TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 872 di Martedì 17 ottobre 2017

 
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INTERPELLANZA E INTERROGAZIONI

A) Interrogazione

   QUARTAPELLE PROCOPIO, GRIBAUDO, MONACO, TIDEI, LA MARCA, ZAMPA e CARROZZA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   dalla fine della seconda guerra del Congo, nel 2003, la Repubblica democratica del Congo aveva conosciuto sotto la presidenza di Joseph Kabila, rieletto per due mandati, un periodo di relativa stabilità;
   nell'agosto del 2016 in un conflitto a fuoco con la polizia veniva ucciso un leader storico dell'etnia Luba della regione del Kasai, e storico avversario di Kabila, Kamwina Nsapu, fatto che scatenava la rivolta dei suoi seguaci in tutta la regione;
   nel novembre del 2016 avrebbero dovuto tenersi le elezioni legislative e presidenziali, ma il Presidente in carica, giunto alla scadenza del suo secondo mandato, ha deciso di non dimettersi e di non indire nuove elezioni; a questa decisione è seguito l'accordo di San Silvestro in cui è stato coinvolto nel Governo il principale partito di opposizione;
   con l'inizio del 2017 la situazione nella regione congolese del Kasai si deteriora. Lo scontro tra miliziani, da un lato, e polizia ed esercito regolare, dall'altro, avrebbe prodotto diverse centinaia di morti: ancora più grave il bilancio per la popolazione civile;
   già nel mese di marzo 2017 la Commissione dei diritti umani dell'Onu ha recensito circa dodici fosse comuni tra il Kasai Centrale e il Kasai orientale, successivamente altre fonti giornalistiche (Radio France International (Rfi) e la Reuters) riferivano della scoperta di altre otto fosse comuni. Avvenire, il quotidiano della conferenza episcopale italiana molto attento e informato sulle vicende relative al continente africano, ne avrebbe censite fino ad ottanta. Le vittime ivi sepolte sarebbero state uccise in un modo atroce;
   sempre nel mese di marzo 2017 due componenti della commissione di esperti dell'ONU, l'americano Michael Sharp e la svedese Zahida Katalan, sarebbero stati rapiti, torturati e uccisi nel Kasai Centrale probabilmente dalle milizie di Kamwina Nsapu, mentre indagavano su presunti crimini di pulizia etnica commessi proprio da queste milizie;
   è poi noto che le medesime forze armate reclutino in tutta la regione «bambini soldato» che farebbero poi entrare in azione sotto effetto di sostanze psicotrope; la presenza di «bambini soldato» in Congo è stata peraltro denunciata anche nell’Angelus del 19 febbraio da Papa Francesco;
   secondo l'Onu e fonti vicine alla Chiesa cattolica sarebbero oltre 3.300 i morti e 1,4 milioni gli sfollati, generati dalla guerra etnica in corso nel Kasai. In 300.000 si sarebbero rifugiati all'estero, di cui 30.000 in Angola. Fonti più recenti, provenienti dall'Arcidiocesi di Kananga, parlano addirittura di 20.000 vittime. Inoltre, si calcolano 400 mila bambini a rischio di morire di fame;
   l'Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha denunciato i gravi crimini commessi da tutte le parti in conflitto nella regione. Scott Campbell, responsabile diritti umani per l'Africa centro-ovest ha dichiarato: «quello che abbiamo verificato sono attacchi su un ampio raggio, molti di questi assalti contro alcuni villaggi sono ben pianificati. Le uccisioni di massa potrebbero essere considerate un crimine contro l'umanità. Naturalmente solo un tribunale competente può stabilirlo»;
   alle questioni etniche si uniscono quelle economiche: la regione del Kasai, infatti, è ricca di diamanti –:
   se al Governo risulti quanto sopra esposto e se intenda promuovere, sia in sede di Unione europea, visto il legame storico che il Congo ha con alcuni partner europei dell'Italia, che in sede Onu, le opportune iniziative perché si arrivi al più presto a ristabilire, insieme alla piena e funzionale vita democratica, le condizioni durature di pace e sicurezza in una regione come quella del Kasai e in una nazione come quella della Repubblica democratica del Congo segnate per troppo tempo da uno stato di guerra e di miseria endemiche. (3-03302)
(16 ottobre 2017)
(ex 5-12245 del 21 settembre 2017)

B) Interrogazione

   LACQUANITI, MARTELLI, CARRA, ZANIN, FRANCO BORDO, PIRAS. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in Italia sono attualmente presenti oltre 70.000 apicoltori con 1,3 milioni di alveari, per un fatturato complessivo superiore ai 60 milioni di euro;
   secondo alcuni studi di settore e i dati forniti dalle associazioni di categoria l'84 per cento delle specie di piante e il 76 per cento della produzione alimentare in Europa dipende dall'impollinazione delle api;
   nel 2012 è apparsa per la prima volta in Italia, a Loano in Liguria, la vespa velutina, o calabrone asiatico, pericoloso insetto alieno di origine cinese predatore di api e altri impollinatori, che dopo la penetrazione in Liguria di ponente e Piemonte meridionale e centrale (in provincia di Cuneo e Torino) si sta spingendo sempre più verso il Veneto (in provincia di Rovigo), la Lombardia e l'Emilia;
   comparsa in Europa per la prima volta nel 2004 in Francia, la vespa velutina è stata responsabile, secondo i dati forniti dalla Francia stessa, della perdita di alveari pari al 50 per cento con un avanzamento potenziale di 100 chilometri all'anno. Oltre a cacciare direttamente le api all'ingresso dell'arnia calabrone impedisce loro di uscire per raccogliere nettare e polline, indebolendo in questo modo anche le colonie che rischiano di morire;
   forte è l'allarme nel mondo dell'agricoltura per la presenza di questo insetto che sta causando gravi danni economici agli apicoltori italiani essendo in grado di ridurre fino al 75 per cento la produzione degli alveari;
   a inizio di maggio un esemplare adulto di calabrone asiatico è stato intrappolato in una centralina nel mantovano, all'interno del centro abitato di Borgofranco sul Po (MN), sulla riva destra del fiume. Il ritrovamento è stato confermato dall'Associazione apicoltori di Mantova e realizzato da Lover, la neonata rete di monitoraggio di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Segno che il nido di velutina trovato nel 2016 nel sud del Veneto è riuscito a gemmare nuove colonie –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti e se non ritenga, anche alla luce di quanto descritto, di assumere le iniziative di competenza volte ad arginare il fenomeno che sta causando così tanti danni economici agli apicoltori italiani, a sostenere gli apicoltori colpiti dall'invasione di questo parassita, ad approntare una rete di monitoraggio scientifica efficiente, in grado di valutare la capacità di penetrazione e diffusione del parassita nel territorio, e a delineare, insieme con gli apicoltori, le associazioni, i rappresentati degli enti competenti e delle regioni, una strategia per tentare di eradicare o quantomeno contenere i focolai della vespa velutina. (3-03067)
(13 giugno 2017)

