Frontespizio Relazione Progetto di Legge
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 2377


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa del deputato BUSTO
Norme per la tutela e la promozione dell'ambiente e della salute dei cittadini attraverso una scelta alimentare che riduca il consumo di cibi di origine animale, e altre disposizioni per la promozione e diffusione di servizi di ristorazione a ridotto impatto ambientale ed elevato standard di salute
Presentata il 14 maggio 2014


      

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Onorevoli Colleghi! Nel 1979, lo scrittore e ricercatore ambientalista inglese James Lovelock, nel suo libro «Gaia: a new look at life in earth» descriveva l'esistenza di un equilibrio globale in grado di mantenere la vita, l'interazione fra tutti gli ecosistemi e la presenza di meccanismi planetari di regolazione che attutiscono le derive nocive di tale equilibrio fino al punto di ricorrere all'idea che il sistema terra operasse come un vero e proprio organismo a sé – Gaia appunto, il pianeta vivente – di cui tutti i viventi sono una componente. Loverlock delineava un autentico metabolismo planetario che, poeticamente, gli appariva come il «respiro di Gaia», un'idea che come suggerisce Grammenos Mastrojeni, dal cui recente lavoro «L'Arca di Noè» prendiamo parte di queste informazioni, può richiamare il «chi» della tradizione cinese, una forza pervasiva, descritta con una parola che letteralmente in cinese mandarino significa «respiro».
      Naturalmente l'autore inglese non è stato il primo a intuire che la Terra che abitiamo non è e non potrà mai essere un territorio di conquista senza freni, alla mercé delle mire del genere umano. Da sempre menti illuminate hanno percepito la presenza di un'energia globale che unisce tutti gli esseri viventi in un unico destino senza confini o spazi definiti da accordi politici o militari. Nel nostro ecosistema ad ogni azione corrisponde una reazione e dobbiamo comprendere che forse è stato un atto di superbia affermare che sia stato l'uomo a inventare il concetto di globalizzazione. Certamente sul piano economico e delle culture si sta sempre più affermando una correlazione a livello planetario, ma è bene ricordare e tenere bene a mente che la Terra e i suoi equilibri hanno sempre funzionato in termini globali; eravamo noi in ritardo. Ad esempio uno dei concetti che proprio non riesce a conoscere confini è quello di inquinamento. L'inquinamento può essere provocato da fenomeni naturali – ad esempio eruzioni vulcaniche, incendi, radioattività di alcune rocce – o da attività dell'uomo. Nell'ultimo secolo l'inquinamento provocato dalle attività umane ha di gran lunga superato l'inquinamento di origine naturale. Ad essere più precisi dovremmo dire che quello che l'attività umana è riuscita a fare – in senso negativo – negli ultimi due secoli non era riuscita a farlo nei milioni di anni precedenti. Ormai conosciamo fin troppo bene i danni che l'ideologia dello sviluppo illimitato, connessa al concetto di profitto economico senza freni, ha arrecato all'umanità e alla nostra terra vivente.
      L'inquinamento globale è sicuramente uno dei frutti più malsani che ci ha lasciato in eredità il XX che ha visto il genere umano usare le proprie conoscenze come un bimbo folle lanciato in una corsa sfrenata verso un sicuro burrone. Fortunatamente, come accennato in premessa, prima liberi pensatori e scienziati e poi sempre più persone hanno compreso che il modello di industrializzazione forzata sul quale si è forgiata la nostra società era di fatto sbagliato o, per lo meno, doveva essere corretto. Il concetto di «sviluppo sostenibile» sorto negli ultimi decenni del secolo scorso è oggi una categoria che tutti comprendono, che tutti hanno assimilato come un valore oltre il quale non è più possibile andare, ma al momento è anch'esso un concetto non più adeguato per leggere la contemporaneità che purtroppo ha assunto connotati sempre più drammatici. Nonostante tutto il mondo rimane ancora ostaggio di pratiche di produzione e di consumo che recano danni enormi all'ambiente e alla salute dell'uomo e di tutti gli esseri viventi. Proprio non riusciamo a fare nostro il sapere degli indiani d'America per i quali noi non abbiamo ricevuto la terra dai nostri padri in eredità, ma l'abbiamo solo avuta in prestito per i nostri figli.
