TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 728 di Lunedì 23 gennaio 2017

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN RELAZIONE AL FENOMENO DELLA RESISTENZA AGLI ANTIBIOTICI

   La Camera,
   premesso che:
    i dati diffusi dal rapporto «Review on Antimicrobial Resistance», pubblicato nel 2016, riportano che, entro il 2050, le infezioni resistenti agli antibiotici potrebbero essere la prima causa di morte al mondo, con un tributo annuo di oltre 10 milioni di vite, più del numero dei decessi attuali per cancro;
    il 26 maggio 2016 gli scienziati del dipartimento alla difesa Usa hanno individuato un super-batterio resistente a qualsiasi tipo di antibiotici, si tratta di una specie di «escherichia coli» riscontrata nelle urine di una donna di 48 anni della Pennsylvania;
    il dettaglio più allarmante, spiega il rapporto pubblicato sulla rivista della Società americana di microbiologia, «Antimicrobial Agents and Chemotherapy», è che l'agente patogeno in questione, è resistente persino all'antibiotico «colistin». La colistina, infatti, è considerata l'ultima spiaggia degli antibiotici e se un batterio riesce a sopravvivere anche a questa è impossibile fermarlo. Potrebbe essere, scrivono i media americani, «la fine della strada» per gli antibiotici;
    uno scenario che potrebbe essere evitato; infatti, il 21 settembre 2016, i Paesi membri dell'Onu si sono riuniti per fare il punto e proporre soluzioni sulla lotta all'antibiotico-resistenza, quella che è stata definita «la più grande sfida della medicina contemporanea»;
    i rappresentanti dell'Assemblea generale dell'Onu hanno firmato il documento che impegna i 193 Paesi membri a mettere in atto politiche e iniziative per contrastare l'antibioticoresistenza;
    oggi si stimano circa 700 mila morti l'anno a causa dell'antibiotico-resistenza, una stima approssimata per difetto, in quanto non si dispone di un sistema di monitoraggio globale;
    l'Istituto superiore di sanità nel rapporto 09/32 mette in evidenza, «come dimostrano le tendenze registrate da numerosi studi effettuati al riguardo, come l'utilizzo terapeutico degli antibiotici riscontra un continuo declino in termini di efficacia. Purtroppo, tale declino non è compensato, come invece avveniva in passato, dalla disponibilità di nuovi antibiotici efficaci ed è, almeno in larga misura, associato al loro abuso/cattivo utilizzo. L'uso improprio degli antibiotici ha fatto sì che oggi la loro efficacia non sia più un bene garantito, come a lungo siamo stati abituati a pensare, e che quelli oggi disponibili debbano essere maggiormente difesi, alla stregua di «risorse non rinnovabili». Gli effetti di queste tendenze sono molto evidenti in Italia, che è uno dei Paesi europei con il più alto consumo di antibiotici (24,5 DDD/1000 abitanti/die) insieme ad altri Paesi dell'Europa meridionale (Grecia in testa, con ›g30 DDD/1000 abitanti/die). Conseguentemente, l'Italia condivide con questi Paesi un alto livello di antibiotico-resistenza nei principali agenti batterici di infezioni gravi (stafilococco, escherichia coli, pseudomonas spp., pneumococco) e verso le principali classi di antibiotici (penicilline, cefalosporine, macrolidi e fluorochinoloni). La comunità scientifica internazionale è dunque ampiamente concorde nel sostenere la necessità di contrastare il fenomeno tramite un'inversione di tendenza che porti ad un corretto utilizzo (mirato, razionale e parsimonioso) degli antibiotici attualmente a disposizione, tenendo presente come la resistenza possa essere ridotta a vantaggio della sensibilità ma che, in ogni caso, questo avverrà con minore rapidità rispetto all'avanzare dell'antibiotico-resistenza»;
    il comunicato stampa dell'Agenzia nazionale del farmaco diramato il 10 maggio 2016 rende noto che «la comunità scientifica internazionale e le istituzioni preposte alla tutela della salute hanno lanciato l'allarme sullo sviluppo di resistenze antimicrobiche da molto tempo, a fronte di una percezione pubblica del fenomeno, a livello globale, ancora piuttosto limitata»;
    si tratta di un’«era post-antibiotica», uno scenario apocalittico, quello in cui le infezioni sfuggono alle armi della medicina moderna per divenire intrattabili, riportando il mondo, dal punto di vista sanitario, al periodo precedente alla seconda guerra mondiale. Oggi si tratta di una concreta minaccia per la salute pubblica mondiale come più volte ricordato dall'Organizzazione mondiale della sanità, dalle istituzioni europee e da quelle italiane. Uno stato di cose determinatosi rapidamente e contemporaneamente in tutto il mondo a causa, principalmente, dell'utilizzo eccessivo e inappropriato di antibiotici, sia per uso umano che per quello veterinario;
    il sistema di sorveglianza europeo ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control) stima che in Italia il consumo di antibiotici sistemici, nonostante presenti un lieve calo rispetto al passato, sia superiore alla media europea, sia in ambito ospedaliero che territoriale;
    circa l'80-90 per cento dell'utilizzo degli antibiotici avviene a seguito della prescrizione dei medici di medicina generale, pertanto la medicina generale rappresenta il punto focale per il monitoraggio del consumo di questa classe di farmaci, nonché il punto su cui è importante agire per migliorarne l'appropriatezza prescrittiva. Difatti, l'impiego improprio di antibiotici, oltre ad esporre i soggetti ad inutili rischi derivanti dai loro effetti collaterali, pone grandi problematiche cliniche connesse al possibile sviluppo di resistenze;
