TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 813 di Mercoledì 14 giugno 2017

 
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INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

  LAFORGIA, SPERANZA, SCOTTO, FRANCO BORDO, FOLINO, MOGNATO, ROBERTA AGOSTINI, ALBINI, BERSANI, BOSSA, CAPODICASA, CIMBRO, D'ATTORRE, DURANTI, EPIFANI, FAVA, FERRARA, FONTANELLI, FORMISANO, FOSSATI, CARLO GALLI, KRONBICHLER, LEVA, MARTELLI, MATARRELLI, MELILLA, MURER, NICCHI, GIORGIO PICCOLO, PIRAS, QUARANTA, RICCIATTI, RAGOSTA, ROSTAN, SANNICANDRO, STUMPO, ZACCAGNINI, ZAPPULLA, ZARATTI e ZOGGIA. – Al Ministro per i rapporti con il Parlamento. – Per sapere – premesso che:
   più di 3 milioni di persone, su iniziativa della Cgil, hanno chiesto un referendum per l'abolizione dei voucher che si sarebbe dovuto svolgere il 28 maggio 2017;
   per stessa ammissione del Governo, al fine di evitare un'ulteriore spaccatura del Paese dopo il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, è stato varato in tempi brevissimi un decreto-legge teso a prevenire il referendum sui voucher, poi annullato dalla Corte di cassazione;
   ma recentissimamente, il Governo ha, di fatto, resuscitato lo scontro politico sui voucher senza alcun confronto con il sindacato che aveva promosso il referendum, creando un precedente che deve considerarsi di eccezionale gravità, perché uccide l'istituto del referendum, consentendo alla maggioranza di turno di poter abrogare norme oggetto del quesito referendario e con esso il referendum, per poi ripristinarlo sotto mentite spoglie nel giro di pochi giorni, tanto da costringere la Cgil ad annunciare un ricorso alla Corte costituzionale per violazione dell'articolo 75 della Costituzione e a giugno 2017 una manifestazione nazionale con una mobilitazione pari a quella avvenuta per l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori;
   in tale contesto, quello che viene in evidenza, purtroppo, non è solo il tentativo di aggirare la Cgil, ma quello di aggirare centinaia di migliaia di persone che avevano firmato un referendum, se lo avevano visto autorizzare e sono state poi private della possibilità di potersi esprimere e decidere come cittadini liberi;
   appare necessario evitare scelte che, con tutta evidenza, a parere degli interroganti sono fatte «sulla testa» dei cittadini, non sono supportate da alcun confronto con il sindacato che aveva promosso il referendum sui voucher, esacerbano se non distruggono la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni e, soprattutto, fomentano l'antipolitica, perché avvengono senza rispetto dei principi democratici della Costituzione, minando istituti di democrazia diretta quali il referendum –:
   quali iniziative si intendano assumere per evitare le criticità esposte in premessa.
(3-03070)
(13 giugno 2017)

  RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, GIORGIA MELONI, MURGIA, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. – Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   il vertice dei Paesi del G7 svoltosi il 26 e il 27 maggio 2017 a Taormina non ha prodotto risultati soddisfacenti in ordine a nessuno dei quattro temi principali all'ordine del giorno: terrorismo, immigrazione, protezionismo commerciale e accordo sul clima di Parigi;
   sul terrorismo ci si è accontentati di quello che il Presidente del Consiglio dei ministri ha definito «un impegno comune» per sconfiggerlo e di un generico riferimento alla necessità che i social network più diffusi aumentino concretamente gli sforzi per bloccare la propaganda e l'attività di proselitismo via web;
   per quanto riguarda la questione dei migranti, questione centrale per il nostro Paese, il comunicato finale si limita a riaffermare «il diritto sovrano degli Stati, individualmente e collettivamente, a controllare i loro confini e a stabilire politiche nel loro interesse nazionale e per la sicurezza nazionale», prescindendo completamente dal tema della prevenzione delle migrazioni attraverso il sostegno dei Paesi di origine;
   sul tema del cambiamento climatico il Presidente degli Stati Uniti non si è nemmeno pronunciato, chiedendo una settimana di tempo per confermare o meno la partecipazione agli accordi contro il cambiamento climatico siglati a Parigi nel 2015 e confermando una distanza profonda rispetto alle posizioni degli altri Stati del G7, unanimi nel sostenere il cosiddetto Cop 21 per evitare il surriscaldamento della terra;
   l'Italia è particolarmente esposta alle problematiche derivanti dai cambiamenti climatici, sia a causa della sua conformazione territoriale, sia a causa della fragilità che le deriva dalle problematiche legate al dissesto idrogeologico;
   infine, anche sul tema del protezionismo commerciale nell'ambito del G7 non si sono registrati particolari progressi rispetto alla posizione di chiusura americana e il comunicato non va oltre l'impegno di mantenere i mercati aperti e di combattere il protezionismo, respingendo al contempo tutte le pratiche commerciali sleali –:
   in che modo l'Italia intenda proseguire la propria azione sui temi esposti in premessa, visti gli scarsi risultati ottenuti nell'ambito del vertice di Taormina e in considerazione dell'estrema rilevanza in ambito nazionale delle questioni trattate.
(3-03071)
(13 giugno 2017)

