Organo inesistente

XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 3124


PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE
d'iniziativa dei deputati
FRACCARO, NUTI, TONINELLI, COZZOLINO, CECCONI, DADONE, DIENI, D'AMBROSIO, AGOSTINELLI, ALBERTI, BARONI, BASILIO, BATTELLI, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, PAOLO BERNINI, NICOLA BIANCHI, BONAFEDE, BRESCIA, BRUGNEROTTO, BUSINAROLO, BUSTO, CANCELLERI, CARIELLO, CARINELLI, CASO, CASTELLI, CHIMIENTI, CIPRINI, COLLETTI, COLONNESE, COMINARDI, CORDA, CRIPPA, DA VILLA, DAGA, DALL'OSSO, DE LORENZIS, DE ROSA, DEL GROSSO, DELLA VALLE, DELL'ORCO, DI BATTISTA, DI BENEDETTO, LUIGI DI MAIO, MANLIO DI STEFANO, DI VITA, D'INCÀ, D'UVA, FANTINATI, FERRARESI, FICO, FRUSONE, GAGNARLI, GALLINELLA, LUIGI GALLO, SILVIA GIORDANO, GRANDE, GRILLO, L'ABBATE, LIUZZI, LOMBARDI, LOREFICE, LUPO, MANNINO, MANTERO, MARZANA, MICILLO, NESCI, PARENTELA, PESCO, PETRAROLI, PISANO, RIZZO, PAOLO NICOLÒ ROMANO, RUOCCO, SARTI, SCAGLIUSI, SIBILIA, SORIAL, SPADONI, SPESSOTTO, TERZONI, TOFALO, TRIPIEDI, VACCA, SIMONE VALENTE, VALLASCAS, VIGNAROLI, VILLAROSA, ZOLEZZI
Modifiche agli articoli 73, 75, 80 e 138 della Costituzione, in materia di democrazia diretta
Presentata il 19 maggio 2015


      

torna su
Onorevoli Colleghi!

1. Democrazia e felicità.

      Già nel diciottesimo secolo Jean-Jacques Rousseau, nel Contratto sociale, mise l'una accanto all'altra le dimensioni della democrazia, del dovere civico e della felicità: «Nato cittadino di uno stato libero e membro del corpo sovrano, per quanto debole sia l'influenza che la mia voce può avere negli affari pubblici, il diritto di votare su di

essi è sufficiente a impormi il dovere di rendermene edotto: felice, ogni volta che medito sui governi, di trovare nelle mie ricerche sempre nuove ragioni per amare quello del mio paese». Il pensiero di Rousseau, che poneva al centro dello Stato democratico la sovranità del popolo, contribuì a ispirare gli ideali della Rivoluzione francese, innescando una serie di eventi storici che segnarono l'apertura di una nuova epoca. Due secoli e mezzo più tardi l'espressione di quel pensiero rimane ancora di stretta attualità. Il raggiungimento e il mantenimento della relazione circolare tra il godimento dei diritti politici e le condizioni che favoriscono l'appagamento, nel rispettare liberamente e con lietitudine le norme dettate dal corpo sociale stesso, è una sfida ancora in corso.
      La relazione tra democrazia e felicità è invero un tema affrontato anche dai costituzionalisti dei giorni nostri tanto che Gustavo Zagrebelsky, nell'opera La felicità della democrazia, afferma: «forse dal punto di vista della felicità-infelicità, potremmo dire così: la democrazia è il modo più sopportabile di sopportare l'infelicità, il modo più umano, compassionevole, conviviale, in una parola, mite, di organizzare l'infelicità dell’humana condicio, riducendo al minimo la prepotenza, il disprezzo, la sopraffazione e, soprattutto, distribuendone il peso sul maggior numero possibile in una specie di mobilitazione generale delle umane imperfezioni». In sintesi, un'equa e proporzionata distribuzione delle imperfezioni umane e del potere è una condizione indispensabile per poter ambire all'armonia sociale, alla convivenza pacifica e quindi alla felicità.
      Tale affermazione trova riscontro anche da un punto di vista empirico e i risultati di ricerche transdisciplinari sul fenomeno ne dimostrano la validità. Uno dei primi ricercatori a occuparsi della tematica fu Putnam (nell'opera La tradizione civica nelle regioni italiane), il quale rilevò una forte relazione tra senso civico, sviluppo economico ed efficienza della pubblica amministrazione. Per valutare il senso civico egli propose i seguenti indicatori: l'affluenza ai referendum, il numero di quotidiani letti e il livello di partecipazione alla vita sociale in club e associazioni. Lo studioso americano arrivò alla conclusione che, nelle aree dove il senso civico è più alto, l'economia prospera e l'amministrazione è più efficiente.
      Successivamente, ricerche comparative hanno mostrato che non è la cultura civica che determina la qualità della democrazia ma, piuttosto, il contrario. Da una parte, gli scienziati politici Muller e Seligson (autori del saggio Civic culture and democracy: The question of causal relationships) arrivarono alla conclusione che «la fiducia interpersonale appare chiaramente essere un effetto piuttosto che la causa della democrazia». Dall'altra, gli economisti svizzeri Frey e Stutzer dimostrarono empiricamente il legame tra felicità ed economia e tra felicità e democrazia, integrando alla disamina econometrica intuizioni e scoperte della psicologia, della sociologia e delle scienze politiche. La loro ricerca prese come terreno di studio la Svizzera, Paese dove i diversi gradi di democrazia diretta dei cantoni all'interno di un unico sistema economico consentono di isolare gli effetti politici dagli effetti economici. Sulla base di tale presupposto, i due economisti rilevarono che più le istituzioni sono democratiche e il grado di autonomia locale è elevato, più il grado di percezione della qualità della vita e di soddisfazione delle persone è elevato. In conclusione, mentre alcuni fattori, tra i quali il crescente aumento del reddito, incidono sulla felicità personale solo in minima parte e solo fino a una certa soglia, le istituzioni che favoriscono un maggiore coinvolgimento individuale nella politica hanno un impatto sensibilmente superiore. Nella ricerca, gli indicatori del coinvolgimento dei cittadini furono determinati non solo dalla presenza dei referendum e dell'iniziativa popolare, ma soprattutto dagli elementi che ne condizionano il grado di apertura e di vicinanza ai cittadini: le materie per le quali è previsto un referendum confermativo obbligatorio, il numero delle firme necessarie per richiedere una votazione popolare e l'assenza di limiti di materia per poter richiedere una votazione popolare.
      La bontà di tale teoria si constata con evidenza dai comportamenti sociali virtuosi che hanno luogo in un Paese confinante con l'Italia, la Svizzera. Come ribadito anche da Bruno Kaufmann, presidente dell'Istituto europeo per l'iniziativa e il referendum, anche se a livello federale nove iniziative su dieci falliscono all'urna, si continuano a lanciare continuamente nuove iniziative rigenerando in continuazione le aspettative e il senso di appartenenza dei cittadini. Esse contribuiscono a movimentare la vita politica quotidiana, a tenere alto il grado di attenzione della classe politica e a stimolare il dibattito pubblico. Il regolare esercizio dei diritti politici e il potenziale di partecipare esteso a tutti i cittadini sono i punti qualificanti. I promotori sanno bene che possono provocare reazioni, anche se, alla fine, soccomberanno alla votazione popolare. In tal senso Bruno Kaufmann, Rolf Büchi e Nadja Braun (in Guida alla democrazia diretta – In Svizzera e oltre frontiera) sottolineano: «perché le iniziative popolari non sono giochi a somma zero, nei quali gli uni vincono tutto e gli altri perdono tutto. Non è un caso che nove su dieci svizzeri non siano disposti a limitare le ampie possibilità di partecipazione delle quali dispongono con gli utensili messi a disposizione dalla democrazia diretta».
      La possibilità di prevedere iniziative e referendum per effettuare votazioni popolari su temi reali serve da specchio alla società, dandole un senso e indicando la direzione da seguire. Pertanto, l'introduzione della democrazia diretta rappresenta senza alcun dubbio un progresso democratico che soddisfa i cittadini e in ultima istanza li rende felici. Il numero di quanti possono farsi sentire nel processo politico è maggiore rispetto all'impianto rappresentativo che monopolizza tutte le decisioni, le quali, spesso, non sono condivise nemmeno da chi le approva.
      Il concetto esplicato da Kaufmann è l'effetto naturale di un principio che, in Svizzera, vige ormai da più di un secolo e al quale i cittadini non vogliono assolutamente rinunciare, è quello della partecipazione diretta. Tale principio trova la sua applicazione pratica nell'impianto costituzionale che il giurista Étienne Grisel (in Initiative et référendum populaires, traité de la démocratie semi-directe en droit suisse) descrive come il «sistema in cui le autorità statali non solo sono elette dai cittadini ma sono anche subordinate alle loro decisioni».
      Tale principio trova peraltro fondamento a livello etico e filosofico anche nella Dichiarazione universale dei diritti umani approvata il 10 dicembre 1948, nel cui preambolo si sancisce che i diritti ivi elencati sono considerati dalla gran parte delle nazioni civili alla stregua di princìpi inalienabili del diritto internazionale generale e rappresentano la più alta aspirazione dell'uomo. In riferimento alla partecipazione diretta, all'articolo 21 la Dichiarazione afferma: «Ogni individuo ha diritto di partecipare al governo del proprio paese, sia direttamente, sia attraverso rappresentanti liberamente scelti». Quelle descritte sono le condizioni etiche e giuridiche indispensabili per soddisfare le esigenze di partecipazione dei cittadini e, in ultima istanza, per tendere alla felicità del corpo sociale.
      Gli istituti di democrazia rappresentano un pilastro insostituibile del sistema politico elvetico. Per gli svizzeri tali condizioni sono ben chiare tanto che in più di un'occasione si sono opposti ai tentativi di riforma dei loro diritti, ai quali sono chiaramente legati a livello federale e ancora di più a livello cantonale e comunale.
      L'aspetto interessante però è che non sono solo i cittadini a non voler rinunciare a tali diritti. In Svizzera anche i politici si sono adattati a un modo di fare politica differente, come si evince dalle parole di Peter Maurer, segretario di Stato della Confederazione, che in un'intervista rilasciata a Lucio Caracciolo asserisce: «ciò che ho imparato in venticinque anni di diplomazia e di contatti con il mondo esterno è che ci sono sempre temi su cui la pensiamo diversamente, anche con i nostri vicini. Perché è diverso il nostro approccio. Vede, noi svizzeri abbiamo sempre il riflesso di pensare bottom up, dal basso verso l'alto» e aggiunge: «io invece, quando ho a che fare con una questione, mi domando innanzitutto: che cosa vuole la gente? Che cosa vogliono i miei concittadini, ma anche le parti interessate? Gli svizzeri pensano in modo processuale. Non hanno idee fisse. Vogliono risolvere il problema attraverso un processo che coinvolga tutti e produca un esito legittimante».
      La Svizzera è quindi il luogo dove le idee che sono a fondamento delle istituzioni repubblicane e della democrazia partecipata sono nate e si sono sviluppate. Pensatori come Rousseau e Constant sono nati rispettivamente a Ginevra e a Losanna, mentre i diritti referendari e dell'iniziativa popolare sono stati formalmente introdotti nell'ordinamento giuridico della Confederazione già nel diciannovesimo secolo. Tuttavia, la Svizzera è solo il punto di partenza della democrazia e della partecipazione popolare diretta nelle scelte politiche.
      Gli Stati Uniti d'America (USA) sono l'altra nazione che, a livello statale, ha accolto e applicato tali princìpi e che in seguito analizzeremo soffermandoci in particolare sulla California, Stato federato con quasi 40 milioni di abitanti e caratterizzato da un livello di democrazia diretta piuttosto alto. Inoltre, anche a livello mondiale la tendenza è a un uso sempre più intenso dello strumento referendario. Una tendenza che si è sensibilmente accentuata negli ultimi due decenni. Oltre agli esempi europei, in primis la Svizzera, e nordamericani, gli altri casi sono rappresentati dalla British Columbia e dall'Ontario in Canada; mentre altre nazioni che fanno uso del referendum sono Taiwan, Uruguay, Venezuela, Equador, Algeria e Nuova Zelanda.

