Frontespizio Relazione Progetto di Legge
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 4006


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
IORI, GNECCHI, MARCHI, FREGOLENT, ROMANINI, CARLONI, TIDEI, MARCO DI MAIO, SGAMBATO, MINNUCCI, FAMIGLIETTI, LODOLINI, ARLOTTI, BAZOLI, CAPONE, CAPOZZOLO, CARNEVALI, D'INCECCO, DONATI, FRAGOMELI, GANDOLFI, GASPARINI, IACONO, LA MARCA, PATRIZIA MAESTRI, PICCIONE, PAOLO ROSSI, ROTTA, SANI, SCUVERA, SENALDI, ZANIN
Disciplina dell'affiancamento familiare
Presentata il 1 agosto 2016


      

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Onorevoli Colleghi! — La società odierna è in continua evoluzione e i contesti familiari, in particolare quelli con figli minori al loro interno, si trovano di fronte a problematiche inedite e a cambiamenti spesso non facilmente prevedibili che, accanto a un crescente isolamento e a una maggiore difficoltà nell'instaurare relazioni in contesti extra familiari, contribuiscono ad aumentare le situazioni di fragilità. Questo sta accadendo anche in famiglie che, fino a qualche tempo fa, riuscivano, con le loro forze, a fronteggiare una quotidianità anche difficoltosa.
      Il quadro delle fragilità familiari con figli in età minorile presenta aspetti complessi e diversificati.
      L'analisi della situazione attuale mostra infatti come le singole aree di criticità normalmente prese in esame (povertà infantili, malattia e disabilità infantili, fragilità dei progetti di coppia e monoparentalità, genitorialità infragilite, condizione di esclusione sociale, non integrazione nei contesti sociali, eccetera) si presentino sempre più frequentemente in modo congiunto, determinando un intreccio di situazioni problematiche che, soprattutto in carenza di supporti da parte di reti familiari e sociali, contribuiscono in modo significativo a determinare situazioni di vulnerabilità familiare altamente complesse e a forte rischio di disagio e di esclusione.
      Il quadro demografico (secondo gli indicatori dell'Istituto nazionale di statistica – ISTAT, per l'anno 2015) è caratterizzato da una graduale riduzione del numero medio di figli per donna (sceso a 1,35), che si accompagna a un'età sempre più elevata alla nascita del primo figlio (l'età media delle donne al primo parto è salita a 31,6).
      Negli ultimi cinque anni gli effetti sociali della crisi economica hanno ulteriormente influenzato queste due tendenze, portando a un ulteriore aumento dell'età della prima gravidanza. I dati mostrano come le cittadine italiane abbiano risentito di questi fattori in modo maggiore di quanto registrato tra le cittadine straniere (1,28 figli rispetto a 1,93 figli per donna, anche se in calo), che presentano un calendario della fecondità anticipato (età media 28,7 del primo figlio, rispetto ai 32,2 anni delle donne italiane).
      Un altro nucleo di dati significativi e meritevoli di attenzione evidenziato dall'analisi demografica riguarda le famiglie monoparentali. Su un totale di 24.611.766 famiglie censite dall'ISTAT (ISTAT, Annuario Statistico italiano 2015), quelle composte da madri o padri soli con figli sono 2.439.750 (rispettivamente circa il 8,14 per cento e il 1,77 per cento del totale dei nuclei), con un aumento di oltre 338 mila unità rispetto alle 2.100.999 del decennio precedente. Da notare che per la stragrande maggioranza i nuclei monoparentali sono composti da donne sole con bambini: l'82,6 per cento, pari a 2.189.201. L'ISTAT ha inoltre rilevato come per le donne sole con bambini il rischio di povertà (soprattutto nei primi due anni successivi ad una separazione/divorzio) sia più elevato rispetto ad analoghe situazioni per gli uomini (una donna su quattro rispetto a un uomo su sei).
      La monogenitorialità costituisce dunque un fattore significativo nel determinare condizioni di povertà, che negli ultimi anni sono cresciute in modo rilevante, con un carico di incidenza sempre più elevato tra i bambini. I dati più recenti (Istat, La povertà in Italia. Anno 2014) delineano un quadro complessivo che presenta aspetti preoccupanti per le 25.768.000 famiglie: 1.470.000 famiglie sono in stato di povertà assoluta (circa il 5,7 per cento del totale delle famiglie). Per quanto riguarda l'incidenza si nota che al crescere del numero dei figli minori cresce la possibilità di diventare poveri: tra le famiglie con un 1 figlio minore il 6,4 per cento è in condizioni di povertà assoluta; tra quelle con 2 figli minori la percentuale sale al 9 per cento per arrivare al 18,6 per cento tra le famiglie con 3 o più figli minori.
      Nelle famiglie in cui sono presenti stranieri la povertà assoluta è più diffusa rispetto alle famiglie composte solamente da italiani: dal 4,3 per cento di queste ultime si sale al 12,9 per cento per le famiglie miste e si arriva al 23,4 per cento di quelle composte da soli stranieri.
      Si trovano in situazione di povertà «relativa» (sempre in riferimento ai dati del 2014) 2.654.000 famiglie (circa il 10,3 per cento del totale delle famiglie). Si conferma un'incidenza correlata al numero dei figli minori. Cresce, infatti, la possibilità di essere in povertà relativa nelle famiglie con più figli minori: tra le famiglie con un 1 figlio minore il 13,1 per cento è in povertà relativa, tra quelle con 2 figli minori la percentuale sale a 18,5 per cento e tra quelle con 3 o più figli minori al 31,2 per cento.
      L'incidenza della povertà relativa è superiore alla media nazionale tra le famiglie di monogenitori (12,8 per cento). Infine, tra le famiglie con stranieri l'incidenza della povertà relativa è decisamente più elevata rispetto a quella registrata tra le famiglie composte da soli italiani: dall'8,9 per cento di queste ultime passa al 19,1 per cento di quelle miste e arriva al 28,6 per cento tra le famiglie composte da soli stranieri.
