Organo inesistente

XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 254


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
VENDOLA, NICCHI, DI SALVO, MIGLIORE, AIELLO, AIRAUDO, BOCCADUTRI, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DURANTI, DANIELE FARINA, CLAUDIO FAVA, FERRARA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, LACQUANITI, LAVAGNO, MARCON, MATARRELLI, MELILLA, NARDI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIAZZONI, PILOZZI, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RAGOSTA, RICCIATTI, SCOTTO, SMERIGLIO, ZAN
Disposizioni in materia di modalità per la risoluzione del contratto di lavoro per dimissioni volontarie del lavoratore e del prestatore d'opera
Presentata il 15 marzo 2013


      

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Onorevoli Colleghi! La richiesta di «dimissioni firmate in bianco» al momento dell'assunzione, ovvero nel momento in cui il rapporto di forza tra i contraenti è a favore del datore di lavoro, è una pratica vessatoria che mette la lavoratrice e il lavoratore nell'impossibilità di far valere i propri diritti e la propria dignità, pena la certezza di un licenziamento in tronco, ammantato dalla finzione della volontarietà.
      Tale pratica riguarda in particolare le donne, ma non è un fenomeno esclusivamente di genere ed è legato anche a fenomeni fiscali: vi si ricorre, ad esempio, al fine di sgravare l'impresa dal pagamento degli oneri relativi ai periodi di assenza dal lavoro per imprevisti quali infortuni o malattia.
      Le dimissioni in bianco sono una delle piaghe più sommerse e invisibili del mercato del lavoro in Italia, una clausola nascosta nel 15 per cento dei contratti di lavoro a tempo indeterminato che costituisce un ricatto che colpisce due milioni di dipendenti, in gran parte donne (si veda il dossier curato da Maria Novella De Luca su «Repubblica» del 20 gennaio 2012).
      Questo fenomeno si annida dappertutto e rappresenta oltre il 10 per cento di tutte le controversie di lavoro dei patronati Acli e il 5 per cento di quelle degli uffici vertenze della CISL. Esso è diffuso tra le commesse dei negozi ai lusso come tra gli impiegati delle agenzie di servizi, nell'edilizia senza regole che cementifica le nuove periferie, ma anche nelle botteghe artigiane dell'orgoglio made in Italy e nell'80 per cento dei casi resta un reato impunito e taciuto.
      Questa prassi illegale coinvolge il 60 per cento delle lavoratrici donne e il 40 per cento dei lavoratori maschi, la manodopera operaia, tessile e artigiana, e si estende anche, e con una percentuale del 25 per cento, al personale impiegatizio di piccole e medie aziende.
      Si può essere «dimissionati» per decine di pretesti, ma i motivi più frequenti sono la nascita di un figlio, una malattia, l'età, i rapporti con il sindacato. O semplicemente, per lo scadere dei benefìci della legge n. 407 del 1990, che permette ai datori di lavoro che assumono a tempo indeterminato di non pagare per tre anni i contributi al neo-dipendente che viene coperto direttamente dall'Istituto nazionale della previdenza sociale. Passati quei mille giorni la lettera salta fuori e il lavoratore è «dimissionato», mentre se ne assume un altro per poter usufruire di nuovo dei benefìci di legge.
      Dai dati dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) risulta che ottocentomila donne nate dopo il 1973 affermano di essere state licenziate o costrette a dimettersi dopo la maternità. Quando il bambino ha compiuto il primo anno di vita, le donne non sono più protette dalla previsione di cui all'articolo 55, comma 4, del decreto legislativo n. 151 del 2001, sulla tutela delle lavoratrici madri, e dunque le aziende sanno che sia le «dimissioni in bianco» sia i licenziamenti diventano meno attaccabili e sanzionabili.
      «Il dato è davvero critico – commenta Linda Laura Sabbadini, direttore del dipartimento di statistiche sociali e ambientali dell'ISTAT – perché questa condizione sta addirittura peggiorando tra le donne più giovani».
      Diverse sono anche le forme di mobbing praticato a seconda del genere: ad esempio l'esclusione delle donne da progetti importanti; la richiesta, più o meno velata, dei datori di lavoro che invitano a posticipare la scelta di maternità o comportamenti a vario titolo scorretti di questi ultimi, che riescono così a far firmare dimissioni in bianco. Purtroppo il fenomeno rimane prevalentemente sommerso e le statistiche non riescono a rappresentare la vera portata di questa prassi.
      Secondo i dati forniti dagli uffici vertenza della CGIL, ogni anno circa duemila donne chiedono assistenza legale per estorsione di finte dimissioni volontarie. Purtroppo si contano in poche decine i casi in cui l'onere probatorio (che è in capo alla lavoratrice) si traduce in una prova (scritta o testimoniale) in grado di rendere nullo l'atto di cessazione del rapporto.
      Contro la piaga endemica delle dimissioni in bianco, che – stima, ad esempio, l'ufficio vertenze della CGIL di Pistoia – «riguarda il 15 per cento di tutti i contratti a tempo indeterminato», quindi circa due milioni di lavoratori, il Parlamento aveva varato una legge illuminata.
      Nel corso della XV legislatura, infatti, in seguito all'approvazione dell'atto Camera n. 1538 (presentato dai deputati Marisa Nicchi, Titti Di Salvo ed altri) fu approvata la legge 17 ottobre 2007, n. 188, con la quale era stato introdotto un meccanismo procedurale diretto a porre un rimedio generale contro le dimissioni in bianco del lavoratore o della lavoratrice.
      Con questa legge veniva imposto che le dimissioni fossero presentate su moduli identificati da codici numerici progressivi e validi non oltre quindici giorni dalla data emissione, per evitare appunto la data «in bianco». Purtroppo la legge entrò in vigore soltanto all'inizio del 2008, poco prima che si sciogliessero le Camere. Eppure l'aver semplicemente annunciato sanzioni e provvedimenti contro la prassi delle dimissioni in bianco aveva già avuto un effetto deterrente.
