Frontespizio Relazione Progetto di Legge
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 4328


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
MATTIELLO, FERRANTI, MARANTELLI, ERMINI, ZAMPA, GIUSEPPE GUERINI, AMODDIO, BENI, GRIBAUDO, TARTAGLIONE, BOLOGNESI, GRASSI, NACCARATO, COCCIA, CRIVELLARI, PATRIARCA, LUCIANO AGOSTINI, PATRIZIA MAESTRI, CAPONE, GANDOLFI, RIBAUDO, RUBINATO, LACQUANITI
Modifiche alla legge 25 gennaio 1982, n. 17, e altre disposizioni in materia di associazioni segrete
Presentata il 24 febbraio 2017


      

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Onorevoli Colleghi! — A venticinque anni dalle stragi di Palermo abbiamo il dovere di chiederci come sia cambiato il fenomeno mafioso e quanto siano efficaci gli strumenti che abbiamo a disposizione, consapevoli che in questi anni sono stati conseguiti risultati eccezionali, che hanno consentito al nostro Paese di debellare quasi completamente l'organizzazione criminale Cosa nostra dei corleonesi e di assestare colpi duri alle altre organizzazioni mafiose. Abbiamo in realtà a disposizione diversi elementi per calibrare al meglio il tiro. Tracciando un filo tra quanto disse il mafioso Leonardo Messina venticinque anni fa alla Commissione parlamentare antimafia e quello che emerge dalle intercettazioni di Lumi Mancuso, boss della ’ndrangheta e osservando poi le evoluzioni del fenomeno mafioso attraverso la lente delle più recenti inchieste delle direzioni distrettuali antimafia di Reggio Calabria o di Palermo, che si intrecciano con quelle di Roma, Genova e Milano, nonché tenendo a mente le elaborazioni offerte da studiosi come Fantò o da magistrati come Scarpinato, la scena si fa quanto meno intellegibile. Da un lato organizzazioni mafiose «camorrizzate» che continuano a usare la sintassi tradizionale del fenomeno e dall'altro una mafia elitaria, unitaria, che può permettersi di sacrificare, all'occorrenza, anche pezzi dell'altra mafia, che gestisce il potere facendosi forte del vincolo associativo, che ha sempre meno bisogno di estrinsecarsi in forza intimidatrice perché sempre più le basta il cemento della convenienza, che all'occorrenza assume la forma di una particolare forma di violenza: il ricatto. Ed è mafia. Una mafia che ha imparato molto dalle massonerie, per parafrasare appunto le parole di Mancuso (e questo non significa che la massoneria sia mafia). Un'organizzazione segreta, dedita alla sistematica interferenza con la funzione pubblica occupata a dirottare denari pubblici e destini personali, tanto che alcuni pubblici ministeri hanno cominciato ad adoperare la legge 25 gennaio 1982, n. 17, cosiddetta legge Anselmi, magari con l'aggravante prevista dall'articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, per arrivare a stigmatizzare condotte di questo tipo. Da qui nasce la prima esigenza legislativa: rafforzare le previsioni della legge Anselmi (che più opportunamente dovremmo chiamare legge Spadolini) per farne uno strumento più idoneo allo scopo. Aumentando le pene edittali nel minimo e nel massimo, permettendo con ciò, tra l'altro, l'utilizzo delle intercettazioni nelle indagini, e aumentando il periodo di interdizione dai pubblici uffici, ma anche riportando nell'alveo ancora più strettamente costituzionale la previsione di cui all'articolo 1 della medesima legge n. 17 del 1982, che attualmente prevede che: «Si considerano associazioni segrete, come tali vietate dall'art. 18 della Costituzione, quelle che, anche all'interno di associazioni palesi, occultando la loro esistenza ovvero tenendo segrete congiuntamente finalità e attività sociali ovvero rendendo sconosciuti, in tutto od in parte ed anche reciprocamente, i soci, svolgono attività diretta ad interferire sull'esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici anche economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale». Va in effetti ricordato che l'articolo 18 della Costituzione vieta le associazioni segrete, tout court, qualsiasi siano le loro finalità, mentre il dettato dell'articolo 1 della legge n. 17 del 1982 disciplina oltre al modus di tali associazioni, come elementi qualificanti le attività da esse svolte. Si è dunque ritenuto opportuno modificare la norma