali quali, l'organizzazione del Vertice G7 nel 2017 in Sicilia, la partecipazione in qualità di membro non permanente al Consiglio di sicurezza dell'ONU nel 2017, l'organizzazione del prossimo vertice sui Balcani occidentali che si terrà in Italia nell'estate del 2017, la presidenza dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) per l'anno 2018, designazione votata all'unanimità dai 57 Paesi membri, sono tutti passaggi che richiedono uno sforzo unitario del Paese e che confermano la necessità di una visione improntata sul consolidamento delle nostre alleanze strategiche,

impegna il Governo:

   a proseguire, nello spirito di Ventotene, nell'azione di cambiamento dell'Europa contribuendo a renderla più umana, più giusta, più vicina ai bisogni reali dei cittadini, più coesa e fortemente radicata nei princìpi di sussidiarietà e proporzionalità, a tal fine facendosi promotore – anche in vista dei 60 anni dal Trattato di Roma – di una grande iniziativa per mettere al centro proposte in favore di una nuova governance europea, soprattutto istituzionale e costituzionale, per superare la situazione di stallo e di debolezza dell'Europa, aggravata dall'esito del referendum britannico, con interventi capaci di rinnovare il progetto europeo, accrescere la legittimità democratica e recuperare il consenso dei cittadini;
   a proseguire e a potenziare il ruolo dell'Italia nelle sedi europee quale interlocutore propositivo e propulsivo, affinché il processo di integrazione europea sia contraddistinto da nuove politiche improntate alla crescita, agli investimenti, all'occupazione e alla promozione della cultura;
   a imprimere una rinnovata funzione guida dell'Unione europea sulla scena internazionale, rafforzando la sua autonomia strategica e potenziando le sue capacità operative attraverso il rilancio della prospettiva di una Difesa comune;
   a rendere rapidamente operativo, sulla scia delle proposte italiane, il migration compact europeo, come parte del superamento di fatto del sistema dell'asilo basato sugli Accordi di Dublino, con l'impegno a reperire nuove risorse e diverse fonti di finanziamento comunitarie, tali da rendere efficaci gli accordi di cooperazione e di partenariato con i Paesi terzi e africani, in particolare con quelli di origine e di maggiore transito di flussi migratori e di rifugiati;
   a proseguire nel sostegno, nel quadro delle misure volte a favorire il superamento delle ragioni strutturali dell'immigrazione di tipo economico ed ambientale, a forme di partenariato e di collaborazione economica e sociale, da affiancare agli interventi tipici della cooperazione internazionale, finalizzate alla individuazione di filoni di intervento in cui siano coinvolti gli operatori economici nazionali e dei paesi di destinazione;
   a proseguire nell'azione di orientamento dell'azione dell'Alleanza Atlantica in supporto delle missioni portate avanti dal nostro Paese e dall'Unione europea per il controllo dei flussi migratori nel Mediterraneo centrale, per il soccorso in mare degli immigrati, per la prevenzione e la repressione dei traffici illeciti gestiti dalle organizzazioni criminali, anche quali forme di destabilizzazione e di finanziamento del terrorismo internazionale;
   a valutare la possibilità di farsi promotore di una nuova strategia di relazioni internazionali volta a orientare e favorire il superamento di comportamenti omissivi o, addirittura, collusivi con il terrorismo internazionale e l'estremismo violento da parte di alcuni Paesi dell'area medio orientale;
   a continuare nell'impegno di contrasto a Daesh all'interno della coalizione internazionale contro il terrorismo;
   a portare avanti le iniziative di collaborazione e condivisione delle intelligence, a livello europeo e transatlantico e con i Paesi della regione, per prevenire e scongiurare la minaccia terroristica nei nostri territori, dedicando una specifica attenzione ed eventuali investimenti per il potenziamento della cybersecurity;
