Organo inesistente
CAMERA DEI DEPUTATI |
N. 951 |
1) «Tutti i governi nazionali sono obbligati ad istituire e a finanziare un sostegno, complessivo e gratuito, per le donne che hanno subìto violenza e i loro bambini (...) gestito direttamente da associazioni di donne (...)»;
2) «Tutti i governi nazionali sono obbligati ad elaborare un Piano nazionale sulla violenza contro le donne prima della prossima Conferenza dell'Unione europea, in collaborazione con le associazioni di donne, mettendo a disposizione i mezzi per implementare detti progetti (...)».
Per quanto riguarda gli standard per i servizi di aiuto alle donne, questi devono essere gratuiti e basati sull’empowerment. I centri antiviolenza devono assicurare l'apertura per 24 ore, devono dare priorità alla sicurezza delle donne e dei minori, devono avere personale femminile per aiutare le donne, devono garantire l'anonimato e la riservatezza, la durata della permanenza delle donne deve essere svincolata dai finanziamenti disponibili, essi devono essere gestiti da associazioni di donne con prospettiva femminista, devono basarsi sull’empowerment e sull'autoaiuto, devono ricevere sufficiente finanziamento da parte dei governi e devono avere un’équipe di lavoro pagata e formata.
A fronte di tali indicazioni, la realtà italiana, così come emerge dalla rilevazione condotta nel 2011 dall'Associazione nazionale dei centri antiviolenza (D.i.Re, donne in rete contro la violenza) su 56 dei 66 centri antiviolenza iscritti, è drammatica e preoccupante: solo il 55,4 per cento dei centri dispone di strutture (protette e no) per ospitare le donne e i loro figli, solo il 33,9 per cento ha un numero verde dedicato, solo il 53,6 per cento è in grado di assicurare una reperibilità per 24 ore e la durata della permanenza a volte non è sufficiente a coprire del tutto le necessità di protezione delle donne.
I centri antiviolenza da tempo denunciano l'insufficienza delle risorse messe a disposizione per prevenire e per combattere il fenomeno; gli scarsi e discontinui finanziamenti costringono i centri a rivolgersi a molteplici fonti di finanziamento, pubbliche o private, con conseguente dispendio di energie e insicurezza costante, che possono pregiudicare l'efficienza dei centri stessi: dei 56 centri, il 60,7 per cento (34) ha come fonte principale di finanziamento un ente pubblico (regione, comune, provincia, Unione europea, altri soggetti pubblici), ma nel 37,9 per cento tale finanziamento è irrisorio (meno di 10.000 euro). Il 12,5 per cento (7 centri) ha l'ente pubblico come unica fonte di finanziamento. Gli altri centri si autofinanziano, si sostengono con le rette o hanno un finanziamento che proviene in prevalenza dal settore privato. Nel 2012, 13 centri antiviolenza hanno dovuto chiudere per mancanza di fondi e 8 sono tuttora a
rischio di chiusura.
A fronte di queste enormi difficoltà nel 2011 sono state più di 13.000 le donne in situazione di violenza intra ed extra familiare che si sono rivolte ai centri antiviolenza di D.i.Re; di queste 464 (con 407 figli minori) sono state ospitate nelle case rifugio.
Lo scorso 11 maggio 2011 a Istanbul è stata approvata la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Council of Europe Convention on preventing and combating violence against women and domestic violence); essa è stata aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio d'Europa, degli Stati non membri che hanno partecipato alla sua elaborazione e dell'Unione europea.
Il nostro Paese ha sottoscritto il trattato il 27 settembre 2012.
Al momento dell'apposizione della firma, l'Italia ha depositato presso il Segretariato del Consiglio d'Europa una dichiarazione con nota verbale del 27 settembre 2012 della rappresentanza permanente d'Italia a Strasburgo presso il Consiglio d'Europa. La dichiarazione esplicita che l'Italia applicherà la Convenzione nel rispetto dei princìpi e delle previsioni costituzionali. Lo strumento rappresenta il livello più avanzato dello standard internazionale di prevenzione e contrasto del complesso fenomeno della violenza sulle donne, di protezione delle vittime e di criminalizzazione dei responsabili.
