Organo inesistente

XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 1364


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
TURCO, AGOSTINELLI, BUSINAROLO, MICILLO, BONAFEDE, SARTI, FERRARESI, COLLETTI, CURRÒ
Abrogazione del comma 3 dell'articolo 597 del codice di procedura penale, in materia di divieto di reformatio in peius nel processo d'appello in caso di proposizione dell'impugnazione da parte del solo imputato
Presentata il 16 luglio 2013


      

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Onorevoli Colleghi! Sottopongo al Vostro esame la presente proposta di legge riguardo a un tema che è stato oggetto di ampio confronto nell'ambito del diritto penale italiano.
      Il divieto di reformatio in peius di cui all'articolo 597, comma 3, previsto dal codice di procedura penale in caso di appello del solo imputato nel processo penale, è stato oggetto di un lungo dibattito in dottrina e in giurisprudenza.
      Ricordiamo, infatti, che ancora nella fase preparatoria del codice di procedura penale del 1930 (cosiddetto «codice Rocco»), si rinvengono diffuse e accese prese di posizione in merito.
      Lo scopo dichiarato inizialmente dal Ministro Guardasigilli dell'epoca era, infatti, quello di strutturare l'appello come un mezzo sempre dotato di effetto totalmente devolutivo, anche qualora il giudizio di secondo grado fosse celebrato a seguito di un'impugnazione del solo imputato. Tale da poter e da dover obbligare il giudice al riesame del caso, in toto, prevedendo quindi anche l'eventualità di un aggravamento della pena già irrogata dal giudice di prime cure.
      Si mirava, dunque, all'eliminazione del divieto di reformatio in peius nei casi di appello del solo imputato, con il dichiarato scopo di scoraggiare l'impugnazione, mediante il rischio di un aggravamento del carico sanzionatorio.
      Nondimeno, alcune vicende molto complesse e significative riguardanti il clima politico di quel periodo storico, che vide la nascita di questa proposta del Governo, indussero lo stesso Ministro Guardasigilli a mutare le sue determinazioni.
      Tuttavia, la tematica dell'eliminazione della reformatio in peius è quanto mai attuale nella situazione di stallo che viene vissuta ormai da qualche anno dalle corti d'appello, costrette a trattare dapprima gli appelli che sono stati proposti in procedimenti che vedono la presenza di imputati già detenuti e solo successivamente quelli relativi a procedimenti con imputati a piede libero, molti dei quali si risolveranno con una sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione, prima di un effettivo vaglio di merito nel secondo grado di giudizio. In molti casi, infatti, l'appello si risolve in una mera constatazione dell'ormai compiuto decorso del termine prescrizionale.
      È in quest'ottica che si ritiene sia, oggi, quanto mai necessario porre un freno all'eccessiva proliferazione delle impugnazioni da parte del solo imputato che provoca un ingiustificato carico di lavoro per le corti d'appello.
      L'eliminazione del divieto di reformatio in peius, quindi, avrebbe l'indubbio vantaggio di scoraggiare i numerosissimi appelli presentati unicamente a fini dilatori nella speranza di raggiungere la prescrizione del reato e, in ogni caso, di ritardare l'esecuzione della pena.
      Tale riforma, se attuata, potrebbe scoraggiare seriamente molti degli imputati appellanti, già condannati in primo grado, che propongono, pressoché automaticamente, un appello sostanzialmente privo di pregiati rilievi giuridici, stante l'impossibilità per il giudice dell'appello di poter aggravare la loro pena per specie o quantità.
      Se dunque, anche all'insegna della «durata ragionevole dei processi», si vorrà puntare ad un'accelerazione nel vaglio degli appelli e al contenimento dell'abuso nella proposizione degli appelli stessi, non si potrà certo trascurare la tematica e l'opzione della riformabilità della pena stabilita in primo grado in peius.
      A questo proposito va rilevato che il divieto della reformatio in peius, contrariamente a quanto asserito in giurisprudenza, non è estrinsecazione di un principio generale normativo, poiché tale divieto può essere spiegato solamente in base al favor rei, il quale, però, non è un principio generale normativo bensì un principio generale informatore dell'ordinamento.
      È evidente che quando si parla di applicazione di una norma in via analogica in quanto estrinsecazione di un principio generale ci si riferisce ai cosiddetti «princìpi normativi», cioè a princìpi che, trovando applicazione con riferimento a situazioni concrete non previste da norme particolari, valgono a integrare le singole disposizioni esercitando, quindi, una funzione normativa.
      I princìpi informatori, quale il favor rei, invece, consistenti in enunciazione di valori costituenti criteri direttivi di un determinato settore dell'ordinamento giuridico o, addirittura, dell'intero ordinamento, non sono idonei a disciplinare situazioni concrete e, quindi, non possono esercitare una funzione normativa integrativa.
      «A ben vedere, il divieto della reformatio in peius comporta eccezioni ai princìpi normativi fondamentali del nostro ordinamento giuridico, eccezioni giustificate proprio dal favor rei. Infatti, il principio di legalità stabilito dall'articolo 1 del codice penale è derogato dal divieto di reformatio in peius, il quale rende possibile l'applicazione di pene non previste dalla legge penale per il reato ritenuto dalla sentenza appellata, purché più favorevoli all'imputato: qualora, infatti, su solo appello di quest'ultimo, il giudice di 2 grado attribuisca al fatto una qualificazione giuridica diversa da quella riconosciuta dal giudice di 1 grado e tale da importare una pena per specie o quantità più grave, dovrà mantenersi ferma la pena inflitta dal 1 giudice» (Delitala).
      Ampia e condivisa parte della dottrina, anche negli anni passati, si è inoltre dichiarata favorevole all'eliminazione della reformatio in peius tra questi ricordiamo: Santoro «Note sulla riforma del Codice di procedura penale» Sc. Posit. 1972, pagina 162; Ondei «La scuola positiva e la procedura penale», ibidem, pagina 498; Cianci «Problemi di funzionamento della cassazione penale», in Foro italiano 1988 V, c. 451; Fortuna «Relazione sull'amministrazione della giustizia nel distretto della Corte d'Appello di Venezia», (18 gennaio 2003) pagina 36; Gigliotti «Abolire il divieto della “reformatio in peius” nel processo penale», in Studio legale n. 7/1987, pagina 2, per ricordarne alcuni.
      Anche da parte della magistratura si rinviene un'esortazione in tal senso nella relazione del Procuratore generale F. Favara sull'amministrazione della giustizia nell'anno 2001: «Per ovviare – seppure solo in parte – a tale inconveniente i tempi eccessivamente dilatati del processo potrebbe essere ripresa la proposta formulata da molti studiosi, di riconsiderare il divieto di reformatio in peius, che il codice di procedura penale del 1998 ha addirittura rafforzato, come è esplicitamente riconosciuto nella stessa relazione al progetto preliminare».
      Con l'auspicio che in questa legislatura si possa finalmente giungere all'eliminazione definitiva del divieto della reformatio in peius si presenta questa proposta di legge.
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.

      1. Il comma 3 dell'articolo 597 del codice di procedura penale è abrogato.

Art. 2.

      1. Il comma 3 dell'articolo 597 del codice di procedura penale continua ad applicarsi, in via transitoria, a tutti i provvedimenti per i quali può essere proposto appello e in relazione ai quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, hanno già iniziato a decorrere i termini per proporre l'appello principale o l'appello incidentale. Il medesimo comma continua ad applicarsi, altresì, a tutti i provvedimenti giurisdizionali in relazione ai quali, alla medesima data di entrata in vigore, è già stato depositato un atto di appello.

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