Frontespizio Relazione Progetto di Legge
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 1934


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
IORI, MORANI, FARAONE, PICIERNO, LORENZO GUERINI, VERINI, MORETTI, ERMINI, MAGORNO, MARZANO, GIULIANI, SCALFAROTTO, FABBRI, MARCHI, LENZI, ZAMPA, PETITTI, TIDEI, GUERRA, PREZIOSI, PATRIARCA, SCUVERA, MARTELLI, ROTTA, RUBINATO, CARLO GALLI, GADDA, AMATO, FOSSATI, ALBANELLA, ARLOTTI, BARUFFI, BAZOLI, BELLANOVA, BENI, BERLINGHIERI, BIONDELLI, BRAGA, BRUNO BOSSIO, CAPONE, CAPOZZOLO, CARDINALE, CARNEVALI, CARRA, CASATI, CHAOUKI, COVELLO, CRIVELLARI, DE MICHELI, D'INCECCO, FONTANELLI, GANDOLFI, GASPARINI, GIGLI, GOZI, LODOLINI, MAESTRI, MALPEZZI, MANZI, MARANTELLI, MARRONI, MIOTTO, RAMPI, ROCCHI, VALERIA VALENTE
Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e al testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, per favorire i rapporti tra detenute madri e figli minori e l'esercizio della responsabilità genitoriale dei detenuti, nonché in materia di istituzione delle case-famiglia protette
Presentata il 9 gennaio 2014


      