    le condizioni cliniche per le quali si osserva un impiego di antibiotici più frequentemente inappropriato, nella popolazione adulta, sono le infezioni acute delle vie respiratorie (IAR) e le infezioni acute non complicate delle basse vie urinarie (IVU). La metà della popolazione è colpita annualmente da almeno un episodio di infezioni acute delle vie respiratorie; di conseguenza, le infezioni acute delle vie respiratorie rappresentano circa il 75 per cento degli interventi medici nella stagione invernale. Inoltre, esse sono una delle principali cause di morbilità e di mortalità nel mondo. È stimato che oltre l'80 per cento delle infezioni acute delle vie respiratorie abbia un eziologia virale, pertanto gli antibiotici non sono solitamente indicati per il loro trattamento; ne consegue la possibilità di individuare macro indicatori di un uso scorretto degli antibiotici nella popolazione adulta in carico alla medicina generale;
    uno dei problemi più annosi è certamente costituito dal «gradiente Nord-Sud», che vede le regioni del Meridione consumare un numero significativamente superiore di dosi, senza alcuna giustificazione dal punto di vista epidemiologico. La variabilità regionale vede realtà di eccellenza, come la Liguria (16,2 dosi giornaliere ogni mille abitanti) e la provincia autonoma di Bolzano (14,4 dosi giornaliere ogni mille abitanti), e contesti che fanno più fatica a ridurre i consumi come la Campania (32,7 2 dosi giornaliere ogni mille abitanti), la Puglia (30,3 2 dosi giornaliere ogni mille abitanti) e la Calabria (28, 2 dosi giornaliere ogni mille abitanti);
    proprio a livello europeo si valutano con interesse esperienze di Paesi che fanno registrare un consumo inferiore di antibiotici. I Paesi Bassi sono la realtà europea maggiormente virtuosa, con un differente sistema di confezionamento dei farmaci, che consente di preparare dosi unitarie e pacchetti personalizzati. Lo studio Antimicrobial Resistance and causes of Non-prudent use of Antibiotics in human medicine in European Union (Arna), finanziato dall'Unione europea e condotto da un team di ricerca olandese, ha concluso infatti che una delle principali cause del fenomeno dell'automedicazione con antibiotici sono i cosiddetti left-overs, ovvero quelle dosi che superano il numero di quelle prescritte dal medico curante e che rimangono nella disponibilità dei pazienti;
    lo studio ha effettuato una survey in sette Paesi europei, tra cui l'Italia, e nel dettaglio, su 9.313 pazienti italiani intervistati, il 9 per cento ha affermato di utilizzare gli antibiotici senza ricorrere ad una prescrizione medica e, di questi, l'87 per cento utilizza le rimanenze di confezioni di antibiotico disponibile tra famiglia e parenti. Alla luce di quanto emerso anche nel nostro Paese si sta discutendo, nelle sedi deputate, sull'istituzione di un limite alla prescrizione degli antibiotici nell'ambito della terapia individuale;
    nel libro «Principi di politica degli antibiotici», di Smjla Kalenic e Michael Borg è illustrato come «gli antibiotici influenzano la normale flora umana che può diventare resistente e poi agire come riserva di geni di resistenza. Ciò pone un particolare problema nel trattamento dell'infezione di un paziente potendo potenzialmente influenzare i microrganismi di una certa popolazione. Pertanto, quando possibile, devono essere utilizzati antibiotici con ridotto spettro d'azione. Gli antibiotici sono pure diffusamente utilizzati in medicina veterinaria (per infezioni o come fattori di crescita) e in agricoltura, creando altre riserve di microbi resisterti agli antibiotici che possono infettare l'uomo. L'uso eccessivo degli antimicrobici è direttamente responsabile dello sviluppo della resistenza; di conseguenza devono essere favoriti i migliori modelli di prescrizione»;
    la prescrizione impropria in ospedale è stata descritta come «troppi pazienti che ricevono antibiotici a largo spettro non necessari, per via di somministrazione errata, dose sbagliata e per troppo tempo». Il laboratorio di microbiologia svolge un ruolo fondamentale per la gestione corretta degli antibiotici nelle strutture sanitarie. L'applicazione routinaria dei test di sensibilità (antibiogrammi) è di aiuto nell'identificare i livelli di sensibilità e resistenza a singoli antibiotici e nella scelta della terapia appropriata da parte dei medici. I laboratori di microbiologia devono saggiare gli antibiotici raccomandati. Refertare solo quelli di prima scelta se l'isolato è sensibile; se è resistente, aggiungere l'antibiotico d; seconda scelta. Ciò rende meno probabile la prescrizione dell'antibiotico di seconda scelta (solitamente a spettro più ampio, più tossico, più costoso). Informazioni aggiuntive dal laboratorio di microbiologia che possono offrire una guida generale per la scelta dell'antibiotico e ridurre l'uso improprio;
    il rischio di resistenza antimicrobica non deriva solo dall'abuso di antibiotici in ambito ospedaliero o domestico, ma anche dalla trasmissione di batteri resistenti agli antimicrobici attraverso la catena alimentare e dalla trasmissione di tale resistenza dai batteri animali ai batteri umani;
    il fenomeno dell'antibiotico-resistenza si è sviluppato anche a seguito dell'abuso di antimicrobici negli allevamenti, in particolare negli allevamenti intensivi, dove l'elevata densità della popolazione animale nelle stalle aumenta il rischio dell'insorgenza e della diffusione delle infezioni;
