TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 853 di Martedì 19 settembre 2017

 
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INTERPELLANZE E INTERROGAZIONI

A) Interrogazione

    TACCONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   lo Stato italiano è proprietario di un immobile nella città di Salonicco, in Grecia, denominato «Villa Olga»;
   negli anni l'immobile è stato sede del consolato italiano in quella città, ma da tempo è ormai inutilizzato per attività istituzionali;
   il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, proprio in considerazione del perdurante inutilizzo, anche al fine di ottemperare agli obblighi finanziari imposti dalle recenti leggi di bilancio, ha incluso l'immobile nel piano di dismissioni e ne ha quindi decretato l'alienazione o la permuta;
   a quanto consta all'interrogante vi sarebbero espressioni di interesse all'acquisto da parte di imprenditori ed istituzioni locali che avrebbero presentato offerte in linea con i prezzi di mercato e con lo stato di manutenzione dell'edificio, che, comprensibilmente, dopo anni di abbandono e di incuria, necessita di importanti lavori di ristrutturazione e ripristino, che apparentemente l'amministrazione non avrebbe intenzione di effettuare avendone decretato la dismissione;
   il perdurare di tale stato di incuria, tuttavia, rischia di compromettere ulteriormente lo stato e il decoro dell'edificio con conseguente possibile diminuzione del suo valore commerciale;
   parallelamente si ha notizia che la scuola italiana di Atene, a cui guardano con crescente interesse anche ambienti privati ed istituzionali greci, occupa un edificio in locazione annuale, proprietà della Santa Sede, anch'esso bisognoso di importanti interventi di manutenzione straordinaria, e che, inoltre, i locali della cancelleria consolare, oltre che carenti dal punto di vista della sicurezza, sono del tutto inadeguati ad una decorosa situazione lavorativa del personale e all'offerta dei servizi richiesti dall'utenza –:
   se, tenuto conto del mercato immobiliare greco, non si ritenga di dover valutare quanto prima le manifestazioni d'interesse all'acquisto fin qui pervenute per finalizzare la vendita nel più breve tempo possibile;
   se non si ritenga di assumere iniziative volte a utilizzare i proventi della vendita per riadattare i locali della cancelleria consolare e per garantire, eventualmente in un edificio di nuova acquisizione in permuta, la piena agibilità dei locali della scuola italiana di Atene e la sicurezza degli alunni e degli insegnanti.
(3-03239)
(18 settembre 2017)
(ex 5-11561 del 14 giugno 2017)

B) Interrogazioni

   CRIVELLARI, NARDUOLO, VERINI, MISIANI, MORETTO, NACCARATO, DE MENECH, D'ARIENZO, CAMANI, GINATO, ZARDINI, RUBINATO, ROTTA, MIOTTO, ZAN, ROSTELLATO, SBROLLINI e CRIMÌ. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   lo stabilimento balneare «Punta Canna» in località Sottomarina del comune di Chioggia (Venezia) è pieno di cartelli con immagini di Benito Mussolini, saluti romani e frasi inneggianti l'epopea fascista;
   la proprietà dello stabilimento non fa mistero di ispirarsi alle idee e alle politiche portate avanti durante il ventennio fascista;
   all'interno dello stabilimento si «consuma» l'elogio delle attività del regime fascista e di Benito Mussolini, dove il regime diviene espressione di una «politica sociale» da applicare all'interno dell'esercizio;
   l'attività dello stabilimento si svolge su terreno demaniale affidato tramite concessione;
   il comportamento e le parole della proprietà dello stabilimento «Punta Canna» sembrano agli interroganti esaltare pubblicamente «principi, fatti o metodi del fascismo»;
   l'articolo 4 della legge n. 645 del 1952 disciplina l'apologia del fascismo e lo stesso articolo prevede, tra le pene per il reato di «apologia del fascismo» la reclusione, sanzioni pecuniarie e l'interdizione dai pubblici uffici per un periodo di cinque anni, la non eleggibilità e la decadenza per le cariche pubbliche elettive –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti illustrati in premessa e quali iniziative intenda assumere per monitorare, per quanto di competenza, la diffusione di movimenti e luoghi di aggregazione che si ispirano in modo palese e inaccettabile all'ideologia fascista e se intenda assumere iniziative normative per rendere pienamente applicabile quanto stabilito dalla legge in merito al reato di apologia di fascismo. (3-03152)
(10 luglio 2017)

   CIMBRO, ZOGGIA, RICCIATTI, LAFORGIA, SPERANZA, SCOTTO, ROBERTA AGOSTINI, ALBINI, BERSANI, FRANCO BORDO, BOSSA, CAPODICASA, D'ATTORRE, DURANTI, EPIFANI, FAVA, FERRARA, FOLINO, FONTANELLI, FORMISANO, FOSSATI, CARLO GALLI, KRONBICHLER, LEVA, MARTELLI, MELILLA, MURER, NICCHI, GIORGIO PICCOLO, PIRAS, QUARANTA, RAGOSTA, SANNICANDRO, STUMPO, ZACCAGNINI, ZAPPULLA e ZARATTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il prefetto di Venezia Carlo Boffi ha firmato un'ordinanza «per l'immediata rimozione di ogni riferimento al fascismo contenuto in cartelli, manifesti e scritte» presenti all'interno dello stabilimento balneare Punta Canna a Chioggia. L'atto è stato notificato al gestore dello stabilimento balneare, Gianni Scarpa. Nell'ordinanza è ordinato a Scarpa «di astenersi dall'ulteriore diffusione di messaggi contro la democrazia». L'ordinanza è arrivata dopo la «visita» della Digos e dei vigili urbani, in seguito alle polemiche per la spiaggia nostalgica del ventennio mussoliniano;
   non vi è alcun dubbio che nelle intenzioni del gestore dello stabilimento balneare che inneggia al fascismo di Chioggia e che intrattiene i bagnanti in discorsi stile duce, in un ambiente pieno di cartelli con immagini di Mussolini e saluti romani, non ci sia solo «il desiderio di suscitare un sorriso». Anche a giudicare dalle dichiarazioni rilasciate dal gestore a la Repubblica: «la democrazia mi fa schifo, qui valgono, le mie regole, i tossici li sterminerei (...)»;
   non sono mancate l'indignazione e la rabbia di cittadini e amministratori, che hanno esortato a revocare la concessione balneare dello stabilimento, definito dal suo titolare «zona antidemocratica e a regime», con tanto di esortazione ad avere un atteggiamento quanto meno remissivo (Non rompete i c...). Lo stabilimento ha ricevuto la visita della digos di Venezia, «per accertamenti», e domani anche la polizia locale effettuerà le verifiche del caso: «Se ci saranno infrazioni alla normativa per quanto ci riguarda, profili penalmente rilevanti o irregolarità nella struttura – ha chiarito il vicesindaco Marco Veronese – il comune interverrà immediatamente. La notizia di reato è già all'attenzione dell'autorità giudiziaria e quindi l’iter farà il suo corso»;
   quell'ostentazione di memorabilia del ventennio – tra gadget fascisti, poster del duce, il tutto condito dai giudizi sprezzanti del titolare dello stabilimento – ha dunque acceso le ire di tanti. Su tutti l'Anpi di Chioggia, che ha «stigmatizzato il comportamento provocatorio e pericoloso del gestore» e chiesto «l'immediata revoca della concessione balneare e l'applicazione delle sanzioni previste dalle leggi». «Chioggia antifascista non c'entra niente con questo ciarpame: il tizio è miranese, i clienti sono turisti che vengono da altre parti del Veneto», afferma l'Anpi. «Al personaggio ricordiamo che Punta Canna non è “casa sua”, come ama asserire: in quanto concessione demaniale sul suolo italiano, egli è tenuto a rispettare le leggi dello Stato, congruenti con la Costituzione nata dalla Resistenza antifascista» –:
   se non ritenga necessario intervenire, attraverso la prefettura e la questura di Venezia, al fine di verificare tutte le iniziative possibili per evitare il protrarsi di una situazione che vede propagandare i principi e i simboli del fascismo e che genera grave danno alla memoria e ai valori della Costituzione;
   se non ritenga urgente e doveroso assumere iniziative, per quanto di competenza, per avviare un approfondimento sulla questione;
   quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di impedire che situazioni analoghe possano verificarsi in futuro. (3-03241)
(18 settembre 2017)
(ex 4-17257 dell'11 luglio 2017)

C) Interrogazioni

   SCHIRÒ. — Al Ministro dell'interno e al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende dalle agenzie di stampa e da quanto segnalato da diverse associazioni catanesi, tra cui la rete antirazzista, la comunità di Sant'Egidio e l'Arci, la nave «C Star», lunga 40 metri e battente bandiera dello Stato di Gibuti, noleggiata dal gruppo di estrema destra Generazione identitaria, dovrebbe fare scalo nei prossimi giorni nel porto di Catania;
   lo scopo di tale iniziativa, a parere dell'interrogante dal chiaro sapore provocatorio, è quello di intralciare le operazioni di salvataggio in mare dei migranti da parte delle unità gestite dalle organizzazioni non governative;
   secondo quanto dichiarato da un esponente del suddetto gruppo e raccolte dal quotidiano la Repubblica, il progetto, denominato «Defend Europe», intende bloccare «le barche dei clandestini impedendogli di toccare le coste italiane fin quando la guardia costiera libica non verrà a prenderseli per riportarli indietro», nonché il controllo dell'operato delle imbarcazioni di salvataggio delle organizzazioni non governative;
   l'esercizio di tali attività da parte di un'unità privata appare al di fuori di ogni legittimità e probabile motivo di ulteriore tensione in acque già teatro di gravissime sciagure;
   lo scalo nel porto etneo sarebbe funzionale all'imbarco delle provviste necessarie alla missione e di volontari arruolati nell'operazione paramilitare, provenienti da diversi Paesi europei;
   la presenza di una nave non coordinata con la Guardia costiera e dal dichiarato intento di ostacolare le operazioni di salvataggio potrebbe rappresentare un grave pericolo per i naufraghi e per il personale operante in mare –:
   quali urgenti iniziative intendano adottare al fine scongiurare che il dramma dell'immigrazione via mare in Mediterraneo possa trasformarsi in un'occasione per quelli che appaiono gesti provocatori di speculazione politica da parte di gruppi xenofobi;
   quali iniziative di prevenzione ritengano di dover adottare al fine di impedire situazioni di ulteriore pericolo per i naufraghi e per i soccorritori, in conseguenza dell'azione di disturbo messe in atto da imbarcazioni che, senza alcuna titolarità, intendono contrastare le azioni di soccorso. (3-03159)
(18 luglio 2017)