      A nostro avviso la diffusione e la gravità dei fenomeni di inquinamento richiedono scelte di governo tempestive ed efficaci, su scala locale (amministrazioni locali), su scala nazionale (governi degli Stati) e su scala internazionale attraverso accordi riconosciuti da tutti gli Stati. Ma sappiamo che un reale cambiamento può partire anche dagli stili di vita individuali.
      In questa ricerca di equilibrio globale sempre più persone hanno compreso che le nostre abitudini alimentari incidono sul benessere collettivo molto più di quanto si pensi. C’è in realtà una fortissima correlazione tra inquinamento globale e regime alimentare adottato e pertanto, l'idea che la relazione tra cibo, salute e ambiente debba essere profondamente rivista è condivisa da un numero sempre crescente di persone.
      Sempre più evidente è che la scelta alimentare non è più solamente una questione di etica individuale, ma un tema nel quale vanno inserite valutazioni di carattere economico, ambientale e sanitario che, a loro volta, non riguardano solo il territorio in cui viviamo, ma l'intero pianeta. Potremmo spingerci fino a dire che il regime alimentare che parte del mondo economicamente più evoluto ha adottato negli ultimi decenni è emanazione diretta di un modello produttivo e di consumo di risorse globali profondamente errato e di conseguenza è errato esso stesso.
      Naturalmente ci riferiamo alla dieta improntata all'uso e all'abuso di proteine animali e al consumo di carne.
      Lester Brown, uno dei più importanti ambientalisti del mondo, fondatore del Worldwatch Institute e dell’Earth Policy Institute, è autore di numerosi libri e pubblica annualmente, sin dal 1984, «Lo stato del mondo», un rapporto che analizza da un punto di vista ambientale la situazione dello sviluppo demografico, del consumo di risorse del pianeta e l'impatto conseguente a livello socio-economico-ecologico. Gli istituti di ricerca di cui Brown è fondatore lavorano da oltre trenta anni per elaborare strategie di intervento e per proporre progetti per un'economia ecosostenibile, che possano garantire un futuro di cibo e di acqua per tutti. Di recente gli istituti si sono occupati della «nuova geopolitica alimentare», in relazione al raddoppio del prezzo dei cereali che ha portato alcuni dei maggiori esportatori mondiali di cereali, come l'Argentina, la Russia e il Vietnam, a introdurre restrizioni o addirittura a proibire le esportazioni per tenerne basso il prezzo nel mercato interno, peggiorando drammaticamente la situazione nel resto del mondo. Ciò sta portando all'espansione del fenomeno del land grabbing, ovvero dell'appropriazione in altri Paesi (in genere più poveri ed economicamente poco sviluppati) del terreno da comprare su cui avviare le coltivazioni, per poi spedire i prodotti al proprio mercato interno. Ma la superficie coltivabile del pianeta terra è di dimensioni limitate e il limite massimo che consente di sfamare 7 miliardi di esseri umani (più 100 miliardi di animali allevati) sta per essere superato. L'aspetto drammatico è che le previsioni rilevano che nel 2040 raddoppierà nel mondo il consumo di carne e di conseguenza il numero di animali allevati che sottrarranno risorse vitali al genere umano.
      Uno dei possibili modi per diminuire la crescita della domanda di cereali è che nei paesi ricchi ci si sposti verso la parte bassa della catena alimentare, consumando meno alimenti che richiedono una produzione cerealicola intensiva, come carni rosse, maiale, pollame, uova e formaggio, preferendo più verdure e cereali integrali.
      Secondo il rapporto 2013 dell'Unione europea The impact of EU consumption on deforestation, tra il 1990 e il 2008, i consumi europei hanno causato l'abbattimento di foreste in varie parti del mondo per un'estensione pari ad almeno 9 milioni di ettari, ma non perché l'Unione importa legname, bensì perché ha enormi consumi di alimenti, come quelli di origine animale, che sono oggi riconosciuti come i maggiori responsabili della deforestazione, oltre a fornire un importante contributo all'aumento dei livelli di emissioni di carbonio.
      Anche in tale contesto, la scelta alimentare di eliminare le proteine animali è funzionale alla priorità ormai globalmente condivisa di contribuire a stabilizzare il clima, fermando il disboscamento da pascolo, che peraltro nelle foreste, in particolare sud americane, conduce in breve tempo alla desertificazione, e procedendo poi velocemente a una riduzione delle emissioni di carbonio.