Per sistematicità e standard garantistici, la Convenzione di Istanbul si inquadra nel filone di sviluppi normativi e della prassi internazionale variamente maturato tanto
1. La presente legge promuove nei confronti delle donne vittime di violenza interventi di sostegno volti a consentire di ripristinare la propria inviolabilità e di riconquistare la propria libertà, nel pieno rispetto della riservatezza e dell'anonimato.
2. Al fine di assicurare la necessaria tutela e il recupero di una condizione di vita normale, lo Stato, in collaborazione con le regioni, gli enti locali, le istituzioni, le associazioni e le organizzazioni che hanno tra i loro scopi prioritari la lotta e la prevenzione alla violenza contro le donne e i minori e che hanno sviluppato esperienza e competenze specifiche, promuove e favorisce l'attivazione di centri antiviolenza, di case rifugio e di case di secondo livello per le donne vittime di violenza e per i loro figli minori.
1. I centri antiviolenza sono strutture predisposte per accogliere le donne e i loro figli minori che hanno subìto violenza di genere, in qualsiasi forma essa si concretizzi, indipendentemente dalla loro nazionalità, etnia, religione, orientamento sessuale, stato civile, credo politico e condizione economica. Sono gestiti da organizzazioni, attive ed esperte nell'accoglienza, protezione e sostegno a donne vittime di violenza intra ed extra familiare e ai loro figli minori. Garantiscono, altresì, alle donne vittime di violenza e ai loro figli minori servizi e spazi dedicati, che non devono essere usati per altri scopi o per altri tipi di utenza.
a) enti locali, in forma singola o associata;
b) singoli, associazioni o organizzazioni operanti nel settore del sostegno e dell'aiuto alle donne vittime di violenza, che hanno maturato esperienze e competenze specifiche in materia di violenza contro le donne e che utilizzano una metodologia di accoglienza basata sulla relazione tra donne, con personale specificamente formato;
c) soggetti di cui alle lettere a) e b), di concerto, d'intesa o in forma consorziata.
4. I centri antiviolenza offrono consulenza legale, psicologica, lavorativa e sociale alle vittime di cui al comma 1, orientandole nella scelta dei servizi socio-sanitari e assistenziali territoriali, ovvero delle case rifugio di cui eventualmente avvalersi, indirizzandone e favorendone il percorso di reinserimento sociale e lavorativo.
5. Al fine di prevenire ogni forma di discriminazione e di violenza fondata sull'orientamento sessuale, sull'identità di genere o sulle relazioni tra autore è vittima del reato, i centri antiviolenza svolgono attività di informazione e sensibilizzazione sulle fenomenologie e sulle cause della violenza e delle discriminazioni, nonché attività formative e culturali per il contrasto di tali fenomeni; conducono attività di rilevazione e di monitoraggio degli atti di violenza e discriminazione commessi nell'ambito del territorio di riferimento e redigono rapporti periodici sull'attività espletata.
1. Le case rifugio sono strutture in grado di offrire accoglienza e protezione alle donne vittime di violenza e ai loro figli minori nell'ambito di un programma personalizzato di recupero e di inclusione sociale, che assicura, inoltre, un sostegno per consentire loro di ripristinare la propria autonoma individualità, nel pieno rispetto della riservatezza e dell'anonimato.
2. Alle case rifugio deve essere garantita la segretezza dell'ubicazione finalizzata alla sicurezza delle vittime di violenza.
3. Le donne vittime di violenza e i loro figli minori, indipendentemente dallo stato giuridico o dalla cittadinanza, possono ricorrere alle case rifugio. Tali strutture assicurano l'anonimato, salvo diversa decisione della persona stessa, offrono i loro servizi anche a chi non risiede nel comune in cui è ubicata la struttura nonché alle vittime straniere e applicano la metodologia di accoglienza dei centri antiviolenza.
4. Le case rifugio possono essere promosse da:
a) enti locali, singoli o associati;
b) singoli, associazioni o organizzazioni operanti nel settore del sostegno e dell'aiuto alle donne vittime di violenza che hanno maturato esperienze e competenze specifiche in materia di violenza contro le donne;
c) soggetti di cui alle lettere a) e b), di concerto, d'intesa o in forma consorziata.