   BURTONE e SCHIRÒ. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa e al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è atteso l'approdo presso il porto di Catania della nave «C-Star», un'imbarcazione di 40 metri noleggiata dal movimento estremista di destra Generazione identitaria;
   la C-Star è salpata da Gibuti e l'armatore è la Maritime global service ltd, società inglese con sede a Cardiff. Rappresentante risulterebbe essere lo svedese Sven Tomas Egerstrom, che risulta legato a una serie di società attive nel settore della sicurezza e specializzate nella difesa privata con impiego di ex militari russi e ucraini;
   da giorni attraverso i social si pubblicizza tale iniziativa denominata «Defend Europe» con il dichiarato intento di bloccare gli arrivi di imbarcazioni con migranti salvati nel Mediterraneo;
   suddetta organizzazione già nel mese di maggio 2017 aveva posto in essere sempre nelle acque del porto di Catania un'azione dimostrativa ritardando l'approdo dell'imbarcazione di un'organizzazione non governativa;
   una serie di associazioni, dalla Rete antirazzista catanese al Comitato NoMuos/NoSigonella alla Comunità di Sant'Egidio, all'Arci Catania hanno chiesto alle autorità competenti, a partire dal prefetto, di evitare l'attracco di questa nave, sollevando questioni di sicurezza e di tutela dell'ordine pubblico;
   la città di Catania non ha assolutamente bisogno di ulteriori elementi di tensione –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per evitare l'attracco presso il porto di Catania della C-Star e quali misure di sicurezza si intendano porre in essere per scongiurare qualsiasi problema di ordine pubblico all'interno del porto e della città di Catania, considerata la matrice estremista del movimento in questione. (3-03178)
(21 luglio 2017)

   ALBANELLA, BERRETTA e SCHIRÒ. — Al Ministro dell'interno e al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende dagli organi di stampa, da giorni è previsto l'arrivo al porto di Catania della nave «C-Star», lunga 40 metri, costruita nel 1975, battente bandiera dello Stato africano di Gibuti;
   tale imbarcazione a quanto risulta sarebbe stata noleggiata dal gruppo dichiaratamente razzista e xenofobo Generazione identitaria al fine di respingere, attraverso azioni paramilitari, i migranti che tentano di attraversare il Mar Mediterraneo, intralciando così i preziosi salvataggi delle organizzazioni non governative delle navi umanitarie, sempre più criminalizzate;
   la sosta nel porto di Catania o di altri porti siciliani sarebbe stata funzionale all'imbarco delle provviste necessarie alla «missione» e all'imbarco di «volontari» arruolati nell'operazione paramilitare;
   apparirebbe, dunque, molto grave, come sottolineato in un appello alle autorità competenti firmato da numerose associazioni, se si concedesse l'attracco e l'utilizzo delle infrastrutture pubbliche a organizzazioni che hanno l'intento di compiere azioni paramilitari nel Mar Mediterraneo, intercettando imbarcazioni di migranti e arrogandosi il diritto di intervenire consegnando i naufraghi alla Guardia costiera libica e violando di fatto l'obbligo di legge che vuole l'accompagnamento verso il porto più sicuro, che non è certo quello libico;
   la città di Catania rappresenta, da anni, un fulcro vivo di contaminazione culturale. È una città in cui le comunità di migranti sono riconosciute, organizzate e danno il proprio contributo per la costruzione di un futuro di pace per questa città. Le finalità di organizzazioni del genere non possono essere avallate, men che meno in un periodo storico in cui la paura del futuro lascia spazio a speculazioni retoriche di movimenti ed organizzazioni reazionarie e nostalgiche che tentano di convincere i cittadini che un futuro dignitoso potrà essere costruito solo se tutti si impegneranno a far soccombere i più deboli –:
   se i Ministri interrogati, nell'ambito delle proprie competenze, non ritengano di dovere mettere in campo tutte le iniziative utili ad impedire l'utilizzo, adesso e nel futuro, delle infrastrutture portuali alla nave C-Star, attualmente nella disponibilità dell'organizzazione Generazione identitaria, anche al fine di evitare che la presenza di una nave non coordinata con la Guardia costiera possa ostacolare le operazioni di salvataggio con grave pericolo per i naufraghi e per il personale preposto. (3-03179)
(21 luglio 2017)

D) Interrogazione

   CARELLA, LUCIANO AGOSTINI, CARRA, ROMANINI, COVA, PRINA, TERROSI, FERRARI, FERRO, GADDA, FIANO, FIORIO, MONGIELLO, PILOZZI, PIAZZONI, MINNUCCI e TIDEI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali e al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   gli agricoltori, gli allevatori di bufale ed i componenti della filiera agricola di base dell'allevamento bufalino dell'area di produzione della mozzarella di bufala campana dop (Lazio, Campania, Puglia e Molise) continuano a denunciare alle istituzioni ed alle autorità competenti in merito come il latte di bufala prodotto in Italia e destinato alla trasformazione di mozzarella di bufala campana dop sia nettamente inferiore ai quantitativi di mozzarella di bufala, sia dop e sia non dop, commercializzata dai caseifici; spesso a prezzi irrisori rispetto al costo di produzione, determinando un'alterazione del mercato;
   occorre ricordare che per poter utilizzare la denominazione d'origine protetta, la mozzarella di bufala campana deve essere prodotta solo con latte fresco proveniente dalle seguenti regioni: dal Lazio, province di Roma, Frosinone, Latina; dalla Campania, province di Caserta, Benevento, Napoli e Salerno; dalla Puglia, provincia di Foggia; dal Molise, provincia di Isernia;
   in ogni caso, per contrastare realmente le sofisticazioni e le problematiche connesse e consequenziali, sono necessarie da parte delle aziende sanitarie locali e dei nuclei antisofisticazione azioni permanenti di controllo della filiera della mozzarella di bufala dop e del sistema di produzione e di commercializzazione dei latticini di latte di bufala non dop;
   il 4 maggio 2017 l'assemblea del Consorzio per la tutela del formaggio mozzarella di bufala campana dop ha deliberato una nuova proposta di modifica al disciplinare della predetta mozzarella con designazione di dop, allo scopo, tra l'altro, di prevedere la possibilità di introdurre, nel metodo di elaborazione della stessa, il condizionamento e la commercializzazione a temperature negative di -18 gradi centigradi (congelamento del prodotto), anche senza liquido di governo con obbligo di effettuare tale processo senza soluzioni di continuità nel corso della sua produzione e nello stesso stabilimento autorizzato;
   tale modifica del disciplinare è stata trasmessa al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali per l'approvazione e la ratifica delle modifiche del disciplinare; si rileva che il marchio della mozzarella di bufala dop è un bene immateriale di proprietà dello Stato italiano e per esso del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, essendo il frutto del lavoro e dell'esperienza degli agricoltori e trasformatori italiani;
   l'iniziativa sopra richiamata costituisce per gli interroganti quindi un non nuovo tentativo di «industrializzare» questo antichissimo prodotto rurale del Mezzogiorno d'Italia, correndo il rischio di banalizzarlo con grave danno soprattutto per gli allevatori di bufale che producono il latte in seno all'areale della suddetta dop –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto descritto e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere al fine di tutelare realmente i consumatori, gli allevatori ed i trasformatori di filiera contro quella che ad avviso degli interroganti costituisce un'alterazione del mercato agroalimentare della mozzarella di bufala dop e non-dop italiana tuttora in atto;
   se il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali intenda dichiarare ufficialmente la contrarietà alle proposte di modifica del disciplinare di produzione della mozzarella di bufala dop così come richiesto dal Consorzio per la tutela del formaggio mozzarella di bufala campana dop;
   se il Governo intenda assumere ulteriori iniziative per tutelare il marchio della mozzarella di bufala, anche tenendo conto degli impegni formulati nelle risoluzioni approvate dalla Camera dei deputati il 22 giugno 2016 a seguito dell'esame della relazione sulla contraffazione nel settore della mozzarella di bufala campana della Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo della Camera dei deputati, che hanno impegnato il Governo pro tempore ad intraprendere ogni iniziativa utile per rafforzare i controlli sugli operatori della filiera produttiva della mozzarella di bufala in Italia. (3-03142)
(5 luglio 2017)

E) Interpellanza e interrogazione

   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
   il 18 novembre 2016 il Governo pro tempore annunciò l'intenzione di inviare a Bruxelles uno schema di decreto che prevedeva l'introduzione dell'obbligo di indicare in etichetta l'origine della materia prima anche per la filiera grano-pasta, al fine di dare maggiore trasparenza alle informazioni per il consumatore, di tutelare i produttori e di rafforzare i rapporti di una filiera strategica per il made in Italy agroalimentare;
   il 20 dicembre 2016 il Ministro Martina ha reso noto che lo schema di decreto è stato trasmesso alle autorità di Bruxelles per una prima verifica e che è stato così avviato l’iter autorizzativo per configurare un modello di etichettatura in grado di indicare con chiarezza se la pasta secca sia prodotta in Italia o in un altro Paese e l'area dove il grano sia stato coltivato e macinato;
   in particolare, lo schema di decreto prevederebbe che le confezioni di pasta secca prodotte in Italia dovranno obbligatoriamente indicare in etichetta le diciture sul Paese di coltivazione del grano e del Paese di molitura. Se queste fasi avvengono in diversi Paesi, possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le seguenti diciture: Paesi UE, Paesi non UE. Se il grano duro è coltivato almeno per il 50 per cento in un solo Paese, come ad esempio l'Italia, si potrà usare la dicitura: «Italia e altri Paesi UE e non UE». Queste indicazioni sull'origine del grano dovranno essere apposte in etichetta in un punto evidente e nello stesso campo visivo, in modo da essere facilmente visibili, chiaramente leggibili e indelebili;
   in merito alle nuove disposizioni che verrebbero introdotte dallo schema di decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, l’executive director communication and external relations della Barilla, Luca Virginio, ha già avanzato «forti dubbi e perplessità in quanto l'indicazione in etichetta dell'origine della materia prima della pasta confonderebbe i consumatori e indebolirebbe la competitività della filiera». Inoltre, sempre secondo il manager della Barilla, «l'origine da sola non sarebbe sinonimo di qualità»;
   ai dubbi del gruppo Barilla sono seguiti quelli espressi dai pastai italiani di Aidepi, Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiana, che criticano tuttavia solo la dicitura scelta dal Governo, dichiarandosi invece favorevoli all'indicazione dell'origine del grano;
   Riccardo Felicetti, presidente della citata associazione, ha infatti dichiarato «la formula scelta non ha alcun valore aggiunto per il consumatore (...) l'origine del grano non è sinonimo di qualità (...) e l'etichetta da sola non basta»;
   se lo schema di decreto sull'etichettatura – precisa Ivano Vacondio, presidente Italmopa – risponde alla richiesta di trasparenza sull'origine della materia prima proveniente dai consumatori, tuttavia l'origine del grano non è in alcun modo sinonimo di qualità, poiché «l'eccellenza dell'industria molitoria italiana è riconducibile alla capacità dei nostri mugnai di individuare, selezionare, miscelare e trasformare le migliori varietà di frumento, quali che siano le loro origini, per la produzione di semole di frumento duro di altissima qualità. Semole che costituiscono uno degli ingredienti essenziali per il successo della pasta italiana nel mondo»;
   inoltre, rimangono inalterate le problematiche, relative al deficit quantitativo della produzione nazionale e del controllo sul corretto approvvigionamento di frumento duro dell'industria semoliera;
   lo schema di decreto incide dunque sui delicati equilibri dell'industria alimentare: «il Ministro Martina – afferma Luca Ferrara, amministratore unico del pastificio Guido Ferrara, alla quinta generazione imprenditoriale – punta ad accrescere il prezzo del grano italiano sottostimando però le problematiche di noi produttori stritolati dalla grande distribuzione organizzata e dal prezzo finale. Con questo decreto il Belpaese sta concedendo spazio ai concorrenti turchi, nordeuropei e nordafricani, minando i vantaggi distintivi dell'industria italiana della pasta conquistati con grandi sforzi nei decenni passati»;
   l'Italia è il principale produttore europeo di grano duro destinato alla pasta con quasi 5 milioni di tonnellate su una superficie coltivata pari a circa 1,3 milioni di ettari (concentrata, soprattutto, in Puglia e in Sicilia, che, da sole, rappresentano il 42 per cento della produzione nazionale);
   nonostante ciò, la produzione italiana non è sufficiente a soddisfare la domanda domestica ed è pertanto necessario ricorrere all'importazione di circa 2,3 milioni di tonnellate annue dall'estero, prodotto privo di indicazioni adeguate in etichetta, che lo condanna, seppur di buona qualità, ad un giudizio negativo;
   la materia relativa all'etichettatura non può e non deve essere scissa da questioni fondamentali quali la stabilizzazione dell'offerta e la continuità dell'approvvigionamento della materia prima, fattori indispensabili per la corretta programmazione industriale e del tutto ignorati –:
   a che punto sia l’iter dello schema di decreto inviato alle autorità di Bruxelles;
   se non ritengano, per quanto espresso in premessa, opportuno avviare un tavolo di concertazione con il coinvolgimento di tutti gli attori della filiera, al fine di valutare la possibilità di adottare un tipo di etichettatura che concretamente garantisca i consumatori e i produttori.
(2-01652) «Elvira Savino».
(9 febbraio 2017)

