Organo inesistente

XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 2265


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
ROBERTA AGOSTINI, LENZI, GNECCHI, AMATO, ARGENTIN, BERLINGHIERI, BLAZINA, BONACCORSI, BOSSA, CAPONE, CAROCCI, CARRA, CASELLATO, COCCIA, COMINELLI, COSCIA, DE MICHELI, MARCO DI MAIO, D'INCECCO, FEDI, CINZIA MARIA FONTANA, GASPARINI, IACONO, INCERTI, LA MARCA, MAESTRI, MALISANI, MARCHI, MARIANI, MIOTTO, MONGIELLO, MURER, PETITTI, RAMPI, ROCCHI, RUBINATO, GIOVANNA SANNA, VALERIA VALENTE, VENITTELLI, ZARDINI
Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e altre disposizioni in materia di sostegno della maternità e della paternità, di congedo parentale e di obbligatorietà del congedo di paternità, nonché per il finanziamento del servizio degli asili nido
Presentata il 3 aprile 2014


      

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Onorevoli Colleghi! La presente proposta di legge prevede un insieme articolato di misure per la valorizzazione del contributo delle donne alla vita economica e sociale del Paese, favorendo il sostegno alla maternità e alla conciliazione familiare, presupposto indispensabile per garantire la promozione dell'uguaglianza di genere nel mercato del lavoro e la crescita del Paese. L'innalzamento del tasso di occupazione femminile è una priorità su cui impegnarsi per elevare il potenziale di crescita e per garantire una più equa ripartizione delle risorse pubbliche, anche in funzione della sostenibilità futura dei sistemi previdenziale e di protezione sociale. Nel nostro Paese il tasso di occupazione femminile continua a presentare valori molto al di sotto della media europea (46,5 per cento a fronte del 58,5 della media dell'Unione europea). Persistono, inoltre, forti divari territoriali, con un tasso di occupazione totale al nord del 65,2 per cento, di oltre 20 punti più elevato di quello dell'area meridionale (44,0 per cento). Nel caso delle donne si passa dal 56,6 per cento del nord al 30,8 per cento del Mezzogiorno. La bassa partecipazione al lavoro delle donne appare direttamente correlata al minimo accesso delle famiglie italiane ai cosiddetti «aiuti formali», quali asili nido e servizi di assistenza, a fronte di una prevalenza degli «aiuti informali», a conferma del fatto che le esperienze lavorative delle donne sono caratterizzate dalla difficoltà di conciliare l'attività lavorativa con l'impegno familiare.
      Secondo il rapporto annuale 2012 dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), infatti, la distribuzione disomogenea nel territorio dei più importanti servizi alle famiglie, come gli asili nido e l'assistenza sociale ai disabili e agli anziani non autosufficienti, appare ancora evidente, nonostante gli interventi volti al riequilibrio delle disparità territoriali, finanziati nell'ambito delle politiche di coesione. Complessivamente, nell'anno scolastico 2010/2011, su 100 bambini fino a due anni di età, gli utenti degli asili nido o dei servizi integrativi per la prima infanzia variano da 29,4 dell'Emilia-Romagna a 2,4 della Calabria, rispetto a una media nazionale di 14. L'obiettivo previsto per la fine del periodo di programmazione (2013), fissato nelle regioni del Mezzogiorno al 12 per cento, è stato già raggiunto dalla sola Sardegna. Secondo l'ISTAT l'assenza di servizi di supporto nelle attività di cura costituisce un ostacolo per l'ingresso nel mercato del lavoro di 489.000 donne non occupate, cioè l'11,6 per cento, e per il lavoro a tempo pieno per molte delle 204.000 donne occupate part-time, ovvero 14,3 per cento. In Italia solo l'1,4 per cento del prodotto interno lordo (PIL) è destinato a contributi, servizi e detrazioni fiscali per le famiglie, dato ben più basso rispetto a quell'1,8 per cento destinato nell'ambito dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) nei Paesi a bassa fertilità. Una delle conseguenze dell'assenza di servizi di supporto nelle attività di cura in Italia è – secondo il rapporto ISTAT 2012 «Il lavoro femminile in tempo di crisi» – l'interruzione del lavoro per motivi familiari da parte del 30 per cento delle madri a fronte del 3 per cento dei padri. A conferma di questo inquietante dato, circa 800.000 madri (pari all'8,7 per cento delle donne che lavorano o hanno lavorato) hanno dichiarato di essere state licenziate o messe in condizioni di dimettersi, nel corso della loro vita lavorativa, a causa di una gravidanza. Dopo la maternità solo quattro madri su dieci hanno ripreso a lavorare, mentre le altre sei sono state costrette a lasciare il lavoro: in questo caso i dati sono molto differenziati tra nord e sud, nel senso che al nord una donna su due torna al lavoro dopo la maternità, mentre al sud solo una su cinque. Le difficoltà di lavorare e di progredire nella carriera per una donna-madre sono confermate dall'esigua percentuale di donne presenti nei luoghi decisionali, nonostante il merito: imprenditrici (19 per cento), dirigenti (27 per cento), libere professioniste (29 per cento), dirigenti medici di strutture complesse (13,2 per cento), prefetti (20,7 per cento), professori ordinari (18,4 per cento), direttori di enti di ricerca (12 per cento), ambasciatrici (3,8 per cento) e nessuna donna al vertice della magistratura. La presente proposta di legge rappresenta una risposta a parte delle menzionate disuguaglianze di genere, prevedendo alcune misure finalizzate al potenziamento degli strumenti di promozione del lavoro femminile in rapporto alla scelta di maternità, di tutela della maternità e di conciliazione familiare. A tale proposito, l'articolo 1 prevede l'innalzamento dell'indennità giornaliera dall'80 