Frontespizio Relazione Progetto di Legge
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 3685


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MATARRELLI, SEGONI, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, PASTORINO
Introduzione degli articoli 613-bis e 613-ter del codice penale e altre disposizioni in materia di tortura
Presentata il 18 marzo 2016


      

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Onorevoli Colleghi! È quanto mai opportuno sottoporre alla Vostra cortese attenzione un provvedimento su un tema che da tempo viene ampiamente dibattuto ma che nella sostanza è rimasto troppo a lungo disatteso.
      La vexata quaestio dell'introduzione nell'ordinamento giuridico italiano del reato di tortura non può più essere oggetto soltanto di accorate discussioni e di infinite riflessioni, ma è necessario che, attraverso un approccio più pragmatico, si giunga all'effettiva codificazione di tale fattispecie criminosa nel diritto penale italiano.
      Come è noto, nel corso della storia, la tortura, quale pratica diffusamente applicata nel periodo classico e medievale, sia nel corso di interrogatori, sia quale forma della pena, è stata contestata dal pensiero filosofico che accompagna il periodo rinascimentale.
      Nei secoli successivi si sviluppa l'idea dell'abolizione della tortura ormai intesa quale barbaro e crudele retaggio del passato: si ricorda, fra i tanti esempi, l'autorevole e noto propugnatore di tale pensiero illuminato, l'italiano Cesare Beccaria, con la sua opera, del 1764, «Dei delitti e delle pene».
      L'idea stessa dell'inutilità della tortura e della necessità della sua abolizione accompagna lo sviluppo e la diffusione dei princìpi fondamentali del pensiero liberale, basati sul riconoscimento della libertà e della dignità dell'uomo, poi concretizzatisi nella nascita delle diverse Costituzioni promulgate sul finire del XVIII secolo, sia in Europa sia nel continente americano: la Dichiarazione di indipendenza, promulgata dal Congresso americano a Filadelfia il 4 luglio 1776, e la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 26 agosto 1789, approvata dall'Assemblea nazionale francese.
      Nel corso del 1700, infatti, i più grandi regni d'Europa hanno abolito la tortura e nel corso del 1900, successivamente alla Prima e alla Seconda guerra mondiale, le nazioni che erano state coinvolte nelle atrocità che hanno contraddistinto il periodo delle due guerre, firmarono la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 10 dicembre 1948, alla quale ha aderito anche l'Italia, che previde specificamente il reato di tortura all'articolo 5: «Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura a trattamento o a punizioni crudeli, inumani o degradanti».
      Sebbene in Italia sia sempre più acceso, come già ricordato, il dibattito sull'introduzione del reato di tortura, i Governi che si sono succeduti hanno solo espresso buone intenzioni non riuscendo però ad arrivare alla concreta approvazione di un testo definitivo.
      Eppure la Costituzione, all'articolo 13, stabilisce il principio secondo cui «È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà».
      Il divieto di tortura, inoltre, è contemplato da numerose convenzioni generali sui diritti umani delle quali l'Italia è Paese firmatario, quali:

          1) la citata Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 10 dicembre 1948 e, in particolare, l'articolo 5;

          2) la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla legge n. 848 del 1955;

          3) il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 19 dicembre 1966, reso esecutivo dalla legge n. 881 del 1977.

      Ma il divieto di tortura è previsto anche da trattati internazionali ai quali l'Italia ha aderito:

          1) la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1984 ed entrata in vigore il 27 giugno 1987, cosiddetta convenzione di New York, resa esecutiva dalla legge n. 489 del 1988;

          2) la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, firmata a Strasburgo il 26 novembre 1987, resa esecutiva dalla legge n. 7 del 1989.