   LATRONICO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è il principale produttore europeo di grano duro destinato alla pasta con quasi 5 milioni di tonnellate su una superficie coltivata pari a circa 2,5 milioni di ettari, di cui 140 mila ettari in Basilicata con diecimila aziende;
   da alcuni anni il settore agricolo si trova a combattere una battaglia contro il crollo dei prezzi del grano italiano che ha causato agli agricoltori perdite per circa 700 milioni di euro. Le quotazioni del grano duro destinato alla produzione di pasta hanno perso il 43 per cento del valore, mentre si registra un calo del 19 per cento del prezzo del grano tenero destinato alla panificazione;
   il made in Italy agroalimentare è il più copiato e contraffatto al mondo e, nonostante il settore agricolo confermi le sue enormi potenzialità, esso deve affrontare e contrastare la pressione delle distorsioni di filiera e il flusso delle importazioni selvagge dall'estero che fanno concorrenza sleale alla produzione nazionale;
   nei porti italiani continuano a giungere navi importatrici di grano da tutto il mondo con pochissimi controlli sanitari che, oltre a contribuire alla diminuzione del prezzo, creano anche problemi di tracciabilità e salubrità del prodotto importato;
   una situazione drammatica è stata determinata dal crollo dei prezzi pagati agli agricoltori che nella campagna 2016 sono praticamente dimezzati per effetto delle speculazioni e della concorrenza sleale del grano importato dall'estero e poi utilizzato per fare pasta venduta come italiana. Oggi il grano duro per la pasta viene pagato 18 centesimi al chilo, mentre quello tenero per il pane è sceso addirittura a 16 centesimi al chilo;
   vi è un'importazione sempre più massiccia di grano straniero, che crea danni devastanti alla produzione nazionale con il 30-40 per cento di grano duro proveniente dai Paesi come l'Ucraina, la Turchia e il Canada. Ad esempio: si registra un +315 per cento dell'importazione dall'Ucraina di grano tenero (per il pane), mentre il Canada resta in testa per le spedizioni di grano duro (per la pasta);
   non è accettabile il fatto che il primo fornitore di grano duro dell'Italia, quale è il Canada, possa esportare a dazio zero, mentre applica un'aliquota fino all'11 per cento all'ingresso della pasta in arrivo dall'Italia sul proprio territorio;
   l'eccellenza dell'industria molitoria italiana è riconducibile alla capacità di selezionare e trasformare le migliori varietà di frumento, quali che siano le loro origini, per la produzione di semole di frumento duro di altissima qualità. Semole che costituiscono uno degli ingredienti essenziali per il successo e la preziosità della pasta italiana nel mondo;
   a giudizio dell'interrogante è necessario mettere in atto misure che tutelino sia i produttori che i consumatori per poter restituire un futuro al grano italiano con: l'obbligo di indicare in etichetta l'origine della materia prima utilizzata nella pasta e nei derivati/trasformati; l'indicazione della data di raccolta; l'esigenza di fermare le importazioni selvagge a dazio zero; infine l'estensione dei controlli al 100 per cento degli arrivi da Paesi extracomunitari dove sono utilizzati prodotti e fitosanitari vietati da anni in Italia ed in Europa –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere per intensificare i controlli fitosanitari sulle importazioni dall'estero, dove sono utilizzati prodotti e fitosanitari vietati da anni in Italia ed in Europa, per una maggiore tutela della salute dei consumatori;
   se intenda adottare iniziative volte ad accelerare l'introduzione dell'obbligo di indicare in etichetta l'origine della materia prima anche per la filiera grano-pasta, al fine di dare maggiore trasparenza alle informazioni per il consumatore, di tutelare i produttori e di rafforzare i rapporti di una filiera strategica per il made in Italy agroalimentare. (3-02941)
(10 aprile 2017)

F) Interpellanza

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   i pazienti affetti da malattia rara, spesso in carenza di farmaci specifici, hanno comunque un bisogno estremo di quei farmaci che contribuiscono a garantire loro qualità di vita, a volte anche nella prospettiva di terapie salvavita, considerando tra queste quelle che rallentano il processo della loro patologia specifica e consentono di salvaguardare il più a lungo possibile la loro qualità di vita;
   gli interpellanti intendono denunziare una situazione incresciosa che riguarda i pazienti affetti da fibrosi cistica, per i quali non è attualmente reperibile sul mercato un farmaco di estremo interesse nella loro condizione di malattia grave e progressiva. Il farmaco in questione è il Creon, nel duplice dosaggio di 10.000 e 25.000 (enzimi pancreatici);
   in data 20 luglio 2017 la Lega italiana fibrosi cistica, dopo aver ricevuto numerose segnalazioni da parte di pazienti di varie regioni e dopo aver interpellato la Mylan, casa farmaceutica produttrice del farmaco, ha contattato anche l'Agenzia italiana del farmaco, a quanto consta agli interpellanti senza ottenere risposta, segnalando che su tutto il territorio nazionale si stava verificando una carenza del farmaco Creon nei dosaggi da 10.000 e 25.000, utilizzato quotidianamente dai pazienti affetti da fibrosi cistica;
   considerando la necessità e l'urgenza di dover reperire il farmaco, la settimana dopo, concretamente in data 26 luglio 2017, la Lega italiana fibrosi cistica ha nuovamente contattato la segreteria tecnica e scientifica dell'Agenzia italiana del farmaco, sottolineando, anche se probabilmente non ce n'era alcun bisogno, come si tratti dell'unico enzima pancreatico che possono assumere i pazienti con fibrosi cistica;
   in pochi giorni, infatti, la situazione si è andata aggravando su tutto il territorio nazionale. Molte farmacie ospedaliere hanno confermato di essere ancora in attesa di ricevere il farmaco, mancante almeno dal mese di giugno 2017;
   all'Agenzia italiana del farmaco si chiedeva almeno di specificare se si trattasse solo di un problema di distribuzione o anche di produzione, ovviamente destinato ad aggravarsi ulteriormente;
   in risposta al sollecito, l'Agenzia italiana del farmaco ha affermato che, dopo una verifica da loro effettuata, è risultato che l'azienda aveva attraversato un periodo di interruzione temporanea, tra il 30 giugno ed il 7 luglio 2017, a causa del cambio del sistema gestione degli ordini, ma che, al momento, la situazione sembrava risolta, per cui l'azienda aveva attivato un gruppo di lavoro straordinario per evadere con assoluta priorità gli ordini ricevuti nel periodo di riferimento; in particolare, sottolineava come in merito al farmaco Creon c'era la massima disponibilità a rimetterlo in commercio, perché non ricorrevano criticità in merito alla disponibilità. Le forniture sarebbero state evase in tempi rapidi; secondo l'Agenzia italiana del farmaco la Mylon aveva uno stock disponibile di 193.000 pezzi di Creon da 10.000; 11.193 pezzi di Creon 25.000;
   a questo punto, a quanto risulta agli interpellanti, la presidente della Lega italiana fibrosi cistica, la dottoressa Gianna Puppo, decideva di scrivere alla Mylon mettendo in evidenza come dalla risposta dell'Agenzia italiana del farmaco si deduceva con estrema chiarezza che non c'erano criticità in merito alla disponibilità e che le forniture sarebbero state evase in tempi rapidi;
   purtroppo, quella che sembrava un'emergenza risolta, lo era solo in apparenza. Continuavano, infatti, ad arrivare segnalazioni da parte di famiglie e pazienti preoccupati, anche perché molte farmacie ospedaliere confermavano di essere in attesa del farmaco da giugno 2017. Nello specifico, arrivavano segnalazioni dall'azienda sanitaria locale Caserta e dall'azienda sanitaria locale Napoli 1, dalle aziende sanitarie locali di Cosenza e Matera, dalle aziende sanitarie locali di Tivoli e Ariccia, dalle aziende sanitarie locali di Bergamo e Melegnano, dalle aziende sanitarie locali di Taranto e Casarano (Lecce), dall'azienda sanitaria locale di San Bonifacio e da altre;
   la Lega italiana fibrosi cistica, attraverso la sua presidente, richiedeva una risoluzione immediata da parte dell'azienda Mylan, mettendo adeguatamente in risalto come avesse il dovere di rendere disponibili i farmaci, a tutti i pazienti, soprattutto laddove non esiste un farmaco sostitutivo. La Lega italiana fibrosi cistica chiedeva anche di conoscere l'aggiornamento dei quantitativi disponibili e le tempistiche di distribuzione, regione per regione, del farmaco nei due dosaggi;
   la presidente sottolineava come non si trattasse solo di rassicurare famiglie e pazienti, salvaguardando la salute dei pazienti stessi, ma di avere ben presente che, se l'emergenza non fosse stata risolta nel più breve tempo possibile, la Mylan sarebbe stata considerata come direttamente responsabile di qualsiasi disagio occasionato ai pazienti;
   ad oggi l'azienda Mylan non ha ancora risposto; mentre la segreteria scientifica dell'Agenzia italiana del farmaco ha risposto alle 12:07 del 2 agosto 2017, sostenendo che il prodotto è comunque disponibile presso il loro magazzino e ribadendo che il problema era solo della distribuzione e non della produzione;
   sarebbe opportuno conoscere il motivo per il quale la stessa azienda non risponda alle sollecitazioni della massima associazione di pazienti, preoccupata di garantire loro il farmaco necessario –:
   come sia possibile che un'azienda produttrice di un farmaco che risulta essere indispensabile per una classe di malati non garantisca la presenza continua del farmaco nelle farmacie, comprese quelle ospedaliere, in cui il Creon comincia a scarseggiare;
   perché la Mylan abbia cambiato sistema di gestione dati senza preoccuparsi prima di garantire il rifornimento delle farmacie, anche per il periodo in cui il sistema sarà bloccato;
   come sia possibile che si concentrino nei confronti dei pazienti affetti da fibrosi cistica, proprio alle soglie della pausa estiva, tante e tali gravi mancanze di rispetto per la loro condizione, esponendoli a rischi pesanti sia sotto il profilo della salute fisica che della serenità psicologica, perché non c’è dubbio che l'ansia scatenata dalla mancanza di farmaco peggiori il loro stato.
(2-01933) «Binetti, Pisicchio».
(15 settembre 2017)