vigente nella parte che ha come portato che, ancorché sussistenti i suddetti requisiti, un'associazione debba ritenersi segreta solo quando, in aggiunta ai medesimi, i soci svoltano attività volte a interferire sull'attività di organi costituzionali, amministrazioni pubbliche, enti pubblici anche economici, eccetera. L'analisi del problema induce anche a un'altra considerazione. Le istituzioni repubblicane tanto vanno salvaguardate dalle indebite ingerenze di organizzazioni criminali masso-mafiose, quanto vanno più generalmente salvaguardate da non meno indebite ingerenze che possano realizzarsi nel momento in cui la persona preposta a una funzione pubblica delicata appartenga a un'organizzazione, pur legale, che fondi il proprio sodalizio associativo su vincoli di obbedienza tali da inquinare, anche soltanto nella percezione pubblica che se ne possa avere, l'imparzialità di giudizio e la libertà d'animo che il cittadino deve potersi aspettare.
      Il bilanciamento degli interessi tutelati è, quindi, così come espressamente indicato nei motivi della sentenza n. 15 del 1995 della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura (CSM), «il parametro per valutare se una condotta, pur configurabile prima facie come esercizio di diritti costituzionalmente garantiti (di libera manifestazione del pensiero, di libera associazione od altro), non venga invece ad incidere concretamente e negativamente sui valori costituzionali propri dello “status” di magistrato finendo, conseguentemente, col tradursi in un esercizio abusivo del diritto, lesivo appunto di quei valori, e, per ciò stesso, disciplinarmente sanzionabile. L'adozione di questo parametro non viola perciò il principio della riserva di legge ex art. 108 Cost. con riguardo all'ordinamento giudiziario, e, per suo tramite, con riguardo allo stato giuridico dei magistrati».
      Per intenderci, si fa riferimento a quanto elaborato sul piano concettuale, per esempio, dal Consiglio di Stato con le procedure di seguito riportate. Procedura n. 31/95 – sentenza dell'11 ottobre 1996 – Presidente Capotosti: condotta privata del magistrato – prestazione di giuramento massonico – sussistenza dell'illecito. Commette illecito disciplinare, da sanzionare con l'ammonimento in considerazione della brevità dell'affiliazione e della scarsa frequentazione della loggia, il magistrato che presti giuramento massonico, assumendo, così, un impegno incompatibile col dovere di fedeltà alla Costituzione ed ai valori della giurisdizione, consistenti nella indipendenza, imparzialità e soggezione esclusiva alla legge.
      Infatti, mentre il rispetto di tali valori esige che il magistrato resti sempre libero da condizionamenti in modo da poter continuare a esercitare le funzioni giurisdizionali in maniera imparziale e indipendente, l'associazionismo massonico costituisce, invece, un ordinamento caratterizzato da diffusi aspetti di segretezza, da vincoli interni particolarmente intensi e da tenaci influenze fra i partecipanti.
      Procedura n. 39/94 – sentenza del 18 ottobre 1996 – Presidente Capotosti: condotta privata del magistrato – adesione ad una loggia massonica – sussistenza dell'illecito.
      Commette illecito disciplinare il magistrato che abbia aderito a una loggia massonica e vi sia rimasto per molti anni nonostante si fosse già diffuso da tempo, anche nell'opinione pubblica, il convincimento dell'inconciliabilità dello status dei magistrati, rigorosamente tenuti al rispetto dei valori dell'indipendenza e dell'imparzialità, con l'appartenenza ad associazioni caratterizzate, come la massoneria, da forti vincoli di solidarietà e riservatezza. (Nella specie è stata inflitta la sanzione della perdita dell'anzianità di due anni, in considerazione delle precedenti condanne disciplinari subite dall'incolpato nonché del fatto che lo stesso, entrato nella massoneria nel 1975, aveva chiesto di essere collocato in congedo soltanto nel giugno 1993, dopo aver conseguito vari passaggi di grado ed essersi attivamente impegnato anche nella costituzione di una nuova loggia).
      Procedura n. 34/95 – sentenza del 13 dicembre 1996 – Presidente. Grosso: condotta privata del magistrato – adesione a loggia massonica – sussistenza dell'illecito.
