Organo inesistente
CAMERA DEI DEPUTATI |
N. 3124 |
1. Democrazia e felicità.
Già nel diciottesimo secolo Jean-Jacques Rousseau, nel Contratto sociale, mise l'una accanto all'altra le dimensioni della democrazia, del dovere civico e della felicità: «Nato cittadino di uno stato libero e membro del corpo sovrano, per quanto debole sia l'influenza che la mia voce può avere negli affari pubblici, il diritto di votare su di
essi è sufficiente a impormi il dovere di rendermene edotto: felice, ogni volta che medito sui governi, di trovare nelle mie ricerche sempre nuove ragioni per amare quello del mio paese». Il pensiero di Rousseau, che poneva al centro dello Stato democratico la sovranità del popolo, contribuì a ispirare gli ideali della Rivoluzione francese, innescando una serie di eventi storici che segnarono l'apertura di una nuova epoca. Due secoli e mezzo più tardi l'espressione di quel pensiero rimane ancora di stretta attualità. Il raggiungimento e il mantenimento della relazione circolare tra il godimento dei diritti politici e le condizioni che favoriscono l'appagamento, nel rispettare liberamente e con lietitudine le norme dettate dal corpo sociale stesso, è una sfida ancora in corso.2. Referendum confermativo e iniziativa popolare.
Il referendum propositivo, all'estero comunemente definito iniziativa popolare, e il referendum confermativo, il quale può essere obbligatorio o facoltativo, sono l'acceleratore e il freno di emergenza che consentono ai cittadini di intervenire direttamente nei processi decisionali. Sono i contrappesi che permettono di bilanciare l'azione degli organi dello Stato e che garantiscono la separazione dei poteri. Sono inoltre, gli strumenti che consentono di realizzare pienamente la sovranità popolare qualora la democrazia rappresentativa non fosse in grado di farlo.
L'iniziativa popolare è una componente essenziale dei diritti politici di cui tutti i cittadini dovrebbero godere. Si tratta di quel procedimento di democrazia diretta che consente a un prescritto numero di cittadini di porre la propria proposta all'ordine del giorno e di chiedere una votazione popolare. Tale proposta può essere una modifica alla Costituzione, l'adozione di una nuova legge, la modifica o l'abrogazione di una legge in vigore. Non spetta agli organi costituzionali decidere se sottoporre o no la proposta avanzata al vaglio dei cittadini. Tale facoltà spetta solo ai promotori. La procedura di iniziativa può invece contenere una clausola che abilita il comitato promotore a revocare la propria proposta. Ciò può verificarsi nel caso in cui, prima dello svolgimento della votazione popolare, vengano meno i presupposti che hanno motivato l'iniziativa. Tale ipotesi è possibile, ad esempio,
in conseguenza dell'approvazione di un provvedimento da parte del legislatore che interviene nel processo con la cosiddetta controproposta (o controprogetto) accogliendo le istanze contenute nell'iniziativa dei cittadini.
Il referendum confermativo è invece la procedura di democrazia diretta che prevede la votazione popolare su una modifica costituzionale o su una legge ordinaria prima della sua entrata in vigore. Corrisponde al diritto da parte del corpo elettorale di accettare o respingere una modifica alla Costituzione, una legge o un decreto proposti dal Parlamento, dal Governo oppure da un'iniziativa popolare. È da sottolineare che una votazione popolare controllata «dall'alto» non è un referendum bensì un plebiscito.
l'iniziativa per emendamenti costituzionali (constitutional amendment initiative) attraverso la quale i cittadini hanno piena sovranità per quanto riguarda i loro diritti potendo approvare direttamente le modifiche alla Costituzione del loro Stato. Tale strumento è presente in 18 Stati;
l'iniziativa per leggi ordinarie (statute law initiative), con la quale i cittadini possono approvare direttamente leggi inferiori al rango costituzionale. Per avviare tale procedura è necessario normalmente un numero inferiore di firme. Tale istituto esiste in 21 Stati;
il referendum confermativo facoltativo per le leggi ordinarie (statute law referendum) è sostanzialmente lo strumento per garantire il diritto di veto ai cittadini sulle leggi emanate dagli organi rappresentativi. Esso esiste in 24 Stati;
il referendum costituzionale (constitutional amendment referral) esistente in 49 Stati. L'unico a non prevederlo è il Delaware.
