Organo inesistente

XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 357


PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE
d'iniziativa dei deputati
LAURICELLA, LEGNINI, AMODDIO, ARLOTTI, BARUFFI, BERRETTA, CAPONE, DE MARIA, D'INCECCO, IACONO, MOSCATT, RIBAUDO, SCALFAROTTO, TARANTO, ZAPPULLA
Modifiche agli articoli 138 e 139 della Costituzione, concernenti il procedimento per l'approvazione delle leggi di revisione costituzionale e delle altre leggi costituzionali, nonché i limiti alla revisione costituzionale
Presentata il 20 marzo 2013


      

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Onorevoli Colleghi! L'esperienza dell'ultimo decennio ha condotto tutte le forze politiche, presenti e non presenti in Parlamento, ad una conclusione condivisa sulla opportunità di approvare le leggi di modifica della Costituzione con una maggioranza che vada oltre quella che corrisponde alla componente parlamentare che sostiene il governo.
      La modifica del Titolo V da parte della maggioranza di centro sinistra e la modifica di molte parti della Costituzione operata dalla maggioranza di centro destra, poi non approvata dal conseguente referendum costituzionale, hanno rivelato la inopportunità del metodo assunto, sebbene legittimo sotto il profilo costituzionale, determinando, in ogni caso, la continua critica delle componenti minoritarie o di opposizione, pronte a rivedere le modifiche apportate quando fossero divenute maggioranza e forze di governo.
      Una condizione, dunque, di permanente incertezza in ordine alla stabilità delle regole costituzionali che, in linea di principio, dovrebbero invece assumere quel carattere di certezza e di stabilità necessario per non considerare precario ogni nuovo principio e temporanea ogni nuova norma assunta, mantenendo nello stesso limbo le conseguenti discipline di attuazione.
      La rigidità della Costituzione rappresenta uno degli strumenti fondamentali che hanno caratterizzato e caratterizzano gli Stati di democrazia classica, dove il principio della maggioranza deve essere contemperato con il principio della tutela del diritto delle minoranze, proprio per garantire a tutti (maggioranza e minoranza) e sempre (quando si fa parte della maggioranza e quando si è all'opposizione) la tutela e la garanzia delle regole fondamentali sancite nella Carta fondamentale.
      Per tale ragione ogni modifica deve essere condivisa e non lasciata alla scelta unilaterale della maggioranza del momento.
      Il meccanismo previsto nel vigente testo dell'articolo 138 della Costituzione aveva una sua ratio in un sistema politico e costituzionale proveniente dall'esperienza dittatoriale, con una Costituzione che nasceva in modo convenzionale e quindi, per definizione, condivisa da tutte le forze politiche che avevano come unico e comune interesse la creazione di uno Stato democratico, che fondasse la sua crescita sui principi di libertà, di uguaglianza, di solidarietà.
      Un sistema che assumeva la proporzionalità come criterio necessario su cui avrebbero dovuto basarsi tutte le scelte e le decisioni fondamentali, dai principi costituzionali alle regole della convivenza civile, economica e sociale, attraverso la partecipazione di tutti, anche delle parti minoritarie.
      In questo quadro le regole fondamentali non venivano mai messe in discussione, né veniva mai immaginato un uso strumentale e di parte della revisione costituzionale.
      Il passaggio dal principio proporzionale al principio maggioritario attraverso l'affermazione del bipolarismo ha, sostanzialmente, alterato il sistema, il quale, rimasto immutato sotto il profilo procedurale, non si rivela più adeguato a garantire quella condivisione che aveva rappresentato il fulcro dell'ispirazione del Costituente.
      Peraltro, siamo di fronte ad un bipolarismo immaturo, che non riesce a svilupparsi in una normale contrapposizione tra programmi politici, consapevole della logica dell'alternanza, ma finisce sempre con l'assumere i caratteri dello scontro tra fazioni, le quali, per assicurare la propria sopravvivenza, sono pronte a sacrificare i principi e le regole fondamentali, senza che ciò riguardi l'interesse generale, condiviso.
      Nelle cosiddette «democrazie mature» la procedura di revisione delle Costituzioni è, senz'altro, più difficile: nel sistema tedesco come in quello statunitense, per citare i più noti, è impossibile modificare una norma costituzionale se non con il consenso e la condivisione delle minoranze degli organi di rappresentanza degli Stati membri.
      Peraltro la presente proposta di legge, oltre a proporre la modifica del procedimento di formazione della legge di revisione costituzionale e delle altre leggi costituzionali, intende estendere il limite espresso previsto dall'articolo 139 della Costituzione anche ai princìpi che la Corte costituzionale ha individuato quali limiti impliciti alla revisione, in quanto appartenenti «all'essenza dei valori supremi su cui si fonda la Costituzione italiana» (sentenza n. 1146/88).