      Stante l'incompatibilità fra lo status di magistrato e l'appartenenza alla massoneria, commette illecito disciplinare (da sanzionare con la censura e il trasferimento d'ufficio in considerazione del protrarsi della partecipazione all'associazione, del ruolo attivo in essa svolto, delle modeste dimensioni della città sede dell'ufficio e della conseguente impossibilità per l'incolpato di continuare a esercitare in loco le sue funzioni con il necessario prestigio) il magistrato che dopo l'ingresso nell'ordine giudiziario aderisca ad una loggia massonica, rimanendovi per quattordici anni e progredendo fino al grado terzo.
      Oppure e prima ancora, si fa riferimento a quanto elaborato sul piano concettuale dal CSM in materia di iscrizione e/o appartenenza dei magistrati alla massoneria e/o associazioni riservate. (risoluzione del 22 marzo 1990): «Il Consiglio, nella seduta del 22 marzo 1990, esaminata la problematica emersa occasionalmente dai dibattiti consiliari relativi a pratiche dalle quali si desumeva l'iscrizione di magistrati a logge massoniche, ha deliberato di approvare la seguente risoluzione: La partecipazione di magistrati ad associazioni che comportino un vincolo gerarchico e solidaristico particolarmente forte attraverso l'assunzione in forme solenni di vincoli come quelli richiesti dalle logge massoniche, pone delicati problemi di rispetto dei valori riconosciuti dalla Carta costituzionale. Mentre non appartiene alle competenze del Consiglio giudicare della compatibilità con la Costituzione delle singole forme associative, rientra sicuramente nel novero di dette competenze vigilare in ordine alla attuazione del principio cardine di cui all'art. 101 Cost. secondo cui ’i giudici sono soggetti solo alla legge’. Siffatta tutela comporta sia, da un lato, la difesa dell'indipendente esercizio della giurisdizione ogni volta che si abbia motivo di ritenere che ad essa si attenti sia, d'altro lato, la vigile sorveglianza a che ogni magistrato rispetti – ed appaia rispettare – nell'esercizio delle sue funzioni il principio di soggezione soltanto alla legge. Il Consiglio – consapevole della complessiva articolazione del dettato costituzionale – è doverosamente attento a tutte le norme che, insieme e come il citato art. 101 Cost. presidiano il democratico svolgersi della civile convivenza. Peraltro non è dubbio che le norme in questione vadano interpretate in modo tra loro armonico giacché come è stato autorevolmente affermato soprattutto nella Carta costituzionale, ’la norma non può essere mai considerata isolatamente, come un'entità a sé, realizzante un proprio particolare disegno normativo, bensì sempre e soltanto in relazione al sistema, come parte del più ampio e complesso disegno che in questo si intende realizzato’. La stessa Corte costituzionale ha più volte riconosciuto la necessità di pervenire ad un bilanciato e contemperato soddisfacimento delle esigenze poste a fondamento di tutte le norme costituzionali coinvolte ed implicate da un determinato accadimento. In particolare, con riferimento a quanto statuito dall'art. 21 C.ne, la Corte, nella sentenza 7 maggio 1981, ha deciso che: ’Deve riconoscersi – e non sono possibili dubbi in proposito – che i magistrati debbono godere degli stessi diritti di libertà garantiti ad ogni altro cittadino ma deve del pari ammettersi che le funzioni esercitate e la qualifica da essi rivestita non sono indifferenti e prive di effetto per l'ordinamento costituzionale. Per quanto concerne la libertà di manifestazione del pensiero non è dubbio che essa rientri tra quelle fondamentali protette dalla nostra Costituzione ma è del pari certo che essa, per la generalità dei cittadini non è senza limiti purché questi siano posti dalla legge e trovino fondamento in precetti e principi costituzionali espressamente enunciati o desumibili dalla Carta costituzionale’ (cfr. sent. 9 del 1965).