  GALGANO. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   con sentenza 8 novembre 2016, n. 286, pubblicata nella Gazzetta ufficiale, serie speciale n. 52, del 28 dicembre 2016, inviata alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, la Corte costituzionale, pronunciandosi sulla questione di costituzionalità sollevata dalla corte di appello di Genova, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma di sistema «nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno», estendendo la pronuncia anche ai figli nati fuori dal matrimonio o adottati;
   la sentenza ha una portata storica perché segna il superamento dell'attribuzione automatica del cognome paterno, già definita dalla stessa Corte costituzionale come «retaggio di una concezione patriarcale della famiglia» (sentenza n. 61 del 2006);
   come evidenziato nella stessa sentenza «in assenza dell'accordo dei genitori, residua la generale previsione dell'attribuzione del cognome paterno, in attesa di un indifferibile intervento legislativo, destinato a disciplinare organicamente la materia, secondo criteri finalmente consoni al principio di parità»;
   nonostante le numerose proposte di legge d'iniziativa parlamentare avanzate sin dagli anni ’80, la condanna nel 2014 della Corte di Strasburgo e la conseguente presentazione di un disegno di legge governativo, il Parlamento non ha approvato alcuna norma al riguardo: l'atto Senato 1628, già approvato dalla Camera dei deputati, è da oltre due anni all'esame del Senato della Repubblica unitamente ad altri disegni di legge;
   a due mesi dalla data di pubblicazione della sentenza, le problematiche connesse alla fase di sua prima e concreta applicazione risultano in gran parte non risolte;
   oltre alle necessarie misure amministrative ed organizzative, si impone un urgente adeguamento del quadro normativo, affinché sia dato doveroso seguito alle perentorie e chiarissime conclusioni della Corte costituzionale sopra riportate –:
   se il Governo intenda adottare opportune iniziative, per quanto di competenza, allo scopo di eliminare la persistente discriminazione dell'attuale disciplina di cui in premessa e dare piena attuazione, in linea con quanto emerge dalla sentenza della Corte costituzionale, ai principi di cui agli articoli 2, 3 e 29 della Costituzione, in modo da garantire il «diritto del minore all'identità personale unitamente al riconoscimento del paritario rilievo di entrambe le figure genitoriali nel processo di costruzione di tale identità», come rilevato nella sentenza n. 286 del 2016 della Corte costituzionale. (3-03072)
(13 giugno 2017)