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Onorevoli Colleghi! Poter vivere la paternità e la maternità è un diritto, così come è un diritto per i bambini conservare i legami genitoriali essenziali per la loro crescita e per il loro sviluppo. Ma la presenza di bambini in carcere non è degna di un Paese civile e coltivare un rapporto affettivo con i figli durante la carcerazione, esercitando la genitorialità in condizione di reclusione, esige alcune condizioni materiali che consentano innanzitutto di mantenere una frequentazione reciproca e non disperdano i legami familiari.
      Il rapporto dell'associazione Antigone, presentato il 20 dicembre 2013, specifica che in Italia vi sono 16 asili nido penitenziari in cui sono recluse 51 madri con 52 bambini. È di tutta evidenza pedagogica e psicologica che le necessarie esigenze di sicurezza che presiedono le strutture carcerarie e ne regolano l'organizzazione non possono in alcun modo corrispondere allo sviluppo sereno dei bambini né alle adeguate cure materne. Ma lo stesso rapporto segnala che i bambini con genitori reclusi sono molti: 57.000 figli con 25.119 padri o madri in carcere.
      Sono proprio questi dati a dare origine alla presente proposta di legge, che non prende in considerazione soltanto le situazioni (esecrabili sotto il profilo giudiziario, sociale e psico-pedagogico) delle madri con figli piccoli, talvolta partoriti in detenzione e costretti a trascorrere in carcere i loro primi anni di vita, ma anche l'elevato numero di madri e padri che sono nell'impossibilità di coltivare una continuità nel rapporto genitoriale. Il carcere aggiunge alla solitudine del detenuto la distruzione dei suoi legami familiari e la privazione dei rapporti che i genitori desiderano mantenere, abbracciando i figli e ascoltando la loro voce e anche i figli soffrono per la perdita dei legami con i genitori.
      La tutela della maternità e dell'infanzia sancita, peraltro, dall'articolo 31 della Costituzione, impone di sottrarre i bambini all'esperienza di crescere in una struttura carceraria. La legge n. 40 del 2001 introduceva misure alternative alla detenzione finalizzate a tutelare la cura del rapporto tra detenute e figli minori, misure che permangono ampiamente disattese. La genitorialità per i padri e le madri detenuti è normata da indicazioni su come devono essere preservate e protette le relazioni con i figli e con i familiari. La legge n. 354 del 1975, all'articolo 28, afferma che «Particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie» e, all'articolo 45, ribadisce che «Il trattamento dei detenuti e degli internati è integrato da un'azione di assistenza alle loro famiglie.
      Tale azione è rivolta anche a conservare e migliorare le relazioni dei soggetti con i familiari e a rimuovere le difficoltà che possono ostacolarne il reinserimento sociale».
      Questa normativa appare oggi disattesa e quasi utopica, a fronte del personale sottodimensionato e dell'impossibilità di soddisfare le richieste di contatti con le famiglie. Per le detenute e i detenuti stranieri ciò è ancora più difficile e possono trascorrere mesi o anni prima che essi riescano ad attivare contatti con le loro famiglie.
      Pur nella consapevolezza di queste molteplici difficoltà, è tuttavia necessario proporre nuove misure che possono meglio rispondere alle esigenze di rapporti con i familiari e al diritto alla genitorialità, sia da parte dei bambini sia da parte delle madri e dei padri che, ancorché colpevoli di reati, restano comunque genitori. Alla genitorialità in carcere è negato il riconoscimento di quelli che Erving Goffman definisce «diritti sottili», ossia quelli a rischio di invisibilità, come appunto i legami affettivi che coinvolgono i familiari e soprattutto i figli.
      L'associazione Eurochips (European Committee for Children of Imprisoned Parents) indica che il 30 per cento dei bambini figli di detenuti sviluppa comportamenti devianti per mancanza di interventi e risposte corretti. Eurochips afferma, inoltre, che la possibilità per i genitori detenuti di vedere con regolarità i figli e di mantenere rapporti significativi con loro riduce del 40 per cento il rischio di provvedimenti disciplinari in carcere.
      Come può mantenersi e consolidarsi la genitorialità se è difficile l'effettuazione del colloquio e se esso avviene in condizioni inidonee alla confidenza e alle manifestazioni di affetto? È questo un aspetto particolarmente urgente e drammatico. Il momento del colloquio è certo particolarmente significativo sul piano degli affetti e delle relazioni. A volte atteso per settimane o mesi, avviene poi in ambienti che sono ben lontani da quei «locali interni senza mezzi divisori» o «spazi all'aperto a ciò destinati», stabiliti dall'articolo 37 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000. È noto, infatti, che i colloqui avvengono generalmente in locali inidonei, in ambienti sovraffollati, caotici e promiscui, nella confusione di dialoghi spesso urlati, di pianti, nonché in presenza di altri detenuti e familiari, in situazioni in cui anche un abbraccio tra padri o madri e figli diventa difficile o imbarazzante per tutti.
      Inoltre l'allontanamento improvviso dei figli dai genitori è traumatico per entrambi, così come la chiusura forzata dei figli piccoli che, incolpevoli, crescono nei luoghi di punizione.
      La presente proposta di legge consta di dieci articoli volti a modificare disposizioni del codice penale, del codice di procedura penale, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. Essa interviene pertanto, da un lato, sulla situazione delle madri detenute con bambini e dall'altro, sulla situazione delle migliaia di genitori e di figli a cui è negato il diritto all'espressione della genitorialità.
      Nello specifico, l'articolo 1 modifica l'articolo 147 del codice penale, estendendo l'operatività della sospensione facoltativa dell'esecuzione della pena anche alle condannate madri di prole di età non superiore a dieci anni, a prescindere dalla discrezionale valutazione sul pericolo di commissione di ulteriore delitti da parte del beneficiario.
      L'articolo 2 apporta modifiche all'articolo 275 del codice di procedura penale prevedendo per le madri di prole di età inferiore a dieci anni, in caso di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, la custodia cautelare in case-famiglia protette, con la possibilità per il giudice di estendere l'applicazione anche oltre i dieci anni di età del minore al fine di tutelarne lo sviluppo psico-fisico.
