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CAMERA DEI DEPUTATI |
N. 523 |
Come i diritti delle donne e dei bambini diventano diritti umani.
Dalla Quarta Conferenza internazionale sulle donne tenutasi a Pechino nel 1995 alla Conferenza mondiale di Stoccolma contro lo sfruttamento sessuale dei minori del 1996, dalle ultime iniziative dell'ONU a quelle europee, emergono una più matura elaborazione del fenomeno della violenza e una più forte assunzione di responsabilità. Il filo conduttore è dato dall'innestarsi di una nuova cultura dei diritti umani, inclusiva di quelli delle donne e delle bambine e bambini. Lo sguardo alla violenza diviene, allora, sempre più lo sguardo alla violazione dei loro diritti. La stessa concreta solidarietà a chi incontra la violenza, perché non rimanga – anche se è importante in sé – fenomeno momentaneo ed isolato, sollecita una più moderna concezione dei rapporti tra donne e uomini, una più elevata visione dell'infanzia e dell'adolescenza.
Mehr Khan, direttore dell’International Child Development Centre ICDC dell'UNICEF, comunemente noto come «Centro di ricerca Innocenti», nell'editoriale di presentazione della ricerca che ha per titolo: «Violenza intrafamiliare contro le donne e le bambine», scrive: «Le donne ed i bambini spesso corrono grandi pericoli proprio nel luogo in cui dovrebbero essere più al sicuro: nelle loro famiglie. Per molte e molti di loro, la casa è dominata da un regime di terrore e violenza per mano di qualcuno che è loro molto vicino, qualcuno nel quale dovrebbero poter aver fiducia. Le vittime soffrono fisicamente e psicologicamente. Non sono in grado di prendere le decisioni che le riguardano, dar voce alle loro opinioni o proteggere loro stesse e i loro bambini per paura delle ulteriori ripercussioni. I loro diritti umani vengono calpestati, e le loro vite vengono
Mondo «normale»/mondi «particolari»: dimensione sociale della violenza e gerarchia dei rapporti.
La violenza di cui ci si occupa non appartiene ad un mondo residuale, ad un mondo, quindi, posto ai margini di rapporti quotidiani improntati normalmente al rispetto reciproco in famiglia e nel lavoro o esclusivamente a mondi che esplodono in guerre o in crisi drammatiche. Certamente una parte di violenza è legata a questi mondi «particolari» ed essa ha toccato negli ultimi anni in modo terribile molte donne: pensiamo soltanto a ciò che è accaduto vicino a noi, ad esempio, nell’ex Jugoslavia, o alle molte ragazze, giovani, bambine, costrette da gruppi criminali a prostituirsi o a cadere nelle maglie terribili della tratta. La legge contro la prostituzione minorile, quale nuova forma di riduzione in schiavitù, prendeva le mosse proprio da questi nuovi drammatici fenomeni. Le case e i centri delle donne sempre più hanno sviluppato nuovi progetti per aiutare concretamente cittadine
dell’ex Jugoslavia e di altre aree del mondo a fronteggiare sia in Italia sia nei loro Paesi le conseguenze degli stupri etnici, della guerra, o ragazze che vogliono uscire dalla prostituzione coatta o ragazze che si vogliono sottrarre all'infibulazione.
Vivere in una realtà multietnica significa anche confrontarsi in modo complesso con tutte le sfaccettature della violenza: dalla libertà femminile alla cultura dell'infanzia.
Ma, come dicevamo, c’è una connessione tra mondi particolari e mondo normale, sì che il filo che unisce insieme i tipi di violenza compiuti, nell'uno e nell'altro mondo, va a costruire una robusta trama in cui si cerca di impigliare l'identità individuale e collettiva delle donne e di congelare ruoli sociali e culturali.
Violenza diretta e indiretta: dall'indifferenza ai diritti.
Ogni tipo ed ogni grado di violenza sessuale, psicologica, fisica, economica viene ritenuto dalla presente proposta di legge un attacco all'inviolabilità della persona e quindi alla sua libertà.
Conseguentemente, si afferma con nettezza che chiunque subisce tale attacco ha diritto ad un sostegno temporaneo al fine di ripristinare la propria inviolabilità e di riconquistare la propria libertà, nel pieno rispetto della riservatezza e dell'anonimato.
