Frontespizio Relazione Progetto di Legge
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 1737


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
GUERRA, ARLOTTI, BARUFFI, BAZOLI, BORGHI, BRAGA, BRUNO BOSSIO, CAPODICASA, CENNI, COMINELLI, DE MENECH, D'INCECCO, FABBRI, FOLINO, FRAGOMELI, GANDOLFI, GIULIETTI, GREGORI, GIUSEPPE GUERINI, LORENZO GUERINI, IORI, LODOLINI, MANZI, MARANTELLI, MARCHETTI, MARIANI, MELILLA, MELILLI, MINARDO, MORANI, NARDUOLO, PASTORINO, PELUFFO, RAMPI, RIBAUDO, RUGHETTI, SANGA, SCUVERA, SIMONI, TARICCO, TENTORI, TIDEI
Modifiche al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e altre disposizioni concernenti i comuni di minore dimensione demografica, l'esercizio associato delle loro funzioni, nonché le unioni di comuni e la fusione dei medesimi
Presentata il 28 ottobre 2013


      

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Onorevoli Colleghi! Il Presidente Napolitano, nel discorso alle Camere in occasione del 150 anniversario dell'Unità d'Italia, ringraziava «(...) i Sindaci anche e in particolare di piccoli comuni, a conferma che quella è la nostra istituzione di più antica e radicata tradizione storica, il fulcro dell'autogoverno democratico e di ogni assetto autonomistico».
      I piccoli comuni rappresentano per il nostro Paese un patrimonio. Rappresentano presìdi di legalità distribuiti in maniera capillare sul territorio nazionale, sono straordinari attori e tessitori di coesione sociale, oltre che luoghi primari della comunità in cui esercitare i diritti di democrazia e partecipazione e poter sviluppare percorsi di crescita culturale; sono luoghi della sussidiarietà vera, della partecipazione e della passione civile di decine di migliaia di amministratori volontari, di cittadini, di gruppi e associazioni di volontariato; luoghi in cui poter compartecipare al bene comune e agli interessi collettivi.
      Sono presìdi del territorio, dell'ambiente, del paesaggio, giacimenti di beni culturali, di creatività e produzioni tipiche.
      Luoghi dove più da vicino e direttamente si sperimenta e si dà corpo all'autogoverno di una comunità.
      Ma i piccoli comuni sono anche fragilità e debolezze, con limiti oggettivi e strutturali in termini di risorse, umane e materiali, di competenze, capacità, a volte incapaci, da soli, di garantire livelli adeguati di tutti i servizi per le loro comunità e di fornire possibilità reali di programmazione e pianificazione del territorio e del suo sviluppo.
      La sfida di una riforma strategica di una parte decisiva del sistema delle autonomie locali passa per la valorizzazione dei punti di forza e delle opportunità incarnate dai piccoli comuni conducendoli, contemporaneamente, a superare i loro limiti e le loro fragilità.
      Tanta parte del nostro Paese è fatta di piccole comunità e di piccole amministrazioni che rappresentano il tessuto connettivo dell'Italia, un presidio diffuso straordinario. Spesso queste realtà rappresentano la parte ambientalmente, paesaggisticamente, urbanisticamente allo stesso tempo più fragile ma anche più bella e preziosa dell'Italia.
      Si cita spesso il fatto che il 70 per cento dei comuni italiani, 5.693 su 8.093, più della metà del territorio, è amministrativamente organizzato in piccoli e piccolissimi comuni, tutti con meno di 5.000 abitanti, ma raramente si coglie il senso concreto della realtà che sta dietro questi numeri e della sua importanza per il Paese intero.
      Quando ci occupiamo di piccoli comuni e del loro destino non sono in campo quindi solo ragioni di folklore, di astratta identità storico culturale, o di mera contabilità finanziaria, ma concrete esigenze di moderno presidio, di rappresentanza democratica, amministrazione e governo di tanta parte dell'Italia.
      Molto spesso viene posta l'attenzione sull'alto numero dei comuni che costituiscono il nostro Paese e sulle loro dimensioni, considerando tale realtà quasi un'anomalia. Il tema della numerosità dei comuni e della frammentazione amministrativa va affrontato seriamente e al di fuori di slogan tanto diffusi quanto poco utili per orientare un serio processo riformatore.
      Ebbene, in Italia, con 60.264.000 abitanti, i comuni sono 8.092, con una media di abitanti pari a 7.492 e 37 kmq di territorio.
      Nel resto dell'Europa a noi più vicina la situazione è la seguente:

          in Austria, con una popolazione di 8.363.000 abitanti, i comuni sono 2.357, con una media di 3.550 abitanti, e di 36 kmq di territorio;

          in Germania, con una popolazione di 81.875.000 abitanti, i comuni sono 12.104, con una media di 6.765 abitanti, e di 29 kmq di territorio;

          in Francia, con una popolazione di 64.494.000 abitanti, i comuni sono 36.682, con una media di 1.760 abitanti;

          in Svizzera, con una popolazione di 7.700.000 abitanti, i comuni sono 2.596, con una media di 2.700 abitanti, e di 15 kmq di territorio;

          in Spagna, con una popolazione di 45.930.000 i comuni sono 8.116, con una media di 5.660 abitanti.

      Alla luce di questi dati consideriamo, per questo, la pubblica amministrazione, in generale, e quella locale, in particolare, di Paesi come la Francia, la Germania, l'Austria, la Svizzera, inadeguata e fonte di sprechi e inefficienze?
      È evidente che il tema non risiede, tanto e solo, nel numero in sè ma nel come è organizzato e funziona un sistema, come sono distribuite e gestite le competenze.


      E infatti, guardando oltre i primi numeri si scopre, ad esempio, che dietro i 33.000 comuni francesi con meno di 2.000 abitanti c’è il sistema delle comunità di comuni, le loro unioni e gestioni associate delle più importanti funzioni, con un sistema fiscale che le riconosce e le promuove. Analoghe realtà di gestione associata si ritrovano negli altri Paesi con un alto numero di comuni. Emerge come il tema della intercomunalità, della cooperazione intercomunale, sia il vero campo sul quale si sta giocando, in tanta parte dell'Europa, la partita dell'adeguatezza, dell'irrobustimento del sistema delle autonomie locali e comunali.
      Il problema è che, mentre da altre parti in Europa ci si applica a tutto questo con normative di sistema, sistemi coerenti e duraturi di incentivazione e penalizzazione, da noi si opera con più o meno improvvisati singoli articoli di decreti-legge che si succedono continuamente, con qualche grida manzoniana, con normative regionali che procedono spesso, anche sui princìpi ed i fondamenti, ognuna orgogliosamente per proprio conto.
      L'argomento delle dimensioni demografiche e del numero dei comuni non può essere neppure troppo facilmente affrontato con letture generiche riguardo ai costi.
      Così come, nell'analizzare la spesa per abitante delle aree metropolitane non ci si stupisce del costo maggiore alla media in quanto lo si imputa al fatto che quei comuni devono organizzare e gestire servizi e funzioni che sono usufruiti non solo dai propri residenti, ma anche dalla massa dei cosiddetti city users; non si può non considerare che anche i servizi erogati su aree montane e rurali con vaste estensioni territoriali e poco densamente abitate comportano, se misurati come spesa pro-capite, valori necessariamente più alti della media.
      Ciò non significa eludere o sottovalutare il tema di come migliorare le economie di scala e i meccanismi di efficienza e di efficacia della spesa dei piccoli comuni, ma valutarlo per quello che realmente è, così da valutare anche realisticamente e utilmente come sia più opportuno intervenire.
      Alla luce di queste riflessioni, ragionando di piccoli comuni, i temi veri sono:

          come riorganizzare il funzionamento e la distribuzione di competenze, responsabilità e risorse nella pubblica amministrazione;

          come contribuire a modernizzare l'Italia a partire dal fatto che la metà del Paese è montano, rurale, fragile, poco abitato, fuori dalle reti di comunicazione;

          come irrobustire questa parte della Repubblica delle autonomie locali, nel governo, nell'amministrazione, nella coesione sociale, nei servizi, nella promozione di una ripresa fatta di innovazione e sviluppo sostenibile;

          come costruire adeguatezza delle amministrazioni e degli amministratori, di fronte alle nuove competenze e responsabilità ed alle aspettative di cittadini, imprese, comunità che rappresentano;

          come farlo in tempo di crisi e di risorse sempre più scarse;

          come farlo semplificando, modernizzando il modo di funzionare;

          come farlo senza disperdere, ma anzi dotando di nuove armi e strumenti di lavoro le realtà comunali, i modi di autonomia e autogoverno delle nostre comunità.