2. Referendum confermativo e iniziativa popolare.

      Il referendum propositivo, all'estero comunemente definito iniziativa popolare, e il referendum confermativo, il quale può essere obbligatorio o facoltativo, sono l'acceleratore e il freno di emergenza che consentono ai cittadini di intervenire direttamente nei processi decisionali. Sono i contrappesi che permettono di bilanciare l'azione degli organi dello Stato e che garantiscono la separazione dei poteri. Sono inoltre, gli strumenti che consentono di realizzare pienamente la sovranità popolare qualora la democrazia rappresentativa non fosse in grado di farlo.
      L'iniziativa popolare è una componente essenziale dei diritti politici di cui tutti i cittadini dovrebbero godere. Si tratta di quel procedimento di democrazia diretta che consente a un prescritto numero di cittadini di porre la propria proposta all'ordine del giorno e di chiedere una votazione popolare. Tale proposta può essere una modifica alla Costituzione, l'adozione di una nuova legge, la modifica o l'abrogazione di una legge in vigore. Non spetta agli organi costituzionali decidere se sottoporre o no la proposta avanzata al vaglio dei cittadini. Tale facoltà spetta solo ai promotori. La procedura di iniziativa può invece contenere una clausola che abilita il comitato promotore a revocare la propria proposta. Ciò può verificarsi nel caso in cui, prima dello svolgimento della votazione popolare, vengano meno i presupposti che hanno motivato l'iniziativa. Tale ipotesi è possibile, ad esempio, in conseguenza dell'approvazione di un provvedimento da parte del legislatore che interviene nel processo con la cosiddetta controproposta (o controprogetto) accogliendo le istanze contenute nell'iniziativa dei cittadini.
      Il referendum confermativo è invece la procedura di democrazia diretta che prevede la votazione popolare su una modifica costituzionale o su una legge ordinaria prima della sua entrata in vigore. Corrisponde al diritto da parte del corpo elettorale di accettare o respingere una modifica alla Costituzione, una legge o un decreto proposti dal Parlamento, dal Governo oppure da un'iniziativa popolare. È da sottolineare che una votazione popolare controllata «dall'alto» non è un referendum bensì un plebiscito.