      Gli articoli 3 e 4 perseguono la finalità di garantire la tutela della genitorialità e dell'affettività delle madri e dei padri detenuti, nonché di mantenere o di ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con i figli.
      È opportuno osservare che, se da un lato, i rapporti del minore con la madre detenuta vengono garantiti dalla convivenza con i figli in apposite strutture, dall'altro le relazioni con il padre detenuto si mantengono principalmente attraverso i colloqui. La responsabilità genitoriale, che non deve interrompersi durante la detenzione, viene dunque incentivata tramite gli incontri con i figli e mediante spazi psico-pedagogici idonei realizzati all'interno degli istituti, quali aree di attesa per i colloqui (come ad esempio, lo «spazio giallo» così denominato dall'associazione Bambinisenzasbarre ONLUS, già realtà nell'esperienza pilota nei penitenziari di San Vittore e di Bollate).
      Mentre l'articolo 3 fissa i princìpi generali posti a tutela della genitorialità in carcere, l'articolo 4 disciplina i colloqui dei genitori detenuti con i figli minori, nonché le modalità di funzionamento dei citati spazi aventi finalità socio-educativa. Figura chiave di tale istituto è l'operatore psico-pedagogico, che svolge il compito di presa in carico della famiglia nonché di preparazione della stessa e del minore al colloquio con il detenuto.
      Data la fondamentale importanza degli incontri fra genitori detenuti e figli, i colloqui (anche telefonici) con i minori dovranno essere concessi anche fuori dai limiti temporali stabiliti dal comma 8 dell'articolo 37 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230.
      L'articolo 5 interviene modificando l'articolo 30 della legge n. 354 del 1975 e introducendo il nuovo articolo 30-quater al fine di consentire alla madre del minore di dieci anni in pericolo di vita, inviato al pronto soccorso o ricoverato in ospedale, di prestare assistenza allo stesso, accompagnandolo e permanendo presso la struttura sanitaria per l'intera durata del ricovero, essendo con tutta evidenza inimmaginabile che il bambino possa affrontare tali situazioni senza l'assistenza della propria madre.
      L'articolo 6 modifica gli articoli 47-ter e 47-quinquies della legge n. 354 del 1975 eliminando i presupposti dell'insussistenza di un reale pericolo di commissione di nuovi reati e la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, requisiti rimasti invariati dalla prima formulazione dell'articolo 47-quinquies a opera dell'articolo 3 della legge 8 marzo 2001, n. 40, necessari per la concessione del beneficio della detenzione domiciliare speciale. Il medesimo articolo prevede, poi, la possibilità per la madre detenuta, in assenza dei requisiti per beneficiare della detenzione domiciliare speciale, di espiare un terzo della pena o almeno quindici anni nel caso previsto dal comma 1 dell'articolo 47-quinquies presso case-famiglia protette.
      Gli articoli 7 e 8 rappresentano un punto centrale della presente proposta di legge, avendo ad oggetto i principali criteri di funzionamento delle case-famiglia protette, punto di equilibrio fra le esigenze di prevenzione e sicurezza sociale e di tutela dell'infanzia.
      Ben nota è l'attuale mancata realizzazione (ad esclusione delle strutture di Milano e di Venezia) degli istituti a custodia attenuata per madri detenute (ICAM) previsti dal decreto attuativo della legge n. 62 del 2011, carenza che comporta ad oggi la crescita e la permanenza dei bambini all'interno del carcere, con la madre detenuta, fino all'età di sei anni. Appare evidente come tale situazione incida profondamente sul corretto sviluppo psico-fisico del minore, costringendolo, seppur innocente, alle rigide regole della vita carceraria, alla permanenza in ambienti non idonei e sovraffollati, nonché al costante contatto con soggetti adulti estranei al nucleo familiare o con operatori carenti di formazione pedagogica.
      È prevista la possibilità per il giudice di estendere la permanenza in case-famiglia protette anche alla madre con prole di età superiore a dieci anni per assicurare un più equilibrato sviluppo del minore qualora quest'ultimo necessiti di ulteriori cure materne. Sono inoltre indicate le condizioni di deroga e di revoca del beneficio.
      L'articolo 8 precisa poi i principali criteri di funzionamento delle case-famiglia protette. In primo luogo si evidenzia la necessità, all'interno di tali strutture, di personale con competenze pedagogiche per garantire la priorità degli aspetti educativi. In secondo luogo si individua la necessità di un ambiente interno (arredi, abbigliamento, spazi) idoneo alle esigenze del minore e al rapporto genitoriale, nonché ad assicurare adeguati rapporti con strutture educative esterne e la frequentazione di coetanei, stipulando anche apposite convenzioni con gli enti locali, i comuni, le cooperative sociali e le associazioni di settore.
      Il nuovo articolo 67-quater della stessa legge n. 354 del 1975 prevede, inoltre, che il Ministro della giustizia, con proprio decreto, individui strutture idonee a espletare le funzioni di casa-famiglia protetta.
      Infine, per garantire il diritto all'unità familiare e alla convivenza comune fra genitori e figli minori, riconosciuto dalla Costituzione come diritto della persona e dunque di ogni soggetto, sia esso cittadino, straniero o apolide, nonché tutelato da una molteplicità di atti internazionali, la presente proposta di legge prevede all'articolo 9 che, qualora debba essere disposta o eseguita l'espulsione nel corso o al termine dell'espiazione di una pena detentiva, il giudice competente possa disporre la revoca del decreto quando accerti che la permanenza corrisponda all'interesse del minore inserito nel contesto italiano, al fine di non pregiudicarne lo sviluppo psico-fisico.
      Sempre a beneficio delle madri straniere detenute in Italia, l'articolo 10 prevede la concessione di un apposito permesso di soggiorno per i figli che si trovano nel Paese di origine al fine di garantire l'unità familiare, la genitorialità e l'affettività.
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena).

