Organo inesistente

XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 3498


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
MASSA, ROSSOMANDO, COMINELLI, D'INCECCO, GIUSEPPE GUERINI, MANFREDI, MARANTELLI, MARCHI, MONGIELLO, PREZIOSI, SANI, FRANCESCO SANNA, VALERIA VALENTE, VENTRICELLI, ZOGGIA
Delega al Governo per la riforma degli illeciti disciplinari e del procedimento disciplinare concernenti i magistrati amministrativi e contabili
Presentata il 16 dicembre 2015


      

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Onorevoli Colleghi! Le principali norme legislative vigenti in materia disciplinare per la magistratura del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali sono enunciate negli articoli 32, 33 e 34 della legge 27 aprile 1982, n. 186.
      Le medesime norme trovano applicazione per il procedimento disciplinare per i magistrati della Corte dei conti, in virtù del richiamo operato a tali articoli della legge n. 186 del 1982 dall'articolo 10, comma 9, della legge 13 aprile 1988, n. 117.
      L'articolo 32 reca un generale rinvio «per quanto non espressamente disposto dalla presente legge» alle norme previste per i magistrati ordinari «in materia di sanzioni disciplinari e del relativo procedimento».
      L'articolo 33 dispone che:

          a) il procedimento è promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Presidente del Consiglio di Stato (per i magistrati contabili invece l'iniziativa spetta al solo Procuratore generale della Corte dei conti in base al citato articolo 10, comma 9, della legge n. 117 del 1988);

          b) il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa e di quella contabile, nel termine di dieci giorni dal ricevimento della richiesta di apertura di procedimento disciplinare, affidano a una

commissione, composta da tre dei rispettivi componenti, l'incarico di procedere agli accertamenti preliminari da svolgere entro trenta giorni;

          c) sulla base delle risultanze emerse, il Consiglio di presidenza provvede a contestare i fatti al magistrato con invito a presentare entro trenta giorni le sue giustificazioni, a seguito delle quali, ove non ritenga di archiviare gli atti, incarica la commissione prevista dal secondo comma di procedere alla istruttoria, che deve essere conclusa entro novanta giorni con deposito dei relativi atti presso la segreteria del Consiglio di presidenza. Di tali deliberazioni deve essere data immediata comunicazione all'interessato.

      A norma dell'articolo 34, poi, il Presidente del Consiglio di Stato (o della Corte dei conti per i magistrati contabili), trascorso comunque il termine di cui al terzo comma dell'articolo 33, fissa la data della discussione dinanzi al Consiglio di presidenza con decreto da notificare almeno quaranta giorni prima all'interessato, il quale può prendere visione ed estrarre copia degli atti e depositare le sue difese non oltre dieci giorni prima della discussione.
      Nella seduta fissata per la trattazione, il componente della commissione di cui al secondo comma dell'articolo 33, più anziano nella qualifica, svolge la relazione. Il magistrato inquisito ha per ultimo la parola ed ha facoltà di farsi assistere da altro magistrato.
      La Corte costituzionale, con la sentenza n. 87 del 27 marzo 2009, ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 34, nella parte in cui esclude che il magistrato amministrativo (o contabile), sottoposto a procedimento disciplinare, possa farsi assistere da un avvocato.
      L'intervento della Corte è stato poi interpretato dal Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa in senso favorevole all'istanza dell'inquisito di essere assistito da un magistrato appartenente alla magistratura ordinaria.
      Alle citate disposizioni sono da aggiungere gli articoli da 39 a 43 del regolamento interno per il funzionamento del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, di cui al decreto del Presidente dello stesso in data 6 febbraio 2004 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 36 del 13 febbraio 2004, recanti norme sostanzialmente riproduttive degli articoli da 32 a 34 della legge n. 186 del 1982.
      Per la magistratura contabile le norme disciplinari sono state invece stabilite dal regolamento di disciplina approvato dal Consiglio di presidenza il 26 luglio 2000 con la deliberazione n. 510/CP/2000.
      È da segnalare, in primo luogo, che il rinvio operato dal ricordato articolo 32 della legge n. 186 del 1982 (e, a catena, anche per i magistrati contabili, dall'articolo 10 della legge n. 117 del 1988) alla normativa vigente per i magistrati ordinari in materia disciplinare non rende comunque applicabile ai magistrati amministrativi e contabili le norme dettate dal decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, che ha interamente riordinato la materia quanto alla magistratura ordinaria, posto che l'articolo 30 del detto decreto ne esclude espressamente l'applicazione alla magistratura amministrativa e contabile. Ne consegue che, posta in disparte l'area delle disposizioni procedimentali ricordate, per la magistratura amministrativa le norme recanti le fattispecie di illecito disciplinare e le relative sanzioni sono allo stato da individuare, in forza dell'articolo 32, nelle disposizioni degli articoli da 18 a 38 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, e nell'articolo 59 del decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 1958, n. 916, ovvero le norme relative ai magistrati ordinari anteriori alle novelle operate dal decreto legislativo n. 109 del 2006 (non applicabile ai magistrati amministrativi e contabili). A tali norme andrebbero poi aggiunte, quali doverose norme di chiusura a fronte delle carenze sostanziali e procedurali dell'attuale regime disciplinare dei magistrati amministrativi e contabili, gli articoli da 78 a 85 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957 relativi alle condotte passibili di sanzioni