  BINETTI, BUTTIGLIONE, CERA e DE MITA. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   ancora una volta nel pomeriggio del 24 maggio 2017 un'adolescente è stata prelevata con la forza dalla sua casa, in cui vive da tempo insieme alla madre e al nonno, per essere portata presso la casa famiglia Rosa Luxemburg a Capranica;
   al momento del prelievo la ragazza G. J. di 13 anni era sola perché la madre e il nonno si erano recati dai loro avvocati per chiedere una sospensiva del provvedimento, che prevedeva la possibilità di un eventuale spostamento in casa famiglia, annunciato da tempo ma senza alcuna data precisa;
   sarebbero stati mobilitati, a quanto risulta agli interroganti, un'autoambulanza, una macchina dei vigili del fuoco con una lunga scala per raggiungere da fuori l'appartamento, almeno altre 4 automobili e una quindicina di persone, per lo più uomini;
   la ragazza non avrebbe aperto la porta, avendo ricevuto questa indicazione dalla madre, ma qualcuno, servendosi della scala dei vigili, sarebbe entrato dalla finestra, con ciò spaventando enormemente la ragazza;
   gli interroganti non intendono avanzare nessun giudizio sulle ragioni per cui un'adolescente, dopo aver trascorso diversi mesi in una casa famiglia, da cui è uscita ad agosto 2016, debba essere sottratta alla sua famiglia per essere condotta nuovamente in una casa famiglia;
   si vuole però sottolineare come la ragazza, coinvolta in una serie di eventi familiari di cui è vittima, sia stata nuovamente «violentata» dai fatti recentemente accaduti;
   si è trattato di un prelievo forzato, che ha messo in moto un dispiegamento di forze di dimensioni sproporzionate a quelle necessarie per prelevare una bambina di 13 anni;
   la normalità di una vita, faticosamente riconquistata, è ciò che più sta a cuore a G. J. I suoi amici, la sua musica, i suoi hobby di tredicenne. Invano, la ragazza ha scritto al giudice, ai vari servizi, per chiedere di essere ascoltata e manifestare i suoi legittimi desideri;
   nei mesi appena trascorsi, a quanto consta agli interroganti, nessuno l'ha ascoltata e ciò è tanto più grave, in quanto più volte, parlando del rapporto tra giustizia e minori, si è sottolineato non solo l'obbligo di ascolto del minore, ma anche la necessità di intervenire sempre e solo nel supremo interesse del minore stesso –:
   se il Governo intenda assumere iniziative normative per evitare che si verifichino questi ripetuti fatti incresciosi che sottraggono un minore violentemente alla sua famiglia, al suo ambiente e al suo naturale processo di sviluppo. (3-03073)
(13 giugno 2017)

  D'INCÀ, VILLAROSA, CASTELLI, SORIAL, SIBILIA, CASO, COZZOLINO, SPESSOTTO, BUSINAROLO e BRUGNEROTTO. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende dal Corriere del Veneto, dal Gazzettino, dall’Espresso, dalla Tribuna di Treviso e dal Mattino di Padova, i tremila esposti e denunce presentati da circa centomila azionisti di Veneto Banca nei confronti dei relativi esponenti aziendali in primis sono trasferiti dalla procura di Treviso alla procura di Roma al fine di riunirli ai filoni d'inchiesta aperti per le ipotesi di reato di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza bancaria, e successivamente sono stati riassegnati alla procura di Treviso;
   in tali esposti e denunce si ipotizzano i reati di truffa ed estorsione relativamente alle modalità di collocamento e sottoscrizione delle azioni della medesima Veneto Banca e relativamente alla verifica della compatibilità del grado di rischio dello strumento finanziario in oggetto con il profilo di rischio personale dei «soci-risparmiatori»;
   il trasferimento degli atti processuali dalla procura di Treviso alla procura di Roma nel 2015 e la successiva riassegnazione alla procura di Treviso ha implicato un infruttuoso decorso di tempo. Altresì – da quanto si apprende dalle suddette fonti stampa – sembrerebbe che la procura di Treviso sia impreparata ad esaminare compiutamente e celermente gli atti depositati dai centomila azionisti di Veneto Banca. Tanto più che, in questa prospettiva, lo stesso procuratore di Treviso il 4 febbraio 2017 ha denunciato al Corriere del Veneto la grave carenza, nel proprio ufficio, di magistrati, assistenti amministrativi e di polizia giudiziaria, con, in particolare, una scopertura del 41 per cento di sostituti procuratori, che vedeva sette magistrati, in luogo dei dodici previsti dalla pianta organica, occuparsi di oltre mille fascicoli cadauno;
   circostanze che, evidentemente, potrebbero incidere negativamente sul termine di prescrizione relativo alle citate ipotesi di reato, pari a 6 anni per il reato di truffa e 10 anni per il reato di estorsione, laddove l'eventuale sopraggiungere della prescrizione potrebbe definitivamente pregiudicare la giusta tutela dei soci di Veneto Banca, con conseguenti ricadute negative sul tessuto sociale ed economico del territorio –:
   in ragione della straordinaria complessità e delicatezza dell'inchiesta in premessa, se non ritenga opportuno, quantomeno, adoperarsi per quanto di competenza al fine di completare la pianta organica della procura di Treviso, sia nei ruoli di magistratura che amministrativi, al fine di consentire a tale procura di esaminare celermente e compiutamente la documentazione processuale relativa ai tremila esposti e denunce sottoscritti da circa centomila azionisti di Veneto Banca, evitando ogni possibile ritardo dal quale possa conseguire il sopraggiungere della prescrizione normativamente prevista per le ipotesi di reato oggetto delle indagini.
(3-03074)
(13 giugno 2017)

