TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 745 di Martedì 21 febbraio 2017

 
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INTERPELLANZA E INTERROGAZIONI

   A) Interrogazione

   CHIARELLI e PALESE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 dicembre 2015 i consiglieri di minoranza del comune di Leporano, in provincia di Taranto, signori Pavone, Galeone, De Milito, D'Avanzo, depositavano una richiesta di convocazione di un consiglio comunale monotematico sulla questione raccolta differenziata e smaltimento dei rifiuti, ai sensi dell'articolo 39, comma 2, del TUEL, con le forme e il rispetto dei requisiti richiesti dalla norma e dallo statuto comunale;
   in data 22 dicembre 2015 con note protocollo nn. 12522 e 12533, rispettivamente a firma del presidente del consiglio comunale e del sindaco pro tempore, si notificava diniego alla richiesta di convocazione del consiglio comunale monotematico adducendo come motivazione: «perché l'istanza a firma di 1/5 dei consiglieri risulta priva di una proposta di deliberazione allegata»;
   in data 4 gennaio 2016 con istanza inviata tramite pec alla prefettura di Taranto, a firma i tutti i consiglieri di minoranza, si chiedeva al prefetto di intervenire nella vicenda e di ordinare al presidente del consiglio comunale di Leporano la fissazione del consiglio monotematico, in quanto non attiene alle competenze né del presidente del consiglio né del sindaco esprimere giudizi sull'oggetto della richiesta di convocazione del consiglio monotematico ex articolo 39, comma 2, del TUEL;
   in data 6 marzo 2016 con sollecito formale a firma del consigliere Pavone si richiedeva al prefetto di Taranto di rispondere all'istanza protocollata più di due mesi prima; tale sollecito veniva inviato per conoscenza anche al Ministero dell'interno;
   in data 21 marzo 2016 la responsabile dell'area enti locali della prefettura di Taranto, dottoressa Pricolo, rispondeva al sollecito affermando che non fosse stato possibile evadere la predetta richiesta formulata dai consiglieri del comune di Leporano poiché «priva dello schema di deliberazione richiesto dallo Statuto Comunale», aggiungendo che «sull'argomento l'Ufficio ha richiesto l'avviso al Ministero dell'Interno»;
   la previsione del citato articolo 23 dello statuto del comune di Leporano è, a giudizio dell'interrogante, in netto contrasto con quanto statuito dal TUEL all'articolo 39, nel momento in cui indica una condizione aggiuntiva che limita i diritti dei consiglieri comunali secondo l'articolo 39, comma 2, il presidente del consiglio comunale o provinciale è tenuto a riunire il consiglio, in un termine non superiore ai venti giorni, quando lo richiedano un quinto dei consiglieri, o il sindaco o il presidente della provincia, inserendo all'ordine del giorno le questioni richieste al comma 5 si stabilisce che in caso di inosservanza degli obblighi di convocazione del consiglio, previa diffida, provvede il prefetto;
   l'assenza di contestuale presentazione dello schema di deliberazione, ancorché non previsto dal TUEL, nei fatti non può rappresentare elemento impeditivo alla convocazione dell'assise nel caso di un consiglio comunale monotematico su uno specifico argomento, per il quale è richiesto il più ampio confronto propedeutico e finalizzato al raggiungimento di una convergenza sul piano delle risoluzioni da adottare;
   l'argomento oggetto della richiesta, gestione dei rifiuti e raccolta differenziata, è di particolare interesse sociale e richiede di essere affrontato in tempi brevi –:
   di quali elementi disponga in relazione alla vicenda di cui in premessa e se, alla luce delle istanze dei citati consiglieri di minoranza, si intenda da parte del prefetto procedere all'esercizio dei poteri di cui all'articolo 39 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali ai fini della convocazione del consiglio comunale. (3-02167)
(8 aprile 2016)

B) Interrogazione

   CRIVELLARI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il personale di turno della piattaforma Adriatic Lng di Porto Viro (Rovigo), operando nel terminal situato al largo della costa italiana del Mare Adriatico settentrionale a circa 15 chilometri in direzione nord-est dallo scanno del Palo nel comune di Porto Viro, fa sapere di essere stato impossibilitato a recarsi presso il comune di residenza per motivi lavorativi e, quindi, di fatto, impossibilitato a partecipare al referendum costituzionale che si è tenuto il 4 dicembre;
   le organizzazioni sindacali di Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil, dopo aver segnalato il problema all'azienda, hanno ribadito di trovare «discriminatorio che in un tema così delicato ci fossero discordanze rispetto ad altre realtà del paese», non rendendo di fatto possibile ai lavoratori recarsi alle urne il 4 dicembre;
   i lavoratori della piattaforma Adriatic Lng di Porto Viro chiedono che venga pienamente riconosciuto il loro diritto al voto politico e referendario così come previsto dall'articolo 48 della Costituzione, al pari dei colleghi che operano e lavorano in altre piattaforme italiane e analoghe strutture –:
   se e quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere, anche sul piano normativo, per garantire il pieno diritto di voto dei lavoratori operanti in strutture come quella di cui in premessa. (3-02656)
(14 dicembre 2016)

C) Interrogazione

   MANZI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal 2016 il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo nel giorno della Festa della donna, ha previsto l'ingresso gratuito per le donne nei musei italiani oltre ad organizzare un fitto calendario di eventi e manifestazioni a tema, nei luoghi della cultura statali, per sottolineare il rilievo della giornata;
   come riportato in un articolo della testata giornalistica locale «Il Ducato», ripreso anche dalla stampa nazionale, l'8 marzo 2016, l'ingresso al Palazzo Ducale di Urbino non è stato gratis per le donne, come invece accaduto negli altri musei italiani;
   il personale addetto alla biglietteria della Galleria nazionale delle Marche, a seguito delle lamentele delle visitatrici e interpellato dalla stampa locale, si sarebbe giustificato dicendo di non essere stato avvertito dalla Soprintendenza dell'iniziativa ministeriale in corso, mentre quest'ultima avrebbe invece spiegato di aver avvisato il personale interessato per tempo e con una circolare;
   anche se il problema è stato successivamente risolto, l'errore di comunicazione appare poco giustificabile, dato che l'iniziativa in questione era stata puntualmente e preventivamente annunciata dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, già all'inizio del mese di febbraio 2016 e quindi in tempo utile per informare gli addetti ai lavori –:
   se e quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per chiarire come effettivamente si sono svolti i fatti, al fine di accertare eventuali responsabilità ed evitare che episodi come questi possano compromettere il buon esito di iniziative così importanti e, al tempo stesso, recare un danno d'immagine all'intero circuito museale e culturale marchigiano.
(3-02792)
(17 febbraio 2017)
(ex 5-08095 dell'11 marzo 2013)

D) Interrogazione

   BENI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito del Programma operativo nazionale (Pon) 2014-2016, approvato dalla Commissione europea, l'Asse II è dedicata alla cultura e allo sviluppo e ha come obiettivo la valorizzazione del territorio attraverso interventi di conservazione del patrimonio culturale e creativo, il potenziamento del sistema dei servizi turistici e di sostegno alla filiera imprenditoriale collegata al settore;
   il 19 luglio 2016 il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha presentato il programma «Cultura Crea», gestito dall'Agenzia nazionale per l'attrazione di investimenti e lo sviluppo di impresa (Invitalia) e destinato alla crescita di micro, piccole e medie imprese e del terzo settore, operanti nella filiera culturale e creativa delle cinque regioni del Mezzogiorno: Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia;
   come previsto dal decreto ministeriale n. 243 del 2016, i fondi stanziati per la realizzazione del programma sono stati ripartiti in tre ambiti: 41,7 milioni di euro per la creazione di nuove imprese dell'industria culturale, 37,8 milioni di euro per lo sviluppo delle imprese dell'industria turistica e manifatturiera e 27,4 milioni di euro per il sostegno ai soggetti del terzo settore che operano nell'industria culturale;
   nel documento discusso e approvato dal comitato di sorveglianza del PON «Cultura e Sviluppo», per quanto riguarda i criteri di selezione dei soggetti di terzo settore abilitati a presentare domanda di ammissione, si fa riferimento a «soggetti e organizzazioni facenti parte del terzo settore, la cui ordinaria attività e le cui finalità istituzionali non siano incompatibili con le finalità del programma»;
   la legge n. 106 del 2016, recante «Delega al Governo per la riforma del terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale», contiene la definizione aggiornata degli enti facenti parte del terzo settore;
   il citato decreto ministeriale all'articolo 1, lettera h), nel definire i soggetti di terzo settore che possono presentare domanda di ammissione alle agevolazioni, non fa alcun riferimento alla legge n. 106 del 2016 che di fatto ha aggiornato la normativa in materia, ma elenca solo alcune categorie specifiche di enti del terzo settore, escludendo le associazioni di promozione sociale, di cui alla legge n.  383 del 2000;
   anche dai dati dell'ultimo censimento Istat sul terzo settore risulta che le associazioni di promozione sociale rappresentano, invece, la forma organizzativa prevalente fra gli enti di terzo settore che operano nel campo della promozione e dello sviluppo del patrimonio culturale –:
   quali siano le ragioni dell'esclusione delle associazioni di promozione sociale fra i soggetti indicati all'articolo 1, lettera h) del decreto ministeriale n. 243 del 2016;
   se non ritenga necessario assumere iniziative per integrare le disposizioni contenute nell'articolo 1, lettera h, del decreto sopracitato al fine di ricomprendere anche le associazioni di promozione sociale tra i soggetti del terzo settore che possono presentare domanda di ammissione alle agevolazioni. (3-02793)
(17 febbraio 2017)
(ex 5-09740 del 12 ottobre 2016)