      Nel 2009 alla Scuola di salute pubblica dell'università californiana di Loma Linda, è stato condotto uno studio per valutare l'impatto ambientale delle scelte alimentari e si è giunti alla conclusione che tra gli auspicabili obiettivi governativi dovrebbe essere inclusa l'educazione della popolazione ai vantaggi per la salute e per l'ambiente di una dieta vegetariana, sollecitando quindi un cambiamento nel pensiero collettivo per la salvaguardia comune, per diminuire la spesa sanitaria pubblica e per ridurre l'impatto antropico sul pianeta.
      Ad analoghe conclusioni è giunto lo studio dei ricercatori del Dipartimento di salute pubblica dell'università di Oxford che, nel 2012, hanno elaborato un modello per simulare gli effetti di tre diverse diete sulle patologie croniche più frequenti, valutandone singolarmente il numero di decessi evitati per tumore e per malattie cardiocircolatorie oltre che l'impatto ambientale.
      Tra le tre diete, quella a minore contenuto carneo, ovvero prevalentemente vegetariana, forniva, rispetto alle altre due che prevedevano crescenti quantità di carne rossa e bianca, un miglior apporto nutrizionale e una protezione nettamente superiore per morte da malattie croniche, quali quelle tumorali e cardiocircolatorie, fino ad arrivare ad oltre 35.000 decessi evitati contro meno di 5.000 per le altre due tipologie alimentari. La scelta prevalentemente vegetariana vanta poi un minore danno ecologico comportando emissioni di gas serra inferiori del 19 per cento e un utilizzo delle terre ridotto del 42 per cento rispetto alle altre.
      Ulteriore evidenza del negativo impatto del consumo di proteine animali sul pianeta è fornito nel 2009 dal lavoro condotto nei dipartimenti di fisica e geofisica del Bard College di New York e dell'università di Chicago, nel quale viene evidenziato come l'uso dei territori per coltivare legumi e frutta sia da tre a cinque volte maggiore in efficienza e produttività, ai fini ambientali ed economici, rispetto all'impiego per allevamenti di animali adibiti al consumo umano.
      Nel 1992 l'autorevole economista statunitense Jeremy Rifkin dedicava un intero lavoro all'analisi delle problematiche connesse alla cosiddetta «cultura della bistecca» e in generale a tutte le conseguenze gravi che questo tipo di alimentazione ha generato sull'uomo e sull'ambiente (Beyond Beef, tradotto in Italia con il titolo «Ecocidio»).
      La Terra non ha la possibilità di nutrire un popolo di carnivori, ci vorrebbero altri cinque pianeti come il nostro per produrre gli alimenti necessari e smaltire l'immensa mole di rifiuti prodotti dall'industria della carne e le altrettanti ingenti risorse per neutralizzare l'inquinamento prodotto sarà necessario un cambiamento radicale delle politiche alimentari e degli stili di vita con l'obiettivo di destinare il territorio coltivato prodotti che consentano a tutti di nutrirsi, sottraendoli all'allevamento degli animali.
      Generalmente il costo di un chilogrammo di carne viene considerato solo in base al prezzo che si paga all'atto del suo acquisto presso un esercizio alimentare. Ma il vero costo, se si considerano tutte le componenti necessarie a produrlo e gli effetti prodotti sull'uomo e sull'ambiente, raggiunge cifre enormi non facilmente calcolabili. Sappiamo certamente che, per produrre 1 chilogrammo di carne di manzo (per produrre carne di maiale o altri animali il quantitativo è più ridotto ma non molto diverso) vengono utilizzati circa 100.000 litri di acqua, 9 litri di petrolio e 15 chilogrammi di cereali e vengono rasi al suolo 12 metri quadrati di foresta. Inoltre un chilogrammo di carne di manzo produce 36 chilogrammi di anidride carbonica e consuma tanta energia quanto una lampada di 100 watts per 40 ore di seguito. A questi costi bisogna aggiungere i sussidi che l'industria della carne e del pesce riceve dall'Unione europea e che pagano tutti con le tasse – anche coloro che hanno scelto alimentazioni alternative – nonché l'iperbolica cifra delle spese sanitarie per curare le malattie dovute al consumo di carne e all'inquinamento dell'aria, della terra, del mare, e delle falde acquifere, al buco nell'ozono, alle piogge acide, alla desertificazione e ad altri fattori. E si dovrebbe, in fine, considerare la sofferenza e spesso la morte per fame delle popolazioni in via di sviluppo dovute alla sottrazione delle terre da parte delle imprese multinazionali agroalimentari e zootecniche per destinarle a pascolo o a coltivazioni di monocolture.