      Modifica, quest'ultima, che rimane nel solco dell'affermazione della rigidità, che, come si affermò anche in sede costituente e al di là delle posizioni assunte, non significa immodificabilità, ma inviolabilità, ovvero ineliminabilità di principi e diritti che costituiscono, appunto, i «valori supremi» su cui si fonda la nostra Carta costituzionale e che non possono essere eliminati neppure con una legge di revisione costituzionale.
      Un principio affermato dalla Corte costituzionale e confermato definitivamente dalla giurisprudenza costituzionale, che, oggi, si ritiene opportuno prevedere espressamente nella Costituzione.
      Per le ragioni esposte, con la presente proposta di legge si propone di modificare gli articoli 138 e 139 della Costituzione.
      In ordine all'articolo 138, pur mantenendo il criterio della doppia lettura, che continua a caratterizzare il procedimento di formazione delle fonti di rango costituzionale, si ritiene opportuno distinguere la legge di revisione costituzionale dalle altre leggi costituzionali, atteso che queste ultime mantengono la vigente struttura.
      In tal senso, è la legge di revisione costituzionale che trova una diversa disciplina sia in ordine al quorum di approvazione in sede parlamentare, sia con riguardo alla legittimazione a richiedere l'eventuale referendum costituzionale e, infine, in relazione al quorum richiesto per l'approvazione quando tale legge viene sottoposta a referendum.
      Pertanto, per l'approvazione della legge di revisione costituzionale, proprio in coerenza con l'esigenza di rafforzare il carattere rigido della nostra Costituzione, è previsto che nella seconda votazione la legge sia approvata da ciascuna Camera a maggioranza dei due terzi dei componenti, eliminando la possibilità di approvazione del testo di revisione a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera. In tal modo, si eleva il quorum rispetto alla procedura vigente, «imponendo» una larga condivisione della modifica costituzionale.
      Per non far venir meno la partecipazione del popolo, viene mantenuta la facoltà degli elettori di richiedere il referendum, elevandone, però, il numero dei sottoscrittori ad un milione, atteso che la proposta di legge abbia già ottenuto l'approvazione di due terzi dei componenti di ciascuna Camera. Una partecipazione, che rimane quale fase «eventuale» del procedimento di approvazione, che si ritiene opportuna anche per la comprensibile e riscontrata volubilità di una parte consistente dell'elettorato, che non si avvertiva in sede costituente né durante la cosiddetta «prima Repubblica», quando ancora le ideologie e le componenti politiche potevano godere di una forte stabilità e identità dell'elettorato.
      Inoltre, la presente proposta prevede che la legge di revisione costituzionale sottoposta a referendum popolare non è promulgata se non ottiene il consenso della maggioranza dei voti validi, ma introducendo, per mutuazione dalla procedura referendaria ex articolo 75 della Costituzione, una soglia di partecipazione popolare (la maggioranza degli aventi diritto al voto) che si ritiene opportuna rispetto alla rilevanza dell'oggetto della revisione. Un quorum, dunque, che si aggiunge all'unico quorum richiesto per il referendum relativo alle altre leggi costituzionali, anche per non sminuire il significato del quorum di due terzi, l'unico previsto per l'approvazione parlamentare, pur mantenendo la possibilità di verificare la rispondenza della volontà parlamentare con la volontà popolare. Modifica che, conseguentemente, richiederebbe un adeguamento del Titolo I («Referendum previsto dall'articolo 138 della Costituzione») della legge n. 352 del 1970 («Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo»).
      Peraltro, si tratta di un quorum di partecipazione che anche in ordine alla revisione costituzionale non appare limitativo o di difficile raggiungimento, atteso che nell'ultima consultazione referendaria sulla modifica costituzionale del 2006 si è registrata una partecipazione al voto del 52,30 per cento degli aventi diritto, con 25.753.641 voti validi.
      Per le stesse considerazioni in ordine al quorum parlamentare di approvazione, si prevede che la richiesta di referendum possa essere avanzata dai Consigli regionali, elevando a dieci il numero minimo dei Consigli legittimati alla richiesta, la quale viene limitata al caso in cui la revisione costituzionale riguardi materie ed interessi delle Regioni.
      Viene, poi, mantenuta la legittimazione a richiedere il referendum alla minoranza parlamentare, modificandone, però, il quorum, che viene elevato ad un terzo dei membri di ciascuna Camera, i quali, dunque, a differenza del sistema vigente, sono chiamati a richiederlo cumulativamente.
      Va ricordato che nel corso della XVI legislatura 2001-2006 con maggioranza di centro-destra, nel progetto di revisione costituzionale («Modifica della Parte II della Costituzione»), non approvata dal referendum popolare del 2006, erano state avanzate due proposte, pur mantenendo indistinta la procedura per la legge di revisione e per le altre leggi costituzionali.
