TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 878 di Mercoledì 25 ottobre 2017

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER PREVENIRE E CONTRASTARE LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE

   La Camera,
   premesso che:
    è un diritto umano fondamentale di ogni persona, e in particolare delle donne, vivere una vita libera dalla violenza, tanto nella sfera pubblica, quanto in quella privata;
    la discriminazione nei confronti delle donne non può che essere vietata in tutte le sue manifestazioni, anche mediante il ricorso a sanzioni, così come devono essere abolite le pratiche discriminatorie nei confronti delle donne;
    necessarie misure speciali per prevenire e proteggere le donne dalla violenza basata sul genere non possono ritenersi discriminatorie;
    le politiche pubbliche dovrebbero contemplare una prospettiva di genere, attuando la parità fra donne e uomini, nonché l'autonomia e l'autodeterminazione (empowerment) delle donne;
    la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e sulla lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (la cosiddetta «Convenzione di Istanbul»), approvata dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa il 7 aprile 2011, introduce un nuovo paradigma nel definire la violenza contro le donne, dando impulso a politiche pubbliche a contrasto della stessa. In particolare, infatti, prevede:
     a) la correlazione tra l'assenza della parità di genere e il fenomeno della violenza;
     b) una nozione ampia di violenza, che comprende anche quella psicologica ed economica, e, soprattutto, l'attenzione verso la forma di violenza più diffusa, quella domestica;
     c) la necessità di politiche antidiscriminatorie e che favoriscano l'effettiva parità fra i sessi al pari di misure atte alla prevenzione e al contrasto alla violenza nei confronti delle donne;
    oltre alla legge 27 giugno 2013, n. 77, concernente la Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, il Parlamento ha anche approvato la legge 15 ottobre 2013, n. 119, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere; inoltre, in data 7 luglio 2015, è stato anche adottato, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere;
    la definizione «violenza nei confronti delle donne» si riferisce a tutte le forme di violenza nei confronti delle donne ai sensi del capitolo V della Convenzione di Istanbul, ovvero la violenza psicologica, gli atti persecutori, la violenza fisica, la violenza sessuale, compreso lo stupro, il matrimonio forzato, le mutilazioni genitali femminili, l'aborto forzato, la sterilizzazione forzata e le molestie sessuali. Essa si riferisce, inoltre, alla violenza domestica nei confronti delle donne, definita come la violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verifica all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l'autore condivida, o abbia condiviso, la stessa residenza con la vittima;
    la Corte europea dei diritti umani ha stabilito che l'obbligo positivo di proteggere il diritto alla vita richiede che le autorità statali diano prova della dovuta diligenza, prendendo misure di prevenzione operative, a tutela della persona la cui vita sia in pericolo (in attuazione dell'articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo);
    nel nostro Paese si registra ormai un livello particolarmente preoccupante di recrudescenza nell'ambito della violenza contro le donne,

impegna il Governo:

1) ad ottimizzare al più presto le modalità di ricognizione e di denuncia del fenomeno della violenza di genere e a promuovere con urgenza misure atte ad evitare l'impunità per i responsabili di reati tanto gravi, quali quelli relativi alla violenza contro le donne;

2) ad assumere iniziative normative per rendere più agevole, snello e protetto l'accesso, da parte delle donne vittime di violenza di genere, agli strumenti inerenti alle misure restrittive nei confronti degli aggressori e, più in generale, in ambito processuale, per garantire la priorità assoluta nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi relativi ai reati di violenza di genere;

3) in conformità con l'articolo 31 della Convenzione di Istanbul, a promuovere un intervento normativo affinché, a fronte di separazioni e divorzi, in sede di determinazione dei diritti di custodia e di visita dei figli, si tenga conto delle condanne per maltrattamenti o stalking, ma anche di eventuali processi penali pendenti per maltrattamenti a carico del padre in danno della madre, nonché per escludere l'affidamento condiviso dei figli, ove risultino precedenti di violenze nelle coppie che si separano, in particolare prevedendo che i maltrattamenti costituiscano causa di esclusione dell'affido condiviso;

4) ad assumere iniziative normative per escludere il ricorso ai sistemi alternativi di risoluzione delle controversie, quali la mediazione e la conciliazione, nei casi di violenza di genere contro le donne, sistemi vietati dall'articolo 48 della Convenzione di Istanbul, in quanto presuppongono una situazione di parità delle parti, ontologicamente esclusa nelle situazioni di violenza, anche rispetto ai casi di stalking qualificati come «meno gravi» – che potrebbero invece sfociare e tradursi, di fatto, in forme gravi di violenza contro le donne – nonché per far sì che, rispetto a tali casi, l'istituto introdotto dall'articolo 162-ter del codice penale, relativo all'estinzione del reato per condotte riparatorie, non sia applicabile;

5) a promuovere al più presto politiche pubbliche per contrastare l'impatto cumulativo e la intersezione tra atti razzisti, xenofobici e sessisti contro le donne;

6) ad istituire una commissione di studio sulle cause strutturali della violenza di genere contro le donne;

7) ad incrementare, utilizzando i più rapidi strumenti normativi a disposizione, le politiche pubbliche volte all’empowerment femminile;

8) ad assumere iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, per sanare le disparità regionali e locali inerenti alla disponibilità e alla qualità dei servizi di protezione, compresi i rifugi per le donne vittime di violenza, nonché rispetto alle forme di discriminazione contro le donne vittime di violenza che appartengono a minoranze.
(1-01716)
«Martelli, Roberta Agostini, Bossa, Simoni, Albini, Duranti, Murer, Nicchi, Ricciatti, Rostan, Cimbro, Scotto, Laforgia, Speranza, Piras, Ferrara, Zaratti, Quaranta, Franco Bordo, Giorgio Piccolo, Folino, Mognato, Zappulla, Formisano, Zoggia, Matarrelli, Lacquaniti, Ragosta, Kronbichler, Leva, Fontanelli».
(28 settembre 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    la violenza contro le donne rappresenta una delle più estese violazioni dei diritti umani e costituisce il principale ostacolo al raggiungimento della parità dei sessi, del godimento dei diritti fondamentali, nonché dell'integrità fisica e psichica;
    come stabilito dall'articolo 1 della Dichiarazione sull'eliminazione della violenza contro le donne delle Nazioni Unite del 1993 l'espressione «violenza contro le donne significa ogni atto di violenza fondato sul genere che abbia, o possa avere, come risultato un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione e la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata»;
    la violenza di genere è un fenomeno globale, che riguarda tutte le etnie e tutte le classi sociali e che, come ribadito da Kofi Annan, già Segretario generale delle Nazioni Unite, «non conosce confini né geografia, cultura o ricchezza»;
    le notizie di cronaca riportano, in modo sistematico, episodi commessi nei confronti di donne che vengono molestate, minacciate, violentate, stuprate e uccise e che si trovano a vivere nella paura e nel disagio per le strade, nei mezzi pubblici e, specialmente, nelle proprie case;
    la violenza di genere rappresenta un freno all’empowerment femminile che è in grado di generare barriere che ostacolano la piena partecipazione delle donne alla vita sociale, economica e politica del proprio Paese;
    se si esamina il fenomeno il quadro è allarmante, tanto che i numeri parlano di un vero e proprio eccidio, una carneficina, che fa più vittime della mafia: la violenza è la prima causa di morte per le donne di età compresa tra i 16 ed i 44 anni;
    se nel mondo una donna su tre ha subito violenza fisica o sessuale, in Italia il numero delle donne che hanno subìto una forma di abuso o di violenza supera i 7 milioni: ogni anno più di 100 donne vengono uccise per mano di chi decide di amarle con una media di una donna uccisa ogni 3 giorni;
    durante il IV Governo Berlusconi, per la prima volta, è stato adottato un piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking, finanziato con più di 18 milioni di euro con una strategia di contrasto delineata su base nazionale, con l'obiettivo di mettere in rete l'esperienza dei centri antiviolenza nelle regioni italiane e del numero verde 1522 e le professionalità delle forze dell'ordine;
    nel 2009, con l'introduzione nell'ordinamento giuridico italiano del reato di stalking il Governo e il Parlamento hanno dimostrato la grande attenzione rivolta all'individuazione di strategie di contrasto e di prevenzione della violenza, compiendo un passo in avanti fondamentale nell'ordinamento italiano;
    il decreto-legge n. 11 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 38 del 2009, oltre a prevedere il reato di stalking nell'ordinamento italiano, ha introdotto ulteriori interventi in materia di violenza sessuale; il provvedimento, in particolare, ha introdotto l'arresto obbligatorio in flagranza per la violenza sessuale e la violenza sessuale di gruppo, nonché disposizioni volte a rendere più difficile ai condannati per taluni delitti a sfondo sessuale l'accesso ai benefici penitenziari, tra cui le misure alternative alla detenzione. La medesima legge ha, inoltre, consentito l'accesso al gratuito patrocinio, anche in deroga ai limiti di reddito ordinariamente previsti, a favore della persona offesa da taluni reati a sfondo sessuale. Il decreto-legge n. 11 del 2009 ha poi previsto, quale aggravante speciale dell'omicidio, il fatto che esso sia commesso in occasione della commissione del delitto di violenza sessuale, di atti sessuali con minorenne e violenza sessuale di gruppo, nonché da parte dell'autore del delitto di atti persecutori nei confronti della stessa persona offesa;
    nell'ambito delle numerose attività portate avanti durante i Governi Berlusconi per contrastare la violenza nei confronti delle donne, a partire dal 2009, ogni anno (dal 12 al 18 ottobre) nelle scuole di ogni ordine e grado sono state organizzate iniziative di sensibilizzazione, informazione e formazione sulla prevenzione della violenza fisica e psicologica, compresa quella fondata sull'intolleranza razziale, religiosa e di genere, al fine di creare un momento di riflessione sui temi del rispetto, della diversità e della legalità al fine di coinvolgere studenti, genitori e docenti;
    con protocollo d'intesa siglato il 15 gennaio 2009 tra il Ministro per le pari opportunità e il Ministero della difesa è stata istituita presso il Dipartimento per le pari opportunità la sezione atti persecutori dei carabinieri: una task force composta da 13 carabinieri (uomini e donne) impegnati nelle strategie di prevenzione e di contrasto dei reati di stalking e di violenza contro le donne;
    con protocollo d'intesa siglato il 3 luglio 2009 tra il Ministro per le pari opportunità e il Ministero dell'interno sono state adottate misure per consentire una specifica preparazione delle forze di polizia nel contrasto dei reati di violenza contro le donne;
    l'impegno di quel Governo non si è fermato ai confini nazionali: il 9 e 10 settembre 2009 si è tenuta a Roma la prima conferenza internazionale sulla violenza contro le donne, su iniziativa della Presidenza italiana del G8 a cui hanno preso parte ai lavori oltre 20 Stati. Dalle conclusioni della Presidenza è emerso un impegno al rafforzamento della cooperazione internazionale nel contrasto alla violenza sulle donne ed alla violazione dei loro diritti umani;
    nel settembre 2012, l'Italia ha sottoscritto la «Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica» dell'11 maggio 2011 (Convenzione di Istanbul), la cui legge di autorizzazione alla ratifica è stata approvata dalla Camera dei deputati il 28 maggio 2013;
    la Convenzione di Istanbul è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che si prefigge l'obiettivo di creare un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza, grazie a misure di prevenzione, di tutela in sede giudiziaria e di sostegno alle vittime;
    ad oggi, da parte dell'Esecutivo non vi è una chiara strategia volta a contrastare il fenomeno della violenza sulle donne, tanto che, per circa tre anni, è mancato un interlocutore istituzionale unico con delega relativa alle politiche delle pari opportunità, dedicato ad una concreta e seria azione di Governo volta a promuovere e coordinare le azioni in materia di violenza contro le donne e da quando la delega è stata assegnata non si sono registrati progressi;
    in merito agli interventi economici, la prima tranche dello stanziamento del fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità del 2013-2014 è stata trasferita alle regioni solo nell'autunno del 2014 e, una volta che la somma è arrivata nelle casse regionali, nella maggior parte dei casi se n’è persa traccia. Come documentato da Actionaid Italia, di trasparenza nella distribuzione ce n’è stata ben poca, tanto che a novembre 2015 solo per dieci amministrazioni era possibile consultare la lista delle strutture beneficiarie dei fondi, di cui solo cinque – Veneto, Piemonte, Sardegna, Sicilia e Puglia – hanno pubblicato on line i nomi di ciascuna struttura e i fondi ricevuti;
    la Corte dei conti, con deliberazione 5 settembre 2016, n. 9/2016/G, critica severamente la gestione ordinamentale amministrativa e finanziaria delle politiche pubbliche contro la violenza; nello specifico «passando al finanziamento specificamente destinato al potenziamento delle strutture destinate all'assistenza alle donne vittime di violenza e ai loro figli, deve farsi presente che del tutto insoddisfacente è risultata la gestione delle risorse assegnate per gli anni 2013-2014, le uniche ripartite nel periodo all'esame. Le comunicazioni degli enti territoriali all'autorità centrale si sono rilevate carenti e inadeguate rispetto alle finalità conoscitive circa l'effettivo impiego delle risorse e all'esigenza della valutazione dei risultati»;
    per quanto riguarda più propriamente gli interventi di natura legislativa, nel 2014, grazie ad una puntuale proposta emendativa di Forza Italia è stata scongiurata l'abolizione della carcerazione preventiva per il reato di stalking prevista, inizialmente, nel disegno di legge in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria;
    l'ultimo piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere è stato adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2015 con durata biennale; riguardo al nuovo piano nazionale antiviolenza, vi è stata soltanto la presentazione di una bozza delle linee strategiche quando, invece, l'importanza del fenomeno impone, come assoluta priorità di ogni livello di governo, di dover mettere in campo ogni possibile misura normativa, nonché lo studio e l'attuazione di interventi volti a prevenire episodi di violenza, abuso e vessazione di cui le donne sono vittime;
    con decreto del 25 luglio 2016 del Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento con delega alle pari opportunità, è stata istituita la cabina di regia interistituzionale e un osservatorio; tuttavia, ad oggi non si è a conoscenza né del numero delle riunioni, né delle politiche attuate;
    tutta questa superficialità nell'affrontare un tema che dovrebbe essere priorità delle istituzioni, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, è dovuta senz'altro alla scarsa attenzione nei confronti di questa tematica, dimostrata da ultimo con la riforma del codice penale, approvata con la legge 23 giugno 2017, n. 103, che, tra le varie misure, reca disposizioni in materia di estinzione del reato per condotte riparatorie e introduce, attraverso l'articolo 162-ter del codice penale, la possibilità per uno stalker di estinguere il suo reato pagando una somma decisa dal giudice anche se la vittima è contraria e rifiuta il denaro;
    una delle principali ragioni che ha spinto il legislatore a introdurre la specifica incriminazione di «atti persecutori» (articolo 612-bis del codice penale) è stata proprio la necessità di assicurare una risposta sanzionatoria adeguata di fronte a condotte persecutorie spesso devastanti per la personalità dei soggetti passivi;
    la fattispecie criminosa di cui all'articolo 612-bis del codice penale prevede un limite edittale massimo di cinque anni di reclusione; la suddetta soglia è necessaria per consentire l'applicazione delle misure cautelari coercitive a carico degli stalker, al fine di evitare la protrazione dei comportamenti persecutori che, il più delle volte, possono sfociare in atti di violenza nei confronti delle donne;
    partendo dal presupposto che solo con un profondo mutamento culturale si potrebbe combattere in modo efficace il fenomeno della violenza di genere, è necessario mettere in campo iniziative, anche in sede legislativa, volte a porre un freno all'incontenibile fenomeno di violenze che, purtroppo, ancora oggi molte donne sono costrette a subire,