    per mitigare il rischio di resistenza antimicrobica in modo efficace, tenuto conto della co-resistenza e della resistenza incrociata, l'uso prudente degli antimicrobici deve determinare una riduzione generale dell'uso di tali sostanze attraverso azioni dirette a prevenire l'insorgenza delle infezioni, migliorando lo stato di salute e benessere degli animali, proibendo programmi sanitari nei quali gli animali siano trattati sistematicamente con antimicrobici a titolo profilattico;
    l'uso degli antibiotici in veterinaria dovrebbe essere limitato al trattamento delle patologie e non esteso alla prevenzione o alla profilassi di gruppo/allevamento;
    il Ministero della salute nella relazione finale dell'anno 2015 nell'ambito del «Piano nazionale residui» ha presentato un focus sugli antibiotici da cui emerge: «l'uso eccessivo o non appropriato di antibiotici, unitamente a scarsa igiene e/o carenze nelle pratiche di prevenzione e controllo delle infezioni, ha causato negli anni il fenomeno dell'antimicrobicoresistenza, in quanto si sono create condizioni favorevoli allo sviluppo, diffusione e persistenza di microrganismi resistenti agli antimicrobici sia negli esseri umani che negli animali, trasformando il fenomeno di naturale adattamento biologico dei microrganismi in una seria minaccia per la salute pubblica a livello mondiale. L'Unione europea, nell'ottica della One Health è attiva da più di 15 anni nel contrasto a tale minaccia con una serie di Piani e di azioni che spaziano da attività di prevenzione delle infezioni microbiche e della loro diffusione, al controllo sull'utilizzo appropriato e prudente dei farmaci sia in medicina umana ed animale, allo sviluppo di nuovi antibiotici e al miglioramento della comunicazione, educazione e formazione per operatori e pazienti»;
    nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea C 299 sono state infatti pubblicate le Linee guida sull'uso prudente degli antimicrobici in medicina veterinaria, che, rappresenta uno dei principali settori strategici dell'Unione europea nel quadro del contrasto alla resistenza antimicrobica;
    le linee guida si prefiggono l'obiettivo di fornire una guida pratica agli Stati membri in materia di sviluppo e attuazione di strategie per favorire l'uso prudente di antimicrobici in medicina veterinaria, attraverso piani d'azione che mirino a migliorare lo stato di salute e benessere degli animali;
    alcune misure indicate nel documento che contribuirebbero alla prevenzione delle malattie e alla riduzione della necessità di utilizzo di antimicrobici sono volte a: favorire un miglioramento delle condizioni igieniche e di biosicurezza di tutta la filiera zootecnica, evitare situazioni di stress per gli animali allevati che possono indebolire i sistemi immunitari degli animali e renderli più sensibili alle infezioni, come ad esempio il sovraffollamento nelle aziende zootecniche, favorire misure preventive efficaci dirette a migliorare la salute animale e gli standard di benessere e monitorare i patogeni e la loro sensibilità a livello di allevamento, con l'obiettivo finale di garantire che l'uso di antimicrobici avvenga su singoli gruppi;
    il 2 marzo 2016 è stata approvata all'unanimità una risoluzione dalla IX Commissioni (Agricoltura e produzione agroalimentare), XII Commissione (Igiene e sanità) del Senato della Repubblica, sulla riduzione dell'impiego di antibiotici nell'allevamento animale;
    una riduzione drastica dell'uso di antibiotici non è una sfida impossibile, infatti l'Olanda ha ridotto negli ultimi 5 anni del 70 per cento il consumo degli antibiotici ad uso veterinario ed è ultima nella classifica europea per il consumo giornaliero di antibiotici, vantando uno dei più bassi livelli di antibiotico-resistenza al mondo;
    l'Olanda mantiene alta l'attenzione sull'uso consapevole di antibiotici, attraverso l'adozione di linea guida evidence based, formazione del personale sanitario e campagne istituzionali rivolte ai cittadini. La sua prossima sfida è di ridurre del 50 per cento sia le prescrizioni inappropriate, sia le infezioni prevenibili nei prossimi cinque anni. L'Olanda ha il pregio di essere intervenuta non solo nel settore sanitario ma anche in quello veterinario, consapevole che questi due ambiti sanitari sono strettamente correlati. Dal 2007 al 2016 ha ridotto di quasi il 70 per cento l'uso di antibiotici negli allevamenti di pollame, bestiame e maiali, riuscendo a frenare la pericolosa crescita registrata a partire dagli anni Novanta;
    in Olanda, davanti alla constatazione che dal 1990 al 2007 l'uso di antibiotici negli allevamenti era raddoppiato, il servizio medico veterinario nazionale ha lanciato una partnership pubblica-privata tra aziende alimentari, veterinari e Governo. Nel giro di due anni, ha raccolto i dati sull'uso di antibiotici in 40 mila allevamenti. Individuati quali erano gli allevatori che facevano maggiore uso di antibiotici e i veterinari che ne prescrivevano di più, si è iniziato a lavorare per accrescere la consapevolezza della resistenza globale agli antibiotici. In contemporanea, il Governo ha imposto la riduzione del 20 per cento nel 2011, del 50 per cento nel 2013 e del 70 per cento nel 2015 dell'uso di antibiotici nel settore veterinario, sfida che è stata vinta dimostrando che le abitudini possono cambiare;
    la resistenza antibiotica è una minaccia seria alla salute globale e pertanto non deve essere sottovalutata; la prevenzione e il controllo delle infezioni dovranno essere una priorità nel nostro Paese, occorre quindi che tutte le istituzioni cooperino per modificare i comportamenti di tutti gli attori coinvolti: allevatori, consumatori, medici e pazienti,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché gli ospedali siano dotati di servizi di microbiologia permanente, al fine di identificare i livelli di sensibilità e resistenza a singoli antibiotici e coadiuvare i medici prescrittori nella scelta delle terapie più appropriate;