      Si deve inoltre considerare il fatto che il mangiatore di carne consuma 20 volte più acqua di un vegetariano, che il 20 per cento della popolazione mondiale può concedersi il lusso di mangiare la carne perché l'80 per cento digiuna e che un terzo di tutte le risorse energetiche dell'occidente è assorbito dall'industria della carne.
      Su un ettaro di terra, nello stesso periodo di tempo, si possono produrre i seguenti alimenti: 1.000 chilogrammi di ciliegie, 2.000 chilogrammi di fagiolini, 4.000 chilogrammi di mele, 6.000 chilogrammi di carote, 8.000 chilogrammi di patate, 10.000 chilogrammi di pomodori, 12.000 chilogrammi di sedano oppure 50 chilogrammi di carne di manzo.
      In Italia, nel libro di Maurizio Fallante La decrescita felice si ipotizza che molti dei gravi problemi ambientali, sanitari, economici e politici che esistono nel nostro pianeta sono ricollegabili alla diffusione in una parte del pianeta di un regime alimentare fondato sul consumo assolutamente non equilibrato di proteine animali: «(...) Le emissioni di gas climalteranti e l'effetto serra, le guerre per il controllo delle fonti energetiche fossili, la progressiva penuria di un bene indispensabile per la vita come l'acqua, molte tra le più diffuse forme di inquinamento chimico, la diminuzione di fertilità dei suoli, la perdita della biodiversità, le sempre maggiori sperequazioni tra il 20 per cento dell'umanità che si suicida per eccessivo consumo di cibi sempre meno sani e il venti per cento privo del necessario per vivere dignitosamente, o semplicemente per sopravvivere (tra i quali la Fao calcola che siano circa 100 milioni ogni anno le persone che muoiono di inedia), le migrazioni di massa dai paesi del sud e dell'est del mondo verso i paesi nordoccidentali».
      Tutti questi problemi potrebbero essere ridotti drasticamente dalla diffusione di un regime alimentare alternativo a quello dominante, un regime alimentare che in sostanza preveda una significativa riduzione dei consumi di proteine animali.
      Negli ultimi cinquanta anni in Italia il consumo di carne pro capite si è triplicato, come è ovvio che fosse se si pensa al livello economico del Paese uscito dalle rovine della Seconda Guerra mondiale, tuttavia negli ultimi anni c’è un nuovo segnale, che ci parla di un'Italia che sta cambiando anche in questo senso, che vuole rimediare ai danni del cosiddetto «boom economico» anche in senso alimentare.
      Secondo il rapporto Eurispes 2014 cresce ancora il numero di italiani e italiane che scelgono una dieta vegetariana e vegana. Si tratterebbe del 7,1 per cento della popolazione: circa 4,2 milioni di persone, contro 3 milioni e 720.000 del 2013, con un aumento del 15 per cento in un anno. Ma le associazioni stimano cifre più elevate, con un ampio margine non rilevato: 7 milioni, di cui 700.000 vegani.
      Nel dettaglio, spiega Eurispes, il 6,5 per cento degli intervistati si è dichiarato vegetariano (erano il 4,9 per cento) e lo 0,6 per cento vegano (contro l'1,1 per cento).
      Per quanto riguarda le motivazioni si va dalla sensibilità animalista e ambientale all'attenzione alla salute. Quasi un terzo (31 per cento) dei vegetariani e dei vegani ha scelto questo tipo di alimentazione, afferma l'Eurispes, per rispetto degli animali, un quarto (24 per cento) perché fa bene alla salute e un altro 9 per cento afferma di farlo per tutelare l'ambiente.
      La scelta vegana in crescita non è solo una tendenza nostrana. Si stima che nel mondo vegani e vegetariani siano circa un miliardo. In India, la patria del vegetarianesimo anche per motivi religiosi, circa il 30 per cento della popolazione è vegano o vegetariano. In Europa è la Germania il Paese più vegano (7 milioni di persone). In Gran Bretagna lo è circa il 5 per cento, secondo i dati della British Vegetarian Society, sono almeno 2.000 le persone che ogni settimana scelgono di diventare vegetariane.
      In generale si registra una mutazione nei gusti alimentari delle persone che per motivi anche diversi, scelgono consapevolmente di ridurre, se non di eliminare completamente, il consumo di carne.
      Dal punto di vista sanitario da un recente studio Eurostat dell'Unione europea – stranamente non molto conosciuto e poco diffuso dai mezzi d'informazione – risulta che negli ultimi anni l'aspettativa di vita in salute in Italia è crollata e in particolare, è stato rilevato che la donna italiana ha perso dieci anni di aspettativa di vita in salute e l'uomo 6 anni. A parere di molti la causa più probabile di questi dati è da attribuire all'inquinamento ambientale, problema che pone l'Italia fra i Paesi più inquinati in Europa.