impegna il Governo:

1) a dare contezza delle tempistiche di attuazione del nuovo piano nazionale contro la violenza sessuale e di genere e ad illustrarlo quanto prima alle Camere;

2) ad informare il Parlamento sui costi della violenza, sia in termini economici sia in termini sociali, al fine di avere un quadro che sia il più chiaro possibile su cui poter intervenire attraverso gli opportuni strumenti legislativi;

3) ad assumere iniziative per prevedere un intervento nelle scuole con programmi mirati di formazione agli studenti per prevenire la violenza nei confronti delle donne in riferimento all'utilizzo dei social media e di internet;

4) ad assumere iniziative volte a garantire ulteriori stanziamenti da erogare ai centri antiviolenza e alle case rifugio per evitare la loro chiusura e ad eliminare le disparità regionali e locali concernenti la disponibilità e la qualità dei servizi di protezione per tutte le donne vittime di violenza;

5) ad assumere le opportune iniziative al fine di garantire le misure volte a prevenire e proteggere le donne dalla violenza, in particolar modo in riferimento agli strumenti inerenti alle misure cautelari, le quali rappresentano un forte elemento dissuasivo per tutti quegli uomini che intendono porre in essere atti spregevoli nei confronti delle donne;

6) ad effettuare una ricognizione sul numero degli ordini di allontanamento e degli ordini di protezione applicati annualmente dai tribunali in Italia e, in particolar modo, sui tempi di attuazione;

7) ad adottare ogni opportuna iniziativa legislativa volta ad escludere che nella fattispecie di cui all'articolo 612-bis del codice penale, in materia di atti persecutori, sia applicabile l'istituto previsto all'articolo 162-ter del codice penale, relativo all'estinzione del reato per condotte riparatorie;

8) a rendere note le attività svolte, gli obiettivi raggiunti e le volte in cui si siano riuniti la cabina di regia interistituzionale e l'osservatorio e a divulgare le politiche nazionali proposte, nonché le buone pratiche che sono state condivise tra i territori mediante l'operato della cabina di regia.
(1-01727)
«Carfagna, Brunetta, Gelmini, Bergamini, Biancofiore, Calabria, Centemero, De Girolamo, Giammanco, Ravetto, Prestigiacomo, Occhiuto, Archi, Crimi, Gullo, Labriola, Laffranco, Longo, Milanato, Minardo, Palmizio, Polidori, Elvira Savino, Sisto, Vella».
(16 ottobre 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    il 4 giugno 2013, dopo appena pochi mesi dall'inizio di questa legislatura, il Parlamento approvò, pressoché all'unanimità, una mozione sottoscritta anche dalla prima firmataria del presente atto di indirizzo per la lotta e il contrasto alla violenza sulle donne. Il 28 maggio 2013 è stata approvata la legge di autorizzazione alla ratifica della Convenzione di Istanbul del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, dell'11 maggio 2011. Più tardi sono state approvate dal Parlamento la legge contro il femminicidio e molte altre iniziative legislative, tutte centrate sulla lotta alla violenza, nelle sue molteplici forme, compresa la violenza che si manifesta sui social media, che con tanta volgarità aggrediscono senza motivo donne, fortemente impegnate nel loro ruolo pubblico;
    l'articolo 1 della Dichiarazione sull'eliminazione della violenza contro le donne delle Nazioni Unite del 1993 afferma: «violenza contro le donne significa ogni atto di violenza fondato sul genere che abbia, o possa avere, come risultato un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione e la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata»;
    si è eredi di una storia di enormi condizionamenti che, in tutti i tempi e in ogni latitudine, hanno reso difficile il cammino della donna, misconosciuta nella sua dignità, travisata nelle sue prerogative, non di rado emarginata e persino ridotta in servitù. Ciò le ha reso più difficile essere fino in fondo se stessa, e ha impoverito tutta la società di autentiche ricchezze spirituali. Non sarebbe certamente facile additare precise responsabilità, considerando la forza delle sedimentazioni culturali che, lungo i secoli, hanno plasmato mentalità e istituzioni. È giunto il momento di guardare con il coraggio della memoria e il riconoscimento delle rispettive responsabilità alla lunga storia in cui le donne hanno dato un contributo non inferiore a quello degli uomini e il più delle volte in condizioni ben più disagiate, esposte alla sottovalutazione, al misconoscimento ed anche all'espropriazione del loro apporto intellettuale. Della molteplice opera delle donne nella storia, purtroppo, molto poco è rimasto di rilevabile con gli strumenti della storiografia scientifica;
    ancora oggi sono molti gli ostacoli che, in tante parti del mondo, impediscono alle donne il pieno inserimento nella vita sociale, politica ed economica. Basti pensare a come viene spesso penalizzato, più che gratificato, il dono della maternità, a tal punto che in Italia si soffre una crisi demografica senza precedenti. È urgente ottenere dappertutto l'effettiva uguaglianza dei diritti della persona e dunque parità di salario rispetto a parità di lavoro, tutela della lavoratrice-madre, giuste progressioni nella carriera, riconoscimento di tutto quanto è legato ai diritti e ai doveri di chi vive in una democrazia come la nostra, pur con le sue luci e le sue ombre. Si tratta di un atto di giustizia, ma anche di una necessità. I gravi problemi sul tappeto vedono nella nostra politica sempre più coinvolte le donne: tempo libero, qualità della vita, migrazioni, servizi sociali, eutanasia, droga, sanità e assistenza, ecologia e altro. In tutti questi campi, una maggiore presenza sociale della donna appare preziosa, necessaria per far esplodere le contraddizioni di una società organizzata su puri criteri di efficienza e produttività. Eppure la violenza si scatena sulla donna anche in abito domestico, laddove il suo contributo è più concreto, continuativo e competente;
    uno degli aspetti più delicati della situazione femminile nel mondo è la lunga e umiliante storia di soprusi perpetrati nei confronti delle donne nel campo della sessualità. Non basta condannare con vigore, dando vita ad appropriati strumenti legislativi di difesa, le forme di violenza sessuale che hanno per oggetto le donne. In nome del rispetto della persona non si può non denunciare una sempre più diffusa cultura edonistica e mercantile che promuove il sistematico sfruttamento della sessualità, inducendo anche ragazze in giovanissima età a cadere nei circuiti della corruzione e a prestarsi alla mercificazione del loro corpo. Una pubblicità volgare e sessista, legata ad oggetti che nulla hanno a che vedere con la stessa sessualità, appare spesso in televisione e nei grandi cartelloni che si trovano in città dal centro alle periferie;
    in Italia ogni due giorni una donna viene uccisa. Solo lo scorso anno sono state 120 le vittime ammazzate da un marito, fidanzato o convivente. Per capire il fenomeno basta dare uno sguardo ai dati aggiornati, presentati nell'indagine condotta dall'Istat in collaborazione con il Ministero della giustizia. Il fenomeno ha enormi proporzioni e i numeri parlano chiaro: quasi sette milioni di donne hanno subito qualche forma di abuso nel corso della loro vita. Dalle violenze domestiche allo stalking, dallo stupro all'insulto verbale, la vita femminile è costellata di violazioni della propria sfera intima e personale. Spesso un tentativo di cancellarne l'identità, di minarne profondamente l'indipendenza e la libertà di scelta. Il tragico estremo di tutto questo è rappresentato dal femminicidio, che, anche se in leggero calo rispetto agli anni precedenti, dimostra di essere ancora un reato diffuso ed un problema che necessita di una risposta non solo giudiziaria, ma culturale e educativa;
    e proprio il femminicidio, l'uccisione di una donna con la quale si hanno legami sentimentali o sessuali, rappresenta la parte preponderante degli omicidi contro il genere femminile. Più dell'82 per cento dei delitti commessi a scapito di una donna, nel nostro Paese, sono classificati come femminicidi. Un numero gigantesco: oltre quattro su cinque. Negli ultimi 5 anni si registrano 774 casi di omicidio di donne, una media di circa 150 all'anno. Significa che in Italia ogni due giorni (circa) viene uccisa una donna. Il 16,1 per cento delle donne italiane, secondo lo stesso rapporto, è stato invece vittima di stalking nella maggioranza dei casi da parte di un ex partner. Le conseguenze di queste violenze a breve e lungo termine non si limitano alle lesioni patite, ma anche a stati di depressione cronica, dipendenza da sostanze stupefacenti e alcol e suicidi;
    cinque anni fa c’è stato il richiamo dell'Onu al Governo: «In Italia resta un problema grave, risolverlo è un obbligo internazionale». Rashida Manjoo, Special Rapporteur delle Nazioni Unite per il contrasto della violenza sulle donne, rivolgeva al nostro Paese critiche pesanti: «Femmicidio e femminicidio sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita. In Italia, sono stati fatti sforzi da parte del Governo, attraverso l'adozione di leggi e politiche, incluso il Piano di Azione Nazionale contro la violenza, ma questi risultati non hanno però portato a una diminuzione di femminicidi e non si sono tradotti in un miglioramento della condizione di vita delle donne e delle bambine»;
    la violenza sulle donne, pur essendo un fenomeno molto diffuso, vede ben poche denunce, anche perché spesso le stesse denunce sottopongono le donne ad una diversa e più sottile forma di violenza: la violenza di non essere credute o di essere indotte a minimizzare l'offesa subita. Esse sono soggette a percosse, spintoni e abusi sessuali, ma anche vessazioni psicologiche, minacce e stalking. Oltre a riempire periodicamente le pagine di cronaca nera, la violenza sulle donne è un fenomeno vasto e dalle sfumature complesse, drammaticamente diffuso ancora a ogni latitudine. Lo dicono i numeri raccolti che tracciano una tendenza chiara, in Italia come all'estero;
    ai nostri tempi la questione dei «diritti della donna» ha acquistato un nuovo significato nel vasto contesto dei diritti della persona umana. La stessa violenza dell'uomo non si sconfigge con la violenza sull'uomo, ma sembra che in tanti anni alcuni uomini non abbiano ancora finito di scoprire questa verità elementare e trasparente: l'unità che si genera dalla differenza è la principale ricchezza dell'intero genere umano;
    diventa necessario a questo punto agire su di un doppio fronte: promuovere in tutti i modi opportuni le donne, valorizzando il femminile che c’è in loro, con un preciso processo di empowerment e contrastare ogni forma di violenza, che scaturisce spesso da uomini immaturi, prepotenti, incapaci di una apertura affettiva che li ponga su di un effettivo piano di integrazione delle differenze,

impegna il Governo:

1) ad accelerare l'adozione e l'effettiva attuazione di una rinnovata politica nazionale anti-violenza e anti-discriminazione, che tenga conto della specificità femminile anche in relazione alla maternità, agli impegni familiari, e alla tutela professionale, soprattutto in quegli ambiti in cui finora la discriminazione è stata maggiore;

2) a promuovere campagne di sensibilizzazione per politici, giornalisti, insegnanti e altre figure professionali al fine di accrescere la comprensione che la violenza femminile è una ferita profonda a tutto il sistema sociale e che la partecipazione piena, uguale, libera e democratica delle donne, nella vita politica e pubblica, è requisito indispensabile per la piena attuazione dei diritti umani delle donne;

3) ad assumere iniziative per rivedere la normativa sullo stalking e sulle molestie sessuali, che attualmente non risulta del tutto efficace per il raggiungimento degli obiettivi specifici;

4) ad assumere iniziative affinché già dal disegno di legge di bilancio 2018 si possa prevedere attraverso politiche sociali adeguate la possibilità di sostenere le donne che hanno subito violenza facilitando l'allontanamento da casa, con i figli e favorendo nuove e diverse forme di inserimento professionale, nonché agevolare la possibilità per le ragazze che desiderano lasciare la prostituzione di sottrarsi a vere e proprie forme di schiavitù e di trovare attività lavorative alternative, assicurando risorse umane, tecniche e finanziarie per la realizzazione sistematica ed efficace delle misure di contrasto della violenza contro le donne;

5) a sostenere, nell'ambito della politica internazionale e nel rapporto con i diversi Stati, i diritti delle donne attraverso misure di contrasto positive alla violenza e alla discriminazione della donna.
(1-01732)
«Binetti, Buttiglione, Cera, De Mita, Pisicchio».
(17 ottobre 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    con la ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza contro le donne e la violenza domestica, fatta ad Istanbul l'11 maggio 2011, la cui ratifica è avvenuta con la legge 27 giugno 2013, n. 77, l'Italia ha assunto l'impegno ad introdurre, nel proprio ordinamento, specifiche misure di prevenzione e di tutela giudiziaria a sostegno delle donne oggetto di atti di violenza;
    occorre proseguire nell'impegno di garantire alle donne, nel nostro Paese, pari diritti, ma, soprattutto, maggiore tutela alla luce dei troppi fatti di cronaca che nell'ultimo periodo hanno evidenziato, in maniera preoccupante, un aumento di casi di violenza contro le donne;
    le cronache, ormai quotidianamente, riportano episodi nei confronti delle donne: minacce, molestie, violenze sessuali, stupri, omicidi. Fatti che si traducono in paura e disagio per le strade, sui mezzi pubblici, nei luoghi di lavoro e nelle proprie case;
    da un attento esame del fenomeno emerge un quadro allarmante, con numeri che registrano una vera e propria carneficina;
    i reati contro le donne di violenza sessuale, domestica e i reati di atti persecutori (stalking) sono in costante aumento. Come risulta da un'indagine Istat del 2015 la violenza contro le donne è fenomeno ampio e diffuso: 6 milioni 788 mila donne hanno subito, nel corso della propria vita, una qualche forma di violenza fisica o sessuale, il 31,5 per cento delle donne tra i 16 e i 70 anni: il 20,2 per cento ha subito violenza fisica, il 21 per cento violenza sessuale, il 5,4 per cento forme più gravi di violenza sessuale come stupri e tentati stupri. Sono 652 mila le donne che hanno subito stupri e 746 mila le vittime di tentati stupri. Il 10,6 per cento delle donne ha subito violenze sessuali prima dei 16 anni. Considerando il totale delle violenze subite da donne con figli, aumenta la percentuale dei figli che hanno assistito ad episodi di violenza sulla propria madre (dal 60,3 per cento del dato del 2006 al 65,2 per cento rilevato nel 2014);
    le violenze contro le donne sono anche – come previsto dalla Convenzione di Istanbul – matrimonio forzato, aborto forzato e mutilazioni genitali femminili – MGF – (in Italia sono 57.000 le donne che hanno subito queste ultime (fonte lastampa.it), tutte forme di violenza ignobile di cui sono vittime sempre più ragazze minorenni;
    l'Italia è uno dei Paesi sostenitori della risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni unite di messa al bando universale delle mutilazioni genitali femminili (2012);
    l'obiettivo è quello di introdurre nell'ordinamento italiano una tutela che, come viene sancito dalla Convenzione di Istanbul, garantisca la ferma condanna ad «ogni forma di violenza sulle donne e la violenza domestica». Riconoscendo «la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere», la Convenzione di Istanbul riconosce inoltre che «la violenza contro le donne è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini»;
    con la legge n. 103 del 2017, è stata introdotto l'articolo 162-ter del codice penale che consente l'estinzione del reato per condotte riparatorie ed è possibile applicarlo anche al delitto di atti persecutori di cui all'articolo 612-bis codice penale, e tale scelta appare incomprensibile in un momento in cui si registrano, in maniera preoccupante, un aumento di casi di violenza contro le donne;
    l'Assemblea dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha designato il 25 novembre come «Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne» in cui si organizzano in tutto il mondo attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica sul triste fenomeno, in ricordo del caso delle tre sorelle Mirabal, violentate e uccise da uomini dell'esercito dominicano nel 1960, per ricordarle e ricordare tutte le altre milioni di vittime di violenza, che ogni anno perdono la vita;
    durante i Governi di centrodestra numerose sono state le iniziative legislative e di natura culturale volte ad affrontare la questione della lotta contro la violenza sulle donne. Dall'introduzione del reato di stalking con un Piano nazionale contro la violenza finanziato con 18 milioni di euro; al decreto-legge n. 11 del 2009 convertito dalla legge n. 38 del 2009 con cui si è introdotto l'arresto obbligatorio in flagranza di reato di violenza sessuale singola e di gruppo, nonché alla promozione di misure per rendere più difficile per i condannati per delitti a sfondo sessuale l'accesso ai benefici penitenziari, tra cui le misure alternative alla detenzione. La stessa legge ha inoltre previsto l'accesso al gratuito patrocinio, anche in deroga ai limiti di reddito ordinariamente previsti; si è inoltre previsto quale aggravante speciale dell'omicidio il fatto che esso sia stato commesso in occasione della commissione del delitto di violenza sessuale, di atti sessuali con minore e violenza sessuale di gruppo;
    dopo la prolungata assenza di un rappresentante del Governo con apposita delega sulla materia da parte del Governo in carica, non è stata avviata, a giudizio dei presentatori del presente atto di indirizzo, alcuna strategia mirata a contrastare il fenomeno della violenza sulle donne;
    i fondi stanziati nei capitoli di bilancio relativi ai diritti e alla pari opportunità sono stati trasferiti con notevole ritardo alle regioni e, nella maggior parte dei casi, se ne è persa traccia rendendo difficile per le istituzioni locali poter approntare misure ed iniziative volte al contrasto della violenza sulle donne;
    l'ultimo piano nazionale contro la violenza sulle donne è del luglio 2015 e, oltre ad una bozza delle linee strategiche, nessuna azione ha preso il via dalla sua approvazione tanto che l'Osservatorio istituito nel 2016, ad oggi, non ha prodotto alcuna relazione e nulla si sa dell'attività svolta;
    per combattere e contrastare la violenza sulle donne occorre intervenire sul piano culturale, sul piano della prevenzione e delle politiche per la sicurezza e su quello normativo per assicurare certezza della pena per i colpevoli e un sistema giudiziario veloce che incentivi le donne a denunciare e a non doversi trovare, come purtroppo accaduto ad una ragazza di Torino, doppiamente «violentate» perché i propri carnefici a causa di una giustizia lentissima sono stati lasciati liberi poiché il reato è caduto in prescrizione,

impegna il Governo:

1) a dare contezza, anche attraverso illustrazione alle Camere del nuovo Piano nazionale contro la violenza sulle donne;

2) ad assumere ogni iniziativa normativa che consenta di introdurre nell'ordinamento italiano il reato di femminicidio, affinché per reati gravi commessi a danno delle donne vi sia l'applicazione di una circostanza aggravante ad effetto speciale che aumenti la pena dalla metà fino a due terzi;

3) ad assumere ogni iniziativa normativa che consenta di escludere l'applicazione dell'istituto introdotto dall'articolo 162-ter del codice penale, relativo all'estinzione del reato per condotte riparatorie, al delitto di atti persecutori previsto e punito dall'articolo 612-bis del codice penale;

4) ad assumere ogni iniziativa normativa che comporti un deciso aumento della pena massima del delitto di atti persecutori di cui all'articolo 612-bis codice penale, oggi punito, nel massimo, con la pena della reclusione fino a cinque anni;

5) ad assumere ogni iniziativa normativa che consenta la non applicazione dei riti speciali, rito abbreviato e applicazione della pena su richiesta delle parti, nei confronti di coloro che abbiano commesso reati gravi nei confronti delle donne;

6) ad assumere iniziative normative per escludere il ricorso ai sistemi alternativi di risoluzione delle controversie, quali mediazione e conciliazione, nei casi di violenza commessa a danno delle donne, in quanto presuppongono una situazione di parità delle parti, ontologicamente esclusa nelle situazioni di violenza;

7) a riferire semestralmente al Parlamento con quali modalità, frequenza e consistenza vengano spesi i fondi per i diversi interventi, tra cui il suddetto piano di azione nazionale, in ordine al fenomeno delle violenze contro le donne, compresi quelli destinati ai centri antiviolenza;

8) ad assumere iniziative normative per modificare il codice di procedura penale in modo tale da consentire, nella maggior parte dei reati commessi contro le donne, l'applicazione automatica della misura della custodia cautelare in carcere, nonché garantire la priorità assoluta nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei relativi processi, affinché non accada che reati similari, come avvenuto, vadano in prescrizione;

9) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per eliminare disparità locali e regionali in ordine alla qualità, quantità e numero di servizi di protezione nei confronti delle donne vittime di violenza;

10) a prevedere un piano di formazione nelle scuole per prevenire la violenza sulle donne;