      Il referendum può essere obbligatorio quando è indetto nei casi previsti dalla legge, ad esempio a seguito delle modifiche costituzionali, oppure facoltativo quando è indetto su richiesta di un determinato numero di elettori previa raccolta delle firme entro i termini prescritti dalla legge. L'auspicio è che tutte le modifiche costituzionali siano sottoposte a referendum confermativo a prescindere dalla percentuale con cui l'Assemblea legislativa le ha approvate.
      In Svizzera il referendum confermativo esiste dal 1848. Il referendum è obbligatorio per tutte le modifiche costituzionali mentre è facoltativo per le leggi e le risoluzioni federali. Per poter richiedere un referendum sono sufficienti 50.000 firme, corrispondenti all'1 per cento degli aventi diritti al voto, da depositare entro cento giorni dalla pubblicazione della legge. Se entro questo lasso di tempo non giunge alcuna richiesta di referendum la legge entra in vigore. Diversamente, si procede con la votazione popolare in occasione di una delle date già prefissate e che sono programmate su base ventennale.
      Gli aventi diritto di voto possono chiedere di sottoporre a votazione popolare una loro proposta di modifica dalla Costituzione federale. Per la riuscita formale di un'iniziativa sono necessarie le firme di 100.000 aventi diritto di voto, raccolte entro diciotto mesi.
      Come illustrato in una nota storica da Bernard Degen, l'iniziativa popolare fu introdotta a livello federale dai cattolici-conservatori nel 1891 dopo almeno quattro decenni di richieste e tentativi. L'iniziativa può essere presentata in forma di proposta generica – come avviene molto spesso – o in forma di progetto già elaborato, il cui tenore non può essere modificato dal Parlamento o dal Consiglio federale. Le autorità reagiscono spesso a un'iniziativa popolare, presentando un controprogetto più moderato, nella speranza che quest'ultimo sia accettato dal popolo e dai cantoni. Dal 1987, nelle votazioni popolari sulle iniziative, esiste la possibilità del doppio sì: è quindi possibile approvare sia l'iniziativa sia il controprogetto; con una domanda risolutiva si stabilisce quale dei due testi entra in vigore nel caso in cui entrambi ottengano la maggioranza dei votanti e dei cantoni.
      Dal 1848 sono stati convocati 217 referendum obbligatori di cui 162 approvati (ovvero è stata confermata la modifica alla Costituzione) e 55 respinti mentre i referendum facoltativi richiesti dai cittadini sono stati 176 di cui 98 approvati e 78 bocciati. Dal 1891 al giugno 2014 sono state sottoposte al voto 191 iniziative popolari. Delle 175 votate senza controprogetto ne sono state approvate 19. Delle 16 votate con controprogetto ne sono state approvate 3. I controprogetti approvati sono stati invece 6. Da notare come questi numeri non considerino le iniziative popolari che, pur avendo raccolto le firme necessarie, sono state ritirate (ben 69 fino al 2000). In molti casi, infatti, i promotori optano per il ritiro dell'iniziativa dopo che le istituzioni hanno colto il significato della proposta e l'hanno tradotto in leggi o atti federali: in questi casi le richieste dei cittadini sono state soddisfatte senza alcuna modifica costituzionale.
      In 166 anni di democrazia diretta a livello federale (fino al giugno 2014), le votazioni popolari sono state 584. Mediamente i quesiti sottoposti all'attenzione dei cittadini svizzeri sono stati 3,5 all'anno. A questi numeri andrebbero aggiunte anche le votazioni a livello cantonale e a livello comunale, le quali hanno luogo nelle stesse date programmate per le votazioni o le elezioni. A livello federale, sono programmate 4 votazioni popolari all'anno con un'unica eccezione. Ogni quattro anni, infatti, hanno luogo le consultazioni elettorali, in occasione delle quali non sono convocate votazioni su iniziative popolari o referendum federali.
      Insieme alla Svizzera, gli USA sono un altro riferimento importante per quanto riguarda l'uso degli strumenti di democrazia diretta. In circa la metà degli Stati della Confederazione ai cittadini sono esplicitamente attribuite funzioni legislative. Tali diritti sono stati inseriti negli ordinamenti degli Stati nel cosiddetto periodo della progressive era, compresa indicativamente fra il 1898 e il 1920. Se in Svizzera i promotori della democrazia diretta furono i conservatori cattolici, negli USA furono gli attivisti che lottavano contro la corruzione e per il progresso sociale a farsi carico della promozione. Il loro scopo fu quello di eliminare la corruttela all'interno del Governo sottoponendo i rappresentanti a un controllo diretto attraverso il referendum e la revoca degli eletti, introducendo norme per limitare i grandi monopoli e difendendo l'introduzione del suffragio femminile. L'attivismo sociale di quel tempo consentì riforme epocali in settori come il Governo, l'educazione pubblica, la medicina, la finanza, le ferrovie e le strade, oltre che valorizzare i contributi delle scienze sociali, politiche ed economiche rendendo più efficaci e pragmatiche le politiche pubbliche. Esponenti del progressive movement furono figure del calibro di Theodore Roosevelt e Woodrow Wilson, i quali divennero entrambi Presidenti degli USA rispettivamente nei periodi 1901-1909 e 1913-1921.
      Il primo Stato a introdurre strumenti di democrazia diretta fu l'Oregon nel 1902 grazie al partito populista, seguito poi da tutti gli altri Stati, tra i quali la California, il Colorado e Washington, territori tuttora caratterizzati da livelli di innovazione economica e da un progresso sociale superiori alla media.
      Gli strumenti presenti negli USA sono:

          l'iniziativa per emendamenti costituzionali (constitutional amendment initiative) attraverso la quale i cittadini hanno piena sovranità per quanto riguarda i loro diritti potendo approvare direttamente le modifiche alla Costituzione del loro Stato. Tale strumento è presente in 18 Stati;

          l'iniziativa per leggi ordinarie (statute law initiative), con la quale i cittadini possono approvare direttamente leggi inferiori al rango costituzionale. Per avviare tale procedura è necessario normalmente un numero inferiore di firme. Tale istituto esiste in 21 Stati;

          il referendum confermativo facoltativo per le leggi ordinarie (statute law referendum) è sostanzialmente lo strumento per garantire il diritto di veto ai cittadini sulle leggi emanate dagli organi rappresentativi. Esso esiste in 24 Stati;

          il referendum costituzionale (constitutional amendment referral) esistente in 49 Stati. L'unico a non prevederlo è il Delaware.

      La California è uno degli Stati che nel proprio ordinamento ha previsto tutti gli strumenti menzionati. Inoltre, gli strumenti di democrazia diretta non sono previsti solo per il livello statale ma anche per tutti gli altri livelli amministrativi, incluse le contee e le città. Il Golden state, localizzato sulla costa pacifica e con quasi 40 milioni di abitanti, è lo Stato più popoloso e il più variegato da un punto di vista sociale degli USA. Dal punto di vista della dimensione demografica, fra gli Stati della Confederazione è quello che più si avvicina all'Italia, mentre dal punto di vista del progresso e dell'innovazione è decisamente un territorio di avanguardia al quale guardare. Queste sono le due motivazioni principali che inducono a prendere la California come modello per una comparazione dei singoli strumenti di democrazia diretta.
      Inizialmente gli strumenti di democrazia diretta furono introdotti a livello locale. Ad esempio, nella città di Los Angeles l'iniziativa, il referendum e il richiamo degli eletti furono inseriti nello statuto locale già nel 1903. Tra le varie iniziative vale la pena ricordarne una al fine di comprendere il contesto politico del tempo. Nel 1911 fu approvata l'iniziativa per creare un giornale di proprietà municipale ma indipendente per quanto riguardava la linea editoriale. La motivazione fu quella di garantire il pluralismo informativo offrendo un'alternativa al Los Angeles Times, il quale aveva una linea editoriale antiriformista e che si opponeva ai diritti dei lavoratori. Lo scopo dell'iniziativa fu quindi creare un organo che permettesse di produrre notizie imparziali e di offrire uno spazio per un forum pubblico e di discussione al quale tutti