      Alla crescente presenza di condizioni di povertà è legato l'aumento degli sfratti: 100 mila quelli eseguiti nel 2013, di cui il 44 per cento riguarda le coppie con figli, che più risentono della crisi e faticano a pagare regolarmente il canone di locazione al proprietario (Sunia 2013). A questo si aggiungono altri elementi meritevoli di attenzione, quali un maggior ricorso ai discount, i tagli delle spese per vestiario, sanità e svago: tutti indicatori di un Paese in cui le famiglie con figli incontrano difficoltà maggiori e faticano a trovare sostegni che le aiutino a fronteggiare le criticità. Avere fratelli o sorelle significa cadere più facilmente nella povertà, così come avere genitori giovani, immigrati, con basso livello di studio espone maggiormente all'indigenza (Save the Children, Rapporto sull'infanzia in Italia, 2015).
      Un secondo aspetto di fragilità da considerare nelle famiglie con figli minori è la condizione di malattia e di disabilità, di cui una descrizione statistica risulta più complessa, come evidenziato da tutti gli studi e le analisi in materia. Per quanto riguarda la fascia infantile, ad esempio, un aspetto particolarmente rilevante è costituito dall'assenza di dati sulla disabilità sino ai sei anni di vita. I rapporti più recenti (Istat, La disabilità in Italia. Il quadro della statistica ufficiale, 2009) attestano la presenza di 2.609.000 persone con disabilità in Italia (il tasso di disabilità è pari al 4,76 per 100 persone con le stesse caratteristiche). La disabilità è una condizione che coinvolge soprattutto gli anziani: quasi la metà delle persone con disabilità ha più di 80 anni mentre la percentuale dei bambini al di sotto dei 14 anni è pari al 3,1 per cento.
      Un tema correlato al precedente è quello della condizione di malattia cronica. Le più recenti statistiche (Istat, Annuario Statistico italiano 2015), basate su indagini campionarie multiscopo, rilevano nella fascia 0-14 anni una percentuale dell'8,3 per cento con una malattia cronica o più e nella fascia 15-17 una percentuale del 15 per cento.
      Una terza dimensione di fragilità delle famiglie con bambini concerne la rottura dei nuclei e dei legami familiari. I dati più recenti (Istat, Matrimoni, separazioni e divorzi, 2014) attestano che il numero delle separazioni è cresciuto (passando dalle 84 mila del 2008 alle 89 mila del 2014, con un tasso di incidenza di 319 separazioni ogni 1000 matrimoni), mentre i divorzi sono in diminuzione (dai 54 mila del 2008 ai 52 mila del 2014, ovvero 180 ogni 1000 matrimoni). Le separazioni che riguardano matrimoni con figli minori sono il 52,8 per cento del totale delle separazioni (dato di poco cresciuto negli ultimi anni), mentre i divorzi con figli minori sono il 32,6 per cento del totale. Il 76 per cento delle separazioni e il 65 per cento dei divorzi hanno riguardato coppie con figli che, nel 90 per cento dei casi, hanno scelto l'affido condiviso.
      Le situazioni qui descritte hanno contemporaneamente determinato un maggior carico per i servizi sociali territoriali, che si sono trovati a dover fronteggiare richieste crescenti di aiuto da parte di famiglie con figli piccoli, prevalentemente determinate da problemi economici e abitativi, oppure conseguenti alla fragilità o alla rottura dei legami familiari, a condizioni di solitudine e isolamento connesse a processi migratori o a situazioni di malattia cronica o disabilitante.
      Ad oggi alcuni studi stimano pari al 48 per mille la quota dei minori residenti in Italia in carico ai servizi sociali (Terres des Hommes, Cismai, Indagine nazionale sul maltrattamento dei bambini e degli adolescenti in Italia, 2015) e per i quali è stato attivato un intervento. Un bambino su cinque di quelli seguiti dai servizi sociali sono vittime di maltrattamento, con una maggiore esposizione dei bambini stranieri rispetto a quelli italiani.
      I servizi sociali territoriali e le organizzazioni del terzo settore attive in tale ambito hanno rilevato, accanto a un incremento numerico di richieste, un aumento significativo della complessità delle problematiche rilevate, dovute alla diversificazione e alla concatenazione dei fattori di criticità presenti: tale quadro complessivo, anche alla luce di una disponibilità di risorse economiche in progressiva contrazione, comporta una crescente difficoltà nell'offerta di risposte adeguate, sia sotto il profilo numerico sia per l'assenza di proposte adatte alle problematicità con cui ci si confronta.
      Parallelamente, appaiono in crescita le famiglie che, pur trovandosi in difficoltà, non si rivolgono ai servizi sociali se non quando la situazione è molto compromessa, per timore o pregiudizio verso i servizi, per vergogna, per un'errata valutazione o non consapevolezza rispetto ai problemi che si stanno vivendo o anche per semplice non conoscenza delle risorse del territorio. Sono in crescita anche le situazioni in cui i servizi sociali, pur intervenendo, si trovano nella necessità di attivare o eseguire, su mandato dell'autorità giudiziaria, provvedimenti orientati all'emergenza e alla tutela dei minori nelle famiglie.
      Si tratta di cambiamenti che hanno messo in luce l'esigenza di ripensare ad alcuni presupposti che parevano consolidati negli interventi sociali a favore delle famiglie e di ripensare al sistema stesso dell'offerta di intervento a sostegno alle situazioni familiari in difficoltà e delle fragilità educative.
      Di fatto cresce la consapevolezza che gli strumenti a disposizione dei servizi sociali siano, da un lato, non completamente adeguati per intervenire rispetto alle nuove situazioni di fragilità familiari e, dall'altro, prevalentemente orientati alla protezione e alla tutela del bambino. Si pone, quindi, come sempre più necessaria, una «pluralizzazione» delle possibilità di intervento da parte dei servizi sociali anche nel campo dell'affidamento e delle forme di sostegno alla genitorialità, come indicato nelle raccomandazioni europee ed internazionali di seguito sinteticamente richiamate.
      Da diversi anni, infatti, questi temi hanno trovato una particolare attenzione a livello internazionale ed europeo: è cresciuto l'interesse nei confronti dei diritti dei minori e in particolare delle famiglie con bambini che presentano situazioni di vulnerabilità significative. La progressiva consapevolezza della necessità di un investimento maggiore nel sostegno ad una genitorialità sempre più spesso fragile ha portato alla predisposizione di Linee Guida e Raccomandazioni che, per sommi capi, sono qui sintetizzate:

          1) Raccomandazione R(2006)19 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa agli Stati membri relativa alle politiche di sostegno alla genitorialità. L'obiettivo della raccomandazione è sensibilizzare gli Stati riguardo all'importanza delle responsabilità genitoriali e all'esigenza di sostenere adeguatamente i genitori nell'educazione dei propri figli e si propone di migliorare il modo e le condizioni in cui sono educati i figli nelle società europee. La raccomandazione invita gli Stati membri a consolidare e sviluppare le proprie politiche di supporto alla famiglia, concentrandosi sugli aspetti di adeguata cura dei figli, sui servizi di sostegno alla genitorialità e sui servizi per genitori a rischio di esclusione sociale. A proposito dei servizi di sostegno alla genitorialità, la raccomandazione incoraggia a promuovere e sostenere il contributo che viene da risorse informali, reti tradizionali e altre forme di solidarietà presenti nella comunità e a riconoscere l'importanza di progetti che coinvolgono genitori e famiglie in nuove relazioni (reti tra famiglie, «famiglie di sostegno», «famiglie tutor»...), creando luoghi e reti che incoraggino i genitori a scambiare opinioni ed esperienze con altri genitori in situazioni simili;

          2) Linee guida del Consiglio d'Europa per la definizione di strategie nazionali integrate di protezione dei bambini dalla violenza e la Raccomandazione del Comitato dei ministri (2009)10. Nel paragrafo dedicato agli obblighi dello Stato, a partire dal riconoscimento del ruolo centrale svolto dalla famiglia per favorire lo sviluppo e il benessere del bambino e tutelarne i diritti, in particolare quello di essere protetto contro ogni forma di violenza, si invitano gli Stati membri a sostenere le famiglie nel loro ruolo educativo e di formazione, vigilando e fornendo una rete di servizi di accoglienza dell'infanzia accessibili, flessibili e di buona qualità, facilitando la conciliazione tra vita familiare e professionale e predisponendo programmi destinati a migliorare le competenze genitoriali e a promuovere un ambiente familiare sano e positivo;

          3) Linee guida relative all'accoglienza eterofamiliare dei minori (Guidelines for the alternative care of children ONU), adottate con risoluzione A/RES/64/142 . Il documento prende in esame le pratiche di presa in carico e allontanamento dei minori dal nucleo familiare, invitando i governi a trovare strategie idonee e a costruire sistemi accoglienti e inclusivi, a promuovere interventi educativi mirati alla

promozione di processi di cittadinanza attiva, di coping, empowerment e resilienza, nonché a rivisitare consolidate teorie e a trovare nuove idee, strumenti e metodi per produrre un cambiamento risignificando gli interventi educativi promossi anche in favore di bambini, bambine, adolescenti e giovani che vivono condizioni di vulnerabilità e abbandono. Alla base di ciò vi sono due principi fondamentali il principio di necessità, in base al quale l'allontanamento del minore dalla propria famiglia deve rappresentare l'ultima tra le possibilità, cercando di privilegiare ogni azione di supporto per permettere al minore di rimanere in famiglia e di ricevere le cure e la protezione necessaria; il principio di adeguatezza, per cui in caso di allontanamento del minore deve essere individuata la forma di accoglienza alternativa più adeguata ai bisogni individuali e deve essere attivato un monitoraggio costante;

          4) Raccomandazione CM/Rec(2011)12 del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa agli Stati membri, riguardante i diritti dei bambini e i servizi sociali adatti ai bambini e alle loro famiglie. L'obiettivo precipuo dei servizi sociali per i minori e le loro famiglie dovrebbe essere quello di fare prevalere l'interesse superiore del minore su ogni altra considerazione, tenendo presente che la responsabilità principale dell'educazione e dello sviluppo del bambino spetta in primo luogo ai genitori. I servizi sociali dovrebbero garantire un ambiente favorevole e incoraggiante per il minorenne, fornendo un livello adeguato e diversificato di servizi e risorse per sviluppare una genitorialità positiva e rafforzare le competenze parentali. I servizi sociali dovrebbero, quindi, mirare a sviluppare pienamente il potenziale del bambino e a riconoscere il suo bisogno di essere accudito, di ricevere un'educazione ben strutturata e di essere accompagnato verso l'autonomia. I servizi sociali dovrebbero essere organizzati sulla base del principio di sussidiarietà e offrire una vasta gamma di servizi preventivi, globali e reattivi, con particolare attenzione ai minori privati dei loro diritti e alle famiglie con maggiori difficoltà. Tali servizi dovrebbero provvedere, in particolare, a:

              garantire ai minori l'accesso a consigli o consulenze di qualità, a strutture giornaliere educative di accoglienza e ad attività ricreative, culturali e di altro tipo, tenendo conto in particolare della situazione del genitore o dei genitori rispetto al lavoro (partecipazione o esclusione dal mercato del lavoro);

              predisporre misure generali per fornire consulenze alle famiglie e programmi destinati a rafforzare le competenze parentali.