   a proseguire nell'azione di contrasto del radicalismo e del fanatismo religioso, attraverso il costante coinvolgimento delle comunità islamiche presenti nel nostro Paese e delle diverse confessioni religiose, per la definizione di una vera e propria strategia nazionale, in linea con gli indirizzi definiti in sede comunitaria, dedicando una specifica attenzione alla formazione dei diversi operatori impegnati nella sicurezza nazionale, con particolare riguardo per coloro che svolgono la loro funzione all'interno delle strutture carcerarie o nei centri di accoglienza;
   a confermare, in raccordo con gli altri Paesi dell'Unione e con le istituzioni comunitarie, il giudizio di netta condanna per il golpe ed il tentativo di destabilizzazione della Turchia, quale alleato strategico in un'area di primaria importanza geopolitica, al contempo ribadendo l'indisponibilità a tollerare reazioni non compatibili con la civiltà giuridica europea;
   a perseverare nello sforzo di giungere a una definitiva conciliazione nazionale tra le diverse fazioni attive e operanti in Libia promuovendo un dialogo continuo e a trecentosessanta gradi che non escluda nessuno ma che tenga fermi due obiettivi fondamentali: il rafforzamento del Governo di accordo nazionale e l'integrità territoriale della Libia;
   a portare le questioni relative all'implementazione di una strategia di capacity building per la Libia all'attenzione delle istituzioni comunitarie e più precisamente dell'Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Unione europea, al fine di giungere ad una politica europea sulla Libia che sia univoca e senza ambiguità;
   a continuare a sostenere quanto il Governo di accordo nazionale farà per contrastare Daesh, anche nel solco di quanto previsto dalla risoluzione n. 2259 del Consiglio di sicurezza;
   a svolgere, in tutte le sedi diplomatiche opportune, qualsiasi iniziativa volta a una rapida attuazione degli accordi di Minsk, in modo da rendere sicura la stabilità statuale dell'Ucraina e al fine di ripristinare normali relazioni economiche e commerciali fra l'Italia e la Russia;
   anche in vista dei molteplici appuntamenti internazionali che vedranno un ruolo centrale per il nostro Paese, a proseguire nell'azione di consolidamento e di rilancio delle alleanze e delle coalizioni internazionali cui partecipa l'Italia.
(1-01337)
«Rosato, Lupi, Monchiero, Locatelli, Cicchitto, Quartapelle Procopio, Carrozza, Cassano, Chaouki, Censore, Cimbro, Gianni Farina, Fedi, Garavini, Garofani, La Marca, Manciulli, Monaco, Moscatt, Nicoletti, Pinna, Porta, Rigoni, Andrea Romano, Sereni, Speranza, Tacconi, Tidei, Villecco Calipari, Zampa, Dambruoso, Alli».
(2 agosto 2016)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   MELILLA, DANIELE FARINA, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, SCOTTO, ZACCAGNINI e ZARATTI. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   Fabrizio P. è un pianista di 47 anni, di Chieti, malato di fibromialgia. La fibromialgia, o sindrome di Atlante, porta dolori muscolari fortissimi, insonnia, spossatezza e scarsa produzione di serotonina;
   dall'11 giugno 2016 è rinchiuso nel carcere di Madonna del Freddo a Chieti con l'accusa di coltivazione di cannabis;
   essendo malato di fibromialgia, Fabrizio P. assumeva a scopo terapeutico la marijuana. A detta del suo avvocato, da quando è in carcere le condizioni di salute dello stesso sono enormemente peggiorate: è molto dimagrito, non riesce a dormire e non può assumere alcune terapia sostitutiva. Rifiuta i medicinali a base di oppiacei per intolleranza, peraltro certificata da anni. Dunque, i medicinali a base di cannabinoidi sarebbero l'unico rimedio efficace per la sua patologia;
   è stato presentato un ricorso per il differimento della pena che è attualmente al vaglio del magistrato di sorveglianza di Pescara; inoltre, è stata depositata anche una relazione medico-legale dal dottor Giambattista Montini che dimostrerebbe la manifesta incompatibilità con il regime carcerario –:
   se il Ministro interrogato non intenda intervenire immediatamente sulla delicatissima situazione del signor Fabrizio P., considerati sia i gravissimi problemi di salute, sia la manifesta incompatibilità con il regime carcerario, che rischiano di mettere seriamente a repentaglio la sua vita. (3-02444)
(2 agosto 2016)

   RUSSO, CATANOSO, FABRIZIO DI STEFANO e RICCARDO GALLO. – Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi oltre centomila agricoltori hanno manifestato in diverse piazze italiane (Palermo, Potenza, Termoli e Bari) per la «giornata in difesa del grano italiano», promossa da Coldiretti; poco prima, anche i coltivatori aderenti alla Cia e a Confagricoltura avevano organizzato sit-in e presidi in varie città d'Italia (ad Alessandria e a Torino, dove è stato regalato il pane in piazza Castello);
   nel giro di pochi mesi le quotazioni del grano duro destinato alla pasta hanno perso il 43 per cento del valore: si pagano appena 18 centesimi per un chilo, mentre si registra un calo del 19 per cento del prezzo del grano tenero destinato alla panificazione; in questo caso si scende addirittura a 16 centesimi al chilo. Si tratta di prezzi largamente al di sotto dei costi produttivi, che determinano perdite fino al 50 per cento sulla scorsa campagna di commercializzazione;
   senza un'inversione di marcia sui prezzi pagati agli agricoltori e senza un freno immediato alle importazioni «spregiudicate» dall'estero, il rischio che si corre è quello di una progressiva marginalizzazione della produzione di grano, in un Paese che, paradossalmente, esporta il 50 per cento della pasta che produce;
   a rischio non ci sono solo la produzione di grano, i lavoratori in essa occupati e l'indotto della filiera, ma anche un territorio di due milioni di ettari, il 15 per cento del territorio nazionale, a rischio desertificazione;
   il mercato del grano, caratterizzato da un eccesso di offerta ormai strutturale, è inquinato da comportamenti di tipo speculativo e anticoncorrenziale, che danneggiano i produttori; all'origine della crisi ci sono però anche alcune scelte di politica agricola, dal disaccoppiamento degli aiuti dell'Unione europea (slegati dalla produzione 10 anni fa, con l'aggravante di aver cristallizzato una distribuzione dei sussidi che premia poche grandi aziende), allo smantellamento degli altri due pilastri della politica europea: il sostegno alle esportazioni e la protezione alle frontiere, con clausole di salvaguardia sempre più difficili da attivare;
   il Ministro interrogato ha già annunciato l'attivazione di diverse misure, tra cui la moratoria dei mutui, lo studio di un'assicurazione sul reddito, una contrattualistica più trasparente tra agricoltori e industria, una commissione unica nazionale per la fissazione dei prezzi e l'immediata applicazione di un piano cerealicolo, le cui risorse siano dedicate unicamente alle imprese che usano esclusivamente grano italiano;
   le misure annunciate rischiano, però, di essere insufficienti e tardive, considerato il livello di sofferenza raggiunto nelle campagne –:
   quali siano e con quali tempi le iniziative urgenti che il Ministro interrogato intende portare avanti volte a superare la grave crisi che attanaglia i produttori italiani di frumento e come si intenda, in particolare, intervenire per garantire una più equa redistribuzione del valore e ottenere la massima trasparenza nella formazione del prezzo, sostenendo così la redditività degli agricoltori e un sistema produttivo che genera ricchezza, occupazione e salvaguardia ambientale. (3-02445)
(2 agosto 2016)

   BARADELLO e PIEPOLI. – Al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:
   il 28 gennaio 2014 è stato emanato il decreto legislativo n. 8 che equipara i militari della riserva selezionata a quelli della riserva di complemento, abbassando i limiti massimi di età per l'impiego all'estero;
   appaiono evidenti le differenze oggettive, di preparazione e di motivazione che esistono tra i riservisti della selezionata e quelli di complemento;
   secondo il citato decreto legislativo 28 gennaio 2014, n. 8, per gli ufficiali superiori l'età massima è di 56 anni, mentre prima era di 62. Anche per gli ufficiali inferiori l'età è stata abbassata sensibilmente;
