Frontespizio Relazione Progetto di Legge
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 935


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
DURANTI, MARCON, PIRAS, DI SALVO, SCOTTO, FRATOIANNI, MELILLA, PIAZZONI, NICCHI, COSTANTINO, RICCIATTI, LACQUANITI
Istituzione dell'Istituto superiore di studi per la formazione, la ricerca e l'intervento per la costruzione di processi di pace, la trasformazione nonviolenta dei conflitti e la promozione dell'eguaglianza sociale
Presentata il 13 maggio 2013


      

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Onorevoli Colleghi! Lo scenario dei territori odierni che anima la nostra informazione mediatica è abitato in misura crescente da forme, vecchie e nuove, di disagio e di conflittualità sociali che alimentano, tra l'altro, una percezione diffusa di minaccia alla sicurezza.
      Avvicinarsi alle criticità del territorio con uno sguardo attento alle complessità dei contesti induce oggi a riformulare le pratiche di lavoro territoriale e a ripensare lo sviluppo delle comunità locali alla luce di nuove pratiche e di nuove suggestioni della ricerca scientifica degli ultimi decenni.
      Lo studio delle conflittualità sociali latenti e manifeste si è andato configurando in tempi recenti come un campo di studi specifico, particolarmente rivolto alla materia conflittologica e alle ripercussioni nella vita delle comunità territoriali delle forme di conflitto esistenti, dal livello «micro» (interpersonale e intragruppo) a quello «meso» (intergruppi e sociale) e «macro» (fenomeni collettivi estesi).
      Gli studi per la non violenza e per la pace (Peace Studies), di recente innovazione nei curricula accademici europei, sono nati alcuni decenni orsono in virtù dell'esigenza di delineare apparati teorici e percorsi metodologici che potessero sostenere un concreto impegno per la costruzione di processi di pace e per la trasformazione delle conflittualità al fine di prevenire l’escalation sociale distruttiva che può sfociare in comportamenti violenti anche estesi.
      Pur essendo un campo di studi trasversale a svariati ambiti disciplinari (politici, giuridici, sociologici, psicologici, antropologici eccetera), si è andata comunque nel tempo delineando un'attenzione da parte della comunità scientifica allo sviluppo di competenze sociali specificamente rivolte alla creazione di «reti di relazioni» in grado di sostenere processi costruttivi di crescita delle comunità, a partire dalla rimozione dei fattori che sostengono aspetti di violenza strutturale.
      Costruire e praticare una cultura sociale del conflitto che contempli l'inclusione e la solidarietà è un processo non semplice, soprattutto se a interrogarsi in merito sono istituzioni tradizionalmente fondate su modelli, teorico-metodologici, di relazioni verticali nei rapporti con i cittadini; tale processo richiede, dunque, la revisione di alcuni importanti assunti concettuali, inscritti nei codici del lavoro istituzionale tradizionale, e l'apertura a una nuova «grammatica» delle relazioni sociali, coniugata a partire dai soggetti stessi.
      All'interno di un orizzonte culturale attraversato da fratture e disconnessioni relazionali, risulta, dunque, ardito ma prezioso il tentativo di creare connessioni e legami, promuovendo il senso della corresponsabilità e della condivisione attraverso azioni prosociali in grado di attivare processi dialogici di elaborazione collettiva. In particolare, per esempio, nei contesti attraversati da una illegalità diffusa e dal controllo parziale della cosa pubblica ad opera della criminalità organizzata, è necessario e inderogabile oggi operare attraverso input professionalmente qualificati che, dall'interno delle stesse comunità territoriali, possano far emergere percorsi di attivazione e di partecipazione dialettica.
      Si tratta, pertanto, di creare nuovi spazi relazionali che siano luogo di pensiero critico, realtà vive di partecipazione, terreno di solidarietà reale e cantieri aperti per la rielaborazione delle conflittualità e del convivere per la maturazione di un sentimento autentico di responsabilità dialogica.
      Costruire e praticare oggi responsabilità sociale significa, dunque, attivare la ricerca e la sperimentazione di nuovi modelli teorico-metodologici per formare una nuova generazione di operatori esperti in grado di lavorare per lo sviluppo di comunità attraverso pratiche di facilitazione sociale «bottom-up».
      Definiremo tali operatori come «facilitatori dello sviluppo di comunità o facilitatori sociali» (social facilitators) o «peaceworkers».
      Il lavoro per la nonviolenza e per la pace incrocia, dunque, il lavoro territoriale attraverso pratiche di intervento collettivo che sollecitino le comunità stesse ad una responsabilità sociale maturata attraverso un'evoluzione della qualità delle proprie reti di relazioni sociali.
      Gli interventi si articolano su due grossi versanti: uno locale e l'altro internazionale, con un unico obiettivo di prevenire e di trasformare comportamenti sociali distruttivi, sia a livello interpersonale che collettivo.
      A livello internazionale gli operatori saranno impegnati nel lavoro con le comunità territoriali, oltre che per pratiche di facilitazione sociale territoriale, anche per l'individuazione di percorsi di diplomazia preventiva «dal basso», di politiche di sicurezza partecipata, di operazioni per il disarmo e per il transarmo e di sostegno alle politiche di sviluppo sostenibile.
      A livello locale nazionale gli operatori saranno impegnati per:

          a) la gestione «bottom-up», a partire cioè dalle stesse comunità, dei fenomeni di conflittualità e dissocialità che possono sfociare in violenza, con una specifica attenzione ai fenomeni di marginalità sociale (percorsi di empowerment) e alle svariate forme di conflittualità urbana (conflitti intergruppi di tipo etnico, culturale eccetera), con particolare riferimento

ai fenomeni di esclusione sociale, dissocialità precoce e devianza;

          b) la collaborazione alla definizione di politiche di progettazione partecipata presso le comunità territoriali;

          c) la formazione di personale e di cittadini alla nonviolenza e alla pace, con particolare riferimento a tutto il personale impegnato in attività psico-educative e politico-sociali;

          d) l'interazione con gli organismi specifici per la definizione delle politiche sociali per la sicurezza urbana integrata e per l'elaborazione di programmi per l'antiviolenza;

          e) l'impegno a contrastare i fenomeni derivanti dall'affermazione delle culture mafiose, a qualsiasi livello esse possano manifestarsi, con particolare riferimento al fenomeno di progressiva precocizzazione dell'età di reclutamento e dell'incremento delle affiliazioni in epoca adolescenziale e giovanile;

          f) l'attivazione di pratiche di empowerment e di facilitazione all'emergenza di nuove soggettività sociali;

          g) la facilitazione al rapporto tra cittadino e istituzioni e ai processi di «advocacy» e di «self-help»;

          h) il sostegno al lavoro di comunità e al potenziamento delle reti informali di reciprocità e di sussidiarietà orizzontale.

      I facilitatori sociali possono contribuire, inoltre, alla costituzione dei Corpi civili di pace che, così come il Parlamento europeo ha già suggerito in una mozione del 1995 e in svariati altri documenti, rappresentano una importante e fondamentale risorsa per le politiche della sicurezza, nazionale e internazionale, specificamente rivolte alla prevenzione dei conflitti sociali e dei comportamenti violenti e distruttivi, oltre che della violenza armata, e la cui realizzazione è ancora in via di definizione, sia a livello europeo che nazionale.
      L'esigenza di pervenire alla creazione di un Istituto superiore di studi per la formazione, la ricerca e la programmazione di interventi secondo quanto esposto, nasce dalla necessità di svolgere una ricerca qualificata e di formare operatori esperti nel lavoro di comunità, al fine di supportare scientificamente un'evoluzione delle pratiche di lavoro territoriale e di colmare il vuoto delle istituzioni in quelle aree oggi abitate da fenomeni complessi di dissocialità, conflittualità e violenza.
      La possibilità, inoltre, di intervenire con operatori civili nei tessuti urbani degradati propone un approccio nuovo, e ancora oggi inesplorato, ai temi della sicurezza urbana secondo criteri di metodologia integrata.
      Pur non essendo a tutt'oggi sperimentati interventi di contingenti civili in aree critiche, risulta tuttavia documentata nella ricerca scientifica dell'ultimo ventennio (oltre che in svariate esperienze internazionali) la privilegiata funzione degli operatori civili e la loro maggior efficacia, rispetto al personale delle Forze dell'ordine, nel contrastare fenomeni di degrado o di escalation di violenza; tali operatori civili esperti sono definiti come (lo si è già ricordato) «facilitatori dello sviluppo territoriale» o «facilitatori sociali» o «peaceworkers».
      Diversi governi europei hanno già da alcuni decenni istituito organismi di ricerca per la pace, finanziati pubblicamente, per sostenere in modo scientifico e con continuità lo studio e gli interventi nel settore e ciò ha consentito di ampliare notevolmente, sotto vari aspetti, la conoscenza dei meccanismi e dei fattori che permettono la costruzione di ordini di pace.
      In Italia, come noto, non esiste attualmente una struttura di riferimento nazionale specificamente deputata all'approfondimento e all'evoluzione degli studi e delle pratiche in questo campo.
      Si propone, pertanto, l'istituzione dell'Istituto superiore di studi per la formazione, la ricerca e l'intervento per la costruzione di processi di pace, per la trasformazione nonviolenta dei conflitti e