2) ad adottare iniziative efficaci che mirino alla riduzione del consumo degli antibiotici in ambito ospedaliero, promuovendo l'applicazione di test di sensibilità agli antibiotici (antibiogrammi) necessari per garantire l'appropriatezza prescrittiva;
3) a promuovere, per quanto di competenza, un differente sistema di confezionamento dei farmaci, prevedendo l'introduzione di dosi unitarie o pacchetti personalizzati, al fine di evitare autoprescrizioni da parte dei cittadini;
4) ad assumere iniziative per promuovere programmi di formazione professionale specifica degli operatori sanitari, migliori prassi, anche con riguardo alle terapie corrette, migliori modelli prescrittivi, misure per prevenire e ridurre la trasmissione di patogeni, il controllo delle infezioni e misure igieniche;
5) ad assumere iniziative, attraverso campagne istituzionali di informazione e di educazione sanitaria sull'uso prudente di antimicrobici, volte ad incoraggiare tutti i cittadini ad agire in modo proattivo per ridurre la minaccia alla resistenza antibiotica;
6) ad adottare le necessarie iniziative per prevenire lo sviluppo e la trasmissione delle malattie all'interno degli allevamenti e per incentivare sistemi di allevamento estensivo e allevamenti con metodi biologici, che garantiscano maggior rispetto del comportamento e del benessere animale, nonché una minore incidenza delle infezioni;
7) ad assumere iniziative per attuare programmi di controllo e monitoraggi delle aziende zootecniche, al fine di rafforzare l'attività di vigilanza sulle condizioni di vita e di salute degli animali e di contrasto di eventuali abusi nell'utilizzo di antimicrobici;
8) ad assumere iniziative per creare un sistema nazionale volto ad incrementare i controlli sulla distribuzione, prescrizione ed uso di medicinali veterinari, nonché a promuovere l'obbligo della ricetta elettronica per i farmaci veterinari, al fine di evitare l'abuso degli antibiotici negli allevamenti;
9) ad assumere iniziative, anche normative, per vietare l'applicazione di sconti di marketing basati sul meccanismo prezzo/volume in relazione all'acquisto di antibiotici ad uso veterinario;
10) ad individuare, anche attraverso l'Istituto superiore di sanità, protocolli di sorveglianza epidemiologica dei nosocomi, e a verificare che gli stessi siano attuati, in modo costante, al fine di identificare eventuali ceppi multi-resistenti e strategie mirate di intervento.
(1-01463)
«Mantero, Silvia Giordano, Lorefice, Di Vita, Nesci, Grillo, Colonnese, Gagnarli, Busto, Benedetti, Gallinella, L'Abbate, Parentela».
(10 gennaio 2017)

   La Camera
   premesso che:
    la resistenza agli antibiotici è un fenomeno naturale causato dalle mutazioni genetiche a cui vanno incontro i batteri. Tuttavia, un uso eccessivo e improprio degli antibiotici accelera la comparsa e la diffusione dei batteri resistenti agli antibiotici. I batteri sensibili muoiono quando entrano in contatto con gli antibiotici, mentre i batteri resistenti sopravvivono e continuano a moltiplicarsi. I batteri resistenti possono trasmettersi e causare infezioni anche in altre persone che non hanno fatto uso di antibiotici;
    l'emergenza di microorganismi resistenti agli antibiotici è un problema che ha assunto ormai rilevanza mondiale, pur non coinvolgendo in eguale misura tutte le specie batteriche e le classi di agenti antimicrobici. Tale fenomeno viene evidenziato in maniera prevalente nell'ambiente ospedaliero sulla base della letteratura che indica nell'ampio e spesso improprio uso di antimicrobici che si attua nei nosocomi per motivi terapeutici e profilattici, la causa primaria di questo evento. Purtroppo, per le già citate capacità che hanno i batteri di scambiarsi informazione genetica anche i patogeni comunitari diventano sempre più partecipi dei diversi meccanismi di resistenza. Si è assistito, infatti, in tempi più recenti all'insorgenza di specie refrattarie non solo ad un singolo gruppo di farmaci, ma caratterizzate da meccanismi multipli di resistenza a più classi di antibiotici;
    la resistenza agli antibiotici può contribuire al fallimento terapeutico e se largamente diffusa rappresenta un grosso problema durante la terapia, L'incidenza di resistenza in ciascun patogeno inoltre è dipendente dalla pressione selettiva esercitata dalla quantità di farmaco impiegata (medicina, veterinaria, industria) in un determinato ambiente. I microorganismi hanno la possibilità di modificare il proprio patrimonio genetico sia attraverso mutazioni spontanee sia attraverso lo scambio genetico. Quest'ultimo aspetto è molto importante, poiché mediante i transposoni che catturano geni e i plasmidi che possono veicolarli, i batteri hanno virtualmente a disposizione l'intero corredo cromosomico di tutte le specie esistenti, sono infatti gli unici viventi che possono avere uno scambio di materiale genetico tra specie diverse;
    la minaccia della diffusione delle antibiotico-resistenze è infatti più che mai reale e per combatterla bisogna prima di tutto conoscerla. E questo perché si ignora una (buona) parte dell'origine, ovvero il corretto utilizzo degli antibiotici. A svelarlo è l'indagine dell'Organizzazione mondiale della sanità, presentata in concomitanza con la presentazione del report sul consumo degli antibiotici in Europa;