      Purtroppo è doveroso constatare, molto spesso, una straordinaria sottovalutazione dei temi della riforma delle autonomie che riguardano i piccoli comuni.
      Il massimo esercizio spesso praticato sino ad oggi è stato quello di fissare soglie demografiche ideali o più o meno ideali, di immaginare ambiti più o meno ottimali, di mortificare la rappresentanza democratica delle piccole realtà, parlando per loro a sproposito di «poltrone» e di «casta».
      Sembra che non sempre si comprenda che stiamo parlando di qualcosa di molto più serio e che costituisce una parte strategica

di una vera prospettiva di riforma e di modernizzazione del Paese.
      Nei piccoli comuni vivono oltre 10 milioni di persone. Una cifra pari a circa i due terzi rispetto a quella delle città metropolitane. Non sembra sia proporzionale il grado di attenzione e di rilevanza che la politica dedica alle due questioni. Come sottolineato, ad esempio, tutti danno per acquisiti gli extra-costi che le città metropolitane devono sostenere per garantire servizi anche ai city users. Non si coglie altrettanta consapevolezza del fatto che gestire un servizio di trasporto scolastico o di assistenza domiciliare in aree rurali o montane ha costi oggettivamente maggiori che altrove. Non si coglie la criticità, ad esempio, del rapporto tra gettito tributario e dimensioni del territorio e i conseguenti costi della manutenzione o di chilometri di linee fognarie ed acquedottistiche che devono servire poche persone mentre in poche centinaia di metri in città ne servono migliaia.
      Dietro questo strabismo, questa disattenzione che equivale a sottovalutazione, c’è l'idea che il futuro, l'innovazione, risiedano solo nei grandi agglomerati urbani, mentre per il resto si tratterebbe di gestire il declino, l'abbandono, lo spopolamento, la marginalità, al più l'aria buona e, per i più fortunati, una possibilità di sviluppo turistico.
      È un'idea che giustamente coglie il valore propulsivo delle aree metropolitane ma reca con sè, se non accompagnata da una riflessione anche sul destino delle aree montane e rurali, disastri in termini di organizzazione e coesione sociale, di tenuta ambientale, di civiltà e sostenibilità diffusa del vivere, della stessa possibilità di praticare innovazione e ricerca della qualità. Si pensi soltanto alla green economy, all'agroalimentare, alla manutenzione del territorio e così via.
      L'Italia non è mai stata e non potrà mai essere la sola somma delle sue grandi aree urbane. E così l'Europa.
      In questi anni gli amministratori locali sono stati costretti a gestire norme, stratificate l'una sull'altra, che sembrano essere state elaborate da un legislatore poco cosciente di come, realmente, sia fatta l'Italia.
      Il nostro Paese è una cosa complessa e per riformarlo, per farlo crescere, bisogna prima conoscerlo.
      Sapere che non è una piatta cartina geografica, ma un territorio complesso, fatto di montagne, vallate, aree interne e costiere, aree urbane ed aree rurali, con densità demografiche incomparabilmente diverse. Sapere che i comuni piccoli stanno a fianco di quelli medi e di quelli grandi e non solo raccolti tra loro in apposite aree lager o recinti. E sapere che, dentro un quadro chiaro e semplice di orientamento generale occorrono risposte diverse a situazioni concrete, strumenti omogenei ma flessibili e adattabili.
      La forte ridislocazione di responsabilità e competenze verso i comuni, avvenuta per via di fatto e per via normativa, anche di rango costituzionale, ha chiesto progressivamente sempre più anche ai piccoli comuni capacità nuove e adeguatezza per rispondere alla sfida. Contemporaneamente è cresciuta la pressione dal basso, dai cittadini e dalle comunità, con domande e bisogni nuovi, con una forte richiesta quantitativa e qualitativa di servizi. La pratica effettiva del principio di sussidiarietà è stata giustamente interpretata da migliaia di amministratori di tanti piccoli comuni come possibile solo a condizione di una riconquistata adeguatezza delle loro amministrazioni rispetto ai mutamenti intervenuti. E adeguatezza, oggi, per i piccoli comuni significa porsi il tema della cooperazione intercomunale, della gestione associata delle funzioni e dei servizi. Soprattutto dopo la riforma del titolo quinto della Costituzione e soprattutto per i piccoli comuni, in una fase storico-istituzionale nella quale tra i valori ordinatori dell'assetto della Repubblica sono stati posti la equiordinazione e il principio di sussidiarietà e si ragiona di una revisione costituzionale dell'ente intermedio di area vasta, l'associazionismo intercomunale può costituire, e di fatto in parte comincia a costituire, uno strumento strategico nelle mani delle autonomie locali per accompagnare alla sussidiarietà la condizione senza la quale essa, così come l'autonomia, rischia di divenire una vuota enunciazione di principio, l'adeguatezza. La capacità dunque di interpretare al meglio autonomia e sussidiarietà. Le unioni di comuni e le convenzioni hanno dimostrato e stanno dimostrando di essere strumenti preziosi, anche perché flessibili, in grado di rispondere alle diverse realtà del nostro Paese e alle diverse esigenze degli enti e dei territori. Così come, aperta la stagione della obbligatorietà delle gestioni associate delle funzioni fondamentali, si sono avviati, come mai in passato, numerosi e importanti percorsi volontari di fusione di comuni.
      L'autonomia si pratica solo con l'adeguatezza. Soprattutto per garantire ciò che prima di tutto deve essere garantito: un'amministrazione adeguata ai cittadini.
      Non si pensi a un destino folkloristico per i piccoli comuni.
      Per i piccoli comuni rispetto alla necessità di conseguire o mantenere adeguatezza nell'organizzazione e nell'azione amministrativa sono, da tempo, in campo diverse possibili risposte.
      Quella che in realtà, dietro una formale garanzia di sopravvivenza per i piccoli comuni, di fatto, consiste nella sostituzione del soggetto dell'azione amministrativa. Nello slittamento, più o meno mascherato, delle competenze dai comuni verso altri enti e livelli, mono o plurifunzionali. È una soluzione che può espropriare migliaia di comuni delle loro funzioni e che alla lunga può condurre a pessimi risultati in termini non solo di partecipazione democratica ma anche di reale efficienza, efficacia ed economicità dell'azione amministrativa. Gli esempi potrebbero essere molti. Si tratta anche di una tendenza che ha contribuito in questi anni alla moltiplicazione di enti e livelli di azione amministrativa, spesso monofunzionali, contribuendo non poco al carattere confuso e disorganico della condizione attuale, per la quale invece si invocano semplificazione e razionalizzazione.
      Vi è poi la prospettiva del «piccolo è bello» o del mantenimento assistito, che si lega dal punto di vista emotivo e culturale, oltre che a radici nobili di municipalità, a un'idea del comune schiacciata nel localismo esasperato e nel campanilismo. Tale prospettiva reca con sé, nel bene e nel male, un profilo di conservazione, non solo delle identità e delle tradizioni ma anche dei modi di esercizio delle funzioni amministrative, dell'erogazione dei servizi, dell'organizzazione degli apparati, del rapporto amministratori – amministrati.
      Inoltre, le stagioni che viviamo e quelle che si preparano sul piano dello stato della finanza pubblica disegnano un quadro di risorse disponibili sempre più limitate per politiche assistenziali verso gli enti locali, mentre sempre più si spinge e si spingerà nella direzione di una razionalizzazione e di una maggiore efficienza ed efficacia della spesa.
      Da questo punto di vista il modello della frammentazione amministrativa non si presenta certo come il più adeguato.
      In realtà, pur non nascondendone gli elementi positivi, la condizione attuale e futura di un tale modello, potrebbe qualificarsi come assistita e tutelata quasi esclusivamente sul piano del folklore. Una condizione che priva i comuni di una reale autonomia, con una effettività del governo dei processi che verrebbe di fatto sottratta ai comuni e agli amministratori locali, per essere completamente assorbita da diversi e più ampi livelli istituzionali o da diversi aggregati di gestione tecnica ed economica. Una condizione, inoltre, che reca con sè oltre che maggiori costi, rigidità e inefficienze, una possibile e importante penalizzazione dei cittadini di questi comuni nell'accesso ai servizi, sia in termini di quantità che di qualità, con una conseguente penalizzazione sul piano dei diritti.
      Il modello, infine, appare il meno idoneo a determinare condizioni di migliore governance complessiva e maggiore competitività di sistema istituzionale e di aree territoriali.
      Una terza prospettiva è quella che prevede la riduzione forzosa del numero degli enti locali, il loro accorpamento in entità demograficamente più cospicue. Si tratta di un percorso già realizzato o tentato o avviato, in altri Paesi. Con diverse fortune. In Italia ci provò la dittatura fascista e l'esperienza finì con la fine del regime.
      Corrisponde, in parte, a un disegno centralistico e illuministico di razionalizzazione (almeno in astratto) del sistema amministrativo del Paese, che comporterebbe una forte rideclinazione del tema delle autonomie comunali e locali.
      Una tale prospettiva incontra svariate e decisive criticità, quali la forte presenza, nel nostro Paese, di radicate tradizioni comunali, che innervano il livello amministrativo, con elementi di identità, storia, cultura, partecipazione popolare, vocazioni, caratteristiche di un tessuto socio-economico e di territori determinati e del loro presidio di autogoverno. Una pluralità e una sorta di «bio-diversità» comunitaria, territoriale e amministrativa, che non possono essere semplicemente rimosse e cancellate.
      Queste e altre considerazioni concorrono a definire come non auspicabile e comunque non praticabile, nella realtà del nostro Paese, questo modello.
      L'ulteriore modello istituzionale di risposta alle prospettive dei piccoli comuni e al tema dell'adeguatezza è quello dell'incentivazione e dell'accompagnamento verso forme di cooperazione, con una gradazione di indirizzi e strumenti che incrociano elementi di obbligatorietà e scelte volontarie. Da diversi anni a questa parte, esso rappresenta e anima un processo concreto di riforma istituzionale in corso nel nostro Paese, che vede protagonisti centinaia di enti e migliaia di amministratori, oltre ad essere oggetto di una sempre più intensa (anche se spesso contraddittoria e confusa) attenzione normativa, sia da parte del legislatore nazionale che di quelli regionali.
      Le ragioni che hanno spinto e spingono verso la pratica della cooperazione intercomunale volontaria sono tutte scritte nelle criticità della condizione dei piccoli comuni (anche se importanti processi di cooperazione sono in movimento anche tra comuni di dimensioni medie e medio-grandi, con finalità e rispondendo a esigenze che pure meriterebbero di essere più a fondo indagate).
      Specularmene, per quanto sia possibile semplificare, i limiti e le difficoltà del modello risiedono nella tenaglia che si stringe attorno ai nuovi percorsi di cooperazione, stretti tra le concrete resistenze conservatrici della condizione frammentata e la ricorrente tentazione del legislatore (statale e regionale) verso una modellistica istituzionale, spesso di matrice estemporanea e disegnata dall'alto e progettata secondo canoni del tutto astratti di maggiore economicità, efficienza, razionalità ed efficacia.
      Nella tensione tra la rincorsa di risultati competitivi rispetto a un modello astrattamente migliore ma concretamente impraticabile o foriero invece di peggiori risultati globali effettivi, e la difficoltà del superamento di una concreta realtà di frantumazione istituzionale, di resistenze conservatrici a tutti i livelli, si sperimenta in centinaia di enti del nostro Paese un originale e decisivo percorso di riforma e di innovazione istituzionale.
      È decisivo partire da qui, da questa realtà e dalla sua conoscenza e considerazione, dalla spinta riformatrice soggettiva che essa può mettere in campo, se si vuole, come è giusto e necessario, riorganizzare l'intero sistema delle autonomie locali.
      Qualsiasi approccio riformatore che di questa realtà non tenesse conto sarebbe oggi portatore di gravi danni per molte comunità locali, per centinaia e centinaia di comuni. Risulterebbe velleitario, fragile e foriero di fallimenti. Vanificherebbe le esperienze di tutti questi anni. Soprattutto non si appoggerebbe a un movimento reale di amministratori comunali. Condizione, quest'ultima, essenziale per una seria e incisiva prospettiva di riforma.
      La realtà attuale ci porta all'amara constatazione di come, per diverse ragioni e, tra esse, anche a causa della ricerca di ambiti ottimali per la gestione di funzioni e servizi comunali nelle realtà più frammentate dal punto di vista amministrativo, si sia determinata nel nostro panorama istituzionale una vera e propria babele di presenze di enti sui territori.
      Tutto ciò è fonte di inefficienze, maggiori costi, disfunzioni, sovrapposizioni e deresponsabilizzazione.
      Occorre procedere con rigore a una semplificazione e a una razionalizzazione dei sistemi di governance locale.
      Se le necessità dell'adeguatezza impongono di perseguire con determinazione la via della cooperazione intercomunale per molte piccole realtà, occorre che anche i modi e le forme di questa cooperazione abbiano caratteri uniformi, semplici e razionali.
      Perché ciò accada occorre che su ogni territorio la gestione associata delle funzioni e dei servizi comunali sia tendenzialmente ricondotta ad unità.
      Per conseguire l'adeguatezza il riferimento deve essere un solo ente associativo, che sia espressione diretta dell'autonomia dei comuni: nella definizione dell'ambito territoriale al quale si riferisce, nella sua organizzazione, nella composizione degli organi, nella definizione delle politiche e delle modalità di esercizio delle funzioni.
      Accade spesso di imbattersi nella indicazione e ricerca di ambiti ottimali per la gestione di servizi. L'ambito ottimale unitario dal punto di vista delle funzioni comunali (cioè relativo a tutti i servizi comunali) non esiste. È un'araba fenice che varrebbe la pena lasciare alla mitologia. I tentativi di farla vivere nella realtà hanno prodotto e produrranno solo disastri.
      Quasi ogni funzione o servizio ha un diverso ambito ottimale, che varia oltrettutto in ragione delle diversità dei territori.
      Se dovessimo ripartire le funzioni seguendo questo criterio, attribuendole a soggetti diversi, moltiplicheremmo gli enti, costruiremmo una giungla molto più fitta di quella che oggi già abbiamo e vogliamo disboscare.
      Sarà bene quindi eliminare dai ragionamenti e soprattutto dalla normativa ogni velleità di costruzione di ambiti ottimali per tutte e per ciascuna funzione.
      Meglio sarebbe parlare, anche in questo caso, di ambiti e dimensioni «adeguate» per l'amministrazione delle funzioni comunali. Dove l'adeguatezza, al di là di qualche criterio indicatore da utilizzare per controllo e orientamento, non è certo definibile a priori per tutte le realtà locali della nostra composita e ben differenziata realtà nazionale, e non è certo riconducibile a soli criteri di astratte economie di scala. Si tratta invece di una nozione complessa di adeguatezza nell'azione amministrativa, che molto ha a che vedere anche con l'autonoma determinazione ed organizzazione dei comuni.
      In ogni caso, nel definire ambiti e dimensioni adeguate per l'esercizio unitario associato di funzioni e servizi comunali, il parametro non potrà certo essere solo tecnico o di settore, ma potrà essere essenzialmente quello della «sostenibilità politico-amministrativa-territoriale», nel senso di identificazione autonoma di un territorio omogeneo, con vocazione unitaria, con un numero di comuni e rapporti tra loro tali da essere sostenibili dentro un percorso associativo. Così da ricostruire un nuovo e unitario livello di governo e azione territoriale amministrativa, come strumento di adeguatezza e autonomia dei comuni, non come ente altro.
      Esaminando le diverse forme di cooperazione intercomunale e di gestione associata di funzioni previste dal nostro ordinamento, l'unione di comuni è certamente quella più ambiziosa ed impegnativa.
      Al di là delle eccellenze e delle esperienze peggiori, le unioni, mediamente, per le loro peculiarità tipologiche e di sistema, rispetto ad altre forme, offrono risposte valide alle prospettive dei piccoli comuni e al tema dell'adeguatezza, caratterizzando diversamente la cooperazione intercomunale:

          la sottraggono alle occasionalità e casualità, la spingono a misurarsi con una molteplicità di funzioni e servizi, la collegano ad un territorio definito;

          strutturano modalità concertate, responsabili e partecipate di relazione tra gli

amministratori dei diversi comuni interessati;

          non conducono alla costruzione di sovrastrutture ulteriori ma attivano processi di riorganizzazione e razionalizzazione degli apparati. Consentono di ripensare e riprogettare procedimenti e attività, di mettere in campo percorsi di formazione, specializzazione, valorizzazione professionale del personale;

          consentono di affermare e consolidare tra gli enti coinvolti l'idea di bene comune, di patrimonio comune, contribuendo così a creare le condizioni per migliori politiche associate o coordinate;

          assumono un carattere tendenzialmente permanente e quindi consentono di attivare percorsi di programmazione condivisa. Programmazione e stabilità nel tempo che costituiscono condizioni necessarie, anche se non sufficienti, per consolidare modalità intercomunali di governo di un territorio e di una comunità, oltrechè per provare a conquistare modalità più efficienti ed economiche nell'erogazione di servizi;

          tendono a far conseguire agli enti coinvolti una maggiore adeguatezza strutturale;

          tendenzialmente accrescono il peso politico comune degli enti coinvolti;

          la consegnano ad una lettura trasparente e riconoscibile da parte di cittadini ed amministratori.

      Non tutte le unioni raggiungono questi risultati. Lo strumento unione può essere usato bene o male, meglio o peggio. D'altro canto i comuni stessi, così come le province, le regioni, lo Stato, possono essere gestiti, amministrati, bene o male, meglio o peggio.
      Ma al di là delle diverse concrete esperienze, l'unione può essere uno strumento importante per i comuni. Per garantire servizi più adeguati, di migliore qualità e garantire più servizi anche ai cittadini di quella parte di Paese amministrata e coperta da una realtà di piccoli comuni, frammentata, spesso anche debole nelle strutture, nelle possibilità finanziarie, nelle risorse e che quindi ha più difficoltà a tenere il passo e garantire ai propri cittadini, ai propri territori, una amministrazione adeguata.
      La grande maggioranza delle unioni è costituita dai piccoli comuni, ma ci sono anche le unioni di comuni medi, che diventano significative dal punto di vista demografico. Anche in quei casi l'unione è uno strumento che consente ai comuni che governano quei territori di conquistare dimensioni e capacità tali da poter proporsi con un progetto di sistema di area e comunque con un programma, con una capacità maggiore di governo sul terreno della promozione dello sviluppo, della competitività.
      Servono a diverse cose le unioni, e la flessibilità dello strumento è forse anche una delle condizioni della sua utilità. Una flessibilità che consente, tra gli stessi enti, di far mutare nel tempo l'utilizzo di questo strumento, di adeguarlo alla maturazione dei percorsi e dei rapporti, politici, organizzativi, finanziari. Così l'unione di un dato territorio merita di essere considerata non staticamente ma nella progressione dinamica della sua struttura, organizzazione, capacità di gestire funzioni e servizi.
      Le unioni non nascono già adulte. E, in generale la costruzione di sistemi territoriali di gestioni associate delle funzioni comunali, oggi obbligata per i piccoli comuni, è un processo che non si invera da un giorno all'altro ma matura con una sua evoluzione che richiede strumenti, regole, che consentano all'azione amministrativa quella flessibilità che sola consente di riprogettare e riorganizzare gli apparati amministrativi comunali esistenti ed il loro modo di funzionare.
      Costituiscono un'inedita esperienza di enti e processi che vedono fisiologicamente mutare, nel tempo, le funzioni attribuite, il modello organizzativo, le dimensioni finanziarie, la stessa dimensione territoriale. Anche per questo è miope il legislatore che sottopone le unioni a vincoli su tetti e soglie finanziarie, di personale, organizzative,