per i pubblici dipendenti (non privatizzati).
      A questo riguardo, peraltro, non possono essere taciuti i problemi derivati dall'articolo 13, quarto comma, della legge n. 186 del 1982, secondo cui: «Ai magistrati di cui alla presente legge si applica l'articolo 5 del testo unico 26 giugno 1924, n. 1054. Il parere del Consiglio di Stato in adunanza generale è richiesto dal Consiglio di presidenza». La norma, innanzi tutto, rende parziale e ambiguo il ricordato rinvio alle disposizioni sulla magistratura ordinaria, di cui all'articolo 32, in quanto recepisce nella legge n. 186 del 1982 le seguenti disposizioni sancite dal menzionato articolo 5: «I presidenti e i consiglieri di Stato (...) 3 non possono essere sospesi, se non per negligenza nell'adempimento dei loro doveri o per irregolare e censurabile condotta; 4 non possono essere rimossi dall'ufficio, se non quando abbiano ricusato di adempiere ad un dovere del proprio ufficio imposto dalle leggi o dai regolamenti; quando abbiano dato prova di abituale negligenza, ovvero, con fatti gravi, abbiano compromessa la loro riputazione personale o la dignità del collegio al quale appartengono», rendendole applicabili a tutti i magistrati amministrativi e non solo ai consiglieri di Stato, come era in origine. In secondo luogo la norma del testo unico del 1924, sebbene non menzionata nella specifica sedes materiae, incide sul procedimento di cui agli articoli 33 e 34 della legge n. 186 del 1982 in quanto dispone che i suddetti provvedimenti sono adottati «udito il parere del Consiglio di Stato in adunanza generale e dopo deliberazione del Consiglio dei ministri».
      Ne risulta un quadro normativo confuso e disomogeneo a cui hanno cercato di sopperire, ad oggi, deliberati interni dei Consigli di presidenza della magistratura amministrativa e contabile con regole procedurali che contrastano però con la riserva di legge in materia disciplinare per i magistrati.
      Va osservato poi che la citata norma del numero 4 del primo comma dell'articolo 5 del testo unico di cui al regio decreto n. 1054 del 1924 è affetta dalla stessa indeterminatezza della fattispecie punibile che caratterizza l'articolo 18 del regio decreto legislativo n. 511 del 1946, oggetto per decenni delle più aspre critiche per l'eccessiva discrezionalità rimessa all'organo titolare del potere disciplinare.
      Ma non meno criticabile e anacronistica risulta la previsione, per i magistrati amministrativi, del parere dell'Adunanza generale del Consiglio di Stato, chiamata a intervenire sulla rilevanza disciplinare di comportamenti la cui sanzionabilità non può che essere prerogativa esclusiva dell'organo di autogoverno, come del resto prescritto, con norma valida per tutte le magistrature, dell'articolo 105 della Costituzione. E se in epoca storica assai risalente (l'originaria disposizione figura nel testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato del 1907), poteva aver un qualche senso garantire l'indipendenza del magistrato mediante il giudizio rimesso all'intero corpo di appartenenza, oggi risulta oggettivamente inammissibile che quello stesso organo abbia titolo per esprimersi su una competenza contestualmente rimessa al Consiglio di presidenza e, per di più, anche sulla responsabilità disciplinare dei giudici del primo grado, estranei all'Adunanza generale.
      Ulteriore ed egualmente dirimente profilo di inadeguatezza della vigente disciplina, come emerge dai ricordati articoli 33 e 34 della legge n. 186 del 1982, va individuato nell'attribuzione al medesimo organo, ossia al Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, delle due funzioni che, per elementari princìpi di civiltà giuridica, devono rimanere separate e distinte: la formulazione dell'incolpazione e il giudizio sulla stessa. Tale problema è più attenuato per la magistratura contabile, ove l'iniziativa spetta al Procuratore generale presso la Corte dei conti, mentre le funzioni di contestazione dell'addebito e giudicanti spettano al Consiglio di presidenza.
      Va tenuto presente, infatti, che per la magistratura amministrativa, sebbene la promozione del procedimento disciplinare sia rimessa al Presidente del Consiglio dei ministri o al Presidente del Consiglio di Stato, è poi il Consiglio di presidenza (articolo 33, terzo comma) a contestare i fatti al magistrato e poi, valutate le prime giustificazioni dell'inquisito, ad apprezzarne l'attendibilità ai fini dell'archiviazione, ovvero decidere che si dia corso all'istruttoria, fino alla discussione dinanzi a se stesso, e alla susseguente determinazione di merito. In conclusione l'organo giudicante è privo della doverosa terzietà rispetto a quello che formula l'accusa, in violazione dei princìpi del giusto processo.
