Organo inesistente

XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 3627


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
TURCO, BECHIS, ARTINI, BALDASSARRE, MATARRELLI, SEGONI, CIVATI, ANDREA MAESTRI, PASTORINO
Introduzione dell'articolo 337-novies del codice civile, in materia di rito partecipativo per la trattazione delle controversie familiari
Presentata il 23 febbraio 2016


      

torna su
Onorevoli Colleghi! La legge n. 219 del 2012 ha attribuito alla competenza del tribunale ordinario, sottraendola a quella del tribunale per i minorenni, i procedimenti che riguardano le questioni di esercizio della responsabilità genitoriale tra i genitori di figli nati fuori dal matrimonio, i cosiddetti figli non matrimoniali.
      Questa scelta legislativa, volta alla parificazione dei diritti dei figli matrimoniali con quelli non matrimoniali, non ha, tuttavia, considerato le risorse umane dei tribunali ordinari, le quali si sono viste indirizzare migliaia di ricorsi che prima, invece, erano affidati alla cura dei giudici del tribunale per i minorenni.
      Il legislatore, inoltre, nella sua azione tesa a parificare gli aspetti sostanziali di tutti i figli matrimoniali e no, ha invece tralasciato nelle norme processuali una differenza di rito di non poco conto: per i genitori uniti in matrimonio, dal punto di vista delle norme processuali, è prevista una prima fase preliminare, innanzi al presidente della sezione diritto di famiglia, nella quale le parti compaiono personalmente per un tentativo di conciliazione.
      Tentativo preliminare di conciliazione che non è, invece, previsto nel rito camerale, che si svolge nelle forme dettate dall'articolo 737 del codice di procedura civile e si applica ai procedimenti di affidamento per i figli non matrimoniali.
      La differenza procedurale penalizza quindi le liti sorte per l'affidamento dei figli non matrimoniali, giacché il tentativo di conciliazione potrebbe in molti casi servire da utile strumento per eliminare alcune delle accese conflittualità che si riscontrano in questo tipo di controversie.
      Di sovente, infatti, le parti nei procedimenti giudiziari si arroccano con fermezza sulle rispettive posizioni a causa dell'intervento dei legali di parte che, sia pur involontariamente, cristallizzano un contesto relazionale tra le parti come fortemente litigioso o inquisitorio, oppure ancora accusatorio, autoalimentando così la contesa.
      In casi siffatti, nei quali l'affidamento del minore è inteso come una competizione «a somma zero», appare subito evidente alle parti che il massimo beneficio per una parte della contesa andrà sicuramente a scapito dell'altra; partendo da questa visone ciascuna parte individuerà la propria possibilità di vittoria con l'annientamento dell'avversario, creando quindi un modello di competitività vincente – perdente, che certo non facilita il dialogo tra le parti né tantomeno sembra assicurare la migliore tutela dei diritti dei minori.
      In altri casi, sebbene i legali rispettino il ruolo di difensori impegnati nella delicata materia familiare e minorile e agiscano prioritariamente per la tutela dei diritti e degli interessi dei minori, anche individuando le soluzioni meno traumatiche e penalizzanti per i figli e per i genitori, si scontrano, pur sempre, con i loro assistiti che non riescono a uscire dall'ottica della competitività e dal citato bipolarismo del perdente – vincente.
      Nasce, perciò, l'esigenza di cercare una soluzione conciliativa ovvero non contenziosa della lite, coinvolgendo le due parti legate da un pregresso rapporto affettivo. Tale rapporto è destinato comunque a proiettarsi nel tempo in quanto i litiganti, sebbene non più coppia, resteranno, in ogni caso, ancora genitori che dovranno accudire la prole per anni, sino al raggiungimento della maggiore età anche oltre. La permanenza del loro rapporto genitoriale dovrebbe indurre gli stessi ad agire, precipuamente, avendo sempre bene chiaro e presente l'interesse superiore dei figli minori, che sarà sempre tutelato al meglio, ove i genitori riescano a trovare un accordo senza dover ricorrere a procedure giudiziali.
      Sulla scia di questa teoria, da qualche anno, presso il tribunale di Milano, sotto l'egida del presidente della sezione IX civile dottoressa Gloria Servetti e il giudice onorario di tribunale applicato alla sezione famiglia avvocato Cristina Ceci, si è dato corso ad una sperimentazione procedurale avente ad oggetto i procedimenti di affidamento dei minori riguardanti le controversie tra genitori non uniti da matrimonio, processi che, fino al 7 febbraio 2014, erano retti dalle norme contenute nell'articolo 317-bis del codice civile e che, dal 7 febbraio 2014, sono passati sotto la vigenza dell'articolo 316 dello stesso codice in attuazione del decreto legislativo n. 154 del 2013.
      La scelta di applicare questa sperimentazione alle controversie sull'affidamento dei figli non matrimoniali, oltre alle considerazioni procedurali rappresentate, nasce dall'analisi di tre dati oggettivi:

          1) in queste liti è inferiore il carico della decisione in quanto non possono intervenire nel giudizio richieste relative ai rapporti tra i conviventi, quali gli obblighi di mantenimento, l'eventuale accertamento delle cause che hanno dato luogo alla separazione dei coniugi, l'addebito della separazione, oltre alle domande restitutorie, risarcitorie in generale e tutte le altre domande proponibili nel rito ordinario di famiglia solo per le coppie coniugate;

          2) in questi processi le questioni relative ai rapporti genitoriali non sono trattate in regime di cumulo processuale con le domande sullo status delle persone, quali separazione e divorzio, quindi la procedura è camerale ai sensi dell'articolo 737 del codice di procedura civile e l'attenzione può essere immediatamente diretta agli interessi dei minori;

          3) in tutte queste controversie è sempre e comunque parte sostanziale del procedimento un minore poiché la procedura presuppone, inderogabilmente, che la lite riguardi due genitori e le modalità di

esercizio della genitorialità nei confronti del figlio minore.
      I procedimenti che sono trattati secondo questa sperimentazione seguono una prassi stabilita dal tribunale a garanzia della corretta funzionalità del cosiddetto rito partecipativo.
      Il genitore interessato a ottenere una regolamentazione giudiziale dei rapporti genitoriali e dell'esercizio della responsabilità genitoriale deposita ricorso ai sensi dell'articolo 316 del codice civile (prima ricorso ai sensi dell'articolo 317-bis dello stesso codice; norma che, come rilevavamo, per effetto del decreto legislativo n. 154 del 2013, regola oggi l'azione degli ascendenti).
      Il presidente del collegio, letto il ricorso, nomina un giudice relatore (togato) al quale rimette la responsabilità del fascicolo e, quindi, la supervisione e il monitoraggio dell'intero sviluppo della procedura, con il compito di riferire al collegio seguendo le prescrizioni di rito.
      Il presidente, designato il giudice relatore, seleziona quindi i ricorsi giudicati idonei ad affrontare una prima fase preliminare di tipo conciliativo (cosiddetto I filtro), escludendo dal rito partecipativo i casi che manifestino situazioni difficilmente conciliabili, cioè le procedure nelle quali emergano situazioni patologiche, condizioni di violenza, limitazioni alla responsabilità genitoriale (per esempio affidamento a enti terzi), ovvero situazioni di particolare e comprovata urgenza.
      Per questi casi così delicati il presidente fissa direttamente l'udienza dinanzi al collegio ai sensi dell'articolo 737 del codice di procedura civile.
      Negli altri casi, invece, per le procedure giudicate potenzialmente conciliabili, il presidente del collegio assegna al ricorrente un termine massimo di 30 giorni per la notifica del ricorso, assegnando altresì al resistente un uguale termine per la costituzione in giudizio, riservandosi ogni ulteriore decisioni alla scadenza dell'ultimo termine.
      Una volta decorsi i termini per le difese, il fascicolo è trasmesso all'attenzione del giudice relatore già nominato, per verificare la persistenza delle condizioni di fatto sulla base delle quali era apparso utile od opportuno il tentativo di conciliazione (cosiddetto II filtro).
      Il giudice relatore riferisce, quindi, in camera di consiglio al collegio che, se ritiene non più attuale l'opportunità conciliativa, fissa direttamente udienza dinanzi a sé, ai sensi dell'articolo 737 del codice di procedura civile, non procedendo nell'alveo del rito partecipativo.
      Se le circostanze di fatto, invece, inducono a un giudizio di opportunità del rito partecipativo, a seguito della costituzione del resistente, il collegio delega la trattazione del procedimento a un giudice onorario: nella specie il giudice onorario è un avvocato familiarista specializzato in materia di mediazione e conciliazione, il quale ricerca una soluzione conciliativa, informa le parti della possibilità di seguire un percorso di mediazione familiare e svolge l'audizione dei genitori sui fatti espressi negli atti di causa.
      Terminata questa fase di mediazione nella quale si è cercato di coinvolgere i genitori, gli avvocati e, chiaramente, il giudice onorario che gestisce la conciliazione, tutti partecipano alla costruzione di regole concordate da applicare alla famiglia ormai disgregata, formando così un accordo più o meno definitivo equilibrando le rispettive richieste.
      Il giudice onorario, pertanto, rimette gli atti al collegio che, ove sia stato raggiunto un accordo, verificherà che l'accordo non presenti profili di contrarietà all'ordine pubblico o a disposizioni di carattere imperativo, che sia adeguato a garantire alla prole l'accesso a un'effettiva bigenitorialità, e che anche i profili economici risultino idonei, nel contemperamento delle rispettive posizioni, e preso atto del parere conforme del pubblico ministero, il tribunale emetterà decreto immediatamente esecutivo.
      Se non è stato raggiunto l'accordo, invece, il collegio avvia la fase giudiziale del procedimento.