E) Interrogazione

   RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la Corte costituzionale, con la sentenza n. 251, depositata il 25 novembre 2016, ha deciso in merito all'impugnazione della legge n. 124 del 2015, cosiddetta «riforma Madia», in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, a seguito del ricorso della regione Veneto, che ha impugnato le disposizioni che delegano il Governo ad adottare decreti legislativi per il riordino di numerosi settori inerenti a tutte le amministrazioni pubbliche, comprese quelle regionali e degli enti locali, in una prospettiva unitaria e, dunque, incidendo su una moltitudine di materie, che coinvolgono interessi e competenze sia statali, sia regionali e, in alcuni casi, degli enti locali;
   la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 11 della legge in questione, in materia di: dirigenza pubblica; norme contenenti le deleghe al Governo per il riordino della disciplina vigente in tema di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni; partecipazioni azionarie delle pubbliche amministrazioni e servizi pubblici locali di interesse economico generale che incidono su una pluralità di materie e di interessi, inscindibilmente connessi, riconducibili a competenze statali (ordinamento civile, tutela della concorrenza, principi di coordinamento della finanza pubblica) e regionali (organizzazione amministrativa regionale, servizi pubblici locali e trasporto pubblico locale);
   in particolare, i magistrati costituzionali ritengono illegittima la parte della norma in cui è previsto che i decreti attuativi siano assunti previo parere anziché previa intesa nella Conferenza Stato-regioni;
   tra gli articoli dichiarati illegittimi, come predetto, c’è anche quello che riguarda la riforma della dirigenza pubblica, il cui decreto attuativo è stato recentemente approvato dal Consiglio dei ministri, senza aver raggiunto alcuna intesa con le regioni. Pertanto, tale decreto se venisse pubblicato in Gazzetta Ufficiale potrebbe essere immediatamente impugnato e dichiarato incostituzionale;
   è evidente che la decisione dei giudici costituzionali mette in rilievo i gravi limiti, anche tecnici, della «riforma Madia» che richiedono, conseguentemente, urgenti misure correttive –:
   quali siano gli orientamenti del Governo sui fatti esposti in premessa e se quali iniziative intenda adottare a seguito della pronuncia di illegittimità emessa dalla Corte costituzionale in relazione a specifiche disposizioni della legge n. 124 del 2015. (3-02790)
(16 febbraio 2017)
(ex 5-10076 del 6 dicembre 2016)

F) Interpellanza e interrogazione

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   nell'ambito delle eccezionali condizioni meteorologiche che si sono abbattute sul nostro Paese nei giorni scorsi, la Sicilia ha subito forti nevicate ed eccezionali gelate, anche a quote molto basse;
   anche a causa della scarsissima consuetudine a fronteggiare condizioni meteorologiche tanto pesanti che a quelle latitudini ed in quella forma si presentano molto raramente, tali avverse condizioni atmosferiche, oltre a provocare enormi disagi alla popolazione, hanno provocato danni cospicui agli impianti, alle produzioni ed alle strutture di numerosi imprenditori agricoli che conducono le loro aziende in forma singola o associata;
   oltre alle conseguenze prodottesi nelle zone di montagna per le aziende zootecniche, relativamente ai pascoli ed alle riserve di foraggio per gli animali, tali conseguenze si sono manifestate anche nelle zone di pianura laddove insistono aziende dedite ad attività agricole rivolte alla produzione di agrumi (come il mandarino tardivo di Ciaculli) o di ortaggi (come i carciofi nella Piana di Catania) o produzioni intensive di primaticci in serra in varie altre parti del territorio isolano;
   buona parte di tali produzioni vengono realizzate in ambiente protetto (serre, tendoni o tunnel) che l'eccezionalità degli eventi meteorologiche ha irrimediabilmente compromesso;
   in particolare, nella zona del Canicattinese in provincia di Agrigento, dove l'eccezionale evento calamitoso ha visto cadere oltre cinquanta centimetri di neve, vista la particolare tecnica di coltivazione «a tendone» dell'uva da tavola «Italia» (IGP), si è verificata la distruzione di parecchie centinaia di ettari di vigneto crollate sotto il peso della neve accumulatasi;
   la produzione di uva «Italia» costituisce una consolidata e cospicua fonte di reddito per la città di Canicatti e dei comuni del circondario, trattandosi di produzioni pregiate di una agricoltura evoluta e d'avanguardia;
   le aziende agricole interessate spesso non hanno una capacità finanziaria e patrimoniale di livello tale da consentire loro di sopportare i danni subiti che, in alcuni casi, sono di notevole entità;
   la regione siciliana sembrerebbe orientata a dichiarare lo stato di calamità per tali zone interessate dagli eventi calamitosi dei giorni scorsi, anche alla luce della quantificazione dei danni che sono tuttora in fase di accertamento da parte degli uffici competenti –:
   se non ritenga di dovere assumere iniziative al fine di accelerare le procedure di propria competenza e consentire agli imprenditori agricoli delle zone colpite ed, in particolare, delle zone più fortemente colpite dall'eccezionale ondata di maltempo, di poter vedere ristorato il danno subito, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, ed in particolare dal decreto legislativo n.  102 del 2004, nel più breve tempo possibile;
   se non ritenga di adottare iniziative di natura straordinaria affinché le aziende agricole che hanno subito danni e perdite non debbano vedere compromessa l'intera annata agraria con le conseguenze che questo avrebbe sull'intera economia della zona.
(2-01596)
«Capodicasa, Raciti, Albanella, Berretta, Moscatt, Culotta, Greco, Schirò, Zappulla, Piccione».
(18 gennaio 2017)

   IACONO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la straordinaria ondata di maltempo che sta attraversando la Penisola con abbondanti nevicate sta causando ingenti danni e disagi per l'agricoltura italiana;
   da una prima stima la perdita del settore agricolo per gli effetti dell'eccezionale ondata di maltempo potrebbe aggirarsi già intorno a 700 milioni di euro;
   per l'agroalimentare nazionale, ma soprattutto per l'agricoltura, è scattata così una nuova drammatica emergenza che si aggiunge alla difficile situazione che sta colpendo gli agricoltori italiani alle prese con costi produttivi sempre più onerosi;
   la situazione nelle aree colpite dagli eventi sismici è drammatica e nel resto della penisola è emergenza praticamente ovunque, con situazioni critiche in Puglia, Sicilia, Basilicata, Calabria e Campania;
   il maltempo ed il gelo hanno causato non solo danni alla produzione per centinaia di milioni di euro ma anche ingenti danni a beni strumentali, oltre ai problemi per il reperimento del foraggio con danni conseguenti per gli allevamenti;
   inoltre, il freddo rigido sta facendo lievitare anche consumi di gasolio agricolo, soprattutto per il riscaldamento delle serre e delle strutture aziendali e questo costringe gli agricoltori a sostenere ulteriori costi;
   le criticità maggiori sono nelle regioni del Sud soprattutto in Puglia ed in Sicilia dove si rischia di perdere buona parte degli agrumeti e dove si registrano danni per svariati milioni di euro;
   nei prossimi giorni si prevede un aumento del costo di diversi prodotti ortofrutticoli a causa dei danni prodotti dal maltempo di queste ore;
   il maltempo ha reso impraticabili moltissime strade di campagna e tanti agricoltori sono rimasti isolati per giorni, senza luce e acqua;
   le gelate si innescano in una già critica situazione del comparto agricolo, con rischio di forti perdite di reddito per gli agricoltori –:
   quali iniziative urgenti di competenza il Ministro intenda assumere in seguito alla situazione di emergenza atmosferica e di grave danno per il settore agricolo;
   se non ritenga opportuno, vista l'importanza del comparto e lo stato di crisi in cui versa da tempo, convocare con urgenza un tavolo di confronto con le associazioni degli agricoltori, al fine di individuare misure condivise per garantire un sostegno economico al settore agricolo, danneggiato sia dalla crisi economica sia dalla situazione climatica, che in questi ultimi giorni ha causato ingenti danni al settore medesimo. (3-02796)
(20 febbraio 2017)
(ex 5-10197 del 10 gennaio 2017)