La California è uno degli Stati che nel proprio ordinamento ha previsto tutti gli strumenti menzionati. Inoltre, gli strumenti di democrazia diretta non sono previsti solo per il livello statale ma anche per tutti gli altri livelli amministrativi, incluse le contee e le città. Il Golden state, localizzato sulla costa pacifica e con quasi 40 milioni di abitanti, è lo Stato più popoloso e il più variegato da un punto di vista sociale degli USA. Dal punto di vista della dimensione demografica, fra gli Stati della Confederazione è quello che più si avvicina all'Italia, mentre dal punto di vista del progresso e dell'innovazione è decisamente un territorio di avanguardia al quale guardare. Queste sono le due motivazioni principali che inducono a prendere la California come modello per una comparazione dei singoli strumenti di democrazia diretta.
Inizialmente gli strumenti di democrazia diretta furono introdotti a livello locale. Ad esempio, nella città di Los Angeles l'iniziativa, il referendum e il richiamo degli eletti furono inseriti nello statuto locale già nel 1903. Tra le varie iniziative vale la pena ricordarne una al fine di comprendere il contesto politico del tempo. Nel 1911 fu approvata l'iniziativa per creare un giornale di proprietà municipale ma indipendente per quanto riguardava la linea editoriale. La motivazione fu quella di garantire il pluralismo informativo offrendo un'alternativa al Los Angeles Times, il quale aveva una linea editoriale antiriformista e che si opponeva ai diritti dei lavoratori. Lo scopo dell'iniziativa fu quindi creare un organo che permettesse di produrre notizie imparziali e di offrire uno spazio per un forum pubblico e di discussione al quale tutti
3. Le misure di contesto come condizione essenziale e il quorum.
Gli istituti dell'iniziativa popolare e del referendum confermativo presi singolarmente hanno un'efficacia ridotta se non sono circondati da una serie di garanzie. Come raccomandato dall'IRI Europe (in The IRI Europe Toolkit for Free and Fair Referendums and Citizens Initiatives, Amsterdam) e dalla Commissione di Venezia del Consiglio d'Europa (nel Code of Good Practice on Referendums del 2007) gli aspetti procedurali e di contesto sono fondamentali per assicurare la correttezza del voto e quindi risultati ottimali.
I suggerimenti dell'Istituto europeo per l'iniziativa e il referendum illustrati nel Manuale per referendum liberi ed equi sono i seguenti:
il punto di partenza di una votazione popolare è decisivo. Un processo avviato esclusivamente dal Presidente o dal Governo (plebiscito) tende a essere molto «meno libero» e imparziale di un referendum costituzionale o popolare. Al contrario, gli strumenti di democrazia diretta devono consentire alle minoranze di far sentire la propria voce e di proporre temi che altrimenti la rappresentanza politica dei partiti non affronterebbe. La soglia delle firme necessarie e il tempo necessario
per poter proporre un'iniziativa popolare o un referendum confermativo devono quindi consentire alle minoranza di accedere agli strumenti;le sottoscrizioni devono poter essere raccolte liberamente per strada e gli uffici preposti al controllo e alla certificazione delle firme devono facilitare gli adempimenti burocratici;
i cittadini dovrebbero potersi esprimere sulle stesse materie sulle quali i rappresentanti politici hanno diritto di iniziativa. Gli unici vincoli dovrebbero riguardare unità di materia, unità di forma e la compatibilità con le norme del diritto internazionale vigente;
la legislazione relativa alla partecipazione popolare e all’iter della democrazia diretta può essere modificata solo per iniziativa dei cittadini o con l'accettazione dei cittadini se la modifica avviene per iniziativa dei poteri dello Stato. Tale clausola di salvaguardia è per evitare che l'insieme e la coerenza delle norme nell'interesse dei cittadini non siano sovvertiti dagli organi dello Stato;
il dibattito democratico richiede tempi certi ma allo stesso tempo sufficienti per poter approfondire la discussione. Il lasso di tempo che decorre tra l'annuncio del referendum e il giorno del voto è critico e non dovrebbe essere inferiore a sei mesi;
la trasparenza sui finanziamenti alle iniziative e alle campagne referendarie per prevenire distorsioni sulle pari opportunità nell'accesso alle informazioni è un prerequisito fondamentale per il corretto svolgimento delle votazioni. L'introduzione dell'obbligo di notificare le fonti dei contributi finanziari alle campagne che precedono le votazioni e la relativa pubblicazione, riveste una grande importanza. Inoltre, è altrettanto utile imporre un limite massimo alle spese e ai contributi statali;