      Il rito partecipativo consente anche una notevole accelerazione dei tempi di trattazione del processo poiché, dal deposito del ricorso, la prima udienza è fissata, in genere, entro novanta giorni.
      Analizzando i dati che emergono dall'analisi statistica sui procedimenti così trattati, espunti i procedimenti cosiddetti contumaciali, o quelli nei quali il resistente non si è costituito per irreperibilità, considerati quindi i soli processi con entrambe le parti costituite in cui il giudice onorario ha concretamente ed effettivamente portato a termine il tentativo di conciliazione, si può sancire la bontà di questa sperimentazione.
      Nel primo periodo di riferimento relativo all'ultimo trimestre del 2013 ogni giudice onorario ha celebrato un'udienza settimanale con un numero di fascicoli compreso tra 2 e 4.
      Emerge che i giudici ordinari di tribunale hanno mediamente dedicato a ogni procedimento oltre un'ora intera per ciascuna udienza, registrando un'attenta partecipazione degli avvocati, aspetto determinante per il buon funzionamento del rito partecipativo, che hanno sempre presenziato alle udienze del rito partecipativo e favorito la conciliazione assumendo un atteggiamento collaborativo.
      Nel trimestre di riferimento, i giudici onorari hanno trattato 69 controversie tra genitori non uniti da matrimonio di cui 13 contumaciali, sono quindi stati trattati 56 procedimenti contenziosi a contraddittorio pieno.
      Di questi, 2 non sono stati definiti nel merito per arresto in rito, in un caso una parte è deceduta in corso di lite e nell'altro il tribunale ha dichiarato la propria incompetenza.
      Dunque sono stati trattati nel merito 54 processi: 9 sono stati rinviati ad altra udienza su istanza delle parti, di solito per il completamento di trattative avviate o per valutare la proposta conciliativa suggerita dal giudice.
      Ne consegue che dei 45 procedimenti definiti, 36 sono stati conciliati in modo totale, 4 sono stati conciliati in modo parziale e la lite è stata rimessa al collegio per le sole questioni economiche.
      In buona sostanza, pertanto, 40 procedimenti sono stati definiti, totalmente o parzialmente, medi ante un accordo di conciliazione dei genitori.
      Solo 5 su 54 procedimenti trattati nel merito sono risultati inconciliabili e hanno proseguito verso la definizione giudiziale.
      In conclusione la percentuale di procedimenti terminati con conciliazione totale è dell'80 per cento e con conciliazione parziale è del 9 per cento e solo l'11 per cento dei procedimenti ha proseguito l’iter del contenzioso giudiziale.
      Sommando le percentuali di definizione totale e parziale siamo di fronte alla percentuale dell'89 per cento di cause conciliate con lo svolgimento di due udienze.
      Ulteriore vantaggio di tale procedimento può essere individuato nel fatto che l'accordo concordato tra i genitori, essendo un risultato per la cui definizione gli stessi hanno partecipato attivamente, è dagli stessi percepito come un'intesa loro propria e che tenderanno a rispettare spontaneamente il più possibile senza che si manifestino prese di posizione e comportamenti arbitrari o persecutori che possano compromettere tale accordo nei suoi sviluppi futuri.
      Stante l'ottimo esito della sperimentazione descritta del rito partecipativo, appare assolutamente utile e proficuo impegnarsi per portare questa fruttuosa procedura a far parte integrante delle norme che disciplinano le liti aventi ad oggetto la responsabilità genitoriale dei figli non matrimoniali, i quali in mancanza si troverebbero a non poter fruire di un tentativo di conciliazione che potrebbe molto spesso riverberarsi negativamente sugli interessi dei figli minori.
      Si auspica pertanto che la presente proposta di legge, che introduce nel codice civile l'articolo 337-novies sul rito partecipativo, trovi una rapida applicazione, consentendo di riequilibrare efficacemente questo doloroso passaggio nella vita di coppia al fine di garantire la migliore tutela possibile ai figli minori coinvolti, loro malgrado, nel procedimento giudiziale di affidamento.
torna su
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.

      1. Nel codice civile, libro primo, titolo IX, capo II, dopo l'articolo 337-octies è aggiunto il seguente:

      «Art. 337-novies. – (Rito partecipativo). – Ai fini dell'attuazione del primo comma dell'articolo 337-ter, nei procedimenti di cui all'articolo 337-bis, nelle controversie aventi ad oggetto conflitti familiari, il giudice, letto il ricorso, assegna alla parte ricorrente un termine per la notificazione della domanda alla controparte alla quale assegna un ulteriore termine per le difese, riservando ogni ulteriore provvedimento all'esito del procedimento. Letti gli atti, può fissare la prima udienza dinanzi a un componente onorario della sezione specializzata, per un tentativo di conciliazione, con il potere di definire la lite, nel caso di accordo compositivo della stessa, con decreto esecutivo che prende atto dei patti raggiunti».

Per tornare alla pagina di provenienza azionare il tasto BACK del browser