11) ad assumere iniziative per promuovere, in vista del 25 novembre, Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, una campagna di sensibilizzazione dell'opinione pubblica che consenta di affrontare in modo serio e deciso il fenomeno della violenza sulle donne.
(1-01733)
«Saltamartini, Castiello, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Simonetti».
(17 ottobre 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    la violenza sulle donne è un fenomeno trasversale, che colpisce tutte le età, anche quelle più giovani. Il contrasto e la prevenzione della violenza richiedono necessariamente un cambiamento culturale profondo che va costruito con il contributo di tutti: la cultura del rispetto e della parità tra gli uomini e le donne deve essere uno degli obiettivi fondamentali di ogni livello istituzionale;
    le violenze sulle donne sono un intollerabile attacco alla persona e alla libertà individuale, in violazione dei diritti umani delle donne come riconosciuto dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (cosiddetta Convenzione di Istanbul), ratificata dall'Italia con la legge 27 giugno 2013, n. 77;
    la violenza contro le donne è costituita da «qualunque atto di violenza sessista che produca, o possa produrre, danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, ivi compresa la minaccia di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica sia nella vita privata», come ebbe già a definirla la «Dichiarazione Onu sull'eliminazione della violenza contro le donne» del 1983;
    nonostante la Convenzione di Istanbul costituisca uno dei più recenti strumenti giuridicamente vincolanti per prevenire gli atti di violenza, proteggere le vittime e perseguire gli aggressori, la situazione relativa alle violenze sulle donne e ai femminicidi rimane grave sul piano fattuale, si pone la necessità di moni- torare la sua concreta attuazione e che le istituzioni, pubbliche e private, adottino rapidamente e ad ogni livello tutte le misure utili a produrre risultati positivi e duraturi;
    il Senato della Repubblica nel gennaio 2017 ha istituito una Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, che include tra i suoi ambiti di competenza anche l'indagine sulla concreta attuazione della Convenzione di Istanbul e l'accertamento del livello di attenzione e della capacità di intervento delle autorità e delle pubbliche amministrazioni, centrali e periferiche, competenti a svolgere attività di prevenzione e di assistenza alle vittime di violenza di genere;
    in attesa di potersi avvalere anche delle conclusioni dei lavori di questa Commissione, si rileva la gravità della situazione che è resa evidente dai numeri diffusi dall'Istat: 1 milione 150 mila donne hanno subito stupri o tentati stupri nel corso della vita, quasi 7 milioni di donne hanno subito violenza fisica o sessuale, il 36 per cento delle donne che hanno subito violenza da partner ha avuto paura per la sua vita;
    i numeri di cui si dispone non consentono, tuttavia, di affermare come la situazione stia cambiando, come ricordato da Linda Laura Sabbadini, perché le indagini statistiche sono costose e in Italia quelle “di genere” non sono svolte ogni anno. Alle rilevazioni del 2006 e del 2014 ne seguirà un'altra solo nel 2019, nonostante già nel 1995 la Conferenza mondiale sulle donne di Pechino abbia dichiarato l'importanza degli studi statistici sulla condizione femminile;
    il bilancio dei primi mesi del 2017 in Italia è drammatico per il ripetersi quotidiano di fatti di cronaca di donne ammazzate, anche se gli ultimi dati del Viminale riferiscono che le denunce per stupro sono in diminuzione;
    la “forza” dei numeri di cui si dispone non è però in grado di rappresentare effettivamente la realtà in quanto la stragrande maggioranza delle donne continua a non denunciare le violenze subite;
    una grandissima parte di stupri non è denunciata, ad esempio, perché si consuma in famiglia, ad opera di mariti, ex mariti, compagni o ex compagni. Altrettanto sommerse rimangono le altre violenze che avvengono tra le mura domestiche (circa il 90 per cento del totale);
    tutelare le donne che non riescono a denunciare una violenza per paura o per vergogna deve divenire anche un obbligo istituzionale a fronte di un 56,3 per cento delle donne vittima di violenze che non trova un confidente cui rivolgersi anche per la mancanza di fiducia verso le istituzioni;
    i centri antiviolenza e le case rifugio sono nel nostro Paese, gli unici presidi a protezione e sostegno delle donne vittime della violenza maschile;
    in Italia, da Nord a Sud, sono presenti 160 strutture, a fronte di quasi 7 milioni di donne italiane che hanno subito violenza almeno una volta nella loro vita. La sproporzione è impressionante e nonostante si facciano carico quasi per intero degli interventi a supporto delle vittime, sopperendo alle mancanze delle istituzioni, quello che viene fatto è svolto in larga parte senza l'aiuto del Governo e di risorse pubbliche;
    numericamente insufficienti, privi di risorse umane e materiali rispetto all'entità del fenomeno, i centri anti-violenza non riescono a fare fronte a tutte le richieste di sostegno, soccorso e appoggio da parte delle vittime;
    i centri antiviolenza sono coinvolti nei tavoli istituzionali e agli incontri voluti dal Dipartimento Pari Opportunità in vista del nuovo Piano nazionale antiviolenza, ma sono sistematicamente messi da parte nella fase decisionale;
    i fondi, già insufficienti, sono spesso assegnati ad enti e associazioni che decidono di occuparsi di violenza all'ultimo minuto, spesso senza professionalità da spendere e progetti validi. La realtà racconta quanto manchi una visione che valorizzi il patrimonio rappresentato dai Centri antiviolenza;
    un aspetto della violenza che non viene quasi mai preso in considerazione dagli interventi pubblici sono i costi diretti della violenza che vengono sopportati dalle donne, a tacere di quelli pubblici e sociali. L'Istat nel 2015 ha calcolato che tra le vittime, una quota di poco inferiore al 15 per cento (14,3 per cento) ha dovuto sostenere spese per cure mediche e psicologiche presso strutture private, spese per farmaci (18,6 per cento), spese legali (12,3 per cento) e per danni a proprietà (5 per cento; molte donne si sono dovute assentare dal lavoro e hanno avuto difficoltà a gestire le attività quotidiane (rispettivamente 5,7 per cento e il 6,7 per cento), nella maggior parte dei casi per più di 10 giorni;
    un altro corno del problema è rappresentato dalle azioni che vanno adottate per cambiare il paradigma della cultura patriarcale e violenta, permettendo di uscire dalla logica degli interventi emergenziali, che spesso sono frutto di improvvisazione e poco efficaci, come quelli individuati dal decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, che usa la norma penale quale strumento privilegiato di protezione delle vittime percepite come soggetti deboli da tutelare;
    presso la VII commissione della Camera dei deputati, da oltre un anno e mezzo è in corso l'esame di una serie di proposte di legge abbinate che recano l'introduzione dell'educazione di genere nelle attività didattiche delle scuole del sistema nazionale di istruzione. Sarebbe assai auspicabile che tutte le forze politiche si adoperassero per portare a conclusione l'iter in questione molto rapidamente;
    le notizie di stupri, di donne morte ammazzate per mano di un uomo sono oggetto della cronaca quasi ogni giorno, ma le parole e le analisi che le accompagnano, sia nei media che da parte delle istituzioni, spesso costituiscono esse stesse un'ulteriore forma di violenza poiché le donne, i loro corpi e le loro sofferenze vengono sovente strumentalizzate in occasione di un evento tanto drammatico e doloroso;
    quando si parla della violenza di genere il corpo delle donne è presentato spesso come oggetto di conquista, visto con lo sguardo della cultura patriarcale che porta al conseguente gesto della violenza maschile e alle sue molteplici giustificazioni;
    quando a compiere la violenza è un migrante le donne diventano le «nostre donne» – proprietà dei «patri uomini» – da difendere contro l'invasione straniera. Se, invece, autore della violenza è un maschio italiano, a volte il messaggio che passa è che la violenza possa essere colpa delle donne, delle loro abitudini, nel fatto che credano nel principio dell'autodeterminazione, nell'autodifesa, nella libertà. Il corpo allora andrebbe coperto, circondato da una «corazza protettiva», secondo le parole del «manuale per le donne» di recente pubblicato da Il Messaggero. Oppure, come ripetuto sempre di recente da un rappresentante delle istituzioni, le donne dovrebbero tenere conto che il desiderio maschile è «istinto primordiale», quasi che, se lo dimenticassero, la responsabilità della violenza possa essere loro;
    l'omicidio di una ragazza di 16 anni, uccisa da un ragazzo di 17, ha svelato nella cronaca il comune tentativo di derubricare la violenza a fatto di gelosia e devianza e a occultare questioni ben più scomode, che porterebbero a interrogarsi sui modelli dell'identità maschile piuttosto che stilare vademecum antistupro;
    contrastare gli stereotipi e contribuire ad un cambiamento culturale a partire da un'informazione corretta e un uso consapevole del linguaggio, dovrebbe essere alla base di qualunque attività di formazione e aggiornamento dei giornalisti e di chiunque lavori nel campo dei media, nonché patrimonio di tutti e tutte coloro che operano nelle istituzioni;
    nonostante il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 prevedesse l'adozione di un Piano nazionale antiviolenza, che considerato il contesto normativo nel quale era inserito avrebbe dovuto essere adottato con urgenza, ci sono voluti ben due anni perché questo fosse approvato; il Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, è stato infatti adottato dopo una lunga gestazione tra polemiche e dubbi sull'utilizzo dei fondi da parte delle Regioni;
    i contenuti di quel Piano sono stati contestati da associazioni di donne, centri antiviolenza, sindacato, che hanno espresso delusione e rabbia per un'occasione mancata. Il risultato è stato un Piano che appare non innovativo e per certi aspetti peggiorativo della situazione esistente; sarebbe opportuno – a distanza di due anni – produrre un'analisi degli effetti e dei risultati conseguiti da tale piano per non ripetere gli stessi errori;
    a distanza di due ulteriori anni, risulta ancora in gestazione il nuovo piano nazionale antiviolenza, che la Sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio con delega alle pari opportunità a settembre 2017 ha annunciato essere in corso di definizione, e che sarà oggetto dell'approvazione finale da parte della Conferenza unificata e del Consiglio dei ministri insieme con la proposta di linee guida per le aziende sanitarie e ospedaliere per il soccorso e l'assistenza sociosanitaria alle donne vittime di violenza;
    mentre l'Italia, seguendo la logica emergenziale, continua a procedere molto lentamente, ignorando che le donne vittime della violenza maschile non possono aspettare, altri Paesi si dotano di piani complessi e molto articolati per tentare di risolvere alla radice il problema;
    è il caso, ad esempio, della Spagna, il cui Parlamento il 28 settembre 2017 ha adottato in via definitiva, all'esito di un iter parlamentare di soli sei mesi, un piano che include ben 213 azioni puntuali, che dovranno essere realizzate nella scuola, nell'informazione e nella pubblicità, nel Parlamento e nelle altre istituzioni, nella pubblica amministrazione e nelle forze armate, nell'assistenza alle vittime di violenza alle donne;
    per realizzare le azioni del piano nazionale spagnolo è stato stanziato un miliardo di euro in 5 anni, mentre – per fare un esempio – la legge di bilancio per il 2017 ha incrementato di soli 5 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2017, 2018 e 2019, lo stanziamento destinato al finanziamento delle azioni per i centri antiviolenza e le case-rifugio, la cui dotazione ammontava a soli 10 milioni di euro annui, a cui sono stati aggiunti ulteriori 12 milioni di euro, a marzo 2016, mediante un bando per il potenziamento delle attività sopra citate. Si tratta di previsioni finanziarie obiettivamente incommensurabili;
    la disattenzione del Governo si è vista, secondo i presentatori del presente atto, anche nelle recenti iniziative normative, che consentono di considerare il reato di stalking fatto di lieve entità, come è accaduto nel recente procedimento svoltosi dinanzi al tribunale di Torino, nel quale uno stalker offriva 1550 euro di risarcimento alla vittima, che rifiutava, per estinguere il reato. Nonostante il rifiuto, il giudice decideva di «non doversi procedere» in quanto la proposta di risarcimento veniva considerata congrua e il reato era da considerarsi estinto,

impegna il Governo:

1) a dare piena applicazione alla Convenzione di Istanbul, quale strumento che punta a favorire l'autodeterminazione delle donne e a non considerarle soggetti deboli da tutelare;

2) a mettere in atto strategie e azioni strutturali ed integrate per affrontare il problema della violenza maschile sulle donne da un punto di vista educativo e culturale, assumendo come impegno prioritario quello di favorire, per quanto di competenza, un rapido iter delle proposte di legge in materia, con particolare riferimento a quelle in materia di educazione di genere nelle attività didattiche delle scuole del sistema nazionale di istruzione;

3) ad assumere iniziative volte a finanziare attività di formazione dei giornalisti e degli operatori dei media, all'interno di università e scuole di giornalismo, sul tema del contrasto della violenza di genere, favorendo l'utilizzo di un uso consapevole del linguaggio e un'informazione corretta;

4) ad assumere iniziative per rafforzare, con la massima urgenza, gli strumenti di tutela delle donne già vittime di violenza, garantendo la presenza capillare sul territorio dei centri antiviolenza e il numero delle case rifugio, destinando a tali strutture adeguate risorse economiche per conseguire almeno quanto indicato dal Consiglio d'Europa che raccomanda la presenza di un centro antiviolenza ogni 10.000 abitanti e un centro d'accoglienza ogni 50.000 abitanti (Raccomandazione Ue – Expert Meeting sulla violenza contro le donne – Finlandia 8-10 novembre 1999, sugli standard dei centri), prevedendo in particolare almeno 5700 posti letto (a fronte delle poche centinaia oggi esistenti);

5) a riconoscere i centri antiviolenza operanti sul territorio nazionale, innanzitutto attraverso una mappatura ufficiale, sostenendo una veloce conclusione delle ricerche in corso da parte dell'Istat e del Cnr e indicando chiaramente tali centri come strutture fondamentali del Nuovo piano nazionale antiviolenza;

6) a finanziare le statistiche di genere correlate al fenomeno della violenza maschile sulle donne, aumentandone il numero e la frequenza, quali strumenti indispensabili per l'elaborazione e l'attuazione di politiche efficaci;

7) ad assumere iniziative finalizzate a promuovere l'approvazione di una legge specifica contro la violenza di genere che preveda, oltre al potenziamento dei consultori, il riconoscimento del ruolo delle case delle donne maltrattate, dei centri antiviolenza e delle associazioni che svolgono sul territorio azioni di sostegno alle vittime, nonché l'incremento del Fondo che consenta di garantire continuità all'erogazione dei servizi;

8) ad assumere iniziative volte a garantire il rimborso da parte dello Stato – in forma di indennizzo o di risarcimento – di tutti i costi diretti della violenza che vengono sopportati dalle donne;

9) a estendere e finanziare i centri di ascolto per uomini maltrattanti (Cam), autori di comportamenti violenti, con l'obiettivo di incoraggiarli a riflettere sul comportamento nelle relazioni affettive e aiutarli a uscire dalla situazione di violenza perpetrata ai danni delle donne;

10) ad assumere iniziative normative al fine di escludere che, con riferimento al reato di stalking, possa in alcun modo trovare applicazione l'istituto dell'estinzione del reato per condotte riparatorie, previsto dall'articolo 162-ter del codice penale;