la parità di accesso ai mezzi di informazione (innanzitutto quelli pubblici ed elettronici), così come la divulgazione di un'informazione bilanciata e indipendente sono aspetti di importanza vitale per campagne referendarie imparziali, possibilmente sotto la supervisione di un organismo indipendente. L'informazione istituzionale a mezzo di un opuscolo informativo per tutti i cittadini in vista di una votazione è una soluzione desiderabile;
l'eguaglianza delle opportunità deve essere garantita ai sostenitori e agli oppositori della proposta oggetto di votazione. Ciò implica la neutralità da parte delle autorità amministrative, soprattutto in relazione alla campagna referendaria, alla copertura da parte dei mezzi di informazione (in particolare quelli pubblici), al finanziamento pubblico della campagna e dei suoi attori, all'affissione di manifesti, alla pubblicità e al diritto di manifestare;
le votazioni referendarie non dovrebbero essere convocate in concomitanza con le elezioni quando riguardano lo stesso ambito di governo. Infatti, far coincidere la data di una votazione referendaria con quella delle votazioni elettorali rischia di far confondere la politica partitica con il tema oggetto di votazione. Ciò deve essere evitato assolutamente, specialmente nei Paesi che non fanno spesso ricorso al referendum;
dal momento che il referendum è un processo che si svolge in più fasi, la fase di voto dovrebbe durare più di un solo giorno. Per facilitare il più possibile la partecipazione al voto, i cittadini dovrebbero avere la possibilità di votare per corrispondenza o alle urne almeno per un periodo di due settimane. In Svizzera, ad esempio, i cittadini ricevono con sufficiente anticipo una busta contenente l'opuscolo informativo e la scheda elettorale. Il 95 per cento di essi esercita il voto tramite la posta determinando peraltro notevoli risparmi organizzativi;
chiunque goda di diritti politici deve avere la facoltà di firmare un'iniziativa popolare o una richiesta di referendum mentre ognuno, indipendentemente dal proprio godimento dei diritti politici, deve avere la facoltà di raccogliere le firme. Ciò significa che la facoltà di raccogliere
firme non deve essere attribuita solo agli elettori registrati, ma a tutti, inclusi gli stranieri e i minori. Questo vale in particolar modo per quanto concerne i testi riguardanti il loro status;laddove fosse richiesta un'autorizzazione per la raccolta delle firme per iniziative popolari o richieste di referendum sulle strade pubbliche, tale autorizzazione può essere rifiutata unicamente in casi specifici previsti dalla legge, sulla base di un interesse pubblico dominante o conformemente al principio di uguaglianza;
la segretezza del voto deve essere garantita. Durante il periodo di voto ognuno ha il diritto a una libera espressione della propria volontà, cioè in assoluta segretezza e senza alcuna interferenza o manipolazione. Anche per questa ragione, unita al fatto che una decisione democratica si basa sulla semplice maggioranza dei voti espressi, il quorum di partecipazione rischia di provocare strategie di boicottaggio e deformazione del principio della segretezza;
gli effetti della votazione popolare devono essere certi e produrre conseguenze giuridicamente vincolanti. Il ruolo del Parlamento e del Governo deve essere limitato all'applicazione della volontà della maggioranza dei voti espressi. Il risultato di un referendum può essere cambiato solo tramite un altro referendum;
è di vitale importanza una tutela giuridica appropriata. La possibilità di appellarsi all'autorità giudiziaria per protestare contro un risultato referendario deve essere garantita a ogni cittadino.
Tra le misure un particolare rilievo assume la rimozione del quorum di partecipazione, il quale rappresenta uno degli elementi più stigmatizzati dal Consiglio d'Europa ma che, nonostante ciò, continua a caratterizzare la normativa italiana. L'anacronismo appare ancora più evidente se ci si confronta con le democrazie occidentali (dove non esiste) e se si leggono nel dettaglio le raccomandazioni contenute nel Codice di buona condotta in materia di referendum: «È auspicabile non prevedere:
a) un quorum partecipativo (soglia, percentuale minima), poiché assimila gli elettori che si astengono a quelli che votano no;
b) un quorum approvativo (approvazione da parte di una percentuale minima di elettori registrati), poiché rischia di comportare una situazione politica difficile laddove il quesito venisse adottato da una maggioranza semplice, inferiore rispetto alla soglia necessaria.(...)