      La Convenzione di New York prevede l'obbligo per gli Stati aderenti di legiferare affinché qualsiasi atto di tortura (nonché il tentativo di praticare la tortura o qualunque complicità o partecipazione a tale atto) sia espressamente e immediatamente contemplato come reato nel diritto penale interno, conformemente alla definizione prevista dall'articolo 1 della stessa Convenzione.
      Tuttavia il legislatore italiano ha sempre ritenuto che l'effettiva protezione dell'essere umano nei confronti della tortura, a fronte dell'impegno assunto con i citati atti internazionali, potesse essere garantita dalle fattispecie di reato già previste dall'ordinamento penale italiano ma così, in realtà, non è stato.
      Comunque, a distanza di oltre venti anni dall'approvazione delle leggi di autorizzazione alla ratifica e di ordine di esecuzione in Italia dei citati atti internazionali, l'ordinamento italiano non ha ancora previsto lo specifico reato di tortura che, seppur oggetto di numerosi progetti di legge, anche molto recenti, presentati nel corso delle varie legislature ed esaminati dalle Commissioni permanenti di entrambe le Camere, non è stato approvato.
      E ciò nonostante numerosi casi eclatanti, assurti a fatti di cronaca nazionale, portino ancora una volta, oggi più che mai, a riflettere sulla mancanza della previsione del reato di tortura nel codice penale italiano.


      Il riferimento è ai seguenti fatti, riportati in ordine cronologico:

          1) vertice G8 di Genova nel 2001, blitz nella scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto;

          2) Marcello Lonzi, che l'11 luglio 2003 muore nel carcere di Livorno con otto costole rotte, due denti spezzati e la mandibola, lo sterno e un polso fratturati;

          3) Federico Aldrovandi, deceduto nel settembre 2005 per «asfissia da posizione» a seguito di un normale controllo di polizia;

          4) Aldo Branzino, che il 12 ottobre 2007 entra nel carcere di Capanne, a Perugia, e ne esce il 14 ottobre, morto e con quattro ematomi cerebrali, il fegato e la milza lesionati e due costole fratturate;

          5) Giuseppe Uva, massacrato in una caserma di Varese nel 2008;

          6) Stefano Cucchi deceduto in stato di fermo nell'ottobre 2009, completamente coperto di evidenti, estesi e diffusi ematomi.

      A fronte di tali e tanto gravi casi, dobbiamo chiederci quali siano i limiti all'esercizio della forza e del potere da parte delle istituzioni.
      Inoltre, è doveroso sottolineare che, da più parti, in Italia, si levano voci che auspicano l'immediata introduzione del reato di tortura al fine di poter dare effettiva protezione alle vittime di condotte che integrano la tortura così come viene intesa nei trattati internazionali.
      La necessità dell'introduzione del reato di tortura è resa evidente dal fatto che i reati comuni le cui condotte possono essere intese come atti di tortura finiscono per non garantire effettiva protezione alle vittime, poiché le condotte vietate ricadono oggettivamente nelle fattispecie di reati per i quali l'ordinamento italiano prevede pene lievi e, di conseguenza, un termine prescrizionale breve.
      Tale meccanismo giuridico porta all'ingiusta conseguenza di offrire alla vittima di fatti assimilabili alla definizione internazionale di tortura una tutela priva di efficacia.
      Di ciò, si è occupata anche l'Unione nazionale delle camere penali, auspicando l'introduzione al più presto del reato di tortura, onde consentire l'effettiva tutela alle vittime; l'Unione aveva infatti evidenziato, nel mese di maggio 2013, in merito al procedimento pendente davanti alla Corte di cassazione per i fatti compiuti da alcuni appartenenti alle Forze dell'ordine in occasione del vertice G8 del 2001, che vi era un concreto rischio di non riuscire ad offrire un'adeguata tutela giuridica.
      Gli imputati per i fatti di estrema crudeltà perpetrati nella nell'ormai famigerata scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto, infatti, ad oggi accusati a vario titolo di abuso d'ufficio e di lesioni personali, potrebbero venire assolti in conseguenza del compimento del breve termine prescrizionale dei reati a loro ascritti, portando ancora una volta all'impossibilità di un'effettiva condanna delle persone coinvolte, sebbene ormai riconosciute responsabili, essendosi esauriti i primi due gradi di giudizio che consentono il vaglio nel merito dei fatti.
      La presente proposta di legge, pertanto, riprende alcuni dei progetti di legge già depositati negli anni scorsi, talvolta sottoscritti anche da ampi schieramenti, quali l'atto Senato n. 1216 della XV legislatura e gli atti Senato n. 1596 e n. 1884 della XVI legislatura.
      Tenuto conto che questa legislatura ha visto l'approvazione, da parte del Senato della Repubblica, il 5 marzo 2014, di un testo risultante dall'unificazione dei disegni di legge atti Senato nn. 10, 362, 388, 395, 849 e 874, poi modificato dalla Camera dei deputati il 9 aprile 2015, atto Camera n. 2168, e trasmesso dal Presidente della Camera dei deputati alla Presidenza del Senato della Repubblica il 13 aprile 2015, atto Senato n. 10-362-388-395-849-874-B, la presente proposta di legge viene depositata ritenendo che il tempo trascorso possa auspicabilmente portare, all'approvazione della stessa e così garantire l'introduzione nel codice penale italiano del reato di tortura.

