Frontespizio Relazione Progetto di Legge
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 4029


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI, PASTORINO
Modifiche alla legge 23 marzo 1981, n. 91, in materia di promozione della parità tra i sessi nello sport professionistico
Presentata l'8 settembre 2016


      

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Onorevoli Colleghi! — La parità di genere tra uomini e donne rappresenta un diritto fondamentale che deve innanzitutto essere messo in atto dalle istituzioni, includendo l'obbligo di eliminare ogni forma di discriminazione anche per quanto attiene allo sport.
      In particolare, con la presente proposta di legge s'intende sopprimere le barriere tra sport maschile e sport femminile, favorendo un'equiparazione di trattamento nelle discipline sportive classificate professionistiche.
      Il ruolo sociale dello sport nelle politiche europee e nell'ordinamento sportivo italiano deve garantire il diritto alla parità di genere, partendo dagli sport oggi considerati professionistici solo se praticati da uomini.
      In Italia sono riconosciuti solo sei sport professionistici su sessanta discipline (calcio, golf, pallacanestro, pugilato, motociclismo e ciclismo).
      La legge 23 marzo 1981, n. 91, recante «Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti», rappresenta in materia di sport professionistico la tutela e la valorizzazione dei lavoratori in ambito sportivo, ma segna le evidenti differenze di genere se si considera che, tutt'oggi, in Italia nessuna disciplina sportiva femminile è qualificata come professionistica.
      Inoltre, la mancata qualificazione delle discipline sportive femminili come «professionismo» determina pesanti ricadute in termini di assenza di tutele sanitarie, assicurative, previdenziali, e di trattamenti salariali adeguati all'effettiva attività svolta.
      Secondo l'articolo 2 della citata legge n. 91 del 1981 «sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi e i preparatori atletici, che esercitano un'attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell'ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle Federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle Federazioni stesse, con l'osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell'attività dilettantistica da quella professionistica».
      Da ciò si evince la volontà di favorire e riconoscere esclusivamente gli sport praticati dal genere maschile, atteso che gli stessi sport riconosciuti professionistici per il sesso maschile sono praticati dal sesso femminile per il quale non si è avuta una specifica qualificazione da parte delle Federazioni sportive.
      Il metodo di riconoscimento del lavoratore sportivo professionista è stato innovato con il decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, che ha ridimensionato il potere delle Federazioni, devolvendo al Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) il compito di fissare, in armonia con l'ordinamento internazionale sportivo, i criteri della distinzione tra sportivo professionista e sportivo dilettante, assegnando a tale ente un potere al fine sia di creare un'omogeneità dei criteri distintivi sia di ridurre il contenzioso circa la qualificazione di talune tipologie di contratti di lavoro.
      Esempio palese di distinzione tra atleti professionisti maschi e atlete dilettanti femmine che praticano la stessa disciplina sportiva è rappresentato dal gioco del calcio. Tuttavia, bisogna considerare che esistono discipline sportive qualificate come dilettantistiche dalle quali in realtà gli atleti, con la modalità della continuità e dei costi, traggono il loro sostentamento, senza che per questo possano essere formalmente considerati professionisti e quindi rientrare nella tutela accordata dalla citata legge n. 91 del 1981.
      Poiché nessuna Federazione consente alle donne di accedere all'attività professionistica, oggi le donne atlete italiane che praticano sport e che dello sport fanno un lavoro sono costrette a esercitarlo da dilettanti nonostante lo stesso sport praticato dagli uomini sia considerato professionistico. Tale differenza rappresenta pertanto una palese discriminazione delle atlete.
      La legge sul professionismo sportivo, infatti, divide la pratica sportiva in due categorie: attività sportiva professionistica svolta nell'ambito di società di capitali e attività sportiva dilettantistica praticata da atleti e da associazioni sportive dilettantistiche, cooperative e di capitali senza finalità di lucro.
      Da ciò consegue che le atlete donne ricavano compensi molto inferiori rispetto ai colleghi atleti uomini. Inoltre, cosa non marginale, non hanno diritto a godere delle garanzie previdenziali, contributive e sanitarie previste dagli inquadramenti contrattuali.
      La necessità di presentare una proposta di legge concernente iniziative per promuovere la parità di genere nel settore dello sport professionistico è dettata anche dalla mancanza di una piena adozione da parte del nostro Paese della Carta europea dei diritti delle donne nello sport.
      La Carta rappresenta il primo tentativo per il riconoscimento e la rivendicazione delle pari opportunità di uomini e donne nello sport in ambito europeo e nello stesso tempo evidenzia una grave disparità tra uomini e donne impiegati nel settore dello sport, e quindi rileva la necessità di rimuovere le smisurate barriere culturali che impediscono il reale coinvolgimento delle donne nelle attività sportive in generale e in particolare nello sport professionistico.
      La Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW), adottata a New York il 18 dicembre 1979 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite e ratificata dall'Italia ai sensi della legge 14 marzo 1985, n. 132, prevede, in particolare agli articoli 10 e 13, che il diritto allo sport sia per tutti, senza distinzioni di genere.
      Al fine di garantire la parità di diritti nello sport professionistico, occorre modificare la normativa vigente per eliminare la distinzione tra pratiche maschili e femminili nelle procedure di riconoscimento delle discipline di alto livello, chiedendo alle Federazioni nazionali di assicurare alle donne e agli uomini parità di trattamento, in quanto il dilettantismo «obbligato» alle atlete impedisce loro di usufruire della legge n. 91 del 1981 che regola i rapporti con le società, la previdenza sociale, l'assistenza sanitaria e il trattamento pensionistico.
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.

      1. Alla legge 23 marzo 1981, n. 91, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) l'articolo 2 è sostituito dal seguente:

          «Art. 2. – (Professionismo sportivo).1. Ai fini dell'applicazione della presente legge, sono sportivi professionisti, senza distinzione di sesso, gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi e i preparatori atletici, che esercitano l'attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell'ambito delle discipline regolamentate dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) e che conseguono la qualificazione dalle Federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle Federazioni stesse, con l'osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell'attività dilettantistica da quella professionistica.

          2. Per ogni disciplina sportiva regolamentata dal CONI è proibita qualsiasi forma di discriminazione di genere per quanto concerne la qualifica di atleta professionista da parte delle Federazioni sportive affiliate al CONI»;

          b) all'articolo 4, primo comma, dopo le parole: «conformemente all'accordo stipulato,» sono inserite le seguenti: «nel rispetto delle pari opportunità tra donne e uomini,»;

          c) all'articolo 10, primo comma, le parole: «con atleti professionisti» sono sostituite dalle seguenti: «con atleti e atlete professionisti».

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