pensate per la realtà del singolo comune. Vincoli che spesso, nella loro rigidità e inadeguatezza rispetto ai processi cui vengono applicati, producono effetti di blocco, di inefficienza, diseconomicità in quelli che sono dei veri e propri processi di riorganizzazione complessiva e che come tali dovrebbero essere considerati.
      Un solo esempio. Nel caso di una riorganizzazione che coinvolga più aziende in un progetto unitario sarebbe inconcepibile pensare a un blocco o a un abbattimento delle spese di consulenza e di formazione del personale rispetto a quelle degli anni precedenti, come invece accade oggi per i comuni che costituiscono unioni, che costruiscono gestioni associate, che realizzano fusioni.
      Occorre dare flessibilità al sistema ed offrire ai comuni strumenti pensati per la dinamica delle gestioni associate e non per la statica della realtà precedente. Strumenti capaci di agevolare e stimolare questi percorsi invece che di ostacolarli e bloccarli.
      La gestione associata delle funzioni e dei servizi su un territorio, per essere efficace e governabile, deve tendenzialmente essere ricondotta ad unità.
      Negli incontri di piccoli comuni spesso si sente dire che «non bastano più gli assessori». Ogni comune partecipa ormai a innumerevoli gestioni associate, le più diverse e le più varie, rispetto alle quali si ha difficoltà ad individuare chi mandare a partecipare alle riunioni.
      Questo pone problemi non solamente dal punto di vista della gestione dei servizi. Perché i comuni non sono soltanto la somma dei servizi che svolgono, sono enti di autogoverno delle comunità locali, che è cosa ben diversa dalla somma del servizio idrico, del servizio dei rifiuti, dei servizi sociali, eccetera.
      Dietro ci sono le idee dell'autonomia e dell'autogoverno di un territorio e di una comunità, non solo tecnica della buona amministrazione.
      Ritorna spesso la tentazione di contrapporre come alternativi gli strumenti dell'unione con quello delle convenzioni.
      Si tratta di un errore. La scelta può essere alternativa ma le due modalità di gestione associata possono anche essere utilizzate in modo complementare. L'unione come strumento più strutturato e polifunzionale per un certo territorio e le convenzioni per alcune funzioni o servizi che per ragioni di efficacia ed economicità, funzionalità amministrativa, si ritiene opportuno gestire tra una parte dei comuni dell'unione o anche con comuni esterni all'unione, o con altre unioni.
      Si tratta di intendere la convenzione come strumento di flessibilità del sistema, utile anche per le relazioni, magari parziali e limitate ad alcune funzioni o servizi, di cooperazione tra comuni soggetti ad obbligo di gestione associata e comuni non in obbligo.
      Da qualche parte si è posta anche l'alternativa della scelta tra la promozione delle unioni o delle fusioni volontarie. Il tema non sta nel chiedersi oggi astrattamente se le unioni siano la via per giungere alla fusione o un sostituto della fusione. Si tratta di incentivare, con ben maggiore forza rispetto ad oggi, sia le unioni che le fusioni, lasciando alla maturazione dei processi reali la risposta. Saranno le condizioni concrete di ogni percorso associativo a decidere, per scelta degli amministratori e delle comunità, se l'unione sarà sostenibile come forma stabile e tendenzialmente definitiva del loro stare insieme o se, dopo aver progressivamente condiviso tutti i servizi e l'organizzazione, lo sbocco dell'esperienza potrà o dovrà essere la nascita di un nuovo ed unico comune.
      Altra problematica da non sottovalutare è quella rappresentata, ormai da diversi anni e in diverse realtà, da una sorta di guerra guerreggiata tra Stato e regioni sulla competenza normativa in materia di associazionismo intercomunale. Una guerra che si sta svolgendo interamente sulla pelle dei comuni e soprattutto della realtà e delle serie prospettive dell'associazionismo intercomunale, a partire dalle unioni.
      La guerra delle competenze tra legislatore statale e regionale in questi anni ha contribuito a creare incertezza negli amministratori comunali, a dare loro il senso della precarietà dei percorsi che intraprendono, a ostacolare sinergie e processi di monitoraggio, verifica e riorientamento e correzione verso le migliori pratiche delle esperienze associative tra le diverse regioni e ad infittire la selva dei diversi livelli di cooperazione sovracomunale che incidono sui diversi territori.
      Attraverso il tema dell'adeguatezza e della obbligatorietà della gestione associata delle funzioni fondamentali le politiche sull'associazionismo intercomunale impattano direttamente sull'assetto fondamentale dei comuni, su tutti i comuni, su tutto il territorio nazionale. Anche per queste ragioni è opportuno che vi sia un quadro concorrente di princìpi uniformi stabilito dal legislatore statale, seppure corredato da opportune intese nelle sedi di relazione costituzionalmente previste, tra Stato, regioni e autonomie.
      Un quadro di principio e di garanzia uniforme che lasci naturalmente spazio vero alle politiche e alla normazione regionale per la costruzione delle politiche per l'associazionismo, in modo aderente e adeguato alle differenti realtà del Paese.
      Ma oltre che in punto di diritto e per rispetto della pari salvaguardia su tutto il territorio dell'autonomia comunale, la necessità di un'impronta nazionale, di un obiettivo comune a tutta la Repubblica sul versante dell'associazionismo, si fonda e sta interamente scritta in una considerazione sostanziale di politica istituzionale.
      Se la scelta strategica è quella dell'associazionismo intercomunale; se questa scelta è in gran parte necessitata; se la sua pratica deve condurre ad una profonda riforma del sistema delle nostre autonomie comunali, interessando direttamente migliaia e migliaia di comuni, la grande maggioranza di tutti quelli italiani, occorre che la complessità e difficoltà dell'impresa sia affrontata come un grande obiettivo unitario a livello nazionale. E occorre un modello unitario di riferimento capace di rendere chiara ed esplicita la direzione di marcia, di concentrare invece che disperdere energie, risorse, esperienze. Un modello unitario che possa contare su politiche decise di sostegno e orientamento, semplici, chiare e stabili nel tempo. Politiche coerenti da parte di tutti i livelli istituzionali. Con politiche regionali di importanza decisiva, capaci non di inventarsi sistemi inutilmente e dannosamente autistici, ma di articolare le azioni di orientamento e sostegno delle forme associative a misura delle peculiari e diverse realtà del Paese. Rendendo per questa via più concreto, adeguato ed efficace il processo di riforma.
      Alla luce di tutte le considerazioni fatte, la presente proposta di legge ha l'ambizione di proporre poche e chiare norme, dotate di una qualche stabilità nel tempo, aperte a un coordinamento e una coerenza tra Stato e regioni, fuori da una guerra di competenze, della quale fanno le spese i comuni, tra norme statali di principio e legislazione regionale concorrente. Il presente intervento legislativo propone norme sulle gestioni associate e la cooperazione intercomunale, con unioni e convenzioni intesi come strumenti uniformi e flessibili, con processi concertati a livello regionale e provinciale di riordino istituzionale territoriale, sostegno alle unioni e alle fusioni volontarie, non penalizzazione delle scelte associative, semplificazione di procedure, riconoscimento di autonomia, definizione di obiettivi e vincoli finanziari e di efficienza, regole che sappiano distinguere il vizio dalla virtù, penalizzare il primo e premiare la seconda.
      Il tutto pensato, elaborato, praticato, non come esercizio di astratta ingegneria istituzionale, ma come insieme di precondizioni che consentano agli amministratori locali di occuparsi al meglio di quello di cui devono quotidianamente occuparsi: manutenere i territori, metterli in sicurezza, tutelare l'ambiente, garantire servizi adeguati, e quindi diritti, far funzionare l'amministrazione, immaginare, promuovere, sostenere, lo sviluppo sostenibile delle comunità, pensarle nel futuro. In una parola governare e amministrare le comunità, essere fino in fondo comuni, autonomie locali, ai sensi della nostra Costituzione.
      Nella normativa che riguarda i piccoli comuni, non sarebbe neppure necessaria una particolare genialità o complessità degli interventi. Sarebbero più che sufficienti buon senso e conoscenza della realtà, per garantire alle norme non una straordinaria capacità innovativa ma almeno il requisito minimo della ragionevolezza.
      Con il presente progetto di legge vorremmo dare un contributo in questa direzione.
      Il capo I contiene disposizioni e definizioni generali, indicando l'oggetto e le finalità dell'intervento normativo, concepito anche in relazione al più generale processo di riforma del sistema delle autonomie locali.
      L'articolo 1 indica l'oggetto della proposta di legge, specificando che essa apporta integrazioni e modifiche alla normativa contenuta nel testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000 (di seguito: TUEL), oltre che alla normativa vigente in materia di comuni di piccole dimensioni, di gestioni associate di funzioni e servizi e dei processi di fusione. Si precisa, inoltre, che l'espressione «piccoli comuni» si riferisce ai comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti.
      L'articolo 2 indica tra le finalità, con particolare riferimento alla peculiare condizione dei piccoli comuni, la promozione della riforma delle autonomie locali e la piena attuazione dei princìpi costituzionali di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione, oltre che la valorizzazione delle peculiarità territoriali e il superamento della frammentazione amministrativa. È inoltre prevista l'effettiva applicazione dei princìpi di sussidiarietà e adeguatezza attraverso il sostegno alle forme di cooperazione, con riferimento particolare alle unioni e ai processi di fusione volontari per garantire, nell'interesse dei cittadini, l'adeguato esercizio delle funzioni e dei servizi amministrativi. Altra finalità della proposta di legge è la tutela del patrimonio naturale e storico-culturale dei piccoli comuni attraverso la promozione di attività economiche, sociali, ambientali e culturali e attraverso il potenziamento del sistema dei servizi territoriali con misure adottate in favore dei residenti e delle attività economiche. È specificato, inoltre, che al raggiungimento delle varie finalità concorrono anche le regioni, nell'ambito delle competenze e funzioni ad esse attribuite.
      Il capo II tratta degli organi dei comuni di piccole dimensioni e delle unioni, dei loro statuti e degli statuti dei comuni nati da fusione. Più in particolare l'articolo 3, modifica la normativa vigente relativamente alla composizione del consiglio comunale, restituendo dignità e consistenza di rappresentanza democratica agli organi dei piccoli comuni, rivedendo le mortificanti previsioni vigenti. Il tutto senza incrementi di spesa od oneri di qualsiasi genere. La riduzione sino al numero di 6 consiglieri per i piccoli comuni ha determinato una inutile mortificazione della partecipazione democratica e di quello che è un vero e proprio volontariato civico nelle piccole comunità. Pertanto, con la presente proposta di legge si prevede che, oltre che dal sindaco, il consiglio comunale sia composto da un numero non superiore a 16 membri per i comuni con popolazione compresa tra 3.000 e 10.000 abitanti. Lo stesso articolo prevede, per i comuni con popolazione inferiore a 3.000 abitanti, che il consiglio comunale sia composto, oltre che dal sindaco, da un numero non superiore a 12 membri. È previsto, inoltre, che nei comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti la giunta sia costituita dal sindaco e dal vicesindaco, quest'ultimo nominato tra i consiglieri comunali; nei comuni con popolazione compresa tra 1.000 e i 10.000 abitanti il numero degli assessori non possa essere superiore a 4. Al medesimo articolo 3 è previsto che ai comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti non si applichino le limitazioni dei mandati di cui ai commi 2 e 3 dell'articolo 51 del TUEL, per i sindaci che, allo scadere del secondo mandato, abbiano ricoperto la carica per due mandati consecutivi. Inoltre l'articolo 3, al comma 4, gradua diversamente i termini entro i quali i comuni con meno di 5.000 abitanti (3.000 se nelle aree montane) devono adempiere all'obbligo della gestione associata delle funzioni fondamentali prevista dall'articolo 14, comma 28 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, tenendo conto della complessità del processo e del fatto che questi comuni nel 2013 hanno dovuto anche sostenere, per la prima volta, il peso dei vincoli del patto di stabilità interno che non hanno certo agevolato i processi di gestione associata. Così è previsto che entro il 31 dicembre 2013 i comuni che vi sono tenuti debbano esercitare obbligatoriamente in forma associata due ulteriori funzioni fondamentali di cui al comma 28 dell'articolo 14 del citato decreto-legge n. 78 del 2010, oltre alle tre già previste Da ultimo lo stesso comma 4 prevede un differimento dal 1 gennaio 2014 al 1 gennaio 2015 del termine per l'esercizio associato obbligatorio delle restanti funzioni fondamentali indicate dallo stesso comma 28.