      I magistrati, per dettato costituzionale (articoli 101, comma secondo, e 104, comma primo, Costituzione), debbono essere imparziali e indipendenti e tali valori vanno tutelati non solo con specifico riferimento al concreto esercizio delle funzioni giurisdizionali ma anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento al fine di evitare che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza ed imparzialità nell'adempimento del loro compito. I princìpi anzidetti sono quindi volti a tutelare anche la considerazione di cui il magistrato deve godere presso la pubblica opinione; assicurano, nel contempo, quella dignità dell'intero ordine giudiziario, che la norma denunziata qualifica prestigio e che si concreta nella fiducia dei cittadini verso la funzione giudiziaria e nella credibilità di essa. Nel bilanciamento di tali interessi con il fondamentale diritto alla libera espressione del pensiero sta, come del resto finiscono per riconoscere le ordinanze di rimessione, il giusto equilibrio, al fine di contemperare esigenze egualmente garantite dall'ordinamento costituzionale. Alla luce di tali considerazioni va interpretata la sentenza di questa Corte n. 145 del 1976, la quale riconosce l'esigenza di una rigorosa tutela del prestigio dell'ordine giudiziario, che rientra senza dubbio tra i più rilevanti beni costituzionalmente protetti. Non è pertanto dubbio, a parere del Consiglio, che non solo i magistrati non possano e non debbano esercitare il diritto di associazione nei modi vietati dallo stesso articolo 18 della Costituzione (e dalle leggi che di detto articolo costituiscono attuazione) ma neppure possono tenere comportamenti che violano l'articolo 101 della Costituzione. Deve conclusivamente ritenersi che ai magistrati la legge inibisce ovviamente di partecipare alle associazioni vietate dalla legge 25 gennaio 1982, n. 17. Il Consiglio peraltro non può limitarsi a prendere atto del divieto appena richiamato, concernente tutti i cittadini. Deve, anche e soprattutto, individuare i limiti che discendono dagli articoli 101, comma secondo, e 104, comma primo, Costituzione, affinché in ogni comportamento dei magistrati sia evitato il pericolo che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza ed imparzialità nell'adempimento del loro compito».
      Va pertanto doverosamente sottolineato come tra i comportamenti del magistrato valutabili, unitamente agli altri, ai fini dell'esercizio dell'attività amministrativa propria del CSM, ci sia anche, al di là del limite imposto dalla legge 25 gennaio 1982, n. 17, l'assunzione dei vincoli richiamati in premessa, i quali nella concretezza delle specifiche esplicazioni accertate: a) si sovrappongano al dovere di fedeltà alla Costituzione, di imparziale e indipendente esercizio della giurisdizione; b) compromettano la fiducia dei cittadini verso la funzione giudiziaria facendone venire meno la credibilità. Ritiene, inoltre, il Consiglio, di dover segnalare al Ministro della giustizia di valutare l'opportunità di proporre che eventuali limitazioni al diritto di associazione per i magistrati siano riferite a tutte le associazioni che – per organizzazione e fini – comportino per gli associati vincoli di gerarchia e di solidarietà particolarmente cogenti. Ad oggi non esistono norme di legge che sanciscano l'incompatibilità tra l'appartenenza a simili organizzazioni e lo svolgimento di una funzione pubblica. Non sfugge che gli esempi richiamati riguardino soltanto la magistratura e che tuttavia nemmeno per essa esistano norme di legge. Da qui nasce la seconda esigenza legislativa: stabilire per legge una volta per tutte l'incompatibilità tra queste due posizioni. Un'incompatibilità che faccia perno sul concetto adoperato dal CSM là dove si debba descrivere il tipo di associazione appartenendo alla quale non si possa svolgere una funzione pubblica direttiva: associazioni che comportino un vincolo di obbedienza assunto in forme solenni come richiesto dalle logge massoniche o da associazioni similari. Un'incompatibilità che si fondi sugli articoli 97 e 98 della Costituzione, oltre che sui già richiamati articoli 101 e 104. Tra le obiezioni che si possono muovere a questa seconda prospettiva, una delle più immediate sarebbe che una simile previsione potrebbe essere facilmente vanificata, commutando l'appartenenza palese a un'organizzazione legale in appartenenza occulta a quella medesima organizzazione legale.
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Modifiche alla legge 25 gennaio 1982, n. 17).