          5) Raccomandazione della Commissione UE del 20 febbraio 2013 (2013/112/UE) – Investire nell'infanzia per spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale. I princìpi ispiratori della raccomandazione sono individuati principalmente nella limitazione della crescita di situazioni istituzionali di collocamento a seguito dell'allontanamento del minore dalla propria famiglia, a vantaggio di altre soluzioni di presa a carico di qualità, in strutture di prossimità o in famiglie di accoglienza, tenendo nella dovuta considerazione il parere dei minori.

      Le linee di indirizzo citate mostrano come le problematiche delle famiglie con situazioni di elevata vulnerabilità o di fragilità non ancora critica non riguardino solo enti preposti e professionalità specifiche, ma debbano coinvolgere la società nel suo complesso: al fine di costruire percorsi adeguati ed efficaci, è infatti necessario che gli interventi di carattere professionale possano essere affiancati dall'attivazione della comunità nella protezione dei bambini, affinché sia possibile offrire risposte adeguate alle diverse necessità (promozione – prevenzione primaria – prevenzione secondaria – tutela), nell'ottica del recupero delle condizioni di una possibile genitorialità positiva.
      Il quadro normativo nazionale è coerente con quanto proposto nei riferimenti internazionali citati in quanto ha già da tempo recepito gli orientamenti contenuti nelle suddette raccomandazioni e linee

guida internazionali. In particolare, il quadro normativo si poggia su alcune norme cardine per la tutela dei minori e la prevenzione del disagio infantile e per la promozione di una genitorialità adeguata.
      La legge 8 novembre 2000, n. 328, (legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), all'articolo 16 recita in modo chiaro l'intenzione di riconoscere il ruolo peculiare delle famiglie nella formazione e nella cura della persona, nella promozione del benessere e nel perseguimento della coesione sociale; di sostenere e valorizzare i molteplici compiti cui le famiglie sono chiamate sia nella quotidianità, sia nei momenti critici e di disagio; di promuovere la cooperazione, il mutuo aiuto e l'associazionismo delle famiglie; di valorizzare il ruolo attivo delle famiglie nella formazione di proposte e di progetti per l'offerta dei servizi e nella valutazione dei medesimi. L'articolo prosegue indicando alcune priorità, tra le quali la promozione del mutuo aiuto tra le famiglie; (...); servizi di sollievo, per affiancare la famiglia nel compito di cura, in particolare i componenti più impegnati nell'accudimento quotidiano dei familiari bisognosi, anche attraverso una sostituzione durante l'orario di lavoro; servizi per l'affido familiare per sostenere, con qualificati interventi e percorsi formativi, i compiti educativi delle famiglie interessate.
      Orientamenti similari erano contenuti nella legge 28 agosto 1997, n. 285, recante disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza, che, all'articolo 3, incentivava la realizzazione di servizi di preparazione e di sostegno alla relazione genitore-figli, di contrasto alla povertà e alla violenza, nonché di misure alternative all'inserimento dei minori in istituti educativo-assistenziali, tenuto conto altresì della condizione dei minori stranieri.
      Più esplicito, per il tipo di situazioni di cui alla presente proposta di legge, è quanto indicato nell'articolo 1 della legge 28 marzo 2001, n. 149, recante modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di affidamento familiare e adozione. Nell'articolo richiamato si esplicita la prospettiva di fondo cui si ispira tutta la normativa: il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia e le condizioni di indigenza dei genitori non possono essere di ostacolo all'esercizio di questo diritto. A tale fine, a favore della famiglia vanno predisposte strategie di sostegno e aiuto a cura dello Stato, delle regioni e degli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, al fine di prevenire l'abbandono e consentire al minore di essere educato nella propria famiglia.
      Tale legge s'inserisce in un contesto normativo e in un quadro di politiche di protezione e tutela dei bambini già decisamente sviluppati a livello nazionale e regionale, relativo al sostegno alle famiglie al fine di prevenire l'eventuale allontanamento dei figli; alla regolamentazione e standardizzare del collocamento dei bambini fuori dalla famiglia; alla contestualizzazione di questo settore di intervento nel più complessivo sistema di welfare regionale o nell'ambito di piani regionali per l'infanzia e/o per la famiglia e al rafforzamento di interventi a tutela dei minori più radicati sul territorio, più inseriti nella rete dei servizi, meno residenziali e più domiciliari/familiari.
      Nell'anno 2012 sono state inoltre pubblicate, a cura del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, le linee d'indirizzo nazionali per l'affidamento familiare, al termine di un lungo percorso di studio e confronto con operatori pubblici e privati di tutto il Paese. Le linee d'indirizzo non si sostituiscono alle legislazioni regionali, ma offrono un quadro di riferimento complessivo rispetto a principi, contenuti e metodologie di attuazione organizzate nella forma di «raccomandazioni».
      I dati sull'affidamento familiare raccolti periodicamente evidenziano un calo complessivo: alla fine del 2012 sono circa 28 mila i minori collocati fuori dalla famiglia d'origine, in affidamento familiare o in comunità residenziali (Fonte: Ministero del lavoro e delle politiche sociali, 2012) con una stabilità del numero di affidamenti e un calo dei collocamenti in struttura comunitaria.
      In tale contesto, recependo quanto suggerito dalle raccomandazioni europee, la prospettiva di intervento nell'ambito dell'affidamento familiare vede emergere nuove ipotesi di lavoro, che hanno l'obiettivo di incrementare l'offerta di sostegno alla fragilità familiare, anche con il coinvolgimento delle realtà del territorio, di altre famiglie e reti di famiglie e attraverso una partecipazione attiva e consensuale dei nuclei familiari in difficoltà. In particolare, oltre alle forme di affidamento diurno, part time o a questi assimilabili, nelle Linee di indirizzo nazionali per l'affidamento, al punto 223.2 si evidenzia la possibilità di attivare sperimentazioni di «vicinato solidale» alle famiglie in difficoltà con bambini. Si tratta di nuclei familiari che abitano vicino alla famiglia in difficoltà e sono coinvolti dai servizi territoriali in un percorso di accompagnamento e aiuto condiviso dalla stessa famiglia. Il «vicinato solidale» è formalizzato individuando, per quanto possibile, le modalità di aiuto quotidiano per l'organizzazione e la gestione della vita familiare, sostegno in momenti particolari. Si tratta di una prospettiva simile e coerente a quanto proposto nella Raccomandazione europea del 2006.
      Primi segnali di riconoscimento e valorizzazione a livello regionale di queste prospettive di intervento a favore delle famiglie e dei minori si riscontrano già in provvedimenti regolativi dell'affidamento familiare a livello regionale.
      La regione Emilia-Romagna, dal 2011, ha incluso l'affiancamento familiare all'interno della direttiva regionale sull'affido (DGR 1904/2011 Direttiva in materia di affidamento familiare, accoglienza in comunità e sostegno alle responsabilità familiari). Si indica, inoltre, che «L'affiancamento familiare rappresenta una forma di solidarietà tra famiglie che non rientra all'interno della categoria dell'affido, anche se indubbiamente è culturalmente ed operativamente ad esso connesso, che ha come finalità fondamentale quella di sostenere un nucleo familiare in difficoltà e di prevenire il possibile allontanamento del minore dalla propria famiglia».
      Si possono attivare forme di vicinanza e sostegno da parte di un nucleo familiare (famiglia affiancante) motivato e disponibile a dedicare parte del suo tempo a un altro nucleo familiare che presenti difficoltà o carenze sul piano della cura ed educazione dei figli (senza però che vi siano rischi contingenti che richiedano la tutela e l'allontanamento dei minori o pregressi episodi di abuso o di allontanamento del minore dal nucleo). Il sostegno alle competenze genitoriali realizzato dalla famiglia affiancante si caratterizza di conseguenza più sullo sviluppo delle potenzialità e delle competenze piuttosto che sui deficit e sulle carenze e si propone di rompere solitudine e isolamento, rinforzando le reti e le relazioni tra le famiglie mediante azioni costanti nel tempo in cui la concretezza della quotidianità sia posta al centro. Azioni e metodologie di intervento degli interventi di affiancamento familiare prevedono:

          interventi di sensibilizzazione e promozione delle risorse familiari di carattere micro-comunitario in grado di far emergere le famiglie disponibili in contesti di vita vicini a quelli in cui vivono le famiglie destinatarie degli interventi;

          un’équipe tecnica in grado di valutare in via preliminare le proposte di affiancamento e la coerenza e pertinenza degli interventi proposti;

          la costruzione e la condivisione tra tutti i soggetti coinvolti (famiglie affiancate, famiglie affiancanti, servizio sociale, minori e associazioni) di patti educativi che esplicitino obiettivi, tempi e modalità operative dei singoli interventi;

          l'individuazione di figure esperte e professionalmente preparate (tutor) in grado di sostenere e supervisionare l'andamento nel tempo dei singoli progetti;

          la realizzazione di incontri di gruppo periodici destinati alle famiglie affiancanti impegnate negli interventi improntati alla metodologia dell'auto-aiuto e del sostegno e dello scambio di esperienze;

          la realizzazione di incontri di gruppo per i genitori delle famiglie destinatarie degli interventi;

          momenti periodici di monitoraggio e valutazione delle esperienze di affiancamento.

      Anche la regione Piemonte, nel Patto per il sociale 2015-2017, ha incluso un focus specifico sul sostegno alle responsabilità genitoriali e sulla prevenzione del disagio minorile, indicando che «la diffusione omogenea e coordinata, secondo una visione organica, di servizi territoriali, che siano un punto di riferimento stabile per le famiglie e un sostegno multidisciplinare all'esercizio delle responsabilità genitoriali, rappresenta una risposta importante e utile rispetto ad un “area sociale”, che rimane un architrave decisivo per la coesione sociale e nel contempo è sottoposta a forti pressioni che la rendono sempre più vulnerabile». E viene sottolineata l'importanza, anche attraverso il potenziamento dei Centri per le famiglie, di «promuovere progettualità capacità di intercettare nuovi bisogni, che spesso rimangono fuori dall'attività ordinaria dei servizi e diffondere una cultura e una prassi della prevenzione di disagi che, soprattutto nell'area dell'infanzia e dell'adolescenza, possono diventare esplosivi e richiedere poi interventi traumatici».
      Di particolare rilievo, in questa prospettiva, è quanto proposto nel IV Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, sul quale l'11 febbraio 2016 la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, ha espresso il proprio parere favorevole. Nella sezione dedicata agli obiettivi tematici generali del Piano si indica, espressamente, la necessità di diffondere e mettere a sistema pratiche innovative di intervento basate sulla valutazione multidimensionale delle relazioni familiari, sulla valutazione di processo e di esito dei percorsi di accompagnamento e di presa in carico delle famiglie vulnerabili. In tale ottica s'individuano, all'interno del Piano, alcune funzioni che è possibile qualificare come livelli essenziali e riguardanti l'attivazione di interventi e servizi di cura e sostegno alla quotidianità e di promozione delle competenze genitoriali capaci di riconoscere accogliere e prevenire le fragilità. Tali azioni valorizzano espressamente forme di reciprocità e di auto mutuo aiuto e solidarietà tra famiglie con l'obiettivo di sviluppare capitale sociale nelle comunità locali.
      Queste analisi mettono in evidenza l'importanza di introdurre elementi di innovazione nel campo delle forme di sostegno alle famiglie in difficoltà, che recepiscano in modo attento quanto contenuto e proposto nelle Raccomandazioni europee in materia, sia nella prospettiva della riduzione del numero dei collocamenti fuori dalla famiglia e della prevenzione dell'allontanamento, sia nell'ottica di diversificare le proposte di sostegno, adattandole ai cambiamenti e alle esigenze emergenti.

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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Finalità).

      1. La presente legge è volta a sostenere la genitorialità fragile, tramite l'affiancamento di altre famiglie che siano in grado di offrire, attraverso una relazione paritaria e di reciprocità, un sostegno concreto e un modello positivo, e che siano supportate da un sistema di progetti chiaramente definiti e condivisi, comprensivo di percorsi formativi e strumenti di monitoraggio.