      All'articolo 4 sono previste una serie di modifiche all'articolo 32 del TUEL, prevedendo che il consiglio dell'unione sia composto da un numero di consiglieri, definito nello Statuto, eletti tra i componenti dei singoli consigli dei comuni associati, garantendo la rappresentanza delle minoranze, nonché la rappresentanza di ogni comune. Per quanto riguarda la figura del segretario dell'unione, questi è scelto tra i segretari dei comuni facenti parte dell'unione ed è nominato dal presidente, facendo salvi gli incarichi per le funzioni di segretario già affidati a dipendenti delle unioni o dei comuni.
      All'articolo 5, modificando il comma 4 dell'articolo 32 del TUEL, si dettano disposizioni relative allo statuto dell'unione che stabilisce le modalità di funzionamento degli organi disciplinandone il rapporto. Si prevede inoltre che l'unione abbia potestà regolamentare e ad essa, con riguardo allo status degli amministratori, all'ordinamento contabile e al personale, si applichino i princìpi previsti per l'ordinamento dei comuni.
      L'articolo 6 riguarda lo statuto dei comuni nati da fusione, prevedendo, per i comuni che hanno dato avvio al procedimento di fusione, la possibilità di definire lo statuto anche prima dell'istituzione del nuovo ente. Lo statuto così definito entrerà in vigore con l'istituzione del nuovo comune. Viene inoltre disposto che lo statuto del nuovo ente dovrà prevedere che siano assicurate adeguate forme di partecipazione e di decentramento dei servizi per le comunità dei comuni oggetto della fusione.
      Nel capo III sono dettate norme volte ad incentivare i processi associativi e di accorpamento dei comuni attraverso maggiori trasferimenti erariali, assetti contabili-finanziari più favorevoli ed attraverso norme tendenti ad una maggiore semplificazione.
      L'articolo 7 dispone, al fine di favorire i processi di accorpamento tra enti locali, che al comune costituito a seguito di fusione devono applicarsi le norme più favorevoli di incentivazione e semplificazione previste per i comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti.
      All'articolo 8 si prevede che agli amministratori dei comuni nati da fusione cui partecipano comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti e a quelli delle unioni comprendenti comuni al di sotto dei 5.000 abitanti si applicano, per i primi due mandati, le norme in materia di incandidabilità, ineleggibilità e incompatibilità previste per i comuni con meno di 5.000 abitanti.
      L'articolo 9 contiene norme volte a sostenere economicamente e ad incentivare i processi di fusione e unione. Si prevede un incremento di 20 milioni di euro, per l'anno 2013, del contributo spettante alle unioni di comuni ai sensi del comma 10 dell'articolo 53 della legge finanziaria per il 2001 (legge 23 dicembre 2000, n. 388), da riservare alle unioni che effettivamente abbiano attivato l'esercizio associato delle funzioni fondamentali, come da obblighi di legge. A decorrere dal 2014, invece, è previsto un contributo pari a 30 milioni di euro a sostegno delle unioni dei comuni che esercitano effettivamente le funzioni fondamentali per le quali è obbligatoria la gestione in forma associata. Inoltre, a decorrere dallo stesso anno è previsto un contributo di 30 milioni di euro a sostegno anche dei comuni istituiti a seguito di fusione.
      L'articolo 10 detta norme inerenti ai limiti di indebitamento, prevedendo la possibilità, per i comuni istituiti a seguito di fusione, di operare nei limiti dei margini di indebitamento consentiti ai comuni originari, anche nel caso in cui dall'unificazione dei bilanci non risultino ulteriori spazi di indebitamento.
      L'articolo 11 contiene norme riferite a spese di personale, e loro ripartizione, effettuate durante la fase di espletamento dei processi associativi, stabilendo che detti processi devono garantire adeguate forme di compensazione fra spese di personale e possibilità di assunzioni degli enti coinvolti. Viene inoltre precisato che l'unione dei comuni può incrementare, al fine di garantire un'adeguata omogeneità dei servizi, determinate risorse riferite a spese di personale attinenti i servizi di polizia municipale e di protezione civile, per un importo massimo del 20 per cento rispetto a quelle destinate dai comuni prima della costituzione dell'unione.
      L'articolo 12 contiene un elenco delle modalità di svolgimento delle attività svolte in forma associata dalle unioni dei comuni in ordine al responsabile anticorruzione, al responsabile per la trasparenza, all'organo di revisione e all'organo di valutazione e di controllo di gestione. Lo stesso articolo 12 dispone inoltre che, ove previsto dallo statuto, il presidente dell'unione svolge le funzioni di sindaco in veste di autorità comunale di protezione civile sul territorio dei comuni che hanno conferito all'unione la funzione fondamentale della protezione civile; lo stesso presidente svolge le funzioni di sindaco con riferimento al servizio di polizia locale, impartendo direttive, adottando gli opportuni provvedimenti e vigilando sull'espletamento di tale servizio, sul territorio dei comuni che hanno conferito all'unione la funzione fondamentale della polizia municipale.
      All'articolo 13 si dettano disposizioni relative al patto di stabilità interno posticipandone, al comma 1, dall'anno 2013 all'anno 2014, l'entrata in vigore per i comuni con popolazione compresa tra 1.000 e 5.000 abitanti, e indicando, al comma 2, la copertura finanziaria degli oneri derivanti da tale posticipazione. I successivi commi 3 e 4 prevedono che i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti concorrono al patto di stabilità, raggiungendo progressivamente l'equilibrio di parte corrente e rispettando un limite all'indebitamento, secondo modalità stabilite con decreto del ministero dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza stato-città ed autonomie locali. Si prevede, inoltre, l'abrogazione di tutte le disposizioni vigenti che disciplinano in modo difforme da quello ora descritto il concorso al patto di stabilità interno dei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti.
      Al comma 6 si prevede l'esclusione dal patto di stabilità interno per i nuovi comuni istituiti mediante fusione di preesistenti comuni per un periodo di 5 anni dall'istituzione del nuovo ente ed indipendentemente dal numero della popolazione complessiva. Il comma 7 stabilisce che ai fini della determinazione degli obiettivi e del rispetto del patto di stabilità interno le entrate e le uscite del comune capofila della convenzione stipulata ai sensi dell'articolo 30 del TUEL per la gestione associata di servizi e funzioni, devono essere considerate al netto dei trasferimenti effettuati dagli altri comuni convenzionati.
      La ratio sottesa all'articolo 13 è volta a rimuovere l'ormai insostenibile condizione di paralisi economico-contabile in cui versano numerosi piccoli comuni a causa dell'obbligo del rispetto del patto di stabilità interno. L'applicazione dei vincoli del patto ai comuni con popolazione compresa fra 1.000 e 5.000 abitanti oltre che essere insostenibile finanziariamente è anche tecnicamente ingestibile per enti con bilanci estremamente contenuti nelle dimensioni finanziarie, rigidi nella composizione della spesa, impossibilitati a compiere operazioni straordinarie di carattere patrimoniale, con un andamento dei flussi di cassa di parte capitale estremamente erratico e largamente eterodiretto.
      L'articolo 14 prevede l'assegnazione di fondi per la prosecuzione, sino al 2020, del programma di investimenti, denominato «6.000 campanili» concernente interventi infrastrutturali, di ristrutturazione e nuova costruzione di edifici pubblici, di interventi antisismici, di realizzazione e manutenzione di reti viarie e infrastrutturali, di potenziamento di reti telematiche, nonché di salvaguardia e messa in sicurezza del territorio, in favore dei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, delle unioni composte da comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e dei comuni risultanti da fusione tra comuni, ciascuno dei quali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti. Si prevede inoltre, una priorità di interventi in favore di comuni istituiti per fusione e di quelli associati in unioni.
      Il capo IV contiene una serie di disposizioni in materia di fusione di comuni volte ad armonizzare e perfezionare i processi di fusione sul piano ordinamentale, organizzativo e contabile.
      L'articolo 15 prevede una serie di misure volte a ridurre i costi relativi ai processi di fusione, disponendo che il nuovo comune istituito mediante fusione è esentato dal pagamento di qualsiasi onere fiscale dovuto a trasferimenti di proprietà di beni mobili ed immobili. È previsto inoltre che le attività svolte dalle pubbliche amministrazioni per adeguare le procedure amministrative o le proprie informazioni sono svolte senza oneri a carico del nuovo ente.
      All'articolo 16 sono previste norme di armonizzazione di tariffe e aliquote che consentono ai comuni istituiti mediante fusione, ove istituiscano municipi, di mantenere tributi e tariffe differenziati per ciascuno dei territori degli enti venuti a fusione sino all'ultimo esercizio finanziario del primo mandato amministrativo; al termine di tale esercizio finanziario è prevista l'armonizzazione di tutte le tariffe.
      L'articolo 17 contiene disposizioni in materia di fusione. Al comma 1 si prevede la costituzione di un comitato, composto dai sindaci dei vari comuni estinti in seguito a fusione, chiamato a coadiuvare il commissario nominato per la gestione del nuovo ente derivante da fusione. Il comitato deve essere consultato sullo schema di bilancio e sull'adozione di eventuali varianti agli strumenti urbanistici. Il comma 2 prevede che la normativa regionale stabilisce, per i comuni nati da fusione, diversi limiti di applicazione degli obblighi di esercizio in forma associata di funzioni comunali di cui al comma 28 dell'articolo 14 del decreto-legge n. 78 del 2010. Inoltre, per due mandati elettorali e in mancanza di diversa normativa regionale, sono previste esenzioni da tali obblighi per determinate categorie di comuni istituiti mediante fusione. Il comma 3 riguarda l'esercizio degli incarichi e dei mandati già affidati prima dell'estinzione del comune in seguito a fusione; ai commi 4, 5 e 6 sono previste norme relative all'assunzione di personale dei nuovi comuni, all'organizzazione e alla ripartizione delle relative spese e risorse. Il comma 7, salve diverse disposizioni normative regionali, detta norme in merito a: vigenza degli atti normativi, regolamentari e dispositivi emanati dai comuni oggetto di fusione; organi di revisione contabile; applicazione dello Statuto; sede legale del nuovo comune e organizzazione degli uffici e dei servizi. Il comma 8 detta disposizioni di natura contabile relative all'approvazione dei bilanci da parte dei comuni sorti da fusione. I successivi commi prevedono che: il numero della popolazione del nuovo comune corrisponda alla somma della popolazione dei comuni estinti; il trasferimento della proprietà dei beni mobili e immobili dai comuni originari al nuovo comune sia esente da oneri fiscali; dalla data di istituzione del nuovo comune e fino alla scadenza naturale resti valida, nei documenti dei cittadini e delle imprese, l'indicazione della residenza riportante i riferimenti dei comuni estinti; l'istituzione del nuovo comune non privi i territori dei comuni estinti dei benefìci ad essi rivolti, disposti dall'Unione europea e dalle leggi statali; il nuovo comune istituito mediante fusione possa conservare distinti codici di avviamento postale dei comuni preesistenti.
      Da ultimo, l'articolo 18 detta norme inerenti ai processi di fusione per incorporazione. A tale riguardo è disposto che i comuni possono promuovere il procedimento di incorporazione in un comune contiguo e il comune incorporante conserva la sua personalità, succedendo in tutti i rapporti giuridici al comune incorporato ed assicurando alle comunità del comune cessato adeguate forme di partecipazione e di decentramento dei servizi. I processi di incorporazione sono effettuati con il coinvolgimento delle popolazioni interessate che sono sentite, ai fini dell'articolo 133 della Costituzione, mediante referendum consultivo. Nel caso di aggregazioni di comuni mediante incorporazione è data facoltà di modificare anche la denominazione del comune. Le ulteriori modalità della procedura di fusione per incorporazione sono definite con legge regionale.
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PROPOSTA DI LEGGE
Capo I
DISPOSIZIONI GENERALI
Art. 1.
(Oggetto).