C) Interrogazione

   IACONO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   diversi comuni della Sicilia, specificamente quelli con più spiccata vocazione agricola del versante sud occidentale, in ragione delle elevatissime temperature registrate in queste settimane, della perdurante e straordinaria ondata di siccità e delle loro nefaste conseguenze sul comparto vitivinicolo, agricolo e zootecnico, hanno chiesto a gran voce, tanto al Governo nazionale che al presidente della regione siciliana, una risposta immediata a tale stato di cose, sollecitando in particolar modo il riconoscimento, per le province interessate, dello stato di calamità naturale;
   un tale provvedimento, ove adottato, consentirebbe con effetto immediato una risposta concreta ad un comparto che, proprio a causa di tali straordinarie avversità climatiche, rischia un autentico collasso per la stagione in corso, rendendo pertanto improcrastinabile porre in essere tutte le azioni volte a sostenere economicamente, come previsto dalla vigente formativa, le aziende danneggiate da tali condizioni di estremo disagio;
   le elevate temperature stanno imperversando pesantemente su un territorio che, come è noto, ha nell'agricoltura di qualità la sua forza di propulsione economica e riconoscere il grave disagio economico e sociale ed intervenire concretamente appaiono passaggi essenziali per sostenere le comunità;
   infine, il grido d'allarme lanciato da tante comunità riguarda un pezzo significativo del prodotto interno lordo nazionale, con evidenti ricadute sulla tenuta dei livelli occupazionali del mezzogiorno, rendendo se possibile ancora più urgente un intervento a tutela di interi comparti –:
   quali iniziative il Governo, di concerto con la regione siciliana, intenda assumere, al fine di salvaguardare il comparto agricolo, zootecnico, vitivinicolo e agrumicolo del Mezzogiorno d'Italia e per far fronte alle straordinarie avversità climatiche, quali quelle determinatesi nelle scorse settimane. (3-03206)
(12 settembre 2017)

D) Interpellanza

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   i detenuti ad oggi presenti nella casa circondariale di Trapani si aggirano intorno alle 522 unità, di cui 305 circa con una posizione giuridica definitiva;
   i funzionari giuridico-pedagogici attualmente previsti in pianta organica sono 6 (pianta organica risalente a quando la capienza regolamentare era di 358 detenuti);
   il nuovo padiglione consegnato nell'autunno 2016 ha una capienza di 200 detenuti, oggi già presenti; altre due sezioni sono in fase di ristrutturazione;
   i detenuti orientativamente previsti a pieno regime sono oltre 600 unità;
   ad oggi e ormai da vari mesi, i 522 detenuti sono seguiti esclusivamente da due funzionari con contratto di lavoro a tempo pieno e un funzionario con contratto di lavoro part-time;
   un funzionario, dopo una lunga assenza per malattia, è deceduto, un altro funzionario è assente da circa tre mesi;
   sembra che il criterio adottato dal dipartimento di amministrazione penitenziaria preveda un funzionario giuridico-pedagogico ogni 100 detenuti per le case circondariali e un funzionario giuridico- pedagogico ogni 50 detenuti per le case di reclusione. Se così fosse, in considerazione dell'attuale presenza di 300 detenuti definitivi ed un numero totale di detenuti presenti pari a 522 unità - numero che inevitabilmente aumenterà con l'apertura delle due sezioni in fase di ristrutturazione - si imporrebbe l'ampliamento della pianta organica fino ad arrivare ad almeno 10 funzionari giuridico-pedagogici;
   solo la presenza di un congruo numero di funzionari dell'area trattamentale può garantire l'espletamento dei compiti previsti dall'ordinamento penitenziario, miranti al trattamento dei soggetti con condanna definitiva e al sostegno dei ristretti in attesa di giudizio;
   si deve, altresì, tenere conto delle peculiarità della casa circondariale di Trapani in relazione a:
    un elevato numero di detenuti definitivi;
    un alto numero di detenuti immigrati e/o tossicodipendenti;
    la presenza, oltre alla media sicurezza, di una sezione «protetti», di una ad «alta sicurezza», di una per «semiliberi», con le specifiche caratteristiche che contraddistinguono ognuna;
   tutto ciò premesso, è necessaria, in attesa di un ampliamento dell'attuale pianta organica, almeno la sostituzione dei due funzionari assenti, altrimenti, è impossibile garantire il trattamento dei detenuti in tali precarie condizioni;
   pare pertanto riscontrarsi la violazione dei princìpi costituzionali che prevedono la finalità educativa della pena e il rispetto per la dignità di ogni detenuto –:
   quali iniziative urgenti e necessarie intenda adottare per porre fine a tale gravissima situazione di malagiustizia e, pertanto, quali soluzioni si intendano approntare per integrare i funzionari mancanti.
(2-01878) «Giachetti».
(11 luglio 2017)