   in questo modo buona parte di questo personale esperto (medici, architetti, ingegneri, giornalisti, avvocati, ed altro), che fanno parte con professionalità, prestanza fisica e orgoglio della riserva selezionata, vengono di fatto messi da parte;
   vengono ingiustamente colpiti tanti che vivono la divisa del riservista della selezionata come uno dei momenti più alti e più vivi di essere italiano;
   ma oltre a questo, va anche persa tutta la preparazione, che il Ministero della difesa ha profuso con corsi specialistici e onerosi (ad esempio, con Psyops e Cimic), e l'esperienza maturata nei teatri operativi;
   molti ufficiali della riserva selezionata sono in questa situazione, mentre il momento storico richiede invece che tutte le forze specializzate, preparate e con esperienza nei teatri operativi, vengano messe a disposizione;
   appare, quindi, auspicabile un ripensamento per quel che riguarda i limiti di età, dato che ripristinare il precedente limite non comporterebbe alcuna spesa per lo Stato ed anzi le risorse impiegate in passato dal Ministero della difesa per la formazione continuerebbero ad essere utilizzate al meglio –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato per porre rimedio ad una situazione inspiegabile per le persone coinvolte e che va a grave detrimento, in un momento storico così delicato, di tutto il settore della difesa, privato di importanti risorse. (3-02446)
(2 agosto 2016)

   MOSCATT, AIELLO, PAOLA BOLDRINI, BOLOGNESI, BONOMO, D'ARIENZO, FONTANELLI, FUSILLI, GALPERTI, LORENZO GUERINI, LACQUANITI, LODOLINI, MARANTELLI, SALVATORE PICCOLO, PAOLO ROSSI, SCANU, STUMPO, VALERIA VALENTE, VILLECCO CALIPARI, ZANIN, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. – Al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:
   a quanto si apprende da notizie di stampa in data 1o agosto 2016 il Governo di unità libico ha chiesto ed ottenuto operazioni aeree statunitensi contro i militanti dell'Isis a Sirte. Tale richiesta è stata annunciata dal Premier al Serraj in conferenza stampa;
   da tali dichiarazioni sembrerebbe abbia chiesto direttamente agli Stati Uniti l'intervento aereo;
   gli attacchi sono iniziati a Sirte lunedì 1o agosto 2016;
   inoltre, nel corso dell'audizione – svoltasi il 26 luglio 2016 presso le Commissioni riunite e congiunte esteri e difesa di Camera e Senato – del Ministro interrogato con il Ministro Gentiloni, si è appreso del suo incontro con il Vice Primo ministro libico al Majbiri, nel corso del quale le è stata manifestata la difficile situazione a Sirte, ove la lotta contro il Daesh sta provocando numerosi morti e feriti libici –:
   se il Ministro interrogato intenda fornire chiarimenti, nell'ambito delle sue competenze, su quale sia il coinvolgimento attuale e futuro del nostro Paese nelle azioni aeree portate avanti dagli Usa. (3-02447)
(2 agosto 2016)

   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. – Al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:
   il settimanale l'Espresso ha riportato la notizia che in Kosovo esisterebbero ben cinque campi di addestramento organizzati dallo Stato islamico, nei quali «gli aspiranti jihadisti di etnia albanese, oltre a studiare l'arabo e il Corano, imparano a maneggiare le armi, si esercitano col tiro e apprendono nei boschi le tecniche di guerriglia», il tutto sotto la supervisione di alcuni ex militanti dell'Uck, l'esercito di liberazione albanese accusato di terrorismo e legami con la criminalità organizzata;
   l'Espresso riporta informazioni citate dall'agenzia russa Sputnik, secondo le quali i principali campi allestiti dallo Stato islamico sarebbero a Ferizaj, Gjakovica e Dečani, mentre altri più piccoli sarebbero stati individuati a Prizren e Pejë;
   il Kosovo è tuttora una nazione sotto tutela della Nato, nella quale risiedono migliaia di militari dell'Alleanza atlantica, e uno dei campi dell'Isis sorgerebbe proprio nelle vicinanze di Camp Bondsteel, attualmente la più grande e costosa base americana mai costruita al di fuori degli Stati Uniti dalla guerra del Vietnam, nel quale vivono circa settemila persone;