      Né può essere equivocata la funzione della commissione di tre membri del Consiglio di presidenza alla quale è rimesso, per ogni singolo affare, il compito di effettuare accertamenti preliminari ovvero l'istruttoria (articolo 33), in quanto si tratta di compiti meramente strumentali e di proposta, finalizzati a decisioni da assumersi comunque dal Plenum.
      Identiche considerazioni valgono per il cumulo di funzioni accusatorie e decidenti in capo al Consiglio di presidenza della Corte dei conti.
      Potrebbero poi enumerarsi altri aspetti negativi della procedura, in cui si riscontrano fasi inutilmente ripetitive, in assenza di adeguate garanzie di efficienza e speditezza anche sul piano dei termini, ma la natura assorbente dei vizi tratteggiati esime da una più minuta trattazione.
      Il quadro delineato impone di ricondurre la normativa sulla disciplina dei magistrati amministrativi all'osservanza di fondamentali canoni di chiarezza, razionalità e compatibilità costituzionale e tali obiettivi intende perseguire la presente proposta di delega legislativa.
      In primo luogo si propone di ovviare alla più vistosa lacuna del sistema vigente, attraverso la diretta estensione ai magistrati amministrativi e contabili degli illeciti e delle sanzioni disciplinari già previsti dal decreto legislativo n. 109 del 2006, per i magistrati ordinari, ovviamente a esclusione degli illeciti ontologicamente non configurabili in relazione alle specifiche funzioni della giustizia amministrativa e alle caratteristiche del relativo processo.
      Quanto agli organi del procedimento disciplinare, si propone una delega legislativa ancorata a princìpi e criteri direttivi che tengono conto, anche in questo caso, delle specificità della giustizia amministrativa e contabile.
      In particolare, una volta acquisita la notizia, il Consiglio di presidenza affida l'istruttoria preliminare a una Commissione di tre propri membri, nominata ad hoc per ciascun procedimento, la quale riferisce gli esiti agli organi titolari dell'azione disciplinare.
      Riguardo a questi ultimi, si attribuisce la titolarità in capo al Presidente aggiunto del Consiglio di Stato per i magistrati amministrativi (onde salvaguardare la terzietà del Presidente, il quale presiede l'organo di autogoverno) e al Procuratore generale della Corte dei conti per i magistrati contabili.
      Per allineare la disciplina a quella prevista per i giudici ordinari (per i quali l'azione disciplinare è esercitata dal Procuratore generale della Corte di cassazione e con un peculiare procedimento dal Ministro della giustizia), si prevede che per i magistrati amministrativi e contabili l'azione disciplinare possa essere esercitata anche dal Presidente del Consiglio dei ministri, con le modalità e nel termine con cui la esercita il Ministro della giustizia (articolo 14, comma 2, del decreto legislativo n. 109 del 2006, espressamente richiamato).
      Gli organi titolari dell'azione disciplinare possono motivatamente decidere di esercitarla – formulando gli addebiti e dando così ulteriore impulso al procedimento – oppure di proporre (sempre con atto motivato) l'archiviazione dello stesso, con decisione finale attribuita al plenum del Consiglio.
      Una volta intervenuta la formulazione degli addebiti, si propone di affidare la decisione finale a un'apposita sezione disciplinare costituita all'interno del Consiglio di presidenza, destinata a restare in carica per tutta la consiliatura, al fine di assicurarne la stabilità, la terzietà e la specifica professionalità, in analogia a quanto già oggi previsto per la magistratura ordinaria. Tale organo – nominato nella prima adunanza del Consiglio di presidenza tra i propri membri, con mandato di durata corrispondente a quella dell'intera consiliatura – assume quindi la funzione, oggi esercitata dal plenum, di decidere sull'eventuale fondatezza dell'incolpazione e sull'applicazione della sanzione. La composizione della sezione è fissata in cinque membri effettivi del Consiglio e la presidenza è affidata al Vice presidente dello stesso, mentre gli altri componenti sono scelti uno tra membri laici e uno tra i membri eletti dal Consiglio di Stato e due membri sono eletti dai tribunali amministrativi regionali (per i magistrati contabili uno tra i membri eletti tra i consiglieri e due tra i referendari o primi referendari), con votazione a scrutinio segreto, a maggioranza dei due terzi dei componenti del Consiglio.
      Vi sono, poi, alcune disposizioni di coordinamento:

          a) la prima ha lo scopo di adeguare l'elenco delle attribuzioni del Consiglio di presidenza sancito dall'articolo 13 della legge n. 186 del 1982 all'istituenda sezione disciplinare, sottraendo la fase deliberativa del procedimento disciplinare alla competenza generale del Consiglio;

          b) la seconda, al fine di rendere più tempestivo, efficiente e credibile il sistema disciplinare della giustizia amministrativa, elimina dal relativo procedimento l'onere di acquisire, nell'ottica del giudizio dei pari di cui costituisce retaggio storico, il parere dell'Adunanza generale del Consiglio di Stato ove la sezione disciplinare si determini nel senso dell'inflizione di una misura espulsiva ovvero della sospensione dal servizio.

      Si applicano ai magistrati amministrativi e contabili le disposizioni del testo unico degli impiegati civili dello Stato, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957.
      Si individua, in fine, il regime transitorio, relativamente ai procedimenti disciplinari in corso, sancendo l'ultrattività della disciplina attuale in relazione ai procedimenti in cui, alla data di entrata in vigore del decreto legislativo delegato, siano stati contestati gli addebiti.

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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.

      1. Le disposizioni in materia di illeciti e di sanzioni disciplinari del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, si applicano, in quanto compatibili, ai magistrati amministrativi e contabili. Per i fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge, continuano ad applicarsi, se più favorevoli, le disposizioni previgenti.
      2. L'articolo 30 del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, è sostituito dal seguente:
      «Art. 30. – (Ambito di applicazione).1. I capi II e III del presente decreto non si applicano ai magistrati amministrativi e contabili».

      3. Il Governo è delegato ad adottare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per la riforma del procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati amministrativi e contabili, mediante sostituzione della disciplina vigente degli articoli da 32 a 34 della legge 27 aprile 1986, n. 186, e dell'articolo 10, comma 9, della legge 13 aprile 1988, n. 117, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) individuazione puntuale degli illeciti disciplinari previsti dal decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, che non sono applicabili alla magistratura amministrativa e contabile o che necessitano di adeguamento in relazione alle relative funzioni e alle caratteristiche del processo amministrativo e contabile;

          b) attribuzione della funzione di istruzione preliminare a una commissione istruttoria del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa e del Consiglio di presidenza della giustizia contabile,