      Tra le ricerche scientifiche più recenti spicca senz'altro lo studio multicentrico European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition (EPIC), che ha coinvolto quasi mezzo milione di persone tra 35 e 69 anni di età, per comprendere gli effetti delle scelte alimentari sulla salute. I partecipanti provenivano da 23 centri distribuiti in dieci nazioni europee, inclusa l'Italia. I risultati, diffusi nel 2013, parlano di un rischio di morte prematura che cresce di pari passo con la quantità di carne lavorata o essiccata (prosciutti, salami e salsicce) consumata ogni giorno. Coloro che hanno dichiarato di mangiare più di 160 grammi di carne lavorata al giorno avevano il 44 per cento di probabilità in più di eventi fatali rispetto a quelli che si limitavano a circa 20 grammi al giorno. Un'ulteriore dato importante per l'economia statale riguarda le persone che hanno optato per una dieta vegetariana, le quali hanno un rischio diminuito di un terzo di ospedalizzazione o di morte per malattie cardiocircolatorie rispetto ai non vegetariani. La letteratura scientifica riporta dati ancora più favorevoli per la scelta vegana ottenuti nel corso di studi epidemiologici e clinici condotti negli ultimi quindici anni.
      Infine, anche presso la British Heart Foundation di Oxford le ricerche condotte nel 2010 hanno evidenziato che mangiare carne non più di tre volte la settimana potrebbe prevenire, ogni anno, 31.000 morti per malattia cardiaca, per tumore e per ictus, oltre a consentire un risparmio di circa 1,2 miliardi di dollari per la spesa sanitaria.
      Nel dicembre 2013 un editoriale sulla rivista Lancet Oncology dal titolo Conquering cancer ha sostenuto che l'origine del cancro non risiede solo in una mutazione casualmente insorta nel DNA di una cellula, ma anche in centinaia di migliaia di mutazioni epigenetiche indotte dalla miriade di agenti fisici e di sostanze chimiche tossici e pericolosi con cui veniamo a contatto ancora prima di nascere e che danneggiano in modo irreversibile lo stesso DNA.
      L'editoriale sostiene che per vincere la guerra contro il cancro abbiamo bisogno di una nuova e diversa visione del campo di battaglia: prevenzione primaria, non ridotta alle indicazioni sullo stile di vita come suggerito dal Fondo mondiale per la ricerca sul cancro nel 2007, ma che deve intervenire efficacemente sulla tutela degli ambienti di vita e di lavoro. È quindi evidente che un impegno forte sulle bonifiche ambientali è di primaria importanza in questo senso, ma è anche necessario studiare un modo scientifico il regime alimentare delle persone.
      In una pubblicazione (Jama 2013) di uno studio durato quindici anni su una popolazione di circa 75.000 persone residenti negli Stati Uniti d'America e in Canada (in ambienti con elevati livelli di inquinamento) suddivisa in funzione della loro scelta alimentare (onnivori, latto-ovo vegetariani e vegani), la durata di vita maggiore è stata appannaggio dei vegani, seguita dai latto-ovo vegetariani e poi dagli onnivori.
      Quindi è stato confermato che hanno una migliore aspettativa di vita, anche in aree a rischio ambientale.
      Da tempo le società medico scientifiche riconoscono che l'alimentazione vegana, ben programmata, è protettiva nei confronti delle malattie che più affiggono l'uomo. L'alimentazione influenza il DNA, l'ambiente interno e l'espressione genica. I fitocomposti (polifenoli, flavonoidi catechine, fitoestrogeni, sulfidi, monoterpeni, saponine, fitosteroli, carotenoidi e capsaicina) proteggono l'organismo da numerose malattie. Fra le varie azioni positive i fitocomposti svolgono un'azione antiossidante in grado di bilanciare efficacemente il danno ossidativo dei veleni ambientali.
      I fitocomposti riducono in molte sedi lo sviluppo del cancro, senza mai aumentarlo. Alimenti come la soia sono riconosciuti essere efficaci nella prevenzione di molte malattie, tumori compresi. I più noti alimenti antitumorali sono: pomodori, broccoli, cavoli, agrumi, uva, soia, thè verde, fragole, mirtilli, curcuma e cioccolato.
      In attesa di un'efficace prevenzione primaria delle malattie una scelta vegetariana o vegana ben programmata basata su alimenti biologici è in grado di assicurare una maggiore salute e di difenderci dall'aggressione degli inquinanti ambientali.