la promozione dell'eguaglianza sociale, (ISSPaCE).
      All'ISSPaCE è attribuita una piena autonomia intellettuale e operativa al fine di consentirgli di svolgere una seria attività scientifica e mettere in campo una concreta progettualità sul territorio.
      L'ISSPaCE, si caratterizza per un impegno volto a:

          a) divulgare una cultura sociale della non violenza e della pace a tutti i livelli a cui ciò può essere effettuato;

          b) formare personale, sia civile che militare, con particolare riferimento a coloro che sono impegnati sia in territori locali attraversati da fenomeni di degrado, illegalità e violenza sia in attività di missione all'estero;

          c) contribuire alla costituzione di un Corpo civile di pace nazionale composto da personale esperto;

          d) collaborare con la società civile per sviluppare con le sue diverse componenti progetti comuni di ricerca e di azione sul territorio;

          e) sostenere le politiche per la non violenza e per la pace a tutti i livelli a cui ciò può verificarsi, sia localmente che in ambito internazionale.

      La collocazione elettiva dell'ISSPaCE presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali deriva sia dalla spiccata componente sociale del campo complesso di studi e delle competenze richieste ai suoi operatori, indipendentemente dall'orientamento teorico (politico-sociale, socio-culturale, psico-sociale, economico-sociale eccetera), sia dall'esigenza di connotare in senso preventivo i programmi e gli interventi per l'antiviolenza, per la pace e per la sicurezza, attraverso una specifica evoluzione delle politiche sociali.
      L'ISSPaCE potrà interagire con tutti gli altri dicasteri con cui potrà stipulare eventuali protocolli di intesa; si citano solo alcune possibili interazioni con:

          a) il Ministero dell'interno per le politiche della sicurezza;

          b) il Ministero per i beni e le attività culturali per la promozione di una cultura della pace e del dialogo interreligioso e interculturale;

          c) il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per i programmi di educazione alla pace in sede scolastica;

          d) il Ministero degli affari esteri per attività nell'ambito della cooperazione allo sviluppo in merito alla definizione di programmi internazionali di interventi civili di pace e di interposizione in aree attraversate da gravi conflitti;

          e) il Ministero della difesa rispetto ad eventuali collaborazioni civili-militari, con particolare riferimento alle competenze dell'Ufficio nazionale per il servizio civile, collocato presso il Dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale della Presidenza del Consiglio dei ministri, e al relativo comitato di consulenza per la difesa popolare civile non armata e non violenta.
      Con l'articolo 1 si istituisce l'Istituto superiore di studi per la formazione, la ricerca e l'intervento per la costruzione di processi di pace, la trasformazione nonviolenta dei conflitti e la promozione dell'eguaglianza sociale presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali è disciplinata l'organizzazione dell'Istituto.

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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.

      1. È istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali l'Istituto superiore di studi per la formazione, la ricerca e l'intervento per la costruzione di processi di pace, la trasformazione nonviolenta dei conflitti e la promozione dell'eguaglianza sociale (ISSPaCE), di seguito denominato «Istituto», con compiti di studio e ricerca, di formazione, di proposta e programmazione di interventi per la trasformazione dei conflitti sociali e per la prevenzione del disagio sociale, della violenza urbana e della marginalità.
      2. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con proprio decreto da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, disciplina l'organizzazione amministrativa e scientifica dell'Istituto.
      3. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali presenta ogni due anni, entro il 15 aprile, una relazione al Parlamento sull'attività dell'Istituto nonché sulle azioni intraprese da soggetti diversi operanti nell'ambito delle finalità del medesimo Istituto.
      4. Per il funzionamento dell'Istituto è disposto lo stanziamento di 5 milioni di euro annui, a decorrere dall'anno 2013.
      5. All'onere di cui al comma 4, pari a 5 milioni di euro annui, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2013-2015, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2013, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
      6. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

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