potessero accedere. Ogni partito politico aveva una colonna garantita per ogni edizione settimanale. Questo esperimento attrasse i talenti migliori ma dopo meno di un anno fu bloccato a seguito dell'azione dei venditori e dal boicottaggio degli inserzionisti organizzato dal padrone del Los Angeles Times. Questo esempio, seppure osteggiato dai poteri economici dominanti dell'epoca, sottolinea quindi il contesto e le ragioni che portarono a rafforzare gli strumenti popolari e anche le resistenze alla loro introduzione e dimostra il potenziale di innovazione nei confronti delle storture del sistema.
      In California l'iniziativa a livello statale fu introdotta nel 1911 insieme al referendum e alla revoca degli eletti. Tra le prime iniziative, estremamente significative quelle per l'abolizione della poll tax, una tassa pensata per disincentivare il voto degli afroamericani e delle classi meno abbienti, e per l'approvazione dell'emissione di bond statali (1,8 milioni di dollari) destinati alla creazione di un fondo per il completamento e la costruzione di edifici presso l'università della California a Berkeley (1914). Entrambe furono approvate con voto popolare.
      Negli anni più recenti in California sono state votate iniziative sulle questioni più diverse. Vale la pena menzionare le votazioni inerenti il matrimonio fra soggetti dello stesso sesso, la regolamentazione dell'uso delle droghe leggere e l'impiego di organismi geneticamente modificati in agricoltura. Tali iniziative, pur non avendo raggiunto il risultato auspicato dai promotori, hanno determinato un incremento significativo della consapevolezza sociale e portato nell'agenda politica temi altrimenti messi in secondo piano a causa della paura dei politici temi altrimenti messi in secondo piano a causa della paura dei politici di affrontarli. I risultati, anche in questo, caso, sono stati conseguiti nel medio termine. Basti pensare alla recente sentenza sui matrimoni tra omosessuali della Corte Suprema americana.
      Nei primi cento anni di storia (dal 1911 al 2010) sono state lanciate più di 1.600 iniziative delle quali 338 hanno soddisfatto tutti i requisiti per essere sottoposte a voto popolare (Ballot Measurers, Secretary of State of California www.sos.ca.gov/). Delle 338 sottoposte a voto popolare ne sono state approvate 112. La percentuale di successo è stata quindi del 33 per cento. Una parte delle iniziative di successo erano emendamenti alla Costituzione, i quali possono essere promossi da due terzi dei voti di entrambe le camere dello stato o semplicemente con la maggioranza dei voti validi del voto popolare.
      L'ultimo emendamento alla Costituzione californiana riguarda un nuovo modello di conduzione delle elezioni primarie (Top Two Primaries Act, 2010), il quale non fu un'iniziativa popolare pura (initiated constitutional amendment) bensì di un referendum confermativo obbligatorio o referendum costituzionale (legislatively-referred constitutional amendment). La modifica infatti, prima fu approvata da Camera e Senato della California e poi fu confermata dalla maggioranza dei cittadini votanti. In tal senso, il referendum costituzionale obbligatorio, seppure con differenti regole e procedure, esiste in 49 Stati dell'Unione.
      L'articolo della Costituzione californiana (www.leginfo.ca.gov/) che regola la materia è l'articolo 2, intitolato «Voto, Iniziativa e Referendum, Revoca». L'articolo è costituito da 29 sezioni le quali sono estremamente brevi e spesso caratterizzate da un semplice frase. Le sezioni 8, 10, 11 e 12 regolano l'iniziativa includendo i dettagli relativi al numero delle firme, ai termini per la presentazione e agli aspetti procedurali. La sezione n. 1 è la più significativa e richiama perentoriamente l'importanza attribuita al popolo, e quindi all'intero corpo elettorale, nell'assetto istituzionale: «1. All political power is inherent in the people. Government is instituted for their protection, security, and benefit, and they have the right to alter or reform it when the public good may require» (Tutto il potere politico è insito nel popolo. Il Governo è istituito per la protezione, la sicurezza e il beneficio del popolo. Il popolo ha il diritto di alterare o riformare il Governo quando il bene pubblico lo richieda).
      Infine è necessario menzionare che, oltre che in Svizzera e in una buona parte degli Stati degli USA, il referendum confermativo obbligatorio per ogni modifica costituzionale esiste anche in Irlanda. Nell'articolo 47 della Costituzione è esplicitato che la stessa Costituzione non può essere modificata se non dopo che il popolo l'abbia acconsentito. Dal 1937 al 2013, anno in cui è entrata in vigore l'attuale Costituzione irlandese, i cittadini si sono espressi su 33 emendamenti costituzionali. I cittadini non ne hanno accolti 11, ovvero il 30 per cento delle modifiche approvate dal potere legislativo. L'ultima votazione ha avuto luogo nell'ottobre 2013. Con un'affluenza del 39,2 per cento, l'emendamento n. 32 che prevedeva l'abolizione del Senato è stato bocciato dal 51,7 per cento dei votanti mentre l'emendamento n. 33 che prevedeva l'introduzione di un nuovo sistema di appello per alleggerire il lavoro della Corte suprema è stato accettato dal 65,2 per cento dei votanti. Dopo la pubblicazione di questa relazione, fra le altre, nel maggio 2015 ha avuto luogo un'altra votazione, la quale ha avuto un risalto mediatico mondiale. Il popolo irlandese ha approvato una modifica costituzionale che prevede l'equiparazione tra matrimonio eterosessuale e matrimonio omosessuale. La proposta sul referendum era stata avanzata da una «Convenzione costituzionale», un forum costituito in maggioranza da cittadini estratti a sorte in base al principio della demosortecrazia.
      Anche in Danimarca è prevista tale possibilità anche se non così netta, bensì, con modalità prossime a quelle previste dalla Costituzione italiana. L'articolo 20, comma 2, della Carta costituzionale danese stabilisce che i disegni di legge con i quali si attribuiscono competenze a organizzazioni internazionali devono essere approvati a maggioranza dei cinque sesti dei componenti del Parlamento (quindi con il consenso di almeno 149 membri su 179). Qualora non si raggiunga una tale maggioranza, ma l'approvazione avvenga comunque a maggioranza semplice, e se il Governo sostiene il disegno di legge, quest'ultimo è sottoposto a referendum popolare, che ne determina l'approvazione o il rigetto.
      L'aspetto interessante è che, quando si sono svolti referendum confermativi su trattati comunitari, anche se con diversi meccanismi di attivazione, i cittadini hanno una maggiore consapevolezza sull'ordinamento delle istituzioni europee e sul loro funzionamento rispetto ai cittadini degli altri Paesi europei dove non vi è stata nessuna consultazione. Tale differenza in termini di consapevolezza risulta essere particolarmente significativa come rilevato da diverse ricerche condotte a livello europeo. Tra i Paesi con il più alto grado di consapevolezza troviamo appunto l'Irlanda e la Danimarca, nazioni dove sono state convocate consultazioni referendarie sull'Unione europea.

3. Le misure di contesto come condizione essenziale e il quorum.

      Gli istituti dell'iniziativa popolare e del referendum confermativo presi singolarmente hanno un'efficacia ridotta se non sono circondati da una serie di garanzie. Come raccomandato dall'IRI Europe (in The IRI Europe Toolkit for Free and Fair Referendums and Citizens Initiatives, Amsterdam) e dalla Commissione di Venezia del Consiglio d'Europa (nel Code of Good Practice on Referendums del 2007) gli aspetti procedurali e di contesto sono fondamentali per assicurare la correttezza del voto e quindi risultati ottimali.
      I suggerimenti dell'Istituto europeo per l'iniziativa e il referendum illustrati nel Manuale per referendum liberi ed equi sono i seguenti:

          il punto di partenza di una votazione popolare è decisivo. Un processo avviato esclusivamente dal Presidente o dal Governo (plebiscito) tende a essere molto «meno libero» e imparziale di un referendum costituzionale o popolare. Al contrario, gli strumenti di democrazia diretta devono consentire alle minoranze di far sentire la propria voce e di proporre temi che altrimenti la rappresentanza politica dei partiti non affronterebbe. La soglia delle firme necessarie e il tempo necessario

per poter proporre un'iniziativa popolare o un referendum confermativo devono quindi consentire alle minoranza di accedere agli strumenti;

          le sottoscrizioni devono poter essere raccolte liberamente per strada e gli uffici preposti al controllo e alla certificazione delle firme devono facilitare gli adempimenti burocratici;

          i cittadini dovrebbero potersi esprimere sulle stesse materie sulle quali i rappresentanti politici hanno diritto di iniziativa. Gli unici vincoli dovrebbero riguardare unità di materia, unità di forma e la compatibilità con le norme del diritto internazionale vigente;

          la legislazione relativa alla partecipazione popolare e all’iter della democrazia diretta può essere modificata solo per iniziativa dei cittadini o con l'accettazione dei cittadini se la modifica avviene per iniziativa dei poteri dello Stato. Tale clausola di salvaguardia è per evitare che l'insieme e la coerenza delle norme nell'interesse dei cittadini non siano sovvertiti dagli organi dello Stato;