per cento al 100 per cento della retribuzione, per tutto il periodo del congedo obbligatorio di maternità. Tale indennità è coperta dalla fiscalità generale per una quota pari all'ammontare dell'assegno sociale e per la restante quota, fino a concorrenza del 100 per cento dell'importo della retribuzione, è coperta dall'assicurazione obbligatoria. In tal modo sono significativamente ridotti gli oneri a carico delle aziende legati ai congedi obbligatori per maternità che, ancora oggi, costituiscono un forte deterrente all'assunzione di donne. Si garantisce anche piena tutela alle lavoratrici, evitando flessioni retributive che a loro volta possono condizionare la scelta della genitorialità. Si riafferma, infine, in modo concreto il valore della maternità, tutelata come diritto individuale e come valore sociale collettivo. Con la stessa finalità è prevista l'introduzione per i padri lavoratori dell'astensione obbligatoria dal lavoro per un periodo di quindici giorni da usufruire entro dodici mesi dalla nascita del figlio, coperta da un'indennità giornaliera pari al 100 per cento della retribuzione, in linea con gli ultimi orientamenti espressi in ambito europeo, nonché in coerenza con l'impostazione introdotta, seppure solo in via di principio, con l'articolo 4, comma 24, della legge 28 giugno 2012, n. 92, recante «Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita». Si segnala poi il potenziamento dei congedi parentali. La proposta di legge prevede, infatti, che le lavoratrici e i lavoratori possano accedere ai congedi parentali fino al compimento del terzo anno di età del bambino, godendo di un'indennità pari al 100 per cento della retribuzione, per i redditi fino a 35.000 euro per una famiglia di tre componenti. Tale limite è rimodulato al rialzo per le famiglie più numerose, sulla base della scala di equivalenza dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE). Per gli altri lavoratori con redditi più alti l'indennità è comunque elevata dal 30 per cento attuale al 50 per cento della retribuzione. L'articolo 2 prevede l'equiparazione delle tutele previste per le lavoratrici e i lavoratori dipendenti e per le lavoratrici e lavoratori parasubordinati in materia di maternità e di paternità. Com’è noto, infatti, sebbene il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 12 luglio 2007, recante «Applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 17 e 22 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, a tutela e sostegno della maternità e paternità nei confronti delle lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 247 del 23 ottobre 2007, abbia esteso il congedo di maternità anche alle lavoratrici iscritte alla gestione separata, restano comunque delle differenze importanti tra le lavoratrici iscritte alla gestione separata e quelle dipendenti sotto il profilo della tutela della maternità. Basti pensare che il congedo di maternità e di paternità spetta alle lavoratrici e ai lavoratori parasubordinati solo se in possesso di almeno tre mesi di contribuzione nella gestione separata nei dodici mesi precedenti l'inizio del congedo di maternità, purché non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie. Infine, alle lavoratrici e ai lavoratori parasubordinati, in qualità di lavoratori a progetto e categorie assimilate (lavoratori coordinati e continuativi) non iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria e non pensionati, spetta un'indennità per congedo parentale per un massimo di tre mesi entro il primo anno di vita del bambino, periodo di tempo decisamente inferiore a quello spettante ai lavoratori e alle lavoratrici dipendenti (pari a un periodo complessivo tra i due genitori non superiore a dieci mesi, aumentabili a undici, fruibili anche contemporaneamente, entro i primi otto anni di vita del bambino). Una disposizione ad hoc è infine dedicata al rafforzamento dei sistemi di tutela sociale della maternità delle lavoratrici autonome e delle imprenditrici (articolo 3). Essa è orientata innanzitutto al riconoscimento di forme di contribuzione figurativa, totale o parziale, alle lavoratrici autonome in maternità, per un periodo corrispondente a quello di astensione obbligatoria delle lavoratrici dipendenti (cinque mesi), con l'estensione alle stesse fattispecie e modalità di astensione anticipata per gravidanza a rischio previste dall'articolo 17 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. Con specifico riferimento alle piccole e micro imprese, è riconosciuta la possibilità di sostituzione in caso di maternità della lavoratrice autonoma anche con familiari della lavoratrice stessa, individuati ai sensi dell'articolo 230-bis del codice civile, o con i soci partecipanti all'impresa, anche attraverso il riconoscimento di forme di compresenza della lavoratrice e del suo sostituto. A completamento delle misure per il potenziamento dei servizi all'infanzia, si dispone un incremento delle risorse stanziate per l'attuazione del piano straordinario d'intervento per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi, nella misura di 200 milioni di euro annui per gli anni 2014, 2015 e 2016, al fine di conseguire l'obiettivo di assicurare entro cinque anni la copertura del servizio di asili nido in tutto il territorio nazionale per almeno il 25 per cento dei bambini di età inferiore a tre anni, in attuazione degli obiettivi di copertura territoriale fissati dal Consiglio europeo di Lisbona del 23-24 marzo 2000 (articolo 4).
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, in materia di congedo di maternità e di paternità e di congedi parentali. Istituzione del congedo di paternità obbligatorio).