E) Interrogazione

   ZACCAGNINI e PIRAS. — Al Ministro della difesa, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'associazione «Il movimento libera rappresentanza», è un'organizzazione non politica, senza scopi di lucro, nata dalla volontà di un gruppo di cittadini che desiderano unire la società civile con quella «militare», alla quale partecipano anche membri osservatori di Euromil, l'organizzazione internazionale delle associazioni militari. In data 1o giugno 2015, a firma del proprio consulente legale, l'avvocato Francesco Pandolfi «esperto in diritto militare», compare sul blog dell'associazione il seguente contributo dal titolo: «Militari: indice di massa corporea», nel quale si descriveva come:
  «Lo Stato Maggiore dell'Esercito applica al personale militare la cosiddetta circolare I.MC, “indice di massa corporea”, che fissa un limite tra l'idoneità e la non idoneità al servizio, ossia il limite del 30 per cento per gli uomini e il 28 per cento per le donne, riconducendo il controllo ad una mera applicazione di una formula matematica senza tenere contro della specificità di ogni individuo. Sembra però che detta circolare venga applicata in maniera generica sul personale: chi non rientra nei requisiti previsti (elaborazione matematica di valori antropometrici) viene collocato in convalescenza per lunghi periodi, fino a 180 giorni, senza lavorare, il tutto per ridurre l'IMC di almeno un punto: dopo di ciò si avvia la fase delle convalescenze, fino a due anni. Da un lato si tratta di un grave spreco economico poiché si pagano persone collocate dalla propria amministrazione a riposo coatto, dall'altra parte queste interminabili convalescenze mettono a rischio l'impiego del militare. Ora, stando ai principi di medicina legale, al fine di valutare l'idoneità o meno al servizio, si individua come sbarramento un'infermità ascrivibile ad una 5o o 6o categoria comunque, tale patologia deve essere in netto contrasto con l'espletazione dei compiti d'istituto»;
   nel medesimo contributo si legge che «nelle tabelle delle valutazioni di infermità, l'obesità non viene menzionata; le CMO applicano la normativa rigidamente rispetto ad altre patologie permanenti. Non potendo riformare solo per l'obesità, tendono a far sforare i 730 giorni (stipendiati senza lavorare per risposo forzato) di aspettativa, con conseguente decadimento dal servizio e con la possibilità di non transitare nei ruoli civili. Per quanto concerne invece l'invalidità civile, la percentuale d'invalidità che può essere concessa ad un soggetto obeso (soltanto in presenza di obesità di terzo grado con IMC superiore a 40 per cento) va dal 31 per cento al 40 per cento in quei soggetti con limitata funzionalità e con masse adipose voluminose tali da non poter svolgere le normali attività»;
   nel documento è altresì evidenziato che «è corretto considerare l'obesità come una patologia vera e propria da trattare come tale, ovvero con percorsi personali mirati di rieducazione elementare e di sport. Un ambiente di lavoro particolarmente stressante può condurre alcune persone ad un deperimento generale, altre all'impinguamento: si può pretendere che una persona possa intraprendere un percorso per ristabilire un equilibrio salutistico se subisce la costante pressione psicologica della paura di perdere il lavoro ? Sembra arduo giungere a valutare l'obesità in funzione del grado e dell'incarico, che, evidentemente, non corrispondono a parametri medici»;
   nello stesso documento si rileva che «rispetto alla questione tesa a verificare e far rientrare il personale militare all'interno dei parametri ponderali, indicati dalla direttiva di forza armata, sovente sono state sollevate da parte del personale domande e perplessità che fanno emergere forti dubbi e lacune normative»;
   a giudizio dell'interrogante è condivisibile quanto esposto nel suddetto documento, laddove si legge ancora che «si ritiene opportuno rivedere alcuni parametri giudicati eccessivi e privi di fondamento scientifico con un ulteriore elemento di dubbio, nascente dal fatto che la normativa vigente preveda, in caso di superamento della percentuale del 30 per cento, l'obbligo per il personale di essere posto in convalescenza attraverso un lesivo meccanismo di deliberata “esclusione” anziché “inclusione” della persona dall'ambito lavorativo. Di fatto la persona si ritrova sola a gestire e risolvere la propria condizione»;
   «la tutela della salute, si evidenzia inoltre nel documento, è scopo primario di ogni norma e, per questo, occorre un vero e proprio cambiamento di “filosofia”, atto a preservare e mettere al centro della problematica la persona. L'aiuto va portato in loco con l'ausilio del DSS, degli istruttori ginnico-militari, per seguire un programma alimentare e sportivo all'interno delle strutture e in orari di servizio, evitando di porre, in convalescenza e con obbligo di presentarsi alle visite preposte solo alla scadenza di questa. La convalescenza produce effetti dirompenti in termini di carriera e giuste aspettative in capo al personale rappresentato: non vengono effettuate le minime consulenze specialistiche in materia, nonostante provvedimenti quali quelli della collocazione in convalescenza (che rischiano di determinare la perdita del posto di lavoro). È noto che tali “rischi” non sussistono per gli appartenenti ad altre Forze armate, tanto meno in capo al comparto sicurezza, e ciò nonostante, i dettami legislativi di equa ordinazione. Le disposizioni in materia di IMC possono portare fino alla perdita del posto di lavoro per riforma, ciò in palese disparità di trattamento tra il personale dello stesso comparto o tra i comparti Difesa-Sicurezza». Il Ministero della salute dà indicazioni ben precise sull'unità di misura IMC;
   l'IMC può determinare orientativamente, la valutazione del sovrappeso e dell'obesità, ma non dell'effettiva composizione della massa corporea di un individuo: in altri termini, l'indice di mass corporea non distingue la massa grassa dalla massa magra. In questo modo, si presenta l'evidente rischio di sovrastimare il grasso corporeo in soggetti, come gli sportivi, che hanno una corporatura muscolosa, oppure di sottostimare il grasso corporeo in soggetti anziani, che hanno meno massa muscolare. L'IMC non consente, pertanto, di conoscere la distribuzione del grasso corporeo che, invece, è fondamentale identificare nella sua localizzazione. La distribuzione di grasso maschile, detta «androide» si associa ad una maggiore presenza di tessuto adiposo nella regione addominale, toracica, dorsale. La distribuzione di grasso «a pera» detta «ginoide» (o anche sottocutanea) si caratterizza per una presenza delle masse adipose nella metà inferiore dell'addome, nelle regioni glutee e in quelle femorali. Con l'utilizzo dell'indice di massa corporea non sarà mai possibile, ad esempio, scoprire le differenze sostanziali tra soggetto femminile e soggetto maschile, avuto riguardo alla percentuale corporea di massa grassa e massa magra. Dunque, l'indice può essere indifferentemente utilizzato sia nei confronti degli uomini, che nei confronti delle donne: è questo uno dei suoi limiti, non rappresentando alcuna distinzione uomo/donna; gli studi medico – clinici e le stesse valutazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità ci dicono che le donne hanno un grasso maggiore rispetto agli uomini. Discorso a parte va fatto per tutte le persone un po’ più avanti con l'età. Questa categoria di soggetti è infatti influenzata da altri fattori, rispetto agli adulti più giovani, come le modificazioni biologiche collegate all'età, allo stato di salute, allo stile di vita, ai fattori socioeconomici: è possibile, quindi, tranquillamente dedurre che per entrambi i sessi l'efficacia dell'IMC diminuisce con il passare dell'età. In buona sostanza, l'indice di massa corporea, per la sua semplicità, non dà a giudizio dell'interrogante indicazioni utili sulla distribuzione del grasso corporeo, che invece sarebbe molto importante identificare –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intendano adottare in merito;
   se il Ministro della difesa intenda assumere iniziative volte a modificare la circolare di cui in premessa;
   come si concili l'applicazione della suddetta circolare con la normativa vigente in materia di diritti universali dell'uomo e di tutela della salute della persona, con quanto previsto dall'atto di arruolamento sottoscritto dai quadri permanenti, nonché con l'equo ordinamento tra le Forze armate e le Forze dell'ordine.
(3-02041)
(23 febbraio 2016)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE DI COMPETENZA IN MERITO ALLA NOMINA DEL GOVERNATORE DELLA BANCA D'ITALIA