          il dibattito democratico richiede tempi certi ma allo stesso tempo sufficienti per poter approfondire la discussione. Il lasso di tempo che decorre tra l'annuncio del referendum e il giorno del voto è critico e non dovrebbe essere inferiore a sei mesi;

          la trasparenza sui finanziamenti alle iniziative e alle campagne referendarie per prevenire distorsioni sulle pari opportunità nell'accesso alle informazioni è un prerequisito fondamentale per il corretto svolgimento delle votazioni. L'introduzione dell'obbligo di notificare le fonti dei contributi finanziari alle campagne che precedono le votazioni e la relativa pubblicazione, riveste una grande importanza. Inoltre, è altrettanto utile imporre un limite massimo alle spese e ai contributi statali;

          la parità di accesso ai mezzi di informazione (innanzitutto quelli pubblici ed elettronici), così come la divulgazione di un'informazione bilanciata e indipendente sono aspetti di importanza vitale per campagne referendarie imparziali, possibilmente sotto la supervisione di un organismo indipendente. L'informazione istituzionale a mezzo di un opuscolo informativo per tutti i cittadini in vista di una votazione è una soluzione desiderabile;

          l'eguaglianza delle opportunità deve essere garantita ai sostenitori e agli oppositori della proposta oggetto di votazione. Ciò implica la neutralità da parte delle autorità amministrative, soprattutto in relazione alla campagna referendaria, alla copertura da parte dei mezzi di informazione (in particolare quelli pubblici), al finanziamento pubblico della campagna e dei suoi attori, all'affissione di manifesti, alla pubblicità e al diritto di manifestare;

          le votazioni referendarie non dovrebbero essere convocate in concomitanza con le elezioni quando riguardano lo stesso ambito di governo. Infatti, far coincidere la data di una votazione referendaria con quella delle votazioni elettorali rischia di far confondere la politica partitica con il tema oggetto di votazione. Ciò deve essere evitato assolutamente, specialmente nei Paesi che non fanno spesso ricorso al referendum;

          dal momento che il referendum è un processo che si svolge in più fasi, la fase di voto dovrebbe durare più di un solo giorno. Per facilitare il più possibile la partecipazione al voto, i cittadini dovrebbero avere la possibilità di votare per corrispondenza o alle urne almeno per un periodo di due settimane. In Svizzera, ad esempio, i cittadini ricevono con sufficiente anticipo una busta contenente l'opuscolo informativo e la scheda elettorale. Il 95 per cento di essi esercita il voto tramite la posta determinando peraltro notevoli risparmi organizzativi;

          chiunque goda di diritti politici deve avere la facoltà di firmare un'iniziativa popolare o una richiesta di referendum mentre ognuno, indipendentemente dal proprio godimento dei diritti politici, deve avere la facoltà di raccogliere le firme. Ciò significa che la facoltà di raccogliere

firme non deve essere attribuita solo agli elettori registrati, ma a tutti, inclusi gli stranieri e i minori. Questo vale in particolar modo per quanto concerne i testi riguardanti il loro status;

          laddove fosse richiesta un'autorizzazione per la raccolta delle firme per iniziative popolari o richieste di referendum sulle strade pubbliche, tale autorizzazione può essere rifiutata unicamente in casi specifici previsti dalla legge, sulla base di un interesse pubblico dominante o conformemente al principio di uguaglianza;

          la segretezza del voto deve essere garantita. Durante il periodo di voto ognuno ha il diritto a una libera espressione della propria volontà, cioè in assoluta segretezza e senza alcuna interferenza o manipolazione. Anche per questa ragione, unita al fatto che una decisione democratica si basa sulla semplice maggioranza dei voti espressi, il quorum di partecipazione rischia di provocare strategie di boicottaggio e deformazione del principio della segretezza;

          gli effetti della votazione popolare devono essere certi e produrre conseguenze giuridicamente vincolanti. Il ruolo del Parlamento e del Governo deve essere limitato all'applicazione della volontà della maggioranza dei voti espressi. Il risultato di un referendum può essere cambiato solo tramite un altro referendum;

          è di vitale importanza una tutela giuridica appropriata. La possibilità di appellarsi all'autorità giudiziaria per protestare contro un risultato referendario deve essere garantita a ogni cittadino.

      Tra le misure un particolare rilievo assume la rimozione del quorum di partecipazione, il quale rappresenta uno degli elementi più stigmatizzati dal Consiglio d'Europa ma che, nonostante ciò, continua a caratterizzare la normativa italiana. L'anacronismo appare ancora più evidente se ci si confronta con le democrazie occidentali (dove non esiste) e se si leggono nel dettaglio le raccomandazioni contenute nel Codice di buona condotta in materia di referendum: «È auspicabile non prevedere:

          a) un quorum partecipativo (soglia, percentuale minima), poiché assimila gli elettori che si astengono a quelli che votano no;

          b) un quorum approvativo (approvazione da parte di una percentuale minima di elettori registrati), poiché rischia di comportare una situazione politica difficile laddove il quesito venisse adottato da una maggioranza semplice, inferiore rispetto alla soglia necessaria.(...)

      50. In base alla propria esperienza nel settore dei referendum, la Commissione di Venezia ha deciso di raccomandare che non vi siano disposizioni in merito alle norme sul quorum.
      51. Il quorum dell'affluenza (percentuale minima) significa che è nell'interesse degli oppositori della proposta astenersi piuttosto che votare contro. Ad esempio, se il 48 per cento degli elettori è in favore di una proposta, il 5 per cento è contrario ed il 47 per cento intende astenersi, il 5 per cento degli oppositori deve limitarsi a non andare a votare per imporre il proprio punto di vista, anche se si tratta di una percentuale assolutamente minoritaria. Inoltre, la loro assenza dalla campagna referendaria aumenterà con tutta probabilità il numero delle astensioni e quindi la probabilità che il quorum non venga raggiunto. Incoraggiare l'astensione o l'imposizione del punto di vista di una minoranza non è sensato per la democrazia (punto III.7.a). Inoltre, vi è una grande tentazione di falsificare il tasso di affluenza dinanzi ad una opposizione debole.
      52. Anche un quorum di approvazione (accettazione da parte di una percentuale minima di elettori registrati) potrebbe essere inconcludente. Potrebbe essere così alto da rendere il cambiamento troppo difficile. Laddove un testo venisse approvato – anche con un margine sostanziale – da una maggioranza degli elettori senza raggiungere il quorum, la situazione politica diventerebbe estremamente difficile, poiché la maggioranza si sentirebbe privata

della vittoria senza una ragione plausibile; il rischio di falsificazione del tasso di affluenza è lo stesso rispetto al quorum basato sull'affluenza».

      L'evidenza di quanto raccomandato con chiarezza dal Consiglio d'Europa emerge anche dalle statistiche delle consultazioni convocate in Italia dal 1948 ad oggi. La media dell'affluenza delle votazioni popolari con quorum è stata del 54,4 per cento mentre la media relativa alle consultazioni popolari che non prevedevano alcun quorum è stata del 64,37 per cento. I dati avvalorano quindi la tesi che l'assenza del quorum comporta un'affluenza elettorale maggiore. Nel caso specifico risulta essere maggiore in misura del 10 per cento.
      Le percentuali di partecipazione ai referendum abrogativi con quorum segnano peraltro una tendenza fortemente negativa come evidenziato dalla seguente tabella:

1974 87;7% 1990 43,4% 1999 49,6%
1978 81,2% 1991 62,4% 2000 32,5%
1981 79,4% 1993 77,1% 2003 35,7%
1985 77,9% 1995 57,9% 2005 25,9%
1987 65,1% 1997 30,3% 2009 23,8%
          2011 54,8%