      1. Al testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) all'articolo 22, il comma 1 è sostituito dal seguente:
      «1. Le lavoratrici hanno diritto a un'indennità giornaliera pari al 100 per cento della retribuzione per tutto il periodo del congedo di maternità, anche in attuazione degli articoli 7, comma 6, e 12, comma 2. L'indennità è posta a carico della fiscalità generale per una quota pari all'importo dell'assegno sociale di cui all'articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e a carico dell'assicurazione obbligatoria per la restante quota fino al 100 per cento della retribuzione»;

          b) l'articolo 28 è sostituito dal seguente:
      «Art. 28. – (Congedo di paternità). – 1. Fermo restando quanto disposto in materia di durata complessiva del periodo di astensione obbligatoria di maternità e di riposi giornalieri della madre dagli articoli 16 e 39, il padre lavoratore è tenuto ad astenersi obbligatoriamente dal lavoro per un periodo pari a quindici giorni lavorativi, anche continuativi, entro i dodici mesi successivi alla nascita del figlio. Il padre lavoratore è tenuto a comunicare al datore di lavoro i giorni di astensione obbligatoria prescelti almeno trenta giorni prima dell'astensione medesima.
      2. Per il periodo di astensione obbligatoria di cui al comma 1 l'indennità giornaliera

è pari al 100 per cento della retribuzione, di cui i primi sette giorni sono posti a carico dell'INPS e i successivi otto giorni a carico del datore di lavoro. Per i lavoratori autonomi, l'indennità è interamente posta a carico dell'INPS.
      3. Il padre lavoratore è tenuto a presentare al datore di lavoro, entro trenta giorni dalla data del parto, il certificato di nascita del figlio, ovvero la dichiarazione sostitutiva, ai sensi dell'articolo 46 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e successive modificazioni.
      4. Il padre lavoratore è tenuto ad astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre.
      5. Nei casi di cui al comma 4 il padre lavoratore presenta al datore di lavoro la certificazione relativa alle condizioni ivi previste. In caso di abbandono, il padre lavoratore ne rende dichiarazione ai sensi dell'articolo 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445»;

          c) l'articolo 34 è sostituito dal seguente:
      «Art. 34. – (Trattamento economico e normativo dei congedi parentali). – 1. Per i periodi di congedo parentale di cui all'articolo 32, alle lavoratrici e ai lavoratori è dovuta fino al terzo anno di vita del bambino un'indennità pari al 50 per cento della retribuzione. L'indennità è calcolata secondo quanto previsto all'articolo 23, ad esclusione del comma 2 del medesimo articolo.
      2. Nel caso in cui le risorse economiche del nucleo familiare di appartenenza del bambino risultino pari o inferiori ai valori dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) stabiliti ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, risultanti assumendo il valore