      1. La presente legge integra e modifica il testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, di seguito denominato «testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali» e la normativa vigente relativa alla disciplina amministrativa dei comuni di minore dimensione demografica, delle loro forme e modalità di gestione associata delle funzioni e dei servizi, dei loro processi di fusione volontaria, anche in relazione al più generale processo di riforma del sistema delle autonomie locali.
      2. Ai fini della presente legge si intendono per «piccoli comuni» i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti.

Art. 2.
(Finalità).

      1. La presente legge ha lo scopo di:

          a) promuovere e sostenere la riforma del sistema delle autonomie locali, la piena attuazione dei princìpi costituzionali di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione, nel rispetto del titolo V della parte seconda della Costituzione, con riferimento alla specifica condizione dei comuni di minore dimensione demografica, valorizzandone le peculiarità di presidio territoriale e superando i limiti della frammentazione amministrativa;

          b) garantire l'effettiva applicazione dei princìpi di sussidiarietà e di adeguatezza

attraverso il sostegno ai piccoli comuni, alle loro forme di cooperazione, con particolare riferimento alle unioni da essi costituite, ai processi volontari di fusione, per consentire loro l'adeguato esercizio di tutte le funzioni e servizi amministrativi, nell'interesse e per la salvaguardia dei diritti dei cittadini che vi risiedono;

          c) rafforzare il governo e la gestione amministrativa delle funzioni e dei servizi nelle realtà di minore dimensione demografica al fine di contribuire a promuoverne le attività economiche, sociali, ambientali e culturali e di tutelare e valorizzare il patrimonio naturale, rurale e storico-culturale custodito in tali comuni, favorendo altresì l'adozione di misure in favore dei cittadini residenti e delle attività economiche, con particolare riferimento al sistema di servizi territoriali;

      2. Le regioni, nell'ambito delle competenze e delle funzioni ad esse attribuite definiscono ulteriori interventi per il raggiungimento delle finalità di cui al comma 1.
      3. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono, per il proprio territorio, all'individuazione dei comuni ai sensi dell'articolo 1, comma 2, nonchè, nell'ambito delle competenze ad esse spettanti ai sensi degli statuti speciali e delle relative norme di attuazione, alle finalità della presente legge.

Capo II
ENTI, ORGANI, STATUTI E FUNZIONI ASSOCIATE
Art. 3.
(Organi dei comuni di minore dimensione demografica, garanzia della rappresentanza e partecipazione democratica, gestioni associate).

      1. All'articolo 37, comma 1, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, senza nuovi o maggiori oneri

per la finanza pubblica, le lettere g) e h) sono sostituite dalle seguenti:

          «g) non più di 16 membri nei comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti;

          h) non più di 12 membri negli altri comuni».