    il cattivo utilizzo degli antibiotici (sia negli esseri umani che negli animali) può portare a conseguenze drammatiche: solo in Europa, infatti, si stima che ogni anno le morti per infezioni resistenti agli antibiotici siano 25 mila l'anno e diversi tipi di infezioni, dalle polmoniti, alla turbercolosi alla gonorrea, stanno diventando sempre più difficili da trattare;
    le cause del diffondersi del fenomeno sono diverse: prescrizioni eccessive, scarsa aderenza ai trattamenti, utilizzo improprio ed eccessivo negli allevamenti, in particolar modo nei Paesi extra Unione europea come Cina e Brasile, scarso controllo delle infezioni nelle strutture sanitarie, mancanza di igiene e mancanza di nuovi antibiotici. Diversi sono anche i modi con cui i batteri resistenti agli antibiotici una volta sviluppatisi possono diffondersi: dal contatto uomo-uomo, a quello uomo-animali al consumo di cibo e acqua che li contengano;
    i dati provenienti dai sistemi di sorveglianza indicano che la resistenza antimicrobica costituisce un problema sanitario crescente in Europa sia negli ospedali che in comunità. La resistenza di Escherichia coli ai principali antibiotici sta aumentando in quasi tutti i Paesi europei; escherichia coli è uno dei principali batteri responsabili di infezioni; causa infezioni delle vie urinarie ed anche infezioni più gravi;
    per rispondere a questo problema di sanità pubblica, nel 2001 il Consiglio dell'Unione europea ha inviato ai vari Paesi una raccomandazione invitandoli ad adottare iniziative atte ad assicurare un uso prudente di antibiotici (raccomandazione del Consiglio, del 15 novembre 2001, sull'uso prudente degli agenti antimicrobici in medicina umana (2002/77/CE)). Alcuni anni fa alcuni Paesi hanno avviato programmi nazionali comprendenti campagne di sensibilizzazione dei cittadini, registrando una diminuzione sia del consumo di antibiotici sia della resistenza;
    la resistenza varia da Paese a Paese a causa di numerosi fattori: uso degli antibiotici, patologie di base, qualità dell'assistenza ospedaliera, percentuale di immunizzazione, fattori sociali ed altro. La percentuale delle infezioni resistenti riferibili ad un unico fattore non è sempre accertabile. I dati del sistema europeo di sorveglianza sulla resistenza antimicrobica mostrano un gradiente nord-sud, dove ai Paesi scandinavi e ai Paesi Bassi corrispondono le percentuali più basse e al sud Europa le percentuali più alte. Si è visto che i Paesi con percentuali di resistenza più basse sono quelli che usano meno antibiotici, e viceversa;
    gli antibiotici impiegati per trattare e prevenire le infezioni batteriche negli animali nei Paesi in via di sviluppo appartengono alle stessi classi degli antibiotici usati per l'uomo: macrolidi, tetracicline, chinoloni, betalattamici, aminoglicosidi. Pertanto, è possibile che gli animali acquisiscano batteri che sono resistenti ad antibiotici impiegati anche contro le infezioni umane. Fortunatamente gli antibiotici utilizzati negli allevamenti italiani sono di classi diverse, non vengono utilizzati per la agevolare la crescita ma solo per la cura in caso di malattie, non sono direttamente interferibili con le infezioni umane e le norme impongono, in caso di utilizzo per cure specifiche, un periodo di sospensione tale da impedire che le carni e altri alimenti di origine animale prodotte in Italia poste in consumo non contengano tracce di antibiotici;
    tuttavia, l'enorme interscambio commerciale di carni in import con molti paesi extra Unione europea – molti dei quali non garantiscono queste attenzioni al consumatore – apre la strada al rischio che alcuni batteri resistenti associati agli alimenti, come Campylobacter e Salmonella, possono essere trasmessi dall'animale all'uomo attraverso il cibo;
    la causa principale della resistenza agli antibiotici nell'uomo rimane comunque l'uso degli antibiotici in medicina umana,

impegna il Governo:

1) a predisporre tutti gli strumenti normativi al fine di dare piena applicazione al documento strategico globale e linee guida, predisposti dall'Organizzazione mondiale della sanità, al fine di istituire dei sistemi di monitoraggio della resistenza agli antibiotici e intraprendere azioni efficaci;
2) ad assumere iniziative per predisporre nuove linee-guida, per i medici, al fine di prescrivere antibiotici sull'evidenza, solo ove necessario, soprattutto ricorrendo a farmaci specifici contro l'infezione e non «ad ampio spettro»;
3) a predisporre campagne di informazione al fine di spiegare al paziente come alleviare i sintomi di raffreddore e influenza senza ricorrere agli antibiotici, oltre all'importanza di una corretta assunzione degli antibiotici prescritti dal medico;
4) a prevedere, al fine di incentivare la riduzione progressiva dell'utilizzo di antibiotici negli allevamenti, nella prima iniziativa normativa utile, un'ulteriore detrazione, in aggiunta a quelle già previste sull'imposta lorda sul reddito delle società (IRES), sulla quota di produzione certificata che non utilizza antibiotici (produzione antibiotic free) o, in alternativa, un credito di imposta specifico pari al valore degli investimenti infrastrutturali e strumentali svolti per produzione di alimenti di origine animale senza alcun ricorso all'utilizzo di antibiotici;
5) ad assumere iniziative per prevedere il divieto all'importazione di alimenti di origine animale da quei Paesi extra Unione europea nei quali gli allevamenti ricorrono massicciamente ed impropriamente all'utilizzo di antibiotici, soprattutto se delle stesse classi usate per le terapie sull'uomo, ed in generale di carni o altri alimenti che contengano tracce di antibiotici.