      Naturalmente questa scelta alimentare ha anche effetti benefici sull'ambiente e soprattutto consente di rispettare la vita e il benessere degli animali.
      In Italia non esiste ancora una legge che obbliga gli esercenti e i gestori di mense pubbliche e sociali a prevedere pasti alternativi a quelli convenzionali di carne, pesce, latticini e uova, ma come per le comunità religiose ebraiche e musulmana possiamo appellarci alle nostre motivazioni etiche per non essere causa dello sfruttamento e dell'uccisione di un animale.
      In Italia quasi 8 milioni di persone mangiano quotidianamente presso una mensa aziendale, scolastica, carceraria o ospedaliera dove i vegetariani e i vegani incontrano notevoli difficoltà non riuscendo a trovare pasti completi e bilanciati senza ingredienti di origine animale (avere pasti alternativi a quelli a base di animali e derivati non significa accontentarsi di quello che offre la mensa ma avere un equivalente menù preparato secondo la cucina vegetariana e vegana).
      Questa proposta di legge è presentata anche per sottolineare come oggi il legislatore, preso atto delle problematiche connesse alle scelte alimentari di gran parte delle persone, deve prendersi la responsabilità di disciplinare anche questo aspetto della comunità alla quale fa riferimento. Non è più corretto e ammissibile lasciare, alla sola sfera individuale la scelta del regime alimentare, perché tale scelta, moltiplicata per milioni di individui, costituisce un sistema che sta danneggiando il nostro ecosistema.
      Si prevede, quindi, che le amministrazioni si adoperino per offrire una maggiore e corretta informazione sulle cause correlate alla cattiva alimentazione e per una comprensione dei meccanismi di interdipendenza tra stato di benessere integrale e alimentazione appropriata.
      Riassumendo, questa proposta di legge si pone innanzitutto come un'opportunità di cambiamento, per aumentare il livello di consapevolezza e di comprensione dell'opinione pubblica nei confronti di tematiche importanti come la difesa dell'ambiente attraverso una più corretta alimentazione, non solo fine a se stessa, ma in funzione della disponibilità di cibo, acqua e terre da coltivare nel prossimo futuro. Inoltre, essa rappresenta, in forma indiretta, anche un vantaggio finanziario per lo Stato, considerando che le persone che seguono un'alimentazione a prevalente o esclusiva base vegetale hanno, secondo le più recenti ricerche scientifiche, un minore rischio di malattie croniche, che si convertirà in un minor impatto sulla spesa sanitaria pubblica, anche in considerazione dell'aumento dell'età media della popolazione italiana.
      In linea con i princìpi generali (articolo 1) la proposta di legge, dopo aver delineato alcune definizioni fondamentali (articolo 2) quali quelli di dieta alimentare, luogo di ristorazione e prodotti agroalimentari provenienti da filiera corta a chilometro utile, definisce l'ambito di applicazione della legge (articolo 3) e, in particolare, stabilisce che sia garantita un'adeguata disponibilità di menù privi di qualsiasi alimento di origine animale in tutti i luoghi di ristorazione.
      L'articolo 4 prevede durante un giorno della settimana, la somministrazione solo di menù privi di qualsiasi alimento di origine animale nei luoghi di ristorazione, fatta eccezione in caso di pazienti che necessitano di una specifica dieta alimentare.
      Sempre nell'ambito definito dall'articolo 3, l'articolo 5 prevede incentivi all'utilizzo dei prodotti agroalimentari provenienti da filiera corta a chilometro utile in modo da privilegiare le produzioni locali riducendo altresì l'inquinamento prodotto dal trasporto dei prodotti stessi.
      L'articolo 6 prevede misure per la promozione dell'educazione alimentare sia mediante appositi finanziamenti del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca sia mediante l'inserimento dell'insegnamento di nozioni di nutrizione, gastronomia e ristorazione vegetariana e vegana nei programmi didattici destinati agli istituti professionali alberghieri e agli istituti professionali per i servizi alberghieri e ristorativi.
      Infine, l'articolo prevede che siano promossi studi e ricerche finalizzati a verificare i diversi effetti sull'agricoltura e sull'ambiente delle diete alimentari associate al consumo dei prodotti di origine animale rispetto alle diete che escludono tale consumo.
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Princìpi generali).