50. In base alla propria esperienza nel settore dei referendum, la Commissione di Venezia ha deciso di raccomandare che non vi siano disposizioni in merito alle norme sul quorum.
51. Il quorum dell'affluenza (percentuale minima) significa che è nell'interesse degli oppositori della proposta astenersi piuttosto che votare contro. Ad esempio, se il 48 per cento degli elettori è in favore di una proposta, il 5 per cento è contrario ed il 47 per cento intende astenersi, il 5 per cento degli oppositori deve limitarsi a non andare a votare per imporre il proprio punto di vista, anche se si tratta di una percentuale assolutamente minoritaria. Inoltre, la loro assenza dalla campagna referendaria aumenterà con tutta probabilità il numero delle astensioni e quindi la probabilità che il quorum non venga raggiunto. Incoraggiare l'astensione o l'imposizione del punto di vista di una minoranza non è sensato per la democrazia (punto III.7.a). Inoltre, vi è una grande tentazione di falsificare il tasso di affluenza dinanzi ad una opposizione debole.
52. Anche un quorum di approvazione (accettazione da parte di una percentuale minima di elettori registrati) potrebbe essere inconcludente. Potrebbe essere così alto da rendere il cambiamento troppo difficile. Laddove un testo venisse approvato – anche con un margine sostanziale – da una maggioranza degli elettori senza raggiungere il quorum, la situazione politica diventerebbe estremamente difficile, poiché la maggioranza si sentirebbe privata
L'evidenza di quanto raccomandato con chiarezza dal Consiglio d'Europa emerge anche dalle statistiche delle consultazioni convocate in Italia dal 1948 ad oggi. La media dell'affluenza delle votazioni popolari con quorum è stata del 54,4 per cento mentre la media relativa alle consultazioni popolari che non prevedevano alcun quorum è stata del 64,37 per cento. I dati avvalorano quindi la tesi che l'assenza del quorum comporta un'affluenza elettorale maggiore. Nel caso specifico risulta essere maggiore in misura del 10 per cento.
Le percentuali di partecipazione ai referendum abrogativi con quorum segnano peraltro una tendenza fortemente negativa come evidenziato dalla seguente tabella:
1974 87;7% 1990 43,4% 1999 49,6%
1978 81,2% 1991 62,4% 2000 32,5%
1981 79,4% 1993 77,1% 2003 35,7%
1985 77,9% 1995 57,9% 2005 25,9%
1987 65,1% 1997 30,3% 2009 23,8%
2011 54,8%
Invece, il referendum confermativo, previsto dall'articolo 138 della Costituzione per le leggi di revisione e le altre leggi costituzionali che non siano approvate da entrambe le Camere con almeno i due terzi dei voti nella seconda votazione e per il quale non è previsto alcun quorum di partecipazione, è stato un istituto sporadicamente utilizzato nel nostro Paese, a differenza di quanto avvenuto altrove, come in Svizzera, in Irlanda o nella maggior parte degli Stati degli USA. Infatti, in Italia sono stati convocati solo due referendum costituzionali.
Il primo si svolse nell'ottobre 2001. La partecipazione fu del 34,1 per cento degli eventi diritto al voto e le modifiche furono accettate con il 64,2 per cento dei voti favorevoli. Si trattava della riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione promossa dal Governo Prodi. Il secondo si tenne nel 2006 e con una partecipazione del 54,5 per cento, il 61,3 per cento dei votanti decise di non confermare la riforma costituzionale sottoposta referendum a seguito della richiesta di tutti i richiedenti che ne avevano diritto, mezzo milione di cittadini, cinque consigli regionali e più di un quinto dei membri di una delle due Camere. In sintesi, si trattava della riforma che mirava a introdurre la devoluzione dei poteri alla regioni, il superamento del bicameralismo perfetto e una figura più forte del Primo Ministro, riforma che fu quindi bocciata dai cittadini prima dell'entrata in vigore.