Alle donne che, nell'affermazione della loro libertà, identità individuale e di genere incontrano l'ostacolo della violenza, nelle sue diverse forme, sia nella loro vita affettiva e familiare che nella vita sociale e lavorativa è assicurato dalla presente proposta di legge il diritto, eventualmente con i propri figli, all'accoglienza, alla solidarietà, al sostegno e alle competenze offerte dalle case e dai centri delle donne.
Il diritto è assicurato in modo gratuito ad ogni donna, cittadina italiana o cittadina straniera, quale sia la sua razza, etnia, religione o luogo di provenienza e di residenza.
In questi ultimi decenni non solo sono stati compiuti atti decisivi nel riconoscere la violenza come intollerabile attacco alla persona – in Italia è stato veramente un momento alto della storia delle donne del nostro Paese e di una moderna cultura sull'infanzia l'approvazione della legge
La cultura del cambiamento delle case e dei centri delle donne.
Nella proposta di legge che presentiamo non si propone un'azione di sostegno indifferenziata, bensì si afferma, in modo inequivocabile, che ogni donna che lo richieda – con i propri figli se questa è la sua volontà – ha diritto ad essere accolta da altre donne che, costituitesi in associazione a tale fine, sono in grado di fornirle l'aiuto di cui ha bisogno e che privilegia il lavoro delle case e dei centri antiviolenza.
Questa scelta – che non si oppone ad altre forme di intervento sociale e pubblico, ed anzi ha come propria premessa un coordinamento a rete con esse – esprime in modo più congruo la rottura con le complicità verso una violenza in base al sesso e quindi offre una più efficace risposta alle donne colpite da tale violenza.
È una risposta più efficace proprio perché l'azione delle case e dei centri ha
Linee guida della proposta di legge.
La proposta di legge che proponiamo asseconda questo impianto. Volutamente è un testo «leggero»: non dice quali devono essere i metodi che le case ed i centri scelgono per aiutare le donne, non dice nemmeno che tipo di relazioni le case ed i centri devono mantenere con la rete dei servizi pubblici e privati. E neanche trasforma la case ed i centri in strutture interamente pagate dallo Stato. In questo senso la proposta di legge è «leggera».
Ma è un testo «denso» per la chiarezza dei riferimenti costituzionali, per il rapporto rigoroso che intercorre tra investimento dello Stato, delle autonomie locali e investimento nel lavoro volontario di tante donne e soprattutto perché colloca il nostro Paese tra quei Paesi che ritengono che la propria civiltà dipenda anche da come si onora la libertà femminile.
La proposta di legge è composta di quattro articoli.
L'articolo 1 definisce le finalità delle case e dei centri della donna e stabilisce, secondo tali finalità, i tratti della loro azione. Nel comma 1 si afferma che la loro finalità è di assicurare in assoluta autonomia di metodo e gestione e senza fini di lucro, sostegno, solidarietà e competenza ad ogni singola donna, sia essa italiana o straniera, quale sia la sua razza, etnia, religione o luogo di provenienza e di residenza.
Nel comma 2 si stabilisce che le case ed i centri si avvalgono di competenze formate e strutturate proprio nelle pratiche e nell'esperienza dell'accoglienza. Tale comma è importante poiché riconosce una professionalità inedita: la professionalità acquisita specificatamente tramite l'accoglienza.
Il comma 3 dell'articolo 1 tratta, invece, attraverso le lettere a), b), c) e d), gli obiettivi dell'azione delle case e dei centri. I punti più importanti riguardano le modalità dei progetti di fuoriuscita dalla violenza, i molteplici aspetti delle loro attività, compresa quella che consente di stabilire una rete con l'insieme delle istituzioni, associazioni pubbliche o private. Riguardo la modalità, di primaria importanza risulta essere il fatto che i progetti di fuoriuscita dalla violenza devono essere predisposti mediante una relazione tra donne che renda ogni singola donna coinvolta nel progetto e protagonista di un percorso autonomo. È escluso in tale modo qualsiasi rapporto gerarchico e di tutela. Rispetto invece ai vari livelli di attività è da mettere in evidenza il loro articolarsi su più piani, dalla prevenzione attraverso un'educazione alla non violenza, alla
formazione di operatrici e operatori interni ed esterni (ad esempio corsi tenuti dalle Forze di polizia) alla promozione di interventi di rete, al fine di offrire rapporti diversificati in merito alle diverse tipologie di
1. Le case e i centri destinati all'accoglienza, all'ospitalità o alla residenza temporanea, i centri d'ascolto, di accoglienza, di consulenza legale e psicologica, di raccolta dati, di informazione e di ricerca, di seguito denominati «case e centri delle donne», che agiscono senza fini di lucro e sono autonomi nelle metodologie, nei progetti, nella gestione e nelle modalità di rapporto con le istituzioni pubbliche o private, assicurano sostegno e solidarietà ad ogni donna, cittadina italiana o straniera, quali siano la sua razza, etnia, religione o luogo di provenienza e di residenza.