      2. Nei comuni con popolazione residente fino a 1.000 abitanti, la giunta è costituita dal sindaco e dal vicesindaco. Il vicesindaco può essere nominato, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, tra i consiglieri comunali. Nei comuni con popolazione compresa tra 1.000 e 10.000 abitanti il numero degli assessori non può essere superiore a 4.
      3. Ai comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti non si applicano le disposizioni dei commi 2 e 3 dell'articolo 51 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.
      4. La lettera b) del comma 31-ter dell'articolo 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, è sostituita dalle seguenti:
      «b) entro il 31 dicembre 2013 con riguardo ad altre due funzioni fondamentali di cui al comma 28;

          b-bis) entro il 1 gennaio 2015 con riguardo alle restanti funzioni fondamentali di cui al comma 28».

Art. 4.
(Unioni di comuni e loro organi).

      1. All'articolo 32 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) il terzo periodo del comma 3 è sostituito dal seguente: «Il consiglio è composto da un numero di consiglieri definito nello statuto, eletti dai singoli

consigli dei comuni associati tra i propri componenti, garantendo la rappresentanza delle minoranze e assicurando la rappresentanza di ogni comune»;

          b) dopo il comma 5-bis è inserito il seguente:
      «5-ter. Il segretario dell'unione dei comuni è nominato dal presidente ed è scelto tra i segretari dei comuni facenti parte dell'unione. Sono fatti salvi gli incarichi per le funzioni di segretario già affidati ai dipendenti delle unioni o dei comuni anche ai sensi del comma 557 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311. Ai segretari delle unioni di comuni si applicano le disposizioni dell'articolo 8 della legge 23 marzo 1981, n. 93, e successive modificazioni».

Art. 5.
(Statuto dell'unione).

      1. Il comma 4 dell'articolo 32 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:
      «4. L'unione ha potestà regolamentare e ad essa si applicano, in quanto compatibili e non derogati con le disposizioni del presente testo unico, i princìpi previsti per l'ordinamento dei comuni, con particolare riguardo allo status degli amministratori, all'ordinamento finanziario e contabile, al personale e all'organizzazione. Lo statuto dell'unione stabilisce le modalità di funzionamento degli organi e ne disciplina i rapporti».

Art. 6.
(Statuto dei comuni nati da fusione).

      1. Il comma 2 dell'articolo 15 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali è sostituito dal seguente:
      «2. I comuni che hanno dato avvio al procedimento di fusione ai sensi delle

rispettive leggi regionali possono, anche prima della istituzione del nuovo ente, mediante approvazione di testo conforme da parte di tutti i consigli comunali, definire lo statuto che entrerà in vigore con l'istituzione del nuovo comune e che resta vigente fino all'approvazione delle modifiche dello stesso da parte degli organi del nuovo comune istituito. Lo statuto del nuovo comune dovrà prevedere che alle comunità dei comuni oggetto della fusione siano assicurate adeguate forme di partecipazione e di decentramento dei servizi».
Capo III
DISPOSIZIONI DI SEMPLIFICAZIONE E INCENTIVANTI
Art. 7.
(Principio di non penalizzazione).

      1. Al comune istituito a seguito di fusione tra comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e alle unioni costituite tra comuni delle medesime dimensioni si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di maggior favore, incentivazione e semplificazione, previste per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e per le unioni di comuni.

Art. 8.
(Status degli amministratori delle unioni di comuni e dei comuni nati da fusioni).

      1. Per i primi due mandati amministrativi, agli amministratori del nuovo comune nato dalla fusione di più comuni cui hanno preso parte comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e agli amministratori delle unioni di comuni comprendenti comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti si applicano le disposizioni in materia di ineleggibilità, incandidabilità e incompatibilità previste dalla legge per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti.

Art. 9.
(Trasferimenti aggiuntivi per unioni e fusioni di comuni).

      1. Per l'anno 2013, a valere sul Fondo di solidarietà comunale istituito ai sensi dell'articolo 1, comma 380, lettera b), della legge 24 dicembre 2012, n. 228, il contributo spettante alle unioni di comuni, ai sensi dell'articolo 53, comma 10, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e successive modificazioni, è incrementato di 20 milioni di euro. L'incremento è riservato alle unioni di comuni che abbiano effettivamente attivato l'esercizio associato delle funzioni fondamentali ai sensi dell'articolo 14, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni.
      2. A decorrere dall'anno 2014, a valere sul Fondo di solidarietà comunale istituito ai sensi dell'articolo 1, comma 380, lettera b), della legge 24 dicembre 2012, n. 228, è disposto un contributo pari a 30 milioni di euro in favore delle unioni di comuni che esercitano effettivamente le funzioni fondamentali per le quali vi è obbligo di legge di gestione in forma associata.
      3. A decorrere dall'anno 2014, a valere sul Fondo di cui al comma 2 è riservata una quota pari a 30 milioni di euro a sostegno dei comuni istituiti a seguito di fusione, da attribuire in base ai criteri di cui all'articolo 20 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135.

Art. 10.
(Limiti di indebitamento).

      1. I comuni istituiti a seguito di fusione possono utilizzare i margini di indebitamento consentiti dalle norme vincolistiche in materia ad uno o più dei comuni originari e nei limiti degli stessi, anche nel caso in cui dalla unificazione dei bilanci non risultino ulteriori possibili spazi di indebitamento per il nuovo ente.

Art. 11.
(Spese di personale e processi associativi).

      1. Dopo il comma 13 dell'articolo 16 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, sono inseriti i seguenti:
      «13-bis. I processi associativi di cui ai commi da 1 a 13 sono realizzati garantendo forme di compensazione fra le spese di personale e le possibilità assunzionali degli enti coinvolti, fermi restando i vincoli complessivi previsti dalle vigenti disposizioni.
      13-ter. In caso di trasferimento di personale dal comune all'unione di comuni, le risorse già quantificate sulla base degli accordi decentrati, e destinate nel precedente anno dal comune a finanziare istituti contrattuali collettivi ulteriori rispetto al trattamento economico fondamentale, confluiscono nelle corrispondenti risorse dell'unione.
      13-quater. L'unione di comuni può incrementare le risorse trasferite ai sensi del comma 13-ter attinenti i servizi di polizia municipale e di protezione civile, per un importo massimo del 20 per cento rispetto a quelle precedentemente destinate dai comuni ai medesimi servizi, quando ciò sia necessario per garantire l'omogeneità dei servizi su tutto il territorio su cui l'unione esercita tali funzioni. La deliberazione dell'unione deve motivare i maggiori servizi istituiti rispetto a quelli già svolti dai singoli comuni».

Art. 12.
(Disposizioni per le unioni di comuni).

      1. Le seguenti attività sono svolte dalle unioni di comuni in forma associata anche per i comuni che le costituiscono, con le seguenti modalità:

          a) le funzioni di responsabile anticorruzione sono svolte da un funzionario nominato dal presidente dell'unione tra i funzionari dell'unione e dei comuni che lo compongono;

          b) le funzioni di responsabile per la trasparenza sono svolte da un funzionario nominato dal presidente dell'unione tra i funzionari dell'unione e dei comuni che lo compongono;

          c) le funzioni dell'organo di revisione per le unioni formate da comuni che complessivamente non superano i 10.000 abitanti, sono svolte da un unico revisore, per le unioni che superano tale limite da un collegio di revisori;

          d) le funzioni di competenza dell'organo di valutazione e di controllo di gestione sono attribuite dal presidente dell'unione, sulla base di apposito regolamento approvato dall'unione.

      2. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le unioni di comuni provvedono all'individuazione degli organi indicati al comma 1. Decorso tale termine in ogni caso i funzionari e gli organi in carica alla medesima data di entrata in vigore presso l'unione dei comuni decadono.
      3. Ove previsto dallo statuto il presidente dell'unione di comuni:

          a) svolge le funzioni del sindaco, di cui all'articolo 15, comma 3, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e successive modificazioni, nel territorio dei comuni che hanno conferito all'unione di comuni la funzione fondamentale della protezione civile;

          b) svolge le funzioni del sindaco di cui all'articolo 2 della legge 7 marzo 1986, n. 65, nel territorio dei comuni che hanno conferito all'unione di comuni la funzione fondamentale della polizia municipale.

Art. 13.
(Patto di stabilità).

      1. All'articolo 31, comma 1, della legge 12 novembre 2011, n. 183, le parole: «a decorrere dall'anno 2013» sono sostituite dalle seguenti: «a decorrere dall'anno 2014».