5. I centri antiviolenza e le case rifugio operano in maniera integrata con la rete dei servizi socio-sanitari e assistenziali territoriali, tenendo conto delle necessità imprescindibili per la protezione delle persone che subiscono violenza, anche qualora svolgano funzioni di servizi specialistici.
6. Indipendentemente dalle metodologie di intervento adottate e dagli specifici profili professionali degli operatori, la formazione delle diverse figure professionali dei centri antiviolenza e delle case rifugio promuove un approccio integrato alle fenomenologie della violenza, al fine di garantire il riconoscimento delle diverse dimensioni della violenza subita dalle persone, a livello relazionale, fisico, psicologico, sociale, culturale o economico. Fa altresì parte della formazione degli operatori dei centri antiviolenza e delle case rifugio il riconoscimento delle dimensioni della violenza riconducibili alle diseguaglianze di genere.
1. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le pari opportunità è istituito il Comitato nazionale sulla violenza di genere, di seguito denominato «Comitato», con la finalità di garantire un coordinamento delle attività di prevenzione e di contrasto delle violenze di genere nel territorio nazionale nonché di studiare e di monitorare il fenomeno.
2. Il Comitato svolge, nello specifico, i seguenti compiti:
a) raccoglie i dati sugli atti di violenza perpetrati nel territorio nazionale al fine di costituire una banca dati nazionale alimentata dai soggetti pubblici e privati;
b) redige annualmente una relazione per le Camere sull'evoluzione delle fenomenologie
criminali attinenti ai reati di violenza di genere, presenta la banca dati di cui alla lettera a) e propone nuovi strumenti legislativi e amministrativi di tutela delle vittime;c) verifica lo stato di attuazione delle politiche contro la violenza di genere nei diversi settori della vita politica, economica e sociale e segnala le opportune iniziative;
d) predispone e coordina campagne di educazione e di comunicazione sui reati di violenza di genere dedicando particolare attenzione a specifiche campagne di sensibilizzazione;
e) favorisce il coordinamento dei servizi antiviolenza nel territorio nazionale e dei progetti di prevenzione e di intervento, nonché del rapporto con le associazioni e con gli organismi impegnati nella prevenzione e nella lotta contro la violenza di genere;
f) fornisce, su richiesta dei Ministri competenti, pareri, informazioni e studi.
3. Il Comitato è composto da dodici membri:
a) il Ministro delegato per le pari opportunità, che lo presiede;
b) cinque componenti designati nell'ambito delle associazioni e dei movimenti che operano in materia di violenza di genere maggiormente rappresentativi sul piano nazionale ai sensi del comma 6;
c) tre rappresentanti regionali designati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, di seguito denominata «Conferenza Stato-regioni»;
d) tre rappresentanti degli enti locali che hanno attivato servizi di cui alla presente legge designati dall'Associazione nazionale dei comuni italiani.
4. Il Comitato elegge al suo interno un vicepresidente e un segretario e si dota di un regolamento per il suo funzionamento.
a) competenza in materia di attività contro la violenza di genere e per la promozione delle politiche femminili; la competenza è determinata in base alla previsione statutaria, ove esistente, e all'attività svolta in un arco temporale di riferimento triennale;
b) presenza ramificata nel territorio;
c) numero degli iscritti;
d) rapporti di collaborazione con altre associazioni o con altri movimenti aventi i medesimi obiettivi statutari;
e) ruolo assunto nell'ambito di organismi, commissioni o comitati promossi dalle istituzioni per problemi riguardanti la condizione femminile e per problemi con essi connessi;
f) ruolo assunto nell'ambito di organismi internazionali deputati alla lotta contro la violenza di genere o, comunque, alla promozione delle pari opportunità tra uomo e donna;
g) progetti di attività presentati per il contrasto della violenza di genere e per garantire pari opportunità tra uomo e donna;
h) consolidata presenza nel settore;
i) finanziamenti dell'Unione europea o di istituzioni nazionali per la realizzazione di azioni e di progetti nell'ultimo triennio.