G) Interrogazioni

   MONGIELLO, GINEFRA, GRASSI, BOCCIA, MICHELE BORDO, CAPONE, CASSANO, LOSACCO, MARIANO, MASSA, PELILLO, VENTRICELLI e VICO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'eccezionale situazione di avversità climatiche che sta colpendo le regioni interne ed adriatiche dell'Italia con ondate di gelo che perdurano da parecchi giorni, sta mettendo in ginocchio soprattutto il comparto agricolo ed agroalimentare dei territori colpiti;
   in Puglia, in particolare, la situazione si evidenza con particolare gravità, con campagne isolate per la morsa di gelo che non consente il regolare ripristino della circolazione e con strade statali e provinciali e aree rurali ancora bloccate da neve e lastre di ghiaccio;
   le aziende zootecniche pugliesi sono costrette a disfarsi del latte che non riescono a consegnare ai raccoglitori. Le consegne dalla Puglia di ortaggi sono crollate del 70 per cento, sia perché questi sono stati bruciati dal gelo in campo, sia perché i mezzi non possono ancora circolare liberamente;
   secondo dichiarazioni rilasciate dalla Coldiretti Puglia, risulta drammatica la conta dei danni, con migliaia di ettari di verdure pronte per la raccolta bruciate dal gelo, serre danneggiate o distrutte sotto il peso della neve, animali morti, dispersi e senz'acqua perché sono gelate le condutture e vigneti e agrumeti irrimediabilmente rovinati. Al contempo, il mancato approvvigionamento di mercati e punti vendita sta facendo schizzare i prezzi di vendita degli ortaggi che già all'ingrosso risultano da capogiro. Secondo una rilevazione effettuata a poche ore dalle prime nevicate, sono altissimi i prezzi all'ingrosso di rape, carciofi, cavoli, bietole, cicorie, finocchi;
   in provincia di Lecce è a rischio la produzione di patate novelle perché gli speciali impianti di irrigazione delle serre realizzati a Ugento sono saltati per via delle gelate. Così come sono a rischio crollo le serre dei fiori a Leverano che stanno cedendo sotto il peso di neve e ghiaccio;
   al momento risulta pregiudicata l'attività economica di aziende agricole che hanno subito danni agli impianti produttivi vitivinicoli, agrumicoli ed ortofrutticoli, interamente da rifare, alle masserie, alle stalle, ai depositi, al bestiame e, non da ultimo, alle produzioni, completamente compromesse;
   la situazione è critica in quasi tutta la regione, per cui risulta opportuna una ricognizione tempestiva del danno per sostanziare la richiesta di declaratoria di «Stato di calamità naturale»;
   nelle province di Bari, Taranto e Foggia si sono registrati i casi più allarmanti. Strade provinciali tra Corato, Altamura e Poggiorsini bloccate (come la strada provinciale n. 39) per il mancato intervento degli spazzaneve, per cui gli agricoltori hanno fatto ricorso all'intervento della protezione civile;
   l'assoluta mancanza di liquidità e le gravi situazioni debitorie che ne conseguiranno - secondo Coldiretti Puglia - necessitano di interventi non riconducibili alle calamità «ordinarie», bensì a strumenti straordinari per dare sollievo economico alle imprese agricole;
   la sezione della Confederazione italiana agricoltori della Puglia ha chiesto al Ministro del lavoro e delle politiche sociali Giuliano Poletti e al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Maurizio Martina di sospendere la quarta rata dei contributi autonomi dei Coltivatori diretti e degli imprenditori agricoli professionali (Iap), che scadrà il 16 gennaio 2017;
   è urgente che vengano messi a disposizione tutti i mezzi a disposizione per ripristinare le condizioni regolari di viabilità per far uscire le aziende agricole e zootecniche dall'isolamento, anche per non ingenerare distorsioni dei prezzi a danno dei consumatori –:
   se non si intendano adottare iniziative normative, nel più breve tempo possibile, volte a fare fronte alla straordinaria necessità e urgenza di garantire interventi di sostegno e di risarcimento dei danni in favore del comparto agricolo, segnatamente quello della regione Puglia, colpito dalle eccezionali avversità climatiche in atto dai primi giorni dell'anno 2017;
   se, ad ogni modo, non si intendano intraprendere iniziative urgenti affinché le imprese agricole pugliesi colpite dalle sopradescritte calamità meteoriche possono accedere agli interventi per favorire la ripresa dell'attività economica e produttiva di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, a valere sul fondo di solidarietà nazionale. (3-02794)
(17 febbraio 2017)
(ex 5-10266 del 13 gennaio 2017)

   MONGIELLO, GINEFRA e VENITTELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'eccezionale e perdurante ondata di maltempo che ha colpito il versante adriatico del Paese sta mettendo in ginocchio soprattutto il comparto agricolo, agroalimentare e della pesca;
   particolarmente colpita risulta essere la Puglia con campagne isolate per la morsa di gelo che non consente il regolare ripristino della circolazione e con strade statali e provinciali e aree rurali ancora bloccate da neve e lastre di ghiaccio;
   le aziende zootecniche pugliesi sono costrette a disfarsi del latte che non riescono a consegnare ai raccoglitori e le consegne di ortaggi sono crollate del 70 per cento, sia perché essi si sono bruciati in campo sia per le difficoltà di circolazione dei mezzi con ripercussioni sui prezzi di rape, carciofi, cavoli, bietole, cicorie, finocchi;
   per la Coldiretti Puglia, la situazione è drammatica con migliaia di ettari di verdure pronte per la raccolta bruciate dal gelo, serre danneggiate o distrutte sotto il peso della neve, animali morti, dispersi e senz'acqua perché sono gelate le condutture, e vigneti e agrumeti irrimediabilmente rovinati;
   in provincia di Lecce, è a rischio la produzione di patate nove, perché gli speciali impianti di irrigazione delle serre realizzati a Ugento sono saltati per via delle gelate così come sono a rischio di crollo le serre dei fiori a Leverano che stanno cedendo sotto il peso di neve e ghiaccio; analogamente nelle province di Taranto e Foggia si registrano notevoli e perduranti difficoltà;
   l'assoluta mancanza di liquidità e le gravi situazioni debitorie che ne conseguiranno – sempre secondo Coldiretti Puglia – necessitano di interventi non riconducibili alle calamità «ordinarie», bensì a strumenti straordinari in grado di sostenere le imprese agricole;
   per quanto riguarda il comparto della pesca, a causa degli eventi meteomarini avversi, è analoga la situazione di emergenza;
   l'Associazione Silaros di Molfetta ha lanciato l'allarme per le difficoltà di pescatori e armatori costretti a presidiare anche di notte le imbarcazioni, per preservarle in quanto fonte della loro sussistenza;
   il danno maggiore al settore armatoriale, è quello dovuto al mancato lavoro e alla impossibilità di recuperare le giornate di lavoro perse, come imposto da regolamenti in vigore che prevedono 4 giorni lavorativi senza recupero, dal lunedì al giovedì a cui va aggiunto il mancato rimborso dovuto per il fermo pesca biologico relativo agli anni 2015 e 2016, per le imprese e per gli armatori imbarcati, il quale sta compromettendo ulteriormente la sopravvivenza del comparto –:
   quali iniziative intenda adottare per far fronte alla straordinaria necessità e urgenza di garantire interventi di sostegno e di ristoro dei danni in favore del comparto agricolo, agroalimentare e della pesca, in particolare della regione Puglia, colpito dalle eccezionali avversità climatiche in atto dai primi giorni dell'anno 2017;
   se non intenda intraprendere iniziative urgenti affinché le imprese agricole e della pesca pugliesi colpite dalle sopradescritte calamità meteoriche posso accedere agli interventi per favorire la ripresa dell'attività economica e produttiva di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, a valere sul fondo di solidarietà nazionale e per quanto riguarda la pesca, agli interventi del fondo di solidarietà nazionale della pesca e dell'acquacoltura di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 26 maggio 2004, n. 154. (3-02795)
(17 febbraio 2017)
(ex 5-10323 del 20 gennaio 2017)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE AD AGEVOLARE IL TRASFERIMENTO DI DETENUTI STRANIERI NEI PAESI D'ORIGINE