      2. All'onere derivante dal comma 1, pari a 840 milioni di euro per l'anno 2013, si provvede mediante corrispondente riduzione degli importi riservati ai comuni con popolazione fra 1.000 e 5.000 abitanti, di cui all'articolo 1, comma 123, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, e successive modificazioni, quanto a 470 milioni di euro, e di cui all'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, quanto a 370 milioni di euro.
      3. A decorrere dall'anno 2014, i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica nel rispetto delle disposizioni di cui al comma 4, che costituiscono princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione.
      4. Dall'anno 2014 i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, ai fini del loro concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, devono progressivamente raggiungere l'equilibrio di parte corrente e rispettare un limite all'indebitamento, secondo modalità stabilite con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Sono abrogate tutte le disposizioni vigenti che disciplinano il concorso dei comuni inferiori a 5.000 abitanti al patto di stabilità interno in modo difforme dal presente comma.
      5. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le modalità attuative dei commi da 1 a 4.
      6. Ai nuovi comuni istituiti mediante fusione di preesistenti comuni, per un periodo di cinque anni dalla data di effettiva istituzione del nuovo ente ed indipendentemente dalla popolazione complessiva, non si applicano le disposizioni in materia di patto di stabilità interno.
      7. Ai fini della determinazione degli obiettivi e della verifica del rispetto del patto di stabilità interno le entrate e le uscite del comune capofila della convenzione ai sensi dell'articolo 30 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali per la gestione associata di servizi e funzioni sono considerate al netto dei trasferimenti effettuati dagli altri comuni convenzionati.
Art. 14.
(Rinnovo del programma «6.000 campanili»).

      1. A valere sui fondi per il programma di coesione 2014-2020, con appositi provvedimenti ministeriali, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definiti le modalità e i criteri per garantire la continuità fino al 2020 dei programmi annuali «6.000 campanili».
      2. Per gli anni 2014 e seguenti è data priorità nell'accesso alle risorse di cui all'articolo 18, comma 9, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, ai progetti presentati dai comuni istituiti per fusione e, in subordine, a quelli associati in unioni di comuni.

Capo IV
ALTRE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI FUSIONI DI COMUNI
Art. 15.
(Successione del nuovo comune).

      1. Per la successione nella titolarità di tutti i beni mobili e immobili, il nuovo comune istituito mediante fusione è esentato dal pagamento di qualsiasi onere fiscale dovuto per il trasferimento della proprietà.
      2. Le attività svolte dalle pubbliche amministrazioni per adeguare le procedure amministrative o le proprie informazioni

in seguito alla costituzione di un comune mediante fusione sono svolte senza oneri per il nuovo ente.
Art. 16.
(Armonizzazione delle aliquote e tariffe).

      1. I comuni istituiti mediante fusione, ove istituiscano municipi, possono mantenere tributi e tariffe differenziati per ciascuno dei territori degli enti venuti a fusione, fermo restando l'obiettivo della loro armonizzazione entro l'ultimo esercizio finanziario del primo mandato amministrativo.

Art. 17.
(Disposizioni in materia di fusione di comuni).

      1. Il commissario nominato per la gestione del comune derivante da fusione è coadiuvato, fino all'elezione dei nuovi organi, da un comitato consultivo composto da coloro che, alla data dell'estinzione dei comuni, svolgevano le funzioni di sindaco. Il comitato è comunque consultato sullo schema di bilancio e sull'eventuale adozione di varianti agli strumenti urbanistici. Il commissario convoca periodicamente il comitato, anche su richiesta della maggioranza dei componenti, per informare sulle attività programmate e su quelle in corso. Ai componenti del comitato si applicano le disposizioni degli articoli 79 e 80 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, e successive modificazioni.
      2. Gli obblighi di esercizio associato di funzioni comunali derivanti dal comma 28 dell'articolo 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertivo, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni, si applicano ai comuni derivanti da fusione entro i limiti stabiliti dalla legge regionale, che può fissare una diversa decorrenza o modularne i contenuti. In mancanza di normativa regionale i comuni istituiti mediante fusione che raggiungono una popolazione pari o superiore a 3.000 abitanti, oppure

a 2.000 abitanti se appartenenti o appartenuti a comunità montane, e che devono obbligatoriamente esercitare le funzioni fondamentali dei comuni, secondo quanto previsto dal medesimo comma 28 dell'articolo 14 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, e successive modificazioni, sono esentati da tale obbligo per due mandati elettorali.
      3. I consiglieri comunali cessati per effetto dell'estinzione del comune a seguito di fusione continuano ad esercitare, fino alla nomina dei nuovi rappresentanti da parte del nuovo comune, gli incarichi esterni loro eventualmente attribuiti. Tutti i soggetti nominati dal comune estinto per fusione in enti, aziende, istituzioni o altri organismi continuano ad esercitare il loro mandato fino alla nomina dei successori.
      4. I nuovi comuni possono procedere all'assunzione di personale a tempo indeterminato nel limite delle cessazioni di rapporti di lavoro intervenute negli anni precedenti e non sostituite che vanno riferite complessivamente a tutti i preesistenti comuni
      5. Ai nuovi comuni di cui ai precedenti commi torna ad applicarsi la disciplina ordinaria in materia di assunzioni e spesa per il personale a decorrere dal sesto anno dalla data di effettiva istituzione del nuovo ente, prendendo a riferimento le decorrenze, le risultanze ed altre eventuali basi di calcolo previste per gli enti di nuova istituzione
      6. Le risorse destinate, nell'anno di estinzione del comune, alle politiche di sviluppo delle risorse umane e alla produttività del personale di cui al contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto regioni ed autonomie locali del 1 aprile 1999 dei comuni oggetto di fusione vanno a costituire, per l'intero importo, a decorrere dall'anno di istituzione del nuovo comune, un unico fondo, avente medesima destinazione, del nuovo comune.
      7. Salva diversa disposizione della legge regionale:

          a) tutti gli atti normativi, i piani, i regolamenti, gli strumenti urbanistici e i bilanci dei comuni oggetto della fusione

vigenti alla data di estinzione dei comuni restano in vigore, con riferimento agli ambiti territoriali e alla relativa popolazione dei comuni che li hanno approvati, fino all'entrata in vigore dei corrispondenti atti del commissario o degli organi del nuovo comune;

          b) alla data di istituzione del nuovo comune, gli organi di revisione contabile dei comuni estinti decadono. Fino alla nomina dell'organo di revisione contabile del nuovo comune le funzioni sono svolte provvisoriamente dall'organo di revisione contabile in carica, alla data dell'estinzione, nel comune di maggiore dimensione demografica;

          c) fino all'entrata in vigore dello statuto e del regolamento di funzionamento del consiglio comunale del nuovo comune si applicano, in quanto compatibili, salvo quanto disposto dal comma 2 dell'articolo 15 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, come sostituito dall'articolo 6 della presente legge, le disposizioni dello statuto e del regolamento di funzionamento del consiglio comunale dell'estinto comune di maggiore dimensione demografica;

          d) la sede legale provvisoria del nuovo comune è situata presso la sede dell'estinto comune di maggiore dimensione demografica;

          e) dalla data di istituzione del nuovo comune, in via provvisoria e salvo diversa disposizione del commissario, l'organizzazione degli uffici e dei servizi resta inalterata presso le sedi dei comuni estinti, salva l'individuazione da parte del commissario delle strutture tenute allo svolgimento delle funzioni di organizzazione generale dell'amministrazione, di gestione finanziaria e contabile e di controllo.

      8. Il comune risultante da fusione:

          a) approva il bilancio di previsione, in deroga a quanto previsto dall'articolo 151, comma 1, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, entro novanta giorni dall'istituzione;

          b) ai fini dell'applicazione dell'articolo 163 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, per stanziamenti dell'anno precedente assume come riferimento la sommatoria delle risorse stanziate nei bilanci definitivamente approvati dai comuni estinti;

          c) approva il rendiconto di bilancio dei comuni estinti, se questi non hanno già provveduto, e subentra negli adempimenti relativi alle certificazioni del patto di stabilità e delle dichiarazioni fiscali.

      9. Ai fini di cui all'articolo 37, comma 4, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, la popolazione del nuovo comune corrisponde alla somma della popolazione dei comuni estinti.
      10. Il trasferimento della proprietà dei beni mobili e immobili dai comuni originari al nuovo comune è esente da oneri fiscali.
      11. Dalla data di istituzione del nuovo comune e fino alla scadenza naturale resta valida, nei documenti dei cittadini e delle imprese, l'indicazione della residenza con riguardo ai riferimenti dei comuni estinti.
      12. L'istituzione del nuovo comune non priva i territori dei comuni estinti dei benefìci che a essi si riferiscono stabiliti in loro favore dall'Unione europea e dalle leggi statali.
      13. Al nuovo comune istituito mediante fusione possono essere conservati distinti codici di avviamento postale dei comuni preesistenti.

Art. 18.
(Fusione per incorporazione).

      1. I comuni possono promuovere il procedimento di incorporazione in un comune contiguo. In tal caso, fermo restando il procedimento previsto dal comma 1 dell'articolo 15 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali il comune incorporante conserva la propria personalità, succede in tutti i rapporti giuridici al comune incorporato e solo gli organi di quest'ultimo decadono alla data

di entrata in vigore della legge regionale di incorporazione.
      2. Lo statuto del comune incorporante prevede che alle comunità del comune cessato siano assicurate adeguate forme di partecipazione e di decentramento dei servizi. A tale scopo lo statuto viene integrato entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge regionale di incorporazione.
      3. Le popolazioni interessate sono sentite ai fini dell'articolo 133 della Costituzione mediante referendum consultivo comunale, svolto secondo le discipline regionali e prima che i consigli comunali deliberino l'avvio della procedura di richiesta alla regione di incorporazione. Nel caso di aggregazioni di comuni mediante incorporazione è data facoltà di modificare anche la denominazione del comune.
      4. Con legge regionale sono definite le ulteriori modalità della procedura di fusione per incorporazione.
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