L'altro referendum senza quorum che si è svolto in Italia è stato quello consultivo del 18 giugno 1989, convocato in concomitanza con le elezioni europee per acquisire il parere popolare sul conferimento o no di un mandato costituente al Parlamento europeo eletto nella stessa occasione. Il referendum, al quale partecipò l'80,68 per cento degli aventi diritto al voto, fu indetto dopo l'approvazione di una legge ad hoc, non essendo previsto un istituto simile nella Costituzione.
Come ricorda Oskar Peterlini (autore dell'opera Instruments for direct democracy), primo firmatario nella scorsa legislatura di un disegno di legge costituzionale per l'introduzione dell'iniziativa popolare a voto popolare e per l'abbattimento strutturale del quorum (atto Camera n. 1428, XVI legislatura), il referendum abrogativo sembra da parecchio tempo entrato in crisi, «non perché manchino gli argomenti politici scottanti e il bisogno di partecipazione dei cittadini, ma perché il quorum non viene raggiunto»
1) i sostenitori del no vincono facilmente poiché, oltre a partecipare a una campagna per il no, la quale richiede soldi, tempo, energie, possono invitare i cittadini all'astensione, boicottando il referendum senza doversi impegnare in alcuna campagna;
2) i sostenitori del sì partono già svantaggiati. I referendum vengono infatti proposti dai cittadini quando l'amministrazione non ascolta le loro richieste, le quali, oltre ad avere maggiori possibilità in termini di soldi, tempo, interessi, capacità e attenzioni mediatiche, dispongono anche di un ulteriore e ingiusto vantaggio di invitare all'astensione;
3) bastone tra le ruote della democrazia. Il quorum è il metodo con cui chi ha il potere cerca il più possibile di tutelarsi dal controllo dei cittadini, salvando le apparenze democratiche. Infatti lo strumento del referendum viene dato in mano ai cittadini, ma poi viene molto limitato nel suo potere effettivo con l'introduzione del quorum che fa sì che venga sempre, o quasi sempre, invalidato;
4) meno dibattito e meno informazione. Finché ci sarà il quorum nei referendum, la campagna elettorale sarà svolta solo dai promotori del sì che si focalizzeranno solo sullo spingere i cittadini a partecipare al voto per superare il quorum. In assenza di quorum tutte le parti possono invece concentrarsi solo sulle loro argomentazioni pro e contro, aumentando la conoscenza dell'argomento nei cittadini e il loro impegno civico;
5) premio a chi non partecipa. Il quorum premia chi invita all'astensione e chi accetta il boicottaggio rimanendo a casa, cioè chi non vuole impegnarsi direttamente o preferisce scorciatoie scorrette pur di far vincere la sua posizione. Chi si informa e chi va a votare viene punito. Ciò crea una sempre maggiore delusione e distacco dei cittadini dalla politica attiva;
6) non c’è più il segreto del voto. Molto spesso a causa della presenza del quorum si recano alle urne solo i cittadini che votano sì, i quali risultano facilmente identificabili quando le percentuali di voto favorevole si avvicinano al 90 percento;
7) allontanamento delle persone dal voto. Quando non c’è il quorum le parti lottano con tutte le energie per assicurarsi il voto perché sanno che, indipendentemente
dall'affluenza, il risultato sarà comunque valido. Quindi tutte le parti fanno informazione nelle televisioni, nelle radio, con i volantini, con l'invio di lettere, con l'organizzazione di convegni, assemblee e manifestazioni. La gente così informata, discute dell'argomento e di conseguenza va a votare. Con il quorum avviene l'esatto contrario;8) se il quorum valesse anche nelle elezioni, molte sarebbero state invalidate. In Italia, nel voto elettorale comunale, provinciale, regionale, nazionale ed europeo non è previsto il quorum. Solo chi vota decide. Ad esempio, un numero significativo di elezioni comunali che si sono svolte nel maggio 2014 avrebbero dovuto essere invalidate per un'affluenza inferiore al 50 per cento;
9) la Costituzione permette referendum locali senza quorum. Con la sentenza n. 372 del 2004 la Corte costituzionale ha stabilito che l'articolo 75 della Costituzione che prevede il quorum a livello nazionale non comporta l'obbligo del quorum per i referendum previsti negli statuti degli enti locali; infatti almeno una decina di comuni italiani, tra i quali Vicenza, non hanno il quorum;
10) i cittadini non vogliono il quorum. Quando sono i cittadini a chiedere l'introduzione degli strumenti referendari, come in Svizzera nei primi anni del 1800 e in California e negli Stati a ovest degli USA nei primi anni del 1900, il quorum non viene mai introdotto. Accade il contrario quando gli strumenti referendari sono introdotti dagli amministratori eletti, come in Italia.