      Invece, il referendum confermativo, previsto dall'articolo 138 della Costituzione per le leggi di revisione e le altre leggi costituzionali che non siano approvate da entrambe le Camere con almeno i due terzi dei voti nella seconda votazione e per il quale non è previsto alcun quorum di partecipazione, è stato un istituto sporadicamente utilizzato nel nostro Paese, a differenza di quanto avvenuto altrove, come in Svizzera, in Irlanda o nella maggior parte degli Stati degli USA. Infatti, in Italia sono stati convocati solo due referendum costituzionali.
      Il primo si svolse nell'ottobre 2001. La partecipazione fu del 34,1 per cento degli eventi diritto al voto e le modifiche furono accettate con il 64,2 per cento dei voti favorevoli. Si trattava della riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione promossa dal Governo Prodi. Il secondo si tenne nel 2006 e con una partecipazione del 54,5 per cento, il 61,3 per cento dei votanti decise di non confermare la riforma costituzionale sottoposta referendum a seguito della richiesta di tutti i richiedenti che ne avevano diritto, mezzo milione di cittadini, cinque consigli regionali e più di un quinto dei membri di una delle due Camere. In sintesi, si trattava della riforma che mirava a introdurre la devoluzione dei poteri alla regioni, il superamento del bicameralismo perfetto e una figura più forte del Primo Ministro, riforma che fu quindi bocciata dai cittadini prima dell'entrata in vigore.
      L'altro referendum senza quorum che si è svolto in Italia è stato quello consultivo del 18 giugno 1989, convocato in concomitanza con le elezioni europee per acquisire il parere popolare sul conferimento o no di un mandato costituente al Parlamento europeo eletto nella stessa occasione. Il referendum, al quale partecipò l'80,68 per cento degli aventi diritto al voto, fu indetto dopo l'approvazione di una legge ad hoc, non essendo previsto un istituto simile nella Costituzione.
      Come ricorda Oskar Peterlini (autore dell'opera Instruments for direct democracy), primo firmatario nella scorsa legislatura di un disegno di legge costituzionale per l'introduzione dell'iniziativa popolare a voto popolare e per l'abbattimento strutturale del quorum (atto Camera n. 1428, XVI legislatura), il referendum abrogativo sembra da parecchio tempo entrato in crisi, «non perché manchino gli argomenti politici scottanti e il bisogno di partecipazione dei cittadini, ma perché il quorum non viene raggiunto»

(....) «ne è conseguita una progressiva perdita di fiducia nello strumento referendario. Forse una certa disaffezione è anche dovuta al fatto che del referendum si sono impadroniti soprattutto i partiti, non la cittadinanza libera o le associazioni e i comitati ad hoc. I partiti, inoltre, montando campagne astensioniste, hanno smobilitato il proprio elettorato a partecipare e poi, in Parlamento, in varie occasioni, hanno cercato di neutralizzare i risultati dei referendum. Oltre allo strumentario troppo limitato, in un'ottica di democrazia diretta moderna, le stesse regole di svolgimento dei referendum sono carenti». L'unica eccezione è stata rappresentata dal referendum del 2011, il quale presentava quesiti in materia di nucleare, acqua, privatizzazioni e legittimo impedimento e ha avuto luogo solo pochi mesi dopo il tragico incidente della centrale atomica di Fukushima in Giappone. La votazione popolare del 2011 è stata un'improvvisa ed eccezionale manifestazione di sentimento popolare dopo la tornata referendaria del 1990 e dopo che tutti i 24 quesiti referendari votati dal 1997 al 2009 erano stati invalidati per il mancato raggiungimento del quorum di partecipazione.
      L'abolizione del quorum risulta pertanto essere una delle azioni fondamentali per il rilancio dello strumento referendario e per una concreta realizzazione del principio della partecipazione popolare. Una serie di motivi per un intervento che soddisfi una delle raccomandazioni cardine della Commissione di Venezia è suggerita da Paolo Michelotto (in Vivere meglio con più democrazia, 2011), che, nel suo saggio, evidenzia le ragioni che inducono a ritenere opportuna l'eliminazione del quorum di partecipazione:

          1) i sostenitori del no vincono facilmente poiché, oltre a partecipare a una campagna per il no, la quale richiede soldi, tempo, energie, possono invitare i cittadini all'astensione, boicottando il referendum senza doversi impegnare in alcuna campagna;

          2) i sostenitori del sì partono già svantaggiati. I referendum vengono infatti proposti dai cittadini quando l'amministrazione non ascolta le loro richieste, le quali, oltre ad avere maggiori possibilità in termini di soldi, tempo, interessi, capacità e attenzioni mediatiche, dispongono anche di un ulteriore e ingiusto vantaggio di invitare all'astensione;

          3) bastone tra le ruote della democrazia. Il quorum è il metodo con cui chi ha il potere cerca il più possibile di tutelarsi dal controllo dei cittadini, salvando le apparenze democratiche. Infatti lo strumento del referendum viene dato in mano ai cittadini, ma poi viene molto limitato nel suo potere effettivo con l'introduzione del quorum che fa sì che venga sempre, o quasi sempre, invalidato;

          4) meno dibattito e meno informazione. Finché ci sarà il quorum nei referendum, la campagna elettorale sarà svolta solo dai promotori del sì che si focalizzeranno solo sullo spingere i cittadini a partecipare al voto per superare il quorum. In assenza di quorum tutte le parti possono invece concentrarsi solo sulle loro argomentazioni pro e contro, aumentando la conoscenza dell'argomento nei cittadini e il loro impegno civico;

          5) premio a chi non partecipa. Il quorum premia chi invita all'astensione e chi accetta il boicottaggio rimanendo a casa, cioè chi non vuole impegnarsi direttamente o preferisce scorciatoie scorrette pur di far vincere la sua posizione. Chi si informa e chi va a votare viene punito. Ciò crea una sempre maggiore delusione e distacco dei cittadini dalla politica attiva;

          6) non c’è più il segreto del voto. Molto spesso a causa della presenza del quorum si recano alle urne solo i cittadini che votano sì, i quali risultano facilmente identificabili quando le percentuali di voto favorevole si avvicinano al 90 percento;

          7) allontanamento delle persone dal voto. Quando non c’è il quorum le parti lottano con tutte le energie per assicurarsi il voto perché sanno che, indipendentemente

dall'affluenza, il risultato sarà comunque valido. Quindi tutte le parti fanno informazione nelle televisioni, nelle radio, con i volantini, con l'invio di lettere, con l'organizzazione di convegni, assemblee e manifestazioni. La gente così informata, discute dell'argomento e di conseguenza va a votare. Con il quorum avviene l'esatto contrario;

          8) se il quorum valesse anche nelle elezioni, molte sarebbero state invalidate. In Italia, nel voto elettorale comunale, provinciale, regionale, nazionale ed europeo non è previsto il quorum. Solo chi vota decide. Ad esempio, un numero significativo di elezioni comunali che si sono svolte nel maggio 2014 avrebbero dovuto essere invalidate per un'affluenza inferiore al 50 per cento;

          9) la Costituzione permette referendum locali senza quorum. Con la sentenza n. 372 del 2004 la Corte costituzionale ha stabilito che l'articolo 75 della Costituzione che prevede il quorum a livello nazionale non comporta l'obbligo del quorum per i referendum previsti negli statuti degli enti locali; infatti almeno una decina di comuni italiani, tra i quali Vicenza, non hanno il quorum;

          10) i cittadini non vogliono il quorum. Quando sono i cittadini a chiedere l'introduzione degli strumenti referendari, come in Svizzera nei primi anni del 1800 e in California e negli Stati a ovest degli USA nei primi anni del 1900, il quorum non viene mai introdotto. Accade il contrario quando gli strumenti referendari sono introdotti dagli amministratori eletti, come in Italia.

      In sostanza, l'abolizione del quorum di partecipazione è il primo passo indispensabile per consentire ai cittadini di concorrere attivamente al processo decisionale democratico. Con l'abolizione del quorum si avrebbe il sicuro effetto di vedere sbocciare la democrazia diretta accanto a quella rappresentativa determinando l'indispensabile evoluzione verso la democrazia integrale.