(1-01475)
«Rondini, Gianluca Pini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Cristian Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Simonetti».
(20 gennaio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    la resistenza agli antibiotici è un processo naturale di selezione causato dalle mutazioni genetiche a cui vanno incontro i batteri, ma è anche il risultato di alcuni comportamenti: l'uso eccessivo e improprio degli antibiotici permette alle popolazioni resistenti di proliferare e prendere il sopravvento. Compaiono quindi in questo modo i superbatteri resistenti agli antibiotici disponibili;
    secondo il rapporto della commissione indipendente britannica, guidata dall'economista Jim O'Neill, dal titolo «Review on Antimicrobial Resistance», a causa della crescente resistenza dei batteri agli antibiotici, per il 2050 si prevedono oltre 10 milioni di morti all'anno (attualmente sono 700mila), una persona ogni tre secondi, per infezione da microrganismi, un numero di decessi superiore a quello causato dal cancro;
    in Europa, si verificano annualmente 4 milioni di infezioni da germi antibiotico-resistenti che causano oltre 37.000 decessi e determinano un consistente assorbimento di risorse pari a circa 1,5 miliardi di Euro l'anno;
    a destare maggiore preoccupazione sono soprattutto la resistenza del Campylobacter verso la ciprofloxacina e quella delle Salmonelle nei confronti di diverse molecole e dell'Escherichia coli negli allevamenti degli Stati dell'Unione europea. In un report il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) hanno sottolineato che il fenomeno della resistenza antimicrobica rappresenta un grave rischio per la salute umana e animale;
    negli ultimi 10 anni il consumo (anche per l'uso massiccio che se ne fa negli allevamenti) è cresciuto in media nei Paesi Ocse del 4 per cento, arrivando fino alla media di 20,5 dosi ogni 1.000 abitanti. Il Paese che ne consuma di più è la Turchia (41 dosi ogni 1.000 abitanti), seguita dalla Grecia (34), Corea (31,7), Francia (29), Belgio (28,4) e Italia (27,8). Lo stato che ne consuma di meno è invece il Cile (9,4 dosi) e i Paesi Bassi (10,6). In Italia negli ultimi 10 anni l'uso degli antibiotici è cresciuto del 6 per cento;
    stando al rapporto annuale del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, redatto con i dati del sistema di sorveglianza Esac-Net dell'Unione europea, l'Italia è ai primi posti in Europa per consumo di antibiotici e, con il loro uso, anche la resistenza aumenta;
    l'Italia, stando ai dati Ocse aggiornato al 2014, è il terzo Paese con la più alta percentuale di antibiotico resistenza (33-34 per cento nel 2014, raddoppiata dal 2005 quando era al 16-17 per cento). Dopo l'Italia Grecia e Turchia;
    nel nostro Paese le infezioni correlate all'assistenza intra-ospedaliera colpiscono ogni anno circa 284.000 pazienti (dal 7 per cento al 10 per cento dei pazienti ricoverati) causando circa 4.500-7.000 decessi. Le più comuni infezioni sono polmonite (24 per cento) e infezioni del tratto urinario (21 per cento);
    negli Stati Uniti è stato individuato nelle urine di una donna della Pennsylvania un super-batterio, una specie di «escherichia coli», resistente a qualsiasi tipo di antibiotici. A lanciare l'allarme gli scienziati del dipartimento alla difesa Usa;
    l'agente patogeno – si legge nel rapporto pubblicato sulla rivista della Società americana di microbiologia «Antimicrobial Agents and Chemotherapy» – è resistente persino all'antibiotico colistin, farmaco che spesso viene usato come ultima risorsa;
    questo particolare agente patogeno è stato definito dagli esperti «il batterio degli incubi», che in alcuni casi può arrivare ad uccidere il 50 per cento delle persone che ne vengono contagiate;
    la minaccia per la salute è diventata reale e, infatti, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, lo scorso settembre, si è occupata del problema. I 193 Stati membri hanno firmato un documento congiunto sulle linee guida mondiali per la lotta alla resistenza antimicrobica, definita «la più grande minaccia alla medicina moderna»;
    nel corso dell'ultima Assemblea generale delle Nazioni Unite, il direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), Margaret Chan, ha detto che l'antibiotico-resistenza per la salute globale è paragonabile a un «lento tsunami»;
    l'Agenzia italiana del farmaco (Aifa), sul sito web, evidenzia che alcuni dati mostrano quanto siano gravi le ripercussioni dell'antibiotico-resistenza: un'epidemia di tifo multiresistente si sta diffondendo in diverse regioni dell'Africa, in 105 Paesi si registrano forme di tubercolosi resistenti ai farmaci, mentre sono circa 200.000 i neonati che ogni anno muoiono a causa dei cosiddetti super-batteri;
    tra le cause dell'aumento delle resistenze batteriche ha avuto un ruolo determinante l'uso improprio dei vecchi antibiotici. In Italia, per esempio, nonostante le numerose campagne di comunicazione del Ministero, vengono prescritti troppi antibiotici: oltre il 50 per cento dei pazienti ricoverati in ospedale viene sottoposto a questo tipo di terapia. L'eccessivo uso, spesso non corretto, di questi farmaci ha portato a un incremento rilevante delle resistenze batteriche;
    una recente indagine di Eurobarometro sull'uso degli antibiotici – pubblicata dalla Commissione europea nel giugno 2016 e condotta su 28mila europei, tra cui 1000 italiani – «boccia» le abitudini degli italiani. Lo studio mostra che gli italiani sanno poco dell'efficacia e degli effetti degli antibiotici e, quindi, li usano in modo inappropriato. In termini di consumo, l'Italia si colloca tra i primi cinque a livello europeo con il 43 per cento. La media europea è del 34 per cento e l'Italia è molto distante dai primi della classe: i Paesi del nord come Svezia (con il 18 per cento), Olanda (20 per cento), e Germania (entrambi al 23 per cento);
    centrale, in tal senso, è il ruolo dell'informazione. In Italia, però, solo il 15 per cento dei cittadini ha ricevuto una qualche indicazione, quasi sempre da un medico, sul fatto di non usare antibiotici quando non sono necessari. La media europea è, invece, del 33 per cento;