      1. Lo Stato garantisce e promuove, sulla base dei più recenti dati scientifici, le diete alimentari caratterizzate da un minore impatto ambientale e da una riduzione dei rischi sulla salute umana rispetto all'alimentazione fondata sul consumo di prodotti di origine animale, privilegiando a tale fine una dieta alimentare priva di alimenti di origine animale.
      2. La presente legge tutela il diritto dei cittadini a una dieta alimentare conforme alle rispettive scelte in materia di tutela dell'ambiente, della salute delle persone e del benessere degli animali.

Art. 2.
(Definizioni).

      1. Ai fini di cui alla presente legge si intende per:

          a) dieta alimentare: un'alimentazione quantitativamente e qualitativamente definita idonea a mantenere lo stato di salute della persona;

          b) prodotti agroalimentari provenienti da filiera corta a chilometro utile: i prodotti provenienti da filiera corta, per i quali le aree di produzione e di trasformazione, ancorché ricadenti in più regioni, sono poste a una distanza non superiore a 50 chilometri di raggio dal luogo di vendita o comprese nei territori di comuni confinanti;

          c) prodotti agroalimentari ecologici provenienti da filiera corta a chilometro utile: i prodotti di cui alla lettera b) provenienti da coltivazioni biologiche o equivalenti e a basso impatto ambientale;

          d) luoghi di ristorazione: le mense pubbliche, convenzionate o private ovvero che svolgono in qualsiasi modo servizio pubblico di ristorazione collettiva, comprese le mense aziendali e interaziendali, le mense che svolgono servizi di ristorazione prescolastica, scolastica o universitaria, ospedaliera, militare o penitenziaria e di altri luoghi di permanenza, di ricovero, di cura o di assistenza, e pubblici esercizi che svolgono servizio di somministrazione di alimenti e bevande in forma sostitutiva, quali bar e ristoranti convenzionati con i luoghi di lavoro;

          e) menù: primo e secondo piatto e contorno, ovvero piatto unico equivalente al primo e secondo piatto e al contorno, di equilibrato e sufficiente valore nutrizionale per un pasto;

          f) menù privo di qualsiasi alimento di origine animale: menù che esclude la carne, il pesce e gli altri alimenti derivanti dall'uccisione di animali, il latte e i suoi derivati, le uova, il miele e qualsiasi altro alimento di origine animale.

Art. 3.
(Ambito di applicazione).

      1. In tutti i luoghi di ristorazione deve essere garantita un'adeguata disponibilità di menù privi di qualsiasi alimento di origine animale.
      2. Negli appalti per l'affidamento dei servizi di ristorazione, di catering o di bar deve essere prevista la somministrazione di menù privi di qualsiasi alimento di origine animale con apposite clausole che stabiliscono penali in relazione alla gravità delle eventuali omissioni e della loro reiterazione.
      3. I menù di cui ai commi 1 e 2 sono strutturati in modo da assicurare un apporto bilanciato di tutti i nutrienti, in conformità ai criteri stabiliti in materia di nutrizione tenuto conto dei più recenti dati scientifici disponibili, un'ampia varietà di pietanze nonché l'assenza di ingredienti

di origine animale non identificabile organoletticamente.
      4. Al fine di assicurare un servizio adeguato ai consumatori, il personale preposto alla somministrazione di alimenti nei luoghi di ristorazione deve essere adeguatamente informato sulle disposizioni della presente legge.
Art. 4.
(Giorno settimanale per i menù privi di qualsiasi alimento di origine animale).