11) ad assumere iniziative per stanziare una congrua e specifica provvista finanziaria, che incrementi le ridotte risorse previste, da impegnare per tutti gli interventi contro la violenza maschile sulle donne.
(1-01734)
«Brignone, Pannarale, Costantino, Gregori, Pellegrino, Marcon, Civati, Fratoianni, Andrea Maestri, Pastorino, Palazzotto, Airaudo».
(18 ottobre 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    Catherine Ashton, già Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Unione europea, ha definito la violenza sulle donne «la più diffusa violazione dei diritti umani del nostro tempo»;
    la violenza di genere non conosce barriere geografiche, culturali, di classe o etniche;
    nel tempo è stata semplicisticamente ricondotta alla storica disuguaglianza di potere tra donne e uomini. Comprende invece tutti gli atti che si traducono o possono tradursi in lesioni, sofferenze fisiche e sessuali o psicologiche, minacce, coercizione, la privazione della libertà sia pubblica che privata;
    non essendoci una comune definizione di «violenza sulle donne», a livello europeo e internazionale non esiste una omogeneità di metodi e strumenti utilizzati per la repressione del fenomeno;
    secondo studi condotti dal Consiglio d'Europa, sono state vittime di violenze fisiche almeno una volta nella vita tra il 20 e il 25 per cento delle donne;
    in Europa ogni giorno una donna su cinque subisce una violenza e più di una su dieci l'ha subita con la forza; l'ambito nel quale la violenza è più diffusa è quello domestico dove tra il 12 e il 15 per cento delle donne ne è stata vittima dopo i 16 anni di età;
    le donne subiscono la violenza anche nei luoghi di lavoro fra insulti, mobbing, molestie sessuali, soprattutto nei paesi economicamente più sviluppati;
    fin dal 1999, il 25 novembre è la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Lo ha decretato, con la risoluzione n. 54/134 del 17 dicembre 1999, l'Assemblea generale delle Nazioni unite a dimostrazione della gravità di un fenomeno di profonda inciviltà che, purtroppo, investe indistintamente tutto il mondo;
    una indagine dell'Istat del 2014 fornisce dati rilevanti: nel complesso diminuisce il numero delle violenze, tranne gli stupri, ma aumenta la loro gravità;
    la stessa indagine dice quanto è alto il costo economico, pubblico e privato, della violenza. Le vittime sono costrette a sostenere spese per cure mediche e psicologiche presso strutture private, per farmaci, legali e per danni alla proprietà. Molte si sono dovute assentare dal lavoro con costi a carico del sistema produttivo o hanno avuto difficoltà a gestire le attività quotidiane. Ai costi diretti vanno aggiunti quelli legati alle prestazioni sanitarie pubbliche, i servizi erogati dai centri antiviolenza, gli interventi di polizia e del sistema giudiziario, nonché i costi sociali indiretti se sono stati coinvolti i figli;
    le donne italiane, purtroppo, denunciano più spesso la violenza se sono vittime di uno straniero e per il tentato stupro il numero di denunce arriva ad essere 10 volte maggiore;
    una indagine dell'Istat condotta nel 2016 stima che siano state 1 milione e 403 mila le donne che nel corso della loro vita lavorativa, hanno subito molestie o ricatti sessuali sul posto di lavoro e che solo una donna su cinque ha raccontato la propria esperienza e quasi nessuna ha denunciato il fatto alle forze dell'ordine;
    da quando nel 2009 è entrata in vigore la legge che definisce il reato, le condanne per stalking sono in aumento e i reati più frequentemente associati allo stalking sono la violenza privata, le lesioni personali e le ingiurie;
    l'Italia si colloca fra le posizioni più elevate della classifica dei Paesi dove si perpetua il reato di violenza domestica e domestica di genere anche se i dati raccolti a livello ufficiale costituiscono una parte molto ristretta rispetto al dilagare del fenomeno;
    a tale proposito va citata la risoluzione del Parlamento europeo sull'eliminazione della violenza contro le donne del 26 novembre 2009;
    da una rilevazione condotta dal dipartimento delle pari opportunità sul numero di emergenza 1522 risulta che nell'ultimo trimestre siano giunte 222 richieste di aiuto per stalking, 1154 richieste di aiuto da vittime di violenza e che 356 persone hanno segnalato un caso di violenza; tutte richieste esplicite di aiuto che le donne o le persone a loro vicine rivolgono al servizio, in assenza di strumenti alternativi efficaci per rispondere ad un bisogno immediato. La fascia di età più vulnerabile è compresa fra i 35 e i 54 anni;
    la Convenzione del Consiglio d'Europa del 7 aprile 2011 sulla prevenzione e sulla lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, più conosciuta come la Convenzione di Istanbul, evidenzia la relazione fra la violenza e l'assenza di parità di genere; amplia la portata del termine violenza includendo anche quella economica, psicologica e domestica; rileva la necessità di politiche che favoriscano l'effettiva parità fra i sessi e di quelle necessarie ad assicurarne la prevenzione;
    la ratifica ed esecuzione della Convenzione sopra citata è avvenuta con legge n. 77 il 27 giugno 2013; mentre il 15 ottobre dello stesso anno il Parlamento ha approvato la legge 119 recante misure urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere; nel 2015, invece, è stato adottato, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere,

impegna il Governo:

1) a prevedere campagne di informazione capaci di incoraggiare le donne a denunciare le violenze di cui sono vittime e a richiedere l'assistenza, psicologica, pratica ed economica necessaria all'abbandono dell'ambiente violento;

2) a sostenere il sistema di istruzione affinché promuova fin dall'infanzia forme di comunicazione verbali, figurative e scritte, rispettose della parità di genere anche grazie a corsi di formazione del personale docente per assicurare una educazione che superi vecchi stereotipi, le disuguaglianze e le discriminazioni di genere;

3) a individuare forme efficaci di rilevazione del fenomeno e di condivisione dei dati fra istituzioni pubbliche e forze dell'ordine al fine di comprenderne la reale portata e prevedere misure di contrasto efficaci;

4) a valutare di assumere iniziative per l'inasprimento delle pene per i reati di violenza contro le donne, affinché i violenti siano scoraggiati dal riprovarci, visto che per una somma di benefici spesso tornano liberi dopo pochissimo tempo;

5) a valutare la possibilità di recuperare risorse economiche sufficienti al fine di rendere possibile l'uso del braccialetto elettronico per accompagnare i provvedimenti di ammonimento per lesioni e garantire la tutela delle persone offese;

6) a valutare l'adozione di iniziative per l'istituzione di un fondo per le vittime di violenza e per i loro familiari affinché possano avere risorse sufficienti per ricominciare una vita dignitosa, anche in considerazione del fatto che spesso sono costretti a lunghe cure, anche psicologiche o versano in situazione di invalidità permanente e, per questo sono obbligati a interrompere il lavoro;

7) ad assumere iniziative per prevedere, in presenza di violenze familiari note e reiterate ai danni delle donne, nei casi di separazione, che i maltrattamenti divengano causa di esclusione dell'affido condiviso.
(1-01735)
«Vezzali, Francesco Saverio Romano, Abrignani, Auci, Borghese, D'Alessandro, D'Agostino, Faenzi, Galati, Marcolin, Merlo, Parisi, Rabino, Sottanelli, Zanetti».
(18 ottobre 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    le violenze fisiche, sessuali e psicologiche contro le donne rappresentano un abuso contro i diritti umani;
    l'Agenzia dei diritti fondamentali dell'Unione europea (FRA) ha presentato a Bruxelles il nuovo rapporto sulla violenza contro le donne. Dall'analisi emerge che una donna su tre (il 33 per cento) ha subito violenza fisica e/o violenza sessuale dai 15 anni in su. La percentuale sale al 43 per cento nei casi di violenza psicologica;
    è sconcertante rilevare quanto siano ancora troppo poche le donne che, a seguito di un episodio di violenza, denunciano gli abusi alle autorità competenti. Dal rapporto emerge che solo il 14 per cento ha denunciato alla polizia l'episodio di violenza più grave subito dal partner, percentuale che scende al 13 per cento per i casi in cui l'aggressore non era il partner;
    in Italia, secondo un recente studio dell'Istat sono oltre cento le donne che ogni anno, vengono uccise da uomini. Nel 2016 sono state 120 le vittime di femminicidio e nel 2017 la media è di una vittima ogni tre giorni. Negli ultimi dieci anni le donne uccise sono state circa 1.740, di cui 1.251 (il 71,9 per cento) in famiglia. Inoltre, è stato rilevato che: 3 milioni e 466 mila sono le donne che nell'arco della propria vita hanno subito stalking, ovvero atti persecutori da parte di qualcuno. Di queste: 2 milioni e 151 mila sono le vittime di comportamenti persecutori dell'ex partner. Il dato preoccupante è che il 78 per cento delle donne che ha subito stalking, non si è rivolta ad alcuna istituzione e non ha cercato aiuto;
    da uno studio dell'Istat pubblicato nel giugno del 2015, emerge che sono circa 6 milioni 788 mila le donne che hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Il 20,2 per cento ha subìto violenza fisica, il 21 per cento violenza sessuale, il 5,4 per cento forme più gravi di violenza sessuale come stupri e tentati stupri. Sono 652 mila le donne che hanno subìto stupri e 746 mila le vittime di tentati stupri;
    dai dati forniti dalla polizia la durezza delle violenze è sempre più grave: aumentano quelle che hanno subito ferite (dal 26,3 per cento al 40,2 per cento da partner) e il numero di donne che hanno temuto per la propria vita (dal 18,8 per cento del 2006 al 34,5 per cento del 2014);
    il 19 giugno 2013 il Parlamento italiano ha approvato, in via definitiva, la legge per la ratifica e l'esecuzione della convenzione del Consiglio d'Europa, nota come Convenzione di Istanbul, contro la violenza sulle donne e la violenza domestica;
    la convenzione di Istanbul pone l'accento su un tema importante, quello della «vittimizzazione secondaria», ovvero la colpevolizzazione della vittima, che consiste nel ritenere chi ha subito una violenza o altre sventure parzialmente o interamente responsabile di ciò che le è accaduto, inducendo la stessa ad autocolpevolizzarsi. Un atteggiamento di «colpevolizzazione» è anche connesso con l'ipotesi che si deve conoscere e accettare una supposta «natura intrinseca»;
    dalle indagini all'eventuale dibattimento si richiedono tempi che spesso non sono assolutamente conciliabili con le esigenze di urgenza legate ad una situazione di violenza. La fase istruttoria dura solitamente due anni e altrettanti ce ne vogliono per avere la sentenza di primo grado. Se si continua in secondo e terzo grado possono essere necessari anche sino a 10 anni e, solo a conclusione di tutto l’iter processuale, l'eventuale sentenza di condanna diventa definitiva e può essere eseguita;
    sono numerosi gli esempi di casi prescritti come purtroppo accaduto a Torino in un odioso caso di violenza su una bambina di sette anni, procedimento non concluso e prescritto dopo venti anni (già ricordato nella interrogazione a risposta immediata in Assemblea n. 3/02837 del 1 marzo 2017);
    l'obbligo del braccialetto elettronico per i responsabili di violenze note, già segnalate e denunciate e che abbiano conseguentemente ricevuto un provvedimento di ammonimento, sarebbe un ottimo strumento per tenere sotto controllo chi è indagato o accusato di molestie sulle donne. L'utilizzo di questo dispositivo permetterebbe la costante localizzazione da parte delle forze dell'ordine dei «persecutori»;
    la mancata denuncia del proprio «persecutore» da parte delle donne vittime di violenza di genere è da attribuire anche al fatto di essere spesso la parte economicamente debole;
    in Italia si registra un alto tasso di disoccupazione femminile: secondo un recente studio dell'Istat il tasso di occupazione delle donne (15-64 anni) a giugno 2017 ha raggiunto il 48,8 per cento, dato tra i più bassi in Europa (fonte Eurostat);
    le vittime di violenza di genere hanno il diritto di avere giustizia e poter vivere una vita per quanto sia possibile normale, senza il timore di ritorsioni da parte da parte dei loro aggressori violenti;
    l'ultimo piano straordinario nazionale contro la violenza sessuale e di genere è stato adottato con decreto del Consiglio dei Ministri del 7 luglio 2015 con durata biennale. Attualmente, si è a conoscenza solo di una bozza delle linee strategiche del prossimo piano,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative normative per abbreviare la durata dei processi in materia, al fine di arrivare ad una sentenza che venga emessa prima dei tempi previsti per la prescrizione;

2) ad assumere iniziative per consentire e favorire l'utilizzo della video registrazione come testimonianza delle vittime in sede di incidente probatorio, per evitare alle donne una ulteriore violenza psicologica causata da testimonianze reiterate durante il percorso giudiziario;

3) ad assumere iniziative per destinare fondi per la formazione specialistica del personale dell'amministrazione della giustizia, dei Corpi di sicurezza statali, del pronto soccorso e del personale sanitario, per affrontare in modo professionale la tutela delle vittime e il contrasto alla violenza di genere;

4) a sostenere una maggiore diffusione del manuale comunitario delle buone pratiche per combattere la violenza contro le donne;

5) a promuovere campagne istituzionali di educazione, sensibilizzazione e informazione sul tema della violenza di genere;

6) a monitorare l'applicazione delle disposizioni vigenti in materia di braccialetto elettronico;

7) a istituire un fondo speciale per il microcredito a favore di start up costituite da vittime di violenza;