   La Camera,
   premesso che:
    la questione della presenza di detenuti stranieri nelle carceri è uno dei temi attualmente più condizionanti il sistema penitenziario italiano, data l'incidenza sull'annoso problema del sovraffollamento. Il fenomeno è poi strettamente connesso al considerevole aumento dei flussi migratori e delle inevitabili ripercussioni sul fronte della criminalità;
    il principale strumento per attuare il trasferimento delle persone condannate è la Convenzione del Consiglio d'Europa firmata a Strasburgo il 21 marzo 1983, che l'Italia ha ratificato nel 1988: la Convenzione ha infatti lo scopo di favorire il reinserimento sociale delle persone condannate permettendo ad uno straniero, privato della libertà in seguito a reato penale, di scontare la pena nel suo Paese d'origine;
    la procedura di trasferimento delle persone condannate prevede, quindi, per il condannato che sta già scontando la pena, il trasferimento in un altro Paese, generalmente quello d'origine, per ivi proseguire e terminare l'esecuzione della pena. Essa opera su un piano diverso rispetto all'estradizione e agli altri strumenti di cooperazione giudiziaria: ha finalità prevalentemente di carattere umanitario, nel senso che mira a favorire, in determinati casi, il reinserimento sociale delle persone condannate avvicinandole al loro Paese d'origine, in modo tale da superare tutte quelle difficoltà che, su un piano umano, sociale e culturale, oltreché per l'assenza di contatti con i familiari, possono derivare dall'esecuzione della pena in un paese straniero;
    in tale prospettiva, risulta comprensibile la necessità del consenso della persona interessata, diversamente da quanto avviene generalmente nelle procedure estradizionali o di consegna, che prescindono dal consenso dell'interessato, come nel caso dell'applicazione della decisione quadro 2008/909/GAI (sul mutuo riconoscimento delle sentenze che irrogano pene detentive e altre misure limitative della libertà personale), che ha un ambito applicativo limitato ai soli Paesi europei, ma che non richiede il consenso;
    l'ambito applicativo della Convenzione di Strasburgo è invece esteso a ben 65 Paesi: aperto alla firma anche degli Stati non membri del Consiglio d'Europa, ad oggi è stato ratificato da tutti i Paesi membri del Consiglio d'Europa tranne Monaco, nonché da Australia, Bahamas, Bolivia, Canada, Cile, Corea, Costa Rica, Ecuador, Giappone, Honduras, Israele, Mauritius, Messico, Panama, Stati-Uniti d'America, Tonga, Trinidad e Tobago, Venezuela;
    la Convenzione stabilisce che il trasferimento del condannato possa essere richiesto sia dallo Stato nel quale la condanna è stata pronunciata (Stato di condanna) sia dallo Stato di cittadinanza del condannato (Stato dell'esecuzione), che dal condannato stesso, e che esso sia comunque subordinato al consenso degli Stati interessati oltre che a quello del condannato, precedentemente richiamato;
    allo stesso modo il trattato individua anche la procedura per l'esecuzione della condanna dopo il trasferimento, in base alla quale, tra l'altro, una sanzione privativa della libertà non può mai essere convertita in una sanzione pecuniaria;
    le strutture carcerarie italiane sono caratterizzate da sovraffollamento cronico, carenza di organico degli agenti penitenziari e insufficiente presenza di psicologi e operatori per l'assistenza e il recupero sociale dei detenuti;
    la condizione carceraria appare troppo spesso distante dal dettato costituzionale e dagli impegni internazionali dell'Italia sulla funzione rieducativa della pena e sul rispetto dei diritti e delle dignità delle persone;
    lo stesso rapporto esplicativo della Convenzione, redatto sulla base delle discussioni del Comitato di esperti governativi che hanno redatto il trattato, e sottoposto alla lettura Consiglio dei ministri del Consiglio d'Europa, sottolinea come la finalità dell'Accordo sia quella di «stabilire una procedura semplice, veloce e flessibile» per il trasferimento dei condannati stranieri, tenuto conto del fatto che l'accresciuta mobilità delle persone e la semplificazione delle comunicazioni ha favorito l'internazionalizzazione del crimine. Che i condannati scontino la pena nel loro Paese di origine, argomentavano gli esperti già all'inizio degli anni Ottanta, è utile alla loro riabilitazione, che sicuramente non può svolgersi appieno in un Paese di cui non conoscano bene la lingua e di cui non condividano gli usi. Allo stesso modo, le differenze linguistiche rendono difficile anche per gli operatori carcerari la comprensione dei detenuti e, quindi, la prevenzione di fenomeni di delinquenza in carcere e finanche, si deve aggiungere oggi, di radicalizzazione terroristica; l'Italia è stata più volte condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) per le condizioni inumane in cui vivono i detenuti nelle proprie carceri, mentre i sindacati degli agenti penitenziari non cessano di sottolineare le difficili condizioni in cui lavorano gli operatori in carcere;
    nell'anno 2015 in Italia si è registrato un numero di detenuti di circa 54.000 unità. Tra questi, i detenuti stranieri erano circa 17.500, ovvero circa il 32 per cento dell'intera popolazione carceraria; i dati aggiornati al 31 marzo 2016 sono assolutamente in linea con quelli dell'anno precedente: dei circa diciottomila stranieri presenti nelle carceri italiane (17.920), 11.000 sono provenienti da Paesi di religione islamica e sette o otto mila praticanti islamisti (dati forniti dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria);
    il trasferimento dei detenuti stranieri condannati in Italia nel proprio Paese di origine, come previsto dalla Convenzione di Strasburgo, può contribuire a risolvere la questione del sovraffollamento carcerario e facilitare la prevenzione di fenomeni quali la radicalizzazione, anche di matrice terroristica;
    di recente, lo stesso Ministro della giustizia ha avuto modo di riportare i dati (forniti anche al Copasir da Santi Consolo, capo del dipartimento della amministrazione penitenziaria) relativi al rischio del proselitismo e della radicalizzazione jihadista nelle carceri: le persone coinvolte in un percorso di radicalizzazione, con diverse gradazione di adesione, sono circa 360. Un fenomeno che coinvolge un numero di persone comunque non trascurabile, che interessa anche il circuito minorile, e che risulta, in ogni caso, allarmante;
    stando ai dati dell'Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione pubblicato dall'associazione Antigone, il costo per ogni singolo detenuto nelle carceri italiane si attesta sui 150 euro al giorno. Si può dunque stimare in oltre 2,6 milioni di euro il costo giornaliero relativo alla popolazione carceraria straniera detenuta in Italia nel solo 2015;
    le nazionalità straniere maggiormente presenti nelle carceri italiane, con percentuali maggiori o uguali al 10 per cento del totale, secondo i dati del Ministero della giustizia, sono quella marocchina (16 per cento), rumena (15 per cento), albanese (14 per cento) e tunisina (10 per cento);
    Romania e Albania, come sopra riportato, hanno ratificato la Convenzione di Strasburgo: il trasferimento dei condannati verso questi Paesi è quindi già oggi possibile. Per quanto riguarda gli altri Paesi, questi possono essere invitati a ratificare la stessa Convenzione, ovvero si possono firmare accordi bilaterali con gli stessi finalizzati ad ottenere lo stesso risultato;
    né il Governo né i Ministeri competenti, invece, incentivano l'utilizzo delle procedure previste dalla Convenzione di Strasburgo al fine di diminuire la popolazione carceraria attraverso il trasferimento di detenuti stranieri nei loro Paesi d'origine;
    il numero di trasferimenti di detenuti stranieri, infatti, è talmente irrilevante che questi non vengono neppure conteggiati nelle statistiche ufficiali dell'Istat e del Ministero della giustizia. Tuttavia, il Governo, opportunamente interrogato sul punto dai sottoscrittori del presente atto di indirizzo, ha comunicato che negli anni 2014-2015 si è registrata una sia pur contenuta crescita del numero complessivo dei detenuti trasferiti nei Paesi di origine, in numero di 133 per l'anno 2014 e 149 per il 2015; la Romania è il Paese che ha registrato il maggiore incremento nelle consegne, passando dalle 70 unità del 2014 alle 110, censite nel 2015;
    lo stesso Ministero della giustizia, nell'ambito della discussione dell'atto di sindacato ispettivo citato, ha dichiarato che, ad oggi, sono in vigore accordi per il trasferimento dei condannati con Cuba, Hong Kong, Perù, Thailandia, India, Kazakhstan, Repubblica Dominicana ed Egitto. Il Parlamento ha, inoltre, autorizzato la ratifica sul trattato con il Brasile;
    è poi in corso di esame presso la Commissione affari esteri e comunitari della Camera dei deputati il disegno di legge di ratifica della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo del Regno del Marocco sul trasferimento delle persone condannate, fatta a Rabat il 1o aprile 2014, già approvata dal Senato della Repubblica,

impegna il Governo:

1) a promuovere accordi bilaterali volti ad agevolare il trasferimento dei detenuti provenienti dai Paesi che fanno registrare il maggior flusso di immigrazione verso l'Italia, e, più in generale, con quei Paesi i cui cittadini registrano un alto tasso di presenza nelle carceri italiane;

2) ad adottare ogni opportuna iniziativa volta ad incentivare l'utilizzo delle procedure previste dalla Convenzione di Strasburgo, al fine di diminuire la popolazione carceraria attraverso il trasferimento di detenuti stranieri nei loro Paesi d'origine;