  ZANETTI. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro interrogato, a seguito del parere favorevole della Conferenza unificata Stato-regioni (espresso nella seduta dell'8 giugno 2017) ha nominato Ernesto Maria Ruffini direttore dell'Agenzia delle entrate, in sostituzione della direttrice uscente Rossella Orlandi;
   da fonti di stampa si apprende che nei giorni scorsi il comitato di gestione dell'Agenzia delle entrate, un organismo di vertice presieduto dalla direttrice uscente, la dottoressa Rossella Orlandi, il cui mandato è scaduto lunedì 12 giugno 2017, e formato da 6 persone (due alti funzionari dell'Agenzia in pensione, esperti esterni, la responsabile dell'ufficio legislativo del Ministero dell'economia e delle finanze), si è riunito e ha dato alla stessa Orlandi l'incarico di vicedirettore dell'Agenzia, con la competenza del coordinamento dell'ufficio territoriale;
   nonostante sul sito ufficiale dell'Agenzia delle entrate (www.agenziaentrate.gov.it) non sia stata reperibile dall'interrogante la determina con cui è avvenuta la nomina, fonti autorevoli di stampa hanno confermato la notizia, senza che a ciò sia seguita smentita alcuna;
   pare inoltre che nella medesima seduta del comitato di gestione presieduto dalla direttrice uscente Orlandi sia stata deliberata anche l'assegnazione di altri incarichi dirigenziali di vertice, con riferimento ai quali sarebbe stato auspicabile maggiore trasparenza –:
   dando per scontato che la nomina della dottoressa Orlandi come vicedirettore dell'Agenzia delle entrate, così come le altre nomine di cui in premessa e di cui si chiede conferma, sia stata previamente condivisa e autorizzata sul piano politico dal Ministro interrogato, perché tale determinazione non sia stata rimessa alla valutazione del nuovo direttore e del nuovo comitato di gestione, evitando così un increscioso caso di vera e propria «autonomina», a pochi giorni dalla cessazione dall'incarico di direttore, che contribuisce ulteriormente a gettare ombre sull'immagine di un'Agenzia delle entrate con percorsi di carriera dirigenziali che sono al centro di polemiche ormai da anni per la nota sentenza della Corte costituzionale e la perdurante assenza più totale di concorsi pubblici. (3-03075)
(13 giugno 2017)

  BRUNETTA. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   la scarsa trasparenza sui titoli derivati stipulati dal Ministero dell'economia e delle finanze è un tema che è stato più volte portato all'attenzione del Ministro interrogato;
   in risposta agli atti di sindacato ispettivo formulati (ben sei, dal marzo 2015, tra interpellanze e interrogazioni a risposta immediata), il Ministro interrogato non ha mai rilevato anomalie, affermando la piena correttezza e legalità delle operazioni sui derivati, peraltro opponendosi alle numerose richieste di accesso agli atti;
   ma qualcosa evidentemente non torna, perché è dei giorni scorsi la notizia di un «invito a fornire deduzioni» (una sorta di atto di citazione con richiesta di chiarimenti) recapitato dalla procura del Lazio della Corte dei conti ai più alti dirigenti (attuali ed ex) del Ministero dell'economia e delle finanze, cui è stato contestato il 30 per cento di un danno erariale di circa 4,1 miliardi di euro, cagionato allo Stato italiano per effetto di quello che potrebbe definirsi un «indebito pagamento» alla banca Morgan Stanley (cui è stato contestato il restante 70 per cento del danno) della somma stratosferica di circa 3,1 miliardi di euro, effettuato per chiudere contratti derivati riconosciuti sostanzialmente dalla Corte dei conti come speculativi;
   un esborso intervenuto tra fine 2011 ed inizio 2012, durante la nota crisi dello spread, a cavallo dei ripetuti declassamenti dell'Italia decretati dalle agenzie di rating e a ridosso del doppio downgrade deciso da Standard & Poor's – il cui azionista di controllo, la società Mc Graw Hill, è partecipata proprio da Morgan Stanley – alla stregua di dati e valutazioni che il tribunale di Trani ha ritenuto in sentenza quantomeno errate (dunque «colposamente» manipolative);
   la «colpa» della banca d'affari è di essersi approfittata del suo ruolo di specialista: dopo cinque anni, Morgan Stanley continua a far parte dell'elenco degli specialisti che, insieme con il Ministero dell'economia e delle finanze, gestiscono il debito pubblico e il direttore del dipartimento è ancora Maria Cannata, uno dei dirigenti coinvolti, assieme al suo predecessore Vincenzo La Via e agli ex direttori del Ministero dell'economia e delle finanze, Domenico Siniscalco (poi approdato proprio in Morgan Stanley) e Vittorio Grilli –:
   quali siano le iniziative che il Ministro interrogato intende intraprendere nei confronti di Morgan Stanley e dei dirigenti coinvolti, se intenda chiarire le situazioni «a rischio» per le casse dello Stato simili a quella da ultimo rilevata dalla Corte dei conti e quali azioni intenda portare avanti per assicurare massima trasparenza nella gestione del debito, anche attraverso la pubblicazione in versione integrale di tutti i contratti derivati in essere dello Stato italiano. (3-03076)
(13 giugno 2017)

