Frontespizio Relazione Progetto di Legge
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 4283


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
AIRAUDO, SCOTTO, PLACIDO, MARTELLI, PAGLIA, MARCON, MELILLA, GIANCARLO GIORDANO, FRATOIANNI, DURANTI, CARLO GALLI, NICCHI, COSTANTINO, FASSINA
Disposizioni concernenti le prestazioni di lavoro con modalità di esecuzione organizzate o coordinate dal committente
Presentata l'8 febbraio 2017


      

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Onorevoli Colleghi! — Quando si parla di economia nell'epoca del digitale sempre più spesso la si associa erroneamente alla parola «sharing», cioè condivisione. L'idea dell'economia condivisa piace molto, ma con la digitalizzazione si sono diffuse anche nuove pratiche che hanno sfruttato l'evoluzione tecnologica al fine di accrescere le diseguaglianze e di sfruttare il lavoro.
      E, infatti, accanto alla sharing economy o economia della condivisione, è nata anche la gig economy, cioè l'economia del lavoretto on demand, che ha trasformato molte attività lavorative. In questo modo, accanto alla crescita dei servizi prestati ai clienti, sono diminuiti i salari e le tutele dei lavoratori.
      L'esempio più clamoroso, che ha fatto deflagrare anche in Italia i problemi della gig economy, è quello di Foodora, società attiva nel servizio di consegna a domicilio di pasti preparati in ristoranti convenzionati, mediante l'utilizzo di una app, cioè di una piattaforma digitale. All'interno di Foodora, ad inizio ottobre 2016, circa 50 lavoratori di Torino hanno avviato la prima forma di protesta collettiva per chiedere tutele e diritti.
      La dottrina giuslavoristica ha utilizzato come definizione di sharing economy la monetizzazione di risorse sottoutilizzate o non utilizzate, che punta ad abbattere i costi attraverso la condivisione di azioni che si farebbero comunque. L'esempio del noto servizio blablacar aiuta a comprendere: l'automobilista che ha pianificato un viaggio e ha posti liberi in macchina per contenere le spese mette a reddito i posti liberi condividendo il viaggio con terzi.
      La gig economy, invece, è stata definita come un sistema di lavoro apparentemente free lance, facilitato dalla tecnologia, che ha a che fare con esigenze generazionali e sociali. È una forma efficiente di impresa capitalistica, su lavori che scontano flessibilità e intermittenza. È questo il caso dei, cioè I fattorini, di Foodora, pagati a consegne, oppure del servizio Uber. Quest'ultimo, a differenza di blablacar, non rappresenta un servizio di condivisione messo a disposizione da un automobilista che avrebbe comunque fatto un viaggio, ma è un servizio prestato da un autista che si sposta su chiamata, come un taxista.
      Pertanto, nella gig economy non si rinvengono significativi elementi di condivisione (sharing): nel servizio a pagamento di consegna del cibo a domicilio non si condividono bicicletta, smartphone o altro; nel servizio di taxi non si condividono le automobili o la benzina, così come nel servizio di pulizie di Helping (altro esempio di gig economy), gli addetti non condividono spazzolone e strofinaccio. In questi esempi di attività lavorative l'unico elemento in comune con la sharing economy è il fatto che basano le proprie operazioni su piattaforme digitali, ma la somiglianza finisce qui.
      Il problema dell'inquadramento dei lavoratori della gig economy è globale. Negli Stati Uniti d'America hanno fatto molto notizia i numerosi processi incardinati contro Uber con l'obiettivo di fare luce sulle condizioni di lavoro degli autisti e di stabilire se siano lavoratori autonomi o no. Nell'estate 2016, a Londra hanno scioperato i lavoratori di Deliveroo e di UberEats, per contrastare il tentativo delle aziende di passare da una retribuzione oraria a una a cottimo.
      Le stesse ragioni sono alla base delle proteste dei lavoratori di Foodora Italia. Inizialmente hanno avviato un contenzioso sulle biciclette, che i lavoratori sono tenuti a fornire a proprie spese, facendosi carico anche della manutenzione dei mezzi. La stessa cosa vale per smartphone e costi telefonici. Successivamente il contenzioso è stato esteso al passaggio da una retribuzione oraria di 5,40 euro a una retribuzione a cottimo (2,70 euro per consegna), che l'azienda ha previsto per tutti i neo assunti, fino a estendersi progressivamente all'intera forza lavoro.
      Infine, i lavoratori hanno messo in discussione il tipo di contratto: i fattorini e i promoter (ossia coloro che si occupano di fare pubblicità all'azienda) che lavorano per Foodora Italia non sono dipendenti ma liberi professionisti assunti con un contratto di collaborazione coordinata. Non hanno quindi alcun diritto a ferie, copertura per infortuni o malattie pagate.
      In risposta alla vertenza aperta dai lavoratori, gli amministratori di Foodora Italia hanno comunicato la disponibilità a colloqui individuali, escludendo a priori qualsiasi possibilità di rappresentanza collettiva, con ciò ponendosi fuori da ogni volontà di instaurare corrette relazioni industriali.
      In più, pochi giorni dopo la protesta tenuta a Torino a inizio ottobre, il quotidiano La Stampa ha dato notizia che due promoter della società sono state «licenziate» per aver solidarizzato con la protesta. Il licenziamento di fatto e istantaneo è avvenuto bloccando loro l'accesso all’app tramite la quale si organizzano i turni di lavoro, senza alcuna formalizzazione e nessuna possibilità di tutelare i loro diritti, tra i quali anche quello di mettere in atto una vertenza per migliorare le proprie condizioni di lavoro.
      In quest'attività lavorativa, che si colloca in una zona grigia tra il lavoro da freelance e quello da dipendente, gli elementi di subordinazione sono numerosi, come il fatto di essere tenuti a indossare un'uniforme aziendale, di avere un orario concordato, turni stabiliti e un luogo prefissato di partenza per le consegne (per essere «connesso al sistema» un lavoratore deve trovarsi in una determinata piazza di Torino), senza trascurare l'elemento del controllo a distanza operato mediante la geolocalizzazione costante e in tempo reale dell'operatore. Tutti questi elementi evidenziano che i lavoratori sono sottoposti a una organizzazione del lavoro stabilita dall'azienda.