      2. La presente legge è volta altresì alla riduzione delle situazioni di povertà educativa, di difficoltà genitoriale e di prevenzione dell'allontanamento dei bambini dal nucleo familiare di origine, valorizzando i legami familiari, sociali e territoriali.

Art. 2.
(Affiancamento familiare).

      1. L'affiancamento familiare è una modalità di intervento a favore di minori e famiglie in difficoltà secondo cui, nel rispetto dell'unità del nucleo familiare, una famiglia affiancante cosiddetta «famiglia risorsa» si impegna, per un periodo di tempo determinato, a offrire il proprio sostegno attraverso un supporto pratico e relazionale, mettendo a disposizione le proprie risorse, competenze e reti di riferimento, in raccordo con le risorse presenti sul territorio.
      2. La famiglia risorsa opera in collaborazione con i servizi sociali di riferimento e le realtà associative locali, per incrementare le competenze educative dei genitori del nucleo familiare affiancato, migliorare l'esercizio delle responsabilità genitoriali e favorire una maggiore adeguatezza dell'organizzazione familiare, promuovendo la progressiva autonomia e benessere del nucleo familiare affiancato, allo scopo di rispondere

alle necessità educative, affettive e materiali dei figli.
      3. L'affiancamento familiare è avviato a seguito dell'adesione consensuale e della partecipazione attiva delle famiglie coinvolte in progetti di affiancamento che possono essere integrati da ulteriori azioni di supporto da parte dei servizi sociali e di altri soggetti del territorio.
      4. L'attuazione dei progetti di affiancamento è coordinata da un’équipe multidisciplinare, cui partecipano i servizi sociali e rappresentanti degli enti pubblici e privati coinvolti. L’équipe verifica periodicamente l'andamento e la realizzazione dei progetti di affiancamento, con particolare attenzione al raccordo con le realtà territoriali e alla concertazione degli interventi.
Art. 3.
(Progetti di affiancamento e patto tra le famiglie).

      1. Alla predisposizione di ciascun progetto di affiancamento concorre una pluralità di soggetti: famiglie affiancate e famiglie risorsa, operatori dei servizi sociali, tutor, realtà associative e del terzo settore e reti di associazioni.
      2. Il progetto di affiancamento è definito attraverso la predisposizione in forma scritta di un documento denominato «patto educativo» in cui sono indicati:

          a) le caratteristiche principali delle famiglie coinvolte nel progetto di affiancamento;

          b) gli obiettivi del progetto, che devono essere espliciti, semplici, verificabili e realizzabili nei tempi stabiliti dal progetto medesimo;

          c) le attività previste per il raggiungimento degli obiettivi descritti, anche attraverso la descrizione delle modalità operative, dei tempi e dei luoghi di realizzazione;

          d) i compiti delle due famiglie, dell'operatore dei servizi sociali di riferimento e del tutor;

          e) la durata del progetto;

          f) i diritti e i doveri delle due famiglie e del tutor, nel rispetto della normativa vigente;

          g) le modalità anche temporali per il monitoraggio e la valutazione del progetto.

      3. Il patto educativo è predisposto dalle due famiglie che partecipano al progetto le quali, con l'aiuto del tutor e dell'operatore dei servizi sociali di riferimento, definiscono obiettivi, attività e modalità operative. Se il progetto di affiancamento prevede la partecipazione di altri soggetti del territorio con compiti specifici, questi sono inclusi nel patto educativo e possono essere cofirmatari del patto medesimo.
      4. Il patto educativo è firmato da tutti i partecipanti al progetto di affiancamento (famiglia affiancata, famiglia risorsa, operatore dei servizi sociali di riferimento e tutor) e ha generalmente la durata di dodici mesi. Ove necessario, il progetto può essere prolungato, fino ad un massimo di due anni, attraverso la stipula di un nuovo patto, in cui sono indicati le ragioni del prolungamento e gli obiettivi da raggiungere. Nel caso in cui insorgano cambiamenti imprevisti o situazioni ritenute ostacolanti per la buona riuscita del progetto di affiancamento, l'operatore dei servizi sociali di riferimento, dopo aver consultato il tutor e le due famiglie, può determinare l'interruzione del progetto anche anticipatamente rispetto ai tempi inizialmente concordati, informando adeguatamente le diverse parti coinvolte.