  PAGLIA, MARCON, FASSINA e ANDREA MAESTRI. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   il ciclone giornalistico e giudiziario che si è abbattuto negli ultimi anni sui contratti derivati sottoscritti dal Governo italiano a partire dal 2000, che, peraltro, ne ha disvelato tutta la loro vischiosità nel tutelare il debito pubblico in situazioni di grande instabilità finanziaria, negli ultimi giorni si è arricchito di un nuovo tassello: l'atto di citazione con il quale la Corte dei conti contesta al dipartimento del tesoro italiano un danno erariale pari a 4,1 miliardi di euro;
   secondo la magistratura contabile il 70 per cento del suddetto danno (pari a 2,9 miliardi di euro) è addebitabile all'istituto Morgan Stanley, in qualità di incaricato a gestire il debito nel tempo, mentre del rimanente 30 per cento (pari a 1,2 miliardi di euro) dovrebbero risponderne tutti i direttori che negli ultimi anni si sono avvicendati alla guida del dipartimento del tesoro ed alla gestione dei titoli di Stato;
   oltre al danno economico la Corte dei conti contesta alla banca statunitense l'aver approfittato della sua posizione di «specialista» e l'aver violato gli obblighi di buona fede e di correttezza nell'esecuzione contrattuale che gli derivano, per legge, dal privilegio di essere un incaricato delle aste sul mercato primario dei titoli del debito pubblico, mentre ai dirigenti del Ministero dell'economia e delle finanze contesta l'aver assunto nella vicenda, nonostante fosse loro riconosciuta da talune clausole la facoltà di annullare o rinegoziare i suddetti contratti, una condotta speculativa e negligente. Inoltre al dipartimento del tesoro viene contestata una «carenza di risorse strumentali e di personale adeguato», che non l'avrebbero messo in grado di ponderare il rischio dei contratti che, di volta in volta, andava sottoscrivendo;
   nonostante quanto premesso e gli esiti dell'ultima rivisitazione dell'elenco delle banche specialiste effettuata nel 2016 dal Ministero dell'economia e delle finanze a spese del Crédit Suisse e Commerzbank, l'istituto americano Morgan Stanley risulta, a tutt'oggi, essere ancora uno dei dealer incaricati per le aste del debito pubblico italiano;
   anche l'attuale direttore generale responsabile del debito pubblico, nonostante il danno erariale, peraltro preponderante, e le gravi responsabilità che le sono state contestate dalla Corte dei conti nell'ambito dell'intera vicenda, continua a parere degli interroganti in maniera imperturbabile ad occupare il suo incarico presso il dipartimento del tesoro –:
   se non ritenga di dover adottare provvedimenti urgenti, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di rimuovere dagli attuali ruoli tutti gli attori che si sono resi responsabili di quanto esposto in premessa. (3-03077)
(13 giugno 2017)