4. Illustrazione della proposta di legge costituzionale.

      Con la presente proposta di legge costituzionale vogliamo creare le condizioni per una vera partecipazione popolare ai processi decisionali a livello istituzionale attraverso un radicale ammodernamento degli istituti attualmente previsti.
      A tale fine, si interviene sulle norme della Costituzione che regolano gli istituti referendari, nonché sull'articolo 73 che regola la promulgazione e l'entrata in vigore delle leggi e sull'articolo 80 che riguarda l'autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali.
      La proposta di legge costituzionale è composta da quattro articoli.
      L'articolo 1 sostiuisce l'articolo 73 della Costituzione, introducendo il referendum confermativo, un istituto senza limiti di materia, mediante il quale l'entrata in vigore di ogni legge viene sospesa fino alla proclamazione dell'esito referendario. Questo meccanismo non si applica unicamente per le leggi dichiarate urgenti e quelle di conversione dei decreti-legge, a meno che queste non abbiano una durata di validità che si protrae oltre i dodici mesi. Per agevolare l'utilizzo dello strumento referendario è stata prevista una soglia di 250.000 firme per la richiesta di referendum, ovvero lo 0,5 per cento degli aventi diritto al voto. La conseguenza dell'introduzione di questa norma è di indurre le istituzioni all'ascolto di tutti i soggetti interessati e di assicurarsi che le leggi siano scritte nell'interesse della collettività. L'effetto sospensivo del referendum confermativo, che produce i propri effetti prima dell'entrata in vigore della legge che ne forma oggetto, comporta diversi risultati positivi. Infatti, qualora il popolo decidesse di non approvare le leggi sottoposte a referendum confermativo queste non produrrebbero alcun effetto e quindi non vi sarebbe nessuna situazione da ripristinare. Inoltre, non si corre il rischio di creare vuoti normativi dovuti alla mera abrogazione di una legge.


      Poiché il referendum confermativo può essere proposto senza limiti di materia, i cittadini si riservano la possibilità di chiedere una votazione popolare su qualsiasi oggetto, incluse le materie fiscali e finanziarie. I cittadini devono infatti potersi esprimere sulle stesse materie e con gli stessi limiti previsti per i loro rappresentanti.
      Infine, allo scopo di evitare l'abuso nel ricorrere alla decretazione d'urgenza da parte del Governo, divenuto ormai prassi legislativa anche per materie che dovrebbero essere di esclusiva competenza parlamentare, le leggi urgenti con validità superiore ai dodici mesi devono essere sottoposte automaticamente a referendum confermativo entro un anno dalla data di entrata in vigore. Analogamente, le leggi di conversione dei decreti-legge la cui durata di validità si protragga oltre dodici mesi sono sottoposte a referendum confermativo entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore. In tal caso, se non approvate perdono efficacia fin dall'inizio e non possono essere reiterate.
      L'istituto trova fondamento nella Costituzione federale elvetica. Nell'ordinamento federale elvetico la legge federale a termine dichiarata urgente si caratterizza perché prevede un termine di scadenza nelle disposizioni finali. Si tratta di tipologie di leggi che devono soddisfare determinati requisiti: urgenza temporale e materiale (circostanze straordinarie impongono che l'atto acquisti efficacia immediata e deve riguardare una materia importante: non si può quindi attendere che scada il termine per il referendum); durata di tempo limitata; dichiarazione di urgenza da parte della maggioranza dei membri di entrambe le Camere. L'articolo 165 della Costituzione elvetica, che riguarda la cosiddetta legislazione d'urgenza, stabilisce infatti che le leggi federali la cui entrata in vigore non possa essere ritardata, possono essere dichiarate urgenti ed essere poste immediatamente in vigore dalla maggioranza dei membri di ciascuna Camera e che la loro validità deve essere limitata nel tempo. Tali leggi devono essere sottoposte a votazione referendaria entro un anno dalla loro adozione da parte dell'Assemblea federale e, ove non accettate dal voto popolare, non possono essere rinnovate.
      L'istituto ha un'incidenza sulla qualità della legislazione che si troverebbe così a non dover essere composta anche da leggi che siano state emanate per disciplinare situazioni contingibili e urgenti, ma che poi per motivi diversi ordini di ragioni siano rimaste valide con carattere di stabilità.
      L'articolo 2 sostituisce l'articolo 75 della Costituzione mediante l'introduzione dell'iniziativa legislativa popolare sia in materia costituzionale, sia in materia ordinaria. Tale iniziativa viene esercitata mediante richiesta di referendum propositivo. Per le modifiche costituzionali la soglia delle firme necessarie è più elevata rispetto alle iniziative popolari per le leggi ordinarie. Sono infatti richieste 800.000 firme, che corrispondono a circa l'1,7 per cento degli aventi diritto al voto, mentre per l'iniziativa ordinaria sono sufficienti 500.000 elettori, che corrispondono a circa l'1 per cento dell'elettorato.
      Alla proposta di legge popolare il Parlamento può contrapporre un controprogetto che verrà anch'esso votato dagli elettori. In tal caso risulterà approvata la proposta che riceve la maggioranza dei voti validamente espressi.
      Questo articolo consente quindi di conferire agli elettori un potere costituente ed un potere legislativo. Simultaneamente, oltre che offrire alle Camere la possibilità di una mera opposizione al progetto popolare, consente allo stesso la possibilità sottoporre a voto popolare un controprogetto alternativo, di mediare e in taluni casi di migliorare la proposta dei proponenti.
      Nel testo dell'articolo si è ritenuto opportuno prevedere che tale tipologia di referendum possa essere richiesta «in qualsiasi momento» allo scopo di evitare interpretazioni limitative come accaduto con l'articolo 31 della legge sul referendum n. 352 del 1970 che prevede: «Non può essere depositata richiesta di referendum nell'anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere e nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l'elezione di una delle Camere medesime». Con questa locuzione si afferma la pari dignità del potere riservato al popolo rispetto a quello delle Camere, le quali possono intervenire quando lo ritengono opportuno senza vincoli temporali. La possibilità di presentare un controprogetto eleva il risultato qualitativo finale e soprattutto permette di arricchire la deliberazione e il dibattito pubblico che precedono il voto popolare garantendo così spazio e tempo per elaborare un progetto alternativo che intercetti ancora più accuratamente la volontà popolare. Con la presentazione di un controprogetto è inoltre possibile consentire un accordo tra i proponenti e gli organi rappresentativi prima di andare a voto popolare, il quale è in ogni caso obbligatorio qualora comporti modifiche alla costituzione.
      L'idea che sta a fondamento di tale disposizione origina nuovamente dall'esperienza svizzera che ha le proprie basi negli articoli 138 e 139 della Costituzione relativi, rispettivamente, all'iniziativa popolare per la revisione totale della Costituzione e all'iniziativa popolare per la revisione parziale della Costituzione.
      In Svizzera il potere di iniziativa che il popolo si è riservato è un pilastro del sistema politico. Tale situazione si riscontra a tutti i livelli amministrativi dai comuni al Governo confederale. A livello federale invece, dopo aver constatato l'inefficacia dell'iniziativa generica, le iniziative in capo ai cittadini sono previste solo in ambito costituzionale.
      Come per il referendum confermativo, anche per l'iniziativa popolare non sono previsti limiti di materia sulle quali i cittadini possono intervenire. In tal senso il Consiglio d'Europa, pur non esprimendo alcuna raccomandazione, ha constatato che la rimozione di tali limiti determina vantaggi significativi sull'efficienza e sull'efficacia dell'attività della pubblica amministrazione, sul rapporto tra qualità e prezzo dei servizi pubblici e sullo stato delle finanze pubbliche.
      L'articolo 3 modifica l'articolo 80 della Costituzione, introducendo un secondo comma che prevede l'indizione di referendum confermativo per la ratifica dei trattati internazionali di natura politica, o che prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, che importano variazioni del territorio o oneri alle finanze o modificazioni di leggi. I riferimenti principali sono in questo caso le normative vigenti in Irlanda, Svizzera e Danimarca, dove sono previsti referendum con effetti vincolanti sulla ratifica dei trattati internazionali. In considerazione della delicatezza delle materie che incidono in ambiti più o meno estesi della sovranità si è quindi ritenuto opportuno sottoporre a consultazione referendaria questi trattati, similmente a quanto avvenuto negli ultimi anni in gran parte d'Europa, ove sono state effettuate consultazioni popolari per ratificare trattati internazionali al fine di consentire il processo di integrazione europeo e le necessarie modifiche degli ordinamenti costituzionali degli Stati.
      L'articolo 4 sostituisce l'articolo 138 della Costituzione allo scopo di modificare la disciplina vigente in materia di revisione costituzionale e del relativo referendum. A tale fine, in primo luogo, si prevede una maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione, al fine di garantire una maggiore condivisione del testo approvato; si stabilisce inoltre che tutte le leggi di revisione costituzionale e le altre leggi costituzionali vengano comunque sottoposte a referendum popolare, istituto che diventa così non più eventuale, ma obbligatorio.
      L'articolo 138 della Costituzione, diversificando il procedimento per la revisione costituzionale dal procedimento legislativo ordinario, attribuisce carattere rigido alla Costituzione ed esclude pertanto che essa possa essere validamente modificata, derogata o comunque contrastata da leggi ordinarie. L'articolo 138 è stato inserito nel titolo relativo alle «garanzie costituzionali», ma questa funzione di garanzia male si concilia con la previsione attualmente contenuta nella norma costituzionale in relazione all'intervento popolare mediante il referendum, le cui modalità di attuazione sono disciplinate dalla legge 25 maggio 1970, n. 352, e che può esplicarsi soltanto in presenza di determinati presupposti fissati dallo stesso articolo 138.
      Difatti, allo stato, è necessario innanzitutto che la legge costituzionale sia stata approvata in seconda deliberazione a maggioranza assoluta, poiché da un lato l'approvazione a maggioranza semplice comporta la reiezione del progetto di legge e dall'altro l'approvazione a maggioranza di due terzi dei componenti di ciascuna Camera esclude la possibilità di richiedere il referendum. Occorre, inoltre, che, entro tre mesi dalla pubblicazione della legge costituzionale, il referendum venga richiesto da un quinto dei membri di una Camera o da cinque consigli regionali o da 500.000 elettori.
      Il carattere facoltativo che il referendum popolare confermativo ha nel nostro ordinamento è un elemento che si oppone alla considerazione secondo la quale le Camere e il popolo debbono avere pari poteri di revisione costituzionale in quanto contitolari delle leggi costituzionali.
      Tutte le decisioni politiche dovrebbero poter corrispondere alla volontà della maggioranza dei cittadini. E questo vale, a maggior ragione, quando entra in gioco la modifica della Costituzione, quell'insieme di princìpi, norme e valori che il Costituente ha voluto dotare del carattere della rigidità con funzione precipua di garanzia. Il voto di una maggioranza eletta non è una garanzia di adesione al volere dei cittadini e deve quindi essere possibile verificare se le decisioni politiche assunte rappresentino veramente la volontà della maggioranza di una popolazione. Il referendum confermativo consente proprio questo al corpo elettorale permettendo la verifica del corretto funzionamento del principio della rappresentanza politica.
      Infine, nell'ambito della revisione dell'articolo 138 della Costituzione, appare imprescindibile innalzare il quorum richiesto per l'approvazione delle leggi di revisione e delle altre leggi costituzionali, prevedendo necessariamente l'approvazione dei due terzi dei componenti nella seconda votazione. Infatti, le riforme costituzionali non possono essere condivise solo da una maggioranza ristretta: l'innalzamento della maggioranza richiesta, esigendo il voto favorevole di un numero di parlamentari superiore a quello necessario a sostenere il Governo, consente invece il necessario coinvolgimento nelle scelte anche di forze politiche dell'opposizione e permette l'approvazione di Costituzioni di maggioranza.
torna su
PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE
Art. 1.