      1. All'articolo 147 del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al primo comma, il numero 3) è sostituito dal seguente:
      «3) se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita nei confronti di madre di prole di età non superiore a dieci anni»;

          b) al quarto comma, dopo le parole: «provvedimento di cui al primo comma» sono inserite le seguenti: «, ad esclusione del caso previsto dal numero 3) del medesimo comma,».

Art. 2.
(Misure cautelari).

      1. Il comma 4 dell'articolo 275 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:
      «4. Non può essere disposta la custodia cautelare in carcere quando imputati siano una donna incinta o una madre di prole di età non superiore a dieci anni con lei convivente, ovvero il padre, qualora la madre sia deceduta o impossibilitata a dar assistenza alla prole, ovvero il minore venga a trovarsi in situazione di abbandono, incuria o pericolo a seguito dell'applicazione della misura. Tuttavia, nell'ipotesi in cui sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, può essere disposta la custodia cautelare presso case-famiglia protette. Il giudice può inoltre, ove ragionevoli motivi attinenti alla tutela dello sviluppo psico-fisico del minore lo rendano raccomandabile, estendere l'applicazione del presente comma anche alla madre

di prole di età superiore a dieci anni. Non può essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quando l'imputato sia persona che ha superato l'età di settanta anni».

      2. All'articolo 285, comma 1, del codice di procedura penale, dopo le parole: «istituto di custodia» sono inserite le seguenti: «o, in caso di madre con prole di età inferiore a dieci anni con lei convivente ovvero di padre, qualora la madre sia deceduta o impossibilitata a dar assistenza alla prole, ovvero il minore venga a trovarsi in situazione di abbandono, incuria o pericolo a seguito dell'applicazione della misura, presso una casa-famiglia protetta».
      3. L'articolo 285-bis del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:
      «Art. 285-bis. – (Custodia cautelare in casa-famiglia protetta). – 1. Se la persona da sottoporre a custodia cautelare è una madre con prole di età non superiore a dieci anni con lei convivente, ovvero un padre, qualora la madre sia deceduta o impossibilitata a dar assistenza alla prole, ovvero il minore venga a trovarsi in situazione di abbandono, incuria o pericolo a seguito dell'applicazione della misura, il giudice, in luogo della custodia cautelare presso gli istituti penitenziari, dispone la custodia presso le case-famiglia protette. Il giudice può, ove ragionevoli motivi attinenti alla tutela dello sviluppo psico-fisico del minore lo rendano raccomandabile, estendere l'applicazione del presente articolo anche alla madre di prole di età superiore a dieci anni».

Art. 3.
(Rapporti con la famiglia e tutela della genitorialità).

      1. L'articolo 28 della legge 26 luglio 1975, n. 354, è sostituito dal seguente:
      «Art. 28. – (Rapporti con la famiglia). – 1. Particolare cura è dedicata alla tutela

della genitorialità e dell'affettività, nonché a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni affettive ed educative dei detenuti e degli internati con le famiglie e in special modo con i figli minori.
      2. Gli operatori psico-pedagogici prestano all'interno degli istituti assistenza alle famiglie al fine di affrontare la crisi dell'allontanamento del soggetto detenuto dal nucleo familiare e di rendere possibile il mantenimento di un valido rapporto con i figli.
      3. La responsabilità genitoriale delle madri e dei padri detenuti, che non deve interrompersi durante la detenzione, è incentivata favorendo i colloqui con i figli, anche mediante spazi idonei all'incontro».
Art. 4.
(Colloqui con il minore).