      Tutto ciò è durato solo pochi mesi, perché il primo provvedimento del Governo Berlusconi è stata proprio la cancellazione di quella legge (articolo 39, comma 10, lettera l), del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008) ad opera del Ministro Sacconi. Un colpo di spugna che, unito alla crisi, ha ancor di più inabissato il fenomeno, peggiorando le condizioni delle donne dopo la maternità, degli immigrati e di chi lavora nell'edilizia, con l'aggravante che questi lavoratori non possono accedere né all'indennità di disoccupazione, né ad altri ammortizzatori sociali.
      In ambito sindacale e politico, in seguito all'appello «188 donne per la legge 188» (febbraio 2012) per chiedere il ripristino della legge contro le dimissioni in bianco, si sono svolte iniziative e mobilitazioni in tutta Italia.
      Sulla materia, infine, è intervenuto l'articolo 4 (commi da 16 a 23) della legge n. 92 del 2012 (la cosiddetta «legge Fornero» sul mercato del lavoro) che ha modificato la disciplina delle dimissioni presentate dalla lavoratrice o dal lavoratore in alcune fattispecie.
      Il comma 16 di tale articolo 4 ha modificato la disciplina che richiede la preventiva convalida, da parte del servizio ispettivo (competente per territorio) del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, delle dimissioni presentate dalla lavoratrice o dal lavoratore in alcune fattispecie. Nella precedente formulazione, le fattispecie erano costituite dalle dimissioni presentate durante: il periodo di gravidanza (per la lavoratrice); il primo anno di vita del bambino o il primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento (per la lavoratrice e per il lavoratore).
      La disposizione della legge Fornero ha esteso la durata di questi ultimi due periodi da uno a tre anni e definito un termine particolare di decorrenza del periodo per il caso di adozione internazionale. È stato specificato, inoltre, che l'istituto della convalida in esame si applica anche ai casi di risoluzione consensuale del rapporto e che la convalida medesima costituisce una condizione sospensiva per l'efficacia della cessazione del rapporto di lavoro (la norma vigente già la pone come condizione, ma senza specificarne la natura sospensiva). Cioè si è confermata ed ampliata una procedura che da più di dieci anni ha mostrato la sua inefficacia nell'impedire le dimissioni in bianco.
      I successivi commi da 17 a 23 hanno previsto per tutti i rapporti privati di lavoro dipendente (ad eccezione delle fattispecie individuate dal comma 16), varie modalità alternative, al rispetto delle quali viene subordinata l'efficacia delle dimissioni o della risoluzione consensuale del rapporto. La relazione illustrativa del disegno di legge osservava che tali norme erano intese «a contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco». In quest'ultima materia, il comma 23 ha recato una sanzione amministrativa pecuniaria.
      In pratica, si prevede una procedura complicatissima. Il senso è che l'onere della prova della non veridicità delle dimissioni è a carico della lavoratrice.
      In sintesi, la legge n. 188 del 2007 preveniva le dimissioni in bianco; la legge Fornero ammette l'esistenza del problema e interviene a cose fatte. È già qualcosa, ma è un'altra cosa.
      Il Ministro Fornero ha ammesso i limiti di queste disposizioni, ma ha affermato che il Governo Monti ha voluto fare una mediazione tra interessi contrapposti.
      Sennonché lo scarso potere contrattuale del lavoratore, che non dispone degli strumenti e della forza negoziale per pattuire in posizione di effettiva parità molti aspetti del contratto di lavoro, è stato bilanciato nel corso di tutto il Novecento dalle norme del diritto del lavoro a sostegno della parte più debole con l'obiettivo di eliminare abusi.
      Con la presente proposta di legge intendiamo, dunque, riproporre le disposizioni della legge n. 188 del 2007.
      Si è pensato pertanto di vincolare la validità della dichiarazione di dimissioni volontarie all'utilizzo di appositi moduli usufruibili solo attraverso gli uffici provinciali del lavoro e le amministrazioni comunali, assicurando che gli stessi siano contrassegnati da codici alfanumerici progressivi e da una data di emissione che garantiscano la loro non contraffazione, e al tempo stesso la loro utilizzabilità solo in prossimità della effettiva manifestazione della volontà del lavoratore di porre termine al rapporto di lavoro in essere. Se venisse accolta una siffatta soluzione, verrebbe meno la possibilità di estorcere al momento dell'assunzione la contestuale sottoscrizione di una possibile, postuma lettera di dimissioni volontarie.
      Al fine di tutelare realmente la lavoratrice e il lavoratore, evitando loro defatiganti procedure burocratiche, si è ritenuto necessario prevedere la possibilità di reperire tali moduli anche per via telematica tramite il sito internet del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, così come si è ipotizzato il coinvolgimento dei patronati e delle organizzazioni sindacali dei lavoratori, secondo procedure disciplinate da apposite convenzioni definite dallo stesso Ministero.
      Questo provvedimento, pur se generale e rivolto all'intero mondo del lavoro, ha particolari valenze anti-discriminatorie a favore di un diritto sacrosanto quale la maternità e la conservazione del posto di lavoro a fronte di malattie e infortuni. Un valore che trova ampio riconoscimento giuridico tanto nell'ordinamento europeo, quanto in quello italiano, come sancito dall'articolo 30 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dagli articoli 35 e 37 della Costituzione, cui fanno riscontro l'articolo 9 dello statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970), la legge 8 marzo 2000, n. 53, volta proprio ad affermare e assicurare la conciliazione tra lavoro e responsabilità familiari, e il testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, in cui sono state accorpate le misure a tutela della maternità previste dalla medesima legge n. 53 del 2000 con quelle «storiche» contenute nella legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e in particolare il citato articolo 55, comma 4, in materia di dimissioni della lavoratrice madre.
      Entrando in vigore le norme proposte, più cogenti ed efficaci rispetto a quelle previste dalla legge Fornero, si dispone l'abrogazione di quest'ultime.
      Per l'attuazione della presente legge non sono previsti nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato.
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.