      La presente proposta di legge interviene, sulla base di quanto premesso, per definire l'indispensabile inquadramento dei lavoratori e per riconoscere diritti e tutele che già oggi sarebbe possibile riconoscere, ma che invece sono negati ai lavoratori di Foodora e agli altri della gig economy.
      Innanzitutto, si intende restituire dignità al lavoro e contrastare l'idea, che pure è stata espressa, che l'attività di fattorino sia «un'opportunità per andare in bici, guadagnando anche un piccolo stipendio», negando il rispetto della professionalità, la responsabilità e la fatica fisica che questo e altri lavori richiedono.
      Inoltre, si intende contrastare l'ultra precarietà di un lavoro con un livello di retribuzione troppo basso per permettere a un lavoratore di sopravvivere lavorando esclusivamente per Foodora (lo stipendio difficilmente supera i 400-500 euro al mese). La logica che accomuna prestazioni lavorative di questo tipo, ossia esternalizzare sui lavoratori il rischio e i costi dei tempi morti, è la stessa per cui in Italia si fa un uso massiccio dei voucher, il cui utilizzo è cresciuto enormemente nel corso degli ultimi anni e ha continuato in maniera esponenziale la sua crescita anche nel 2016. Come già avvenuto a Londra nel caso di UberEats, all'inizio dell'attività le imprese utilizzano un compenso orario. Ma il sistema di consegne a domicilio sul modello di Foodora o di Deliveroo utilizza il meccanismo dell'algoritmo per gestire la fluttuazione della domanda: si basa sull'avere a disposizione una forza lavoro flessibile, che può venire mobilizzata o smobilizzata a seconda della domanda dei consumatori. La decisione delle imprese di passare a un sistema di compensi stabilito a prestazione piuttosto che a ora permette alle piattaforme di esternalizzare totalmente i costi dei potenziali tempi morti o di bassa domanda sui lavoratori stessi, operando dunque una stretta al ribasso sui costi del lavoro.
      Infine, la proposta di legge intende impedire che siano aggirate molte delle regolamentazioni previste dai contratti collettivi di lavoro, come le tutele in caso di malattia.
      L'articolo 1 della proposta di legge ribadisce quanto già previsto dall'articolo dell'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, secondo cui la disciplina del rapporto di lavoro subordinato si applica anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. L'articolo 1 precisa che in tale fattispecie rientrano anche quelle attività di lavoro non solo organizzate, ma – per evitare abusi – anche «coordinate» dal committente, che richiedano un'organizzazione, sia pure modesta, di beni e di strumenti di lavoro da parte del lavoratore, come ad esempio l'uso del proprio computer o di qualunque dispositivo in grado di generare un trasferimento di dati o di voce, oppure del proprio mezzo di trasporto, anche se rese prevalentemente o esclusivamente al di fuori della sede dell'impresa.
      Attraverso tali precisazioni si vuole escludere che attività come quella svolta dai lavoratori di Foodora Italia possano essere inquadrate come collaborazioni continuativa e coordinate, espressamente fatte salve dall'articolo 52, comma 2, del decreto legislativo n. 81 del 2015, che richiama l'articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile. La sopravvivenza delle collaborazioni continuative e coordinate, operata dal Governo in contrasto con quanto disposto dalla delega del Parlamento, riconosce nuovamente all'autonomia privata individuale il potere di regolare, anche al di fuori delle ipotesi tipiche previste dal codice civile e delle eccezioni espresse, forme di lavoro autonomo coordinato e continuativo (senza progetto) a tempo indeterminato, legittimando la continuazione di numerosi abusi.
      L'articolo 2, al comma 1, estende la possibilità di utilizzo del contratto subordinato di lavoro intermittente eliminando i limiti di età e di durata massima stabiliti dall'articolo 13, commi 2 e 3, del decreto legislativo n. 81 del 2015. Tale previsione intende consentire che i lavori di cui all'articolo 1, ovvero della gig economy, vengano fuori dalla precarietà assoluta nella quale versano, consentendo al committente di fare ricorso al contratto di lavoro intermittente, senza limiti, qualora non ritenga di procedere all'assunzione facendo ricorso alle altre tipologie di contratto subordinato previste dalla legge.
      Il comma 2 stabilisce il diritto di precedenza per i contratti stipulati dall'azienda nei successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già esercitate dal lavoratore in esecuzione di precedenti rapporti di lavoro svolti per un periodo complessivamente superiore a tre mesi. La disposizione è mutuata, con adattamenti, da quanto previsto per il contratto di lavoro a tempo determinato.
      Il comma 3 stabilisce che il committente deve riconoscere al lavoratore un'indennità per l'utilizzo di beni e di strumenti di proprietà del lavoratore per lo svolgimento delle prestazioni lavorative. L'indennità è dovuta anche per le spese di manutenzione sui medesimi beni e strumenti, commisurata all'utilizzo per lo svolgimento delle attività lavorative.
      Il comma 4, infine, stabilisce che i rapporti di lavoro di cui all'articolo 1 possono essere svolti con modalità di telelavoro, nonché secondo altre modalità di lavoro smart o agile, individuate dalla legge o dalla contrattazione collettiva. In questo modo si intendono favorire modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative – già oggi regolamentate o regolamentabili – che si svolgano parzialmente o interamente al di fuori della sede dell'azienda, presso l'abitazione del lavoratore, presso i clienti o in giro per la città.
      Si prevede, infine, che per tutelare la salute del lavoratore e per assicurare adeguati tempi di riposo i contratti devono sempre definire le misure tecniche e organizzative necessarie per garantire la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro al di fuori delle fasce orarie di reperibilità.
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.