   La Camera,
   premesso che:
    il Governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco, che ricopre la carica dal 1o novembre 2011 a seguito delle dimissioni di Mario Draghi, è in scadenza il 1o novembre 2017;
    la nomina del Governatore, secondo quanto disposto dall'articolo 19, comma 8, della legge 28 dicembre 2005, n. 262 («Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari»), è disposta con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d'Italia;
    il testo unico bancario ed il testo unico della finanza attribuiscono alla Banca d'Italia il potere di regolamentare numerosi aspetti dell'attività degli intermediari bancari e finanziari, per assicurare stabilità, efficienza e competitività al sistema finanziario. Gli atti normativi della Banca d'Italia disciplinano profili essenziali per la sana e prudente gestione degli intermediari, quali l'assetto organizzativo, le modalità di governo dell'impresa, i sistemi per il controllo dei rischi assunti, la trasparenza delle condizioni contrattuali e la correttezza dei comportamenti. Inoltre, l'esercizio dei poteri della Banca d'Italia è in determinati casi complementare a strumenti di vigilanza volti ad esercitare un'azione deterrente nei confronti dei comportamenti contrari alla prudente gestione, alla trasparenza e correttezza nei rapporti con la clientela;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, nell'ultimo decennio Banca d'Italia non solo avrebbe esercitato un controllo carente su determinate gestioni del credito e del risparmio che hanno rivelato – come accertato da indagini giudiziarie – la sussistenza di condotte in violazione della legge, ma avrebbe anche scelto, per il ruolo di commissari, soggetti considerabili «fiduciari», i quali in alcuni casi sarebbero apparsi soliti portare liquidità di piccoli istituti a banche vicine ai suddetti, invece di risanare quelle loro assegnate;
    la sopra citata mala gestione del credito e del risparmio avrebbe contribuito a determinare numerosi casi di crac finanziario (ben 7 negli ultimi 9 anni), che avrebbero a loro volta determinato perdite, per risparmiatori, utenti e lavoratori che – secondo quanto riportato sul sito di informazione online affaritaliani.it del 13 luglio 2017 – ammonterebbero a circa 110 miliardi di euro;
    l'Adusbef (Associazione difesa utenti servizi bancari e finanziari) ha più volte segnalato come la pratica di far pagare gli interessi sugli interessi (anatocismo), illegale dal 1o gennaio 2014 al 30 settembre 2016, sarebbe stata ugualmente praticata ai danni di prenditori di prestiti bancari, come accertato da diverse sentenze dei tribunali, tra le altre la sentenza del tribunale di Venezia in data 13 ottobre 2014 o quella del tribunale di Firenze in data 2 ottobre 2014;
    su tale questione l'Adusbef, il 3 marzo 2017, avrebbe presentato esposti-denunce presso diverse procure della Repubblica, ipotizzando l'omissione di atti d'ufficio da parte della Banca d'Italia, che, pur informata dalle associazioni dei consumatori presenti nel Cncu (Consiglio nazionale consumatori ed utenti), invece di esercitare la potestà prevista dall'articolo 128 del testo unico bancario, per «inibire ai soggetti che prestano le operazioni e i servizi disciplinati dal presente titolo la continuazione dell'attività, anche di singole aree o sedi secondarie, e ordinare la restituzione delle somme indebitamente percepite e altri comportamenti conseguenti», non sarebbe intervenuta, configurando – secondo la stessa Adusbef – oltre all'omissione in atti d'ufficio, eventuali più gravi reati a danno degli utenti dei servizi bancari;
    il pubblico risparmio è garantito dall'articolo 47 della Costituzione, in base al quale «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito»;
    quanto al «controllo» del credito, una corretta applicazione del dettato costituzionale, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, porta a configurare la banca centrale che lo esercita come un organismo indipendente e tutore – senza condizionamenti – dell'interesse collettivo, in tutti i suoi organi, anche e soprattutto, nella figura del Governatore,

impegna il Governo

1) in sede di deliberazione sulla proposta di nomina per la carica di Governatore della Banca d'Italia, valutate le circostanze descritte e le relative responsabilità, ad escludere l'ipotesi di proporre la conferma del Governatore in carica, Ignazio Visco.
(1-01707)
«Alberti, Pesco, Sibilia, Villarosa, Fico, Ruocco».
(25 settembre 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    da quanto si apprende da organi di stampa, il Governo sarebbe intenzionato a confermare il mandato, in scadenza il 1o novembre 2017, di Ignazio Visco quale Governatore della Banca d'Italia;
    l'attuale Governatore è in carica dal 1o novembre 2011, nominato in seguito alle dimissioni di Mario Draghi, con decreto del Presidente della Repubblica del 24 ottobre 2011. L'articolo 19, comma 8, della legge 28 dicembre 2005, n. 262 («Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari»), dispone infatti che la nomina del governatore sia disposta con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d'Italia. Lo stesso procedimento si applica anche per la revoca del Governatore;
    lo stesso articolo ha ridimensionato la durata della carica che è ora rinnovabile una sola volta, mentre fino al 2005 era senza limite di mandato;
    come si legge sul suo stesso sito istituzionale, la Banca d'Italia ha numerosi compiti finalizzati ad assicurare la stabilità monetaria, tra i quali uno dei più importanti è sicuramente quello di tutelare e garantire «la sana e prudente gestione degli intermediari, la stabilità complessiva e l'efficienza del sistema finanziario, nonché l'osservanza delle disposizioni che disciplinano la materia da parte dei soggetti vigilati»;
    da quanto si apprende invece da indagini giudiziarie e dalla stampa, la vigilanza operata negli ultimi anni ha presentato numerose falle derivanti proprio dalla mancata individuazione e, ancora peggio, in alcuni casi dalla mancata interruzione e sanzione delle condotte poco trasparenti tenute dalla dirigenza di alcuni istituti bancari, poi coinvolti in scandali o crisi che hanno richiesto l'intervento da parte dello Stato. Nel caso specifico della Banca popolare di Vicenza, la Banca d'Italia ha di fatto avallato scelte strategiche caratterizzate da evidenti carenze nell'intelligibilità delle comunicazioni sociali e in generale una mala gestione dei due istituti, facendo trasparire un rapporto e convergenze di interessi tali da pregiudicare il corretto rapporto fra controllore e controllato. Si fa riferimento, ad esempio, all'acquisto di palazzo Repeta, all'assunzione di ex ispettori della Banca d'Italia, ai mancati interventi a tutela degli investitori non istituzionali e alle pressioni per l'acquisto di banche in dissesto (Banca Etruria) e per la fusione delle stesse;
    da tempo quindi la governance di Banca d'Italia è oggetto di forti critiche sia per la vigilanza che per la gestione del sistema bancario, ad iniziare dal mancato intervento di messa in sicurezza del sistema bancario nel 2012, quando altri Stati europei hanno attinto, a questo fine, al fondo salva-Stati, del quale l'Italia stessa è fra i principali contribuenti. In seguito, si è resa corresponsabile secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, insieme al Governo, dell'intempestiva e fallimentare gestione delle crisi che hanno interessato le quattro banche poste in risoluzione a fine 2015 (CariChieti, Banca Etruria, Banca Marche e Carige), il salvataggio di Monte dei Paschi di Siena e la messa in liquidazione delle due popolari Veneto Banca e Banca popolare di Vicenza. Infine, in merito alla questione dei crediti deteriorati, non si possono non rilevare le mancanze di una gestione che non ha affatto risollevato, anzi peggiorato, lo stato di salute del patrimonio bancario italiano, che presenta ancora un ammontare preoccupante di non performance loan;
    infatti, in base ai dati forniti dalla stessa Banca d'Italia, a dicembre 2016, dei 173 miliardi di euro di crediti deteriorati netti, 81 erano classificati come sofferenze, 85 come inadempienze probabili e 7 come esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate; a giugno 2017, Carmelo Barbagallo, capo del dipartimento vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia fino al 2016, ha affermato che il tasso di incremento delle sofferenze registrato dagli intermediari significativi è stato, in media, superiore al 500 per cento ed è risultato particolarmente elevato (superiore al 350 per cento) anche tra gli intermediari più virtuosi;
    la responsabilità dell'attuale situazione è sicuramente imputabile alla crisi finanziaria del 2007, ma, in buona parte, è anche riconducibile per i firmatari del presente atto di indirizzo alla gestione negligente di alcuni vertici di istituti bancari che, nell'impunità più totale, e spesso, come già detto, con la sostanziale connivenza degli istituti di vigilanza, in primis Banca d'Italia, hanno contribuito ad aggravare la situazione patrimoniale delle banche da loro gestite, scaricando i rischi sui risparmiatori delle fasce più deboli;
    al sistema di vigilanza sono infatti imputabili anche i mancati interventi a tutela dei risparmiatori che, soltanto nel corso del 2016, hanno perso 15,6 miliardi di euro investiti in azioni e obbligazioni bancarie; come ha denunciato il Codacons, «tra il 2015 e il 2016 ben 218.996 piccoli investitori sono stati coinvolti dalle crisi bancarie che hanno visto protagoniste Veneto Banca, Banca popolare di Vicenza, Carife, Carichieti, Banca Marche, Banca Etruria» e «15.681.000.000 euro investiti in azioni e obbligazioni di questi istituti di credito sono stati letteralmente bruciati, con una perdita in media pari a 71.604 euro a risparmiatore»,