   stando all'articolo citato, «a Camp Bondsteel secondo una versione mai smentita, ha lavorato anche Lavdrim Muhaxheri, il comandante della famigerata “brigata balcanica” al servizio del califfo, noto per le sue atrocità (come le esecuzioni postate su Facebook raccontate da l'Espresso). E per la base Usa sarebbe passato pure Blerim Heta, un kamikaze che poi si è fatto saltare in aria a Bagdad»;
   il Kosovo si trova nel cuore d'Europa, dista poche centinaia di chilometri dall'Italia e sul suo territorio sono stanziati anche numerosi militari italiani –:
   di quali informazioni sia in possesso rispetto ai fatti esposti in premessa, in quali attività siano impiegati i militari italiani dispiegati in Kosovo e quali iniziative intenda assumere rispetto alla radicalizzazione di uno Stato che si trova nel cuore dell'Europa. (3-02448)
(2 agosto 2016)

   LATRONICO. – Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:
   da parecchi mesi trapelano dagli organi di stampa una serie di indiscrezioni sull'individuazione di possibili siti su cui costruire il futuro deposito nazionale, inseriti nella Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi), che dovrà essere approvata dai Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico e la cui pubblicazione, prevista per il settembre 2015, è slittata a data da destinarsi;
   l'Italia è l'unico Paese dell'Unione europea, con Portogallo e Grecia, che ancora non si è dotato di un deposito nazionale per le scorie nucleari e radioattive che ogni giorno vengono prodotte da ospedali e fabbriche. Secondo quanto riportato da organi di informazione, i territori potenzialmente idonei a ospitare il deposito nazionale delle scorie nucleari si trovano nel Sud della Puglia, in alcune aree della Basilicata ionica e del Molise, in qualche zona costiera della Campania, del Lazio e della Toscana, mentre sono escluse per ragioni economiche Sardegna e Sicilia e altre tre regioni – Marche, Umbria ed Emilia-Romagna – a causa del rischio sismico;
   sono trascorsi 12 anni da quando nel novembre 2003 uno «Studio per la localizzazione di un sito per il deposito nazionale centralizzato per i rifiuti radioattivi» realizzato dalla Sogin individuò come territorio idoneo ad ospitare tale deposito il sito di Scanzano Ionico in Basilicata. Per il sito di Scanzano Ionico ci furono tali proteste che il progetto venne prima abbandonato e poi rinviato a data da destinarsi e la critica maggiore che fu rivolta allora ai decisori pubblici fu quella di aver deciso senza il coinvolgimento della popolazione locale;
   la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee è pronta ed è il risultato di un lavoro che in base a 28 criteri di localizzazione individuati dall'Ispra (16 quelli esclusivi: dal rischio sismico a quello idrogeologico, dall'altitudine maggiore di 700 metri sul livello del mare alla vicinanza eccessive a coste, centri urbani e grandi vie di comunicazione, fino alla pendenza superiore al 10 per cento del terreno) ha portato ad escludere più del 99,9 per cento del territorio italiano. Quando verrà resa nota la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee, si avvierà un processo di consultazione pubblica che durerà mesi durante i quali si attenderanno le autocandidature dei siti potenziali e si svolgeranno ulteriori approfondimenti fino all'individuazione del sito;
   qualora i vari passaggi previsti per il coinvolgimento della popolazione dovessero fallire, sarà il Consiglio dei ministri ad avere l'ultima parola sulla scelta del sito;
   nonostante la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee e i relativi studi sulle aree potenzialmente idonee effettuati dalla Sogin siano ancora coperti da segreto di Stato e la popolazione lucana sia allarmata sulla base solo di indiscrezioni trapelate tramite organi di stampa, molti comuni dei territori interessati si sono dichiarati comuni denuclearizzati –:
   se il Ministro interrogato non ritenga quanto prima di assumere le iniziative di competenza per rendere pubblica la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi), nonché per tranquillizzare la popolazione e gli amministratori locali informandoli sullo stato procedurale reale della costruzione del deposito nazionale unico per i rifiuti radioattivi. (3-02449)
(2 agosto 2016)

   MATARRESE, PIEPOLI, VARGIU e DAMBRUOSO. – Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si evince dagli organi di informazione, 40 mila metri quadrati di terreni agricoli, ubicati in contrada Manganelli a Molfetta, sono stati sommersi ancora una volta da reflui urbani provenienti, secondo quanto riferito da esponenti del Wwf, dai depuratori di Ruvo e di Terlizzi;
   le osservazioni dei rappresentanti del Wwf, oggetto di un esposto presentato in procura, riferiscono di un vero e proprio «disastro ambientale con gravi conseguenze igienico-sanitarie e inquinamento della falda acquifera»;
   la causa sarebbe ascrivibile all'ostruzione dell'emissario del canale delle acque reflue provenienti dai depuratori dei comuni di Ruvo e di Terlizzi. La predetta ostruzione sarebbe stata individuata vicino alcune abitazioni in contrada Manganelli e sarebbe causata dalla fitta vegetazione e dalla mancata manutenzione ordinaria e straordinaria del canale di scarico;
   lo stato di fatto rappresenterebbe un chiaro problema non solo dal punto di vista ambientale, ma anche dal punto di vista igienico-sanitario, in quanto i reflui hanno invaso oliveti e interi campi coltivati i cui prodotti potrebbero subire pericolose contaminazioni prima di essere rivenduti ai consumatori –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e, in caso affermativo, quali iniziative di competenza intenda adottare affinché sia possibile bonificare l'area, nonché porre un definitivo rimedio al problema infrastrutturale individuato al fine di eliminare le continue inondazioni dei campi coltivati da parte dei reflui urbani, che attualmente sono causa di rilevanti problematiche non solo per l'ambiente, ma anche per la salute dei cittadini. (3-02450)
(2 agosto 2016)

   BINETTI e BUTTIGLIONE. – Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:
   è accertato che a Roma sono presenti tra le 200 e le 300 tonnellate di rifiuti a terra. Tale grave situazione è stata denunciata dall'Ama che ha inserito questa stima nel piano operativo inviato il 27 luglio 2016 al sindaco ed all'assessore all'ambiente della capitale;
   la situazione dei rifiuti nella città eterna è gravissima e costituisce, proprio per il ruolo che riveste Roma, una vera e propria emergenza nazionale;
   in tale contesto è necessaria un'azione immediata ed un progetto a lungo termine che possano affrontare la gravità del momento e predisporre misure che ne impediscano il ripetersi in futuro;
   Roma ha dunque bisogno di un piano rifiuti che utilizzi tutte le energie e le misure disponibili, nel pieno rispetto della legalità e della trasparenza;
   notizie di stampa indicano che, dopo le dimissioni del presidente del consiglio di amministrazione di Ama, il nuovo assessore all'ambiente del comune di Roma (che aveva già svolto le funzioni di consulente dell'Ama nella precedente giunta e sul quale è in corso una fortissima contestazione da parte delle opposizioni per questioni che vanno chiarite con imprescindibile urgenza) sia impegnato nell'individuazione di un tecnico esperto nella gestione dei rifiuti;
   lo stesso assessore della nuova giunta capitolina ha comunque negato l'ipotesi di un commissariamento dell'azienda;
   il fatto che attualmente non ci sia un presidente del consiglio di amministrazione crea, tra l'altro, grandi problemi operativi alla stessa Ama, soprattutto in una situazione di degrado ambientale come quello che coinvolge oggi la città;
   occorre sottolineare come proprio la scorsa settimana, il Ministro interrogato ha invitato il sindaco della capitale a procedere, d'intesa con lo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, alla soluzione del problema dei rifiuti, per tutelare i cittadini e giungere ad un pieno ripristino dello stato dei luoghi in modo da ripulire completamente la città;