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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.

      1. Nel libro secondo, titolo XII, capo III, sezione III, del codice penale, dopo l'articolo 613 sono aggiunti i seguenti:
      «Art. 613-bis. – (Tortura). – Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che infligge a una persona, con qualsiasi atto, dolore o sofferenze, fisiche o mentali, ovvero con trattamenti crudeli, disumani o degradanti, al fine di ottenere segnatamente da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimorirla o di fare pressione su di essa o su di una terza persona, ovvero per qualsiasi altro motivo fondato su ragioni di discriminazione, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni. Se le condotte di cui al periodo precedente sono poste in essere da un privato la pena è ridotta di un terzo.
      La pena di cui al primo comma è aumentata di un terzo se dal fatto deriva una lesione personale permanente ed è aumentata della metà se dal fatto deriva una lesione grave o gravissima. La pena è raddoppiata se ne deriva la morte. La pena è altresì aumentata di un terzo nel caso del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio che istiga altri alla commissione del fatto o che volontariamente omette di impedire il fatto o che vi acconsente tacitamente. Qualora il fatto costituisca oggetto di obbligo legale, l'autore non è punibile. Il reato è procedibile d'ufficio ed è imprescrittibile.
      Per il delitto di tortura commesso da uno straniero sottoposto a procedimento penale o condannato da un'autorità giudiziaria straniera o da un tribunale internazionale non può essere riconosciuta l'immunità diplomatica.


      Nei casi di cui al terzo comma lo straniero è estradato verso lo Stato nel quale è in corso il procedimento penale o è stata pronunciata sentenza di condanna per il delitto di tortura o, nel caso di procedimento davanti a un tribunale internazionale, verso lo Stato individuato ai sensi della normativa internazionale vigente in materia.
      Art. 613-ter. – (Fatto commesso all'estero). – È punito secondo la legge italiana, ai sensi dell'articolo 7, numero 5), il cittadino o lo straniero che commette nel territorio estero il delitto di tortura di cui all'articolo 613-bis».
Art. 2.

      1. All'articolo 191 del codice di procedura penale è aggiunto, in fine, il seguente comma:
      «2-bis. Le dichiarazioni ottenute mediante il delitto di tortura, di cui all'articolo 613-bis del codice penale, possono essere utilizzate solo contro le persone accusate di tale delitto al fine di stabilire che esse sono state rese in conseguenza del medesimo delitto».

Art. 3.

      1. È istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, un fondo per le vittime del delitto di tortura, di cui all'articolo 613-bis del codice penale, destinato ad assicurare un risarcimento finalizzato alla loro completa riabilitazione.
      2. In caso di morte della vittima a seguito del delitto di tortura, gli eredi hanno diritto a un equo risarcimento.
      3. È istituita, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, la Commissione per la riabilitazione delle vittime del delitto di tortura, con il compito di gestire il fondo di cui al comma 1. La composizione e il funzionamento della Commissione sono disciplinati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

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