      1. All'articolo 18 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) dopo il terzo comma sono inseriti i seguenti:
      «Al fine di tutelare la genitorialità e i rapporti con la famiglia, sono sempre garantiti i colloqui delle madri e dei padri detenuti o internati con i figli minori, salvo che in caso di maltrattamenti o abusi ovvero per comprovate ragioni a tutela dei minori stessi.
      Per ridurre l'impatto del carcere sui minori figli di genitori detenuti o internati sono realizzati, all'interno degli istituti, appositi spazi con finalità socio-educative, al fine di facilitare l'attesa dell'incontro attraverso attività ludiche per i minori, nonché preparandoli al colloquio. In tali spazi è garantita la presenza quotidiana di almeno un educatore che:

          a) accompagna e prende in carico la famiglia preparandola al colloquio con il detenuto o l'internato;

          b) prepara l'ambiente di gioco prestando attenzione all'età e alle esigenze dei minori;

          c) organizza e coordina le attività ludiche;

          d) osserva le dinamiche comportamentali dei minori nonché le dinamiche tra minori e adulti e interviene nelle eventuali situazioni di disagio;

          e) agevola il dialogo, le relazioni e il confronto fra i genitori accompagnatori;

          f) fornisce risposte educative ai genitori e offre consulenze personalizzate;

          g) attiva un lavoro individuale con il genitore detenuto in una prospettiva di responsabilità genitoriale e di reinserimento sociale.

      I colloqui dei figli con madri e padri detenuti sono svolti in locali tali da rispettare la sensibilità dei minori e senza mezzi divisori o all'aperto, garantendo al minore la possibilità di trascorrere tempo ludico con il proprio genitore. Tali colloqui con i minori, anche accompagnati da un altro familiare, avvengono in orari o in luoghi diversi da quelli utilizzati per gli incontri di soggetti maggiorenni con detenuti o internati, preferibilmente nel pomeriggio e nei giorni festivi per non compromettere l'attività scolastica dei minori.
      I colloqui dei minori con genitori detenuti devono essere concessi anche fuori dai limiti temporali stabiliti dal comma 8 dell'articolo 37 del regolamento dei cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230. La durata dei colloqui, regolata sulla base delle esigenze pedagogiche del minore, non può comunque essere inferiore a un'ora, salvo che per volontà dei colloquianti o per la tutela del minore stesso, e può essere estesa anche a parte della giornata e alla consumazione di un pasto»;

          b) dopo il quinto comma è inserito il seguente:
      «Salvo che per ragioni attinenti la tutela e l'interesse del minore, oltre ai colloqui telefonici previsti dal comma 2 dell'articolo 39 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, sono garantiti fra i

minori e i genitori detenuti colloqui telefonici in numero non inferiore a quattro al mese, cumulabili con i colloqui verso altri soggetti e aventi durata massima di quindici minuti».
Art. 5.
(Ricovero del minore).

      1. Dopo il secondo comma dell'articolo 30 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, è inserito il seguente:
      «Qualora il familiare di cui al primo comma abbia un'età inferiore a dieci anni e sia figlio, anche non convivente, della detenuta o dell'internata, il giudice autorizza quest'ultima, con provvedimento adottato d'urgenza, a recarsi presso la struttura sanitaria e a permanervi per l'intera durata del ricovero».

      2. Dopo l'articolo 30-quater della legge 26 luglio 1975, n. 354, è inserito il seguente:
      «Art. 30-quinquies. – (Ricovero del minore presso strutture sanitarie). – 1. In caso di invio al pronto soccorso o di ricovero in una struttura sanitaria di un minore affidato alla madre detenuta, quest'ultima è autorizzata, con provvedimento adottato d'urgenza, ad accompagnare il figlio nonché a soggiornare presso la struttura sanitaria per tutto il periodo del ricovero.
      2. In caso di necessità e urgenza, il provvedimento di cui al comma 1 può essere disposto dall'autorità locale di pubblica sicurezza competente per il controllo della detenzione ovvero dalla direzione della casa-famiglia protetta, che ne informa la prefettura-ufficio territoriale del Governo e il tribunale di sorveglianza e dispone le opportune verifiche; successivamente il provvedimento è sottoposto alla convalida del magistrato competente».