In sostanza, l'abolizione del quorum di partecipazione è il primo passo indispensabile per consentire ai cittadini di concorrere attivamente al processo decisionale democratico. Con l'abolizione del quorum si avrebbe il sicuro effetto di vedere sbocciare la democrazia diretta accanto a quella rappresentativa determinando l'indispensabile evoluzione verso la democrazia integrale.
4. Illustrazione della proposta di legge costituzionale.
Con la presente proposta di legge costituzionale vogliamo creare le condizioni per una vera partecipazione popolare ai processi decisionali a livello istituzionale attraverso un radicale ammodernamento degli istituti attualmente previsti.
A tale fine, si interviene sulle norme della Costituzione che regolano gli istituti referendari, nonché sull'articolo 73 che regola la promulgazione e l'entrata in vigore delle leggi e sull'articolo 80 che riguarda l'autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali.
La proposta di legge costituzionale è composta da quattro articoli.
L'articolo 1 sostiuisce l'articolo 73 della Costituzione, introducendo il referendum confermativo, un istituto senza limiti di materia, mediante il quale l'entrata in vigore di ogni legge viene sospesa fino alla proclamazione dell'esito referendario. Questo meccanismo non si applica unicamente per le leggi dichiarate urgenti e quelle di conversione dei decreti-legge, a meno che queste non abbiano una durata di validità che si protrae oltre i dodici mesi. Per agevolare l'utilizzo dello strumento referendario è stata prevista una soglia di 250.000 firme per la richiesta di referendum, ovvero lo 0,5 per cento degli aventi diritto al voto. La conseguenza dell'introduzione di questa norma è di indurre le istituzioni all'ascolto di tutti i soggetti interessati e di assicurarsi che le leggi siano scritte nell'interesse della collettività. L'effetto sospensivo del referendum confermativo, che
produce i propri effetti prima dell'entrata in vigore della legge che ne forma oggetto, comporta diversi risultati positivi. Infatti, qualora il popolo decidesse di non approvare le leggi sottoposte a referendum confermativo queste non produrrebbero alcun effetto e quindi non vi sarebbe nessuna situazione da ripristinare. Inoltre, non si corre il rischio di creare vuoti normativi dovuti alla mera abrogazione di una legge.
1. L'articolo 73 della Costituzione è sostituito dal seguente:
«Art. 73. – Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro trenta giorni dall'approvazione.
Le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore novanta giorni dopo la pubblicazione, salvo che entro tale termine 250.000 elettori chiedano un referendum confermativo. In questo caso l'entrata in vigore è sospesa fino alla proclamazione dell'esito del referendum. La legge entra in vigore se approvata con la maggioranza dei voti validamente espressi.
Le Camere possono dichiarare una legge urgente, deliberando entrambe a maggioranza assoluta dei propri componenti. In questo caso la legge entra in vigore il giorno successivo alla pubblicazione, salvo che la legge stessa stabilisca un termine diverso.
Le leggi di conversione dei decreti-legge sono dotate del requisito dell'urgenza senza necessità di un'apposita deliberazione delle Camere.
Le leggi dichiarate urgenti e quelle di conversione dei decreti-legge contenenti disposizioni la cui efficacia si protragga oltre dodici mesi sono sottoposte a referendum confermativo entro dodici mesi dalla data della loro entrata in vigore. Se non sono approvate perdono di efficacia fin dall'inizio e non possono essere reiterate».
1. L'articolo 75 della Costituzione è sostituito dal seguente:
«Art. 75. – In qualsiasi momento gli elettori possono chiedere che sia sottoposto
1. All'articolo 80 della Costituzione è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«Le leggi previste dal primo comma sono sottoposte a referendum popolare entro centottanta giorni dalla data della loro approvazione. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validamente espressi».
1. L'articolo 138 della Costituzione è sostituito dal seguente:
«Art. 138. – Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi e sono approvate a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.
Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare entro centottanta giorni dalla data della loro approvazione.
La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validamente espressi».