3) ad adoperarsi, presso le sedi internazionali, per invitare i Paesi non firmatari ad aderire alla Convenzione di Strasburgo;

4) a promuovere ogni iniziativa volta a semplificare le procedure di trasferimento dei detenuti stranieri, anche attraverso la promozione della conoscenza dello strumento del trasferimento e il confronto con gli organi giudiziari competenti nazionali e dei Paesi i cui cittadini hanno il più elevato tasso di presenza negli istituti penitenziari, come l'Albania e la Romania;

5) ad informare annualmente il Parlamento in merito ai dati relativi all'attuazione di accordi bilaterali per il rimpatrio dei detenuti stranieri, nonché in riferimento all'utilizzo delle procedure previste dalla Convenzione di Strasburgo.
(1-01249)
«Bergamini, Ravetto, Centemero, Brunetta, Gregorio Fontana».
(4 maggio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    le carceri italiane ospitano attualmente 18.825 detenuti stranieri su un totale di 55.381 ristretti;
    la percentuale media nazionale degli stranieri detenuti in Italia è del 34 per cento, ma a livello locale, soprattutto nel Nord Italia, la percentuale è stabilmente attorno al 50 per cento. Nella casa circondariale di Cremona, ad esempio, la presenza di detenuti stranieri è il 66 per cento del totale;
    l'Italia ha aderito alla convenzione di Strasburgo del 1983 sul trasferimento dei detenuti assieme ad altri 60 Paesi. Ha poi stretto accordi bilaterali con altri sette che erano rimasti fuori dalla Convenzione, ma non con quelli che più pesano sul conto del sovraffollamento delle carceri; mancano, infatti, all'appello proprio i Paesi che affollano maggiormente le nostre carceri: il Marocco con 4.249 detenuti (18,7 per cento del totale), la Romania con 3.674 detenuti (16,1 per cento) e la Tunisia con 2.774 unità (12,2 per cento);
    per quanto riguarda invece l'Albania (2.787 detenuti, 12 per cento), un accordo specifico è stato siglato nel 2002. Quanti albanesi siano poi stati effettivamente trasferiti nell'ultimo decennio è impossibile saperlo, dal momento che il numero di rimpatri autorizzati è talmente esiguo che non viene neppure monitorato a fini statistici;
    i ristretti di nazionalità straniera che maggiormente affollano le nostre carceri provengono dal Marocco con 3.359 detenuti (17,8 per cento del totale), dalla Romania con 2.725 detenuti (14,5 per cento), dall'Albania con 2486 detenuti (13,2 per cento), dalla Tunisia con 2.041 detenuti (10,8 per cento), dalla Nigeria con 897 detenuti (4,85) e dall'Egitto con 706 detenuti (3,8 per cento);
    sebbene, come comunicato in Commissione giustizia della Camera dei deputati dal Sottosegretario di Stato alla giustizia pro tempore in data 7 aprile 2016, sia con il Marocco che con l'Albania siano stati «stipulati anche accordi aggiuntivi, congegnati in modo da consentire il trasferimento, pur in assenza del consenso del condannato, ove sussistano determinati presupposti» e che «con l'Albania è stato, inoltre, stretto un accordo secondo cui lo Stato italiano potrà chiedere l'esecuzione nel Paese delle condanne emesse dai giudici italiani nei confronti dei cittadini albanesi localizzati in Albania, ed è stata, altresì, riaperta la procedura per la destinazione di un magistrato di collegamento italiano», quanti albanesi siano poi stati effettivamente trasferiti nell'ultimo decennio è impossibile saperlo, dal momento che il numero di rimpatri autorizzati è talmente esiguo che non risulta essere neppure monitorato a fini statistici, così come non sono organicamente presenti fra le statistiche del Ministero della giustizia i dati relativi ai rimpatri;
    gli stranieri detenuti in Italia che stanno scontando attualmente una condanna definitiva, e che potrebbero quindi essere trasferiti, sono 10.916;
    il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia ha calcolato un costo medio per detenuto di 124,6 euro al giorno;
    la sottoscrizione di nuovi accordi bilaterali per il rimpatrio degli stranieri e l'attuazione di quelli già in essere consentirebbero allo Stato di risparmiare oltre mezzo miliardo di euro che potrebbe essere destinato alla costruzione di nuove strutture, all'ammodernamento di quelle esistenti e all'incentivo di forme rieducative e di reinserimento;
    va ricordato che l'Italia ha aderito alla Convenzione di Strasburgo del 1983 sul trasferimento dei detenuti con un ambito applicativo di 45 Paesi, in base alla quale, tuttavia, è stato richiesto il consenso del detenuto condannato al trasferimento; mentre, con il decreto legislativo n. 161 del 7 settembre 2010 ha attuato la delega conferita al Governo con la legge comunitaria 2008 (legge n. 88 del 2009) per conformare il diritto interno alla decisione quadro europea 2008/909/GAI relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell'Unione europea; decisione che, avendo come ambito di applicazione i soli Paesi europei, non richiede il consenso del detenuto; ed ha, infine, stretto accordi bilaterali, con alcuni dei Paesi esteri non aderenti alla Convenzione quali Cuba, Hong Kong, Perù, Thailandia, India, Kazakhstan, Repubblica Dominicana ed Egitto. Si tratta di un'attività diplomatica che tuttavia non ha sortito adeguati o apprezzabili risultati, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, come si può evincere dai dati riportati in premessa,

impegna il Governo:

1) a verificare lo stato di applicazione della legge 28 luglio 2016, n.152, relativamente al rimpatrio dei detenuti di nazionalità marocchina in Italia, anche al fine di valutarne l'efficacia o evidenziarne le criticità, e ad assumere iniziative per aggiornare la convenzione con il Regno del Marocco, prevedendo la non necessarietà del consenso al rimpatrio del detenuto straniero, così come attualmente previsto dall'articolo 13 della suddetta Convenzione;

2) alla luce della decisione quadro europea 2008/909/GAI, a verificare lo stato di applicazione dell'accordo tra la Repubblica italiana e la Romania sul trasferimento delle persone condannate alle quali è stata inflitta la misura dell'espulsione o quella dell'accompagnamento al confine, fatta a Roma il 13 settembre 2003, e ratificata con la legge 30 dicembre 2005, n. 281, relativamente al rimpatrio dei detenuti di nazionalità romena in Italia, anche al fine di valutarne l'efficacia o evidenziarne le criticità;

3) a verificare lo stato di applicazione dell'accordo aggiuntivo tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Albania alla Convenzione sul trasferimento delle persone condannate del 21 marzo 1983, fatta a Roma il 24 aprile 2002, e ratificato con la legge 11 luglio 2003, n. 204, relativamente al rimpatrio dei detenuti di nazionalità albanese in Italia, anche al fine di valutarne l'efficacia o evidenziarne le criticità e ad assumere iniziative volte ad aggiornare tale Accordo, prevedendo l'esclusione delle limitazioni di cui all'articolo 3, comma 1;

4) ad attivarsi con urgenza per sottoscrivere accordi bilaterali, ovvero ulteriori accordi integrativi qualora necessari, con la Tunisia, al fine di estendere ai detenuti di quelle nazionalità gli effetti della convenzione di Strasburgo del 1983;

5) a verificare lo stato di applicazione della legge 7 febbraio 2013, n. 14, concernente la ratifica e l'esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica Araba di Egitto sul trasferimento delle persone condannate relativamente al rimpatrio dei detenuti di nazionalità egiziana in Italia, anche al fine di valutarne l'efficacia o evidenziarne le criticità, e ad assumere iniziative per aggiornare tale accordo prevedendo la non necessarietà del consenso al rimpatrio del detenuto straniero, così come attualmente previsto dall'articolo 8 del suddetto accordo;

6) ad assumere iniziative per inserire nei predetti accordi apposite disposizioni volte al riconoscimento automatico, anche senza il consenso del detenuto, delle sentenze emesse all'estero ed al rimpatrio di tutti i detenuti stranieri condannati in via definitiva;

7) ad assumere iniziative per integrare e rafforzare in tale direzione le norme di cui al decreto legislativo n. 161 del 7 settembre 2010 in materia di riconoscimento all'estero delle sentenze penali emesse in Italia secondo i principi espressi nella decisione quadro 2008/909/GAI dell'Unione europea;

8) a considerare anche l'opportunità di concedere, in favore dei Paesi firmatari degli accordi bilaterali, il riconoscimento di un contributo economico da parte dello Stato italiano proporzionato alle spese di mantenimento dei propri detenuti presso le loro carceri, in quota parte rispetto al costo sostenuto dall'Italia quotidianamente, che allo stato attuale è pari ad euro 124,6 giornaliero per detenuto;