Art. 6.
(Detenzione domiciliare).

      1. All'articolo 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) la lettera b) è sostituita dalla seguente:

          «b) padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni dieci con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti impossibilitata a dar assistenza alla prole, ovvero il minore venga a trovarsi in situazione di abbandono, incuria o pericolo a seguito dell'esecuzione della pena»;

          b) al comma 1-bis, le parole: «e sempre che tale misura sia idonea ad evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati» sono soppresse;

          c) dopo il comma 1-quater è inserito il seguente:
      «1-quinquies. L'autorità giudiziaria competente può, ove ragionevoli motivi attinenti alla tutela dello sviluppo psico-fisico del minore lo rendano raccomandabile, estendere l'applicazione del comma 1, lettere a) e b), anche alla madre o al padre di prole di età superiore a dieci anni».

      2. All'articolo 47-quinquies della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al comma 1, le parole: «, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli,» sono soppresse;

          b) il comma 1-bis è sostituito dai seguenti:
      «1-bis. L'espiazione di almeno un terzo della pena o di almeno quindici anni, prevista dal comma 1, può avvenire presso le case-famiglia protette, ovvero, se non

sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti o di fuga, nell'abitazione della condannata, o in un altro luogo di privata dimora, ovvero in un luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e all'assistenza dei figli. In caso di impossibilità di espiare la pena nella propria abitazione o in un altro luogo di privata dimora, la stessa può essere espiata nelle case-famiglia protette, ove istituite.
      1-ter. L'autorità giudiziaria competente può, ove ragionevoli motivi attinenti alla tutela dello sviluppo psico-fisico del minore lo rendano raccomandabile, estendere l'applicazione del comma 1 anche alla madre di prole di età superiore a dieci anni».
Art. 7.
(Detenzione in case-famiglia protette).

      1. Dopo l'articolo 47-sexies della legge 26 luglio 1975, n. 354, sono inseriti i seguenti:
      «Art. 47-septies. – (Detenzione in case-famiglia protette). – 1. Le madri di prole di età non superiore a dieci anni devono espiare la propria pena, qualora non possa essere disposta una detenzione con regime più favorevole, nelle case-famiglia protette.
      2. La detenzione in case-famiglia protette può essere concessa, alle stesse condizioni previste per la madre, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata a dar assistenza alla prole, ovvero il minore venga a trovarsi in situazione di abbandono, incuria o pericolo a seguito dell'esecuzione della pena.
      3. La detenzione in case-famiglia protette è revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni impartite, appare incompatibile con la prosecuzione delle misure.
      4. La detenzione nelle forme di cui al presente articolo comporta, per il tempo in cui è applicata, la sospensione della pena accessoria della decadenza dalla potestà dei genitori e dalla pena accessoria

della sospensione dell'esercizio della potestà dei genitori.
      5. Il giudice può, ove ragionevoli motivi attinenti alla tutela dello sviluppo psico-fisico del minore lo rendano raccomandabile, estendere l'applicazione del presente articolo anche alle madri di prole con età superiore a dieci anni.

      Art. 47-octies. – (Limiti di applicabilità). – 1. Nel caso in cui la pena accessoria della decadenza della potestà di genitore derivi da una delle condotte illecite previste dall'articolo 330 del codice civile, la detenzione in case-famiglia protette di cui all'articolo 47-septies della presente legge non si applica e, se concessa, è immediatamente revocata».

Art. 8.
(Case-famiglia protette).