35.000 euro annui con riferimento a nuclei monoreddito con tre componenti, l'indennità di cui al comma 1 è pari al 100 per cento della retribuzione. Per i nuclei familiari con diversa composizione, il requisito economico è riparametrato sulla base della scala di equivalenza prevista dall'allegato 1 annesso al citato regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, tenendo conto delle maggiorazioni ivi previste.
      3. L'indennità di cui ai commi 1 e 2 è corrisposta per tutto il periodo di prolungamento del congedo per la cura di minori con handicap in situazione di gravità, ai sensi dell'articolo 33.
      4. Per i periodi di congedo parentale di cui all'articolo 32 ulteriori rispetto a quanto previsto dai commi 1 e 3 del presente articolo è dovuta un'indennità pari al 30 per cento della retribuzione, a condizione che ricorrano le condizioni di reddito di cui al comma 2 del presente articolo.
      5. L'indennità per congedo parentale è corrisposta con le modalità di cui all'articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33, e successive modificazioni, e con gli stessi criteri previsti per l'erogazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie.
      6. I periodi di congedo parentale sono computati nell'anzianità di servizio a tutti gli effetti.
      7. I periodi di congedo parentale sono considerati, ai fini della progressione nella carriera, come attività lavorativa, quando i contratti collettivi non richiedano a tale scopo particolari requisiti.
      8. Ai congedi parentali si applica quanto previsto all'articolo 22, commi 4, 6 e 7».
Art. 2.
(Equiparazione delle tutele previste per le lavoratrici e i lavoratori dipendenti e per le lavoratrici e i lavoratori parasubordinati in materia di maternità e di paternità).

      1. Alle lavoratrici e ai lavoratori di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8

agosto 1995, n. 335, che non risultano iscritti ad altre gestioni di previdenza obbligatoria si applicano le tutele in materia di maternità e paternità previste dal testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, in quanto applicabili alla natura del rapporto.
      2. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le modalità di attuazione delle disposizioni del comma 1 del presente articolo.
Art. 3.
(Tutela della maternità delle lavoratrici autonome).

      1. Alle libere professioniste iscritte alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, che non risultino iscritte ad altre gestioni di previdenza obbligatoria, nonché alle lavoratrici iscritte a una delle gestioni dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) previste per i lavoratori autonomi, sono riconosciuti:

          a) la facoltà di astensione totale o parziale dal lavoro per il periodo di godimento dell'indennità per maternità, anche ai fini dell'applicazione nel medesimo periodo di un regime di contribuzione previdenziale di tipo totalmente o parzialmente figurativo;

          b) il diritto all'astensione anticipata per gravidanza a rischio, ai fini dell'accesso alla contribuzione figurativa di cui alla lettera a), secondo le fattispecie e le modalità previste dall'articolo 17 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni;

          c) l'estensione, con particolare riferimento alle piccole e micro imprese, della possibilità di sostituzione in caso di maternità delle lavoratrici autonome, ai sensi dell'articolo 4, comma 5, del testo unico di

cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, ai familiari della lavoratrice stessa, individuati ai sensi dell'articolo 230-bis del codice civile, nonché ai soci, anche attraverso il riconoscimento di forme di compresenza della lavoratrice e del suo sostituto.

      2. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono stabilite le modalità di attuazione delle disposizioni del comma 1, lettere a) e b) del presente articolo

Art. 4.
(Rifinanziamento del Fondo nazionale per gli asili nido).

      1. Al fine di conseguire l'obiettivo di assicurare, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, la copertura del servizio di asili nido in tutto il territorio nazionale per almeno il 25 per cento dei bambini di età inferiore a tre anni, in attuazione degli obiettivi di copertura territoriale fissati dal Consiglio europeo di Lisbona del 23-24 marzo 2000, le risorse di cui all'articolo 1, comma 1259, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, sono incrementate nella misura di 200 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016.
      2. Le maggiori risorse di cui al comma 1 sono destinate al cofinanziamento degli investimenti promossi dalle amministrazioni territoriali per la costruzione o per la riqualificazione di strutture destinate ad asili nido, come individuate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali da adottare, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome

di Trento e di Bolzano, entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
Art. 5.
(Copertura finanziaria).

      1. Agli oneri derivanti dall'attuazione della presente legge, nel limite massimo di 2,5 miliardi di euro annui a decorrere dall'anno 2014, si provvede mediante le maggiori entrate conseguenti all'attuazione delle disposizioni del presente articolo.
      2. A decorrere dal 1 luglio 2014 è istituita l'imposta nazionale progressiva sui grandi patrimoni immobiliari, di seguito denominata «imposta».
      3. L'imposta è dovuta dai soggetti proprietari o titolari di altro diritto reale di immobili ad uso abitativo il cui valore complessivo è superiore a 1.700.000 euro ed è riscossa dallo Stato.
      4. Per i soggetti di cui al comma 3, l'imposta è pari allo 0,50 per cento dell'importo eccedente il valore complessivo di 1.700.000 euro, di cui al medesimo comma 3.
      5. Dall'applicazione dell'imposta sono esclusi i fondi immobiliari e le società di costruzioni.
      6. L'imposta è dovuta con riferimento al valore complessivo delle unità immobiliari di proprietà al 30 giugno di ciascun anno ed è versata in un'unica soluzione entro il 30 dicembre di ciascun anno.
      7. Ai fini dell'imposta, il valore complessivo dell'unità immobiliare è calcolato in base alle disposizioni dell'articolo 5 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e successive modificazioni.

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