Organo inesistente

XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 3436


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI
Abrogazione dell'articolo 265 del codice penale, in materia di disfattismo politico
Presentata il 17 novembre 2015


      

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Onorevoli Colleghi! Nella storia della Repubblica si è assistito a successive modifiche legislative nel corpus dei delitti contro la personalità dello Stato che hanno contribuito a frammentare il già fragile ordine sistematico dei reati così come era stato pensato dal legislatore del 1930.
      Nel codice Rocco, al titolo I del libro secondo si prevede una divisione in cinque ulteriori capi: i delitti contro la personalità internazionale dello Stato (articoli 241-275); i delitti contro la personalità interna dello Stato (articoli 276-293); i delitti contro i diritti politici del cittadino (articolo 294); i delitti contro gli Stati esteri, i loro Capi e i loro rappresentanti (articoli 295-300); infine alcune disposizioni generali in comune ai capi precedenti (articoli 301-313).
      Si riconosce invece solo un minimo spazio alla tutela dei diritti politici del cittadino: c’è solo un articolo, l'articolo 294 del codice penale, che con una formulazione piuttosto ampia persegue l'impedimento anche solo parziale dell'esercizio di un diritto politico se commesso con l'uso di violenza, minaccia o inganno.
      Le previsioni del capo V, costituiscono un'insieme di norme che sembrano non omogenee al citato titolo I e descrivono figure criminose d'indubbio rilievo, come la cospirazione politica mediante associazione, mediante accordo (articoli 304 e 305) e la banda armata (articolo 306).
      Sebbene numerosi interventi legislativi di abrogazione e di depenalizzazione si siano succeduti nel corso degli anni, tra i quali la legge 24 novembre 1981, n. 689, la legge 25 giugno 1999 n. 205, il decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507, e la legge 24 febbraio 2006, n. 85, molti reati, ormai divenuti anacronistici, sopravvivono ancora oggi.
      Ci si riferisce ad alcune fattispecie di reato risalenti all'epoca fascista e sicuramente non più conformi ai princìpi dell'ordinamento, tra le quali, ad esempio, ricordiamo i reati di disfattismo politico o di associazioni antinazionali, il vilipendio alla Repubblica, alla nazione italiana, alla bandiera, l'offesa alla religione di uno Stato mediante vilipendio di persone o cose, l'oltraggio a un corpo politico, amministrativo o giudiziario.
      Le condotte punite da tali previsioni erano state in parte mutuate dal codice Zanardelli e per forza di cose risentivano della forma dell'ordinamento giuridico del tempo, teso a limitare e a punire i comportamenti che potevano rivolgersi in senso denigratorio nei confronti della figura del Re.
      Con la riforma penale del codice Rocco del 1930, molte di queste disposizioni sono state recepite, sia perché si era ancora in presenza di funzioni istituzionali demandate alla figura del re sia perché il contesto socio-politico che aveva visto la nascita di tale codice, con il partito fascista al Governo, esprimeva anche nelle fattispecie penali l'ideologia autoritaria che caratterizzava l'azione del potere esecutivo.
      Decorsi oltre ottanta anni dall'entrata in vigore del codice Rocco si propone l'abrogazione di alcuni articoli del codice penale che prevedono i cosiddetti reati di opinione ovvero delitti contro la personalità dello Stato, semplicemente non più in linea con l'attuale contesto sociale, storico, politico e istituzionale.
      Molte di queste disposizioni puniscono condotte assimilabili a meri reati di opinione, in palese contrasto, dunque, con il principio costituzionale di libera manifestazione del pensiero.
      La quasi totalità di questi delitti si presenta inoltre con una fattispecie a forma libera e di non facile determinazione a priori.
      La struttura di questi reati è, infatti, capace di far ricadere nella violazione qualunque opzione, giudizio o valutazione ritenuti più o meno offensivi senza che sia definito in alcun modo il grado di gravità dell'opinione espressa che giustifica la sanzione penale.
      Questi reati presentano, infatti, nell'attuale formulazione, numerosi problemi, ad esempio relativi all'indeterminatezza degli stessi elementi costitutivi della fattispecie, che non consentono immediatamente di definire se mediante l'espressione di una determinata opinione sussista o no un'offesa idonea a essere penalmente sanzionata.