      1. Al capo I del titolo II della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, sono aggiunti, in fine, i seguenti articoli:
      «Art. 67-ter. – (Case-famiglia protette). – 1. Le case-famiglia protette devono essere realizzate fuori dagli istituti penitenziari e organizzate con caratteristiche che tengano conto in modo adeguato delle esigenze psico-fisiche dei minori, ispirandosi ai seguenti criteri:

          a) priorità della prospettiva educativa e rieducativa;

          b) prevalenza di personale in possesso di competenze pedagogiche ed educative per l'infanzia con specifico riferimento alle realtà detentive, preferibilmente con esperienza di tirocinio presso tali strutture;

          c) previsione di un ambiente interno adatto alle esigenze del minore e al rapporto tra genitore e figlio, con aree ricreative dedicate al gioco, anche all'aria aperta;

          d) adozione di arredi adeguati alle esigenze educative e ricreative del minore;

          e) previsione di strumenti di controllo compatibili con la prevalente esigenza di tutela del minore e, per quanto possibile, non visibili o percepibili dallo stesso;

          f) adozione di vestiario adeguato alla sensibilità dei minori da parte del personale operante nelle strutture, con esclusione dell'utilizzo di divise e di uniformi;

          g) previsione di mezzi di trasporto e di personale idoneo ad accompagnare il minore presso asili nido, scuole dell'infanzia o scuole primarie;

          h) prioritaria cura educativa nel favorire la frequentazione con altri minori nelle strutture educative esterne.

      2. Il personale operante nelle case-famiglia protette è composto per il 50 per cento da personale penitenziario con funzioni di vigilanza e custodia e, per il rimanente 50 per cento, da personale a cui è affidata la cura educativa. Il personale penitenziario operante in tali strutture non indossa divise o uniformi.
      3. Il personale educativo deve possedere una formazione di educatore esperto in pedagogia o in psicologia dell'infanzia e dell'adolescenza.
      4. La sicurezza nelle case-famiglia protette è garantita dalle prefetture-uffici territoriali del Governo, in coordinamento con la magistratura di sorveglianza e con il direttore dell'istituto penitenziario, e si avvale degli strumenti che siano ritenuti più idonei in considerazione della presenza di soggetti minori, incluse apparecchiature di videosorveglianza e di telesorveglianza.
      5. Il Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri del lavoro e delle politiche sociali, dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dell'interno può stipulare con gli enti locali, con i comuni, con le cooperative sociali e con le associazioni del settore apposite convenzioni al fine di favorire l'accesso dei figli delle madri detenute agli asili nido e alle scuole dell'infanzia comunali.

      Art. 67-quater. – (Case-famiglia protette in convenzione). – 1. Il Ministro della

giustizia, con proprio decreto, di concerto con i Ministri del lavoro e delle politiche sociali, dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dell'interno, individua strutture, tra quelle gestite da enti locali, associazioni, fondazioni o cooperative sociali, idonee a espletare le funzioni di casa-famiglia protetta e provvede a stipulare con tali strutture apposite convenzioni».

      2. Il decreto di cui al comma 1 dell'articolo 67-quater della legge 26 luglio 1975, n. 354, introdotto dal comma 1 del presente articolo, è adottato entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

Art. 9.
(Detenute straniere).

      1. Al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) dopo l'articolo 16 è inserito il seguente:
      «Art. 16-bis. – (Revoca dell'espulsione in casi particolari). – 1. Nell'ipotesi in cui l'espulsione sia disposta o debba essere eseguita nel corso o al termine dell'espiazione di una pena detentiva, anche a titolo di misura alternativa o sostitutiva della pena detentiva, nei confronti di madre con figli minori di anni dieci o del padre, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre, il giudice competente, su ricorso di parte o in sede di convalida, fuori dai termini previsti per l'impugnazione, può disporre la revoca del decreto qualora accerti che la permanenza corrisponda all'interesse del minore, che lo stesso sia inserito nel tessuto sociale nel territorio italiano e, in ogni caso, che l'espulsione pregiudicherebbe lo sviluppo psico-fisico del minore. L'esecuzione del provvedimento

di espulsione è sospesa fino alla decisione del giudice adito ai sensi del periodo precedente»;

          b) All'articolo 19, comma 2, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:
      «d-bis) delle straniere in espiazione di pena detentiva o in esecuzione di misura alternativa, che siano madri di minori di età inferiore a dieci anni».

Art. 10.
(Ambito di applicazione).

      1. Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano anche alle detenute madri straniere i cui figli si trovano nel Paese di origine e per i quali è disposta la concessione di un apposito permesso di soggiorno al fine di garantire l'unità familiare.

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