8) a rendere noti i risultati del piano 2015-2017, nonché i contenuti e le tempistiche del nuovo piano nazionale contro la violenza sessuale di genere.
(1-01736)
«Galgano, Oliaro, Mucci, Bueno, Monchiero, Mazziotti Di Celso, Menorello, Molea, Quintarelli, Bombassei, Catalano, Vaccaro».
(18 ottobre 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    per quanto la violenza di genere sia un fenomeno sociale drammatico difficile da quantizzare, i dati disponibili ne evidenziano le enormi proporzioni: quasi sette milioni di donne hanno subìto qualche forma di abuso nel corso della loro vita, come violenze domestiche, stalking, stupro, insulto verbale e violazioni della propria sfera intima e personale, che rappresentano spesso tentativi di cancellarne l'identità, di minarne l'indipendenza e la libertà di scelta;
    i numeri del femminicidio, forma estrema del fenomeno, sono inquietanti: negli ultimi 5 anni se ne registrano 774, una media di circa 150 all'anno; in Italia ogni due giorni circa viene uccisa una donna: nel 2016 ci sono stati 120 casi di femminicidio e anche nel 2017, al momento, la media è di una vittima ogni tre giorni; negli ultimi dieci anni le donne uccise in Italia sono state 1.740, di cui 1.251 (il 71,9 per cento) in famiglia;
    l'Italia ha firmato e ratificato la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ovvero la cosiddetta Convenzione di Istanbul, aperta alla firma l'11 maggio del 2011: si tratta del primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza;
    il Parlamento italiano ne ha autorizzato la ratifica con la legge n. 77 del 2013; pertanto la Convenzione è in vigore dal 1o agosto 2014; l'articolo 3 stessa precisa che la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani ed è una forma di discriminazione contro le donne;
    con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2015 è stato adottato il piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, previsto dall'articolo 5 del decreto-legge n. 93 del 14 agosto 2013, convertito dalla legge n. 119 del 2013, con l'obiettivo di disegnare un sistema di politiche pubbliche che integri dal punto di vista degli interventi le previsioni di carattere penale contenuti nella legge;
    il piano, in attuazione della citata Convenzione, rappresenta la presa di coscienza politica del carattere strumentale e antropologico della violenza maschile contro le donne in Italia e mette in luce la connessione che esiste tra discriminazione e violenza in un modello sociale in cui la costruzione dei ruoli corrisponde ancora a rapporti di forza tra uomini e donne;
    per tali finalità la legge n. 119 del 2013 ha stanziato risorse per finanziare progetti territoriali e formazione al fine di dare attuazione agli interventi per la valorizzazione dei progetti territoriali, per la formazione degli operatori impegnati negli interventi, per il sostegno all'emancipazione delle donne maltrattate e alle iniziative di prevenzione culturale della violenza sessuale e di genere, soprattutto sul fronte dell'educazione e del recupero;
    il piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere è scaduto il 17 luglio 2017 e attualmente si è ancora in attesa del nuovo piano, sebbene siano terminati i lavori dei gruppi di esperti creati ad hoc presso il dipartimento per le Pari opportunità;
    tra le finalità del piano nazionale emerge quella di creare e mettere in esercizio una banca dati nazionale e informatizzata, come strumento determinante e completo per lo studio del fenomeno della violenza contro le donne basata sul genere e per la conseguente definizione di azioni e politiche di intervento attraverso il miglioramento della conoscenza di dettaglio, tanto per la tutela delle vittime quanto per la prevenzione e la repressione dei fenomeni stessi, nonché per il monitoraggio dell'incidenza dei suddetti interventi;
    ai sensi della Convenzione, è stato istituito un gruppo di esperti indipendenti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Group of Experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence - Grevio), incaricato di monitorare l'attuazione della stessa da parte degli Stati aderenti; il Grevio è tenuto a pubblicare i report valutativi degli strumenti adottati dalle Parti per attribuire efficacia alle previsioni contenute nella Convenzione;
    l'Italia sarà chiamata alla trasmissione del proprio report nel gennaio 2018; pertanto, a partire da questa data, sulla base della compilazione effettuata, sarà possibile verificare l'efficacia degli strumenti utilizzati per l'attuazione dei precetti contenuti nella Convenzione;
    nel marzo 2016 è stata approvata all'unanimità dal Consiglio d'Europa la risoluzione Systematic collection of data on violence against women, della prima firmataria del presente atto di indirizzo, sulla necessità di creare una banca dati sistematica secondo metodologie omogenee fra paesi; basti pensare che allo stato attuale, nelle banche dati esistenti, non è stato ancora inserito il dato riguardante la relazione fra autore e vittima;
    la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna adottata a livello internazionale nel 1979 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite ed entrata in vigore il 3 settembre 1981, ha istituito un Comitato (Committee on the elimination of discrimination against women – Cedaw) con il compito di verificare lo stato di applicazione delle norme contenute nella Convenzione e che è composto da esperte nel campo dei diritti delle donne, provenienti da 23 Paesi ed elette a scrutinio segreto da una lista di candidature presentate dagli Stati firmatari della Convenzione;
    l'Italia ha ratificato la Cedaw il 10 giugno 1985 e aderito al Protocollo opzionale il 29 ottobre 2002;
    ogni Stato che ratifica la Convenzione, o vi aderisce, ha l'obbligo di presentare al Cedaw dei rapporti periodici in cui vengano illustrate le azioni compiute dallo Stato in questione per dare applicazione alle norme contenute nella suddetta convenzione. Il primo rapporto va presentato entro un anno dalla data di ratifica, e successivamente, i rapporti vanno presentati ogni quattro anni;
    a seguito dell'analisi del rapporto, a carattere quadriennale, presentato a Ginevra dal Governo italiano il 4 luglio 2017, il Cedaw ha pubblicato il «Concluding observations on the seventh periodic report of Italy», datato 21 luglio 2017, nel quale sulla base di diffuse criticità, ha esplicitato le proprie perplessità e indicato le lacune alle quali il Governo italiano dovrà provvedere e rispondere con un nuovo rapporto fra due anni;
    in particolare, il Comitato evidenzia che per l'Italia è necessario rafforzare la consapevolezza delle donne circa i loro diritti ai sensi della Convenzione e i rimedi a loro disposizione per denunciare le violazioni di tali diritti. Allo stesso tempo, si afferma anche che il Governo italiano dovrà impegnarsi a rendere fruibili le informazioni sulla Convenzione, sul protocollo facoltativo e sulle raccomandazioni generali del Comitato a tutte le donne, nessuna esclusa. Dal rapporto si evince che in Italia manca il coordinamento tra le varie componenti regionali e locali e una chiara definizione dei mandati e delle responsabilità. Il Comitato suggerisce di aumentare le risorse assegnate al Dipartimento per le pari opportunità e di istituire un Ministero ad hoc necessario per avviare, coordinare e attuare le politiche di uguaglianza di genere;
    per una più incisiva prevenzione appare fondamentale intervenire nelle scuole, avviando con gli studenti un'attività interdisciplinare che conduca a riflettere sugli stereotipi di genere, a combatterli e a mostrare le continue e distorte costruzioni dei ruoli maschili e femminili. Solo instaurando un dialogo attivo su queste tematiche sarà possibile combattere e superare quei presupposti culturali che alimentano e incentivano la discriminazione tra i sessi e che, se non contrastati, continueranno a crescere;
    pertanto, sarebbe oltremodo auspicabile che sia garantita pari opportunità di educazione, istruzione, cura, relazione e gioco, superando diseguaglianze e barriere nonché ai fini della conciliazione tra tempi di vita, di cura e di lavoro dei genitori, della promozione della qualità dell'offerta educativa e della continuità tra i vari servizi educativi e scolastici e la partecipazione delle famiglie;
    la legge 23 giugno 2017, n. 103, tra le varie misure, reca disposizioni in materia di estinzione del reato per condotte riparatorie e introduce, attraverso l'articolo 162-ter del codice penale, la possibilità per uno stalker di estinguere il suo reato pagando una somma decisa dal giudice anche se la vittima è contraria e rifiuta il denaro;
    il triste fenomeno di violenza sulle donne si radica soprattutto nel contesto familiare, portando con sé, oltre alle drammatiche conseguenze che ormai sono sempre più frequentemente oggetto di cronaca, anche tutta una serie di situazioni paradossali che vedono il reo autore di violenza, anziché essere considerato indegno, in caso di morte della vittima, a mantenere di una serie di benefici economici successori legati allo status di coniuge, anche spesso a discapito dei figli;
    quando si parla di violenza contro le donne, più spesso ci si riferisce alla violenza fisica, sessuale, psicologica, ma si parla poco di una violenza altrettanto diffusa e lesiva quale la violenza economica, che rappresenta una forma di violenza difficilmente riconoscibile e poco denunciata e che ancora prima di radicarsi nell'ambito familiare, comincia nella nostra cultura, dove la donna viene ancora oggi penalizzata da molti punti di vista, compreso il mondo del lavoro, determinando di fatto uno stato di subalternità economica, fisica e psicologica, con tutte le devastanti conseguenze che ne derivano,

impegna il Governo:

1) ad assicurare che i finanziamenti stanziati annualmente siano erogati senza ritardi e vincolati all'assunzione di impegni precisi, all'individuazione delle priorità e alla valutazione dei risultati ottenuti;

2) ad intervenire, con iniziative anche di tipo normativo, per compensare nel breve periodo le gravi lacune, citate in premessa, del sistema italiano evidenziate dal rapporto «Concluding observations on the seventh periodic report of Italy»;

3) a prevedere indicatori per la valutazione, da effettuarsi con cadenza annuale o comunque per ogni ciclo di finanziamento, dell'impatto degli stanziamenti per informare circa le future strategie di intervento, tramite la consultazione delle organizzazioni della società civile e dei centri antiviolenza;

4) a predisporre una sezione all'interno del sito del Dipartimento per le pari opportunità volta a rendere accessibile, in tempi rapidi, la rendicontazione completa delle attività finanziate con i fondi della legge n. 119 del 2013, nella quale le amministrazioni regionali e locali possano caricare direttamente e in autonomia la documentazione rilevante (delibere, risultati bandi, reportistica delle attività svolte da parte dei beneficiari dei fondi e altro), facendo sì che tali informazioni siano disponibili in formato «aperto» (open data);

5) ad aggiornare la mappatura dei centri antiviolenza del Dipartimento per le pari opportunità secondo la reportistica ricevuta da regioni e province autonome, anche al fine di stimare il fabbisogno reale dei centri antiviolenza per la loro sopravvivenza e il loro adeguato funzionamento, informando di conseguenza circa lo stanziamento necessario per assicurare servizi adeguati su tutto il territorio;

6) ad adottare quanto prima il nuovo piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere per il periodo 2017-2020 e renderlo pubblico tempestivamente sul sito del Dipartimento per le pari opportunità, nonché a valutare la ormai improcrastinabile necessità di superare il carattere di straordinarietà del piano stesso a favore di azioni non improntate all'eccezionalità, ma a carattere sistematico;

7) ad inserire nella costituenda banca dati nazionale il dato, citato in premessa, riguardante la relazione fra la vittima e l'autore della violenza;

8) ad assumere iniziative per incoraggiare il settore privato, il settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e i mass-media, nel rispetto della loro indipendenza e libertà di espressione, a partecipare all'elaborazione e all'attuazione di politiche e alla definizione di linee guida e di norme di autoregolamentazione per prevenire la violenza contro le donne e rafforzare il rispetto della loro dignità, anche promuovendo una comunicazione improntata al pieno rispetto della dignità culturale e professionale delle donne e vietando forme di comunicazione che possano indurre una fuorviante percezione dell'immagine femminile;

9) a predisporre, all'interno del Dipartimento per le pari opportunità, uno strumento efficace e incisivo di segnalazione di materiale sessista che non si limiti esclusivamente all'ambito pubblicitario;

10) ad assumere iniziative per introdurre, nell'ambito delle istituzioni scolastiche, anche contemplando il potenziamento dell'offerta formativa, percorsi e progetti mirati a garantire pari opportunità di educazione, istruzione, cura, relazione e gioco, con il coinvolgimento delle famiglie al fine di superare ogni tipo di disuguaglianza e discriminazione, in tal modo educando le nuove generazioni alla parità di genere e all'affettività;

11) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, finalizzate a rendere obbligatoria una formazione specifica di tutti/e gli/le operatori/operatrici di giustizia (giudici, pubblici ministeri, appartenenti alle forze dell'ordine, operatori/operatrici dei servizi sociali, polizia penitenziaria, personale addetto alle case di accoglienza o case rifugio o comunità) per meglio affrontare e contrastare il dilagante fenomeno della violenza di genere;

12) ad assumere iniziative normative atte ad escludere dall'applicabilità dell'istituto introdotto all'articolo 162-ter del codice penale, relativo all'estinzione del reato per condotte riparatorie, i delitti contro la persona, in particolare al fine di perseguire con il massimo rigore i casi di violenza di genere;

13) ad assumere iniziative normative, in caso di condanna per omicidio aggravato di una donna, finalizzate ad introdurre come pena accessoria la «indegnità» del reo rispetto agli eredi, affinché il giudice penale possa dichiarare il condannato decaduto da ogni diritto ereditario in quanto «indegno a succedere», senza necessità di un'azione civile da parte degli eredi;