      La prima, che introduceva un quorum di partecipazione (sul modello dell'articolo 75 Cost.), quale condizione per la promulgazione della legge di revisione, senza tener conto del risultato della consultazione; l'altra, prevedeva la facoltà di richiedere il referendum popolare anche nel caso di approvazione della legge in questione con il voto di due terzi dei membri di ciascuna Camera, ma, in tale caso, senza richiedere il quorum di partecipazione.
      Nella nostra proposta, invece, non cambia nulla in ordine all'approvazione o modifica delle «altre leggi costituzionali», mentre per le leggi di revisione costituzionale si inseriscono meccanismi e strumenti che servano a condurre ad una revisione largamente condivisa, senza privare, nel contempo, la minoranza del suo diritto di tutela, pur aggravandone le condizioni per attivare la fase referendaria.
      Il referendum, peraltro, rimane, anche in tale nuova formulazione, di tipo «oppositivo» – dunque, in armonia con la ratio del Costituente –, atteso che, previa la partecipazione della maggioranza assoluta degli elettori, il risultato negativo determina la mancata promulgazione della legge di revisione costituzionale.
      In definitiva e per altro verso, attraverso il referendum si verifica la rispondenza dell'espressa volontà parlamentare alla volontà popolare.
      In tal modo, si lascia la facoltà di richiedere il referendum popolare ai soggetti che non hanno direttamente e materialmente partecipato alla decisione parlamentare (popolo e Regioni) o che non l'hanno condivisa (minoranza parlamentare – si direbbe – «residuale»).
      Il rafforzamento che si giustifica per la legge di revisione non può essere esteso anche per l'approvazione delle altre leggi costituzionali, atteso che queste ultime possono riguardare non la modifica materiale del testo costituzionale, ma il riconoscimento del rango costituzionale ad una particolare materia o fattispecie, l'integrazione della Costituzione o l'adozione e la modifica degli Statuti speciali delle Regioni ad autonomia differenziata.
      Per tali altre materie si ritiene già di adeguata garanzia il procedimento aggravato in vigore.
      Nella modifica dell'articolo 138 si specifica, infine, quanto è già stato introdotto con la legge costituzionale n. 2 del 2001, secondo la quale la legge costituzionale con cui si modifica uno Statuto speciale non è sottoposta a referendum nazionale.
      In ordine alla modifica dell'articolo 139 della Costituzione si propone di aggiungere espressamente al limite alla revisione della forma istituzionale l'altro limite – ad oggi, implicito – relativo alla revisione dei principi che appartengono all'essenza dei valori supremi su cui si fonda la Costituzione, rimanendo nella individuazione dei principi e dei diritti fondamentali offerta dalla Corte costituzionale, evitando – si ritiene, opportunamente – di procedere ad una dettagliata elencazione che potrebbe esporre al rischio di successive e pericolose interpretazioni riduttive della sfera dei principi quali valori supremi della Costituzione.
      Una questione, quella dei limiti alla revisione, che è sempre stata oggetto di discussioni e dibattiti fin dai lavori dell'Assemblea costituente, in cui, tra gli altri, Togliatti, Moro, Ruini, Rossi, Calamandrei si confrontarono sul limite in ordine alla forma repubblicana dello Stato e, inoltre, sull'opportunità di estendere i limiti anche ai diritti ed ai principi fondamentali.
      Il risultato fu il vigente articolo 139, anche perché forte era il senso di ciò che si stava compiendo.
      Oggi, essendosi, probabilmente, affievolito quel senso, occorre rafforzare la nostra Carta fondamentale e sancire espressamente la inviolabilità dei principi che appartengono ai suoi valori supremi.
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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE
Art. 1.

      1. L'articolo 138 della Costituzione è sostituito dal seguente:
      «Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi.
      Le leggi di revisione della Costituzione sono approvate nella seconda votazione da ciascuna Camera a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti.
      Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un terzo dei membri di ciascuna Camera o un milione di elettori o dieci Consigli regionali, se le modifiche riguardano l'interesse o le competenze delle Regioni. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non ottiene la maggioranza dei voti validi, previa la partecipazione alla votazione della maggioranza degli aventi diritto al voto.
      Le altre leggi costituzionali sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.
      Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
      Non si fa luogo a referendum se la legge costituzionale è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza dei due terzi dei suoi

componenti o, comunque, se la legge approvata riguarda modifiche agli Statuti speciali regionali».
Art. 2.

      All'articolo 139 della Costituzione è aggiunto, in fine, il seguente comma:
      «Non possono, altresì, essere oggetto di revisione costituzionale i principi che appartengono all'essenza dei valori supremi su cui si fonda la presente Costituzione».

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