impegna il Governo

1) tenuto conto di quanto descritto in premessa in merito alle responsabilità della governance dell'Istituto nazionale nella gestione e nella vigilanza del sistema bancario, a non avanzare, in sede di proposta di nomina del Governatore della Banca d'Italia in scadenza il 1o novembre 2017, la riconferma dell'attuale Governatore, Ignazio Visco.
(1-01726)
«Busin, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».
(13 ottobre 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    il comma 7 dell'articolo 19 della legge n. 262 del 2005 dispone che la carica di Governatore della Banca d'Italia dura sei anni, con la possibilità di un solo rinnovo del mandato;
    l'incarico dell'attuale Governatore Ignazio Visco scade il 1o novembre 2017 e, secondo fonti giornalistiche, il Presidente del Consiglio dei ministri Paolo Gentiloni avrebbe espresso «incondizionata fiducia» ai vertici della Banca d'Italia, facendo intendere che, nell'esercitare ai sensi della predetta legge n. 262 del 2005 la facoltà di proporre la nomina della carica, sarebbe orientato a confermargli il secondo mandato;
    le vicissitudini che negli ultimi anni hanno segnato il sistema bancario, come i dissesti di Cassa di risparmio di Ferrara, Banca delle Marche, Banca popolare dell'Etruria e del Lazio, Cassa di risparmio della provincia di Chieti, Monte dei Paschi di Siena, Banca Veneta e Banca popolare di Vicenza, ed ancor prima i gravissimi casi Cirio e Parmalat ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo hanno aperto uno squarcio di forte discredito sul mercato finanziario italiano e sul sistema dei controlli, portando alla ribalta, con una girandola di accuse e «scaricabarile», un quadro a tinte fosche, dal quale emerge un confine poco definito tra la responsabilità di chi non ha debitamente informato la clientela sui rischi a cui andava incontro e quella di chi, invece, avrebbe dovuto e potuto, per dovere istituzionale, evitare ed impedire, attraverso la correttezza e la piena visibilità delle informazioni sulle caratteristiche dei prodotti finanziari venduti «al dettaglio» e attraverso la vigilanza, l'esposizione a rischi impropri per famiglie e aziende e il tracollo finanziario degli stessi e disvelare quel groviglio di connivenze e di conflitto di interessi che caratterizzava la loro gestione;
    i suddetti istituti di credito, infatti, pur essendo particolarmente radicati sul territorio ove operavano quali motore dell'economia locale, avevano iniziato a manifestare, innanzitutto in connessione con la profonda contrazione dell'economia reale, problemi di solvibilità già da diversi anni, divenendo, così, l'obiettivo di frequenti ispezioni da parte della Banca d'Italia e subendo fasi di commissariamento fino a raggiungere l'attuale configurazione di good bank. Una turbolenza, la loro, che nasce da lontano, ma che, stando ai particolari che di giorno in giorno sono stati disvelati, poteva essere domata o fortemente ridimensionata da un'adeguata azione di vigilanza da parte delle autorità di controllo all'uopo preposte, in primis la Banca d'Italia;
    la vigilanza sul sistema bancario, principale compito istituzionale attribuito alla Banca d'Italia dalla legge, si sostanzia oggi nell'emanazione di regole prudenziali e standard di affidabilità e correttezza delle gestioni, in linea con le disposizioni comunitarie e con le indicazioni elaborate in altre sedi internazionali, nell'esercizio di poteri autorizzativi concernenti le vicende ed i fondamentali momenti di vita delle banche (costituzione, fusioni ed altro), nella verifica della qualità della loro gestione, negli interventi sulle situazioni aziendali per impedire il deteriorarsi dei profili tecnici, nella gestione delle crisi in caso di situazioni di patologia conclamata, nell'interazione con gli esponenti aziendali e, più in generale, con i destinatari delle norme attraverso il ricorso alla consultazione pubblica e a forme di dialogo prima della definizione degli atti normativi. Difficile, pertanto, immaginare che chi è istituzionalmente preposto a vigilare non avrebbe potuto evitare l'irreparabile;
    pertanto, dalle vicende che hanno travolto i suddetti istituti di credito è emerso con chiarezza il malfunzionamento di quell'intreccio di norme che avrebbe dovuto garantire l'affidabilità del sistema creditizio. Talvolta, è mancata la trasparenza nella gestione delle procedure di affidamento e di vendita dei prodotti, l'imparzialità delle scelte; talaltra è mancato un efficace controllo che, pur rispettoso delle norme, non ha saputo interrompere una filiera dannosa per i correntisti e gli investitori e, soprattutto, è mancata la capacità del sistema bancario di comportarsi come tale, trovando, all'interno del suo perimetro occupato dalla Consob e dalla Banca d'Italia, le risposte necessarie per ristabilire questa affidabilità;
    il testo unico bancario e il testo unico della finanza attribuiscono alla Banca d'Italia il potere di regolamentare numerosi aspetti dell'attività degli intermediari bancari e finanziari, per assicurare stabilità, efficienza e competitività al sistema finanziario. Gli atti normativi della Banca d'Italia disciplinano profili essenziali per la gestione sana e prudente degli intermediari, quali l'assetto organizzativo, le modalità di governo dell'impresa, i sistemi per il controllo dei rischi assunti, la trasparenza delle condizioni contrattuali e la correttezza dei comportamenti;
    inoltre, a seguito delle innovazioni introdotte in materia dalla direttiva 2013/36/UE («CRD IV») la Banca d'Italia, in relazione alle violazioni commesse, può: irrogare sanzioni amministrative a carattere pecuniario alle società o agli enti e, in presenza di specifici presupposti, alle persone fisiche responsabili delle violazioni; applicare, per le violazioni connotate da scarsa offensività o pericolosità, alla società o agli enti un ordine volto a eliminare le infrazioni entro un termine stabilito; irrogare alle persone fisiche, nei casi di maggiore gravità, accanto alla sanzione pecuniaria la sanzione amministrativa accessoria dell'interdizione temporanea – da sei mesi a tre anni – dall'esercizio di funzioni presso intermediari;
    al fine primario di tutelare il risparmio ed anche per il forte impatto sui diversi soggetti coinvolti – mercati, depositanti, fruitori dei servizi di investimento, altri creditori, dipendenti, azionisti, destinatari di finanziamenti – la legge prevede una serie di strumenti e procedure per prevenire e gestire le crisi in cui gli intermediari possono essere coinvolti, attribuendo all'autorità di vigilanza (Banca d'Italia), in particolare in caso di deterioramento della situazione aziendale, il potere di adottare misure di intervento precoce, inclusa la richiesta di attuazione dei piani di risanamento di cui le banche si devono dotare o la rimozione collettiva dei componenti degli organi di amministrazione e controllo e di uno o più componenti dell'alta dirigenza; nei casi più gravi, può essere disposta la procedura di amministrazione straordinaria, che permette di accertare la situazione aziendale, al fine di rimuovere le irregolarità riscontrate e attuare soluzioni nell'interesse dei depositanti;
    è per tali ragioni che le vicissitudini che hanno segnato il sistema bancario degli ultimi anni stanno accompagnando tutte le discussioni sulla successione al vertice della Banca d'Italia,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative al fine di prorogare di un anno la scadenza dell'attuale mandato del Governatore della Banca d'Italia ed arrivare ad una nomina che abbia la necessaria legittimazione politica e sia, pertanto, espressione di un Parlamento ed un Governo frutto delle imminenti elezioni;
2) a promuovere le necessarie modifiche normative atte a coinvolgere le competenti commissioni di Camera e Senato nel processo di nomina del Governatore della Banca d'Italia;
3) a promuovere le modifiche normative necessarie affinché nella scelta del Governatore della Banca d'Italia siano rispettati criteri improntati alla trasparenza, all'autonomia, all'assenza di potenziali conflitti di interesse e relazioni consolidate con il sistema bancario, al fine di abbattere quella cortina di ombre che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, negli ultimi tempi si è addensata sulla massima autorità di controllo del sistema bancario.
(1-01728) «Paglia, Marcon, Fassina».
(16 ottobre 2017)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER PREVENIRE E CONTRASTARE LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE

   La Camera,
   premesso che:
    è un diritto umano fondamentale di ogni persona, e in particolare delle donne, vivere una vita libera dalla violenza, tanto nella sfera pubblica, quanto in quella privata;
    la discriminazione nei confronti delle donne non può che essere vietata in tutte le sue manifestazioni, anche mediante il ricorso a sanzioni, così come devono essere abolite le pratiche discriminatorie nei confronti delle donne;
    necessarie misure speciali per prevenire e proteggere le donne dalla violenza basata sul genere non possono ritenersi discriminatorie;
    le politiche pubbliche dovrebbero contemplare una prospettiva di genere, attuando la parità fra donne e uomini, nonché l'autonomia e l'autodeterminazione (empowerment) delle donne;
    la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e sulla lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (la cosiddetta «Convenzione di Istanbul»), approvata dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa il 7 aprile 2011, introduce un nuovo paradigma nel definire la violenza contro le donne, dando impulso a politiche pubbliche a contrasto della stessa. In particolare, infatti, prevede:
     a) la correlazione tra l'assenza della parità di genere e il fenomeno della violenza;
     b) una nozione ampia di violenza, che comprende anche quella psicologica ed economica, e, soprattutto, l'attenzione verso la forma di violenza più diffusa, quella domestica;
     c) la necessità di politiche antidiscriminatorie e che favoriscano l'effettiva parità fra i sessi al pari di misure atte alla prevenzione e al contrasto alla violenza nei confronti delle donne;
    oltre alla legge 27 giugno 2013, n. 77, concernente la Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, il Parlamento ha anche approvato la legge 15 ottobre 2013, n. 119, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere; inoltre, in data 7 luglio 2015, è stato anche adottato, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere;
    la definizione «violenza nei confronti delle donne» si riferisce a tutte le forme di violenza nei confronti delle donne ai sensi del capitolo V della Convenzione di Istanbul, ovvero la violenza psicologica, gli atti persecutori, la violenza fisica, la violenza sessuale, compreso lo stupro, il matrimonio forzato, le mutilazioni genitali femminili, l'aborto forzato, la sterilizzazione forzata e le molestie sessuali. Essa si riferisce, inoltre, alla violenza domestica nei confronti delle donne, definita come la violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verifica all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l'autore condivida, o abbia condiviso, la stessa residenza con la vittima;
    la Corte europea dei diritti umani ha stabilito che l'obbligo positivo di proteggere il diritto alla vita richiede che le autorità statali diano prova della dovuta diligenza, prendendo misure di prevenzione operative, a tutela della persona la cui vita sia in pericolo (in attuazione dell'articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo);
    nel nostro Paese si registra ormai un livello particolarmente preoccupante di recrudescenza nell'ambito della violenza contro le donne,

impegna il Governo:

1) ad ottimizzare al più presto le modalità di ricognizione e di denuncia del fenomeno della violenza di genere e a promuovere con urgenza misure atte ad evitare l'impunità per i responsabili di reati tanto gravi, quali quelli relativi alla violenza contro le donne;
2) ad assumere iniziative normative per rendere più agevole, snello e protetto l'accesso, da parte delle donne vittime di violenza di genere, agli strumenti inerenti alle misure restrittive nei confronti degli aggressori e, più in generale, in ambito processuale, per garantire la priorità assoluta nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi relativi ai reati di violenza di genere;
3) in conformità con l'articolo 31 della Convenzione di Istanbul, a promuovere un intervento normativo affinché, a fronte di separazioni e divorzi, in sede di determinazione dei diritti di custodia e di visita dei figli, si tenga conto delle condanne per maltrattamenti o stalking, ma anche di eventuali processi penali pendenti per maltrattamenti a carico del padre in danno della madre, nonché per escludere l'affidamento condiviso dei figli, ove risultino precedenti di violenze nelle coppie che si separano, in particolare prevedendo che i maltrattamenti costituiscano causa di esclusione dell'affido condiviso;
4) ad assumere iniziative normative per escludere il ricorso ai sistemi alternativi di risoluzione delle controversie, quali la mediazione e la conciliazione, nei casi di violenza di genere contro le donne, sistemi vietati dall'articolo 48 della Convenzione di Istanbul, in quanto presuppongono una situazione di parità delle parti, ontologicamente esclusa nelle situazioni di violenza, anche rispetto ai casi di stalking qualificati come «meno gravi» – che potrebbero invece sfociare e tradursi, di fatto, in forme gravi di violenza contro le donne – nonché per far sì che, rispetto a tali casi, l'istituto introdotto dall'articolo 162-ter del codice penale, relativo all'estinzione del reato per condotte riparatorie, non sia applicabile;
5) a promuovere al più presto politiche pubbliche per contrastare l'impatto cumulativo e la intersezione tra atti razzisti, xenofobici e sessisti contro le donne;
6) ad istituire una commissione di studio sulle cause strutturali della violenza di genere contro le donne;
7) ad incrementare, utilizzando i più rapidi strumenti normativi a disposizione, le politiche pubbliche volte all’empowerment femminile;
8) ad assumere iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, per sanare le disparità regionali e locali inerenti alla disponibilità e alla qualità dei servizi di protezione, compresi i rifugi per le donne vittime di violenza, nonché rispetto alle forme di discriminazione contro le donne vittime di violenza che appartengono a minoranze.
(1-01716)
«Martelli, Roberta Agostini, Bossa, Simoni, Albini, Duranti, Murer, Nicchi, Ricciatti, Rostan, Cimbro, Scotto, Laforgia, Speranza, Piras, Ferrara, Zaratti, Quaranta, Franco Bordo, Giorgio Piccolo, Folino, Mognato, Zappulla, Formisano, Zoggia, Matarrelli, Lacquaniti, Ragosta, Kronbichler, Leva, Fontanelli».
(28 settembre 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    la violenza contro le donne rappresenta una delle più estese violazioni dei diritti umani e costituisce il principale ostacolo al raggiungimento della parità dei sessi, del godimento dei diritti fondamentali, nonché dell'integrità fisica e psichica;
    come stabilito dall'articolo 1 della Dichiarazione sull'eliminazione della violenza contro le donne delle Nazioni Unite del 1993 l'espressione «violenza contro le donne significa ogni atto di violenza fondato sul genere che abbia, o possa avere, come risultato un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione e la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata»;
    la violenza di genere è un fenomeno globale, che riguarda tutte le etnie e tutte le classi sociali e che, come ribadito da Kofi Annan, già Segretario generale delle Nazioni Unite, «non conosce confini né geografia, cultura o ricchezza»;
    le notizie di cronaca riportano, in modo sistematico, episodi commessi nei confronti di donne che vengono molestate, minacciate, violentate, stuprate e uccise e che si trovano a vivere nella paura e nel disagio per le strade, nei mezzi pubblici e, specialmente, nelle proprie case;
    la violenza di genere rappresenta un freno all’empowerment femminile che è in grado di generare barriere che ostacolano la piena partecipazione delle donne alla vita sociale, economica e politica del proprio Paese;
    se si esamina il fenomeno il quadro è allarmante, tanto che i numeri parlano di un vero e proprio eccidio, una carneficina, che fa più vittime della mafia: la violenza è la prima causa di morte per le donne di età compresa tra i 16 ed i 44 anni;
    se nel mondo una donna su tre ha subito violenza fisica o sessuale, in Italia il numero delle donne che hanno subìto una forma di abuso o di violenza supera i 7 milioni: ogni anno più di 100 donne vengono uccise per mano di chi decide di amarle con una media di una donna uccisa ogni 3 giorni;
    durante il IV Governo Berlusconi, per la prima volta, è stato adottato un piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking, finanziato con più di 18 milioni di euro con una strategia di contrasto delineata su base nazionale, con l'obiettivo di mettere in rete l'esperienza dei centri antiviolenza nelle regioni italiane e del numero verde 1522 e le professionalità delle forze dell'ordine;
    nel 2009, con l'introduzione nell'ordinamento giuridico italiano del reato di stalking il Governo e il Parlamento hanno dimostrato la grande attenzione rivolta all'individuazione di strategie di contrasto e di prevenzione della violenza, compiendo un passo in avanti fondamentale nell'ordinamento italiano;
    il decreto-legge n. 11 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 38 del 2009, oltre a prevedere il reato di stalking nell'ordinamento italiano, ha introdotto ulteriori interventi in materia di violenza sessuale; il provvedimento, in particolare, ha introdotto l'arresto obbligatorio in flagranza per la violenza sessuale e la violenza sessuale di gruppo, nonché disposizioni volte a rendere più difficile ai condannati per taluni delitti a sfondo sessuale l'accesso ai benefici penitenziari, tra cui le misure alternative alla detenzione. La medesima legge ha, inoltre, consentito l'accesso al gratuito patrocinio, anche in deroga ai limiti di reddito ordinariamente previsti, a favore della persona offesa da taluni reati a sfondo sessuale. Il decreto-legge n. 11 del 2009 ha poi previsto, quale aggravante speciale dell'omicidio, il fatto che esso sia commesso in occasione della commissione del delitto di violenza sessuale, di atti sessuali con minorenne e violenza sessuale di gruppo, nonché da parte dell'autore del delitto di atti persecutori nei confronti della stessa persona offesa;
    nell'ambito delle numerose attività portate avanti durante i Governi Berlusconi per contrastare la violenza nei confronti delle donne, a partire dal 2009, ogni anno (dal 12 al 18 ottobre) nelle scuole di ogni ordine e grado sono state organizzate iniziative di sensibilizzazione, informazione e formazione sulla prevenzione della violenza fisica e psicologica, compresa quella fondata sull'intolleranza razziale, religiosa e di genere, al fine di creare un momento di riflessione sui temi del rispetto, della diversità e della legalità al fine di coinvolgere studenti, genitori e docenti;
    con protocollo d'intesa siglato il 15 gennaio 2009 tra il Ministro per le pari opportunità e il Ministero della difesa è stata istituita presso il Dipartimento per le pari opportunità la sezione atti persecutori dei carabinieri: una task force composta da 13 carabinieri (uomini e donne) impegnati nelle strategie di prevenzione e di contrasto dei reati di stalking e di violenza contro le donne;
    con protocollo d'intesa siglato il 3 luglio 2009 tra il Ministro per le pari opportunità e il Ministero dell'interno sono state adottate misure per consentire una specifica preparazione delle forze di polizia nel contrasto dei reati di violenza contro le donne;
    l'impegno di quel Governo non si è fermato ai confini nazionali: il 9 e 10 settembre 2009 si è tenuta a Roma la prima conferenza internazionale sulla violenza contro le donne, su iniziativa della Presidenza italiana del G8 a cui hanno preso parte ai lavori oltre 20 Stati. Dalle conclusioni della Presidenza è emerso un impegno al rafforzamento della cooperazione internazionale nel contrasto alla violenza sulle donne ed alla violazione dei loro diritti umani;
    nel settembre 2012, l'Italia ha sottoscritto la «Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica» dell'11 maggio 2011 (Convenzione di Istanbul), la cui legge di autorizzazione alla ratifica è stata approvata dalla Camera dei deputati il 28 maggio 2013;
    la Convenzione di Istanbul è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che si prefigge l'obiettivo di creare un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza, grazie a misure di prevenzione, di tutela in sede giudiziaria e di sostegno alle vittime;
    ad oggi, da parte dell'Esecutivo non vi è una chiara strategia volta a contrastare il fenomeno della violenza sulle donne, tanto che, per circa tre anni, è mancato un interlocutore istituzionale unico con delega relativa alle politiche delle pari opportunità, dedicato ad una concreta e seria azione di Governo volta a promuovere e coordinare le azioni in materia di violenza contro le donne e da quando la delega è stata assegnata non si sono registrati progressi;
    in merito agli interventi economici, la prima tranche dello stanziamento del fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità del 2013-2014 è stata trasferita alle regioni solo nell'autunno del 2014 e, una volta che la somma è arrivata nelle casse regionali, nella maggior parte dei casi se n’è persa traccia. Come documentato da Actionaid Italia, di trasparenza nella distribuzione ce n’è stata ben poca, tanto che a novembre 2015 solo per dieci amministrazioni era possibile consultare la lista delle strutture beneficiarie dei fondi, di cui solo cinque – Veneto, Piemonte, Sardegna, Sicilia e Puglia – hanno pubblicato on line i nomi di ciascuna struttura e i fondi ricevuti;
    la Corte dei conti, con deliberazione 5 settembre 2016, n. 9/2016/G, critica severamente la gestione ordinamentale amministrativa e finanziaria delle politiche pubbliche contro la violenza; nello specifico «passando al finanziamento specificamente destinato al potenziamento delle strutture destinate all'assistenza alle donne vittime di violenza e ai loro figli, deve farsi presente che del tutto insoddisfacente è risultata la gestione delle risorse assegnate per gli anni 2013-2014, le uniche ripartite nel periodo all'esame. Le comunicazioni degli enti territoriali all'autorità centrale si sono rilevate carenti e inadeguate rispetto alle finalità conoscitive circa l'effettivo impiego delle risorse e all'esigenza della valutazione dei risultati»;
    per quanto riguarda più propriamente gli interventi di natura legislativa, nel 2014, grazie ad una puntuale proposta emendativa di Forza Italia è stata scongiurata l'abolizione della carcerazione preventiva per il reato di stalking prevista, inizialmente, nel disegno di legge in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria;
    l'ultimo piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere è stato adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2015 con durata biennale; riguardo al nuovo piano nazionale antiviolenza, vi è stata soltanto la presentazione di una bozza delle linee strategiche quando, invece, l'importanza del fenomeno impone, come assoluta priorità di ogni livello di governo, di dover mettere in campo ogni possibile misura normativa, nonché lo studio e l'attuazione di interventi volti a prevenire episodi di violenza, abuso e vessazione di cui le donne sono vittime;
    con decreto del 25 luglio 2016 del Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento con delega alle pari opportunità, è stata istituita la cabina di regia interistituzionale e un osservatorio; tuttavia, ad oggi non si è a conoscenza né del numero delle riunioni, né delle politiche attuate;
    tutta questa superficialità nell'affrontare un tema che dovrebbe essere priorità delle istituzioni, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, è dovuta senz'altro alla scarsa attenzione nei confronti di questa tematica, dimostrata da ultimo con la riforma del codice penale, approvata con la legge 23 giugno 2017, n. 103, che, tra le varie misure, reca disposizioni in materia di estinzione del reato per condotte riparatorie e introduce, attraverso l'articolo 162-ter del codice penale, la possibilità per uno stalker di estinguere il suo reato pagando una somma decisa dal giudice anche se la vittima è contraria e rifiuta il denaro;
    una delle principali ragioni che ha spinto il legislatore a introdurre la specifica incriminazione di «atti persecutori» (articolo 612-bis del codice penale) è stata proprio la necessità di assicurare una risposta sanzionatoria adeguata di fronte a condotte persecutorie spesso devastanti per la personalità dei soggetti passivi;
    la fattispecie criminosa di cui all'articolo 612-bis del codice penale prevede un limite edittale massimo di cinque anni di reclusione; la suddetta soglia è necessaria per consentire l'applicazione delle misure cautelari coercitive a carico degli stalker, al fine di evitare la protrazione dei comportamenti persecutori che, il più delle volte, possono sfociare in atti di violenza nei confronti delle donne;
    partendo dal presupposto che solo con un profondo mutamento culturale si potrebbe combattere in modo efficace il fenomeno della violenza di genere, è necessario mettere in campo iniziative, anche in sede legislativa, volte a porre un freno all'incontenibile fenomeno di violenze che, purtroppo, ancora oggi molte donne sono costrette a subire,