      1. Alla legge 25 gennaio 1982, n. 17, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) l'articolo 1 è sostituito dal seguente:

          «Art. 1. - 1. Si considerano associazioni segrete, come tali vietate dell'articolo 18 della Costituzione, quelle che, anche all'interno di associazioni palesi, occultano la loro esistenza ovvero tengono segrete congiuntamente finalità e attività sociali ovvero rendono sconosciuti, in tutto o in parte e anche reciprocamente, i soci»;

          b) l'articolo 2 è sostituito dal seguente:

          «Art. 2.-1. Chiunque promuove o dirige un'associazione segreta, ai sensi dell'articolo 1, o svolge attività di proselitismo a favore della stessa è punito con la reclusione da tre a sette anni.

          2. La condanna a una pena inferiore a cinque anni importa l'interdizione dai pubblici uffici per dieci anni.

          3. Chiunque partecipa a un'associazione segreta è punito con la reclusione da due a cinque anni. La condanna importa l'interdizione per cinque anni dai pubblici uffici.

          4. La competenza a giudicare è del tribunale in composizione collegiale»;

          c) all'articolo 4, terzo comma, alinea, dopo le parole: «gli atti sono trasmessi» sono inserite le seguenti: «all'Autorità nazionale anticorruzione, nonché».

Art. 2.
(Norme in materia di incompatibilità per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, per i giudici onorari di pace, per i componenti delle commissioni tributarie e per i giudici popolari delle corti di assise e delle corti di assise di appello con la partecipazione ad associazioni di stampo massonico, nonché norme di coordinamento con la disciplina degli illeciti disciplinari).

      1. Dopo il primo comma dell'articolo 16 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, è inserito il seguente:

      «I magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, nel rispetto degli articoli 101 e 104 della Costituzione, non possono partecipare ad associazioni che comportino un vincolo di obbedienza assunto in forme solenni come richiesto dalle logge massoniche o da associazioni similari».

      2. Al decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) all'articolo 2, comma 1, lettera b), dopo le parole: «situazioni di incompatibilità di cui agli articoli» sono inserite le seguenti «16, commi primo e secondo,»;

          b) all'articolo 3, comma 1, la lettera g) è sostituita dalla seguente:

          «g) la partecipazione ad associazioni segrete, ovvero a quelle di cui all'articolo 16, secondo comma, dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 12 del 1941;».

      3. All'articolo 4 della legge 28 aprile 2016, n. 57, dopo il comma 5 è aggiunto, in fine, il seguente:

          «5-bis. Il giudice di pace non può partecipare ad associazioni che comportino un vincolo di obbedienza assunto in forme solenni come richiesto dalle logge massoniche o da associazioni similari».

      4. All'articolo 12 della legge 10 aprile 1951, n. 287, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

          «c-bis) chi prenda parte ad associazioni che comportino un vincolo di obbedienza assunto in forme solenni come richiesto dalle logge massoniche o da associazioni similari».

      5. Dopo la lettera h) del comma 1 dell'articolo 8 del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 545, è inserita la seguente:

          «h-bis) coloro che prendono parte ad associazioni che comportano un vincolo di obbedienza assunto in forme solenni come richiesto dalle logge massoniche o da associazioni similari;».

Art. 3.
(Modifiche al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 162, in materia di incompatibilità per i dirigenti della pubblica amministrazione, per i corrispondenti ufficiali dirigenti delle Forze armate, per gli avvocati e procuratori dello Stato, per il personale militare e delle Forze di polizia dello Stato, per il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, per il personale di livello dirigenziale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, per il personale della carriera dirigenziale penitenziaria e per i professori e ricercatori universitari con la partecipazione ad associazioni di stampo massonico).

      1. Dopo l'articolo 35-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, è inserito il seguente:

          «Art. 35-ter. — (Disposizioni in materia di incompatibilità con la partecipazione ad associazioni di stampo massonico).1. I dirigenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 15, i corrispondenti ufficiali dirigenti delle Forze armate, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia dello Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, il personale di livello dirigenziale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, il personale della carriera dirigenziale penitenziaria e i professori e ricercatori universitari non possono partecipare o affiliarsi ad associazioni che comportino un vincolo di obbedienza assunto in forme solenni come richiesto dalle logge massoniche o da associazioni similari».

      2. Entro un mese dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo

provvede a modificare il comma 1 dell'articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62, al fine di prevedere il riferimento esplicito alle associazioni di cui all'articolo 35-ter del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, introdotto dal comma 1 del presente articolo.
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