      1. Nei luoghi di ristorazione è obbligatorio, per un giorno della settimana, somministrare solo menù privi di qualsiasi alimento di origine animale.
      2. L'obbligo di cui al comma 1 non si applica in caso di specifiche prescrizioni mediche relative a particolari diete alimentari.

Art. 5.
(Incentivi all'utilizzo dei prodotti agroalimentari e agroalimentari ecologici provenienti da filiera corta a chilometro utile nei luoghi di ristorazione pubblici).

      1. Nei bandi di gara per gli appalti pubblici di servizi o di forniture di prodotti agroalimentari destinati alla ristorazione collettiva, emanati dalla regione o da enti da essa controllati, partecipati o promossi dalle province o dai comuni, costituisce titolo obbligatorio per l'aggiudicazione l'uso di prodotti agroalimentari e agroalimentari ecologici provenienti da filiera corta a chilometro utile conforme ai criteri minimi ambientali stabiliti dai paragrafi 5.3.1 e 6.3.1 dell'allegato 1 annesso al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 25 luglio 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 220 del 21 settembre 2011, e costituisce altresì titolo preferenziale per la medesima aggiudicazione l'uso di tali prodotti in quantità superiore a quella stabilita dai citati criteri minimi, prevedendo un aumento del punteggio in

relazione alle maggiori quantità di prodotti utilizzati.
      2. L'utilizzo dei prodotti agroalimentari e agroalimentari ecologici provenienti da filiera corta a chilometro utile in quantità superiori ai criteri minimi stabiliti dal decreto di cui al comma 1 deve essere adeguatamente documentato attraverso fatture di acquisto che riportino, oltre alle quantità, le indicazioni relative all'origine, alla natura, alla qualità e alla quantità dei prodotti acquistati.
Art. 6.
(Misure per la promozione dell'educazione alimentare).

      1. Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con le modalità stabilite dall'articolo 11 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, promuove e sostiene, con appositi finanziamenti disponibili negli ordinari stanziamenti di bilancio, progetti in ambito nazionale, regionale e locale, volti a diffondere un'educazione alimentare che privilegia un ridotto impatto sulle risorse ambientali e sulla salute dell'individuo rispetto alle diete alimentari caratterizzate dal consumo di prodotti di origine animale.
      2. A decorrere dall'anno scolastico successivo a quello della data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di concerto con i Ministeri della salute e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, promuove l'inserimento dell'insegnamento di nozioni di nutrizione, gastronomia e ristorazione vegetariana e vegana nei programmi didattici destinati agli istituti professionali alberghieri e agli istituti professionali per i servizi alberghieri e ristorativi.
      3. Gli studenti che per scelta etica sono contrari a qualsiasi forma di violenza su esseri viventi, possono dichiarare la propria obiezione di coscienza a seguire le lezioni didattiche pratiche riguardanti

l'utilizzo di alimenti di origine animale.
      4. Gli istituti di cui al comma 2 hanno l'obbligo di rendere noto a tutti gli studenti il loro diritto ad esercitare l'obiezione di coscienza ai sensi del comma 3. Nessuno studente può essere penalizzato in seguito all'esercizio di tale diritto.
      5. Agli studenti obiettori di coscienza viene offerta una proposta didattica alternativa per integrare il monte ore previsto dai programmi ministeriali.
Art. 7.
(Studi e ricerche sull'impatto dei regimi alimentari).

      1. Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, anche avvalendosi del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, promuove studi e ricerche finalizzati a verificare i diversi effetti sull'agricoltura e sull'ambiente delle diete alimentari associate al consumo dei prodotti di origine animale rispetto alle diete alimentari che non prevedono tale consumo e predispone, di concerto con il Ministro della salute, programmi informativi rivolti ai cittadini sui benefíci per la salute e per l'ambiente di una dieta alimentare senza prodotti di origine animale.

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