Art. 4.
(Famiglie affiancate e famiglie risorsa).

      1. La famiglia affiancata e la famiglia risorsa che partecipano ad un progetto di affiancamento familiare si incontrano periodicamente, nelle abitazioni dell'una o dell'altra, oppure in altro luogo tra loro concordato e concorrono al raggiungimento degli obiettivi fissati nel progetto. L'impegno delle due famiglie è portato avanti attraverso attività di carattere pratico da svolgersi con le modalità operative indicate nel patto, che possono essere costituite

da forme di aiuto nell'organizzazione familiare, di supporto alle competenze genitoriali e alla gestione dei bambini, di assistenza nelle relazioni con la realtà territoriale e nella ricerca di un'occupazione, nonché da scambi di carattere relazionale in un contesto di vicinanza solidale. La famiglia risorsa offre il proprio sostegno, senza sostituirsi alla famiglia affiancata, nella ricerca di strategie utili per migliorare il benessere familiare e per facilitare la gestione delle problematiche presenti, al fine di stimolare una sua autonomia crescente e relazioni e legami sociali più significativi.
      2. Le famiglie risorsa si mettono a disposizione dell'affiancamento e hanno diritto di ricevere le informazioni necessarie per comprendere la natura dell'esperienza, le differenze con altre pratiche di solidarietà verso le famiglie in difficoltà.
      3. Le famiglie risorsa, che possono avere conformazioni, provenienze territoriali e esperienze diverse, sono nuclei familiari con o senza figli; in determinati casi, gli operatori dei servizi sociali possono valutare l'opportunità di coinvolgere anche persone singole o più nuclei familiari. Per essere incluse nel progetto di affiancamento, le famiglie devono avere una buona stabilità familiare, una relazione genitoriale e di coppia equilibrata, un buon grado d'inserimento nelle reti sociali presenti sul territorio, una propensione all'accoglienza e alla relazione con l'altro. Devono inoltre essere disponibili a raccordarsi con i servizi sociali e con il tutor per condividere il progetto e avere una disponibilità di tempo adeguata agli obiettivi proposti nel progetto.
      4. Ogni famiglia interessata all'affiancamento deve partecipare a un percorso formativo, la cui organizzazione e definizione dei parametri gestionali è demandata alle regioni, gestito direttamente da operatori dei servizi sociali o da formatori di realtà territoriali con riconosciuta esperienza. Il percorso formativo, seguito da un colloquio individuale, ha l'obiettivo di approfondire la conoscenza del progetto e di accompagnare le famiglie in una riflessione sulle proprie caratteristiche familiari e relazionali.
      5. Le famiglie affiancanti che concretamente avviano l'esperienza dell'affiancamento sono ulteriormente supportate con incontri formativi periodici di gruppo, gestiti direttamente da operatori dei servizi sociali o da formatori di realtà territoriali con riconosciuta esperienza.
      6. Le famiglie da affiancare sono nuclei familiari che vivono situazioni di criticità e di difficoltà temporanee non riguardanti aspetti di inadeguatezza genitoriale, di comportamenti di maltrattamento o abuso, di abbandono o trascuratezza. I nuclei familiari presentano, principalmente, problemi nelle relazioni sociali, solitudine e assenza di reti di supporto naturali, criticità connesse al rapporto di coppia o alle relazioni con le reti parentali primarie, problematiche abitative o economiche, difficoltà nella conciliazione tra compiti di cura e di lavoro, difficoltà transitorie legate a un lutto o alla perdita del lavoro.
Art. 5.
(Operatori dei servizi sociali).

      1. Nella predisposizione e nella realizzazione dei progetti di affiancamento familiare, ai servizi sociali sono attribuiti i seguenti compiti: analizzare le famiglie e i tutor da coinvolgere nel progetto di affiancamento, definire e coordinare gli abbinamenti e la elaborazione del patto educativo tra le due famiglie, monitorare e sostenere l'attuazione e la valutazione finale del progetto.
      2. I servizi sociali territoriali, nello svolgimento dei compiti indicati al comma 1, individuano le famiglie che possono beneficiare dell'affiancamento familiare e collaborano nella ricerca di famiglie risorsa disponibili all'affiancamento. Ove la famiglia in difficoltà sia segnalata da altro ente del territorio e non sia in carico al servizio sociale, il servizio medesimo ha il compito di approfondire le informazioni e verificare quelle esistenti, al fine di poter consentire l'avvio di un progetto di affiancamento. La medesima attività è svolta in caso di richiesta