composta da tre membri diversi dai componenti della sezione disciplinare di cui alla lettera a), la quale istruisce il procedimento e ne riferisce gli esiti agli organi titolari dell'azione disciplinare;

          c) attribuzione al Presidente aggiunto del Consiglio di Stato per i magistrati amministrativi e al Procuratore generale della Corte dei conti per i magistrati contabili del potere di esercitare l'azione disciplinare, mediante formulazione degli addebiti, nonché attribuzione al Presidente del Consiglio dei ministri della facoltà di promuovere l'azione disciplinare nei confronti dei magistrati amministrativi e contabili con le modalità e nel termine di cui all'articolo 14, comma 2, del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, prevedendo che la richiesta di indagini ivi prevista sia rivolta al Presidente del Consiglio di Stato e al Procuratore generale della Corte dei conti, rispettivamente per i magistrati amministrativi e contabili;

          d) previsione che il Presidente aggiunto del Consiglio di Stato per i magistrati amministrativi e il Procuratore generale della Corte dei conti per i magistrati contabili, qualora non ritengano sussistano elementi sufficienti per l'esercizio dell'azione disciplinare, formulino una specifica e motivata proposta di archiviazione del procedimento, sulla quale decide il Consiglio di presidenza, che con provvedimento motivato può imporre l'esercizio dell'azione o deliberare l'archiviazione del procedimento; alla relativa deliberazione non partecipano i componenti della sezione disciplinare di cui alla lettera a);

          e) attribuzione della decisione finale, sulla formulazione degli addebiti da parte di uno degli organi competenti, a un'apposita sezione disciplinare costituita all'interno del Consiglio di presidenza della magistratura amministrativa e di quella contabile, presieduta dal Vice presidente dello stesso e altresì composta da un componente con qualifica di presidente di sezione del Consiglio di Stato o della Corte dei conti o di consigliere di Stato o di consigliere della Corte dei conti e da due

componenti appartenenti al ruolo dei magistrati di tribunale amministrativo regionale o in possesso della qualifica di referendario o primo referendario per la magistratura contabile, da un componente non togato, oltre ai membri supplenti; i componenti della sezione disciplinare sono eletti al proprio interno, per scrutinio segreto, dal Consiglio di presidenza nella prima adunanza e il loro mandato ha la durata dell'intera consiliatura;

          f) previsione di un termine decadenziale per la formulazione degli addebiti o in alternativa per la proposta di archiviazione, nonché di un altro termine decadenziale per le determinazioni finali della sezione disciplinare;

          g) applicazione ai magistrati amministrativi e contabili, per quanto non diversamente disposto, delle disposizioni del testo unico degli impiegati civili dello Stato, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, anche in materia di trasferimento per incompatibilità ambientale e funzionale, di sospensione dal servizio, di ricostruzione della carriera, di rapporti tra procedimento disciplinare e giudizio penale, nonché di cessazione del rapporto di impiego e di giudicato amministrativo, sostituendo al Ministro della giustizia il Consiglio di presidenza della magistratura amministrativa e contabile;

          h) applicazione ai magistrati amministrativi e contabili dell'articolo 4 della legge 25 gennaio 1982, n. 17, degli articoli 3 e 4 della legge 27 marzo 2001, n. 97, dell'articolo 3, commi 57 e 57-bis, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e dell'articolo 2 del decreto-legge 16 marzo 2004, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2004, n. 126;

          i) previsione delle necessarie disposizioni di coordinamento, di abrogazione e transitorie e previsione che i procedimenti disciplinari in relazione ai quali, alla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui all'alinea, siano stati contestati gli addebiti, rimangono disciplinati dalla normativa previgente.

      4. Il decreto legislativo di cui al comma 3 è adottato su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri. Sullo schema di decreto legislativo è acquisito il parere del Consiglio di Stato e della Corte dei conti e delle competenti Commissioni parlamentari. I pareri sono resi entro trenta giorni dalla richiesta. Decorso tale termine, il decreto legislativo può essere emanato anche senza i predetti pareri.
      5. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 3, possono essere apportate le correzioni e integrazioni che l'applicazione pratica renda necessarie od opportune, con il procedimento e in base ai princìpi e criteri direttivi previsti dal presente articolo.

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