      1. Fatto salvo quanto stabilito dall'articolo 2118 del codice civile, la lettera di dimissioni volontarie, volta a dichiarare l'intenzione di recedere dal contratto di lavoro, è presentata dalla lavoratrice, dal lavoratore, nonché dal prestatore d'opera e dalla prestatrice d'opera, pena la sua nullità, su appositi moduli predisposti e resi disponibili gratuitamente, oltre che con le modalità di cui al comma 5, dalle direzioni provinciali del lavoro e dagli uffici comunali, nonché dai centri per l'impiego.
      2. Per contratto di lavoro, ai fini del comma 1, si intendono tutti i contratti inerenti ai rapporti di lavoro subordinato di cui all'articolo 2094 del codice civile, indipendentemente dalle caratteristiche e dalla durata, nonché i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, i contratti di collaborazione di natura occasionale, i contratti di associazione in partecipazione di cui all'articolo 2549 del codice civile per cui l'associato fornisca prestazioni lavorative e in cui i redditi derivanti dalla partecipazione agli utili siano qualificati come redditi di lavoro autonomo, nonché i contratti di lavoro instaurati dalle cooperative con i propri soci.
      3. I moduli di cui al comma 1, realizzati secondo direttive definite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, riportano un codice alfanumerico progressivo di identificazione, la data di emissione, nonché spazi, da compilare a cura del firmatario, destinati all'identificazione della lavoratrice o del lavoratore, ovvero del prestatore d'opera

o della prestatrice d'opera, del datore di lavoro, della tipologia di contratto da cui si intende recedere, della data della sua stipulazione e di ogni altro elemento utile. I moduli hanno validità di quindici giorni dalla data di emissione.
      4. Con il decreto di cui al comma 3 sono altresì definite le modalità per evitare eventuali contraffazioni o falsificazioni.
      5. I moduli di cui al presente articolo sono resi disponibili anche attraverso il sito internet del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, secondo modalità definite con il decreto di cui al comma 3, che garantiscano al contempo la certezza dell'identità del richiedente, la riservatezza dei dati personali nonché l'individuazione della data di rilascio, ai fini della verifica del rispetto del termine di validità di cui al secondo periodo del comma 3.
      6. Con apposite convenzioni a titolo gratuito stipulate nelle forme definite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono disciplinate le modalità attraverso le quali è reso possibile alla lavoratrice, al lavoratore, nonché al prestatore d'opera e alla prestatrice d'opera, acquisire gratuitamente i moduli di cui al presente articolo, anche tramite le organizzazioni sindacali dei lavoratori e i patronati.
      7. Il comma 4 dell'articolo 55 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, e i commi da 17 a 23 dell'articolo 4 della legge 28 giugno 2012, n. 92, sono abrogati.
      8. All'attuazione della presente legge si provvede nell'ambito delle risorse finanziarie già previste a legislazione vigente e comunque senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato.
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