7. La nomina dei membri di cui al comma 3, lettera b), è effettuata dal Ministro delegato per le pari opportunità in base alle domande inviate dai soggetti designati dalle associazioni e dai movimenti di cui alla medesima lettera a seguito di avviso pubblico emanato dallo stesso Ministro.
1. Il Ministro delegato per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, con proprio decreto, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, adotta misure volte a istituire o a sostenere programmi nazionali destinati agli autori di atti di violenza contro le donne al fine di prevenire nuove violenze.
1. Il Ministro della salute previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, predispone linee guida per le strutture sanitarie volte a:
a) definire un piano formativo uniforme in tutto il territorio nazionale, avvalendosi anche di formatori provenienti dalle realtà istituzionali già operanti e dai centri antiviolenza, dall'associazionismo femminile e dal privato sociale, che ha come obiettivo la sensibilizzazione degli operatori sanitari ospedalieri e territoriali per il riconoscimento e per un'adeguata accoglienza delle vittime di violenza di genere e domestica;
b) rendere omogeneo lo sviluppo di servizi idonei all'assistenza alle vittime di violenza di genere e domestica presso i pronto soccorso ospedalieri definendo modalità di assegnazione del codice colore di gravità, inserendo un nuovo codice gratuito, denominato codice rosa, che consenta una
presa in carico delle vittime con tempi di attesa ridotta, con modalità specifiche che salvaguardano e proteggono la vittima di violenza, nonché assicurano la presenza di operatori specializzati in stretto collegamento con la rete territoriale dei centri antiviolenza e con i medici di medicina generale operanti nel territorio. 1. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ciascuna questura è tenuta ad assicurare la presenza, nei propri presìdi territoriali, di personale, in possesso di una formazione specifica in materia di violenza di genere, competente a ricevere le denunce o le querele da parte delle vittime di tali delitti.
2. La quota di personale di cui al comma 1 è stabilita dal Ministro dell'interno con proprio decreto da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
3. Il decreto di cui al comma 2 stabilisce, altresì, le caratteristiche e le modalità di organizzazione dei corsi di formazione professionale in materia di tutela delle vittime dei delitti di cui al comma 1. La partecipazione ai corsi di cui al periodo precedente è condizione per lo svolgimento delle funzioni di cui al comma 1.
4. Il decreto di cui al comma 2 stabilisce, altresì, le modalità di raccordo tra i presìdi territoriali delle Forze dell'ordine e i centri antiviolenza operanti nel territorio.
1. Il Ministro delegato per le pari opportunità, di concerto con il Ministro della giustizia e d'intesa con il Ministro della salute, sentito il Comitato, promuove e coordina le attività necessarie, attraverso campagne di informazione rivolte ai cittadini, allo scopo di pubblicizzare le strutture e i servizi di cui alla presente legge, nonché
gli interventi adottati, anche al fine di incoraggiare le vittime della violenza di genere a denunciare i soprusi subiti in modo da garantire loro un'adeguata protezione da parte dallo Stato. 1. Per l'attuazione delle finalità e delle disposizioni della presente legge è istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Fondo per il contrasto della violenza nei confronti delle donne, finanziato annualmente dalla legge di stabilità.
2. Il Presidente del Consiglio dei ministri, con proprio decreto, sentiti il Ministro delegato per le pari opportunità, e il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, provvede annualmente a ripartire tra le regioni le risorse del Fondo di cui al comma 1 tenendo conto:
a) della programmazione regionale e degli interventi già operativi per contrastare la violenza nei confronti delle donne;
b) dei centri antiviolenza privati operanti in ogni regione;
c) dei centri antiviolenza comunali operanti in ogni regione;
d) della necessità di riequilibrare la presenza dei centri antiviolenza in ogni regione riservando un terzo dei fondi disponibili all'istituzione di nuovi centri antiviolenza al fine di garantire l'attuazione del comma 2 dell'articolo 2.
1. La dotazione del fondo di cui all'articolo 9 per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, è pari a 80 milioni di euro. Al relativo onere si provvede a valere sui
maggiori risparmi di spesa di cui al comma 2 del presente articolo.