14) ad adottare le iniziative legislative, finanziarie o di altro tipo necessarie,  nel rispetto dell'articolo 16 della Convenzione di Istanbul, per sostenere programmi di trattamento per la prevenzione della recidiva degli autori di violenza, in particolare per i reati di natura sessuale, anche tramite centri di ascolto coordinati a livello nazionale.
(1-01737)
«Spadoni, Nesci, Lorefice, Grillo, Vega Colonnese, Silvia Giordano, Mantero, Baroni, Ciprini, Chimienti, Ferraresi».
(23 ottobre 2017)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   PANNARALE e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con sentenza n. 9234 del 2017 il tribunale amministrativo regionale del Lazio si è pronunciato sul ricorso presentato dai diplomati Itp, stabilendo che il solo possesso del diploma è titolo abilitativo all'insegnamento senza alcuna necessità di conseguire titolo abilitativo ulteriore, qualora il diplomato intendesse svolgere attività di insegnamento nelle corrispondenti classi di concorso, annullando così il decreto ministeriale n. 374 del 2017 nella parte in cui ha precluso a tali categorie di docenti l'accesso alla II fascia delle graduatorie;
   con inaudito e sorprendente tempismo il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con la nota n. 37381 del 2017 diramata a tutti i direttori degli uffici scolastici regionali e con la quale li invita, in sede di attribuzione di supplenze per l'anno scolastico 2017/2018, a volersi conformare al suddetto pronunciamento, ha stabilito che: «È possibile conferire incarichi a tempo determinato, con apposizione di clausola risolutiva condizionata alla definizione nel merito del giudizio pendente, ai docenti risultati destinatari di pronunce giudiziali favorevoli in forza delle quali il disposto inserimento con riserva nelle graduatorie ad esaurimento o di istituto risulti configurato dal giudice come pienamente anticipatorio di tutte le utilità ad esso connesse», disponendo pertanto l'immediato inserimento nelle graduatorie d'istituto di seconda fascia dei ricorrenti diplomati Itp, prima ancora di esperire un ulteriore grado di giudizio presso il Consiglio di Stato;
   nonostante, infatti, ci siano ancora i tempi tecnici il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca secondo gli interroganti ha scelto, colpevolmente, di non appellarsi al suddetto verdetto del tribunale amministrativo regionale, come implicitamente dimostrato anche dal mancato richiamo nella suddetta nota al Consiglio di Stato, quale titolare di ultima istanza di «pronunce giudiziali favorevoli» (richiamo presente, invece, nell'omologa nota diramata per l'anno scolastico 2016/2017). Una tale rinuncia dimostra anche la scelta del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di non voler tutelare tutti quegli Itp in possesso di titoli abilitativi ulteriori e che vantano anche esperienza diretta nell'insegnamento;
   diretta conseguenza di ciò è l'attribuzione di posti di sostegno a personale non qualificato, con un percorso di studi inadeguato e senza esperienza nell'insegnamento, compromettendo ulteriormente l'assenza di docenti specializzati, a causa della mancata trasformazione dei posti in deroga in posti di diritto e del numero insufficiente dei posti attivati a fronte di un alto numero di richieste di specializzazione –:
   quali iniziative intenda adottare al fine di superare la suddetta disparità di trattamento per l'accesso alla professione e, contestualmente, garantire la qualità del sistema di inclusione scolastica per tutti gli studenti e studentesse con disabilità.
(3-03321)
(24 ottobre 2017)

   PIEPOLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'agosto 2017 è stata perpetrata una strage a San Marco in Lamis, sul Gargano, che è l'ultimo atto di una faida che si trascina da sin troppo tempo e che insanguina il nord della provincia di Foggia;
   come è noto, un commando di malavitosi ha ucciso quattro persone: due pregiudicati e due passanti che hanno avuto la sola colpa di essere al posto sbagliato nel momento sbagliato, mentre solo il caso ha salvato una turista che ha rischiato di rimanere anche lei vittima della strage citata;
   appare evidente all'interrogante che nel Gargano lo Stato rischia di andare in minoranza e che queste vicende dimostrano la sconfitta della retorica e dell'autoassoluzione della politica;
   in particolare, appare chiaro allo stesso interrogante come manchi un vero controllo delle coste garganiche, usate dalla criminalità come vere e proprie basi logistiche per le loro azioni criminose;
   per questo, ad esempio, l'interrogante ritiene, da un lato, necessaria la costruzione di un sistema capillare di telecamere per il controllo di un territorio complesso e difficile come il Gargano, nonché, dall'altro, un'azione volta a rendere permanente l'insieme dei supporti forniti per fronteggiare la criminalità, costituendo, ad esempio, uno specifico corpo di carabinieri, che potrebbero chiamarsi «Cacciatori del Gargano»;
   va riconosciuto che, con la tempestiva reazione del Ministro interrogato e del Governo, è stato dimostrato che, comunque, lo Stato non si rassegna a vedere un'importante porzione della Puglia sottratta alla maestà della legge, per essere assoggettata al potere di organizzazioni criminali, ormai così potenti da inquinare la vita economica e politica non solo del Mezzogiorno, ma anche dell'intero Paese –:
   quali ulteriori iniziative operative, svolte con mezzi e uomini, il Ministro interrogato intenda intraprendere per sostenere nella durata il coordinamento e l'azione di quanti sono in prima linea contro la criminalità organizzata.
(3-03322)
(24 ottobre 2017)

   LAFORGIA, RICCIATTI, FERRARA, SIMONI, MARTELLI, GIORGIO PICCOLO, ZAPPULLA, DURANTI, QUARANTA, ZARATTI, KRONBICHLER, FORMISANO, MATARRELLI, SANNICANDRO, SPERANZA, SCOTTO, ROBERTA AGOSTINI, ALBINI, BERSANI, FRANCO BORDO, BOSSA, CAPODICASA, CIMBRO, D'ATTORRE, EPIFANI, FAVA, FOLINO, FONTANELLI, FOSSATI, CARLO GALLI, LACQUANITI, LEVA, PIERDOMENICO MARTINO, MELILLA, MOGNATO, MURER, NICCHI, PIRAS, RAGOSTA, ROSTAN, STUMPO, ZACCAGNINI e ZOGGIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 ottobre 2017 l'azienda Almaviva contact s.p.a. ha comunicato alle rappresentanze sindacali la decisione di trasferire dalla sede di Milano a quella di Rende, in provincia di Cosenza, 65 unità di personale addetto/operatore di call center, in precedenza impiegato all'interno della commessa Eni;
   la commessa Eni è scaduta nel settembre 2017 e già da tempo la dirigenza di Almaviva aveva proposto alle organizzazioni sindacali interventi che avrebbero inciso fortemente sul costo del lavoro come condizione per il mantenimento del personale impiegato presso la sede di Milano;
   tra gli interventi proposti si citano, a titolo di esempio, la cassa integrazione straordinaria per almeno 5 mesi, la non retribuzione del 50 per cento degli straordinari da recuperare sotto forma di monte ore e la gestione aziendale delle ex festività e dei permessi retribuiti fino al 2020;
   una strategia aziendale più volte attuata da Almaviva, come nei casi delle chiusura dello stabilimento di Roma con 1.666 licenziamenti nel dicembre 2016 o degli accordi siglati per le sedi di Napoli e Palermo, rispettivamente a febbraio e marzo 2017, che, incidendo fortemente sul costo del lavoro nelle sede italiane, ha consentito all'azienda di liberare risorse da investire in sedi situate all'estero o di avviare operazioni finanziarie come la collocazione di un bond senior secured a tasso fisso da 250 milioni di euro effettuata ad inizio del mese di ottobre 2017;
   le condizioni proposte da Almaviva ai lavoratori dell'ex commessa Eni sono state sottoposte a referendum tra i dipendenti e respinte con una percentuale pari al 75 per cento dei votanti. Appreso l'esito del referendum, l'azienda ha comunicato i trasferimenti da Milano a Rende, che di fatto rischiano seriamente di tradursi in licenziamenti mascherati –:
   quali concrete iniziative, per quanto di competenza, intenda porre in essere il Ministro interrogato al fine di scongiurare l'annunciato trasferimento dei 65 lavoratori Almaviva della ex commessa Eni.
(3-03323)
(24 ottobre 2017)

   PIZZOLANTE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'iscrizione nel registro degli indagati nasce da esigenze di garanzia nei confronti delle persone coinvolte in un procedimento penale, ma la condizione di indagato è connotata molte volte da aspetti innegabilmente negativi;
   il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone ha inviato ai sostituiti procuratori una circolare sulle modalità di iscrizione delle notizie di reato. Come riportato dalla stampa, il procuratore di Roma ha evidenziato che «procedere ad iscrizioni non necessarie è tanto inappropriato quanto omettere le iscrizioni dovute». Da qui l'esigenza di non procedere in modo affrettato ad iscrizioni che potrebbero determinare forti ricadute negative sulle persone;
   il Vice Presidente del Consiglio superiore della magistratura in una recente intervista ha rilevato come l'informazione di garanzia per l'indagato si sia trasformata spesso in una gogna mediatica, anche in virtù della frequente amplificazione mediatica e della strumentalizzazione politica;
   appare dunque auspicabile che anche altre procure della Repubblica raccolgano le preoccupazioni sollevate dal procuratore di Roma e dal Vice Presidente del Consiglio superiore della magistratura –:
   se e quali iniziative di competenza intenda adottare il Governo su una materia fondamentale come quella che riguarda le prerogative e la dignità di chi è sottoposto alle indagini. (3-03324)
(24 ottobre 2017)

   VERINI, FERRANTI, AMODDIO, BAZOLI, BERRETTA, CAMPANA, DI LELLO, ERMINI, GIULIANI, GRECO, GIUSEPPE GUERINI, IORI, MAGORNO, MATTIELLO, MORANI, GIUDITTA PINI, ROSSOMANDO, TARTAGLIONE, VAZIO, ZAN, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   gli uffici di esecuzione penale esterna, a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 84 del 2015, sono divenuti articolazioni territoriali del nuovo dipartimento per la giustizia minorile e di comunità;
   il principale campo di intervento degli uffici di esecuzione penale esterna è quello relativo all'esecuzione delle sanzioni penali non detentive e delle misure alternative alla detenzione; a tal fine, elaborano e propongono alla magistratura il programma di trattamento da applicare e ne verificano la corretta esecuzione da parte degli ammessi a tali sanzioni e misure; elaborano e propongono alla magistratura il programma di trattamento da applicare e ne verificano la corretta esecuzione da parte degli ammessi a tali sanzioni e misure, secondo i compiti ad essi attributi indicati dall'articolo 72 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e dalle altre leggi in materia di esecuzione penale;
   dai dati rilevabili dalle statistiche nazionali emerge l'esigenza di proporre un programma di potenziamento che consenta di gestire il flusso dei procedimenti, che hanno subito un notevole incremento dalla riforma del 1975 ad oggi;
   la profonda modifica qualitativa delle caratteristiche criminologiche dei soggetti trattati ha innescato un processo di larga e progressiva trasformazione del fenomeno e, conseguentemente, del mandato conferito all'esecuzione penale esterna, rendendo di fatto inadeguato l'impianto organizzativo configurato all'epoca della riforma;
   l'attuazione di tale programma riveste, allo stato, carattere di priorità;
   in considerazione di quanto esposto appare, dunque, rimanendo nell'ambito di una complessiva e necessaria azione di integrazione e potenziamento degli organici del personale della giustizia, particolarmente urgente un aumento del personale appartenente alla professionalità di servizio sociale –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato, alla luce delle criticità espresse in premessa, nonché in virtù dell'articolo 7 della legge 28 aprile 2014, n. 67, al fine di verificare la reale necessità di incremento degli organici degli assistenti sociali degli uffici di esecuzione penale esterna per consentire un migliore funzionamento del sistema delle pene che si basi anche sulle misure alternative. (3-03325)
(24 ottobre 2017)

   MONCHIERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'avviso pubblico per la formazione dell'elenco di idonei alla nomina di direttore generale in attuazione del decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171, e successive modificazioni, recante «Attuazione della delega di cui all'articolo 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di dirigenza sanitaria», dispone specifici criteri selettivi di valutazione dell'esperienza dirigenziale, alla quale comunque è riservato un punteggio massimo di 60 punti contro i 40 previsti per la valutazione dei titoli formativi e professionali;
   con riferimento alle risorse umane gestite, indipendentemente dalla tipologia e dalla natura del rapporto di lavoro è attribuito per ciascun anno il valore di punti 2 per risorse umane, da 1 a 4 mediamente gestite per anno; per ciascun anno il valore 2,50, da 5 a 10 risorse umane mediamente gestite per anno e per oltre 1.000 risorse umane mediamente gestite per anno si attribuisce il valore 3,50, che rappresenta il valore più alto attribuibile;
   con riferimento alle risorse finanziarie: fino a euro 100.000 di risorse finanziarie mediamente gestite per anno si attribuisce per ciascun anno il valore: 2; da euro 100.001 a euro 500.000 di risorse finanziarie mediamente gestite per anno, si attribuisce per ciascun anno il valore: 2,50; mentre per oltre euro 100.000.000 di risorse finanziarie mediamente gestite per anno si attribuisce per ciascun anno il valore: 3,50;
   la limitata differenziazione fra entità radicalmente diverse di risorse gestite comporta un'insufficiente valutazione dell'esperienza manageriale maturata a tutto vantaggio dei titoli formativi e professionali –:
   se non ritenga opportuno sospendere la procedura e rivedere i criteri di attribuzione del punteggio per titoli, disponendo una più puntuale differenziazione in merito, soprattutto, ai criteri di valutazione del personale e delle risorse finanziarie gestite e ponendo particolare riguardo alla valorizzazione delle esperienze manageriali effettivamente maturate. (3-03326)
(24 ottobre 2017)

   FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PAGANO, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'Organizzazione mondiale della sanità si verificano 10 nuovi casi di scabbia al giorno e 350 decessi annui; dall'analisi emerge che nelle zone a più alto tasso di presenze di richiedenti asilo si superi la soglia di attenzione: in provincia di Brescia è record di casi di scabbia e tubercolosi, a Milano circa il 60 per cento dei malati di tubercolosi sono stranieri, senza contare quelli riscontrati agli appartenenti delle forze dell'ordine che presidiano i porti dove sbarcano i profughi;
   un nuovo caso di tubercolosi si è verificato all'ospedale Fatebenefratelli dell'isola Tiberina, a Roma; differentemente dai sei casi precedenti, che avevano riguardato medici e infermieri di prima linea, in reparti come il pronto soccorso o la breve osservazione, compresa una studentessa di scienze infermieristiche impegnata nel tirocinio, questa volta ad essere colpito non è un sanitario, bensì un dipendente di una società esterna che lavora nel bar dell'ospedale;
   un altro caso riguardante un giovane della Guinea, ospite al centro di accoglienza per richiedenti asilo di Gradisca e ricoverato il 3 febbraio 2017 all'ospedale di Gorizia per una sospetta appendicite, porta ancora oggi degli strascichi che preoccupano non poco i sindaci di Monfalcone, Fogliano e Dolegna;
   dopo sette giorni dal ricovero, infatti, allo straniero è stata riscontrata la tubercolosi; isolato al reparto malattie infettive di Udine, dopo le cure è rientrato al centro di accoglienza per richiedenti asilo, dove è a contatto con quasi 600 persone che possono muoversi e spostarsi tranquillamente, nonostante da una radiografia del 10 ottobre 2017 è emersa ancora l'attività della malattia; peraltro, un medico ed un infermiere che erano stati a contatto per sole due ore all'epoca dei fatti sono in cura perché risultati positivi alla tubercolosi;
   questi gravissimi fatti sembrano smentire, a parere degli interroganti, le rassicurazioni del Governo circa i controlli accurati dal momento dello sbarco dei clandestini ovvero del loro ingresso nel nostro Paese;
   è altresì evidente che la cosiddetta «accoglienza diffusa» rappresenta un rischio esponenziale per la salute dei cittadini italiani, considerato che comporta la dispersione sul territorio nazionale di soggetti provenienti da Paesi con alto tasso di malattie contagiose –:
   se e quali misure di propria competenza intenda urgentemente adottare, atteso che quanto finora compiuto è insufficiente a garantire la tutela della salute pubblica, incluso una revisione dei progetti di cosiddetta «accoglienza diffusa», al fine di evitare che ricada esclusivamente sui sindaci dei comuni ove sono ubicati i centri di accoglienza la responsabilità di preservare la salute dei cittadini. (3-03327)
(24 ottobre 2017)

   ZANETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 26 luglio 2017 la Corte dei Conti ha approvato con deliberazione n. 11/2017/G una dettagliata relazione da cui emerge che «a distanza di oltre due anni dalle modifiche introdotte con la legge di stabilità per il 2015, e di oltre cinque anni dall'obbligo di elaborare liste selettive, nessun contribuente è stato selezionato attraverso lo strumento dell'archivio dei rapporti finanziari quale soggetto a maggior rischio di evasione, né è stata ancora avviata la fase sperimentale, sicché non v’è dubbio che la norma sia stata totalmente disattesa dall'Agenzia delle entrate e che deve, altresì, prendersi atto che il Ministro dell'economia e delle finanze, pur titolare dei poteri di indirizzo e vigilanza, non è mai intervenuto attraverso specifiche indicazioni affinché l'Agenzia provvedesse, prima, ad elaborare le liste selettive e, poi, ad effettuare analisi del rischio evasione, nonché a riferire al Parlamento, come dovuto per espressa previsione normativa; si ritiene necessario, quindi, che il Ministro provveda ad esercitare le sue prerogative per porre rimedio alle riferite inadempienze»;
   si riterrebbe inoltre opportuno riportare a cadenza annuale la comunicazione telematica del cosiddetto «spesometro» e astenersi dal rendere obbligatoria la «fatturazione elettronica» tra privati che ad avviso dell'interrogante deve invece restare sul piano della opzione volontaria, in quanto conveniente per semplicità operativa e semplificazione degli adempimenti fiscali –:
   se non ritenga di esercitare i necessari poteri di indirizzo e vigilanza, come indicato dalla stessa Corte dei conti, con efficacia affinché finalmente l'Agenzia delle entrate e la Sogei rendano utilizzabili e utilizzino con efficacia la straordinaria mole di dati, che da ormai 5 anni dovrebbero essere presenti e fruibili nell'archivio dei rapporti finanziari, effettuando altresì una valutazione dell'operato, ad avviso degli interroganti palesemente insufficiente, dei dirigenti apicali di questi enti rispetto ad una così significativa risorsa operativa per il contrasto all'evasione fiscale. (3-03328)
(24 ottobre 2017)

   RIZZETTO, RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, GIORGIA MELONI, MURGIA, NASTRI, PETRENGA, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nella deliberazione del 26 luglio 2017 la sezione centrale di controllo della Corte dei conti ha stigmatizzato il mancato utilizzo, da parte dell'Agenzia delle entrate, dell'anagrafe dei rapporti finanziari, operativa solo dal 2009, sebbene prevista sin dal 1991, e costata finora dieci milioni di euro;
   tale inadempienza si rivela determinante nella mancata lotta all'evasione e ha fatto sì che, sinora, l'agenzia fiscale in questione non abbia potuto fornire al Parlamento gli elementi relativi ai risultati derivanti, in tale ambito, dall'utilizzo dell'anagrafe dei rapporti finanziari, nonostante tale attività sia dovuta;
   nella deliberazione si legge che con il decreto-legge cosiddetto «salva-Italia» del 2011 «il legislatore aveva disposto che il direttore dell'Agenzia delle entrate con un suo provvedimento individuasse criteri per elaborare, con procedure centralizzate, specifiche liste selettive di contribuenti a maggior rischio di evasione», ma che tali criteri «non sono stati mai emanati e di conseguenza non è mai stata predisposta alcuna lista selettiva»;
   i magistrati contabili affermano che sono stati usati i «soli dati di identificazione del soggetto», escludendo i dati più rilevanti e «pregnanti nella lotta all'evasione», quelli «sulle movimentazioni e i saldi» dei conti, mettendo in atto un modo di procedere «irrazionale e non coerente» con la legge, che determina un risultato, in termini di contrasto all'evasione, «di scarsa efficacia»;
   la legge finanziaria per il 2015 prevedeva l'utilizzo dei dati anche finanziari per effettuare l'analisi del rischio di evasione, ma, a distanza di oltre due anni dall'adozione di tali norme e di oltre cinque anni dall'obbligo di effettuare liste selettive, si è di fronte ad una totale inerzia e non è, quindi, mai stata effettuata la selezione dei contribuenti a maggior rischio di frodare il fisco;
   la gravità dell'inadempimento in questione determina un inspiegabile sottoutilizzo dell'anagrafe dei rapporti finanziari, nonostante sia un importante strumento per contrastare la galoppante evasione patologica;
   l'inadempimento dell'Agenzia delle entrate si unisce alla mancata vigilanza da parte del Ministro dell'economia e delle finanze sull'inosservanza degli obblighi relativi all'anagrafe dei rapporti finanziari previsti dalla legge al fine di un'efficace lotta all'evasione –:
   se e quali iniziative intenda assumere affinché l'Agenzia delle entrate provveda a un corretto utilizzo dell'anagrafe dei rapporti finanziari, nel rispetto delle vigenti normative. (3-03329)
(24 ottobre 2017)

   SIBILIA, PESCO, VILLAROSA, ALBERTI, RUOCCO, FICO e PISANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la nomina dell'attuale Governatore risale al novembre del 2011 ed è, pertanto, imminente l'obbligo di procedere al rinnovo della carica. Con l'istituzione dell'unione bancaria tra i Paesi dell'eurozona, la Banca d'Italia ha assunto dal novembre 2014 la funzione di autorità nazionale competente nell'ambito del meccanismo di vigilanza unico e dal 2016 la funzione di autorità nazionale di risoluzione delle crisi nell'ambito del meccanismo di risoluzione unico. Trattasi di funzioni del tutto nuove di elevata complessità da esercitare in un contesto connotato da nuove difficoltà e profondi cambiamenti, soprattutto di carattere istituzionale, che richiedono - quindi - una nuova valutazione del ruolo del Governatore della Banca d'Italia, in modo tale da garantirne l'efficiente ed imparziale operato nell'ambito del nuovo contesto operativo. Ai sensi dell'articolo 19, comma 8, della legge 28 dicembre 2005, n. 262, la nomina del Governatore è disposta con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d'Italia;
   nella seduta n. 872 della Camera dei deputati, tenutasi martedì 17 ottobre 2017, è stata approvata la mozione n. 1-01731 a prima firma della deputata Silvia Fregolent - 213 voti favorevoli e 97 contrari - con la quale si impegna il Governo ad adottare ogni iniziativa utile volta a rafforzare l'efficacia delle attività di vigilanza sul sistema bancario ai fini di un maggiore clima di fiducia dei cittadini nei confronti del sistema creditizio ed a individuare la figura più idonea a garantire nuova fiducia nella Banca d'Italia, tenendo conto anche del mutato contesto e delle nuove competenze attribuite alla Banca d'Italia;
   da fonti di stampa si apprende che il Consiglio dei ministri preposto alla nomina del Governatore della Banca d'Italia sia stato convocato in data 27 ottobre 2017. In relazione a quello che, ad avviso degli interroganti, si configura come lo scandalo della Banca Etruria e alle relative indagini, che hanno investito la famiglia Boschi, sarebbe opportuno, sempre ad avviso degli interroganti, che l'esponente di Governo, Maria Elena Boschi, non fosse presente al suddetto Consiglio dei ministri, per evitare ogni genere di conflitto di interesse –:
   in considerazione della mozione approvata dalla Camera dei deputati, che impegna il Governo ad individuare la figura più idonea a ricoprire la carica di Governatore della Banca d'Italia e a garantire nuova fiducia nell'istituto, quali siano i criteri che il Governo intende adottare per procedere alla relativa selezione. (3-03330)
(24 ottobre 2017)

   PALMIERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   lo sviluppo del sistema Paese necessita della costruzione di un ecosistema italiano più favorevole ad accogliere ricerca, innovazione e investimenti. Centrale nel dibattito industriale e competitivo italiano è la questione del trasferimento tecnologico, ovvero il trasferimento al mondo produttivo della ricerca scientifica prodotta da università, irccs e centri di ricerca;
   a fine 2016 si è accolto con favore il lancio della piattaforma ITAtech, fondo di investimento di 200 milioni di euro destinato ad investire in fondi di venture capital, di cui 100 milioni apportati dalla Cassa depositi e prestiti e altri 100 milioni dal Fondo europeo degli investimenti;
   in Italia, infatti, sono scarse e rarefatte le competenze imprenditoriali, manageriali e finanziarie necessarie al decollo del trasferimento tecnologico. Ad esempio, in Francia, in tutto il 2016 la raccolta di capitali sul mercato del venture capital è stata pari a 1.200 milioni di euro contro i 93 milioni di euro dell'Italia;
   è necessario che si creino uno o più investitori nazionali, che possano dialogare con tutta l'eccellenza scientifica del Paese, sostenendo il tessuto di competenze locali;
   da fonti di stampa sembra però che dei 200 milioni della piattaforma ITAtech, buona parte potrebbe andare a un fondo di venture capital francese, probabilmente Sofinnova partners. Già nel 2012 il Fondo italiano di investimento, controllato al 43 per cento da Cassa depositi e prestiti, ha affidato a Sofinnova partners 15 milioni di euro, per poi replicare l'investimento nel 2015 con altri 20 milioni di euro;
   dei primi 15 milioni di euro risulta che nessun euro sia andato a start-up italiane; mentre dei secondi 20 milioni di euro, soltanto 6 sono rientrati in Italia ma investiti, di fatto, su un altro intermediario e non su start-up italiane;
   si leggeva nel comunicato diffuso in quell'occasione, che Sofinnova partners si sarebbe impegnata «a dedicare una significativa parte dei nuovi capitali raccolti a investimenti in start up italiane»;
   non è andata così: i capitali hanno seguito altre vie, francesi e paneuropee, escludendo l'Italia. Tutto ciò mentre il mercato italiano del venture capital ha registrato un calo del 31 per cento nei primi mesi del 2017 rispetto al 2016 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti, quali iniziative intenda adottare affinché ITAtech dedichi il proprio sforzo e le proprie risorse nel sostenere la nascita di operatori nazionali, cosicché il sistema della scienza e della ricerca possano contare d'ora innanzi su competenze locali, e se sia a conoscenza che la Caisse des dépôts francese destini le sue risorse a qualche venture capital italiano per selezionare e finanziare la ricerca delle università francesi. (3-03331)
(24 ottobre 2017)

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