   la gravissima situazione in cui versa Roma, nella circostanza, costituisce un caso di enorme rilievo nazionale ed internazionale –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere, a seguito della gravissima situazione che si è venuta a creare con quella che gli interroganti ritengono una vera e propria emergenza rifiuti nella capitale, per individuare le misure finalizzate al definitivo superamento delle attuali criticità, evitando dunque che tornino a verificarsi situazioni del genere. (3-02451)
(2 agosto 2016)

   MOLTENI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GUIDESI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GRIMOLDI, INVERNIZZI, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   l'ultima notizia riguardante il salvataggio di Monte dei Paschi di Siena, partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze, è il contributo degli enti previdenziali privati con 500 milioni di euro ad Atlante 2;
   l'indicazione, tutta politica, arriva ufficialmente dall'invito dell'Adepp (Associazione degli enti previdenziali privati) di «sostenere l'iniziativa Atlante 2» per il salvataggio bancario, dopo la richiesta del Governo di immettere, appunto, 500 milioni di euro;
   secondo quanto riportato a mezzo stampa, la decisione dell'Adepp di investire nel fondo Atlante 2, attesa da qualche settimana, è stata formalizzata al termine dell'assemblea straordinaria dei vertici degli enti, che era stata convocata subito dopo l'incontro del 21 luglio 2016 tra una delegazione dell'associazione, guidata dal presidente Alberto Oliveti (Cassa dei medici), con il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi ed il Ministro interrogato;
   è evidente quanto spinosa sia la questione per il Ministero dell'economia e delle finanze, considerato il duplice ruolo di azionista del Monte dei Paschi di Siena (4,024 per cento) e, insieme al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di vigilante sulla gestione delle casse private;
   è altrettanto evidente che il salvataggio di Monte dei Paschi di Siena mette mano alle pensioni dei liberi professionisti, per cui detta operazione contraddice i «principi di prudenzialità» cui dovrebbero attenersi le scelte di investimento degli istituti medesimi, al fine di garantire «che l'attività sia coerente con il profilo di rischio e con la struttura temporale delle passività da esso detenute, in modo tale da assicurare l'equilibrio finanziario, nonché la sicurezza, la redditività e la liquidabilità degli investimenti», come ricorda un documento pubblicato sul sito della stessa associazione che riassume tutte le normative cui sono sottoposti gli enti associati;
   la pericolosità dell'operazione è sita nella mancanza totale di chiarezza in merito a che titolo e con quali garanzie verrà fatto l'investimento –:
   quali chiarimenti intenda fornire in ordine al palese conflitto di interesse che, ad avviso degli interroganti, contorna l'operazione di cui in premessa e se e quali promesse siano state avanzate dal Governo per convincere l'Adepp a sostenere siffatta operazione. (3-02452)
(2 agosto 2016)

   PESCO, VILLAROSA, RUOCCO, ALBERTI, FICO, PISANO, CASTELLI e GRILLO. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa si apprende che il Monte dei Paschi di Siena stia predisponendo una cessione delle sofferenze con tre distinte operazioni:
    a) una tranche senior da 6 miliardi di euro per la quale verrà chiesto l'intervento della garanzia pubblica «Gacs»;
    b) una tranche definita «mezzanine» da 1,6 miliardi di euro riservata al fondo Atlante al quale verrà attribuito anche un corrispondente warrant;
    c) una tranche junior da 1,6 miliardi di euro a lunga scadenza da assegnare in opzione agli attuali soci;
   in particolar modo, da quanto si apprende da fonti stampa e dalle dichiarazioni dei principali esponenti del Monte dei Paschi di Siena, il valore complessivo della cessione sembrerebbe esser pari al 33 per cento del relativo valore nominale;