impegna il Governo:

1) a dare contezza delle tempistiche di attuazione del nuovo piano nazionale contro la violenza sessuale e di genere e ad illustrarlo quanto prima alle Camere;
2) ad informare il Parlamento sui costi della violenza, sia in termini economici sia in termini sociali, al fine di avere un quadro che sia il più chiaro possibile su cui poter intervenire attraverso gli opportuni strumenti legislativi;
3) ad assumere iniziative per prevedere un intervento nelle scuole con programmi mirati di formazione agli studenti per prevenire la violenza nei confronti delle donne in riferimento all'utilizzo dei social media e di internet;
4) ad assumere iniziative volte a garantire ulteriori stanziamenti da erogare ai centri antiviolenza e alle case rifugio per evitare la loro chiusura e ad eliminare le disparità regionali e locali concernenti la disponibilità e la qualità dei servizi di protezione per tutte le donne vittime di violenza;
5) ad assumere le opportune iniziative al fine di garantire le misure volte a prevenire e proteggere le donne dalla violenza, in particolar modo in riferimento agli strumenti inerenti alle misure cautelari, le quali rappresentano un forte elemento dissuasivo per tutti quegli uomini che intendono porre in essere atti spregevoli nei confronti delle donne;
6) ad effettuare una ricognizione sul numero degli ordini di allontanamento e degli ordini di protezione applicati annualmente dai tribunali in Italia e, in particolar modo, sui tempi di attuazione;
7) ad adottare ogni opportuna iniziativa legislativa volta ad escludere che nella fattispecie di cui all'articolo 612-bis del codice penale, in materia di atti persecutori, sia applicabile l'istituto previsto all'articolo 162-ter del codice penale, relativo all'estinzione del reato per condotte riparatorie;
8) a rendere note le attività svolte, gli obiettivi raggiunti e le volte in cui si siano riuniti la cabina di regia interistituzionale e l'osservatorio e a divulgare le politiche nazionali proposte, nonché le buone pratiche che sono state condivise tra i territori mediante l'operato della cabina di regia.
(1-01727)
«Carfagna, Brunetta, Gelmini, Bergamini, Biancofiore, Calabria, Centemero, De Girolamo, Giammanco, Ravetto, Prestigiacomo, Occhiuto, Gullo, Labriola, Laffranco, Longo, Milanato, Minardo, Palmizio, Polidori, Elvira Savino, Sisto, Vella».
(16 ottobre 2017)

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