    l'utilizzo dei vaccini ridurrebbe la necessità di utilizzare antibiotici e contribuirebbe a combattere l'aumento delle infezioni da batteri resistenti ai farmaci. I vaccini possono combattere la resistenza ai farmaci perché riducono i casi di infezione e la necessità di ricorrere ad antibiotici;
    il nostro Paese è il terzo maggiore utilizzatore di antibiotici negli animali da allevamento in Europa (dopo Spagna e Cipro), con un consumo più alto di quello effettuato da altri Paesi di simili dimensioni (il triplo della Francia e cinque volte il Regno Unito);
    l'uso eccessivo di antibiotici negli allevamenti intensivi è una delle principali cause della sempre maggiore resistenza degli organismi patogeni agli antibiotici;
    in Italia il 71 per cento degli antibiotici venduti è destinato agli animali e il 94 per cento di questi trattamenti è di massa. Questo determina una situazione di rischio elevato per la nascita di super batteri che dagli allevamenti possono raggiungere le persone e farle ammalare, contribuendo a far salire il numero di morti per antibiotico resistenza;
    l'Unione europea con una direttiva nel 2006 ha proibito l'utilizzo di antibiotici come «promotori della crescita». Nel 2011 l'Ema ha pubblicato un piano in 12 punti contro la resistenza agli antibiotici. Svezia, Danimarca, Germania e Francia già da diversi anni hanno imposto delle misure per monitorare il problema finalizzato a frenare l'utilizzo degli antibiotici negli allevamenti per contrastare le resistenze nella medicina umana e animale;
    il 2 marzo 2016 è stata approvata una risoluzione dalla IX Commissione (Agricoltura e produzione agroalimentare) e dalla XII Commissione (Igiene e sanità) riunite del Senato della Repubblica, sulla riduzione dell'impiego di antibiotici nell'allevamento animale,

impegna il Governo:

1) a promuovere iniziative destinate ad incentivare l'uso responsabile degli antibiotici in commercio, limitandone l'utilizzo;
2) ad adottare iniziative per favorire un cambiamento culturale nella popolazione e nella comunità medica che determini un impiego appropriato degli antibiotici in modo da ridurne l'abuso e prolungarne il più possibile la vita;
3) a promuovere incentivi finanziari per lo sviluppo di nuovi test diagnostici che possano evitare la somministrazione inutile di antibiotici e dotare gli ospedali di servizi di microbiologia permanente;
4) a sostenere la formazione del personale sanitario e a rilanciare la ricerca e lo sviluppo di nuovi antimicrobici;
5) ad intensificare le modalità di promozione delle vaccinazioni;
6) a mettere in campo iniziative di monitoraggio per garantire il benessere degli animali allevati e per ridurre l'utilizzo di antimicrobici, tutelando la salute umana;
7) ad accelerare le procedure per la redazione del piano nazionale contro l'antibiotico resistenza e per l'obbligatorietà della ricetta elettronica del farmaco veterinario per effettuare controlli e monitoraggi sul consumo di antibiotici.
(1-01476)
«D'Incecco, Lenzi, Beni, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Capone, Carnevali, Casati, Patriarca, Murer, Sbrollini».
(20 gennaio 2017)

MOZIONE CONCERNENTE INIZIATIVE IN RELAZIONE AI QUESITI REFERENDARI IN MATERIA DI JOBS ACT

   La Camera,
   premesso che:
    in data 11 gennaio 2017 la Corte Costituzionale si è pronunciata sull'ammissibilità delle richieste relative ai tre referendum popolari abrogativi in materia di lavoro e Jobs Act promossi dalla Cgil e sui quali sono state raccolte oltre 3 milioni di firme ove, in particolare, si chiedeva la riviviscenza delle disposizioni contenute nell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori e quindi la reintroduzione normativa dello stesso, l'abrogazione delle disposizioni che hanno istituito i voucher e, infine, la reintroduzione normativa delle disposizioni in materia di responsabilità solidale di appaltatore e appaltante in caso di violazioni nei confronti del lavoratore;
    in particolare, la Corte costituzionale ha dichiarato: ammissibile la richiesta di referendum denominato «abrogazione disposizioni limitative della responsabilità solidale in materia di appalti» (n. 170 Reg. Referendum); ammissibile la richiesta di referendum denominato «abrogazione disposizioni sul lavoro accessorio (voucher)» (n. 171 Reg. Referendum); inammissibile la richiesta di referendum denominato «abrogazione delle disposizioni in materia di licenziamenti illegittimi» (n. 169 Reg. Referendum);
    alla luce della pronuncia di ammissibilità da parte della Consulta delle due richieste di referendum in materia di appalti e voucher, il Governo dovrà fissare una data per il voto, tra il 15 aprile e il 15 giugno, fatto salvo quanto disposto dall'articolo 34, secondo e terzo comma, della legge n. 352 del 1970 ove si prevede che, in caso di anticipato scioglimento di una o di entrambe le Camere «il referendum già indetto si intende automaticamente sospeso all'atto della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Presidente della Repubblica di indizione dei comizi elettorali per la elezione delle nuove Camere o di una di esse». Si precisa, poi, che i «termini del procedimento per il referendum riprendono a decorrere a datare dal 365o giorno successivo alla data della elezione»;
    indipendentemente dall'esito della pronuncia di ammissibilità della Corte costituzionale, i quesiti sui quali la Cgil ha raccolto oltre tre milioni di firme affrontano tutti problematiche di cruciale importanza riguardando, come si è detto:
     a) la materia degli appalti e prevedendo che in caso di violazioni nei confronti del lavoratore rispondano in solido sia la stazione appaltante sia l'impresa appaltatrice, al fine di ripristinare le garanzie per i contributi dei lavoratori delle aziende che subappaltano i lavori. Il quesito, in particolare, recita: «Volete voi l'abrogazione dell'articolo 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, recante “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30”, comma 2, limitatamente alle parole “Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti,” e alle parole “Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all'appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell'appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l'azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l'infruttuosa escussione del patrimonio dell'appaltatore e degli eventuali subappaltatori.”»;
     b) la reintroduzione dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori attraverso l'abrogazione delle norme che hanno liberalizzato i licenziamenti economici. Il secondo quesito, ritenuto inammissibile dalla Corte, in particolare recitava: «Volete voi l'abrogazione del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, nella sua interezza e dell'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, recante “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”, comma 1, limitatamente alle parole “previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell'articolo 1345 del codice civile”; comma 4, limitatamente alle parole: “per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili,” e alle parole “, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell'indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto”; comma 5 nella sua interezza; comma 6, limitatamente alla parola “quinto”, e alle parole “, ma con attribuzione al lavoratore di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi”, e alle parole “, quinto o settimo”; comma 7, limitatamente alle parole “che il licenziamento è stato intimato in violazione dell'articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Può altresì applicare la predetta disciplina nell'ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento”, e alle parole “; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell'indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo”; comma 8, limitatamente alle parole “in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento”, alle parole “quindici lavoratori o più di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell'ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all'impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di”, e alle parole “anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti”»;
     c) l'abrogazione delle disposizioni relative ai voucher, ossia il cosiddetto lavoro accessorio, che può essere definito l'evoluzione della stabilizzazione del precariato nel nostro Paese. Il terzo quesito, in particolare, recita: «Volete voi l'abrogazione degli articoli 48, 49 e 50 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell'articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”»;
    secondo quanto si apprende dalla stampa nazionale, proprio in relazione a tali quesiti referendari, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti avrebbe recentemente dichiarato anche in riferimento alla coincidenza del referendum con la possibilità di elezioni anticipate che: «se si vota prima del referendum il problema non si pone», esplicitando in maniera chiara e inequivocabile non solo la difesa strenua del Jobs Act e del lavoro accessorio, ma anche il timore del Governo per l'indizione di un referendum che, per la seconda volta e nell'arco di pochissimi mesi, potrebbe sancire l'ennesima dimostrazione del profondo dissenso popolare nei confronti delle politiche economiche e sociali varate dal Governo Renzi, nella considerazione che il cuore dell'impianto strategico delle riforme del lavoro introdotte in questi ultimi anni hanno provocato, di fatto, una profonda destrutturazione degli elementi valoriali che sono alla base dei diritti dei lavoratori, legittimando la diffusione incontenibile di forme di precariato del tutto inaccettabili;
    la questione del diritto del lavoro e delle politiche del lavoro nel nostro Paese è una cosa talmente seria da dover essere affrontata urgentemente insieme, con il coinvolgimento di tutte le forze politiche e sociali in campo, perché fino a questo momento la recrudescenza del populismo ed effetti mediatici vari hanno provocato solo scollamento con il blocco sociale, senza portare ad alcun risultato socialmente apprezzabile come emerso inequivocabilmente dopo l'esito del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016;
    bisogna recuperare al più presto quel progetto di unità ed unitarietà in cui si sostanzia il significato basilare dell'articolo 1 della Carta Costituzionale dove si legge: «L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro», perché in termini legislativi non si può continuare a ragionare come se quell'unità e certi equilibri siano stati realmente raggiunti;
    si evidenzia, infine, che il 29 settembre 2016 la Cgil ha consegnato al Parlamento di 1 milione e 150.000 firme a sostegno della proposta di legge di iniziativa popolare sulla Carta dei diritti universali del lavoro: una riscrittura del diritto del lavoro in nome di un principio di uguaglianza che travalichi le varie, forme e tipologie nelle quali esso si è diversificato e frammentato negli anni. La Carta dei diritti universali del lavoro è un testo composto da 97 articoli che propone un nuovo statuto delle lavoratrici e dei lavoratori, che estenda diritti a chi non ne ha e li riscriva per tutti alla luce dei grandi cambiamenti di questi anni, rovesciando l'idea che sia l'impresa, il soggetto più forte, a determinare le condizioni di chi lavora, il soggetto più debole,

impegna il Governo:

1) ad adottare le opportune iniziative normative volte a dare seguito alle richieste contenute nei quesiti referendari promossi dalla Cgil, in relazione ai quali sono state raccolte oltre 3 milioni di firme;
2) ad assumere le iniziative di competenza al fine di fissare immediatamente la data per il voto referendario entro i termini previsti dalla legge.
(1-01451)
(Nuova formulazione) «Airaudo, Martelli, Placido, Scotto, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti».
(19 dicembre 2016)

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