da parte di due famiglie già in contatto di trasformare una relazione informale in progetto di affiancamento.
      3. L'operatore dei servizi sociali assiste le famiglie e il tutor nella definizione degli obiettivi e delle attività del patto e monitora l'andamento del progetto di affiancamento attraverso le informazioni ricevute prioritariamente dal tutor, ma anche attraverso uno o più incontri di valutazione intermedia con tutti i partecipanti al progetto. Nella fase conclusiva del progetto, promuove un incontro conclusivo in cui si analizzano gli obiettivi raggiunti nonché uno o più incontri di valutazione con la famiglia affiancata, anche allo scopo di migliorarne la capacità di valutare i cambiamenti avvenuti e le strategie messe in atto per fronteggiarli.
      4. I servizi sociali territoriali, in collaborazione con l'équipe multidisciplinare e con le realtà associative del territorio, promuovono iniziative a favore dell'affiancamento familiare, in modo integrato con altre iniziative e interventi promozionali sul tema dell'accoglienza e dello scambio solidale, e ove individuino famiglie risorsa che, dopo un percorso di formazione preliminare, si rendono disponibili, le inseriscono in una banca di dati territoriale, cui si potrà attingere per valutare ipotesi di abbinamento. Laddove esistano strutture dedicate all'affidamento familiare, tale compito potrebbe essere integrato agli altri già assegnati, valorizzando esperienze e prassi già attive nel territorio nell'ambito della prevenzione del disagio e nel sostegno alla genitorialità attiva.
Art. 6.
(Tutor).

      1. Ciascun progetto di affiancamento familiare è monitorato da un tutor che è in contatto costante con la famiglia risorsa, attraverso contatti telefonici e incontri periodici, secondo le modalità concordate nel progetto medesimo, e a cui la famiglia risorsa stessa può rivolgersi in caso di difficoltà, anche al di fuori dei consueti orari di ufficio.


      2. Il tutor svolge una funzione di collegamento con il territorio e con i servizi sociali di riferimento, in particolare con l'operatore che segue la famiglia affiancata, al quale riferisce periodicamente sull'andamento del progetto. In caso di difficoltà che esulino dal compito affidato, il tutor avvisa tempestivamente i servizi sociali, per i conseguenti adempimenti.
      3. Il tutor partecipa, insieme alle famiglie e all'operatore dei servizi sociali di riferimento, alla definizione del patto e agli incontri di valutazione periodici concordati con l'operatore stesso.
      4. Il tutor è una figura con comprovate esperienze nel settore del volontariato sociale e del sostegno alla genitorialità, esercitate nell'ambito di enti pubblici o privati. Il tutor può appartenere e operare in associazioni o reti di associazioni e reti di famiglie garantendo il costante coinvolgimento di queste nei progetti di affiancamento.
      5. Ogni tutor ingaggiato per partecipare ad un progetto di affiancamento familiare partecipa a un percorso formativo gestito direttamente da operatori dei servizi sociali territoriali o da formatori di realtà territoriali con riconosciuta esperienza. Il percorso formativo, seguito da un colloquio individuale, ha l'obiettivo di approfondire la conoscenza del progetto e di rafforzare le competenze necessarie per esercitare la funzione di tutor.
      6. Al percorso formativo seguono incontri periodici di supervisione di gruppo, gestiti direttamente da operatori dei servizi sociali o da formatori di realtà territoriali con riconosciuta esperienza, cui i tutor sono tenuti a partecipare.
Art. 7.
(Associazioni e reti di associazioni).

      1. Alla predisposizione di ciascun progetto di affiancamento possono partecipare realtà associative e del terzo settore e reti di associazioni, al fine di offrire sollecitazioni culturali e sociali, individuare famiglie interessate all'affiancamento, segnalare famiglie in difficoltà e persone disponibili

per la funzione di tutor. Tali soggetti operano in modo attivo, con una presenza capillare sul territorio e una propria storia di relazioni e collaborazioni.
      2. L’équipe multidisciplinare cura il raccordo con tali soggetti nello sviluppo del progetto di affiancamento e la costruzione cooperativa di un'idea condivisa del percorso, delle motivazioni delle scelte e delle modalità operative. A tal fine le realtà territoriali sono coinvolte nel processo di programmazione, gestione e valutazione, con l'individuazione del contributo specifico che ciascuna realtà territoriale coinvolta apporta al progetto.
Art. 8.
(Servizio di affiancamento familiare).

      1. In ogni ambito di gestione dei servizi sociali territoriali è istituito un servizio di affiancamento familiare, ad accesso libero e gratuito, idoneo a soddisfare i criteri e le finalità di cui alla presente legge.
      2. Per lo sviluppo del servizio di affiancamento familiare è attivata localmente un’équipe multidisciplinare di coordinamento che possa includere, oltre ai servizi sociali, anche altre organizzazioni pubbliche e private, e realtà del territorio, quali associazioni familiari o del settore di cura e protezione dell'infanzia, reti di associazioni familiari e realtà informali.
      3. Il coordinamento compete agli enti locali titolari delle competenze in materia di servizi sociali.

Art. 9.
(Ruolo delle regioni).

      1. Le regioni, nell'ambito delle proprie competenze, attuano le disposizioni della presente legge nell'ambito delle norme attuative dell'affidamento familiare vigenti.
      2. Le regioni definiscono criteri e regole per garantire una omogenea attuazione della presente legge nel territorio regionale, e stabiliscono procedure e strumenti tecnici cui gli enti preposti devono uniformarsi metodologicamente.


      3. Le regioni, nell'ambito delle proprie competenze, promuovono azioni a favore dell'affiancamento familiare, con il coinvolgimento delle realtà sociali e delle associazioni locali.
      4. Le regioni attivano periodicamente percorsi di formazione per operatori dei servizi sociali, dei servizi affidi familiari, dei centri per le famiglie, di realtà del privato sociale allo scopo di diffondere le conoscenze e per sviluppare le competenze necessarie per la realizzazione di progetti di affiancamento. Lo sviluppo di tali azioni formative a livello regionale può avvenire con la partecipazione di università, centri di ricerca e formazione, organizzazioni sociali e realtà associative con una specifica competenza in materia di affiancamento familiare.
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