9) a concorrere infine alla predisposizione di validi strumenti di monitoraggio e di controllo riguardanti l'attuazione della Convenzione di Strasburgo del 1983, dei regolamenti europei in materia e degli accordi bilaterali sottoscritti con i Paesi esteri.
(1-00239)
(Nuova formulazione) «Colletti, Businarolo, Turco, De Lorenzis, Nicola Bianchi, Gagnarli, L'Abbate, Parentela, Scagliusi, Bechis, Rostellato, Cecconi, Baldassarre, Spadoni, Grillo, D'Uva, Cozzolino, Lorefice, Liuzzi, Frusone, Ruocco, Ciprini».
(12 novembre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    le carceri italiane sono ancor oggi caratterizzate da un sovraffollamento inaccettabile, con carenze strutturali, di organico nelle diverse figure professionali, a cominciare dagli agenti penitenziari, dagli psicologi e dal personale medico e paramedico e con una presenza del tutto insufficiente di psicologi, assistenti sociali e mediatori culturali;
    nella relazione del Ministero sull'amministrazione della giustizia per l'anno 2016, per quanto concerne il fenomeno del sovraffollamento carcerario, si evidenzia come siano proseguite le azioni improntate ad un «ripensamento complessivo del sistema penitenziario, tramite l'adozione di misure di carattere strutturale, normative ed organizzative, finalizzate a superare definitivamente un modello di detenzione sostanzialmente caratterizzato da passività e segregazione, mirando alla rieducazione e al reinserimento sociale, potenziando le misure alternative al carcere e riducendo la custodia cautelare, verso l'adozione di un modello in linea con le migliori prassi in ambito europeo». Da un punto di vista numerico, anche per effetto delle modifiche legislative introdotte negli ultimi anni, si è registrata una riduzione, nell'arco di circa quattro anni, di circa undicimila unità rispetto al dato 2013, anno di pubblicazione della cosiddetta sentenza «Torreggiani», relativa alle misure compensative da riconoscere ai detenuti per il pregiudizio subìto dalle condizioni di sovraffollamento;
    tale ottimistica rappresentazione si scontra con la realtà che vede, nell'ultimo anno, una netta ripresa del sovraffollamento carcerario, essendosi passati dai 52.164 detenuti al 31 dicembre 2015 ai 54.653 del 31 dicembre 2016, con un incremento di ben 2.500 unità. Lo stesso Ministro della giustizia, in una recente intervista, ha dovuto ammettere che il quadro «non è ancora roseo» ed «esistono tuttora situazioni difficili» e che il rischio di ripiombare in una nuova emergenza non è alle nostre spalle;
    secondo gli ultimi dati forniti dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria – ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato – sezione statistica, i detenuti presenti nei 191 istituti penitenziari al 31 gennaio 2017 sono 55.381, di cui 2.228, a fronte di una capienza regolamentare di 50.174 posti. I detenuti stranieri presenti alla stessa data erano 18.825, di cui 870 donne e 17.955 uomini;
    in base alla posizione giuridica, dei 55.381 detenuti presenti, 9.729 sono in attesa di giudizio e 35.706 scontano una condanna definitiva; di questi sono 4.074 i detenuti di origine straniera in attesa di giudizio e 10.916 quelli con sentenza passata in giudicato;
    le nazionalità straniere maggiormente rappresentate, secondo le tabelle ministeriali, sono quella marocchina (17,8 per cento) quella rumena (14,5 per cento), quella albanese (13,2 per cento), quella tunisina (10,8 per cento), quella nigeriana (4,8 per cento);
    nella relazione del Ministero sull'amministrazione della giustizia per l'anno 2016, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) ha dedicato uno specifico capitolo alla «Prevenzione della radicalizzazione», che viene attuata con una costante attività di monitoraggio dei soggetti ristretti per reati di terrorismo internazionale e di coloro che sono segnalati per presunte attività di proselitismo e di reclutamento. Con tale attività l'amministrazione mira a conoscere ogni aspetto della realtà individuale e relazionale dei soggetti, al fine di mettere in campo i necessari strumenti preventivi e di controllo dei fenomeni di fanatismo violento, discernendo la legittima pratica religiosa dal fanatismo radicale;
    la procedura di monitoraggio si basa su tre livelli: «monitoraggio», per soggetti reclusi per reati connessi al terrorismo internazionale e che mostrano atteggiamenti tendenti a forme di proselitismo, radicalizzazione e/o di reclutamento; «attenzionamento», per i soggetti che hanno posto in essere più atteggiamenti che fanno presupporre una vicinanza a ideologie jihadiste; «segnalazione», per quei detenuti che meritano approfondimento per la valutazione successiva di inserimento nei livelli precedenti;
    i soggetti attualmente sottoposti a specifico «monitoraggio» sono complessivamente 165, a cui si aggiungono 76 detenuti «attenzionati» e 124 «segnalati», per un totale di 365 individui. Attualmente i detenuti ristretti per il reato di terrorismo internazionale monitorati, sono 44;
    sono stati 34 i soggetti dimessi per fine pena per i quali, accertata un'adesione alle ideologie jihadiste, sono stati emessi provvedimenti amministrativi di espulsione;
    sulla base delle nazionalità di appartenenza il Dap ha stimato che circa 11.029 stranieri detenuti provengono da Paesi tradizionalmente di religione musulmana; tra questi, ben 7.646 sono «praticanti», ossia effettuano la preghiera attenendosi ai dogmi della propria religione; tra i «praticanti», 148 sono Imam e 20 si sono convertiti all'islam durante la detenzione;
    con lo strumento del trasferimento delle persone condannate è consentito ai cittadini di uno Stato, detenuti in espiazione di pena in un altro Stato, di essere trasferiti in quello d'origine per la continuazione dell'espiazione della pena stessa. Lo strumento giuridico di maggiore applicazione in tale materia, ai fini dell'esecuzione di condanne definitive, è la Convenzione sul trasferimento delle persone condannate, sottoscritta a Strasburgo il 21 marzo 1983 e ratificata con la legge 25 luglio 1988 n. 334;
    la Convenzione ha quale scopo principale di favorire il reinserimento sociale delle persone condannate permettendo ad uno straniero, privato della libertà in seguito a reato penale, di scontare la pena nel suo paese d'origine. A tal fine, una persona condannata nel territorio di una Parte può manifestare, presso lo Stato di condanna, o presso lo Stato di esecuzione, il desiderio di essere trasferita in applicazione della Convenzione. Il trasferimento può essere anche richiesto o dallo Stato di condanna, o dallo Stato di esecuzione. In ogni caso, la persona condannata – o il suo rappresentante legale – deve acconsentire al trasferimento;
    una persona condannata può essere trasferita in applicazione della Convenzione se è cittadina dello Stato di esecuzione; se la sentenza è definitiva; se la durata della pena che la persona condannata deve ancora scontare è di almeno sei mesi alla data di ricevimento della richiesta di trasferimento, o indeterminata; se gli atti o le omissioni per i quali è stata inflitta la condanna costituiscano reato ai sensi della legge dello Stato di esecuzione o costituirebbero reato se fossero commessi sul suo territorio; se lo Stato di condanna e lo Stato di esecuzione sono d'accordo sul trasferimento;
    le autorità competenti dello Stato di esecuzione devono continuare l'esecuzione della condanna o convertire la stessa, per mezzo di una procedura giudiziaria o amministrativa, in una decisione di detto Stato, sostituendo in tal modo la pena inflitta nello Stato di condanna con una sanzione prevista dalla legge dello Stato di esecuzione per lo stesso reato. Va ricordato che l'esecuzione della condanna è regolata dalla legge dello Stato di esecuzione e questo Stato è l'unico competente a prendere ogni decisione al riguardo;
    in caso di continuazione dell'esecuzione, lo Stato di esecuzione è vincolato alla natura giuridica e alla durata della sanzione così come stabilite dallo Stato di condanna. Tuttavia, se la natura o la durata della sanzione sono incompatibili con la legge dello Stato di esecuzione, o se la sua legge lo esige, per mezzo di una decisione giudiziaria o amministrativa, la sanzione può essere adattata alla pena o misura prevista dalla propria legge interna per lo stesso tipo di reato, che però non può essere più grave, per natura o durata, della sanzione imposta nello Stato di condanna, né eccedere il massimo previsto dalla legge dello Stato di esecuzione;
    il Trattato ad oggi è stato ratificato da tutti Paesi membri del Consiglio d'Europa tranne Monaco, nonché da Australia, Bahamas, Bolivia, Canada, Cile, Corea, Costa Rica, Ecuador, Giappone, Honduras, Israele, Mauritius, Messico, Mongolia, Panama, Stati Uniti d'America, Tonga, Trinidad e Tobago, Venezuela;
    la possibilità di scontare la pena nel Paese di origine è utile al reinserimento, venendo meno problematiche linguistiche e culturali;
    il trasferimento nel loro Paese di origine dei detenuti stranieri condannati in Italia, come previsto dalla Convenzione di Strasburgo, può contribuire a risolvere la questione del sovraffollamento carcerario e facilitare la prevenzione di fenomeni quali la radicalizzazione, anche terroristica;
    accanto ad una seria politica di adeguamento strutturale degli istituti penitenziari, anche con la previsione di nuove costruzioni, ad un adeguamento delle piante organiche del personale e ad una maggiore applicazione del trasferimento delle persone condannate negli Stati di provenienza, non vi è dubbio che determinanti, per un sistema carcerario più in linea col dettato costituzionale, saranno tutte quelle iniziative normative volte ad un adeguamento del sistema dell'esecuzione della pena detentiva;
    attualmente, presso il Senato della Repubblica, è in discussione il disegno di legge governativo recante modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario. Sulle modifiche all'ordinamento penitenziario si è potuta registrare una considerevole convergenza delle forze politiche, restando altresì forti le differenze sulle restanti parti del provvedimento;
    sarebbe auspicabile che questo Parlamento, nei pochi mesi che oramai separano dal termine, naturale o anticipato, della XVII legislatura, fosse in grado di approvare in via definitiva almeno questa parte della riforma, dando così un segnale forte all'intero mondo giudiziario e carcerario,

impegna il Governo:

1) ad adoperarsi, in tutte le sedi internazionali, per favorire la sottoscrizione della Convenzione di Strasburgo anche da parte di quei Paesi che non hanno aderito;

2) a promuovere, nel rispetto dello spirito della Convenzione di Strasburgo, accordi bilaterali con quegli Stati che ancora non hanno in essere strumenti giuridici per il trasferimento di propri connazionali condannati in via definitiva nel nostro Paese;

3) a favorire la conoscenza tra la popolazione straniera presente negli istituti penitenziari italiani della Convenzione di Strasburgo;

4) a mantenere informato il Parlamento in merito ai dati relativi all'applicazione delle procedure previste dalla Convenzione di Strasburgo e degli accordi bilaterali sottoscritti per il rimpatrio di detenuti stranieri;

5) ad assumere iniziative per potenziare, anche attraverso maggiori dotazioni di mezzi, personale e risorse, gli strumenti di monitoraggio dei soggetti ristretti per reati di terrorismo internazionale e di coloro che sono segnalati per presunte attività di proselitismo e di reclutamento.
(1-01513)
(Nuova formulazione) «Palese, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».
(17 febbraio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    la problematica relativa al potenziamento del trasferimento dei detenuti nei Paesi di origine è particolarmente complessa e delicata;
    l'obiettivo della riduzione della popolazione carceraria nel nostro Paese può essere perseguito, tenendo presente l'aspetto umanitario, anche attraverso l'applicazione degli strumenti di cooperazione internazionale che consentano alle persone straniere detenute di espiare nei Paesi di origine la pena loro inflitta in Italia. Tra l'altro, la percentuale italiana della componente reclusa immigrata è superiore alla media europea. Mentre per quanto concerne il fenomeno della radicalizzazione dei detenuti nelle carceri questo appare non particolarmente grave rispetto ad altre Nazioni anche se la situazione va costantemente monitorata e tenuta sotto debito controllo;
    si parla di trasferimento di persone condannate per indicare la procedura in base alla quale un condannato, che sta già scontando la pena in un Paese estero, viene trasferito in quello di origine per ivi proseguire e terminare l'esecuzione della pena;
    la Convenzione di Strasburgo sul trasferimento delle persone condannate del 21 marzo 1983 ha un ambito applicativo esteso a 45 Paesi, ma richiede il consenso del condannato. Al contrario, la decisione quadro 2008/909/ GAI ha un ambito di applicazione più ristretto (i soli Paesi europei) ma non richiede il consenso. Tale decisione prevede una procedura di trasferimento semplificata basata sulla presunzione che il luogo di origine del condannato sia, salva prova di radicamento altrove, quello ove egli intrattiene legami sociali, familiari, culturali e linguistici e quindi più favorevole alla sua rieducazione;
    la relazione della Commissione europea del 2014 sull'attuazione da parte dei Paesi dell'Unione europea delle decisioni quadro del 2008 sottolinea come, malgrado gli sforzi di alcuni Paesi dell'Unione europea (si veda l'Italia) l'attuazione di questi atti non risulti soddisfacente;
    è dunque necessario attivarsi per richiedere ai Paesi dell'Unione europea che non hanno già attuato le decisioni di farlo al più presto. Ogni anno alcune migliaia di cittadini dell'Unione europea sono perseguiti per reati presunti o vengono condannati in un Paese dell'Unione europea diverso da quello in cui risiedono;
    il reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie rappresenta la pietra angolare della cooperazione giudiziaria in materia penale all'interno dell'Unione europea;
    la disciplina codicistica è stata completata con il decreto legislativo 7 settembre 2010, no 161, che nel recepire la citata decisione quadro consente l'esecuzione in uno Stato membro dell'Unione europea diverso da quello di emissione di sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale;
    l'ambito applicativo dell'istituto del riconoscimento presenta alcuni punti di contatto con la procedura dettata dalla Convenzione di Strasburgo e con quella del mandato di arresto europeo;
    allo stato attuale sono in vigore accordi per il trasferimento dei condannati con Cuba, Hong Kong, Perù, Thailandia, India, Kazakhstan, Repubblica Dominicana ed Egitto;
    la Convenzione citata ha lo scopo principale di favorire il reinserimento sociale dei condannati, permettendo ad uno straniero detenuto di scontare la pena nel Paese di origine. Tra l'altro, ciò consente di superare le difficoltà derivanti dalle differenze sociali, culturali e linguistiche del detenuto e di riavvicinare lo stesso ai familiari. In base alla Convenzione, il trasferimento del detenuto straniero può essere richiesto sia dallo Stato (cosiddetto Stato di condanna) che ha condannato il soggetto in questione e nelle cui prigioni egli sconta la pena, sia dallo Stato di origine (cosiddetto Stato di esecuzione) della persona interessata. L'esecuzione del trasferimento è condizionata al consenso dei due Stati, come anche a quello del detenuto. La Convenzione inoltre definisce le procedure di esecuzione della pena successivamente al trasferimento: in ogni caso a prescindere dall'ordinamento giuridico dello Stato di esecuzione, una pena detentiva non potrà mai essere commutata in sanzione pecuniaria. Inoltre, il periodo di pena già scontato nello Stato di condanna dovrà essere considerato nelle determinazioni dello Stato di esecuzione. Infine, in nessun caso la pena dovrà essere, quanto alla natura ed alla durata, più severa di quella inflitta dallo Stato di condanna;
    il Protocollo addizionale del 1997 stabilisce altresì le regole per il trasferimento dei detenuti oggetto di una misura di espulsione o di ri-accompagnamento alla frontiera in ragione della condanna riportata stabilendo che il trasferimento nello Stato di cittadinanza possa avvenire anche senza il consenso del detenuto interessato, purché venga sentito;
    è da sottolineare come il Ministero della giustizia proprio al fine di semplificare e rendere più veloci le procedure di trasferimento ha avviato un'azione strategica articolata su più punti diretti: a) alla promozione ed alla conoscenza dello strumento del trasferimento; b) alla organizzazione di una serie di incontri con gli organi giudiziari competenti nazionali e dei Paesi in cui i cittadini hanno il più elevato tasso di presenza negli istituti penitenziari, ovvero con l'Albania e la Romania;
    infatti con tali Paesi sono stati stipulati anche accordi aggiuntivi in modo da consentire il trasferimento, pur in assenza del consenso del condannato, ove sussistano determinati presupposti. Con l'Albania è stato inoltre firmato un accordo secondo il quale lo Stato italiano potrà chiedere l'esecuzione nel Paese delle condanne emesse dai giudici italiani nei confronti dei cittadini albanesi localizzati in tale Nazione. Da ultimo, è stata prevista la riapertura della procedura per la destinazione di un magistrato di collegamento italiano;
    è da rilevare come negli anni 2014-2015 si sia registrata una seppur contenuta crescita del numero complessivo dei detenuti trasferiti nei Paesi di origine, in un numero di 133 per l'anno 2014 e 149 per il 2015. La Romania è il Paese che ha registrato il maggior incremento nelle consegne passando dalle 70 unità del 2014 alle 110 censite nel 2015;
    tuttavia, occorre considerare che diverse migliaia di detenuti provengono da Paesi con i quali l'Italia non ha stabilito rapporti di cooperazione giudiziaria in materia penale. Tra questi diversi Paesi dell'area mediterranea estranei sia alla Convenzione di Strasburgo del 1983 che alla decisione quadro del 2008 (ad esempio, Tunisia ed Algeria);
    è necessario, pertanto, rafforzare la cooperazione giudiziaria internazionale in materia di esecuzione dei giudicati penali che è fondamentale, perché, oltre ad affiancarsi alle tradizionali forme ed agli strumenti di cooperazione giudiziaria tra Stati in campo penale, quali le rogatorie e l'estradizione, costituisce un elemento fondamentale di gestione comune delle giurisdizioni tra gli Stati più direttamente interessati ad un singolo episodio criminoso,

impegna il Governo:

1) a rafforzare gli accordi bilaterali con i Paesi di origine dei detenuti in modo da superare le problematiche inerenti alla grande presenza di detenuti immigrati nelle carceri italiane;

2) a valutare la possibilità di rendere più veloci e snelle le procedure di trasferimento dei detenuti nei loro Paesi di origine;

3) a valutare l'opportunità di monitorare tale fenomeno anche attraverso un costante confronto con le competenti istituzioni straniere e con i Paesi i cui cittadini hanno il più alto tasso di presenza nelle carceri italiane.
(1-01515) «Marotta, Bosco».
(20 febbraio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    l'incremento dei flussi migratori, con le sue ripercussioni anche in termini di aumento dei fatti criminosi, rappresenta una delle cause del grave fenomeno del sovraffollamento carcerario;
    uno strumento efficace per arginare, sotto questo profilo, il suddetto fenomeno è dato dalla procedura del trasferimento delle persone condannate, in base alla quale un condannato che sta già scontando la pena in un Paese viene trasferito in altro, quello d'origine, per ivi proseguire e terminare l'esecuzione della pena;
    tale procedura opera su un piano diverso rispetto all'estradizione e agli altri strumenti di cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale: persegue, infatti, finalità prevalentemente di carattere umanitario, nel senso che mira a favorire, in determinati casi, il reinserimento sociale delle persone condannate, avvicinandole al Paese d'origine, in modo da superare tutte quelle difficoltà che, su un piano personale, sociale e culturale, oltreché per l'assenza di contatti con i familiari, possono derivare dall'esecuzione della pena in un Paese straniero;
    il principale accordo internazionale per attuare il trasferimento delle persone condannate è rappresentato dalla Convenzione del Consiglio d'Europa firmata a Strasburgo il 21 marzo 1983 e ratificata dall'Italia con legge 25 luglio 1988, n. 334;
    per mezzo di tale accordo si realizza lo scopo sostanziale della pena, ossia il reinserimento sociale della persona condannata, obiettivo quest'ultimo di più agevole realizzazione in un contesto in cui la persona condannata sia presumibilmente assistita da più saldi legami sociali e familiari, evitandosi con ciò quella «pena nella pena» costituita dalle difficoltà di ambientamento, di comunicazione e socializzazione che incontra colui che sia detenuto fuori dal proprio Paese di origine;
    la suddetta Convenzione richiede, ai fini del trasferimento della persona condannata, che:
     a) la stessa sia cittadina dello Stato di esecuzione;
     b) la sentenza sia definitiva;
     c) la durata della pena ancora da espiare sia di almeno sei mesi alla data di ricevimento della richiesta di trasferimento, o indeterminata;
     d) la persona condannata – o, allorquando in considerazione della sua età o delle sue condizioni fisiche o mentali uno dei due Stati lo ritenga necessario, il suo rappresentante legale – acconsenta al trasferimento;
     e) gli atti o le omissioni per i quali è stata inflitta la condanna costituiscano reato ai sensi della legge dello Stato di esecuzione o costituirebbero reato se fossero commessi sul suo territorio; lo Stato di condanna e lo Stato di esecuzione siano d'accordo sul trasferimento;
    nella prospettiva, dunque, del reinserimento, non può che risultare giustificata la necessità del consenso della persona interessata, dalla quale, nella maggior parte dei casi, parte l'impulso che mette in moto la procedura, diversamente da quanto avviene generalmente nelle procedure estradizionali o di consegna, che prescindono dal consenso dell'interessato, al pari dei casi di applicazione della decisione quadro 2008/909/GAI, sul mutuo riconoscimento delle sentenze che irrogano pene detentive e altre misure limitative della libertà personale di cui al decreto legislativo 7 settembre 2010, n. 161, che, avendo un ambito operativo limitato ai soli paesi dell'Unione europea, non richiede parimenti il consenso;
    l'Italia, fatta salva anche la legge 27 dicembre 1988, n. 565, recante «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo relativo all'applicazione tra gli Stati membri delle Comunità europee della Convenzione del Consiglio d'Europa sul trasferimento delle persone condannate, firmato a Bruxelles il 25 maggio 1987», sta progressivamente incrementando il numero degli accordi internazionali stipulati con Paesi stranieri per consentire ai loro cittadini, privati della libertà personale a seguito della commissione di un reato, di scontare la pena comminata nel paese di origine; a tal riguardo, si richiamano:
     a) legge 11 luglio 2002, n. 149, di «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Regione amministrativa speciale di Hong Kong della Repubblica Popolare Cinese sul trasferimento delle persone condannate, fatto a Hong Kong il 18 dicembre 1999»;
     b) legge 11 luglio 2003, n. 204, di «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Albania, aggiuntivo alla Convenzione sul trasferimento delle persone condannate del 21 marzo 1983, fatto a Roma il 24 aprile 2002»;
     c) legge 30 dicembre 2005, n. 281, di «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra la Repubblica italiana e la Romania sul trasferimento delle persone condannate alle quali è stata inflitta la misura dell'espulsione o quella dell'accompagnamento al confine, fatto a Roma il 13 settembre 2003»;
     d) legge 18 marzo 2008, n. 58, di «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Bulgaria sul trasferimento delle persone condannate alle quali è stata inflitta la misura dell'espulsione o quella dell'accompagnamento al confine, fatto a Sofia il 22 novembre 2005»;
     e) legge 5 marzo 2010, n. 46, di «Ratifica ed esecuzione del Trattato sul trasferimento delle persone condannate tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica dominicana, fatto a Santo Domingo il 14 agosto 2002»;
     f) legge 26 ottobre 2012, n. 183, di «Ratifica ed esecuzione del Trattato sul trasferimento delle persone condannate tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica dell'India, fatto a Roma il 10 agosto 2012»;
     g) legge 10 febbraio 2015, n. 17, di «Ratifica ed esecuzione del Trattato sul trasferimento delle persone condannate tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica federativa del Brasile, fatto a Brasilia il 27 marzo 2008»;
     h) legge 16 giugno 2015, n. 79, di «Ratifica ed esecuzione del Trattato sul trasferimento delle persone condannate tra la Repubblica italiana e la Repubblica del Kazakhstan, fatto ad Astana l'8 novembre 2013»;
     i) legge 28 luglio 2016, n. 152, di «Ratifica ed esecuzione dei seguenti Accordi: a) Accordo aggiuntivo alla Convenzione di reciproca assistenza giudiziaria, di esecuzione delle sentenze e di estradizione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo del Regno del Marocco del 12 febbraio 1971, fatto a Rabat il 1o aprile 2014; b) Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo del Regno del Marocco sul trasferimento delle persone condannate, fatta a Rabat il 1o aprile 2014»;
    la stipula di accordi bilaterali sul trasferimento delle persone condannate contenenti previsioni che prescindono dal consenso di queste ultime contrasta con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato italiano in quanto rischia di esporre la persona a condizioni detentive crudeli, disumane o degradanti o che comunque configurano violazione dei diritti fondamentali della stessa,

impegna il Governo:

1) a proseguire nella promozione di accordi bilaterali volti a favorire il trasferimento dei detenuti provenienti soprattutto dai Paesi che fanno registrare il maggior flusso di immigrazione verso l'Italia, e, in particolare, da quei Paesi i cui cittadini registrano un alto tasso di presenza nelle carceri italiane;

2) ad adottare ogni opportuna iniziativa, soprattutto informativa, volta ad incentivare l'utilizzo delle procedure previste dalla Convenzione di Strasburgo, al fine di diminuire la popolazione carceraria attraverso il trasferimento di detenuti stranieri nei loro Paesi d'origine;

3) ad adoperarsi, presso le sedi internazionali, affinché i Paesi ancora non firmatari aderiscano alla Convenzione di Strasburgo;

4) a promuovere ogni iniziativa volta a semplificare le procedure di trasferimento dei detenuti stranieri, anche favorendo il confronto tra gli organi giudiziari competenti nazionali e quelli dei Paesi i cui cittadini hanno il più elevato tasso di presenza negli istituti penitenziari italiani;

5) ad informare annualmente il Parlamento in merito ai dati relativi all'attuazione di accordi bilaterali per il rimpatrio dei detenuti stranieri, nonché con riferimento all'utilizzo delle procedure previste dalla Convenzione di Strasburgo.
(1-01516)
«Mattiello, Verini, Ferranti, Cassano, Quartapelle Procopio, Amoddio, Bazoli, Berretta, Campana, Di Lello, Ermini, Giuliani, Greco, Giuseppe Guerini, Iori, Leva, Magorno, Morani, Giuditta Pini, Rossomando, Rostan, Tartaglione, Vazio, Zan».
(20 febbraio 2017)

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