MOZIONI CONCERNENTI LA SITUAZIONE DI CRISI NELLO YEMEN, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL'EMERGENZA UMANITARIA E ALL'ESPORTAZIONE DI ARMI VERSO I PAESI COINVOLTI NEL CONFLITTO

   La Camera,
   premesso che:
    il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato più risoluzioni sullo Yemen, in particolare le risoluzioni 2216 (2015), 2201 (2015) e 2140 (2014), che qui si intendono richiamate;
    l'attuale crisi nello Yemen è il risultato dell'incapacità dei Governi che si sono succeduti di rispondere alle legittime aspirazioni del popolo yemenita alla democrazia, allo sviluppo economico e sociale, alla stabilità e alla sicurezza; tale incapacità ha creato le condizioni per lo scoppio di un violento conflitto, in quanto non si è riusciti a dare vita a un Governo inclusivo e a garantire un'equa ripartizione dei poteri e sono state sistematicamente ignorate le numerose tensioni tribali, la diffusa insicurezza e la paralisi economica del Paese;
    l'intervento militare a guida saudita nello Yemen, richiesto dal Presidente yemenita Abd Rabbuh Mansur Hadi, compreso l'uso di bombe a grappolo bandite a livello internazionale, ha portato a una situazione umanitaria disastrosa che interessa la popolazione in tutto il Paese, ha gravi implicazioni per la regione e costituisce una minaccia per la pace e la sicurezza a livello internazionale; membri della popolazione civile yemenita, già esposta a condizioni di vita terribili, sono le principali vittime dell'attuale escalation militare;
    i ribelli houthi hanno in passato posto sotto assedio la città di Ta'izz, la terza città dello Yemen, ostacolando la fornitura di aiuti umanitari; una situazione per cui secondo Stephen ÒBrien, Sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari e coordinatore degli aiuti d'emergenza, i circa 200.000 civili intrappolati nella città hanno un disperato bisogno di acqua potabile, cibo, cure mediche e altri tipi di assistenza di primo soccorso e protezione;
    dall'inizio del conflitto sono state uccise oltre 10.000 persone (delle quali circa 4.700 civili) e 40.000 sono rimaste ferite (oltre 8.000 civili); tra le vittime si contano centinaia di donne e bambini; l'impatto umanitario sulla popolazione civile degli attuali scontri tra le diverse milizie, dei bombardamenti e dell'interruzione della fornitura dei servizi essenziali ha raggiunto proporzioni intollerabili;
    2 milioni di persone sono attualmente sfollate internamente ai confini a causa dei combattimenti; 2 milioni di bambini non hanno la possibilità di andare a scuola; 18,8 milioni di persone, tra cui 9,6 milioni di bambini, necessitano di assistenza umanitaria, compresi cibo, acqua, rifugio, carburante e servizi sanitari. Oltre a questo, circa 1500 bambini sono stati reclutati come soldati;
    secondo molteplici segnalazioni, gli attacchi aerei della coalizione militare a guida saudita nello Yemen hanno colpito bersagli civili, tra cui ospedali, scuole, mercati, magazzini cerealicoli, porti e un campo di sfollati, danneggiando gravemente infrastrutture essenziali per la fornitura degli aiuti e contribuendo alla grave carenza di generi alimentari e di carburante nel Paese;
    il 10 gennaio 2016 è stato bombardato nello Yemen settentrionale un ospedale finanziato da Medici senza frontiere e ciò ha provocato la morte di almeno sei persone e il ferimento di una dozzina, tra cui membri del personale di Medici senza frontiere, oltre a danneggiare gravemente le strutture mediche; questo è l'ultimo di una serie di attacchi ai danni di strutture mediche, nonché a numerosi monumenti storici e siti archeologici che sono stati distrutti o danneggiati irrimediabilmente;
    stando all'organizzazione Save the children, in almeno 18 dei 22 governatorati del Paese gli ospedali sono stati chiusi o gravemente danneggiati a causa dei combattimenti o della mancanza di carburante; in particolare, sono stati chiusi 153 centri sanitari che in precedenza fornivano nutrimento a oltre 450.000 bambini a rischio, insieme a 158 ambulatori che erogavano servizi di assistenza sanitaria di base a quasi mezzo milione di bambini al di sotto dei cinque anni;
    secondo l'Unicef, il conflitto nello Yemen ha avuto pesanti ricadute anche sull'accesso dei bambini all'istruzione, che ha smesso di funzionare per quasi 2 milioni di minori, con la chiusura di 3.584 scuole, ossia una su quattro; 860 di tali scuole sono danneggiate oppure sono utilizzate come rifugio per gli sfollati;
    la situazione nello Yemen comporta gravi rischi per la stabilità della regione, in particolare nel Corno d'Africa, nel Mar Rosso e nel resto del Medio Oriente; al-Qaeda nella penisola araba (Aqap) è riuscita a sfruttare il deterioramento della situazione politica e di sicurezza nello Yemen, espandendo la propria presenza e aumentando il numero e la portata dei propri attacchi terroristici; il cosiddetto Stato islamico Isis/Daesh ha consolidato la propria presenza nello Yemen e ha sferrato attacchi terroristici contro moschee sciite, uccidendo centinaia di persone;
    alcuni Stati membri dell'Unione europea hanno continuato ad autorizzare il trasferimento di armi e articoli correlati verso l'Arabia Saudita dopo l'inizio della guerra; tali trasferimenti violano la posizione comune 2008/944/PESC sul controllo delle esportazioni di armi, che esclude esplicitamente il rilascio di licenze relative ad armi da parte degli Stati membri, laddove vi sia il rischio evidente che la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possano essere utilizzate per commettere gravi violazioni del diritto umanitario internazionale e per compromettere la pace, la sicurezza e la stabilità regionali;
    il 27 gennaio 2017 è stato trasmesso al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il «Rapporto finale del gruppo di esperti sullo Yemen» che evidenzia che «I bombardamenti aerei condotti dalla coalizione guidata dall'Arabia Saudita hanno devastato le infrastrutture civili in Yemen, ma non sono riuscite a scalfire la volontà politica dell'alleanza houthi-Saleh di continuare il conflitto». E soprattutto riporta che «Il conflitto ha visto diffuse violazioni del diritto umanitario internazionale da tutte le parti in conflitto. Il gruppo di esperti ha condotto indagini dettagliate su questi fatti ed ha motivi sufficienti per affermare che la coalizione guidata dall'Arabia Saudita non ha rispettato il diritto umanitario internazionale in almeno 10 attacchi aerei diretti su abitazioni, mercati, fabbriche e su un ospedale»;
    nel medesimo rapporto trasmesso al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si dimostra il ritrovamento, a seguito di due bombardamenti a Sana'a nel settembre 2016, di più di cinque «bombe inerti» sganciate dall'aviazione saudita contrassegnate dalla sigla «Commercial and Government entity (Cage) code A4447». Quest'ultima è riconducibile all'azienda Rwm Italia s.p.a. del gruppo tedesco Rheinmetall, con sede legale in Via Industriale 8/D a Ghedi, in provincia di Brescia. Secondo gli esperti delle Nazioni Unite «l'utilizzo di queste armi rivela una tattica precisa, volta a limitare i danni in aree in cui risulterebbero inaccettabili». Gli esperti spiegano inoltre che «una bomba inerte del tipo Mk 82 ha un impatto pari a quello di 56 veicoli da una tonnellata lanciati a una velocità di circa 160 chilometri all'ora» (si confrontino le pagine 171-172 del rapporto);
    secondo recenti notizie di stampa (riportate in particolare dall’Ansa e da Avvenire) e grazie alle informazioni trasmesse dall'organizzazione non governativa yemenita Mwatana è stato recuperato in Yemen un frammento di ordigno con sigla «A4447», che indica la provenienza dalla Rwm Italia. Il numero di matricola, trasmesso all'ufficio Ansa di Beirut, è stato rinvenuto a Der al Hajari, nella regione nordoccidentale di Hodeida, teatro di un attacco aereo condotto alle 3 di notte dell'8 ottobre 2016: almeno sei civili uccisi, tra cui 4 bambini;
    negli scorsi mesi sono stati esportati materiali di armamento per 257.215.484 euro (tra cui, in particolare, bombe Rwm MK82) verso l'Arabia Saudita, a capo della coalizione composta da Eau, Oman, Bahrain, Egitto, Qatar, Marocco, Kuwait. Come si evince nella relazione al Parlamento, ai sensi dell'articolo 5 della legge 9 luglio 1990, n. 185, nel solo 2016 l'Italia ha venduto armi all'Arabia Saudita per un valore di 427,5 milioni di euro, con un incremento del 66 per cento rispetto al 2015. All'Arabia Saudita sono stati venduti aeromobili, bombe, siluri, razzi, missili ed accessori, apparecchiature per la direzione del tiro, esplosivi e combustibili militari, apparecchiature elettroniche, apparecchiature specializzate per l'addestramento militare o per la simulazione di scenari militari, tecnologia per lo sviluppo, produzione o utilizzazione delle armi. Nello stesso anno 2016 ai Paesi del Medio Oriente l'Italia ha venduto armi per un valore di 8,5 miliardi di euro, pari a oltre il 50 per cento delle esportazioni italiane totali;
    nell'ultima relazione al Parlamento ex legge n. 185 del 1990, per l'anno 2016, depositata in Parlamento il 26 aprile 2017, si legge che Rwm Italia è salita al terzo posto per giro d'affari nel settore difesa in Italia. Dal 1o gennaio al 31 dicembre 2016 Rwm ha ottenuto 45 nuove autorizzazioni per l'esportazione di armamenti dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale italiano, per un totale di 489,5 milioni di euro: 460 milioni di euro in più rispetto al 2015, quando la società aveva ricevuto nuove autorizzazioni per 28 milioni di euro. La relazione del Governo italiano mette in evidenza in particolare una commessa di Rwm, per un totale di 411 milioni di euro, che riguarda l'esportazione di 19.675 bombe in totale (Mk 82, Mk 83 ed Mk 84). Non è però indicato il committente. Non si sa quindi verso quale Paese siano state esportate le bombe. Nella relazione finanziaria di Rheinmetall per l'anno 2016 si legge che c’è stato un ordine «molto significativo» di «munizioni» per 411 milioni di euro da parte di un «cliente della regione Mena (Medio Oriente e Nord Africa)». Di queste 19.675 bombe autorizzate nel 2016 (e di quelle relative ad altre licenze precedenti) ne sono già state effettivamente esportate solo nel 2016 circa 2.150 per controvalore di 32 milioni di euro;
    la risoluzione del Parlamento europeo del 25 febbraio 2016 sulla situazione umanitaria nello Yemen (2016/2515(RSP)) contiene, in particolare, l'invito «al VP/AR ad avviare un'iniziativa finalizzata all'imposizione da parte dell'Unione europea di un embargo sulle armi nei confronti dell'Arabia Saudita, tenuto conto delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale da parte di tale Paese nello Yemen e del fatto che il continuo rilascio di licenze di vendita di armi all'Arabia Saudita violerebbe pertanto la posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio dell'8 dicembre 2008»;
    la risoluzione del Parlamento europeo del 15 giugno 2017 sulla situazione umanitaria nello Yemen (2017/2727(RSP)) richiama la precedente del 25 febbraio 2016 in merito alla proposta di embargo sulle armi e invita ad una soluzione negoziale del conflitto, riaffermando «la necessità che tutti gli Stati membri dell'Unione applichino rigorosamente le disposizioni sancite nella posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio sull'esportazione di armi»;
    il sito «Viaggiare sicuri» del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, a proposito dello Yemen, affermava fino ad alcuni mesi fa che «le condizioni umanitarie stanno divenendo insostenibili per larga parte della popolazione civile, come indicato nei report delle Nazioni Unite, che hanno documentato anche arresti arbitrari e violazioni del diritto umanitario da ambe le parti coinvolte nello scontro armato»,

impegna il Governo:

1) ad esprimere, in ogni consesso internazionale o sede di confronto con rappresentanti di Paesi stranieri:
   a) la profonda preoccupazione dell'Italia per l'allarmante deterioramento della situazione umanitaria nello Yemen, caratterizzata da una diffusa insicurezza alimentare e una grave malnutrizione in alcune parti del Paese, da attacchi indiscriminati contro civili, personale medico e operatori umanitari e dalla distruzione delle infrastrutture civili e mediche a causa del preesistente conflitto interno, dell'intensificarsi degli attacchi aerei ad opera della coalizione guidata dall'Arabia Saudita, dei combattimenti a terra e dei bombardamenti, nonostante i ripetuti appelli per una nuova cessazione delle ostilità;
   b) l'angoscia per la perdita di vite umane causata dal conflitto e per le sofferenze delle persone rimaste coinvolte negli scontri, esprimendo altresì il cordoglio dell'Italia alle famiglie delle vittime;
   c) l'impegno dell'Italia a continuare a sostenere lo Yemen e il popolo yemenita;
   d) la grave preoccupazione per gli attacchi aerei da parte della coalizione a guida saudita e il blocco de facto da essa imposto allo Yemen, che hanno causato la morte di migliaia di persone, hanno ulteriormente destabilizzato il Paese, stanno distruggendo le sue infrastrutture fisiche, hanno creato un'instabilità che è stata sfruttata dalle organizzazioni terroristiche ed estremiste, quali l'Isis/Daesh e l'Aqap, e hanno aggravato una situazione umanitaria già critica;
   e) la ferma condanna delle azioni destabilizzanti e violente condotte dai ribelli houthi, che sono sostenuti dall'Iran, compreso l'assedio della città di Ta'izz, che ha avuto, tra l'altro, conseguenze umanitarie disastrose per gli abitanti;
   f) il convincimento che soltanto una soluzione al conflitto politica, inclusiva e negoziata può ripristinare la pace, nonché l'esortazione a tutte le parti a impegnarsi quanto prima, in buona fede e senza condizioni preliminari, in un nuovo ciclo di negoziati di pace sotto l'egida delle Nazioni Unite, anche superando le loro divergenze attraverso il dialogo e le consultazioni, rifiutando gli atti di violenza finalizzati al raggiungimento di obiettivi politici e astenendosi da provocazioni e da tutte le azioni unilaterali volte a compromettere la soluzione politica;

2) a richiedere, in ogni consesso internazionale o sede di confronto con rappresentati di Paesi stranieri:
   a) un'azione umanitaria coordinata sotto la guida delle Nazioni Unite e la partecipazione di tutti i Paesi alle iniziative volte a far fronte alle esigenze umanitarie;
   b) a tutte le parti di consentire l'ingresso e la distribuzione di generi alimentari, farmaci e carburante di cui vi è un urgente bisogno nonché di altre forme di assistenza necessaria, tramite le Nazioni Unite e i canali umanitari internazionali, al fine di soddisfare le necessità impellenti dei civili colpiti dalla crisi, secondo i princìpi di imparzialità, neutralità e indipendenza;
   c) una tregua umanitaria affinché l'assistenza di primo soccorso possa essere fornita con urgenza alla popolazione yemenita, anche facilitando ulteriormente l'accesso delle navi mercantili allo Yemen;
   d) a tutte le parti di rispettare il diritto umanitario internazionale e il diritto internazionale in materia di diritti umani, di garantire la protezione dei civili e di astenersi dall'attaccare direttamente le infrastrutture civili, soprattutto le strutture sanitarie e gli impianti idrici;
   e) un'indagine imparziale e indipendente su tutte le accuse di abusi, torture, uccisioni mirate di civili e altre violazioni del diritto internazionale in materia di diritti umani e del diritto umanitario internazionale, come pure sui recenti attacchi che hanno preso di mira le infrastrutture e il personale umanitario;
   f) il rispetto dei diritti umani e delle libertà di tutti i cittadini yemeniti e l'importanza di migliorare la sicurezza di tutti coloro che lavorano per le missioni umanitarie e di pace nel Paese, compresi gli operatori umanitari i medici e i giornalisti;

3) ad assumere iniziative affinché tutte le parti coinvolte garantiscano che gli ospedali e il personale medico siano tutelati come previsto dal diritto umanitario internazionale, tenendo conto che un attacco deliberato contro i civili e le infrastrutture civili costituisce un crimine di guerra;

4) a chiedere nelle competenti sedi dell'Unione europea di promuovere con efficacia il rispetto del diritto umanitario internazionale, come stabilito nei pertinenti orientamenti dell'Unione europea, tenendo conto in particolare della necessità che l'Italia e l'Unione europea mettano in evidenza, nel proprio dialogo politico con l'Arabia Saudita, l'esigenza di rispettare il diritto umanitario internazionale e che, qualora tale dialogo risulti infruttuoso, occorre definire ulteriori misure in conformità degli orientamenti dell'Unione europea volti a promuovere l'osservanza del diritto umanitario internazionale;

5) ad assumere iniziative per bloccare l'esportazione di armi e articoli correlati prodotti in Italia o che transitino per l'Italia, destinati all'Arabia Saudita e a tutti i Paesi coinvolti nel conflitto armato in Yemen, tenuto conto delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale da parte dell'Arabia Saudita nello Yemen, come prevedono recenti risoluzioni del Parlamento europeo, la normativa nazionale (legge n. 185 del 1990) e il Trattato internazionale sul commercio di armamenti;

6) ad avviare un'iniziativa finalizzata alla previsione da parte dell'Unione europea di un embargo sulle armi nei confronti dell'Arabia Saudita, tenuto conto che il continuo rilascio di licenze di vendita di armi all'Arabia Saudita violerebbe la posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio dell'8 dicembre 2008;