2. Le case e i centri delle donne di cui al comma 1 si avvalgono di competenze appositamente acquisite e maturate nelle pratiche e nell'esperienza dell'accoglienza.
3. L'attività delle case e centri delle donne persegue i seguenti obiettivi:
a) offrire solidarietà ed accoglienza ad ogni donna che a essi si rivolga e, su sua richiesta, ricorrendo le condizioni previste dalla legge, ai suoi figli minori;
b) predisporre progetti di uscita dalla violenza mediante una relazione tra donne che renda ogni singola donna protagonista di un percorso autonomo;
c) sperimentare, studiare ed affinare le pratiche e le competenze al fine di prevenire la violenza e superarne i danni, favorire un'educazione alla non violenza, formare consulenti d'accoglienza per le case e i centri delle donne nonché operatrici ed operatori sociali esterni;
d) favorire e promuovere interventi di rete, sia con l'insieme delle istituzioni, associazioni, organizzazioni, enti pubblici e privati, sia con l'insieme delle competenze e delle figure professionali, al fine di offrire le
differenti risposte, in merito alle diverse tipologie di violenza, ai danni inferti e a come essi agiscono sulle singole donne, siano esse cittadine italiane o straniere. 1. La gestione delle case e dei centri delle donne è assicurata attraverso convenzioni tra gli enti locali e i loro consorzi ed una o più associazioni o cooperative di donne, che perseguono, esclusivamente o in prevalenza, le finalità di cui all'articolo 1. Nelle convenzioni può essere previsto l'apporto di idoneo soggetto bancario, anche già convenzionato con l'ente locale, al fine di garantire la regolarità delle erogazioni e la continuità del servizio.
2. Le associazioni e le cooperative di cui al comma 1 assicurano la gestione delle case e dei centri delle donne attraverso proprio personale opportunamente formato e redigono annualmente una relazione sull'attività svolta da presentare agli enti locali e ai loro consorzi.
3. Alle erogazioni liberali a favore delle case e dei centri delle donne si applicano le disposizioni di cui all'articolo 15, comma 1-bis, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni.
4. Per le finalità di cui all'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, e successive modificazioni, nell'ambito dei settori rilevanti, e in particolare nel settore dell'assistenza alle categorie sociali deboli le case e i centri delle donne possono esercitare, con contabilità separate, imprese direttamente strumentali ai propri fini.
1. È istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, un apposito fondo
destinato al cofinanziamento degli interventi di cui alla presente legge, con le seguenti finalità:a) finanziamento della programmazione regionale a favore degli interventi di cui alla presente legge;
b) finanziamento degli interventi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge;
c) promozione di nuovi interventi.
2. Al fondo di cui al comma 1 affluisce, secondo modalità definite con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da emanare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il 10 per cento delle disponibilità del Fondo unico di cui all'articolo 61, comma 23, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazione, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
3. A favore delle regioni, anche a statuto speciale, e delle province autonome di Trento e di Bolzano che redigono entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge un programma triennale per favorire l'attività delle case e dei centri delle donne, che preveda finanziamenti o conferimenti di beni o di strutture, possono essere disposti trasferimenti a carico del fondo di cui al comma 1.
4. Alle province, ai comuni e ai loro consorzi che stipulano o hanno già stipulato alla data di entrata in vigore della presente legge le convenzioni di cui all'articolo 2, è riservato, a titolo di cofinanziamento dello Stato, almeno il 50 per cento delle disponibilità annuali del fondo di cui al comma 1. I presidenti delle province e i sindaci dei comuni destinatari dei cofinanziamenti sono tenuti ad iscrivere nei rispettivi bilanci triennali, con distinte specificazioni, lo stanziamento di spesa per il finanziamento delle convenzioni derivante dal trasferimento e quello di cofinanziamento provinciale o comunale.
1. Agli oneri derivanti dall'attuazione della presente legge, pari a 50 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2013-2015, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2013, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.