  BUSIN, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PAGANO, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca hanno da poco richiesto la garanzia pubblica su bond di nuova emissione pari, per ciascuno dei due istituti, rispettivamente a 2,2 miliardi e 1,4 miliardi di euro e in merito alla quale la Corte dei conti ha dato parere positivo;
   il Ministro interrogato, a riguardo, avrebbe escluso per entrambe la possibilità del ricorso al bail-in ed ha rassicurato sulla disponibilità di liquidità delle due banche, in quanto coperte da garanzia pubblica;
   organi di stampa ipotizzano che il Ministero dell'economia e delle finanze e la Commissione europea stiano studiando un piano simile a quello attuato per Monte dei Paschi di Siena al fine di tutelare depositanti e obbligazionisti senior, scaricando il costo della ripatrimonializzazione forzata su azionisti e obbligazionisti istituzionali;
   in realtà, la situazione patrimoniale delle banche in oggetto non sembra affatto rassicurante: già un mese fa, Alessandro De Nicola, rappresentante di Atlante, l'azionista di maggioranza che detiene il controllo delle due banche con più del 99 per cento, ha confermato che molto probabilmente il fondo, a breve, non sarà più azionista di riferimento dei due istituti e che si rendono necessarie nuove e ingenti ricapitalizzazioni non più alla portata di investitori privati;
   a chiusura dei bilanci d'esercizio 2016, infatti, Banca popolare di Vicenza ha registrato una perdita di 1,9 miliardi di euro (a fronte di 1,4 nel 2015) e Veneto Banca di 1,5 miliardi di euro (erano 881,9 milioni di euro nel 2015);
   nonostante i 3,5 miliardi di euro già stanziati dal fondo Atlante dal 2015, si stima in 6,4 miliardi di euro l'ammontare della ricapitalizzazione necessaria per scongiurare il default dei due istituti veneti;
   si considerino i danni incalcolabili che la prospettiva di default dei due istituti di credito provocherebbe in una delle aree più industrializzate del Paese, oltre alle gravissime perdite già subite dalle decine di migliaia di risparmiatori truffati, risultando chiaramente improponibile il ricorso preventivo all'intervento privato per 1 miliardo di euro, come chiesto dalla Commissione europea, e il poco tempo disponibile per scongiurare l'esito peggiore –:
   se il Ministro interrogato intenda adottare iniziative, e con quali tempi, volte direttamente alla ricapitalizzazione delle due popolari venete per la somma richiesta al fine di scongiurare l'applicazione del bail-in. (3-03078)
(13 giugno 2017)

  MORETTO, GINATO, PELILLO, BARBANTI, BONIFAZI, CAPOZZOLO, CARELLA, COLANINNO, CURRÒ, DE MARIA, MARCO DI MAIO, FRAGOMELI, FREGOLENT, GITTI, GUTGELD, LODOLINI, PETRINI, PINNA, RIBAUDO, SANGA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA, BINI, CAMANI, CASELLATO, CRIMÌ, CRIVELLARI, DAL MORO, D'ARIENZO, DE MENECH, MIOTTO, NACCARATO, NARDUOLO, ROSTELLATO, ROTTA, RUBINATO, SBROLLINI, ZAN e ZARDINI. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   il 25 maggio 2017 si è svolto un incontro tra il Ministro interrogato e i vertici di Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca per un'analisi congiunta della situazione delle due banche, anche alla luce della riunione con le autorità europee tenutasi a Bruxelles il giorno precedente;
   il dialogo fra il Governo e le autorità europee prosegue con il dichiarato obiettivo di concordare in tempi celeri la soluzione che garantisca, nel rispetto delle regole, la stabilità delle due banche e salvaguardi integralmente i risparmiatori;
   il Ministro interrogato, oltre a sostenere che sotto il profilo della liquidità Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca dispongono di tutte le garanzie pubbliche necessarie, ha dichiarato di escludere il ricorso al bail-in, regime di condivisione delle perdite entrato in vigore il 1o gennaio 2016 e non ancora sperimentato a livello europeo, che determinerebbe un pesante deterioramento del grado di fiducia degli investitori, con potenziali effetti fortemente negativi per la stabilità del sistema bancario, nazionale e continentale;
   al contrario, lo schema di ricapitalizzazione precauzionale programmato per i due istituti veneti costituisce la soluzione auspicata da tutti i soggetti interessati, anche alla luce della richiesta da parte della divisione antitrust dell'Unione europea di 1,25 miliardi di euro addizionali di capitali privati quale condizione per utilizzare le risorse di cui al decreto-legge 23 dicembre 2016, n. 237, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 15 del 2017;
   da fonti stampa si apprende che i vertici delle due banche nazionali più grandi, Intesa Sanpaolo e Unicredit, sarebbero disposte a collaborare al fine di reperire l'ammontare di capitale aggiuntivo, chiedendo il contributo di diversi istituti in base alle proprie dimensioni; tale soluzione «di sistema» consentirebbe di procedere alla ricapitalizzazione precauzionale delle due banche venete –:
   quale sia lo stato attuale delle trattative con le autorità europee nella definizione dello schema di ricapitalizzazione precauzionale di Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca e dei conseguenti strumenti di intervento, anche in relazione all'eventuale soluzione di sistema che prevede il coinvolgimento delle banche nazionali maggiori, al fine di scongiurare qualunque ipotesi di messa in risoluzione tramite ricorso alla procedura del bail-in. (3-03079)
(13 giugno 2017)

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