7) ad assumere iniziative affinché l'Arabia Saudita e l'Iran, Paesi che rappresentano la chiave di volta per risolvere la crisi, operino in modo pragmatico e in buona fede per porre fine ai combattimenti nello Yemen.
(1-01662)
«Marcon, Duranti, Marazziti, Sberna, Mattiello, Airaudo, Bossa, Brignone, Civati, Carlo Galli, Costantino, Lacquaniti, Daniele Farina, Fassina, Fossati, Martelli, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Melilla, Gregori, Andrea Maestri, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Piras, Pastorino, Pellegrino, Ricciatti, Placido, Zaccagnini».
(12 luglio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    già con la risoluzione n. 7-00677 dell'8 maggio 2015 – non discussa – il gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle della Camera dei deputati poneva il problema della gravissima situazione nello Yemen e del «contributo» italiano a quel conflitto tramite l'invio di bombe prodotte da stabilimenti ubicati sul territorio nazionale; peraltro, su questo argomento, o a esso afferente, sono stati anche depositati svariati atti sia di sindacato ispettivo che di indirizzo (tra gli altri: 5-09723; 3-02546; 3-01874; 7-00677; 7-01043; 4-11199; 3-02584; 5-08939);
    il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato più risoluzioni sullo Yemen, in particolare le risoluzioni 2216 (2015), 2201 (2015) e 2140 (2014), ma nessuna di queste ha contribuito all'abbassamento della violenza e a una soluzione equa e negoziata del conflitto;
    il processo di transizione sostenuto a livello internazionale nello Yemen ha iniziato a mostrare tutta la sua fragilità a partire dal settembre 2014 quando gli houthi, guidati da Abdul-Malik al-Houthi, sono entrati nella capitale Sana'a, capitalizzando le proteste e la rabbia diffusa dopo l'annuncio del Governo di un forte aumento dei prezzi del carburante, accrescendo il loro sostegno anche in aree non sciite grazie all'aver fatto propri i temi che avevano animato le rivolte contro Saleh nel 2011 (lotta alla corruzione delle vecchie élite di regime e ad al-Qaeda) e costringendo il Primo ministro Salem Basindwa alle dimissioni. Il rafforzamento degli houthi nel nord del Paese e la rapida presa della capitale sono state possibili anche grazie all'allineamento tattico con tribù, comandanti militari e alcune unità d’élite della Guardia repubblicana rimaste fedeli all'ex Presidente Saleh e contro nemici comuni, come il partito islamista sunnita Islah, i salafiti e la potente famiglia tribale degli Al-Ahmar;
    l'intervento militare a guida saudita nello Yemen, richiesto dal Presidente yemenita Abd Rabbuh Mansur Hadi, compreso l'uso di bombe a grappolo bandite a livello internazionale, ha portato alla drammatica attuale situazione umanitaria. L’escalation del conflitto, con la partecipazione diretta di potenze regionali, costituisce una minaccia per la pace e la sicurezza a livello internazionale. La stessa attuale crisi tra il mondo sunnita e il Qatar – che pur faceva parte della coalizione anti houthi – è segnata da evidenti approcci diversi tra Doha e Riad su come risolvere il conflitto;
    i ribelli houthi hanno in passato posto sotto assedio la città di Ta'izz, la terza città dello Yemen, ostacolando la fornitura di aiuti umanitari; una situazione per cui secondo Stephen ÒBrien, Sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari e coordinatore degli aiuti d'emergenza, i circa 200.000 civili intrappolati nella città hanno un disperato bisogno di acqua potabile, cibo, cure mediche e altri tipi di assistenza di primo soccorso e protezione;
    dall'inizio del conflitto sono state uccise oltre 10.000 persone (delle quali circa 4.700 civili) e 40.000 sono rimaste ferite (oltre 8.000 civili); tra le vittime si contano centinaia di donne e bambini; l'impatto umanitario sulla popolazione civile degli attuali scontri tra le diverse milizie, dei bombardamenti e dell'interruzione della fornitura dei servizi essenziali ha raggiunto proporzioni intollerabili;
    2 milioni di persone sono attualmente sfollate internamente ai confini a causa dei combattimenti; 2 milioni di bambini non hanno la possibilità di andare a scuola; 18,8 milioni di persone, tra cui 9,6 milioni di bambini, necessitano di assistenza umanitaria, compresi cibo, acqua, rifugio, carburante e servizi sanitari. Oltre a questo, circa 1500 bambini sono stati reclutati come soldati;
    gli attacchi aerei della coalizione militare a guida saudita nello Yemen hanno più volte colpito bersagli civili, tra cui ospedali, scuole, mercati, magazzini cerealicoli, porti e un campo di sfollati, danneggiando gravemente infrastrutture essenziali per la fornitura degli aiuti e contribuendo alla grave carenza di generi alimentari e di carburante nel Paese;
    il 10 gennaio 2016 è stato bombardato nello Yemen settentrionale un ospedale gestito da Medici senza frontiere e ciò ha provocato la morte di almeno sei persone e il ferimento di una dozzina, tra cui membri del personale dello stessa organizzazione Medici senza frontiere, oltre a danneggiare gravemente le strutture mediche; questo è l'ultimo di una serie di attacchi ai danni di strutture mediche, nonché a numerosi monumenti storici e siti archeologici che sono stati distrutti o danneggiati irrimediabilmente;
    stando all'organizzazione Save the children, in almeno 18 dei 22 governatorati del Paese gli ospedali sono stati chiusi o gravemente danneggiati a causa dei combattimenti o della mancanza di carburante; in particolare, sono stati chiusi 153 centri sanitari che in precedenza fornivano nutrimento a oltre 450.000 bambini a rischio, insieme a 158 ambulatori che erogavano servizi di assistenza sanitaria di base a quasi mezzo milione di bambini al di sotto dei cinque anni;
    secondo l'Unicef, il conflitto nello Yemen ha avuto pesanti ricadute anche sull'accesso dei bambini all'istruzione, che ha smesso di funzionare per quasi 2 milioni di minori, con la chiusura di 3.584 scuole, ossia una su quattro; 860 di tali scuole sono danneggiate oppure sono utilizzate come rifugio per gli sfollati;
    la situazione nello Yemen comporta gravi rischi per la stabilità della regione, in particolare nel Corno d'Africa, nel Mar Rosso e nel resto del Medio Oriente; al-Qaeda nella penisola araba (Aqap) è riuscita a sfruttare il deterioramento della situazione politica e di sicurezza nello Yemen, espandendo la propria presenza e aumentando il numero e la portata dei propri attacchi terroristici; il cosiddetto Stato islamico Isis/Daesh ha consolidato la propria presenza nello Yemen e ha sferrato attacchi terroristici contro moschee sciite, uccidendo centinaia di persone;
    alcuni Stati membri dell'Unione europea hanno continuato ad autorizzare il trasferimento di armi e articoli correlati verso l'Arabia Saudita dopo l'inizio della guerra; tali trasferimenti violano la posizione comune 2008/944/PESC sul controllo delle esportazioni di armi, che esclude esplicitamente il rilascio di licenze relative ad armi da parte degli Stati membri, laddove vi sia il rischio evidente che la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possano essere utilizzate per commettere gravi violazioni del diritto umanitario internazionale e per compromettere la pace, la sicurezza e la stabilità regionali;
    il 27 gennaio 2017 è stato trasmesso al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il «Rapporto finale del gruppo di esperti sullo Yemen» che evidenzia che «I bombardamenti aerei condotti dalla coalizione guidata dall'Arabia Saudita hanno devastato le infrastrutture civili in Yemen, ma non sono riuscite a scalfire la volontà politica dell'alleanza houthi-Saleh di continuare il conflitto». E soprattutto riporta che «Il conflitto ha visto diffuse violazioni del diritto umanitario internazionale da tutte le parti in conflitto. Il gruppo di esperti ha condotto indagini dettagliate su questi fatti ed ha motivi sufficienti per affermare che la coalizione guidata dall'Arabia Saudita non ha rispettato il diritto umanitario internazionale in almeno 10 attacchi aerei diretti su abitazioni, mercati, fabbriche e su un ospedale»;
    nel medesimo rapporto trasmesso al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si dimostra il ritrovamento, a seguito di due bombardamenti a Sana'a nel settembre 2016, di più di cinque «bombe inerti» sganciate dall'aviazione saudita contrassegnate dalla sigla «Commercial and Government entity (Cage) code A4447». Quest'ultima è riconducibile all'azienda Rwm Italia s.p.a., costola del gruppo tedesco Rheinmetall defence, colosso tedesco degli armamenti, con sede legale in via Industriale 8/D a Ghedi, in provincia di Brescia (mentre nella località di Domusnovas dal 2010 si trova la sede operativa dello stabilimento della Rwm Italia, fabbrica di bombe);
    secondo gli esperti delle Nazioni Unite «l'utilizzo di queste armi rivela una tattica precisa, volta a limitare i danni in aree in cui risulterebbero inaccettabili». Gli esperti spiegano inoltre che «una bomba inerte del tipo Mk 82 ha un impatto pari a quello di 56 veicoli da una tonnellata lanciati a una velocità di circa 160 chilometri all'ora» (si confrontino le pagine 171-172 del rapporto);
    secondo recenti notizie di stampa (riportate in particolare dall'agenzia Ansa e dal quotidiano Avvenire) e grazie alle informazioni trasmesse dall'organizzazione non governativa yemenita Mwatana è stato recuperato in Yemen un frammento di ordigno con sigla «A4447», che indica la provenienza dalla Rwm Italia. Il numero di matricola, trasmesso all'ufficio Ansa di Beirut, è stato rinvenuto a Der al Hajari, nella regione nord-occidentale di Hodeida, teatro di un attacco aereo condotto alle 3 di notte dell'8 ottobre 2016: almeno sei civili uccisi, tra cui 4 bambini;
    negli scorsi mesi sono stati esportati materiali di armamento per 257.215.484 euro (tra cui, in particolare, bombe Rwm MK82) verso l'Arabia Saudita, a capo della coalizione composta da EAU, Oman, Bahrain, Egitto, Qatar, Marocco, Kuwait. Come si evince nella relazione al Parlamento ai sensi dell'articolo 5 della legge 9 luglio 1990, n. 185, nel solo 2016 l'Italia ha venduto armi all'Arabia Saudita per un valore di 427,5 milioni di euro, con un incremento del 66 per cento rispetto al 2015. All'Arabia Saudita sono stati venduti aeromobili, bombe, siluri, razzi, missili ed accessori, apparecchiature per la direzione del tiro, esplosivi e combustibili militari, apparecchiature elettroniche, apparecchiature specializzate per l'addestramento militare o per la simulazione di scenari militari, tecnologia per lo sviluppo, produzione o utilizzazione delle armi. Nello stesso 2016 ai Paesi del Medio Oriente l'Italia ha venduto armi per un valore di 8,5 miliardi di euro, pari a oltre il 50 per cento delle esportazioni italiane totali;
    secondo l'ultima relazione al Parlamento ex legge n. 185 del 1990 per l'anno 2016, depositata in Parlamento il 26 aprile 2017, si legge che Rwm Italia è salita al terzo posto per giro d'affari nel settore difesa in Italia. Dal 1o gennaio al 31 dicembre 2016 Rwm ha ottenuto 45 nuove autorizzazioni per l'esportazione di armamenti dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale italiano, per un totale di 489,5 milioni di euro: 460 milioni di euro in più rispetto al 2015, quando la società aveva ricevuto nuove autorizzazioni per 28 milioni di euro. La relazione del Governo italiano mette in evidenza in particolare una commessa di Rwm, per un totale di 411 milioni di euro, che riguarda l'esportazione di 19.675 bombe in totale (Mk 82, Mk 83 ed Mk 84). Non è però indicato il committente. Non sappiamo quindi verso quale Paese siano state esportate le bombe. Nella relazione finanziaria di Rheinmetall per l'anno 2016 si legge che c’è stato un ordine «molto significativo» di «munizioni» per 411 milioni di euro da parte di un «cliente della regione Mena (Medio-Oriente e Nord Africa)». Di queste 19.675 bombe autorizzate nel 2016 (e di quelle relative a altre licenze precedenti) ne sono già state effettivamente esportate solo nel 2016 circa 2.150, per un controvalore di 32 milioni di euro;
    la risoluzione del Parlamento Europeo del 25 febbraio 2016 sulla situazione umanitaria nello Yemen (2016/2515(RSP) contiene in particolare l'invito «al VP/AR ad avviare un'iniziativa finalizzata all'imposizione da parte dell'Unione europea di un embargo sulle armi nei confronti dell'Arabia Saudita, tenuto conto delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale da parte di tale Paese nello Yemen e del fatto che il continuo rilascio di licenze di vendita di armi all'Arabia Saudita violerebbe pertanto la posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio dell'8 dicembre 2008»;
    la risoluzione del Parlamento europeo del 15 giugno 2017 sulla situazione umanitaria nello Yemen (2017/2727(RSP)) richiama la precedente del 25 febbraio 2016 in merito alla proposta di embargo sulle armi e invita ad una soluzione negoziale del conflitto, riaffermando «la necessità che tutti gli Stati membri dell'Unione europea applichino rigorosamente le disposizioni sancite nella posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio sull'esportazione di armi»;
    il sito «Viaggiare sicuri» del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, a proposito dello Yemen, affermava fino a alcuni mesi fa che «le condizioni umanitarie stanno divenendo insostenibili per larga parte della popolazione civile, come indicato nei report delle Nazioni Unite, che hanno documentato anche arresti arbitrari e violazioni del diritto umanitario da ambe le parti coinvolte nello scontro armato»,

impegna il Governo:

1) a chiedere alle forze belligeranti l'immediato cessate il fuoco e l'interruzione di ogni iniziativa militare nello Yemen;

2) ad assumere iniziative per impedire, con tutti gli strumenti disponibili, il transito di armi e materiale bellico verso lo Yemen in porti, aeroporti, stazioni ferroviarie, acque territoriali e spazio aereo italiani, da qualsiasi parte essi provengano;

3) a rendere disponibili i dati relativi a quante e quali armi usate in questo momento dall'Arabia Saudita nei suoi feroci bombardamenti sullo Yemen (Paese sovrano) siano di provenienza italiana;

4) ad adoperarsi, di concerto con la comunità internazionale, per:
   a) la convocazione di una conferenza internazionale di pace, per giungere a una soluzione politica inclusiva nello Yemen, affinché si possa riprendere al più presto la via della democratizzazione e prevenire un'ulteriore diffusione del terrorismo;
   b) l'avvio di un'iniziativa umanitaria sotto la guida delle Nazioni Unite tesa a portare soccorso e sostegno alla popolazione civile;
   c) l'avvio di un'inchiesta internazionale sui crimini di guerra contro le infrastrutture civili e sulle responsabilità degli attacchi agli ospedali e al personale medico e di soccorso;