      1. Costituiscono rapporto di lavoro subordinato, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, anche le prestazioni di lavoro le cui modalità di esecuzione sono organizzate o coordinate dal committente con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro, anche se rese prevalentemente o esclusivamente al di fuori della sede dell'impresa, e che richiedono, per svolgere la prestazione di lavoro, un'organizzazione, anche se minima, di beni e di strumenti di lavoro da parte del lavoratore, quali l'uso del proprio computer o di qualunque dispositivo in grado di generare un trasferimento di dati o di voce, oppure del proprio mezzo di trasporto.

Art. 2.

      1. Ai rapporti di lavoro di cui all'articolo 1 della presente legge regolati mediante contratto di lavoro intermittente non si applicano i limiti anagrafici e temporali di cui all'articolo 13, commi 2 e 3, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81.
      2. I lavoratori di cui all'articolo 1 che hanno prestato attività lavorativa per un periodo superiore a tre mesi hanno diritto di precedenza nelle assunzioni effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei precedenti rapporti di lavoro.
      3. I contratti collettivi di lavoro o, in mancanza, quello individuale, riconoscono al lavoratore un'indennità per l'utilizzo, nonché il riconoscimento delle spese commisurate all'utilizzo, per gli interventi di manutenzione sui beni e sugli strumenti di proprietà del lavoratore utilizzati per lo svolgimento delle prestazioni lavorative.
      4. I rapporti di lavoro di cui all'articolo 1 possono essere svolti con modalità di

telelavoro, nonché secondo altre modalità di lavoro smart o agile, individuate dalla legge o dalla contrattazione collettiva. Al fine di tutelare la salute del lavoratore e di assicurare adeguati tempi di riposo, i contratti devono sempre definire le misure tecniche e organizzative necessarie per garantire la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro al di fuori delle fasce orarie di reperibilità.
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