      Allo stato attuale chiunque può essere perseguito penalmente per il solo fatto di aver espresso le proprie opinioni e la propria posizione ideologica, politica o religiosa, per quanto poco condivisibili essi possano apparire.
      È più che opportuno, quindi, ribilanciare gli opposti interessi, da un lato, quello del doveroso rispetto delle istituzioni e, dall'altro, l'altrettanto doverosa tutela della libertà di opinione anche in ossequio al sopraggiunto dettato costituzionale.
      Coltiviamo il rispetto per le istituzioni democratiche senza processare i cittadini che manifestano opinioni sfavorevoli verso le stesse.
      I cittadini che esercitano soltanto il loro diritto di opinione non possono per questo solo fatto essere accusati di aver commesso un reato, in virtù dello status istituzionale al quale si rivolga un'espressione ritenuta potenzialmente offensiva.
      In particolare, riguardo ai reati la cui commissione è prevista in tempo di guerra, traspare una volontà attenta a tenere in ogni caso saldi l'unità e lo spirito combattivo della nazione così come era intesa nel periodo fascista.
      Il reato di disfattismo politico previsto dall'articolo 265 del codice penale appare emblematico poiché comprende nella propria fattispecie la diffusione sia di notizie false, sia di notizie «esagerate o tendenziose, che possano destare pubblico allarme o deprimere lo spirito pubblico o altrimenti menomare la resistenza della nazione», annoverando anche attività, quasi per nulla definite, tali «da recare nocumento agli interessi nazionali».
      Il riferimento al mero carattere tendenzioso delle notizie che sono diffuse e l'assenza di criteri di tipizzazione del concetto di «nocumento» lasciano totale libertà al giudice di reprimere anche la semplice diffusione di previsioni dagli esiti negativi, ancorché le stesse risultino fondate, sulle sorti di una battaglia o di una guerra.
      Del pari il concetto di «intelligenza», e cioè di accordo illecito con il nemico o con lo straniero, potrebbe essere rinvenuto anche in meri atteggiamenti soggettivi contrari all’«interesse nazionale».
      Il reato così individuato appare porsi in contrasto con norme della Carta costituzionale, emanata in un momento successivo e a seguito del mutamento dell'assetto amministrativo dello Stato, oltre che in concomitanza con uno scenario politico che intendeva porre una cesura ferma rispetto al periodo politico fino ad allora vissuto.
      Poiché la previsione del reato è precedente alla Costituzione si potrebbe notare il contrasto costituito dalle limitazioni di sovranità, alla pari con gli altri Stati, nella prospettiva dello sviluppo di organismi internazionali in grado di assicurare la pace a livello mondiale.
      Da ciò discende un contrasto ancora meno velato, dal momento che la Carta costituzionale pone il ripudio della guerra come mezzo di offesa e di aggressione alla libertà degli altri popoli, nonché come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (articolo 11 della Costituzione).
      Ulteriormente, nella valutazione dei limiti di rilevanza dei delitti di opinione, diventa preclusivo il raccordo con i diritti inviolabili della persona relativi alla libertà di associazione (articolo 18 della Costituzione) e di manifestazione del pensiero (articolo 21 della Costituzione) e anche con l'espresso principio cardine del metodo democratico imposto ai partiti per concorrere legittimamente a determinare la politica nazionale (articolo 49 della Costituzione).
      Più in generale, si è obbligati a confrontare tali reati dalle condotte pressoché onnicomprensive con i princìpi costituzionali dedicati alla materia penale: i princìpi di offensività e di determinatezza del reato (articoli 13 e 25 della Costituzione).
      La presente proposta di legge prevede perciò l'abrogazione del delitto previsto e punito dall'articolo 265 del codice penale (disfattismo politico) il quale sanziona la diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose o che possano allarmare la popolazione o menomare la resistenza della nazione di fronte al nemico o svolgere comunque un'attività tale da recare nocumento agli interessi nazionali.
      Auspichiamo, dunque, che la proposta di legge possa costituire anche un invito ad approfondire la discussione per una modifica complessiva del sistema penale che sappia eliminare i reati anacronistici ancora vigenti e che sia capace, inoltre, di unificare nel solo codice penale la moltitudine di fattispecie delittuose e contravvenzionali disperse nelle singole leggi che regolano ciascuna materia di settore.
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.

      1. L'articolo 265 del codice penale è abrogato.

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