      1. L'articolo 73 della Costituzione è sostituito dal seguente:
      «Art. 73. – Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro trenta giorni dall'approvazione.
      Le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore novanta giorni dopo la pubblicazione, salvo che entro tale termine 250.000 elettori chiedano un referendum confermativo. In questo caso l'entrata in vigore è sospesa fino alla proclamazione dell'esito del referendum. La legge entra in vigore se approvata con la maggioranza dei voti validamente espressi.
      Le Camere possono dichiarare una legge urgente, deliberando entrambe a maggioranza assoluta dei propri componenti. In questo caso la legge entra in vigore il giorno successivo alla pubblicazione, salvo che la legge stessa stabilisca un termine diverso.
      Le leggi di conversione dei decreti-legge sono dotate del requisito dell'urgenza senza necessità di un'apposita deliberazione delle Camere.
      Le leggi dichiarate urgenti e quelle di conversione dei decreti-legge contenenti disposizioni la cui efficacia si protragga oltre dodici mesi sono sottoposte a referendum confermativo entro dodici mesi dalla data della loro entrata in vigore. Se non sono approvate perdono di efficacia fin dall'inizio e non possono essere reiterate».

Art. 2.

      1. L'articolo 75 della Costituzione è sostituito dal seguente:
      «Art. 75. – In qualsiasi momento gli elettori possono chiedere che sia sottoposto

a voto popolare un progetto di legge redatto in articoli.
      Attraverso l'iniziativa costituzionale, i cittadini possono chiedere l'indizione del referendum propositivo costituzionale avente ad oggetto la revisione della Costituzione, raccogliendo, entro dodici mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della relativa iniziativa, le sottoscrizioni di 800.000 elettori.
      Attraverso l'iniziativa legislativa ordinaria i cittadini possono chiedere l'indizione del referendum propositivo legislativo per l'approvazione di una proposta di legge ovvero la modifica o l'abrogazione di una legge raccogliendo, entro dodici mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della relativa iniziativa, le sottoscrizioni di 500.000 elettori.
      La proposta referendaria costituzionale o legislativa è approvata se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.
      La conformità costituzionale della proposta referendaria è verificata preventivamente dalla Corte costituzionale. Le Camere possono raccomandare l'accettazione o il rifiuto della proposta referendaria alla quale possono contrapporre un controprogetto.
      In caso di controprogetto, gli aventi diritto al voto si pronunciano sia sull'iniziativa sia sull'eventuale controprogetto e possono esprimere voto favorevole o contrario su una delle due proposte o su entrambe. Gli elettori che abbiano espresso voto favorevole sia sull'iniziativa, sia sul controprogetto, possono esprimere una seconda preferenza per una delle due proposte, che verrà valutata nel caso in cui entrambe raggiungano la maggioranza dei voti validamente espressi. Risulta approvato il progetto che riceve la maggioranza dei voti validamente espressi.
      La votazione popolare deve essere indetta entro diciotto mesi dal deposito delle firme. Il termine è prorogato a ventiquattro mesi nel caso in cui le Camere decidano di opporre un controprogetto.
      Il Presidente della Repubblica promulga la legge approvata dal voto popolare entro quindici giorni dalla proclamazione del risultato o del referendum. La legge entra in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione, salvo che la legge stessa stabilisca un termine diverso».
Art. 3.

      1. All'articolo 80 della Costituzione è aggiunto, in fine, il seguente comma:
      «Le leggi previste dal primo comma sono sottoposte a referendum popolare entro centottanta giorni dalla data della loro approvazione. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validamente espressi».

Art. 4.

      1. L'articolo 138 della Costituzione è sostituito dal seguente:
      «Art. 138. – Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi e sono approvate a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.
      Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare entro centottanta giorni dalla data della loro approvazione.
      La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validamente espressi».

Per tornare alla pagina di provenienza azionare il tasto BACK del browser