   è doveroso precisare che la cessione delle sofferenze di Carife, Banca Etruria, Banca Marche e Carichieti, in base ai parametri disposti dalle istituzioni dell'Unione europea, fu effettuata al 17,6 per cento del relativo valore nominale. Successivamente, in seguito alle verifiche effettuate dai consulenti indipendenti della Banca d'Italia, il valore di cessione delle sofferenze fu «ridefinito» al 22,4 per cento del relativo valore nominale. Se i parametri di valutazione utilizzati oggi per Monte dei Paschi di Siena fossero stati applicati alle sofferenze delle 4 banche, si sarebbero ottenuti 1.309 milioni di euro in più (900 circa secondo le valutazioni definitive) che avrebbero diminuito considerevolmente il peso delle perdite a danno dei risparmiatori;
   da approfondite analisi dei bilanci societari delle «4 banche» e di Monte dei Paschi di Siena emerge, poi, che i valori delle sofferenze con garanzia ipotecaria sono maggiormente favorevoli per le 4 banche: in media, le 4 banche espongono sofferenze con garanzia ipotecaria in misura pari al 56,50 per cento delle sofferenze complessive, contro il 44 per cento di Monte dei Paschi di Siena (dati al 31 dicembre 2015). Tale dato, di rilevante incidenza ai fini della valutazione dello stato patrimoniale e finanziario della banca, getta un forte sospetto sull'attuale manovra (politica) su Monte dei Paschi di Siena. Delle due l'una: o si riconosce un'eccessiva (ed errata) sottovalutazione delle sofferenze delle quattro banche, con tutte le note e pregiudizievoli conseguenze sulle tasche dei risparmiatori; o, in alternativa, si è ora di fronte ad una (voluta) sopravvalutazione delle sofferenze di Monte dei Paschi di Siena al fine di scongiurare «a tutti i costi» l'avvio della procedura di risoluzione, esponendo però a grossi rischi i soggetti chiamati ad intervenire nell'acquisto delle obbligazioni (tra cui anche enti di natura previdenziale);
   il sospetto si rafforza anche in considerazione delle dichiarazioni rilasciate dal Presidente del Consiglio dei ministri Renzi in merito alle presunte responsabilità politiche sull'attuale crisi di Monte dei Paschi di Siena, attribuite dal Presidente del Consiglio dei ministri a una «parte della sinistra, romana e senese, impicciona e incapace sia a livello territoriale che nazionale», che spingerebbe pertanto l'attuale classe politica di Governo (appartenente a quella stessa sinistra) verso una «doverosa» azione di salvataggio di Monte dei Paschi di Siena;
   a parere degli interroganti il sospetto di una precisa volontà politica sulla questione Monte dei Paschi di Siena diventa quasi una certezza se invece si considerano gli incontri a cena tra il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi e l'amministratore delegato di JP Morgan, Jamie Dimon. Si rammenta che già in passato (precisamente nel 2008, anno in cui era direttore generale del Ministero dell'economia e delle finanze Vittorio Grilli, oggi capo della divisione corporate and investment banking per Europa, Medioriente, Africa di JP Morgan) la banca Usa ha investito 490 milioni di euro nel prestito obbligazionario convertibile, il famoso «Fresh 2008» da 960 milioni di euro, che, insieme con l'aumento di capitale da 5 miliardi di euro, era servito a finanziare l'operazione Antonveneta. Ad oggi, invece, il piano di salvataggio riserverebbe un ruolo chiave a Jp Morgan quale banca capofila dell'aumento di capitale, per una cifra che potrebbe essere intorno ai 3 miliardi di euro, dello stesso Monte dei Paschi di Siena, necessario dopo la pulizia dei crediti –:
   quali siano le ragioni ed i parametri in base ai quali si ritenga corretto il valore complessivo di cessione delle sofferenze di Monte dei Paschi di Siena, pari al 33 per cento del relativo valore nominale, considerato che le «migliori» sofferenze di Carife, Banca Etruria, Banca Marche e Carichieti (per qualità di garanzia) sono state valutate quasi la metà, così determinandone l'avvio della procedura di risoluzione e le pregiudizievoli conseguenze sui risparmiatori. (3-02453)
(2 agosto 2016)

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