TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 747 di Giovedì 23 febbraio 2017

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE AD AGEVOLARE IL TRASFERIMENTO DI DETENUTI STRANIERI NEI PAESI D'ORIGINE

   La Camera,
   premesso che:
    la questione della presenza di detenuti stranieri nelle carceri è uno dei temi attualmente più condizionanti il sistema penitenziario italiano, data l'incidenza sull'annoso problema del sovraffollamento. Il fenomeno è poi strettamente connesso al considerevole aumento dei flussi migratori e delle inevitabili ripercussioni sul fronte della criminalità;
    il principale strumento per attuare il trasferimento delle persone condannate è la Convenzione del Consiglio d'Europa firmata a Strasburgo il 21 marzo 1983, che l'Italia ha ratificato nel 1988: la Convenzione ha infatti lo scopo di favorire il reinserimento sociale delle persone condannate permettendo ad uno straniero, privato della libertà in seguito a reato penale, di scontare la pena nel suo Paese d'origine;
    la procedura di trasferimento delle persone condannate prevede, quindi, per il condannato che sta già scontando la pena, il trasferimento in un altro Paese, generalmente quello d'origine, per ivi proseguire e terminare l'esecuzione della pena. Essa opera su un piano diverso rispetto all'estradizione e agli altri strumenti di cooperazione giudiziaria: ha finalità prevalentemente di carattere umanitario, nel senso che mira a favorire, in determinati casi, il reinserimento sociale delle persone condannate avvicinandole al loro Paese d'origine, in modo tale da superare tutte quelle difficoltà che, su un piano umano, sociale e culturale, oltreché per l'assenza di contatti con i familiari, possono derivare dall'esecuzione della pena in un paese straniero;
    in tale prospettiva, risulta comprensibile la necessità del consenso della persona interessata, diversamente da quanto avviene generalmente nelle procedure estradizionali o di consegna, che prescindono dal consenso dell'interessato, come nel caso dell'applicazione della decisione quadro 2008/909/GAI (sul mutuo riconoscimento delle sentenze che irrogano pene detentive e altre misure limitative della libertà personale), che ha un ambito applicativo limitato ai soli Paesi europei, ma che non richiede il consenso;
    l'ambito applicativo della Convenzione di Strasburgo è invece esteso a ben 65 Paesi: aperto alla firma anche degli Stati non membri del Consiglio d'Europa, ad oggi è stato ratificato da tutti i Paesi membri del Consiglio d'Europa tranne Monaco, nonché da Australia, Bahamas, Bolivia, Canada, Cile, Corea, Costa Rica, Ecuador, Giappone, Honduras, Israele, Mauritius, Messico, Panama, Stati-Uniti d'America, Tonga, Trinidad e Tobago, Venezuela;
    la Convenzione stabilisce che il trasferimento del condannato possa essere richiesto sia dallo Stato nel quale la condanna è stata pronunciata (Stato di condanna) sia dallo Stato di cittadinanza del condannato (Stato dell'esecuzione), che dal condannato stesso, e che esso sia comunque subordinato al consenso degli Stati interessati oltre che a quello del condannato, precedentemente richiamato;
    allo stesso modo il trattato individua anche la procedura per l'esecuzione della condanna dopo il trasferimento, in base alla quale, tra l'altro, una sanzione privativa della libertà non può mai essere convertita in una sanzione pecuniaria;
    le strutture carcerarie italiane sono caratterizzate da sovraffollamento cronico, carenza di organico degli agenti penitenziari e insufficiente presenza di psicologi e operatori per l'assistenza e il recupero sociale dei detenuti;
    la condizione carceraria appare troppo spesso distante dal dettato costituzionale e dagli impegni internazionali dell'Italia sulla funzione rieducativa della pena e sul rispetto dei diritti e delle dignità delle persone;
    lo stesso rapporto esplicativo della Convenzione, redatto sulla base delle discussioni del Comitato di esperti governativi che hanno redatto il trattato, e sottoposto alla lettura Consiglio dei ministri del Consiglio d'Europa, sottolinea come la finalità dell'Accordo sia quella di «stabilire una procedura semplice, veloce e flessibile» per il trasferimento dei condannati stranieri, tenuto conto del fatto che l'accresciuta mobilità delle persone e la semplificazione delle comunicazioni ha favorito l'internazionalizzazione del crimine. Che i condannati scontino la pena nel loro Paese di origine, argomentavano gli esperti già all'inizio degli anni Ottanta, è utile alla loro riabilitazione, che sicuramente non può svolgersi appieno in un Paese di cui non conoscano bene la lingua e di cui non condividano gli usi. Allo stesso modo, le differenze linguistiche rendono difficile anche per gli operatori carcerari la comprensione dei detenuti e, quindi, la prevenzione di fenomeni di delinquenza in carcere e finanche, si deve aggiungere oggi, di radicalizzazione terroristica;
    l'Italia è stata più volte condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) per le condizioni inumane in cui vivono i detenuti nelle proprie carceri, mentre i sindacati degli agenti penitenziari non cessano di sottolineare le difficili condizioni in cui lavorano gli operatori in carcere;
    nell'anno 2015 in Italia si è registrato un numero di detenuti di circa 54.000 unità. Tra questi, i detenuti stranieri erano circa 17.500, ovvero circa il 32 per cento dell'intera popolazione carceraria; i dati aggiornati al 31 marzo 2016 sono assolutamente in linea con quelli dell'anno precedente: dei circa diciottomila stranieri presenti nelle carceri italiane (17.920), 11.000 sono provenienti da Paesi di religione islamica e sette o otto mila praticanti islamisti (dati forniti dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria);
    il trasferimento dei detenuti stranieri condannati in Italia nel proprio Paese di origine, come previsto dalla Convenzione di Strasburgo, può contribuire a risolvere la questione del sovraffollamento carcerario e facilitare la prevenzione di fenomeni quali la radicalizzazione, anche di matrice terroristica;
    di recente, lo stesso Ministro della giustizia ha avuto modo di riportare i dati (forniti anche al Copasir da Santi Consolo, capo del dipartimento della amministrazione penitenziaria) relativi al rischio del proselitismo e della radicalizzazione jihadista nelle carceri: le persone coinvolte in un percorso di radicalizzazione, con diverse gradazione di adesione, sono circa 360. Un fenomeno che coinvolge un numero di persone comunque non trascurabile, che interessa anche il circuito minorile, e che risulta, in ogni caso, allarmante;
    stando ai dati dell'Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione pubblicato dall'associazione Antigone, il costo per ogni singolo detenuto nelle carceri italiane si attesta sui 150 euro al giorno. Si può dunque stimare in oltre 2,6 milioni di euro il costo giornaliero relativo alla popolazione carceraria straniera detenuta in Italia nel solo 2015;
    le nazionalità straniere maggiormente presenti nelle carceri italiane, con percentuali maggiori o uguali al 10 per cento del totale, secondo i dati del Ministero della giustizia, sono quella marocchina (16 per cento), rumena (15 per cento), albanese (14 per cento) e tunisina (10 per cento);
    Romania e Albania, come sopra riportato, hanno ratificato la Convenzione di Strasburgo: il trasferimento dei condannati verso questi Paesi è quindi già oggi possibile. Per quanto riguarda gli altri Paesi, questi possono essere invitati a ratificare la stessa Convenzione, ovvero si possono firmare accordi bilaterali con gli stessi finalizzati ad ottenere lo stesso risultato;
    né il Governo né i Ministeri competenti, invece, incentivano l'utilizzo delle procedure previste dalla Convenzione di Strasburgo al fine di diminuire la popolazione carceraria attraverso il trasferimento di detenuti stranieri nei loro Paesi d'origine;
    il numero di trasferimenti di detenuti stranieri, infatti, è talmente irrilevante che questi non vengono neppure conteggiati nelle statistiche ufficiali dell'Istat e del Ministero della giustizia. Tuttavia, il Governo, opportunamente interrogato sul punto dai sottoscrittori del presente atto di indirizzo, ha comunicato che negli anni 2014-2015 si è registrata una sia pur contenuta crescita del numero complessivo dei detenuti trasferiti nei Paesi di origine, in numero di 133 per l'anno 2014 e 149 per il 2015; la Romania è il Paese che ha registrato il maggiore incremento nelle consegne, passando dalle 70 unità del 2014 alle 110, censite nel 2015;
    lo stesso Ministero della giustizia, nell'ambito della discussione dell'atto di sindacato ispettivo citato, ha dichiarato che, ad oggi, sono in vigore accordi per il trasferimento dei condannati con Cuba, Hong Kong, Perù, Thailandia, India, Kazakhstan, Repubblica Dominicana ed Egitto. Il Parlamento ha, inoltre, autorizzato la ratifica sul trattato con il Brasile;
    è poi in corso di esame presso la Commissione affari esteri e comunitari della Camera dei deputati il disegno di legge di ratifica della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo del Regno del Marocco sul trasferimento delle persone condannate, fatta a Rabat il 1o aprile 2014, già approvata dal Senato della Repubblica,

impegna il Governo:

1) a promuovere accordi bilaterali volti ad agevolare il trasferimento dei detenuti provenienti dai Paesi che fanno registrare il maggior flusso di immigrazione verso l'Italia, e, più in generale, con quei Paesi i cui cittadini registrano un alto tasso di presenza nelle carceri italiane; ad adottare ogni opportuna iniziativa volta ad incentivare l'utilizzo delle procedure previste dalla Convenzione di Strasburgo, al fine di diminuire la popolazione carceraria attraverso il trasferimento di detenuti stranieri nei loro Paesi d'origine;
2) ad adoperarsi, presso le sedi internazionali, per invitare i Paesi non firmatari ad aderire alla Convenzione di Strasburgo;
3) a promuovere ogni iniziativa volta a semplificare le procedure di trasferimento dei detenuti stranieri, anche attraverso la promozione della conoscenza dello strumento del trasferimento e il confronto con gli organi giudiziari competenti nazionali e dei Paesi i cui cittadini hanno il più elevato tasso di presenza negli istituti penitenziari, come l'Albania e la Romania;
4) ad informare annualmente il Parlamento in merito ai dati relativi all'attuazione di accordi bilaterali per il rimpatrio dei detenuti stranieri, nonché in riferimento all'utilizzo delle procedure previste dalla Convenzione di Strasburgo.
(1-01249)
«Bergamini, Ravetto, Centemero, Brunetta, Gregorio Fontana».
(4 maggio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    le carceri italiane ospitano attualmente 18.825 detenuti stranieri su un totale di 55.381 ristretti;
    la percentuale media nazionale degli stranieri detenuti in Italia è del 34 per cento, ma a livello locale, soprattutto nel Nord Italia, la percentuale è stabilmente attorno al 50 per cento. Nella casa circondariale di Cremona, ad esempio, la presenza di detenuti stranieri è il 66 per cento del totale;
    l'Italia ha aderito alla convenzione di Strasburgo del 1983 sul trasferimento dei detenuti assieme ad altri 60 Paesi. Ha poi stretto accordi bilaterali con altri sette che erano rimasti fuori dalla Convenzione, ma non con quelli che più pesano sul conto del sovraffollamento delle carceri;
mancano, infatti, all'appello proprio i Paesi che affollano maggiormente le nostre carceri: il Marocco con 4.249 detenuti (18,7 per cento del totale), la Romania con 3.674 detenuti (16,1 per cento) e la Tunisia con 2.774 unità (12,2 per cento);
    per quanto riguarda invece l'Albania (2.787 detenuti, 12 per cento), un accordo specifico è stato siglato nel 2002. Quanti albanesi siano poi stati effettivamente trasferiti nell'ultimo decennio è impossibile saperlo, dal momento che il numero di rimpatri autorizzati è talmente esiguo che non viene neppure monitorato a fini statistici;
    i ristretti di nazionalità straniera che maggiormente affollano le nostre carceri provengono dal Marocco con 3.359 detenuti (17,8 per cento del totale), dalla Romania con 2.725 detenuti (14,5 per cento), dall'Albania con 2486 detenuti (13,2 per cento), dalla Tunisia con 2.041 detenuti (10,8 per cento), dalla Nigeria con 897 detenuti (4,85) e dall'Egitto con 706 detenuti (3,8 per cento);
    sebbene, come comunicato in Commissione giustizia della Camera dei deputati dal Sottosegretario di Stato alla giustizia pro tempore in data 7 aprile 2016, sia con il Marocco che con l'Albania siano stati «stipulati anche accordi aggiuntivi, congegnati in modo da consentire il trasferimento, pur in assenza del consenso del condannato, ove sussistano determinati presupposti» e che «con l'Albania è stato, inoltre, stretto un accordo secondo cui lo Stato italiano potrà chiedere l'esecuzione nel Paese delle condanne emesse dai giudici italiani nei confronti dei cittadini albanesi localizzati in Albania, ed è stata, altresì, riaperta la procedura per la destinazione di un magistrato di collegamento italiano», quanti albanesi siano poi stati effettivamente trasferiti nell'ultimo decennio è impossibile saperlo, dal momento che il numero di rimpatri autorizzati è talmente esiguo che non risulta essere neppure monitorato a fini statistici, così come non sono organicamente presenti fra le statistiche del Ministero della giustizia i dati relativi ai rimpatri;
    gli stranieri detenuti in Italia che stanno scontando attualmente una condanna definitiva, e che potrebbero quindi essere trasferiti, sono 10.916;
    il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia ha calcolato un costo medio per detenuto di 124,6 euro al giorno;
    la sottoscrizione di nuovi accordi bilaterali per il rimpatrio degli stranieri e l'attuazione di quelli già in essere consentirebbero allo Stato di risparmiare oltre mezzo miliardo di euro che potrebbe essere destinato alla costruzione di nuove strutture, all'ammodernamento di quelle esistenti e all'incentivo di forme rieducative e di reinserimento;
    va ricordato che l'Italia ha aderito alla Convenzione di Strasburgo del 1983 sul trasferimento dei detenuti con un ambito applicativo di 45 Paesi, in base alla quale, tuttavia, è stato richiesto il consenso del detenuto condannato al trasferimento; mentre, con il decreto legislativo n. 161 del 7 settembre 2010 ha attuato la delega conferita al Governo con la legge comunitaria 2008 (legge n. 88 del 2009) per conformare il diritto interno alla decisione quadro europea 2008/909/GAI relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell'Unione europea; decisione che, avendo come ambito di applicazione i soli Paesi europei, non richiede il consenso del detenuto; ed ha, infine, stretto accordi bilaterali, con alcuni dei Paesi esteri non aderenti alla Convenzione quali Cuba, Hong Kong, Perù, Thailandia, India, Kazakhstan, Repubblica Dominicana ed Egitto. Si tratta di un'attività diplomatica che tuttavia non ha sortito adeguati o apprezzabili risultati, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, come si può evincere dai dati riportati in premessa,

impegna il Governo:

1) a verificare lo stato di applicazione della legge 28 luglio 2016, n.152, relativamente al rimpatrio dei detenuti di nazionalità marocchina in Italia, anche al fine di valutarne l'efficacia o evidenziarne le criticità, e ad assumere iniziative per aggiornare la Convenzione con il Regno del Marocco, prevedendo la non necessarietà del consenso al rimpatrio del detenuto straniero, così come attualmente previsto dall'articolo 13 della suddetta Convenzione;
2) alla luce della decisione quadro europea 2008/909/GAI, a verificare lo stato di applicazione dell'accordo tra la Repubblica italiana e la Romania sul trasferimento delle persone condannate alle quali è stata inflitta la misura dell'espulsione o quella dell'accompagnamento al confine, fatta a Roma il 13 settembre 2003, e ratificata con la legge 30 dicembre 2005, n. 281, relativamente al rimpatrio dei detenuti di nazionalità romena in Italia, anche al fine di valutarne l'efficacia o evidenziarne le criticità;
3) a verificare lo stato di applicazione dell'accordo aggiuntivo tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Albania alla Convenzione sul trasferimento delle persone condannate del 21 marzo 1983, fatta a Roma il 24 aprile 2002, e ratificato con la legge 11 luglio 2003, n. 204, relativamente al rimpatrio dei detenuti di nazionalità albanese in Italia, anche al fine di valutarne l'efficacia o evidenziarne le criticità e ad assumere iniziative volte ad aggiornare tale Accordo, prevedendo l'esclusione delle limitazioni di cui all'articolo 3, comma 1;
4) ad attivarsi con urgenza per sottoscrivere accordi bilaterali, ovvero ulteriori accordi integrativi qualora necessari, con la Tunisia, al fine di estendere ai detenuti di quelle nazionalità gli effetti della convenzione di Strasburgo del 1983;
5) a verificare lo stato di applicazione della legge 7 febbraio 2013, n. 14, concernente la ratifica e l'esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica Araba di Egitto sul trasferimento delle persone condannate relativamente al rimpatrio dei detenuti di nazionalità egiziana in Italia, anche al fine di valutarne l'efficacia o evidenziarne le criticità, e ad assumere iniziative per aggiornare tale accordo prevedendo la non necessarietà del consenso al rimpatrio del detenuto straniero, così come attualmente previsto dall'articolo 8 del suddetto accordo;
6) ad assumere iniziative per inserire nei predetti accordi apposite disposizioni volte al riconoscimento automatico, anche senza il consenso del detenuto, delle sentenze emesse all'estero ed al rimpatrio di tutti i detenuti stranieri condannati in via definitiva;
7) ad assumere iniziative per integrare e rafforzare in tale direzione le norme di cui al decreto legislativo n. 161 del 7 settembre 2010 in materia di riconoscimento all'estero delle sentenze penali emesse in Italia secondo i principi espressi nella decisione quadro 2008/909/GAI dell'Unione europea;
8) a considerare anche l'opportunità di concedere, in favore dei Paesi firmatari degli accordi bilaterali, il riconoscimento di un contributo economico da parte dello Stato italiano proporzionato alle spese di mantenimento dei propri detenuti presso le loro carceri, in quota parte rispetto al costo sostenuto dall'Italia quotidianamente, che allo stato attuale è pari ad euro 124,6 giornaliero per detenuto;
9) a concorrere infine alla predisposizione di validi strumenti di monitoraggio e di controllo riguardanti l'attuazione della Convenzione di Strasburgo del 1983, dei regolamenti europei in materia e degli accordi bilaterali sottoscritti con i Paesi esteri.
(1-00239)
(Nuova formulazione) «Colletti, Businarolo, De Lorenzis, Nicola Bianchi, Gagnarli, L'Abbate, Parentela, Scagliusi, Rostellato, Cecconi, Spadoni, Grillo, D'Uva, Cozzolino, Lorefice, Liuzzi, Frusone, Ruocco, Ciprini».
(12 novembre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    le carceri italiane sono ancor oggi caratterizzate da un sovraffollamento inaccettabile, con carenze strutturali, di organico nelle diverse figure professionali, a cominciare dagli agenti penitenziari, dagli psicologi e dal personale medico e paramedico e con una presenza del tutto insufficiente di psicologi, assistenti sociali e mediatori culturali;
    nella relazione del Ministero sull'amministrazione della giustizia per l'anno 2016, per quanto concerne il fenomeno del sovraffollamento carcerario, si evidenzia come siano proseguite le azioni improntate ad un «ripensamento complessivo del sistema penitenziario, tramite l'adozione di misure di carattere strutturale, normative ed organizzative, finalizzate a superare definitivamente un modello di detenzione sostanzialmente caratterizzato da passività e segregazione, mirando alla rieducazione e al reinserimento sociale, potenziando le misure alternative al carcere e riducendo la custodia cautelare, verso l'adozione di un modello in linea con le migliori prassi in ambito europeo». Da un punto di vista numerico, anche per effetto delle modifiche legislative introdotte negli ultimi anni, si è registrata una riduzione, nell'arco di circa quattro anni, di circa undicimila unità rispetto al dato 2013, anno di pubblicazione della cosiddetta sentenza «Torreggiani», relativa alle misure compensative da riconoscere ai detenuti per il pregiudizio subìto dalle condizioni di sovraffollamento;
    tale ottimistica rappresentazione si scontra con la realtà che vede, nell'ultimo anno, una netta ripresa del sovraffollamento carcerario, essendosi passati dai 52.164 detenuti al 31 dicembre 2015 ai 54.653 del 31 dicembre 2016, con un incremento di ben 2.500 unità. Lo stesso Ministro della giustizia, in una recente intervista, ha dovuto ammettere che il quadro «non è ancora roseo» ed «esistono tuttora situazioni difficili» e che il rischio di ripiombare in una nuova emergenza non è alle nostre spalle;
    secondo gli ultimi dati forniti dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria – ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato – sezione statistica, i detenuti presenti nei 191 istituti penitenziari al 31 gennaio 2017 sono 55.381, di cui 2.228, a fronte di una capienza regolamentare di 50.174 posti. I detenuti stranieri presenti alla stessa data erano 18.825, di cui 870 donne e 17.955 uomini;
    in base alla posizione giuridica, dei 55.381 detenuti presenti, 9.729 sono in attesa di giudizio e 35.706 scontano una condanna definitiva; di questi sono 4.074 i detenuti di origine straniera in attesa di giudizio e 10.916 quelli con sentenza passata in giudicato;
    le nazionalità straniere maggiormente rappresentate, secondo le tabelle ministeriali, sono quella marocchina (17,8 per cento) quella rumena (14,5 per cento), quella albanese (13,2 per cento), quella tunisina (10,8 per cento), quella nigeriana (4,8 per cento);
    nella relazione del Ministero sull'amministrazione della giustizia per l'anno 2016, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) ha dedicato uno specifico capitolo alla «Prevenzione della radicalizzazione», che viene attuata con una costante attività di monitoraggio dei soggetti ristretti per reati di terrorismo internazionale e di coloro che sono segnalati per presunte attività di proselitismo e di reclutamento. Con tale attività l'amministrazione mira a conoscere ogni aspetto della realtà individuale e relazionale dei soggetti, al fine di mettere in campo i necessari strumenti preventivi e di controllo dei fenomeni di fanatismo violento, discernendo la legittima pratica religiosa dal fanatismo radicale;
    la procedura di monitoraggio si basa su tre livelli: «monitoraggio», per soggetti reclusi per reati connessi al terrorismo internazionale e che mostrano atteggiamenti tendenti a forme di proselitismo, radicalizzazione e/o di reclutamento; «attenzionamento», per i soggetti che hanno posto in essere più atteggiamenti che fanno presupporre una vicinanza a ideologie jihadiste; «segnalazione», per quei detenuti che meritano approfondimento per la valutazione successiva di inserimento nei livelli precedenti;
    i soggetti attualmente sottoposti a specifico «monitoraggio» sono complessivamente 165, a cui si aggiungono 76 detenuti «attenzionati» e 124 «segnalati», per un totale di 365 individui. Attualmente i detenuti ristretti per il reato di terrorismo internazionale monitorati, sono 44;
    sono stati 34 i soggetti dimessi per fine pena per i quali, accertata un'adesione alle ideologie jihadiste, sono stati emessi provvedimenti amministrativi di espulsione;
    sulla base delle nazionalità di appartenenza il Dap ha stimato che circa 11.029 stranieri detenuti provengono da Paesi tradizionalmente di religione musulmana; tra questi, ben 7.646 sono «praticanti», ossia effettuano la preghiera attenendosi ai dogmi della propria religione; tra i «praticanti», 148 sono Imam e 20 si sono convertiti all'islam durante la detenzione;
    con lo strumento del trasferimento delle persone condannate è consentito ai cittadini di uno Stato, detenuti in espiazione di pena in un altro Stato, di essere trasferiti in quello d'origine per la continuazione dell'espiazione della pena stessa. Lo strumento giuridico di maggiore applicazione in tale materia, ai fini dell'esecuzione di condanne definitive, è la Convenzione sul trasferimento delle persone condannate, sottoscritta a Strasburgo il 21 marzo 1983 e ratificata con la legge 25 luglio 1988 n. 334;
    la Convenzione ha quale scopo principale di favorire il reinserimento sociale delle persone condannate permettendo ad uno straniero, privato della libertà in seguito a reato penale, di scontare la pena nel suo paese d'origine. A tal fine, una persona condannata nel territorio di una Parte può manifestare, presso lo Stato di condanna, o presso lo Stato di esecuzione, il desiderio di essere trasferita in applicazione della Convenzione. Il trasferimento può essere anche richiesto o dallo Stato di condanna, o dallo Stato di esecuzione. In ogni caso, la persona condannata – o il suo rappresentante legale – deve acconsentire al trasferimento;
    una persona condannata può essere trasferita in applicazione della Convenzione se è cittadina dello Stato di esecuzione; se la sentenza è definitiva; se la durata della pena che la persona condannata deve ancora scontare è di almeno sei mesi alla data di ricevimento della richiesta di trasferimento, o indeterminata; se gli atti o le omissioni per i quali è stata inflitta la condanna costituiscano reato ai sensi della legge dello Stato di esecuzione o costituirebbero reato se fossero commessi sul suo territorio; se lo Stato di condanna e lo Stato di esecuzione sono d'accordo sul trasferimento;
    le autorità competenti dello Stato di esecuzione devono continuare l'esecuzione della condanna o convertire la stessa, per mezzo di una procedura giudiziaria o amministrativa, in una decisione di detto Stato, sostituendo in tal modo la pena inflitta nello Stato di condanna con una sanzione prevista dalla legge dello Stato di esecuzione per lo stesso reato. Va ricordato che l'esecuzione della condanna è regolata dalla legge dello Stato di esecuzione e questo Stato è l'unico competente a prendere ogni decisione al riguardo;
    in caso di continuazione dell'esecuzione, lo Stato di esecuzione è vincolato alla natura giuridica e alla durata della sanzione così come stabilite dallo Stato di condanna. Tuttavia, se la natura o la durata della sanzione sono incompatibili con la legge dello Stato di esecuzione, o se la sua legge lo esige, per mezzo di una decisione giudiziaria o amministrativa, la sanzione può essere adattata alla pena o misura prevista dalla propria legge interna per lo stesso tipo di reato, che però non può essere più grave, per natura o durata, della sanzione imposta nello Stato di condanna, né eccedere il massimo previsto dalla legge dello Stato di esecuzione;
    il Trattato ad oggi è stato ratificato da tutti Paesi membri del Consiglio d'Europa tranne Monaco, nonché da Australia, Bahamas, Bolivia, Canada, Cile, Corea, Costa Rica, Ecuador, Giappone, Honduras, Israele, Mauritius, Messico, Mongolia, Panama, Stati Uniti d'America, Tonga, Trinidad e Tobago, Venezuela;
    la possibilità di scontare la pena nel Paese di origine è utile al reinserimento, venendo meno problematiche linguistiche e culturali;
    il trasferimento nel loro Paese di origine dei detenuti stranieri condannati in Italia, come previsto dalla Convenzione di Strasburgo, può contribuire a risolvere la questione del sovraffollamento carcerario e facilitare la prevenzione di fenomeni quali la radicalizzazione, anche terroristica;
    accanto ad una seria politica di adeguamento strutturale degli istituti penitenziari, anche con la previsione di nuove costruzioni, ad un adeguamento delle piante organiche del personale e ad una maggiore applicazione del trasferimento delle persone condannate negli Stati di provenienza, non vi è dubbio che determinanti, per un sistema carcerario più in linea col dettato costituzionale, saranno tutte quelle iniziative normative volte ad un adeguamento del sistema dell'esecuzione della pena detentiva;
    attualmente, presso il Senato della Repubblica, è in discussione il disegno di legge governativo recante modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario. Sulle modifiche all'ordinamento penitenziario si è potuta registrare una considerevole convergenza delle forze politiche, restando altresì forti le differenze sulle restanti parti del provvedimento;
    sarebbe auspicabile che questo Parlamento, nei pochi mesi che oramai separano dal termine, naturale o anticipato, della XVII legislatura, fosse in grado di approvare in via definitiva almeno questa parte della riforma, dando così un segnale forte all'intero mondo giudiziario e carcerario,

impegna il Governo:

1) ad adoperarsi, in tutte le sedi internazionali, per favorire la sottoscrizione della Convenzione di Strasburgo anche da parte di quei Paesi che non hanno aderito;
2) a promuovere, nel rispetto dello spirito della Convenzione di Strasburgo, accordi bilaterali con quegli Stati che ancora non hanno in essere strumenti giuridici per il trasferimento di propri connazionali condannati in via definitiva nel nostro Paese;
3) a favorire la conoscenza tra la popolazione straniera presente negli istituti penitenziari italiani della Convenzione di Strasburgo;
4) a mantenere informato il Parlamento in merito ai dati relativi all'applicazione delle procedure previste dalla Convenzione di Strasburgo e degli accordi bilaterali sottoscritti per il rimpatrio di detenuti stranieri;
5) ad assumere iniziative per potenziare, anche attraverso maggiori dotazioni di mezzi, personale e risorse, gli strumenti di monitoraggio dei soggetti ristretti per reati di terrorismo internazionale e di coloro che sono segnalati per presunte attività di proselitismo e di reclutamento.
(1-01513)
(Nuova formulazione) «Palese, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».
(17 febbraio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    la problematica relativa al potenziamento del trasferimento dei detenuti nei Paesi di origine è particolarmente complessa e delicata;
    l'obiettivo della riduzione della popolazione carceraria nel nostro Paese può essere perseguito, tenendo presente l'aspetto umanitario, anche attraverso l'applicazione degli strumenti di cooperazione internazionale che consentano alle persone straniere detenute di espiare nei Paesi di origine la pena loro inflitta in Italia. Tra l'altro, la percentuale italiana della componente reclusa immigrata è superiore alla media europea. Mentre per quanto concerne il fenomeno della radicalizzazione dei detenuti nelle carceri questo appare non particolarmente grave rispetto ad altre Nazioni anche se la situazione va costantemente monitorata e tenuta sotto debito controllo;
    si parla di trasferimento di persone condannate per indicare la procedura in base alla quale un condannato, che sta già scontando la pena in un Paese estero, viene trasferito in quello di origine per ivi proseguire e terminare l'esecuzione della pena;
    la Convenzione di Strasburgo sul trasferimento delle persone condannate del 21 marzo 1983 ha un ambito applicativo esteso a 45 Paesi, ma richiede il consenso del condannato. Al contrario, la decisione quadro 2008/909/ GAI ha un ambito di applicazione più ristretto (i soli Paesi europei) ma non richiede il consenso. Tale decisione prevede una procedura di trasferimento semplificata basata sulla presunzione che il luogo di origine del condannato sia, salva prova di radicamento altrove, quello ove egli intrattiene legami sociali, familiari, culturali e linguistici e quindi più favorevole alla sua rieducazione;
    la relazione della Commissione europea del 2014 sull'attuazione da parte dei Paesi dell'Unione europea delle decisioni quadro del 2008 sottolinea come, malgrado gli sforzi di alcuni Paesi dell'Unione europea (si veda l'Italia) l'attuazione di questi atti non risulti soddisfacente;
    è dunque necessario attivarsi per richiedere ai Paesi dell'Unione europea che non hanno già attuato le decisioni di farlo al più presto. Ogni anno alcune migliaia di cittadini dell'Unione europea sono perseguiti per reati presunti o vengono condannati in un Paese dell'Unione europea diverso da quello in cui risiedono;
    il reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie rappresenta la pietra angolare della cooperazione giudiziaria in materia penale all'interno dell'Unione europea;
    la disciplina codicistica è stata completata con il decreto legislativo 7 settembre 2010, no 161, che nel recepire la citata decisione quadro consente l'esecuzione in uno Stato membro dell'Unione europea diverso da quello di emissione di sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale;
    l'ambito applicativo dell'istituto del riconoscimento presenta alcuni punti di contatto con la procedura dettata dalla Convenzione di Strasburgo e con quella del mandato di arresto europeo;
    allo stato attuale sono in vigore accordi per il trasferimento dei condannati con Cuba, Hong Kong, Perù, Thailandia, India, Kazakhstan, Repubblica Dominicana ed Egitto;
    la Convenzione citata ha lo scopo principale di favorire il reinserimento sociale dei condannati, permettendo ad uno straniero detenuto di scontare la pena nel Paese di origine. Tra l'altro, ciò consente di superare le difficoltà derivanti dalle differenze sociali, culturali e linguistiche del detenuto e di riavvicinare lo stesso ai familiari. In base alla Convenzione, il trasferimento del detenuto straniero può essere richiesto sia dallo Stato (cosiddetto Stato di condanna) che ha condannato il soggetto in questione e nelle cui prigioni egli sconta la pena, sia dallo Stato di origine (cosiddetto Stato di esecuzione) della persona interessata. L'esecuzione del trasferimento è condizionata al consenso dei due Stati, come anche a quello del detenuto. La Convenzione inoltre definisce le procedure di esecuzione della pena successivamente al trasferimento: in ogni caso a prescindere dall'ordinamento giuridico dello Stato di esecuzione, una pena detentiva non potrà mai essere commutata in sanzione pecuniaria. Inoltre, il periodo di pena già scontato nello Stato di condanna dovrà essere considerato nelle determinazioni dello Stato di esecuzione. Infine, in nessun caso la pena dovrà essere, quanto alla natura ed alla durata, più severa di quella inflitta dallo Stato di condanna;
    il Protocollo addizionale del 1997 stabilisce altresì le regole per il trasferimento dei detenuti oggetto di una misura di espulsione o di ri-accompagnamento alla frontiera in ragione della condanna riportata stabilendo che il trasferimento nello Stato di cittadinanza possa avvenire anche senza il consenso del detenuto interessato, purché venga sentito;
    è da sottolineare come il Ministero della giustizia proprio al fine di semplificare e rendere più veloci le procedure di trasferimento ha avviato un'azione strategica articolata su più punti diretti: a) alla promozione ed alla conoscenza dello strumento del trasferimento; b) alla organizzazione di una serie di incontri con gli organi giudiziari competenti nazionali e dei Paesi in cui i cittadini hanno il più elevato tasso di presenza negli istituti penitenziari, ovvero con l'Albania e la Romania;
    infatti con tali Paesi sono stati stipulati anche accordi aggiuntivi in modo da consentire il trasferimento, pur in assenza del consenso del condannato, ove sussistano determinati presupposti. Con l'Albania è stato inoltre firmato un accordo secondo il quale lo Stato italiano potrà chiedere l'esecuzione nel Paese delle condanne emesse dai giudici italiani nei confronti dei cittadini albanesi localizzati in tale Nazione. Da ultimo, è stata prevista la riapertura della procedura per la destinazione di un magistrato di collegamento italiano;
    è da rilevare come negli anni 2014-2015 si sia registrata una seppur contenuta crescita del numero complessivo dei detenuti trasferiti nei Paesi di origine, in un numero di 133 per l'anno 2014 e 149 per il 2015. La Romania è il Paese che ha registrato il maggior incremento nelle consegne passando dalle 70 unità del 2014 alle 110 censite nel 2015;
    tuttavia, occorre considerare che diverse migliaia di detenuti provengono da Paesi con i quali l'Italia non ha stabilito rapporti di cooperazione giudiziaria in materia penale. Tra questi diversi Paesi dell'area mediterranea estranei sia alla Convenzione di Strasburgo del 1983 che alla decisione quadro del 2008 (ad esempio, Tunisia ed Algeria);
    è necessario, pertanto, rafforzare la cooperazione giudiziaria internazionale in materia di esecuzione dei giudicati penali che è fondamentale, perché, oltre ad affiancarsi alle tradizionali forme ed agli strumenti di cooperazione giudiziaria tra Stati in campo penale, quali le rogatorie e l'estradizione, costituisce un elemento fondamentale di gestione comune delle giurisdizioni tra gli Stati più direttamente interessati ad un singolo episodio criminoso,

impegna il Governo:

1) a rafforzare gli accordi bilaterali con i Paesi di origine dei detenuti in modo da superare le problematiche inerenti alla grande presenza di detenuti immigrati nelle carceri italiane;
2) a valutare la possibilità di rendere più veloci e snelle le procedure di trasferimento dei detenuti nei loro Paesi di origine;
3) a valutare l'opportunità di monitorare tale fenomeno anche attraverso un costante confronto con le competenti istituzioni straniere e con i Paesi i cui cittadini hanno il più alto tasso di presenza nelle carceri italiane.
(1-01515) «Marotta, Bosco».
(20 febbraio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    l'incremento dei flussi migratori, con le sue ripercussioni anche in termini di aumento dei fatti criminosi, rappresenta una delle cause del grave fenomeno del sovraffollamento carcerario;
    uno strumento efficace per arginare, sotto questo profilo, il suddetto fenomeno è dato dalla procedura del trasferimento delle persone condannate, in base alla quale un condannato che sta già scontando la pena in un Paese viene trasferito in altro, quello d'origine, per ivi proseguire e terminare l'esecuzione della pena;
    tale procedura opera su un piano diverso rispetto all'estradizione e agli altri strumenti di cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale: persegue, infatti, finalità prevalentemente di carattere umanitario, nel senso che mira a favorire, in determinati casi, il reinserimento sociale delle persone condannate, avvicinandole al Paese d'origine, in modo da superare tutte quelle difficoltà che, su un piano personale, sociale e culturale, oltreché per l'assenza di contatti con i familiari, possono derivare dall'esecuzione della pena in un Paese straniero;
    il principale accordo internazionale per attuare il trasferimento delle persone condannate è rappresentato dalla Convenzione del Consiglio d'Europa firmata a Strasburgo il 21 marzo 1983 e ratificata dall'Italia con legge 25 luglio 1988, n. 334;
    per mezzo di tale accordo si realizza lo scopo sostanziale della pena, ossia il reinserimento sociale della persona condannata, obiettivo quest'ultimo di più agevole realizzazione in un contesto in cui la persona condannata sia presumibilmente assistita da più saldi legami sociali e familiari, evitandosi con ciò quella «pena nella pena» costituita dalle difficoltà di ambientamento, di comunicazione e socializzazione che incontra colui che sia detenuto fuori dal proprio Paese di origine;
    la suddetta Convenzione richiede, ai fini del trasferimento della persona condannata, che:
     a) la stessa sia cittadina dello Stato di esecuzione;
     b) la sentenza sia definitiva;
     c) la durata della pena ancora da espiare sia di almeno sei mesi alla data di ricevimento della richiesta di trasferimento, o indeterminata;
     d) la persona condannata – o, allorquando in considerazione della sua età o delle sue condizioni fisiche o mentali uno dei due Stati lo ritenga necessario, il suo rappresentante legale – acconsenta al trasferimento;
     e) gli atti o le omissioni per i quali è stata inflitta la condanna costituiscano reato ai sensi della legge dello Stato di esecuzione o costituirebbero reato se fossero commessi sul suo territorio; lo Stato di condanna e lo Stato di esecuzione siano d'accordo sul trasferimento;
    nella prospettiva, dunque, del reinserimento, non può che risultare giustificata la necessità del consenso della persona interessata, dalla quale, nella maggior parte dei casi, parte l'impulso che mette in moto la procedura, diversamente da quanto avviene generalmente nelle procedure estradizionali o di consegna, che prescindono dal consenso dell'interessato, al pari dei casi di applicazione della decisione quadro 2008/909/GAI, sul mutuo riconoscimento delle sentenze che irrogano pene detentive e altre misure limitative della libertà personale di cui al decreto legislativo 7 settembre 2010, n. 161, che, avendo un ambito operativo limitato ai soli Paesi dell'Unione europea, non richiede parimenti il consenso;
    l'Italia, fatta salva anche la legge 27 dicembre 1988, n. 565, recante «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo relativo all'applicazione tra gli Stati membri delle Comunità europee della Convenzione del Consiglio d'Europa sul trasferimento delle persone condannate, firmato a Bruxelles il 25 maggio 1987», sta progressivamente incrementando il numero degli accordi internazionali stipulati con Paesi stranieri per consentire ai loro cittadini, privati della libertà personale a seguito della commissione di un reato, di scontare la pena comminata nel paese di origine; a tal riguardo, si richiamano:
     a) legge 11 luglio 2002, n. 149, di «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Regione amministrativa speciale di Hong Kong della Repubblica Popolare Cinese sul trasferimento delle persone condannate, fatto a Hong Kong il 18 dicembre 1999»;
     b) legge 11 luglio 2003, n. 204, di «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Albania, aggiuntivo alla Convenzione sul trasferimento delle persone condannate del 21 marzo 1983, fatto a Roma il 24 aprile 2002»;
     c) legge 30 dicembre 2005, n. 281, di «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra la Repubblica italiana e la Romania sul trasferimento delle persone condannate alle quali è stata inflitta la misura dell'espulsione o quella dell'accompagnamento al confine, fatto a Roma il 13 settembre 2003»;
     d) legge 18 marzo 2008, n. 58, di «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Bulgaria sul trasferimento delle persone condannate alle quali è stata inflitta la misura dell'espulsione o quella dell'accompagnamento al confine, fatto a Sofia il 22 novembre 2005»;
     e) legge 5 marzo 2010, n. 46, di «Ratifica ed esecuzione del Trattato sul trasferimento delle persone condannate tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica dominicana, fatto a Santo Domingo il 14 agosto 2002»;
     f) legge 26 ottobre 2012, n. 183, di «Ratifica ed esecuzione del Trattato sul trasferimento delle persone condannate tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica dell'India, fatto a Roma il 10 agosto 2012»;
     g) legge 10 febbraio 2015, n. 17, di «Ratifica ed esecuzione del Trattato sul trasferimento delle persone condannate tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica federativa del Brasile, fatto a Brasilia il 27 marzo 2008»;
     h) legge 16 giugno 2015, n. 79, di «Ratifica ed esecuzione del Trattato sul trasferimento delle persone condannate tra la Repubblica italiana e la Repubblica del Kazakhstan, fatto ad Astana l'8 novembre 2013»;
     i) legge 28 luglio 2016, n. 152, di «Ratifica ed esecuzione dei seguenti Accordi: a) Accordo aggiuntivo alla Convenzione di reciproca assistenza giudiziaria, di esecuzione delle sentenze e di estradizione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo del Regno del Marocco del 12 febbraio 1971, fatto a Rabat il 1o aprile 2014; b) Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo del Regno del Marocco sul trasferimento delle persone condannate, fatta a Rabat il 1o aprile 2014»;
    la stipula di accordi bilaterali sul trasferimento delle persone condannate contenenti previsioni che prescindono dal consenso di queste ultime contrasta con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato italiano in quanto rischia di esporre la persona a condizioni detentive crudeli, disumane o degradanti o che comunque configurano violazione dei diritti fondamentali della stessa,

impegna il Governo:

1) a proseguire nella promozione di accordi bilaterali volti a favorire il trasferimento dei detenuti provenienti soprattutto dai Paesi che fanno registrare il maggior flusso di immigrazione verso l'Italia, e, in particolare, da quei Paesi i cui cittadini registrano un alto tasso di presenza nelle carceri italiane;
2) ad adottare ogni opportuna iniziativa, soprattutto informativa, volta ad incentivare l'utilizzo delle procedure previste dalla Convenzione di Strasburgo, al fine di diminuire la popolazione carceraria attraverso il trasferimento di detenuti stranieri nei loro Paesi d'origine;
3) ad adoperarsi, presso le sedi internazionali, affinché i Paesi ancora non firmatari aderiscano alla Convenzione di Strasburgo;
4) a promuovere ogni iniziativa volta a semplificare le procedure di trasferimento dei detenuti stranieri, anche favorendo il confronto tra gli organi giudiziari competenti nazionali e quelli dei Paesi i cui cittadini hanno il più elevato tasso di presenza negli istituti penitenziari italiani;
5) ad informare annualmente il Parlamento in merito ai dati relativi all'attuazione di accordi bilaterali per il rimpatrio dei detenuti stranieri, nonché con riferimento all'utilizzo delle procedure previste dalla Convenzione di Strasburgo.
(1-01516)
«Mattiello, Dambruoso, Verini, Ferranti, Cassano, Quartapelle Procopio, Amoddio, Bazoli, Berretta, Campana, Di Lello, Ermini, Giuliani, Greco, Giuseppe Guerini, Iori, Leva, Magorno, Morani, Giuditta Pini, Rossomando, Rostan, Tartaglione, Vazio, Zan».
(20 febbraio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    dagli ultimi dati disponibili del Ministero della giustizia, al 31 gennaio 2017, i detenuti nelle carceri italiane sono 57.719 (55.381 uomini e 2.338 donne) di cui 18,825 stranieri, pari a poco meno del 33 per cento del totale, mentre la media europea si attesta intorno al 21 per cento;
    la diffusione mediatica della paura rappresenta una realtà penitenziaria come fucina inesauribile di criminali. I detenuti extracomunitari reclusi nelle carceri europee non arrivano al 15 per cento sul totale;
    dall'ultimo rapporto del Consiglio d'Europa «Space I» sui dati penitenziari, in Italia gli stranieri regolarmente soggiornanti sono circa l'8 per cento della popolazione, mentre i detenuti soggiornanti regolari, secondo stime a campione effettuate su singoli istituti, sono una quota inferiore al 10 per cento del totale dei detenuti stranieri, ovvero circa il 3 per cento del totale della popolazione detenuta nel nostro Paese. Una percentuale dunque veramente bassa rispetto agli italiani che finiscono in carcere;
    i detenuti stranieri che non stanno scontando una condanna in via definitiva nei Paesi europei sono il 37,9 per cento del totale degli stranieri in carcere. Ben di più di uno straniero detenuto su 3 (quasi 2 su 5) non è per la giustizia nazionale una persona colpevole;
    nel XII rapporto 2016 «Galere d'Italia», realizzato dall'Associazione Antigone, si legge che complessivamente gli stranieri detenuti hanno commesso 8.192 reati contro il patrimonio, 6.599 reati contro la persona, 6.266 reati in violazione della legge sulle droghe, 1.372 reati in violazione della legge sull'immigrazione, 95 delitti di mafia. Gli stranieri reclusi, quindi, sono in carcere per delitti con bassa offensività penale; se il reato è più grave e quindi più alta è la pena, i dati dicono che la percentuale più alta di condannati ha cittadinanza italiana (solo il 5,5 per cento dei condannati all'ergastolo è straniera); solo il 17,3 per cento degli stranieri riesce ad usufruire delle misure alternative al carcere anche a fronte di condanne meno severe degli italiani; ben il 34 per cento dei detenuti stranieri è in attesa di giudizio di primo grado o comunque non è condannato in via definitiva;
    per gli stranieri il carcere è spesso la conclusione scontata di un percorso nato nei Paesi d'origine per migliorare la loro esistenza che si scontra con la lentezza della burocrazia italiana e con un sistema di accoglienza poco efficace ed efficiente. Nel 2016, dal 1o gennaio al 21 ottobre, sono state esaminate 74.575 richieste di asilo: ne sono state respinte il 62 per cento e, anche se nei successivi gradi di giudizio una parte delle stesse viene poi accolta, il «cattivismo» porta gli esclusi verso la clandestinità e i circuiti dell'illegalità;
    la medesima sorte è subita da tanti giovani che entrano come minori non accompagnati e che poi spariscono entrando nella rete dell'illegalità, dello spaccio di stupefacenti e della prostituzione. A questo proposito, è bene ricordare lo scalpore che a inizio 2015 suscitarono i dati forniti dall'allora Ministro dell'interno Alfano sui migranti minori scomparsi dai centri di accoglienza in Italia su 14.243 registrati a seguito degli sbarchi nelle coste italiane nel 2014;
    nei confronti degli stranieri, siano essi soggiornanti regolari o irregolari, la giustizia è sovente discriminatoria: la carcerazione preventiva si applica con più facilità e dunque diventa una sorta di pena anticipata; alla condanna penale, al momento della sentenza, si aggiunge spesso – anche per stranieri con regolare permesso di soggiorno – l'espulsione a titolo di misura di sicurezza (articolo 15 del testo unico sull'immigrazione), eseguita con accompagnamento in frontiera, alla fine della pena. In questo caso la legge dà al giudice una discrezionalità totale in merito, non tenendo conto né del tipo di reato di cui l'imputato si è reso colpevole, né della sua eventuale rieducazione raggiunta a fine pena;
    nel documento finale degli Stati generali sull'esecuzione penale, pubblicato dal Ministero della giustizia il 18 aprile 2016, si rileva che l'essere stranieri in carcere è una condizione che comporta un supplemento di afflittività per le difficoltà linguistiche e la difficoltà di mantenere legami con la famiglia. Infatti, la barriera linguistica incide negativamente sulla conoscenza dei propri diritti (e doveri), sulla relazione con gli operatori e con gli altri detenuti, sulla vita detentiva in genere e sull'accesso alle opportunità trattamentali; mentre la mancanza di legami con la famiglia, il più delle volte residente nei Paesi d'origine, oltre a ripercuotersi negativamente sulla vita quotidiana in carcere, ha riflessi negativi sulla concreta applicazione di misure alternative alla detenzione e sull'applicazione di istituti giuridici previsti come il lavoro esterno (articolo 21 o.p.), permessi premio (articolo 30-ter o.p.), affidamento in prova al servizio sociale (articolo 47 o.p.), detenzione domiciliare (articolo 47-ter o.p.), semilibertà (articolo 48 o.p.), liberazione anticipata (articolo 54 o.p.);
    la mancanza di misure alternative alla detenzione è, dunque, la principale spiegazione sul numero di stranieri presenti nel sistema penitenziario;
    è necessario sia incrementare le competenze linguistiche, le possibilità comunicative e i contatti con la famiglia e con il mondo esterno, sia rimuovere quegli ostacoli che nei fatti mettono a rischio l'attività trattamentale intramuraria e l'accesso a misure extracarcerarie;
    considerate le difficoltà per gli stranieri di accedere a tali misure per mancanza di alcuni requisiti (dimora stabile, nucleo familiare entro cui collocare il detenuto, preferibilmente un lavoro che renda comunque il soggetto più ancorato al tessuto sociale in cui, con la scarcerazione, viene reinserito), il documento finale degli Stati generali sull'esecuzione penale suggerisce la creazione di «alloggi protetti» in cui collocare persone uscite dal carcere o ancora detenute e nei cui confronti vengono applicati i benefici dell'ordinamento penitenziario (come l'esperienza di housing sociale del comune di Brescia);
    dagli Stati generali sull'esecuzione penale viene considerato necessario garantire, alla popolazione carceraria straniera, pari diritti di accesso al reinserimento sociale: «La norma che prevede l'allontanamento dal territorio dello Stato – a titolo di sanzione alternativa o sostitutiva al carcere – dei cittadini stranieri condannati a seguito della commissione di reati di una certa gravità, o il loro trasferimento nei Paesi d'origine ai fini dell'espiazione della pena, oltre a essere praticamente ineffettiva, se eseguita, vanifica l'investimento di risorse trattamentali e, se non eseguita restituisce lo straniero ad una condizione di irregolarità (...) si ritiene che una politica “espulsiva” non sia necessariamente quella più adatta: la misura dell'allontanamento dal territorio nazionale al termine della pena spesso rischia di vanificare i percorsi risocializzativi già intrapresi (...) potrebbe essere utile introdurre una sorta di permesso di soggiorno “premiale” che la Magistratura di sorveglianza avrebbe la facoltà di richiedere al Questore in caso di esito positivo del percorso riabilitativo (...) avrebbe delle positive ricadute per il ritorno socio-economico rispetto alle risorse investite da parte dello Stato sulla “rieducazione” del soggetto in questione»;
    il 10 febbraio 2017 il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto-legge che introduce disposizioni urgenti per l'accelerazione delle procedure amministrative e giurisdizionali in materia di protezione internazionale, per l'introduzione di misure volte ad accelerare le operazioni di identificazione dei cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione europea e per il contrasto dell'immigrazione illegale, in pratica procedure più rapide per l'espulsione degli immigrati irregolari: in relazione a questo obiettivo, il Governo italiano e quello libico di unità nazionale hanno firmato un accordo che ha la finalità di ridurre il flusso di migranti che da anni cercano di raggiungere l'Italia dalle coste libiche;
    il provvedimento sembra ignorare che la Libia non ha mai aderito alla convenzione di Ginevra del 1951 e dunque sarà improbabile da parte di quella nazione, nota per le violazioni umanitarie commesse quotidianamente ai danni dei migranti, come documentato tra l'altro dai report raccolti su Fortress, aspettarsi il rispetto dei diritti umani previsti nel diritto internazionale;
    con la stipula di accordi e partenariati con Governi dittatoriali, come il Sudan, la Libia, il Niger l'Italia viola di fatto il principio di non refoulement;
    l'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo proibisce la tortura e il trattamento e disumano o degradante;
    la Corte di Strasburgo ha più volte ribadito la sua importanza definendolo «un principio fondamentale delle società democratiche» e i giudici di Strasburgo con le loro sentenze – come nella sentenza relativa al caso Soering contro Regno Unito che concerneva l'estradizione di un cittadino europeo negli Stati Uniti, dove avrebbe subito la condanna alla pena di morte per aver commesso omicidio hanno cristallizzato questo principio considerando prioritario l'articolo 3 della Convenzione sui diritti dell'uomo all'interno dei principi generali richiamati nelle sentenze rese. L'articolo 3 è l'unica norma della convenzione che non prevede eccezioni o deroghe; il divieto non trova impedimenti d'azione neppure in circostanze gravi quali la lotta al terrorismo o alla criminalità organizzata, come la sentenza Chahal contro Regno Unito dove i giudici hanno affermato il principio secondo cui nessuna circostanza, comprese la minaccia di terrorismo o le preoccupazioni per la sicurezza nazionale, può giustificare l'esposizione di un individuo al rischio concreto di tali violazioni di diritti umani. Il Governo del Regno Unito era intervenuto nel caso per cercare di opporsi al divieto assoluto di tortura e maltrattamenti. Esso ha sostenuto che il diritto di una persona ad essere protetta da tale trattamento all'estero doveva essere temperato rispetto al rischio in cui l'individuo aveva posto lo Stato che lo stava allontanando. Nel caso richiamato, la Corte ha rigettato questa tesi ritenendo che la Convenzione europea proibisse, in ogni circostanza, l'espulsione verso Paesi in cui vi fosse il rischio di tortura e maltrattamenti, valorizzando il carattere assoluto dell'articolo 3,

impegna il Governo:

1) a valutare l'opportunità di concludere accordi bilaterali per l'esecuzione della pena nel Paese d'origine del cittadino straniero, sempre nel rispetto di quanto stabilito dall'articolo 10 della Costituzione, dall'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e delle norme internazionali in materia;
2) a considerare la possibilità di vincolare la conclusione degli accordi bilaterali futuri, volti ad agevolare il trasferimento dei detenuti stranieri e il controllo dei flussi migratori, alla adesione dei Paesi contraenti alla Convenzione di Ginevra del 1951 e, con riferimento agli accordi già in essere, ad assumere iniziative affinché i Paesi con i quali tali accordi sono stati conclusi, ove non abbiano aderito alla suddetta Convenzione di Ginevra, si attivino in tal senso;
3) ad assumere iniziative per dare seguito a quanto emerso dal documento finale degli Stati generali sull'esecuzione penale riguardo alla popolazione carceraria straniera, rimuovendo quegli ostacoli che impediscono alla stessa pari diritti di accesso al reinserimento sociale.
(1-01517)
«Andrea Maestri, Civati, Brignone, Matarrelli, Pastorino, Marzano, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco».
(21 febbraio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    il sistema penitenziario italiano registra da anni un considerevole sovraffollamento che è imputabile a diversi ordini di ragioni: l'utilizzo della misura della custodia cautelare, la presenza di presunti innocenti in attesa di giudizio, le difficoltà di accesso a misure alternative, lo scarso ricorso ai domiciliari, le troppe persone in carcere per fatti di lieve entità con condanne che sono inferiori all'anno;
    nel luglio del 2009 l'Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per trattamenti inumani e degradanti in relazione al sovraffollamento delle carceri; i detenuti, allora, superavano le 63.600 unità;
    all'inizio del 2010, il Governo pro tempore ha dichiarato lo stato di emergenza a causa dell'eccessivo affollamento degli istituti penitenziari, visto che i reclusi avevano raggiunto il numero di 65.000 e hanno sfiorato le 69.000 presenze;
    l'Italia ha anche predisposto un decreto per introdurre la possibilità di scontare l'ultimo anno di pena nella propria abitazione (elevato poi a un anno e mezzo da un successivo decreto);
    nel 2013, 4.000 detenuti hanno presentato ricorso alla Corte di Strasburgo che condannò nuovamente l'Italia per violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea, usando lo strumento inconsueto della sentenza pilota;
    nello stesso anno due decreti-legge hanno limitato il ricorso alla custodia cautelare, ampliato l'accesso alle misure alternative alla detenzione, aumentato la liberazione anticipata per buona condotta, introdotto meccanismi di protezione dei diritti dei detenuti;
    in Italia la situazione carceraria nonostante la diminuzione del numero dei reclusi è ancora lontana dagli standard europei;
    secondo quanto rilevato dal Ministero della giustizia al 31 gennaio 2017 sarebbero detenute 55.381 persone a fronte di una capienza degli istituti di pena di 50.174 posti;
    la presenza di stranieri è pari a 18.825 unità di cui 17.955 uomini e 870 donne; di queste ultime 22 vivrebbero in regime di detenzione con i propri figli (per un totale di 25 minori);
    la presenza di stranieri nei nostri istituti di pena rappresenta quasi un terzo del totale;
    gli stranieri condannati in via definitiva sarebbero 10.916 ai quali ne vanno aggiunti 4.074 in attesa di giudizio e 3.765 con condanna non definitiva;
    l'Italia ha ratificato nel 1988 la Convenzione del Consiglio d'Europa sottoscritta a Strasburgo il 21 marzo 1983;
    la Convenzione è lo strumento che favorisce il reinserimento sociale delle persone condannate e permette agli stranieri (in stato di detenzione per reato penale) di terminare l'esecuzione della pena nel Paese di origine;
    questa misura, che per essere applicata necessita del consenso dell'interessato, a differenza dell'estradizione e degli altri strumenti di cooperazione giudiziaria, ha carattere umanitario ed ha la finalità di avvicinare il detenuto alla famiglia di origine, e superare, quindi, le difficoltà linguistiche, religiose e culturali che la carcerazione in un Paese straniero porta con sé;
    la Convenzione è estesa a 65 Paesi (quelli membri del Consiglio d'Europa tranne Monaco) ed è stata ratificata anche da Australia, Bahamas, Bolivia, Canada, Cile, Corea del sud, Costa Rica, Ecuador, Giappone, Honduras, Israele, Mauritius, Messico, Panama, USA, Tonga, Trinidad e Tobago e Venezuela;
    secondo la Convenzione la richiesta di trasferimento può essere fatta dallo Stato di condanna, dallo Stato di esecuzione o dal condannato, se vi è il consenso di tutte le parti, a condizione che l'esecuzione della condanna non si trasformi in sanzione pecuniaria;
    l'Italia ha accordi che consentono il rimpatrio dei condannati con Cuba, Hong Kong, Perù, Thailandia, India, Kazakhstan, Repubblica Dominicana, Egitto e Brasile. A questi Paesi va aggiunto il Regno del Marocco con il quale nel 2014 è stata siglata una Convenzione ratificata dal Parlamento il 28 luglio 2016;
    nel 2010 l'Italia ha recepito la decisione quadro europea 2008/909/GAI relativa all'applicazione del principio di reciproco riconoscimento delle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione in Italia;
    i dati circa il costo giornaliero di un detenuto nel nostro Paese oscillano fra 115 e 150 euro, una cifra che moltiplicata per una media di 30 giorni mese e per 12 mesi ha una forbice che va dai 41.400 euro ai 54.000 euro per anno per persona;
    gli ultimi dati pubblicati dal Ministero della giustizia risalgono al 2013 e parlano di un costo giornaliero di 124,96 euro;
    i dati circa i rimpatri, pur lievemente in crescita negli ultimi anni, restano a livelli non rilevabili statisticamente tanto per l'ISTAT che per il Ministero della giustizia;
    gli stranieri nel nostro Paese commettono vari tipi di reato, i più numerosi sono quelli contro il patrimonio, per detenzione e spaccio di stupefacenti, contro la persona e la pubblica amministrazione;

impegna il Governo:

1) a promuovere all'interno degli istituti penitenziari italiani una campagna di informazione che consenta agli stranieri in stato di reclusione di conoscere il loro diritto a fare richiesta di rimpatrio per l'espiazione della pena, come previsto dalla Convenzione di Strasburgo e dalla decisione quadro europea 2008/909/GAI che permette di terminare l'esecuzione della pena nel Paese di origine;
2) a promuovere accordi bilaterali con i Paesi di provenienza dei detenuti stranieri attualmente reclusi nelle carceri italiane, al fine di incrementare il numero dei rimpatri;
3) a fornire dati precisi circa il numero di rimpatri effettuati negli ultimi anni e ad avviare un'indagine ministeriale che esamini le ragioni dello scarso interesse che questa misura ha presso i detenuti stranieri oggi reclusi in Italia;
4) a stimare i costi della popolazione carceraria di nazionalità straniera detenuta in Italia, tenuto conto della tipologia di reato commesso e del numero di anni di reclusione da scontare;
5) ad assumere iniziative nelle competenti sedi internazionali affinché sia ampliato il numero dei Paesi aderenti alla Convenzione di Strasburgo;
6) a dialogare con i Governi di Albania, Algeria, Romania, Bosnia, Marocco, Egitto, Tunisia, Nigeria, per citare solo alcuni dei Paesi di maggior provenienza degli stranieri reclusi in Italia, per assicurare a queste persone, nel caso di trasferimento nel Paese di origine, il rispetto dei diritti umani e condizioni carcerarie dignitose, premesse indispensabili per rendere la misura del rimpatrio interessante, visto che sia la Convenzione di Strasburgo sia la decisione quadro europea presuppongono il consenso del detenuto, non trattandosi di una misura coercitiva.
(1-01518)
«Vezzali, Francesco Saverio Romano, Parisi, D'Alessandro, Rabino, Sottanelli».
(22 febbraio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    circa il 35 per cento dei detenuti nelle carceri italiane sono stranieri, con punte, nelle case di reclusione del Nord anche oltre il 50 per cento;
    al 31 gennaio 2017, negli istituti penitenziari italiani, vi sono 55.381 detenuti, di cui 18.825 stranieri, (che gravano sulle casse dello Stato per oltre 850 milioni di euro l'anno; le risorse maggiori vengono spese per marocchini, romeni, albanesi e tunisini), di questi circa 12.000 sono islamici e 7.500 sono praticanti e risulterebbe che di questi ultimi circa 375 sono attenzionati, monitorati o segnalati, e diversi risulterebbero radicalizzati e particolarmente pericolosi;
    la convenzione del Consiglio d'Europa, del 21 marzo 1983, ratificata dagli Stati membri dell'Unione europea, e dall'Italia con legge 25 luglio 1988, n. 334, sul trasferimento delle persone condannate, prevede che il trasferimento per l'esecuzione della parte residua della pena è previsto solo verso lo Stato di cittadinanza della persona condannata e solo previo consenso della medesima e degli Stati interessati; il protocollo addizionale di tale convenzione, del 18 dicembre 1997, che prevede, a determinate condizioni, il trasferimento dell'interessato indipendentemente dal suo consenso, non è stato ratificato da tutti gli Stati membri dell'Unione europea. Entrambi gli strumenti non contengono alcun obbligo di massima di accettare le persone condannate ai fini dell'esecuzione di una pena o una misura;
    la decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio d'Europa del 27 novembre 2008 relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell'Unione europea recepita nel diritto interno con decreto legislativo del 7 settembre 2010, n. 161, ha un ambito applicativo limitato ai soli Paesi dell'Unione europea, ma non richiede il consenso della persona;
    occorre, in questa prospettiva, accogliere favorevolmente il programma de L'Aia sul rafforzamento della libertà, della sicurezza e della giustizia nell'Unione europea (Guce, C 53 del 3 marzo 2005, pagina 1) che prevede che gli Stati membri completino il programma di misure, specie per quanto attiene all'esecuzione delle condanne definitive a una pena detentiva;
    le nazionalità straniere maggiormente presenti nelle carceri italiane, con percentuali rilevanti, secondo i dati del Ministero della giustizia al 31 gennaio 2017, sono quella marocchina (17,8 per cento) con 3.359 detenuti, rumena (14,5 per cento) con 2.725 detenuti, albanese (13,2 per cento) con 2.486 detenuti e tunisina (10,8 per cento) con 2.041 detenuti;
    occorre constatare che vi sono alcuni accordi già stipulati ma nei fatti non applicati, tra cui quelli stipulati dall'allora Ministro della giustizia Roberto Castelli nel 2002 con l'Albania, oppure l'accordo tra la Repubblica italiana e la Romania sul trasferimento delle persone condannate alle quali è stata inflitta la misura dell'espulsione o quella dell'accompagnamento al confine, fatta a Roma il 13 settembre 2003, e ratificata con la legge 30 dicembre 2005, n. 281;
    l'esecuzione della pena nello Stato di origine dovrebbe aumentare la possibilità di reinserimento sociale delle persone condannate, poiché vi sono elementi da tenere in considerazione quali, per esempio, l'attaccamento della persona allo Stato di origine e il fatto che questa consideri tale Stato il luogo in cui mantiene legami familiari, linguistici, culturali, sociali o economici e di altro tipo,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per dare attuazione agli accordi bilaterali o multilaterali in essere e ad assicurare un deciso impegno nella stipula di nuovi accordi bilaterali con altri Stati, affinché i detenuti stranieri scontino la pena nei Paesi di origine, e ciò anche al fine di evitare eventuali radicalizzazioni;
2) a promuovere ogni iniziativa atta a favorire, in modo efficace, l'utilizzo delle procedure disciplinate dalla Convenzione di Strasburgo, al fine di ridurre la popolazione carceraria attraverso il trasferimento di detenuti stranieri nei loro Paesi d'origine;
3) a relazionare al Parlamento con cadenza annuale sullo stato di attuazione del trasferimento dei detenuti stranieri nei Paesi di origine che hanno ratificato la Convenzione di Strasburgo o che hanno concluso accordi bilaterali con l'Italia.
(1-01519)
«Molteni, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».
(22 febbraio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    la crisi della giustizia e l'inadeguatezza del sistema carcerario rappresentano due delle più gravi questioni sociali che la nostra Nazione si trova ad affrontare da anni, posto che colpiscono direttamente milioni di persone, vittime della lentezza dei processi, di condizioni di detenzione intollerabili, e di reati che restano impuniti, con ciò minando alle fondamenta il principio stesso di legalità e certezza del diritto;
    a questi elementi si sono recentemente aggiunte le esigenze di intensificare lo sforzo a tutela della cittadinanza a fronte dei rischi derivanti dai flussi migratori ormai fuori controllo e dalle inevitabili ripercussioni sul fronte della criminalità;
    l'ultimo impietoso rapporto «Space» del Consiglio d'Europa, traccia un quadro disastroso della condizione delle carceri italiane, disegnando una realtà abbondantemente denunciata ma immobile, che vede purtroppo l'Italia «maglia nera» per numero di carcerati rispetto alla capacità delle prigioni. Tale rapporto è confermato dalla fotografia scattata dallo stesso Ministero dell'interno, secondo cui al 31 gennaio 2017 i detenuti negli istituti di pena italiani erano 55.381, di cui 18.825 stranieri;
    questi dati dimostrano il completo fallimento delle contraddittorie politiche messe in atto dai Governi succedutisi in questi ultimi anni, tutte improntate al «perdonismo» e dirette unicamente a svuotare le carceri senza eseguire interventi strutturali che possano risolvere l'emergenza carceraria sul lungo periodo;
    basti pensare che in meno di un triennio sono stati approvati ben cinque provvedimenti «svuota carceri», unica soluzione fin qui adottata dai diversi Governi per combattere i cronici problemi del sovraffollamento carcerario, e che di fatto hanno segnato la resa dello Stato di fronte alla necessità di riformare in modo organico il sistema della giustizia, concentrando il proprio interesse esclusivamente su modalità per far uscire dal carcere soggetti già condannati e in parte anche recidivi, a testimonianza della totale incapacità di gestire in modo serio ed attraverso riforme organiche le problematiche dell'universo carcerario;
    il problema del sovraffollamento carcerario non è legato solo al rischio di assumere dimensioni tali da poter creare, come ha creato, problemi di ordine pubblico, ma, soprattutto, al venire meno della funzione rieducativa e riabilitativa della pena, posto che il rapporto numerico tra detenuti, educatori e assistenti sociali ha frustrato ogni possibile serio tentativo di intraprendere e seguire, per la maggior parte dei reclusi, percorsi individualizzati così come previsto dall'ordinamento penitenziario;
    gli agenti di polizia penitenziaria sono costretti a lavorare in condizioni disumane, sono mal pagati e sottoposti a turni massacranti e operano in assenza dei requisiti minimi di sicurezza, a causa della cronica carenza d'organico, che continua ad aggravarsi in seguito ai blocchi delle assunzioni nella pubblica amministrazione;
    il carattere strutturale e sistemico del sovraffollamento carcerario in Italia è stato riconosciuto dalla stessa Corte europea dei diritti umani, secondo cui «il sovraffollamento carcerario in Italia ha assunto le dimensioni di un fenomeno strutturale. È riconosciuto il carattere sistemico del sovraffollamento carcerario derivante dal malfunzionamento cronico del sistema penitenziario italiano»;
    uno strumento fondamentale per un concreto contrasto al sovraffollamento carcerario, finora mai preso in seria considerazione dai Governi, è rappresentato dal trasferimento verso il Paese di origine dei detenuti stranieri in espiazione pena;
    tale istituto, peraltro, permetterebbe di coniugare l'obiettivo di ridurre la presenza di detenuti stranieri nelle carceri italiane e la speranza di migliorare le prospettive di reinserimento del condannato una volta terminata l'espiazione della pena nel proprio Paese di origine;
    la materia è regolata dalla Convenzione del Consiglio d'Europa firmata a Strasburgo il 21 marzo 1983, e ratificata dall'Italia con legge 25 luglio 1988, n. 334. La Convenzione ha infatti lo scopo principale di favorire il reinserimento sociale delle persone condannate permettendo ad uno straniero, privato della libertà in seguito a reato penale, di scontare la pena nel suo paese d'origine;
    in particolare, la Convenzione stabilisce che il trasferimento del condannato possa essere domandato sia dallo Stato nel quale la condanna è stata pronunciata (Stato di condanna) sia dallo Stato di cittadinanza del condannato (Stato dell'esecuzione), che dal condannato stesso, e che esso sia subordinato al consenso degli Stati interessati;
    allo stesso modo la convenzione individua anche la procedura per l'esecuzione della condanna dopo il trasferimento in base alla quale, tra l'altro, una sanzione privativa della libertà non può mai essere convertita in una sanzione pecuniaria;
    lo stesso rapporto esplicativo della Convenzione, redatto sulla base delle discussioni del Comitato di esperti governativi che hanno stilato il Trattato, sottolinea come la finalità dell'Accordo sia quella di «stabilire una procedura semplice, veloce e flessibile» per il trasferimento dei condannati stranieri, tenuto conto del fatto che l'accresciuta mobilità delle persone e la semplificazione delle comunicazioni hanno favorito l'internazionalizzazione del crimine;
    il trasferimento nel loro Paese di origine dei detenuti stranieri condannati in Italia, come previsto dalla Convenzione di Strasburgo, può certamente contribuire a risolvere la questione del sovraffollamento carcerario e facilitare la prevenzione di fenomeni quali la radicalizzazione, anche terroristica;
    le nazionalità straniere maggiormente presenti nelle nostre carceri, con percentuali maggiori o uguali al 10 per cento del totale, secondo i dati aggiornati al 31 gennaio 2017 del Ministero della giustizia, sono quella marocchina (17,8 per cento) rumena (14,5 per cento), albanese (13,2 per cento) e tunisina (10,8 per cento). Romania e Albania hanno ratificato la Convenzione di Strasburgo e, quindi, il trasferimento dei condannati è già oggi possibile verso questi paesi. Per quanto riguarda gli altri Paesi, questi possono essere invitati a ratificare la stessa Convenzione, ma soprattutto si possono firmare accordi bilaterali con gli stessi finalizzati ad ottenere il medesimo risultato;
    una politica di accordi e trasferimenti con quei Paesi i cui cittadini registrano un elevato tasso di presenza nelle carceri italiane può rappresentare inoltre un valido strumento di selezione dell'immigrazione meritevole di accoglienza. Tale politica avrebbe il pregio di introdurre un fattore di equità in quella che finora si è dimostrata solo una politica di accoglienza indiscriminata che, ad oggi, ha generato soprattutto irregolarità e illegalità;
    né il Governo né i Ministeri competenti, però, sembrano voler incentivare l'utilizzo delle procedure previste dalla Convenzione di Strasburgo al fine di diminuire la popolazione carceraria attraverso il trasferimento di detenuti stranieri nei loro Paesi d'origine,

impegna il Governo:

1) ad attivarsi in sede internazionale per stipulare accordi bilaterali volti a consentire il trasferimento dei detenuti stranieri condannati in Italia nei Paesi di origine per l'esecuzione della condanna, con particolare riferimento a quei Paesi i cui cittadini registrano un alto tasso di presenza nelle carceri italiane;
2) ad adoperarsi, presso le sedi competenti internazionali, per favorire la ratifica della Convenzione di Strasburgo da parte di tutti quei Paesi che non vi abbiano ancora provveduto;
3) ad attivarsi per garantire che l'esecuzione della pena comminata in Italia venga interamente espiata nel Paese di origine del detenuto;
4) a relazionare annualmente al Parlamento in merito ai dati concernenti all'attuazione di accordi bilaterali per il rimpatrio dei detenuti stranieri, nonché in riferimento all'utilizzo delle procedure previste dalla Convenzione di Strasburgo.
(1-01520)
«Rampelli, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Murgia, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».
(22 febbraio 2017)

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