5) ad assumere iniziative per dare seguito alle richiamate risoluzioni del Parlamento europeo bloccando l'esportazione di armi e articoli correlati prodotti in Italia o che transitino per l'Italia, destinati all'Arabia Saudita e a tutti i Paesi coinvolti nel conflitto armato in Yemen, tenuto conto delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale da parte dell'Arabia Saudita nello Yemen in conformità alle recenti risoluzioni del Parlamento europeo, alla normativa nazionale (legge n. 185 del 1990) e al Trattato internazionale sul commercio di armamenti;

6) ad assumere questa posizione anche in assenza di una formale dichiarazione di embargo sulle armi da parte delle organizzazioni internazionali;

7) ad avviare un'iniziativa finalizzata alla previsione da parte dell'Unione europea di un embargo sulle armi nei confronti dell'Arabia Saudita, tenuto conto che il continuo rilascio di licenze di vendita di armi all'Arabia Saudita violerebbe la posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio dell'8 dicembre 2008;

8) ad assumere le iniziative per favorire e supportare la riconversione in produzioni civili delle attività delle aziende attualmente interessate alla produzione di armi destinate al conflitto con lo Yemen o comunque a Paesi in guerra, anche attraverso l'istituzione di un fondo ad hoc e il rifinanziamento degli incentivi per la ristrutturazione e la riconversione dell'industria bellica e la riconversione produttiva nel campo civile e duale, destinati alle imprese che operano nel settore della produzione di materiali di armamento ai sensi dell'articolo 6, commi 7, 8, 8-bis e 9, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 149, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993 n. 237.
(1-01663)
«Corda, Frusone, Scagliusi, Basilio, Manlio Di Stefano, Del Grosso, Rizzo, Grande, Paolo Bernini, Di Battista, Tofalo, Spadoni».
(13 luglio 2017)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI DISLOCAZIONE, TRASPORTO E ACQUISIZIONE DI ARMI NUCLEARI IN ITALIA

   La Camera,
   premesso che:
    il Trattato di non proliferazione nucleare sancisce l'obbligo per l'Italia di non ospitare ordigni nucleari e, per gli Stati nucleari, di non dispiegare tali armamenti al di fuori del proprio territorio; nello specifico, l'articolo 1 recita: «Ciascuno degli Stati militarmente nucleari, che sia Parte del Trattato, si impegna a non trasferire a chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, ovvero il controllo su tali armi e congegni esplosivi, direttamente o indirettamente; si impegna inoltre a non assistere, né incoraggiare, né spingere in alcun modo uno Stato militarmente non nucleare a produrre o altrimenti procurarsi armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, ovvero il controllo su tali armi o congegni esplosivi»;
    secondo quanto affermato dall'Istituto affari internazionali nel documento «Il dibattito sulle armi nucleari tattiche in Italia», nonostante l'esplicito impegno a «creare le condizioni per un mondo senza armi nucleari», il nuovo concetto strategico della Nato, adottato a Lisbona il 19 novembre 2010, ribadisce che «fintanto che ci sono armi nucleari nel mondo, la Nato rimarrà una Alleanza nucleare». Ultimo caso di dispiegamento avanzato (forward deployment), cinque Paesi dell'Alleanza atlantica – Belgio, Germania, Italia, Olanda e Turchia – continuano ad ospitare armi nucleari tattiche (Ant) statunitensi all'interno dei propri confini. Il tipo di arma nucleare a disposizione della Nato attualmente ospitata sul territorio europeo è la bomba B-61, che è comunemente classificata come tattica. Attualmente sono in servizio le versioni B61-3, B61-4 e B61-10, costruite tra il 1979 e il 1989, con varie opzioni di potenza da 0,3 a 170 chilotoni. Le bombe possono essere trasportate dagli aerei statunitensi F-15E e F-16C/D e dagli aerei delle forze europee come gli F-16 belgi, olandesi, turchi e i Tornado italiani e tedeschi. Le bombe sono custodite sotto il controllo americano dagli US munitions support squadrons (Munss);
    svariati organi di stampa parlano di atomiche americane presenti in Italia nelle basi di Aviano e Ghedi, di esercitazioni svoltesi nelle stesse per valutare la sicurezza delle armi nucleari e di addestramento specifico rivolto al personale militare per fronteggiare emergenze di carattere nucleare in caso di incidenti con queste stesse armi;
    i siti internet ufficiali dell'Aeronautica militare statunitense affermano che, nella base di Aviano, esistono apparecchiature specifiche per il controllo e la manutenzione di questo genere di armamenti;
    anche nel bilancio 2018 dell'Usaf si stanziano fondi per l'F-35A dca (dual capable aircraft) con capacità nucleare. In particolare, nel bilancio di ricerca e sviluppo 2018 per la Us Air force in discussione in questi giorni al Congresso statunitense sono previsti fondi aggiuntivi per lo sviluppo della versione dca dell'F-35A lightining II. La versione dca è previsto possa portare nella stiva interna due bombe nucleari B61-12;
    il programma di sviluppo del velivolo dca (identificato nel bilancio Usaf con il numero 676011) è iniziato nell'anno fiscale 2014 e si concluderà verosimilmente nell'anno fiscale 2025;
    per il 2018 l'Usaf chiede uno stanziamento di 27,731 milioni di dollari, in aumento rispetto allo stanziamento 2017 di 25,743 milioni. Il trend della spesa per questa specifica versione dell'F-35A segnala ulteriori aumenti nei prossimi anni fino a toccare i 50,433 milioni dell'esercizio fiscale 2021, ultimo anno per il quale sono pubblicate le proiezioni, per un totale complessivo presunto di circa 250 milioni di dollari;
    questa spesa sarà sostenuta, oltre che dagli Stati Uniti, anche dai Paesi partner del programma F-35 che si doteranno di questa specifica versione. Tra questi vi sono certamente l'Italia, i Paesi Bassi e la Turchia. La Gran Bretagna non è coinvolta, avendo finora acquisito soltanto la versione b del velivolo priva di capacità dca. Ugualmente fuori dal programma nucleare è la Germania che non partecipa al programma F-35;
    come affermato dalla Corte internazionale di giustizia, mantenere una minaccia nucleare nei confronti di altri Paesi è un illecito e per di più le armi nucleari in territorio italiano rappresentano un pericolo per la salute e la vita di chi vive nei pressi di una installazione nucleare militare;
    in una risposta all'interrogazione n. 4-01188 della deputata Basilio del MoVimento 5 Stelle, il Ministro della difesa pro tempore, senatore Mauro, affermava che: «Anche l'Alleanza Atlantica ha aggiornato periodicamente la propria politica di difesa, inclusa la componente nucleare. Il processo di revisione è iniziato nel 2010 a Lisbona e ha portato all'approvazione, nel 2012, della Revisione della difesa e della deterrenza dell'Alleanza Atlantica (Defence and deterrence posture reviewDdpr), la quale delinea il mix ottimale (“appropriate mix”) di forze nucleari, convenzionali e di difesa missilistica necessarie per garantire la sicurezza e la difesa dell'Alleanza e per perseguire gli impegni annunciati nel nuovo concetto strategico relativi alla difesa collettiva, alla gestione delle crisi e alla sicurezza cooperativa. La Defence and deterrence posture review, nel ribadire che finché esisteranno armi nucleari la deterrenza nucleare, rappresenterà un elemento indispensabile per la sicurezza dell'Alleanza e dei suoi Stati membri»;
    nella stessa risposta all'interrogazione il Ministro della difesa pro tempore affermava, tra l'altro: «Con riferimento alla questione della presenza di armi nucleari in Europa, si fa rilevare che l'Alleanza, pur mantenendo un atteggiamento assolutamente trasparente sulla propria strategia nucleare e sulla natura del proprio dispositivo in Europa, non può agire, tuttavia, a discapito della sicurezza di questo dispositivo e della riservatezza che è indispensabile avere in relazione ai siti, alla loro dislocazione, ai quantitativi e alla tipologia di armamento in essi contenuti. Una riservatezza che non può essere violata unilateralmente da un singolo Paese dell'Alleanza, perché la deterrenza nucleare è un bene ed un onere collettivo che lega collegialmente tutti i Paesi alleati. La tipologia e la qualità delle informazioni rilasciabili sugli armamenti nucleari è, quindi, una decisione politica collettiva ed unanime degli alleati, cui nessun Paese può sottrarsi, pena la violazione del patto di alleanza liberamente sottoscritto e del vincolo di riservatezza che da esso ne discende.» Questa affermazione appare, secondo gli interroganti, in contrasto però con il fatto che la presenza di armi nucleari tattiche nelle basi militari di Ghedi ed Aviano è stata resa nota unilateralmente evidentemente dal Congresso degli Stati Uniti d'America. Senatori e deputati degli Usa, nonché semplici cittadini attraverso il Freedom of information act, evidentemente, godono di un potere di conoscenza superiore a quello degli altri Paesi membri;
    la legge 9 luglio 1990, n. 185, vieta espressamente la fabbricazione, l'importazione, di armi biologiche, chimiche e nucleari, nonché la ricerca preordinata alla loro produzione o la cessione della relativa tecnologia;
    il divieto di cui alla legge 9 luglio 1990, n. 185, si applica anche agli strumenti e alle tecnologie specificamente progettate per la costruzione delle suddette armi;
    l'Italia ha da sempre dichiarato di non far parte del «club atomico» con tutti gli obblighi internazionali che ne derivano;
    per ben due volte il popolo italiano ha rifiutato, con due referendum, l'opzione nucleare, anche solo per fini civili,

impegna il Governo:

1) a relazionare al Parlamento sulla presenza in Italia di armi nucleari, sulla loro dislocazione e sulla potenza, non facendosi più «paravento» di un vincolo atlantico alla riservatezza inesistente per i cittadini ed i parlamentari Usa;

2) a dichiarare l'indisponibilità dell'Italia ad utilizzare armi nucleari escludendo l'acquisizione, per i propri sistemi d'arma, di tecnologie in grado di rendere gli stessi atti all'impiego di armi nucleari;

3) a non procedere all'ammodernamento degli aerei Tornado attualmente abilitati al trasporto di bombe nucleari per renderli idonei all'impiego delle bombe nucleari B61-12 di prevista prossima introduzione nell'arsenale statunitense;

4) a non acquisire le componenti software e hardware necessarie per rendere gli aerei F-35 eventualmente destinati all'Aeronautica militare idonei al trasporto di armi nucleari;

5) ad assumere iniziative per prevedere il divieto di attracco in porti e moli nazionali di navi o sommergibili, anche di Paesi alleati, che abbiano a bordo armi nucleari.
(1-01081)
(Nuova formulazione) «Basilio, Frusone, Corda, Rizzo, Tofalo, Paolo Bernini, D'Incà, Sorial, Cozzolino, Crippa, Del Grosso, Brugnerotto, Pesco, Agostinelli, Alberti, Baroni, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Petraroli, Pisano, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Spadoni, Spessotto, Terzoni, Toninelli, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».
(16 dicembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    le armi nucleari mettono in pericolo la sopravvivenza della specie umana e del Pianeta, un rischio tutt'altro che remoto in un mondo non pacificato;
    tra pochi giorni, il 6 agosto, ricorrerà l'anniversario dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki e, nonostante la conoscenza di quanto accaduto e le minacce continue della Corea del Nord e del terrorismo internazionale, i Governi del mondo e soprattutto quelli delle potenze nucleari non sono pervasi dalla consapevolezza che è arrivato il momento di perseverare con determinazione nel bandire le armi nucleari;
    già dal 1968 l'articolo VI del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (TNP), ratificato dal nostro Paese nel 1975, impegna ciascuna parte a perseguire in buona fede negoziati per definire nel più breve tempo possibile misure effettive che conducano alla cessazione della corsa agli armamenti nucleari e quindi al disarmo nucleare;
    ciascuno degli Stati militarmente non nucleari che hanno sottoscritto il TNP «si impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi», ma l'Italia, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo in contrasto con tale impegno e con l'articolo 26 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 23 maggio del 1969, ratificata nel 1974 ed entrata in vigore nel 1980, continua a mettere a disposizione il proprio territorio per l'installazione, il transito, la detenzione e l'uso di armi nucleari;
    ciò avviene in base all'accordo Nato di condivisione nucleare «Nuclear sharing agreements» che prevede una serie di impegni di condivisione di strutture ed infrastrutture: oltre allo stoccaggio delle bombe, che sono sotto il controllo degli Stati Uniti, è previsto l'addestramento di piloti italiani per il possibile uso delle armi e la partecipazione italiana alle riunioni del Nuclear Planning Group della Nato;
    l'Italia è la nazione con il più alto numero di ordigni nucleari Usa stoccati sul suolo europeo: secondo i dati della Federation of American Scientists, ad Aviano e a Ghedi sono stoccate settanta delle centottanta bombe presenti in Europa e il nostro è l'unico Paese in Europa con due basi nucleari: quella dell'Aeronautica militare di Ghedi e quella statunitense di Aviano (Pordenone);
    è noto da tempo, che il Pentagono ha stanziato ingenti risorse per ammodernare il proprio arsenale di bombe atomiche, comprese quelle depositate nelle basi all'estero o in quelle di Paesi alleati. In questo contesto, le bombe atomiche stoccate in Italia saranno presto sostituite dalle nuove bombe B61-12;
    su questo arsenale nucleare il Governo italiano ha sempre rifiutato di fornire informazioni. Le poche informazioni di cui si dispone provengono in gran parte dai rapporti delle ispezioni sulla sicurezza degli arsenali nucleari, rilasciati dal Pentagono, che possono indicare se ci sono stati problemi con il personale che maneggia gli armamenti nucleari, se ce ne sono stati con l'equipaggiamento tecnico o con altri aspetti dello stoccaggio delle armi;
    è di pochi giorni fa, tuttavia, la notizia che, per effetto di una decisione della US Air Force e del Joint Chiefs of Staff, gli USA hanno deciso di secretare anche tali report, rendendo impossibile l'accesso anche a queste informazioni minime, per sapere se le bombe di Aviano e a Ghedi hanno falle di sicurezza, emerse grazie alle ispezioni ufficiali dello stesso Governo americano;
    l'accesso a queste informazioni non ha mai comportato un rischio, dal momento che i report non contengono dati classificati, e ora che si parla dell'arrivo in Italia della nuova bomba termonucleare B61-12, che ha il sistema di puntamento digitale, compatibile con i sistemi elettronici dell'F35-A, l'esigenza di un controllo minimamente efficace di questi armamenti è più cruciale che mai;
    l'Italia partecipa, altresì, al progetto per la realizzazione del Joint Strike Fighter (F-35), cacciabombardiere capace di trasportare anche ordigni nucleari con caratteristiche stealth e net-centriche. Ciascun velivolo F-35 potrà trasportare due bombe nucleari di tipo B61-12;
    l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, approvando il 23 dicembre 2016 la risoluzione n. 41, ha avviato un nuovo percorso per attuare l'obiettivo del Trattato di non proliferazione (TNP), mediante la predisposizione di strumenti giuridicamente vincolanti per la proibizione delle armi nucleari;
    il 7 luglio 2017 l'Assemblea generale dell'ONU ha approvato il Trattato per il bando definitivo delle armi nucleari, sotto la pressione della società civile internazionale, che ha preso parte attivamente ai negoziati, diventando l'agente determinante per il raggiungimento di questo obiettivo;
    a favore hanno votato 122 Paesi, ma purtroppo tra questi non c’è l'Italia, che non ha partecipato al voto. A pesare molto fortemente è stata l'assenza ai negoziati delle maggiori potenze nucleari (USA, Russia, Francia), nonché dei Paesi aderenti alla NATO. L'Italia, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, si è di fatto adeguata al volere degli altri Paesi, soprattutto degli Stati Uniti e della NATO;
    nonostante il ruolo dell'ONU in materia nucleare sia stato sovrastato dall'unilateralismo, dalla Nato e dall'instabile gioco delle grandi potenze, il Trattato per il bando definitivo delle armi nucleari è un passo importante in avanti per il rilancio dell'azione di disarmo e l'adozione di misure efficaci. Per tali ragioni serve che anche l'Italia lo sottoscriva e lo ratifichi, consentendo al Trattato di entrare in vigore al raggiungimento della cinquantesima ratifica,

impegna il Governo:

1) ad assumere le iniziative di competenza per sottoscrivere e ratificare, dopo la data del 20 settembre 2017, quando inizierà il processo di ratifica, il Trattato dell'ONU per la messa al bando delle armi nucleari, anche al fine di garantire la sua effettiva entrata in vigore che avverrà solo dopo la ratifica da parte di 50 Paesi;

2) ad attivarsi presso la Nato e gli Stati Uniti, anche nel rispetto dell'impegno a non ospitare armi nucleari assunto con il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, incluso il divieto di installazione, transito, detenzione e uso di armi nucleari, per chiedere un'immediata rimozione di qualsiasi ordigno nucleare presente sul territorio italiano, liberando gli italiani dalla minaccia che essi rappresentano;

3) ad assumere iniziative per opporsi alla decisione degli USA di secretare i report delle ispezioni sulla sicurezza degli arsenali nucleari in Italia che renderebbe impossibile per l'opinione pubblica avere accesso a informazioni minime sulla sicurezza della popolazione che abita vicino alle basi e dell'Italia;

4) a non procedere all'acquisizione dei componenti hardware e software necessari per equipaggiare le varie versioni del velivolo F-35 delle capacità necessarie per trasportare e sganciare armi nucleari del tipo B61-12, il cui schieramento operativo sul territorio europeo è previsto a partire dalla fine del presente decennio nell'ambito dei programmi di condivisione nucleare dell'Alleanza Atlantica;

5) a promuovere in tempi rapidi un'attenta ridefinizione del modello di difesa italiano sulla base del dettato costituzionale e della politica estera italiana, affermando un ruolo centrale per la politica europea e sostenendo il ruolo di peacekeeping per le Forze armate;

6) a subordinare qualsiasi decisione sui sistemi d'arma da acquisire alla definizione del modello di difesa.
(1-01673)
«Marcon, Airaudo, Brignone, Civati, Costantino, Daniele Farina, Fassina, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Gregori, Andrea Maestri, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pastorino, Pellegrino, Placido».
(24 luglio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    la situazione internazionale non accenna a migliorare, continuando piuttosto a caratterizzarsi per la numerosità e complessità dei teatri di crisi, su molti dei quali le maggiori potenze mondiali e regionali si misurano attraverso vere e proprie forme di guerra per procura;
    dal 1945 ad oggi, le armi nucleari hanno contribuito a mantenere la pace tra le maggiori potenze del pianeta, anche se costituisce motivo di preoccupazioni crescenti l'interesse dimostrato nei confronti della loro acquisizione da parte di Paesi che spesso non condividono la medesima cultura e razionalità strategica occidentale;
    le ragioni di fondo che indussero l'Alleanza Atlantica a poggiare la propria strategia di mantenimento della pace sul possesso e la disponibilità ad usare le armi nucleari degli Stati Uniti non sono ancora venute meno. La proliferazione delle armi di distruzione di massa sembra anzi aggiungerne di nuove;
    furono gli europei ad esigere a suo tempo lo stazionamento nel nostro Continente delle armi nucleari americane e non gli Stati Uniti ad imporlo;
    l'intenzione annunciata dal Presidente americano Donald Trump di riorientare la Nato in modo tale da renderne più agevole l'impiego a sud e sud-est dell'Europa, non necessariamente contro la Federazione Russa, ma, anzi, anche in collaborazione con la Russia, offre ulteriori incentivi al mantenimento delle armi nucleari americane nel nostro Continente;
    dubbi concernenti la presunta diminuzione dell'interesse degli Stati Uniti alla sicurezza europea hanno già provocato in Germania l'apertura di un dibattito sull'opportunità che la stessa Repubblica federale tedesca si doti di un proprio deterrente nucleare nazionale;
    esiste quindi il rischio potenziale che il ritiro delle armi nucleari americane dall'Europa provochi una corsa al riarmo nucleare anche fra alleati europei della Nato, dalle conseguenze politiche e strategiche imprevedibili ma sicuramente dannose per la coesione complessiva dell'Occidente;
    in seguito alla «Brexit», il nostro Paese si trova oggi a disporre di una posizione geopolitica che potrebbe permettergli di assumere un ruolo di mediazione tra gli Stati Uniti e la Germania, ed in senso più ampio l'Unione europea, tra i quali sta emergendo un'evidente contrapposizione di interessi e visioni;
    il deteriorarsi delle condizioni di sicurezza in Estremo Oriente potrebbe spingere anche il Giappone a riconsiderare la propria opzione contraria all'acquisizione delle armi nucleari;
    in assenza dell’«ombrello» nucleare americano anche l'Italia sarebbe chiamata ad effettuare nuove ed impegnative scelte sul piano della propria politica di sicurezza;
    non è chiara la posizione del nostro Paese per il caso in cui si giungesse effettivamente a pervenire ad un'integrazione europea anche nel campo della difesa e, conseguentemente, all'europeizzazione del deterrente nucleare francese,

impegna il Governo:

1) ad intensificare i propri sforzi in tutte le sedi competenti affinché venga progressivamente depotenziata la spinta ad allargare e modernizzare gli arsenali nucleari militari;

2) a favorire il dialogo tra le maggiori potenze nucleari del pianeta, quale miglior precondizione della progressiva e bilanciata riduzione degli ordigni atomici nel mondo;

3) a confermare l'impegno del nostro Paese a scoraggiare il fenomeno della proliferazione nucleare tra le potenze emergenti ed altresì nei confronti di Stati alleati, come la Germania ed il Giappone, che starebbero riflettendo sull'opportunità o meno di dotarsi di propri arsenali atomici;

4) a non rinunciare, data la criticità dell'attuale situazione internazionale, alla garanzia comunque ancora offerta dalla disponibilità statunitense a proteggere anche nuclearmente l'Europa, ed il nostro stesso Paese, non necessariamente rispetto alla Russia ma più in generale contro qualsiasi aggressore potenziale;

5) a chiarire la posizione del nostro Paese in merito all'eventualità che in futuro la Force de Frappe francese divenga il nucleo del deterrente nucleare di un'Europa integrata, anche dal punto di vista militare.
(1-01674)
«Gianluca Pini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Rondini, Saltamartini, Simonetti».
(24 luglio 2017)

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